libricino in pdf - AUSER

AUSER Volontariato di Forlì - Onlus
Associazione per l'Autogestione dei Servizi e la Solidarietà
XXIV Concorso letterario
“DARE VITA AGLI ANNI”
Organizzato da AUSER Volontariato di Forlì – ONLUS
per racconti e poesie
Elaborati premiati
Anno 2014
In copertina: disegno dell’Artista Arrigo Casamurata
Dare vita agli anni –2014
Sommario

Sezione “Racconto”
1° classificato: Addio Lugano, Sergio Celetti
p. 7
2° classificato ex aequo: Il sandalo rotto, Giuliana Ferisin
p. 11
2° classificato ex aequo: La vecchia FIAT 600, Nadia Giberti
p. 15
3° classificato ex aequo: L’ora più fredda è quella prima dell’alba,
Attilio Gardini
p. 11
3° classificato ex aequo: L’orto della vita, Gigliola Neri
p. 31
Sezione “Poesia”
1° classificato: Passi, Franca Tramonti
2° classificato : Non solo nebbia, Rosella Valbonesi
3° classificato ex aequo: Mattino lontano, Claudio Biondi
3° classificato ex aequo: Paesaggio dal treno, Gaetano Ricci
Menzione: Limiti, Giovanna Missiroli
Menzione: A Michele, Guardiano del Delta del Po, Irene Ricci
p. 37
p. 39
p. 41
p. 43
p. 45
p. 47
Ringraziamenti
p. 49
3
Dare vita agli anni –2014
Sezione
“Racconto”
Commissione giudicatrice:
Andrea Brigliadori
Viola Talentoni
5
Dare vita agli anni –2014
I CLASSIFICATO
ADDIO LUGANO
Sergio Celetti
Motivazione: Un breve, intenso racconto di sentimenti più sottintesi che
non apertamente detti. Un senso perfetto della misura del narrare.
7
Dare vita agli anni –2014
ADDIO LUGANO
Sergio Celetti
L'andamento curvo del sottopassaggio e il via vai dei passanti mi
impedivano di vedere se il mio amico fosse lì, al suo solito posto.
Poi il suono della chitarra e la voce lamentosa dell'armonica mi
rassicurarono, c'era.
Lo avevo conosciuto otto anni prima, suonava l'armonica
accompagnandosi con la chitarra per le strade del centro o d'inverno, per
ripararsi dal freddo, nel grande sottopassaggio di via Rizzoli.
Ricordo che rimasi affascinato da come suonava l'armonica e da cosa era
capace di tirar fuori da quel semplice strumento.
Anch'io la suonavo, peggio, molto peggio di lui.
Un giorno mi feci coraggio, lo avvicinai e gli chiesi consigli sulla tecnica
e da quel giorno, con pazienza, mi spiegò tutti i segreti dell'armonica, dal
glissaggio al bending, dallo staccato al blocking.
Mi disse che li aveva appresi dai braccianti negri, negli Stati Uniti dove
era emigrato verso la fine degli anni trenta perché perseguitato politico in
quanto di fede .anarchica.
Facendo un po' di conti e a vederlo dall'aspetto, la sua storia non reggeva
molto ma mi piaceva immaginarlo negli States mentre si spostava,
bracciante errabondo, da una fattoria all'altra come un personaggio dei
romanzi di Steinbeck.
Quando ritenne che fossi pronto mi fece suonare con lui in pubblico, non
dimenticherò mai l'emozione di quella prima volta.
Ora lo avevo davanti a me, non lo vedevo da due anni, era dimagrito, il
volto pallido, emaciato e dall'armonica usciva un suono debole, fiacco.
Quando mi vide strizzò l'occhio e continuò a suonare, finito il pezzo mi
salutò come se ci fossimo lasciati il giorno prima:
- «Ce l'hai... lo so che ce l'hai... dai suoniamo assieme, come ai vecchi
tempi».
8
Dare vita agli anni –2014
Sfilai l'armonica dalla tasca dei jeans e l'imboccai, non mi disse che
pezzo avremmo suonato, ma io sapevo cosa.
Batté tre volte il piede ed attaccammo in sincrono Addio Lugano, la
canzone che narra della cacciata degli anarchici dalla Confederazione
Elvetica.
Un paio di volte staccò la bocca dall'armonica per cantare a bassa voce
alcune strofe, poi si riaccodò a sottolineare il refrain.
Alla fine, guardandomi negli occhi disse:
«Non ho più fiato ... ho un maledetto cancro che mi morde dentro, ma
non gli voglio dare soddisfazione...».
Fece finta di armeggiare attorno alla chitarra e senza guardarmi disse a
voce bassa, ma ferma:
«Mi ha fatto piacere rivederti. .. ma ora vai, cazzo ...non voglio che tu mi
veda piangere».
9
Dare vita agli anni –2014
II CLASSIFICATO
EX AEQUO
IL SANDALO ROTTO
Giuliana Ferisin
Motivazione: Semplice e breve racconto di un amore nato per caso e
durato poi una vita, nel contesto di altri tempi e di altri costumi.
11
Dare vita agli anni –2014
IL SANDALO ROTTO
Giuliana Ferisin
Era seduta al panchetto da ciabattino; la solita vestaglia a fiorellini, i
capelli legati a crocchia sulla nuca, lo sguardo intento mentre stava
allestendo una delle innumerevoli babbucce che soleva fare. Adoperava
avanzi di .stoffa che chiedeva alle sarte del paese, ma gliene davano
poche e molto piccole, perché gli avanzi più grandi dei vestiti andavano
restituiti alle committenti.
Faceva la suola con molti strati tutti trapuntati con aghi lunghi e grossi,
per la parte superiore usava la stoffa migliore, era una manna se riusciva
ad avere due bei pezzi di velluto. Se il fondo era in tinta unita allora vi
faceva qualche ricamo o vi applicava della passamaneria.
