AUSER Volontariato di Forlì - Onlus Associazione per l'Autogestione dei Servizi e la Solidarietà XXIV Concorso letterario “DARE VITA AGLI ANNI” Organizzato da AUSER Volontariato di Forlì – ONLUS per racconti e poesie Elaborati premiati Anno 2014 In copertina: disegno dell’Artista Arrigo Casamurata Dare vita agli anni –2014 Sommario Sezione “Racconto” 1° classificato: Addio Lugano, Sergio Celetti p. 7 2° classificato ex aequo: Il sandalo rotto, Giuliana Ferisin p. 11 2° classificato ex aequo: La vecchia FIAT 600, Nadia Giberti p. 15 3° classificato ex aequo: L’ora più fredda è quella prima dell’alba, Attilio Gardini p. 11 3° classificato ex aequo: L’orto della vita, Gigliola Neri p. 31 Sezione “Poesia” 1° classificato: Passi, Franca Tramonti 2° classificato : Non solo nebbia, Rosella Valbonesi 3° classificato ex aequo: Mattino lontano, Claudio Biondi 3° classificato ex aequo: Paesaggio dal treno, Gaetano Ricci Menzione: Limiti, Giovanna Missiroli Menzione: A Michele, Guardiano del Delta del Po, Irene Ricci p. 37 p. 39 p. 41 p. 43 p. 45 p. 47 Ringraziamenti p. 49 3 Dare vita agli anni –2014 Sezione “Racconto” Commissione giudicatrice: Andrea Brigliadori Viola Talentoni 5 Dare vita agli anni –2014 I CLASSIFICATO ADDIO LUGANO Sergio Celetti Motivazione: Un breve, intenso racconto di sentimenti più sottintesi che non apertamente detti. Un senso perfetto della misura del narrare. 7 Dare vita agli anni –2014 ADDIO LUGANO Sergio Celetti L'andamento curvo del sottopassaggio e il via vai dei passanti mi impedivano di vedere se il mio amico fosse lì, al suo solito posto. Poi il suono della chitarra e la voce lamentosa dell'armonica mi rassicurarono, c'era. Lo avevo conosciuto otto anni prima, suonava l'armonica accompagnandosi con la chitarra per le strade del centro o d'inverno, per ripararsi dal freddo, nel grande sottopassaggio di via Rizzoli. Ricordo che rimasi affascinato da come suonava l'armonica e da cosa era capace di tirar fuori da quel semplice strumento. Anch'io la suonavo, peggio, molto peggio di lui. Un giorno mi feci coraggio, lo avvicinai e gli chiesi consigli sulla tecnica e da quel giorno, con pazienza, mi spiegò tutti i segreti dell'armonica, dal glissaggio al bending, dallo staccato al blocking. Mi disse che li aveva appresi dai braccianti negri, negli Stati Uniti dove era emigrato verso la fine degli anni trenta perché perseguitato politico in quanto di fede .anarchica. Facendo un po' di conti e a vederlo dall'aspetto, la sua storia non reggeva molto ma mi piaceva immaginarlo negli States mentre si spostava, bracciante errabondo, da una fattoria all'altra come un personaggio dei romanzi di Steinbeck. Quando ritenne che fossi pronto mi fece suonare con lui in pubblico, non dimenticherò mai l'emozione di quella prima volta. Ora lo avevo davanti a me, non lo vedevo da due anni, era dimagrito, il volto pallido, emaciato e dall'armonica usciva un suono debole, fiacco. Quando mi vide strizzò l'occhio e continuò a suonare, finito il pezzo mi salutò come se ci fossimo lasciati il giorno prima: - «Ce l'hai... lo so che ce l'hai... dai suoniamo assieme, come ai vecchi tempi». 8 Dare vita agli anni –2014 Sfilai l'armonica dalla tasca dei jeans e l'imboccai, non mi disse che pezzo avremmo suonato, ma io sapevo cosa. Batté tre volte il piede ed attaccammo in sincrono Addio Lugano, la canzone che narra della cacciata degli anarchici dalla Confederazione Elvetica. Un paio di volte staccò la bocca dall'armonica per cantare a bassa voce alcune strofe, poi si riaccodò a sottolineare il refrain. Alla fine, guardandomi negli occhi disse: «Non ho più fiato ... ho un maledetto cancro che mi morde dentro, ma non gli voglio dare soddisfazione...». Fece finta di armeggiare attorno alla chitarra e senza guardarmi disse a voce bassa, ma ferma: «Mi ha fatto piacere rivederti. .. ma ora vai, cazzo ...non voglio che tu mi veda piangere». 9 Dare vita agli anni –2014 II CLASSIFICATO EX AEQUO IL SANDALO ROTTO Giuliana Ferisin Motivazione: Semplice e breve racconto di un amore nato per caso e durato poi una vita, nel contesto di altri tempi e di altri costumi. 11 Dare vita agli anni –2014 IL SANDALO ROTTO Giuliana Ferisin Era seduta al panchetto da ciabattino; la solita vestaglia a fiorellini, i capelli legati a crocchia sulla nuca, lo sguardo intento mentre stava allestendo una delle innumerevoli babbucce che soleva fare. Adoperava avanzi di .stoffa che chiedeva alle sarte del paese, ma gliene davano poche e molto piccole, perché gli avanzi più grandi dei vestiti andavano restituiti alle committenti. Faceva la suola con molti strati tutti trapuntati con aghi lunghi e grossi, per la parte superiore usava la stoffa migliore, era una manna se riusciva ad avere due bei pezzi di velluto. Se il fondo era in tinta unita allora vi faceva qualche ricamo o vi applicava della passamaneria. Era quasi ora di pranzo e voleva finire il lavoro, così disse ad Ina: “Vai a prendere il pane”. La ragazza non se lo fece ripetere due volte, lasciò il noioso lavoro di cucito, si pettinò davanti allo specchio, si pizzicò le guance e si rassettò. Il vestito era a posto, purtroppo aveva ai piedi i logori sandali che la madre aveva cucito e ricucito innumerevoli volte. Prese la borsa e il libretto dove la fornaia segnava la spesa e che veniva saldato quando il padre riceveva la paga. Avevano anche un libretto per gli alimentari e uno per il macellaio, purtroppo non sempre riuscivano a saldare tutti i conti a fine mese. Era una bella giornata di primavera e stava tornando verso casa sbocconcellando il pane e saltellando quando le si ruppe il cinturino del sandalo. Stizzita rallentò il passo e si avviò strascinando il piede, la casa non era molto lontana. All'improvviso le venne incontro un bel giovanotto, baffetti alla Rodolfo Valentino, lo sguardo ribaldo e la bocca sorridente. Si fermò a parlare con lei e le si affiancò per accompagnarla. 