Era quasi ora di pranzo e voleva finire il lavoro, così disse ad Ina:
“Vai a prendere il pane”.
La ragazza non se lo fece ripetere due volte, lasciò il noioso lavoro di
cucito, si pettinò davanti allo specchio, si pizzicò le guance e si rassettò.
Il vestito era a posto, purtroppo aveva ai piedi i logori sandali che la
madre aveva cucito e ricucito innumerevoli volte.
Prese la borsa e il libretto dove la fornaia segnava la spesa e che veniva
saldato quando il padre riceveva la paga. Avevano anche un libretto per
gli alimentari e uno per il macellaio, purtroppo non sempre riuscivano a
saldare tutti i conti a fine mese.
Era una bella giornata di primavera e stava tornando verso casa
sbocconcellando il pane e saltellando quando le si ruppe il cinturino del
sandalo.
Stizzita rallentò il passo e si avviò strascinando il piede, la casa non era
molto lontana.
All'improvviso le venne incontro un bel giovanotto, baffetti alla Rodolfo
Valentino, lo sguardo ribaldo e la bocca sorridente.
Si fermò a parlare con lei e le si affiancò per accompagnarla.
12
Dare vita agli anni –2014
La poverina si vergognava a morte e malediceva la sorte che le aveva
fatto incontrare quel bel giovane quando lei non poteva nemmeno
camminare diritta!
Quando arrivò a casa, con un gran ritardo, trovò sua madre che la
aspettava sulla porta con uno sguardo che non preannunciava niente di
buono
“Chi è quello che era lì con te?”
“E' Bepi Bianchin”
“"Chiiii ..... quel comunistone senza Dio che è appena stato cacciato dai
cantieri di Monfalcone perché istigava sempre gli operai allo sciopero,
che è sempre in prima fila coi suoi fratelli quando c'è da fare confusione
in piazza e i questurini sono un giorno si e uno no a perquisire la sua
casa?! Cosa direbbe tuo fratello che studia in seminario? Basta! Ti
proibisco di vederlo ancora, se no te la faccio vedere io!"
Ma quando mai le ragazzine danno retta alle mamme?
Lei aveva sedici anni e lui ventisette. Dodici mesi dopo venni al mondo
io e mia nonna non smise mai di odiare mio padre.
13
Dare vita agli anni –2014
II CLASSIFICATO
EX AEQUO
LA VECCHIA FIAT 600
Nadia Giberti
Motivazione: Nostalgica rievocazione di una delle “cose perdute” della
nostra vita, insieme con la semplicità dei costumi e dei piaceri di una
volta.
15
Dare vita agli anni –2014
LA VECCHIA FIAT 600
Nadia Giberti
Alla fine degli anni sessanta, mio padre decise che doveva assolutamente
ottenere la patente. Nonostante non fosse avvezzo allo studio, s'impegnò
e dopo due bocciature raggiunse lo scopo. Ora che aveva la patente,
doveva acquistare l'automobile, la Fiat 600 usata, che il suo amico
venditore, grande affabulatore, gli aveva caldamente raccomandato. Fu
così che per tutta la famiglia iniziò un periodo di scampagnate
domenicali! Mia sorella ed io eravamo oltremodo entusiaste per
l'avvenimento e per il futuro che si profilava. Mio padre ammirava la
creatura e la lucidava ogni giorno, con un morbido panno di lana. Aveva
un aspetto davvero raffinato, di colore azzurro chiaro, con gli sportelli
che si aprivano al contrario di quelli odierni, dotata anche di un cane
finto che scuoteva la testa con il sobbalzare dell'auto. Ci sembrò talmente
umana che decidemmo di chiamarla Lola. Dapprincipio le cose andarono
bene; Lola ci portò allegramente, dove volevamo: nelle colline limitrofe
la mia città, a trovare amici e parenti, perfino al mare. Mia madre,
abituata a dispensare consigli a tutti, durante il tragitto redarguiva mio
padre dicendogli:
"Attento!!! Dai la precedenza!", "Vai piano!", "Metti la terza", “Frena!"..
E così via.
Fino a quando mio padre si stancava e le intimava di guidare lei, pur
sapendo che la mamma era sprovvista di patente. Arrivati alla meta, i
battibecchi finivano e tutto ritornava sereno. La manutenzione più
pressante consisteva nel doversi fermare frequentemente a introdurre
dell'acqua nell'impianto di raffreddamento, tanto da far affermare a noi
tutti che Lola si nutrisse più di acqua che di benzina. Quando ci si
dimenticava di fermarsi, si surriscaldava e iniziava a fumare, sbuffando
come una locomotiva. In questi casi il cofano doveva essere aperto con
cautela per non incorrere in spiacevoli incidenti e accadeva che qualche
16
Dare vita agli anni –2014
spiritoso alla guida di un'auto più moderna ci passasse accanto urlando:
"E' pronta la pasta?"
Una domenica decidemmo di recarci a San Marino. Ci alzammo di
buon'ora per affrontare una gita davvero straordinaria, con l'adrenalina al
massimo e il serbatoio colmo di carburante. La mamma aveva preparato
panini e bibite, riposti diligentemente all'interno del frigo portatile di
plastica verde. La giornata si presentò calda, ma eravamo tutti contenti di
sostenerla. Il viaggio fu molto lungo e le fermate numerose, tuttavia,
proprio nei pressi della nostra meta, Lola emise alcuni singhiozzi, esalò
un sospiro, fermandosi di colpo. Il babbo controllò l'acqua, la benzina,
senza rilevare niente di anomalo. Che fare? ... Pensò all'autostop, per
rintracciare un meccanico, sperando di trovarne uno disponibile,
nonostante la giornata di festa. Allora le automobili non erano così
numerose e gli automobilisti meno sospettosi, per cui vedendo una
famigliola appiedata, non tardarono a fermarsi per far salire mio padre.
Noi tre donne, sconfortate, ci sistemammo all'ombra di un albero in attesa
degli eventi. Trascorse circa un'ora prima che il babbo tornasse, intanto,
sia per la noia, sia per l'avanzare della fame, iniziammo ad assaggiare i
prodotti del frigo portatile. Incredibilmente, il babbo arrivò
accompagnato da un meccanico, scovato con molta fortuna, chiedendo
nel bar di un paese nei pressi di San Marino. Ci sentimmo subito
confortate per come si stavano dipanando le cose e ringraziammo
caldamente il meccanico resosi disponibile nonostante la domenica.
L'uomo dapprima provò a mettere in moto, poi iniziò a scrutare e
armeggiare all’interno del cofano di Lola, infine si girò allargando le
braccia:
“Il motore è fuso!" ... E rivolgendosi al babbo: "Ma da quanto tempo non
ha messo l'olio? ... E' completamente a secco, caro signore!"
Guardammo tutte il babbo, che nel frattempo era impallidito, poi
arrossito e lo sentimmo balbettare:
"L'olio? ... No! Non gliel'ho mai messo, nessuno mi ha detto di farlo!"
"Accidenti!!! Lo sa che il motore è da sostituire? È una bella spesa!”
17
Dare vita agli anni –2014
Vidi la mamma mettersi le mani in testa ed esclamare:
"Poveri noi! Lo sapevo che alla fine avresti combinato un pasticcio!"
Non avemmo scelta, dovemmo lasciare Lola nelle mani di quello
sconosciuto, che gentilmente ci accompagnò alla stazione ferroviaria più
vicina, dove salimmo sul primo treno che ci riportò a Imola. La spesa fu
davvero sostenuta e per recuperarla dovemmo rinunciare per un'intera
stagione a comprare vestiti, scarpe e quant'altro.
Finito il periodo di magra e con l'automobile rimessa a nuovo: olio nel
motore, olio nei freni, acqua nell'impianto di raffreddamento, partimmo
per una vacanza sulle Dolomiti, certi che niente e nessuno ci avrebbe
fermato. Fu una vacanza indimenticabile! Scorrazzammo su e giù per i
tornanti beandoci di panorami mozzafiato, che mai avremmo pensato
potessero esistere. Facemmo delle soste in graziosi paesini con le case
dai tetti appuntiti, con i gerani multicolori sui balconi, ci
apparecchiammo nei boschi per gustosi picnic, ci divertimmo a osservare
le mucche nei pascoli, a percorrere tortuosi sentieri. In ogni luogo che
esploravamo, mi ero abituata a raccogliere un sasso non troppo grande,
colorato, da portare a casa come ricordo. Alla fine della vacanza avevo
raccattato un bel po' di sassi, che sistemai vicino ai miei piedi e a quelli
di mia sorella, poiché il bagagliaio era tutto impegnato dalle valigie.
Partimmo per ritornare a casa, euforici per la trascorsa vacanza, pervasi
dall'ottimismo di cui avevamo fatto il pieno. Salutammo i paesi
incastonati nei monti, i corsi d'acqua che lambivano le valli, le rocce
dardeggianti colori iridescenti alla luce del sole. In auto la mamma iniziò
a fare il bilancio delle spese, quando una repentina sterzata, per altro
indispensabile per non finire fuori strada, ci fece sobbalzare tutti, sassi
compresi. Purtroppo lo scarto ci spinse a salire su un dosso e subito dopo
un sinistro crack annunciò la fine della nostra corsa. Semiasse rotto e tutti
a colpevolizzarmi, per via dei souvenir che avevo raccolto! Pernottammo
in un alberghetto e restammo finché Lola non fu nuovamente guarita. A
malincuore dovetti rinunciare ai sassi, anche se ipotizzai non fossero stati
loro, la causa del guaio.
18
Dare vita agli anni –2014
Trascorremmo tante altre avventure e disavventure assieme a Lola fino a
quando, raggiunta una veneranda età, il babbo decise di sostituirla. Per
noi non fu un giorno felice, poiché con lei se ne andò un pezzo della
nostra vita. Poco dopo, infatti, noi ragazze andammo a vivere fuori di
casa e terminarono le domeniche a zonzo con i genitori, i quali non
assegnarono più alcun nome alle vetture che seguirono.
19
Dare vita agli anni –2014
III CLASSIFICATO
EX AEQUO
L’ORA PIÙ FREDDA
È QUELLA PRIMA DELL’ALBA
Attilio Gardini
Motivazione: Accuratissima ricostruzione delle vicende tragiche che nel
1943 – ’45 colpirono i militari italiani, le cui sventure personali si
mescolarono con il dramma collettivo della grande storia.
21
Dare vita agli anni –2014
L’ORA PIÙ FREDDA
È QUELLA PRIMA DELL’ALBA
Attilio Gardini
Ero morto. Risalivo dall'inferno. Al mio ventiseiesimo anno, attendevo
una rinascita. Annaspavo per ritrovare la luce ... le mie labbra si
riaprivano e i rimasugli della mia umanità aspettavano solo di essere
vissuti. Mi guardavo le mani e mentalmente contavo le dita, sì ero vivo!
Guardavo i miei commilitoni, il cui fisico svelava ogni osso e così
immaginai il mio volto. Fu solo un attimo, perché la mente mi trasportò a
casa, al sorriso dei miei familiari. Finalmente la vita!