12 Dare vita agli anni –2014 La poverina si vergognava a morte e malediceva la sorte che le aveva fatto incontrare quel bel giovane quando lei non poteva nemmeno camminare diritta! Quando arrivò a casa, con un gran ritardo, trovò sua madre che la aspettava sulla porta con uno sguardo che non preannunciava niente di buono “Chi è quello che era lì con te?” “E' Bepi Bianchin” “"Chiiii ..... quel comunistone senza Dio che è appena stato cacciato dai cantieri di Monfalcone perché istigava sempre gli operai allo sciopero, che è sempre in prima fila coi suoi fratelli quando c'è da fare confusione in piazza e i questurini sono un giorno si e uno no a perquisire la sua casa?! Cosa direbbe tuo fratello che studia in seminario? Basta! Ti proibisco di vederlo ancora, se no te la faccio vedere io!" Ma quando mai le ragazzine danno retta alle mamme? Lei aveva sedici anni e lui ventisette. Dodici mesi dopo venni al mondo io e mia nonna non smise mai di odiare mio padre. 13 Dare vita agli anni –2014 II CLASSIFICATO EX AEQUO LA VECCHIA FIAT 600 Nadia Giberti Motivazione: Nostalgica rievocazione di una delle “cose perdute” della nostra vita, insieme con la semplicità dei costumi e dei piaceri di una volta. 15 Dare vita agli anni –2014 LA VECCHIA FIAT 600 Nadia Giberti Alla fine degli anni sessanta, mio padre decise che doveva assolutamente ottenere la patente. Nonostante non fosse avvezzo allo studio, s'impegnò e dopo due bocciature raggiunse lo scopo. Ora che aveva la patente, doveva acquistare l'automobile, la Fiat 600 usata, che il suo amico venditore, grande affabulatore, gli aveva caldamente raccomandato. Fu così che per tutta la famiglia iniziò un periodo di scampagnate domenicali! Mia sorella ed io eravamo oltremodo entusiaste per l'avvenimento e per il futuro che si profilava. Mio padre ammirava la creatura e la lucidava ogni giorno, con un morbido panno di lana. Aveva un aspetto davvero raffinato, di colore azzurro chiaro, con gli sportelli che si aprivano al contrario di quelli odierni, dotata anche di un cane finto che scuoteva la testa con il sobbalzare dell'auto. Ci sembrò talmente umana che decidemmo di chiamarla Lola. Dapprincipio le cose andarono bene; Lola ci portò allegramente, dove volevamo: nelle colline limitrofe la mia città, a trovare amici e parenti, perfino al mare. Mia madre, abituata a dispensare consigli a tutti, durante il tragitto redarguiva mio padre dicendogli: "Attento!!! Dai la precedenza!", "Vai piano!", "Metti la terza", “Frena!".. E così via. Fino a quando mio padre si stancava e le intimava di guidare lei, pur sapendo che la mamma era sprovvista di patente. Arrivati alla meta, i battibecchi finivano e tutto ritornava sereno. La manutenzione più pressante consisteva nel doversi fermare frequentemente a introdurre dell'acqua nell'impianto di raffreddamento, tanto da far affermare a noi tutti che Lola si nutrisse più di acqua che di benzina. Quando ci si dimenticava di fermarsi, si surriscaldava e iniziava a fumare, sbuffando come una locomotiva. In questi casi il cofano doveva essere aperto con cautela per non incorrere in spiacevoli incidenti e accadeva che qualche 16 Dare vita agli anni –2014 spiritoso alla guida di un'auto più moderna ci passasse accanto urlando: "E' pronta la pasta?" Una domenica decidemmo di recarci a San Marino. Ci alzammo di buon'ora per affrontare una gita davvero straordinaria, con l'adrenalina al massimo e il serbatoio colmo di carburante. La mamma aveva preparato panini e bibite, riposti diligentemente all'interno del frigo portatile di plastica verde. La giornata si presentò calda, ma eravamo tutti contenti di sostenerla. Il viaggio fu molto lungo e le fermate numerose, tuttavia, proprio nei pressi della nostra meta, Lola emise alcuni singhiozzi, esalò un sospiro, fermandosi di colpo. Il babbo controllò l'acqua, la benzina, senza rilevare niente di anomalo. Che fare? ... Pensò all'autostop, per rintracciare un meccanico, sperando di trovarne uno disponibile, nonostante la giornata di festa. Allora le automobili non erano così numerose e gli automobilisti meno sospettosi, per cui vedendo una famigliola appiedata, non tardarono a fermarsi per far salire mio padre. Noi tre donne, sconfortate, ci sistemammo all'ombra di un albero in attesa degli eventi. Trascorse circa un'ora prima che il babbo tornasse, intanto, sia per la noia, sia per l'avanzare della fame, iniziammo ad