In quella notte tra il 22 e il 23 aprile 1945 ero quasi contento di non aver
potuto prendere sonno, perché a poche centinaia di metri l'artiglieria non
cessava di cannoneggiare. Prima dell'alba una silenziosa coltre mi
avvolse, per sprofondarmi in un fosco torpore, che fu interrotto dalle
campane echeggianti senza posa. Insieme a tanti infelici compagni di
sventura, ci precipitammo in quella direzione ed entrammo nella città di
Duden dove donne e bambini urlavano "Fertig krieg, fortig krieg, è finita
la guerra!", mentre stendevano lenzuola ai balconi ed innalzavano drappi
bianchi su ogni pertica. Scorsi in fondo al viale un'auto militare, guidata
da una crocerossina, per cui cominciai ad urlare, per attirare l'attenzione:
"Prigionieri italiani, help!". Ci indicò un prefabbricato alleato, dove ci
invitò a sostare, mentre avrebbe provveduto. A metà giornata
sopraggiunse un ufficiale americano che si esprimeva in dialetto
napoletano, provocando l'euforia di tutti i militari meridionali, che già
sentivano il suono di casa. Ci dette il benvenuto nel mondo libero,
promettendoci che sarebbero arrivati viveri per tutti, cosa che avvenne da
lì a poco, quando da un camion scaricarono razioni individuali contenenti
generi che avevamo dimenticato: cioccolato, pane biscottato, carne,
sigarette ... Peraltro erano passati cinque anni, dal vaneggiamento di
Benito Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia a Roma, in cui
22
Dare vita agli anni –2014
annunciava l'entrata dell’Italia in guerra al fianco della Germania, contro
Francia e Inghilterra. Era il 10 giugno 1940 ed io, undici giorni dopo, fui
coscritto con destinazione Torino, dove si costituì il 1° Battaglione
Carabinieri, agli ordini del Col. Bacchi Ermanno. Ero carabiniere, ma
anche militare pronto a raggiungere il fronte. Le giornate passavano
veloci con esercitazioni al Valentino e sul colle di Superga. I comunicati
pervenuti dai fronti erano drammatici, tanto che, al 4 ottobre, riposi
mestamente la classica divisa della Benemerita per indossare l'uniforme
da combattimento. Lo stato d'animo era proporzionale alle tragiche
notizie che trapelavano, ma io avevo scelto di tacere, senza fare
commenti. Dopo pochi giorni i tre Battaglioni di Carabinieri si
concentrarono a Roma, dove tutto il Reggimento venne passato in
rassegna dal re e da Mussolini, ma i tempi non erano ancora pronti, per
cui fummo dislocati a Idria (GO) sul confine iugoslavo, dove eseguimmo
lunghe marce in montagna con simulazioni di combattimenti. Anche se
indossavamo l'uniforme grigioverde con camicia verde, gambali,
moschetto e pistola, eravamo sempre riconoscibili come membri
dell'Arma, per via del cappello con lucerna e le giberne piene di
munizioni.
“Stiamo andando in Albania, oppure in Africa orientale?" era il nostro
martellante quesito, quando al porto di Taranto salivamo su un imponente
bastimento ... Era il 27 novembre. Le sirene dell'allarme rimbombavano
senza sosta, mentre il buio profondo veniva solcato da sprazzi furtivi
emessi da torce tascabili, che avrebbero potuto tradire la nostra presenza
ai ricognitori, inevitabilmente seguiti da bombardieri. Finalmente la nave,
carica di truppe e armamenti, alle 21 prese il largo, puntando ad est verso
l'Albania. A noi venne dato l'ordine di slacciare le scarpe e indossare il
salva-gente. La nave era in altomare da due ore, quando un contrordine la
costrinse a riguadagnare il porto, perché (così si diceva) minacciata dalla
presenza di sommergibili inglesi. Altra sosta di un'ora e altra partenza in
un silenzio spettrale, con un viaggio insonne, attento ad ogni movimento
di ombre, ad ogni rumore anomalo. Le prime luci dell'alba ci mostrarono
23
Dare vita agli anni –2014
il profilo montagnoso del paese delle aquile, dischiuso attorno al porto di
Durazzo. Con spirito sollevato, sbarcammo in un'atmosfera cupa, dove
già la guerra mostrava il suo volto nei numerosi edifici bombardati.
Inquadrati in formazione di compagnia, raggiungemmo una caserma
dalla peculiare struttura circolare, denominata "Squmbeni". Dormire su
sacchi pieni paglia, utilizzare solo acqua di pozzo, mangiare nella gavetta
un pasto che aveva l'unico merito di essere caldo. Siccome mi ero tenuto
fuori dal vizio del fumo, barattavo le sette sigarette Militi in dotazione,
con saltuarie porzioni di carne o di formaggio. Andando di corvée
conducevo il camion verso l'interno fino a Tirana, per prelevare viveri
della sussistenza, cosa che mi permetteva di esplorare paesi imprevedibili
con minareti, moschee e poi cupole di chiese ortodosse ricche di luci e di
icone dorate. I miei occhi sorpresi osservavano gli inattesi costumi locali,
in particolare quelli delle donne infagottate, fino all'inverosimile, con
scialli multicolori. Quando il nostro Battaglione ''Torino'' venne dislocato
a sud, sul "Passo Logorà", a 70 chilometri da Durazzo sul confine
ellenico, partimmo dopo il tramonto, saltando la cena, in un buio freddo e
piovoso, per poi tenere la posizione, verso mezzanotte, con l'obiettivo di
difendere il presidio di Delmi. Suddivisi in pattuglie, alzammo
l'attendamento mimetizzato nel bosco, conservando l'oscuramento, attenti
a non essere individuati da aerei spia. Qui attendati, trascorremmo
l'inverno, con frequenti azioni di pattugliamento. Nonostante l'aria di
morte che si percepiva, non mi stancavo di contemplare la prospiciente
baia di Corfù, dove passava la linea di combattimento. Qui il 17 gennaio
del '41 fui testimone della battaglia durante la quale gli aerei inglesi
furono abbattuti da navi tedesche.
Per il vettovagliamento venivamo approvvigionati dalla sussistenza
dell'XI Corpo d'Armata, da cui dipendeva il nostro Battaglione, ma
saltuariamente si correva a Tirana per acquistare generi alimentari
freschi, per cui chiesi il permesso di formalizzare la ricorrenza della
Pasqua, che festeggiammo con 14 pecorelle da me acquistate e cucinate
allo spiedo. Il 22 aprile del 1941, la situazione si sbloccò e tutto il
24
Dare vita agli anni –2014
Battaglione venne autotrasportato ad Argirocastro, passando da
Tepelleni, dove si era svolta una cruenta e sanguinosa battaglia vinta dai
panzer tedeschi. Da Gorgut, lungo la fascia del fiume Vaiussa fino a
Kalibachi, vigilammo reprimendo le iniziative albanesi di sciacallaggio e
verificando lo sbando delle truppe greche. Il 23 aprile, a Salonicco, la
Grecia firmava l'armistizio con le potenze dell'Asse, mentre gli inglesi
avevano già lasciato il suolo ellenico. Nella capitale il Comando del l°
Battaglione si posizionò in centro ad Atene, in via Stadio, proprio nelle
vicinanze del palazzo reale, mentre la Prima Compagnia si acquartierava
nella via Tre Settembre, 51, mantenendo due distaccamenti uno in via
Akarnon, l e uno in Piazza Lavorio. Mi fu ordinato di prendere servizio al
Comando Piazza di Atene, retto dal Col. Sacchi, in via Americhis, 6, per
cui iniziavo un'attività investigativa, collaborando con i civili. Fu
giocoforza imparare rapidamente il greco moderno per intervenire
adeguatamente insieme alla polizia locale "Astimonia", ma fu
decisamente utile memorizzare le basilari parole tedesche, siccome il mio
servizio mi portava ad interagire con gli uffici della polizia germanica.
E venne l'incomprensibile 8 settembre dove tutto fu travolto ... Le
ambiguità dell'alto comando portarono a quell' ordine che per migliaia di
soldati giunse inaspettato: "Consegnate le armi". Ero in servizio al
Comando Piazza di Atene, quando la mattina del 10 settembre un
emissario tedesco si presentò al Comando della Divisione chiedendo la
consegna delle armi, in conformità a quanto disposto dal Comando
Italiano dell'XI Armata. La totalità degli uomini si oppose: nessuno
riusciva a comprendere perché ci dovessimo disarmare di fronte a un
"nemico-alleato" di forza così inferiore; il comandante della Divisione
preferì la non-scelta. Non potevo rendermi conto come quel 10 settembre
del '43 potesse segnare la perdita del bene più grande: la libertà ... La sera
mi attardai a lungo, preferendo indugiare in piazza Ornaina, dove potevo
conversare con i tanti greci che avevano guadagnato la mia fiducia. In
vista dell'imminente sventura molti ufficiali avevano venduto ai civili
tante armi italiane, a suon di milioni. Il giorno dopo il cap. Angelo
25
Dare vita agli anni –2014
Scorso comandante della 1° compagnia, del 1° Battaglione CC ci riunì
alla caserma "Gudè", col pretesto di effettuare un "presentatarm" in onore
dei colleghi caduti. Ci comunicò ufficialmente che l'Italia aveva chiesto
l'armistizio e cercò di incoraggiarci affermando che non eravamo allo
sbando, né in pericolo di morte. Ma i fatti erano che il Gen. Vecchierelli,
comandante l'XI Armata, era stato notato a cena, in confidenza con
ufficiali germanici e la sera dell'armistizio aveva ordinato che le truppe
italiane consegnassero le armi ai pochi drappelli tedeschi, illudendo i
carabinieri nell'affermare che avrebbero ripreso servizio in Italia. La
compagnia sotto l'esempio degli ufficiali lasciò l'armamento ed io fui
costretto a consegnare cinque bombe a mano e moschetto in dotazione,
ma trattenni la Beretta cal. 9, che smontata in diversi pezzi nascosi dentro
i gambali. Al giorno 15, inquadrati in Compagnia fummo condotti alla
stazione ferroviaria, fatti salire e dislocati su 17 vagoni merci e quattro
carrozze riservate agli Ufficiali del Battaglione. Molti ateniesi assiepati
nel piazzale ci scongiuravano di non abbandonare la Grecia. Ai miei
conoscenti promettevo di tornare dopo la guerra, ma amareggiato sapevo
che abbracciavo il fato del mio reparto. Il sole era da poco tramontato
quando la tradotta lasciò Atene, per ignota destinazione, dentro un
vagone, destinato (come spiegava la didascalia in lingua francese) a
contenere otto cavalli ... noi eravamo 40 uomini dell' Arma.
Lungo il percorso, dalle stazioni ferroviarie, private del nostro personale,
i militari tedeschi ci minacciavano. Giunti a Lubiana (Slovenia), dopo il
cambio del locomotore, constatammo con amarezza che non ci
volgevamo ad ovest, bensì verso l'Ungheria. Capimmo che la parola di
quegli ufficiali tedeschi valeva ben poco. Lungo la monotona pianura
magiara, raggiungemmo Budapest dove sostammo due giorni. Informai il
personale tedesco di scorta che sarei andato in visita alla capitale e che
poi sarei tornato. Volevo procurarmi informazioni sulla situazione locale,
utilizzando il poco tedesco appreso. Riuscii infatti ad interrogare un
cittadino ungherese sulle possibilità di lavoro e di permanenza nella
capitale, ma la risposta fu che i tedeschi non esitavano a fucilare sul
26
Dare vita agli anni –2014
posto i prigionieri in fuga, per cui ritornai al mio vagone, costretto a
seguire la sorte dei miei compagni. Il treno ripartiva diretto verso
l'Austria, ma alla sosta di Wien Neustadt non ci fu più il permesso di
scendere dai vagoni ... ormai era chiaro come il nostro destino di
prigionieri di guerra fosse segnato, mentre il convoglio giunto in
Germania puntava ancora a Lipsia fino a Torgan, dove ci rinchiusero in
un "campo di smistamento". Capimmo che non ci consideravano né come
militari, né come carabinieri, ma misera mano d'opera da schiavizzare.