assaggiare i prodotti del frigo portatile. Incredibilmente, il babbo arrivò accompagnato da un meccanico, scovato con molta fortuna, chiedendo nel bar di un paese nei pressi di San Marino. Ci sentimmo subito confortate per come si stavano dipanando le cose e ringraziammo caldamente il meccanico resosi disponibile nonostante la domenica. L'uomo dapprima provò a mettere in moto, poi iniziò a scrutare e armeggiare all’interno del cofano di Lola, infine si girò allargando le braccia: “Il motore è fuso!" ... E rivolgendosi al babbo: "Ma da quanto tempo non ha messo l'olio? ... E' completamente a secco, caro signore!" Guardammo tutte il babbo, che nel frattempo era impallidito, poi arrossito e lo sentimmo balbettare: "L'olio? ... No! Non gliel'ho mai messo, nessuno mi ha detto di farlo!" "Accidenti!!! Lo sa che il motore è da sostituire? È una bella spesa!” 17 Dare vita agli anni –2014 Vidi la mamma mettersi le mani in testa ed esclamare: "Poveri noi! Lo sapevo che alla fine avresti combinato un pasticcio!" Non avemmo scelta, dovemmo lasciare Lola nelle mani di quello sconosciuto, che gentilmente ci accompagnò alla stazione ferroviaria più vicina, dove salimmo sul primo treno che ci riportò a Imola. La spesa fu davvero sostenuta e per recuperarla dovemmo rinunciare per un'intera stagione a comprare vestiti, scarpe e quant'altro. Finito il periodo di magra e con l'automobile rimessa a nuovo: olio nel motore, olio nei freni, acqua nell'impianto di raffreddamento, partimmo per una vacanza sulle Dolomiti, certi che niente e nessuno ci avrebbe fermato. Fu una vacanza indimenticabile! Scorrazzammo su e giù per i tornanti beandoci di panorami mozzafiato, che mai avremmo pensato potessero esistere. Facemmo delle soste in graziosi paesini con le case dai tetti appuntiti, con i gerani multicolori sui balconi, ci apparecchiammo nei boschi per gustosi picnic, ci divertimmo a osservare le mucche nei pascoli, a percorrere tortuosi sentieri. In ogni luogo che esploravamo, mi ero abituata a raccogliere un sasso non troppo grande, colorato, da portare a casa come ricordo. Alla fine della vacanza avevo raccattato un bel po' di sassi, che sistemai vicino ai miei piedi e a quelli di mia sorella, poiché il bagagliaio era tutto impegnato dalle valigie. Partimmo per ritornare a casa, euforici per la trascorsa vacanza, pervasi dall'ottimismo di cui avevamo fatto il pieno. Salutammo i paesi incastonati nei monti, i corsi d'acqua che lambivano le valli, le rocce dardeggianti colori iridescenti alla luce del sole. In auto la mamma iniziò a fare il bilancio delle spese, quando una repentina sterzata, per altro indispensabile per non finire fuori strada, ci fece sobbalzare tutti, sassi compresi. Purtroppo lo scarto ci spinse a salire su un dosso e subito dopo un sinistro crack annunciò la fine della nostra corsa. Semiasse rotto e tutti a colpevolizzarmi, per via dei souvenir che avevo raccolto! Pernottammo in un alberghetto e restammo finché Lola non fu nuovamente guarita. A malincuore dovetti rinunciare ai sassi, anche se ipotizzai non fossero stati loro, la causa del guaio. 18 Dare vita agli anni –2014 Trascorremmo tante altre avventure e disavventure assieme a Lola fino a quando, raggiunta una veneranda età, il babbo decise di sostituirla. Per noi non fu un giorno felice, poiché con lei se ne andò un pezzo della nostra vita. Poco dopo, infatti, noi ragazze andammo a vivere fuori di casa e terminarono le domeniche a zonzo con i genitori, i quali non assegnarono più alcun nome alle vetture che seguirono. 19 Dare vita agli anni –2014 III CLASSIFICATO EX AEQUO L’ORA PIÙ FREDDA È QUELLA PRIMA DELL’ALBA Attilio Gardini Motivazione: Accuratissima ricostruzione delle vicende tragiche che nel 1943 – ’45 colpirono i militari italiani, le cui sventure personali si mescolarono con il dramma collettivo della grande storia. 21 Dare vita agli anni –2014 L’ORA PIÙ FREDDA È QUELLA PRIMA DELL’ALBA Attilio Gardini Ero morto. Risalivo dall'inferno. Al mio ventiseiesimo anno, attendevo una rinascita. Annaspavo per ritrovare la luce ... le mie labbra si riaprivano e i rimasugli della mia umanità aspettavano solo di essere vissuti. Mi guardavo le mani e mentalmente contavo le dita, sì ero vivo! Guardavo i miei commilitoni, il cui fisico svelava ogni osso e così immaginai il mio volto. Fu solo un attimo, perché la mente mi trasportò a casa, al sorriso dei miei familiari. Finalmente la vita! In quella notte tra il 22 e il 23 aprile 1945 ero quasi contento di non aver potuto prendere sonno, perché a poche centinaia di metri l'artiglieria non cessava di cannoneggiare. Prima dell'alba una silenziosa coltre mi avvolse, per sprofondarmi in un fosco torpore, che fu interrotto dalle campane echeggianti senza posa. Insieme a tanti infelici compagni di sventura, ci precipitammo in quella direzione ed entrammo nella città di Duden dove donne e bambini urlavano "Fertig krieg, fortig krieg, è finita la guerra!", mentre stendevano lenzuola ai balconi ed innalzavano drappi bianchi su ogni pertica. Scorsi in fondo al viale un'auto militare, guidata da una crocerossina, per cui cominciai ad urlare, per attirare l'attenzione: "Prigionieri italiani, help!". Ci indicò un prefabbricato alleato, dove ci invitò a sostare, mentre avrebbe provveduto. A metà giornata sopraggiunse un ufficiale americano che si esprimeva in dialetto napoletano, provocando l'euforia di tutti i militari meridionali, che già sentivano il suono di casa. Ci dette il benvenuto nel mondo libero, promettendoci che sarebbero arrivati viveri per tutti, cosa che avvenne da lì a poco, quando da un camion scaricarono razioni individuali contenenti generi che avevamo dimenticato: cioccolato, pane biscottato, carne, sigarette ... Peraltro erano passati cinque anni, dal vaneggiamento di Benito Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia a Roma, in cui 22 Dare vita agli anni –2014 annunciava l'entrata dell’Italia in guerra al fianco della Germania, contro Francia e Inghilterra. Era il 10 giugno 1940 ed io, undici giorni dopo, fui coscritto con destinazione Torino, dove si costituì il 1° Battaglione Carabinieri, agli ordini del Col. Bacchi Ermanno. Ero carabiniere, ma anche militare pronto a raggiungere il fronte. Le giornate passavano veloci con esercitazioni al Valentino e sul colle di Superga. I comunicati pervenuti dai fronti erano drammatici, tanto che, al 4 ottobre, riposi mestamente la classica divisa della Benemerita per indossare l'uniforme da combattimento. Lo stato d'animo era proporzionale alle tragiche notizie che trapelavano, ma io avevo scelto di tacere, senza fare commenti. Dopo pochi giorni i tre Battaglioni di Carabinieri si concentrarono a Roma, dove tutto il Reggimento venne passato in rassegna dal re e da Mussolini, ma i tempi non erano ancora pronti, per cui fummo dislocati a Idria (GO) sul confine iugoslavo, dove eseguimmo lunghe marce in montagna con simulazioni di combattimenti. Anche se indossavamo l'uniforme grigioverde con camicia verde, gambali, moschetto e pistola, eravamo sempre riconoscibili come membri dell'Arma, per via del cappello con lucerna e le giberne piene di munizioni. “Stiamo andando in Albania, oppure in Africa orientale?" era il nostro martellante quesito, quando al porto di Taranto salivamo su un imponente bastimento ... Era il 27 novembre. Le sirene dell'allarme rimbombavano senza sosta, mentre il buio profondo veniva solcato da sprazzi furtivi emessi da torce tascabili, che avrebbero potuto tradire la nostra presenza ai ricognitori, inevitabilmente seguiti da bombardieri. Finalmente la nave, carica di truppe e armamenti, alle 21 prese il largo, puntando ad est verso l'Albania. A noi venne dato l'ordine di slacciare le scarpe e indossare il salva-gente. La nave era in altomare da due ore, quando un contrordine la costrinse a riguadagnare il porto, perché (così si diceva) minacciata dalla presenza di sommergibili inglesi. Altra sosta di un'ora e altra partenza in un silenzio spettrale, con un viaggio insonne, attento ad ogni movimento di ombre, ad ogni rumore anomalo. Le prime luci dell'alba ci mostrarono 23 Dare vita agli anni –2014 il profilo montagnoso del paese delle aquile, dischiuso attorno al porto di Durazzo. Con spirito sollevato, sbarcammo in un'atmosfera cupa, dove già la guerra mostrava il suo volto nei numerosi edifici bombardati. Inquadrati in formazione di compagnia, raggiungemmo una caserma dalla peculiare struttura circolare, denominata "Squmbeni". Dormire su sacchi pieni paglia, utilizzare solo acqua di pozzo, mangiare nella gavetta un pasto che aveva l'unico merito di essere caldo. Siccome mi ero tenuto fuori dal vizio del fumo, barattavo le sette sigarette Militi in dotazione, con saltuarie porzioni di carne o di formaggio. Andando di corvée conducevo il camion verso l'interno fino a Tirana, per prelevare viveri della sussistenza, cosa che mi permetteva di esplorare paesi imprevedibili con minareti, moschee e poi cupole di chiese ortodosse ricche di luci e di icone dorate. I miei occhi sorpresi osservavano gli inattesi costumi locali, in particolare quelli delle donne infagottate, fino all'inverosimile, con scialli multicolori. Quando il nostro Battaglione ''Torino'' venne dislocato a sud, sul "Passo Logorà", a 70 chilometri da Durazzo sul confine ellenico, partimmo dopo il tramonto, saltando la cena, in un buio freddo e piovoso, per poi tenere la posizione, verso mezzanotte, con l'obiettivo di difendere il presidio di Delmi. Suddivisi in pattuglie, alzammo l'attendamento mimetizzato nel bosco, conservando l'oscuramento, attenti a non essere individuati da aerei spia. Qui attendati, trascorremmo l'inverno, con frequenti azioni di pattugliamento. Nonostante l'aria di morte che si percepiva, non mi stancavo di contemplare la prospiciente baia di Corfù, dove passava la linea di combattimento. Qui il 17 gennaio del '41 fui testimone della battaglia durante la quale gli aerei inglesi furono abbattuti da navi tedesche. Per il vettovagliamento venivamo approvvigionati dalla sussistenza dell'XI Corpo d'Armata, da cui dipendeva il nostro Battaglione, ma saltuariamente si correva a Tirana per acquistare generi alimentari freschi, per cui chiesi il permesso di formalizzare la ricorrenza della Pasqua, che festeggiammo con 14 pecorelle da me acquistate e