Prima di entrare nel lager, lessi una targa che intimava, pena la morte, di
consegnare qualunque arma, munizione, o coltello, mentre al di là del filo
spinato la guardia sulla torretta all' angolo era pronta a far fuoco al primo
ordine del Lagerjùhrer. Prima del tramonto, ci spinsero in baracche
completamente spoglie, costretti a restarvi fino al mattino. Qui passai
nottate dure, interminabili nel tentativo di chiudere gli occhi, con lo
stomaco straziato, senza pagliericcio, senza tavole, distesi a terra uno
dietro l'altro, insieme ad internati provenienti da ogni continente. Il sonno
non arrivava mai ... la fame travolgeva, attendevo l'alba come unico bene,
volevo solo svegliare l'aurora, nella speranza di ritrovare la dignità.
Adunati baracca per baracca, passammo per lo spogliatoio con tutto il
bagaglio, depositammo i nostri averi e facemmo la doccia, ci
sottoponemmo ad un'iniezione e nel locale successivo trovammo da
vestirci. Entrai in un secondo lager dove sorreggendo un cartello con il
numero 242020, fui fotografato. Dopo 4 giorni lasciammo il IV B
Stammlager di Torgau Elbe e fummo condotti al campo presso la città di
Coswig, in Sassonia, non lontano da Dresda, assegnati alla fabbrica che
produceva bombe. Alla sera dell'otto ottobre, fummo separati in diverse
baracche mimetizzate, contenenti gabbioni di legno a tre piani, forniti di
saccone pieno di paglia ... eravamo all'assurdo di compiacerci di non
dormire più sulla terra ... Per tutti i giorni successivi, senza pause e
riposi, ci dovevamo alzare alle cinque, raggiungere la stazione
ferroviaria, viaggiare per 15 chilometri e alle otto entrare nella fabbrica
Wasag. Però quando sorgevano urgenze belliche, i 15 chilometri erano da
27
Dare vita agli anni –2014
fare a piedi, in andata e in ritorno. Lavoravo con reagenti chimici che
versavo in una caldaia bollente, per poi miscelarli con una lunga pertica,
quindi riempivo i sacchi con le polveri ottenute e li trasportavo nel
reparto che riempiva le bombe. I capi reparto (detti Chef), erano sempre
"a candela" e controllavano ogni movimento, per cui siccome il corpo
indebolito non rispondeva appieno, venivo apostrofato dagli operai
tedeschi: “Badogliano traditore". Nessuno era esentato dal lavoro e per
me era penoso vedere i vecchi marescialli dell'Arma affannarsi nello
svolgere umili e pesanti lavori. Avevo ventitré anni e pochi mesi prima
pesavo 65 chili, ora mi si contavano tutte le ossa. Lo sfinimento a volte
mi faceva precipitare dentro la caldaia, mentre la tossicità delle polveri
chimiche m'ingialliva il viso.
Ora c'è da chiedersi quali forze interne mi abbiano aiutato fino a poter
sopravvivere in quei terribili anni. Mi dava conforto l'idea che il Signore
non mi avrebbe abbandonato di fronte a tanta malvagità, per cui recitavo
fiducioso il Padrenostro, prima di addormentarmi sulla paglia. A questo
si aggiungevano la speranza di riabbracciare i miei genitori e tutti i
ricordi salienti vissuti con loro durante i miei primi anni di vita. Nel
gennaio '44, le difese contro il freddo erano camminare in fretta,
soprattutto nell'attesa del treno e solo al pomeriggio, il permesso di bere
un po' di the amaro bollente. Il cuoco, forse intenzionalmente, buttava a
caso il sale nel cuocere la quotidiana zuppa di bietole e patate, priva di
proteine e di lipidi, per cui noi tormentati dalla fame e dalla sete
correvamo ad ingurgitare acqua. Era possibile raggiungere il rubinetto
dell'acqua calda solo per merito di una donna gobba che, unica, ci
mostrava compassione. Dagli operai tedeschi ci venivano solo derisione e
insulti, quando stentavamo a spingere i carrelli carichi di bombe.
Un nuovo inverno di prigionia e un secondo Natale, quello del'44, che ci
mostrava tenebre invece che luci. Un gruppo di prigionieri fu prelevato
per andare a scavare trincee e barricate attorno a Colonia e ad Hannover.
Alla fine del febbraio '45 i sovietici sfondano in territorio germanico da
Romberg fino al Baltico e anche noi, in quel memorabile aprile,
28
Dare vita agli anni –2014
cominciammo a sentire il tuono del cannone. L'artiglieria russa
rimbombava a nord del lager, mentre i bombardieri americani ci
sorvolavano, passando oltre. Al 20 aprile, nel lager scomparve la
presenza dei militari, mentre a circa 40 chilometri, verso est,
cannoneggiavano le forze alleate. Siccome eravamo certi che i russi,
memori dell' ARMIR, ci avrebbero condotti in Siberia, in 300 uomini ci
incamminammo verso il fiume Elba che attraversammo dopo il
ritrovamento di un barcone. Non avevamo niente da mettere sotto i denti,
per cui vagavamo tra i campi a scavare patate che preferivamo al pane,
offertoci a volte da famiglie tedesche ... il solo pensiero che fosse
avvelenato non ci faceva pensare alla fame. Da Welsen ci
incamminammo in direzione di Reichenbachern, evitando con prudenza i
paesi, per non essere presi a fucilate dalle ultime difese germaniche. Al
22 sera raggiungemmo Duden dove scoprinnno di essere sul fronte di
fuoco, ma dalla parte sbagliata, per cui, verso sera, ci sparpagliammo in
fienili e baracche, evitando la rabbia dei tedeschi in ritirata. Notte buia,
notte fredda, notte insonne.
29
Dare vita agli anni –2014
III CLASSIFICATO
EX AEQUO
L’ORTO DELLA VITA
Gigliola Neri
Motivazione: Affettuosa e malinconica rievocazione della figura di un
padre vecchio e malato e di ciò che seppe dare, fino alla fine, ad una
figlia memore del bene ricevuto.
31
Dare vita agli anni –2014
L’ORTO DELLA VITA
Gigliola Neri
Mio babbo, per me, è stato soprattutto una brava persona. Nel corso della
sua vita ha svolto diversi lavori, ma il suo impegno più appassionato l’ha
rivolto al mestiere di agricoltore e allevatore che ha svolto con costanza e
competenza. La sua "albana" era molto apprezzata anche oltre oceano,
dove un mio cugino si era trasferito dopo la laurea. Ogni volta che
tornava in Italia chiedeva allo zio un po' di bottiglie da portare a Caracas
per festeggiare con gli amici. Ricordo una stalla piena di bovini puliti e
ben nutriti, ed i molti vitellini che ho visto nascere e crescere per poi
seguire il loro destino, spesso con mia disapprovazione. Rivedo le viti
cariche di grappoli di trebbiano e albana così dorati e lunghi che quasi
toccavano terra e davano un vino eccellente, frutto del lavoro esclusivo di
mio babbo che non si risparmiava né in tempo né in fatica. Insieme al
lavoro dei campi, ha coltivato fino all'ultimo gli ideali di onestà e rispetto
per il prossimo e senso di responsabilità che ho ereditato come i beni più
preziosi. Certo non era un santo e lo scontro generazionale non ha
risparmiato neppure noi, ma il suo esempio mi è d'aiuto ogni giorno,
ancora oggi che non sono più giovane e i pensieri e le riflessioni sui temi
esistenziali affiorano quotidianamente alla mente. Mio padre è stato
colpito da una malattia degenerativa cerebrale quando aveva poco meno
di ottant'anni ed era ancora in possesso di tutte le facoltà. Era capace di
dedicarsi alle sue passioni: la caccia con gli amici, coltivare la vigna,
giocare a bocce e a carte; inoltre guidava l'auto e curava in autonomia i
suoi affari. Purtroppo, uno alla volta, nell'arco di dieci anni, ha dovuto
abbandonare tutto ma sempre con dignità e consapevole rassegnazione.
Spesso mi soffermo a ricordarlo intento in quella che è stata la sua ultima
attività: coltivare l'orto degli anziani assegnatogli dal Comune.
Nonostante i problemi motori e quelli cognitivi aumentassero col
progredire della malattia, persisteva nel suo compito con impegno e
32
Dare vita agli anni –2014
caparbietà. Io e mia madre l'abbiamo sostenuto sino all'impossibile
perché gli restasse almeno un interesse, una motivazione in quella
difficile fase della sua vita. In estate, al mattino presto li accompagnavo
in auto ad innaffiare l'orto, dove crescevano pomodori così sani e belli da
fare invidia ai vicini. Lui sapeva, sentiva quando era tempo di acquistare
piantine o sementi da piantare o seminare, sapeva se i suoi ortaggi
avevano sete o troppa acqua, oppure bisogno di qualche trattamento.
Quando le sue mani tremavano così tanto da non coordinare più i
movimenti, insegnava a me e a mia mamma come legare i getti che
crescevano rigogliosi dal fusto dei pomodori. Negli ultimi tempi era
penoso vederlo così in difficoltà ma questo veniva compensato dalla
soddisfazione del raccolto. A fatica staccava melanzane, pomodori,
zucchine, ed altri ortaggi, ma era soddisfatto: il suo volto reso
inespressivo dalla malattia, abbozzava un sorriso nel sentire gli
apprezzamenti dei vicini per la sua produzione e nel sentirsi ancora utile
per sé e per gli altri. Quando lo accompagnavo al Centro della memoria
per i controlli, al medico che gli somministrava i test cognitivi, lui
parlava e scriveva del suo orto: ogni anno sempre meno e sempre con
maggiore difficoltà ma con immutato interesse. Quest'esperienza molto
dolorosa mi ha insegnato che la vita è come un orto: se si semina, si
raccoglie ... prima o poi. L'importante è coltivare buoni propositi e buone
opere; non importa quanto tempo servirà, i frutti, prima o poi, di sicuro
arriveranno. Qualche tempo dopo la scomparsa di mio babbo, una notte
l'ho sognato, era nell'orto col suo inconfondibile cappello di paglia in
testa; stava dietro una pianta altissima di pomodoro e sorrideva:
sembrava felice e non tremava più. È così che mi piace pensarlo. A volte
passo davanti a quello che fu il "nostro" orto, ed anche se non lo vedo,
penso che lui veda me che continuo ad esistere insieme al suo amato orto.
Ora di sicuro, renderà felice un altro anziano al quale darà un motivo in
più per continuare a vivere.
33
Dare vita agli anni –2014
Sezione “Poesia”
Commissione giudicatrice:
Davide Argnani
Cesarina Lucca
Rosanna Ricci
35
Dare vita agli anni –2014
I CLASSIFICATO
PASSI
Franca Tramonti
Motivazione: Poesia autentica, con la scelta di parole vissute e sofferte che
segnano la difficoltà del passato attraverso immagini di straordinaria efficacia,
animate da malinconia struggente e lirica al tempo stesso.
36
Dare vita agli anni –2014
PASSI
Franca Tramonti
Passi lenti,
incerti, trascinati
muovono i ricordi
dei tempi andati
Passi malfermi,
indolenti, pigri,
vivono il presente
con rabbia e capelli grigi
Passi stanchi,
sofferenti,
timorosi
Passi brevi, fermi
Passi silenziosi.
37
Dare vita agli anni –2014
II CLASSIFICATO
NON SOLO NEBBIA
Rosella Valbonesi
Motivazione: Poesia dal ritmo incalzante, che ha il pregio di legare temi
incisivi ad un uso molto preciso della sonorità delle parole. Le immagini si
muovono attraverso metafore per riscoprire la bellezza della vita.