cucinate allo spiedo. Il 22 aprile del 1941, la situazione si sbloccò e tutto il 24 Dare vita agli anni –2014 Battaglione venne autotrasportato ad Argirocastro, passando da Tepelleni, dove si era svolta una cruenta e sanguinosa battaglia vinta dai panzer tedeschi. Da Gorgut, lungo la fascia del fiume Vaiussa fino a Kalibachi, vigilammo reprimendo le iniziative albanesi di sciacallaggio e verificando lo sbando delle truppe greche. Il 23 aprile, a Salonicco, la Grecia firmava l'armistizio con le potenze dell'Asse, mentre gli inglesi avevano già lasciato il suolo ellenico. Nella capitale il Comando del l° Battaglione si posizionò in centro ad Atene, in via Stadio, proprio nelle vicinanze del palazzo reale, mentre la Prima Compagnia si acquartierava nella via Tre Settembre, 51, mantenendo due distaccamenti uno in via Akarnon, l e uno in Piazza Lavorio. Mi fu ordinato di prendere servizio al Comando Piazza di Atene, retto dal Col. Sacchi, in via Americhis, 6, per cui iniziavo un'attività investigativa, collaborando con i civili. Fu giocoforza imparare rapidamente il greco moderno per intervenire adeguatamente insieme alla polizia locale "Astimonia", ma fu decisamente utile memorizzare le basilari parole tedesche, siccome il mio servizio mi portava ad interagire con gli uffici della polizia germanica. E venne l'incomprensibile 8 settembre dove tutto fu travolto ... Le ambiguità dell'alto comando portarono a quell' ordine che per migliaia di soldati giunse inaspettato: "Consegnate le armi". Ero in servizio al Comando Piazza di Atene, quando la mattina del 10 settembre un emissario tedesco si presentò al Comando della Divisione chiedendo la consegna delle armi, in conformità a quanto disposto dal Comando Italiano dell'XI Armata. La totalità degli uomini si oppose: nessuno riusciva a comprendere perché ci dovessimo disarmare di fronte a un "nemico-alleato" di forza così inferiore; il comandante della Divisione preferì la non-scelta. Non potevo rendermi conto come quel 10 settembre del '43 potesse segnare la perdita del bene più grande: la libertà ... La sera mi attardai a lungo, preferendo indugiare in piazza Ornaina, dove potevo conversare con i tanti greci che avevano guadagnato la mia fiducia. In vista dell'imminente sventura molti ufficiali avevano venduto ai civili tante armi italiane, a suon di milioni. Il giorno dopo il cap. Angelo 25 Dare vita agli anni –2014 Scorso comandante della 1° compagnia, del 1° Battaglione CC ci riunì alla caserma "Gudè", col pretesto di effettuare un "presentatarm" in onore dei colleghi caduti. Ci comunicò ufficialmente che l'Italia aveva chiesto l'armistizio e cercò di incoraggiarci affermando che non eravamo allo sbando, né in pericolo di morte. Ma i fatti erano che il Gen. Vecchierelli, comandante l'XI Armata, era stato notato a cena, in confidenza con ufficiali germanici e la sera dell'armistizio aveva ordinato che le truppe italiane consegnassero le armi ai pochi drappelli tedeschi, illudendo i carabinieri nell'affermare che avrebbero ripreso servizio in Italia. La compagnia sotto l'esempio degli ufficiali lasciò l'armamento ed io fui costretto a consegnare cinque bombe a mano e moschetto in dotazione, ma trattenni la Beretta cal. 9, che smontata in diversi pezzi nascosi dentro i gambali. Al giorno 15, inquadrati in Compagnia fummo condotti alla stazione ferroviaria, fatti salire e dislocati su 17 vagoni merci e quattro carrozze riservate agli Ufficiali del Battaglione. Molti ateniesi assiepati nel piazzale ci scongiuravano di non abbandonare la Grecia. Ai miei conoscenti promettevo di tornare dopo la guerra, ma amareggiato sapevo che abbracciavo il fato del mio reparto. Il sole era da poco tramontato quando la tradotta lasciò Atene, per ignota destinazione, dentro un vagone, destinato (come spiegava la didascalia in lingua francese) a contenere otto cavalli ... noi eravamo 40 uomini dell' Arma. Lungo il percorso, dalle stazioni ferroviarie, private del nostro personale, i militari tedeschi ci minacciavano. Giunti a Lubiana (Slovenia), dopo il cambio del locomotore, constatammo con amarezza che non ci volgevamo ad ovest, bensì verso l'Ungheria. Capimmo che la parola di quegli ufficiali tedeschi valeva ben poco. Lungo la monotona pianura magiara, raggiungemmo Budapest dove sostammo due giorni. Informai il personale tedesco di scorta che sarei andato in visita alla capitale e che poi sarei tornato. Volevo procurarmi informazioni sulla situazione locale, utilizzando il poco tedesco appreso. Riuscii infatti ad interrogare un cittadino ungherese sulle possibilità di lavoro e di permanenza nella capitale, ma la risposta fu che i tedeschi non esitavano a fucilare sul 26 Dare vita agli anni –2014 posto i prigionieri in fuga, per cui ritornai al mio vagone, costretto a seguire la sorte dei miei compagni. Il treno ripartiva diretto verso l'Austria, ma alla sosta di Wien Neustadt non ci fu più il permesso di scendere dai vagoni ... ormai era chiaro come il nostro destino di prigionieri di guerra fosse segnato, mentre il convoglio giunto in Germania puntava ancora a Lipsia fino a Torgan, dove ci rinchiusero in un "campo di smistamento". Capimmo