38
Dare vita agli anni –2014
NON SOLO NEBBIA
Rosella Valbonesi
Cosa c'è in questa strana nebbia,
improvvisa e inaspettata,
calata su questa sera autunnale
a dissolver l'orizzonte
per miscelar la terra al cielo?
Cos'è che piange malinconicamente
sul viso, sulle mani stanche,
che, umida, penetra i pensieri
a confonder ricordi e speranze?
Vapore è il mio respiro,
in questa solitudine nascosta
che mi abbandona al centro del nulla.
Senza più ombra
e senza più parole,
a chi narrerò di me
in questi attimi senza tempo,
a chi andrà la mia appassita tenerezza?
Annullo il presente
nell'oblio del passato
aspettando il chiarore
di una luce in lontananza.
Non solo nebbia
in quest'anima sola!
39
Dare vita agli anni –2014
III CLASSIFICATO EX AEQUO
MATTINO LONTANO
Claudio Biondi
Motivazione: I versi sono ricchi di immaginazione ed accompagnati da un
lessico scorrevole. E’ una storia legata alla coscienza di ciò che è stato già
vissuto e che rimane nel ricordo, analizzato con grande tenerezza.
40
Dare vita agli anni –2014
MATTINO LONTANO
Claudio Biondi
Entra discreta, piano piano
nella buia camera un po' di luce,
chiudo gli occhi, faccio finta di niente,
ma insiste, si diffonde lentamente.
Ora mi fa vedere la sedia zoppa,
con i miei umili vestiti ben piegati,
nei calzoni corti c'è una toppa,
penso a mia mamma che li ha lavati.
Ora la luce si fa più invadente,
riappare l'armadio, il cassettone,
la stanza completamente.
Sfaccenda mia mamma di là,
ancora in ciabatte,
accende la stufa, prepara la tavola
scalda il latte.
Il profumo del pane abbrustolito
mi fa scappare dalle lenzuola.
"Sei già alzato?"
"Devo finire i compiti di scuola!"
In realtà volevo starle vicino.
Ricordo la sua dolce carezza
sul mio viso di bambino,
ricordo la tenerezza
di quel lontano mattino.
41
Dare vita agli anni –2014
III CLASSIFICATO EX AEQUO
PAESAGGIO DAL TRENO
Gaetano Ricci
Motivazione: La musicalità dei versi è determinata da una sensibile attenzione
alla metrica che ne accresce il valore poetico.
42
Dare vita agli anni –2014
PAESAGGIO DAL TRENO
Gaetano Ricci
Tentacoli lividi traversano il cielo,
messaggeri veloci dell'alba.
Di là dal monte una bava di luce
di già scolora la notte.
Case e alberi come spettri
mi vengono incontro,
navigando in silenzio nell'aria ovattata.
In alto le stelle vanno in cieli lontani,
verso i nuovi lidi della notte.
43
Dare vita agli anni –2014
MENZIONE
LIMITI
Giovanna Missiroli
Motivazione: La narrazione lucida ed evocativa possiede una tensione
costante: l’anima grida non solo il dolore e la solitudine, ma anche la bellezza
dell'amore.
44
Dare vita agli anni –2014
LIMITI
Giovanna Missiroli
Sussurri di parole, consonanti,
vocali, ghiribizzi di memoria
che gioca a rimpiattino nei tornanti
del cuore.
Tasselli sparsi parlano di storia,
la mente tenta insieme di comporli
in un incastro vuoto senza gloria
e ardore.
Bagliori guizzano nel cielo, porli
in uno scrigno è solo un sogno:
il divino si espande senza orli
e ore.
Limiti e vacuità vanno nel sogno
per sfuggire la prova, ma velati
riemergono in stati di bisogno
con timore.
Teniamoci per mano, superati
saranno gli errori, le incertezze
se fonderemo cardini intrecciati
nell' amore.
45
Dare vita agli anni –2014
MENZIONE
A MICHELE
Guardiano del Delta del Po
Irene Ricci
Motivazione: La lirica è un vero canto che abbraccia passato e presente,
nostalgia e speranza in un linguaggio che esplora e scava tra gli stati d'animo.
46
Dare vita agli anni –2014
A MICHELE
Guardiano del Delta del Po
Irene Ricci
Scivolavano lente parole
lungo viali di canne e saggina
raccontava Michele la storia
del fiume, di suo padre,
fluviale, umile Dio,
e delle sere nebbiose
ove l’eco della voce
ti fa compagnia.
Sotto un cielo ottobrino
di muto chiarore,
nel mesto stridio di bianchi gabbiani,
regalava Michele
parole
e barchette di foglie.
47
Dare vita agli anni –2014
Ringraziamenti
Si ringrazia il Comune di Forlì per il Patrocinio e per la gentile
concessione della Sala Santa Caterina.
Si ringraziano i componenti delle Giurie per la preziosa e
competente collaborazione.
Si ringraziano i partecipanti al Concorso per il loro valore, per la
capacità e disponibilità.
Un grazie di cuore, infine, va all’ideatore del Concorso letterario
“Dare vita agli anni”, Mario Vespignani, sempre vicino e presente.
Maggio 2014
La Curatrice del Concorso
Flavia Bugani
49
Dare vita agli anni –2014
forlì
XXIV Concorso Letterario
“Dare vita agli anni”
L’Associazione, iscritta al registro regionale del Volontariato, opera
prevalentemente con e per gli anziani – o, meglio – diversamente
giovani.
Promuove, nell’ambito della cultura, l’incontro fra generazioni,
affinché l’anziano possa esprimere nella società le sue conoscenze e
capacità a favore del prossimo.
L’Auser è una “Associazione di Progetto” tesa alla valorizzazione
delle persone e delle loro relazioni ed è ispirata ai principi di equità
sociale e di rispetto delle differenze, di tutela dei diritti, di sviluppo delle
opportunità e dei beni comuni.
50
Stampato in proprio
Maggio 2014
c/o Digicopy Forlì