che non ci consideravano né come militari, né come carabinieri, ma misera mano d'opera da schiavizzare. Prima di entrare nel lager, lessi una targa che intimava, pena la morte, di consegnare qualunque arma, munizione, o coltello, mentre al di là del filo spinato la guardia sulla torretta all' angolo era pronta a far fuoco al primo ordine del Lagerjùhrer. Prima del tramonto, ci spinsero in baracche completamente spoglie, costretti a restarvi fino al mattino. Qui passai nottate dure, interminabili nel tentativo di chiudere gli occhi, con lo stomaco straziato, senza pagliericcio, senza tavole, distesi a terra uno dietro l'altro, insieme ad internati provenienti da ogni continente. Il sonno non arrivava mai ... la fame travolgeva, attendevo l'alba come unico bene, volevo solo svegliare l'aurora, nella speranza di ritrovare la dignità. Adunati baracca per baracca, passammo per lo spogliatoio con tutto il bagaglio, depositammo i nostri averi e facemmo la doccia, ci sottoponemmo ad un'iniezione e nel locale successivo trovammo da vestirci. Entrai in un secondo lager dove sorreggendo un cartello con il numero 242020, fui fotografato. Dopo 4 giorni lasciammo il IV B Stammlager di Torgau Elbe e fummo condotti al campo presso la città di Coswig, in Sassonia, non lontano da Dresda, assegnati alla fabbrica che produceva bombe. Alla sera dell'otto ottobre, fummo separati in diverse baracche mimetizzate, contenenti gabbioni di legno a tre piani, forniti di saccone pieno di paglia ... eravamo all'assurdo di compiacerci di non dormire più sulla terra ... Per tutti i giorni successivi, senza pause e riposi, ci dovevamo alzare alle cinque, raggiungere la stazione ferroviaria, viaggiare per 15 chilometri e alle otto entrare nella fabbrica Wasag. Però quando sorgevano urgenze belliche, i 15 chilometri erano da 27 Dare vita agli anni –2014 fare a piedi, in andata e in ritorno. Lavoravo con reagenti chimici che versavo in una caldaia bollente, per poi miscelarli con una lunga pertica, quindi riempivo i sacchi con le polveri ottenute e li trasportavo nel reparto che riempiva le bombe. I capi reparto (detti Chef), erano sempre "a candela" e controllavano ogni movimento, per cui siccome il corpo indebolito non rispondeva appieno, venivo apostrofato dagli operai tedeschi: “Badogliano traditore". Nessuno era esentato dal lavoro e per me era penoso vedere i vecchi marescialli dell'Arma affannarsi nello svolgere umili e pesanti lavori. Avevo ventitré anni e pochi mesi prima pesavo 65 chili, ora mi si contavano tutte le ossa. Lo sfinimento a volte mi faceva precipitare dentro la caldaia, mentre la tossicità delle polveri chimiche m'ingialliva il viso. Ora c'è da chiedersi quali forze interne mi abbiano aiutato fino a poter sopravvivere in quei terribili anni. Mi dava conforto l'idea che il Signore non mi avrebbe abbandonato di fronte a tanta malvagità, per cui recitavo fiducioso il Padrenostro, prima di addormentarmi sulla paglia. A questo si aggiungevano la speranza di riabbracciare i miei genitori e tutti i ricordi salienti vissuti con loro durante i miei primi anni di vita. Nel gennaio '44, le difese contro il freddo erano camminare in fretta, soprattutto nell'attesa del treno e solo al pomeriggio, il permesso di bere un po' di the amaro bollente. Il cuoco, forse intenzionalmente, buttava a caso il sale nel cuocere la quotidiana zuppa di bietole e patate, priva di proteine e di lipidi, per cui noi tormentati dalla fame e dalla sete correvamo ad ingurgitare acqua. Era possibile raggiungere il rubinetto dell'acqua calda solo per merito di una donna gobba che, unica, ci mostrava compassione. Dagli operai tedeschi ci venivano solo derisione e insulti, quando stentavamo a spingere i carrelli carichi di bombe. Un nuovo inverno di prigionia e un secondo Natale, quello del'44, che ci mostrava tenebre invece che luci. Un gruppo di prigionieri fu prelevato per andare a scavare trincee e barricate attorno a Colonia e ad Hannover. Alla fine del febbraio '45 i sovietici sfondano in territorio germanico da Romberg fino al Baltico e anche noi, in quel memorabile aprile, 28 Dare vita agli anni –2014 cominciammo a sentire il tuono del cannone. L'artiglieria russa rimbombava a nord del lager, mentre i bombardieri americani ci sorvolavano, passando oltre. Al 20 aprile, nel lager scomparve la presenza dei militari, mentre a circa 40 chilometri, verso est, cannoneggiavano le forze alleate. Siccome eravamo certi che i russi, memori dell' ARMIR, ci avrebbero condotti in Siberia, in 300 uomini ci incamminammo verso il fiume Elba che attraversammo dopo il ritrovamento di un barcone. Non avevamo niente da mettere sotto i denti, per cui vagavamo tra i campi a scavare patate che preferivamo al pane, offertoci a volte da famiglie tedesche ... il solo pensiero che fosse avvelenato non ci faceva pensare alla fame. Da Welsen ci incamminammo in direzione di Reichenbachern, evitando con prudenza i paesi, per non essere presi a fucilate dalle ultime difese germaniche. Al 22 sera raggiungemmo Duden dove scoprinnno di essere sul fronte di fuoco, ma dalla parte sbagliata, per cui, verso sera, ci sparpagliammo in fienili e baracche, evitando la rabbia dei tedeschi in ritirata. Notte buia, notte fredda, notte insonne. 29 Dare vita agli anni –2014 III CLASSIFICATO EX AEQUO L’ORTO DELLA VITA Gigliola Neri Motivazione: Affettuosa e malinconica rievocazione della figura di un padre vecchio e malato e di ciò che seppe dare, fino alla fine, ad una figlia memore del bene ricevuto. 31 Dare vita agli anni –2014 L’ORTO DELLA VITA Gigliola Neri Mio babbo, per me, è stato soprattutto una brava persona. Nel corso della sua vita ha svolto diversi lavori, ma il suo impegno più appassionato l’ha rivolto al mestiere di agricoltore e allevatore che ha svolto con costanza e competenza. La sua "albana" era molto apprezzata anche oltre oceano, dove un mio cugino si era trasferito dopo la laurea. Ogni volta che tornava in Italia chiedeva allo zio un po' di bottiglie da portare a Caracas per festeggiare con gli amici. Ricordo una stalla piena di bovini puliti e ben nutriti, ed i molti vitellini che ho visto nascere e crescere per poi seguire il loro destino, spesso con mia disapprovazione. Rivedo le viti cariche di grappoli di trebbiano e albana così dorati e lunghi che quasi toccavano terra e davano un vino eccellente, frutto del lavoro esclusivo di mio babbo che non si risparmiava né in tempo né in fatica. Insieme al lavoro dei campi, ha coltivato fino all'ultimo gli ideali di onestà e rispetto per il prossimo e senso di responsabilità che ho ereditato come i beni più preziosi. Certo non era un santo e lo scontro generazionale non ha risparmiato neppure noi, ma il suo esempio mi è d'aiuto ogni giorno, ancora oggi che non sono più giovane e i pensieri e le riflessioni sui temi esistenziali affiorano quotidianamente alla mente. Mio padre è stato colpito da una malattia degenerativa cerebrale quando aveva poco meno di ottant'anni ed era ancora in possesso di tutte le facoltà. Era capace di dedicarsi alle sue passioni: la caccia con gli amici, coltivare la vigna, giocare a bocce e a carte; inoltre guidava l'auto e curava in autonomia i suoi affari. Purtroppo, uno alla volta, nell'arco di dieci anni, ha dovuto abbandonare tutto ma sempre con dignità e consapevole rassegnazione. Spesso mi soffermo a ricordarlo intento in quella che è stata la sua ultima attività: coltivare l'orto degli anziani assegnatogli dal Comune. Nonostante i problemi motori e quelli cognitivi aumentassero col progredire della malattia, persisteva nel suo compito con impegno e 32 Dare vita agli anni –2014 caparbietà. Io e mia madre l'abbiamo sostenuto sino all'impossibile perché gli restasse almeno un interesse, una motivazione in quella difficile fase della sua vita. In estate, al mattino presto li accompagnavo in auto ad innaffiare l'orto, dove crescevano pomodori così sani e belli da fare invidia ai vicini. Lui sapeva, sentiva quando era tempo di acquistare piantine o sementi da piantare o seminare, sapeva se i suoi ortaggi avevano sete o troppa acqua, oppure bisogno di qualche trattamento. Quando le sue mani tremavano così tanto da non coordinare più i movimenti, insegnava a me e a mia mamma come legare i getti che crescevano rigogliosi dal fusto dei pomodori. Negli ultimi tempi era penoso vederlo così in difficoltà ma questo veniva compensato dalla soddisfazione del raccolto. A fatica staccava melanzane, pomodori, zucchine, ed altri ortaggi, ma era soddisfatto: il suo volto reso inespressivo dalla malattia, abbozzava un sorriso nel sentire gli apprezzamenti dei vicini per la sua produzione e nel sentirsi ancora utile per sé e per gli altri. Quando lo accompagnavo al Centro della memoria per i controlli, al medico che gli somministrava i test cognitivi, lui parlava e scriveva del suo orto: ogni anno sempre meno e sempre con maggiore difficoltà ma con immutato interesse. Quest'esperienza molto dolorosa mi ha insegnato che la vita è come un orto: se si semina, si raccoglie ... prima o poi. L'importante è coltivare buoni propositi e buone opere; non importa quanto tempo servirà, i frutti, prima o poi, di sicuro arriveranno. Qualche tempo dopo la scomparsa di mio babbo, una notte l'ho sognato, era nell'orto col suo inconfondibile cappello di paglia in testa; stava dietro una pianta altissima di pomodoro e sorrideva: sembrava felice e non tremava più. È così che mi piace pensarlo. A volte passo davanti a quello che fu il "nostro" orto, ed anche se non lo vedo, penso che lui veda me che continuo ad esistere insieme al suo amato orto. Ora di sicuro, renderà felice un altro anziano al quale darà un motivo in più per continuare a vivere. 33 Dare vita agli anni –2014 Sezione “Poesia” Commissione giudicatrice: Davide Argnani Cesarina Lucca Rosanna Ricci 35 Dare vita agli anni –2014 I CLASSIFICATO PASSI Franca Tramonti Motivazione: Poesia autentica, con la scelta di parole vissute e sofferte che segnano la difficoltà del passato attraverso immagini di straordinaria efficacia, animate da malinconia struggente e lirica al tempo stesso. 36 Dare vita agli anni –2014 PASSI Franca Tramonti Passi lenti, incerti, trascinati muovono i ricordi dei tempi andati Passi malfermi, indolenti, pigri, vivono il presente con rabbia e capelli grigi Passi stanchi, sofferenti, timorosi Passi brevi, fermi Passi silenziosi. 37 Dare vita agli anni –2014 II CLASSIFICATO NON SOLO NEBBIA Rosella Valbonesi Motivazione: Poesia dal ritmo incalzante, che ha il pregio di legare temi incisivi ad un uso molto preciso della sonorità delle parole. Le immagini si muovono attraverso metafore per riscoprire la bellezza della vita. 38 Dare vita agli anni –2014 NON SOLO NEBBIA Rosella Valbonesi Cosa c'è in questa strana nebbia, improvvisa e inaspettata, calata su questa sera autunnale a dissolver l'orizzonte per miscelar la terra al cielo? Cos'è che piange malinconicamente sul viso, sulle mani stanche, che, umida, penetra i pensieri a confonder ricordi e speranze? Vapore è il mio respiro, in questa solitudine nascosta che mi abbandona al centro del nulla. Senza più ombra e senza più parole, a chi narrerò di me in questi attimi senza tempo, a chi andrà la mia appassita tenerezza? Annullo il presente nell'oblio del passato aspettando il chiarore di una luce in lontananza. Non solo nebbia in quest'anima sola! 39 Dare vita agli anni –2014 III CLASSIFICATO EX AEQUO MATTINO LONTANO Claudio Biondi Motivazione: I versi sono ricchi di immaginazione ed accompagnati da un lessico scorrevole. E’ una storia legata alla coscienza di ciò che è stato già vissuto e che rimane nel ricordo, analizzato con grande tenerezza. 40 Dare vita agli anni –2014 MATTINO LONTANO Claudio Biondi Entra discreta, piano piano nella buia camera un po' di luce, chiudo gli occhi, faccio finta di niente, ma insiste, si diffonde lentamente. Ora mi fa vedere la sedia zoppa, con i miei umili vestiti ben piegati, nei calzoni corti c'è una toppa, penso a mia mamma che li ha lavati. Ora la luce si fa più invadente, riappare l'armadio, il cassettone, la stanza completamente. Sfaccenda mia mamma di là, ancora in ciabatte, accende la stufa, prepara la tavola scalda il latte. Il profumo del pane abbrustolito mi fa scappare dalle lenzuola. "Sei già alzato?" "Devo finire i compiti di scuola!" In realtà volevo starle vicino. Ricordo la sua dolce carezza sul mio viso di bambino, ricordo la tenerezza di quel lontano mattino. 41 Dare vita agli anni –2014 III CLASSIFICATO EX AEQUO PAESAGGIO DAL TRENO Gaetano Ricci Motivazione: La musicalità dei versi è determinata da una sensibile attenzione alla metrica che ne accresce il valore poetico. 42 Dare vita agli anni –2014 PAESAGGIO DAL TRENO Gaetano Ricci Tentacoli lividi traversano il cielo, messaggeri veloci dell'alba. Di là dal monte una bava di luce di già scolora la notte. Case e alberi come spettri mi vengono incontro, navigando in silenzio nell'aria ovattata. In alto le stelle vanno in cieli lontani, verso i nuovi lidi della notte. 43 Dare vita agli anni –2014 MENZIONE LIMITI Giovanna Missiroli Motivazione: La narrazione lucida ed evocativa possiede una tensione costante: l’anima grida non solo il dolore e la solitudine, ma anche la bellezza dell'amore. 44 Dare vita agli anni –2014 LIMITI Giovanna Missiroli Sussurri di parole, consonanti, vocali, ghiribizzi di memoria che gioca a rimpiattino nei tornanti del cuore. Tasselli sparsi parlano di storia, la mente tenta insieme di comporli in un incastro vuoto senza gloria e ardore. Bagliori guizzano nel cielo, porli in uno scrigno è solo un sogno: il divino si espande senza orli e ore. Limiti e vacuità vanno nel sogno per sfuggire la prova, ma velati riemergono in stati di bisogno con timore. Teniamoci per mano, superati saranno gli errori, le incertezze se fonderemo cardini intrecciati nell' amore. 45 Dare vita agli anni –2014 MENZIONE A MICHELE Guardiano del Delta del Po Irene Ricci Motivazione: La lirica è un vero canto che abbraccia passato e presente, nostalgia e speranza in un linguaggio che esplora e scava tra gli stati d'animo. 46 Dare vita agli anni –2014 A MICHELE Guardiano del Delta del Po Irene Ricci Scivolavano lente parole lungo viali di canne e saggina raccontava Michele la storia del fiume, di suo padre, fluviale, umile Dio, e delle sere nebbiose ove l’eco della voce ti fa compagnia. Sotto un cielo ottobrino di muto chiarore, nel mesto stridio di bianchi gabbiani, regalava Michele parole e barchette di foglie. 47 Dare vita agli anni –2014 Ringraziamenti Si ringrazia il Comune di Forlì per il Patrocinio e per la gentile concessione della Sala Santa Caterina. Si ringraziano i componenti delle Giurie per la preziosa e competente collaborazione. Si ringraziano i partecipanti al Concorso per il loro valore, per la capacità e disponibilità. Un grazie di cuore, infine, va all’ideatore del Concorso letterario “Dare vita agli anni”, Mario Vespignani, sempre vicino e presente. Maggio 2014 La Curatrice del Concorso Flavia Bugani 49 Dare vita agli anni –2014 forlì XXIV Concorso Letterario “Dare vita agli anni” L’Associazione, iscritta al registro regionale del Volontariato, opera prevalentemente con e per gli anziani – o, meglio – diversamente giovani. Promuove, nell’ambito della cultura, l’incontro fra generazioni, affinché l’anziano possa esprimere nella società le sue conoscenze e capacità a favore del prossimo. L’Auser è una “Associazione di Progetto” tesa alla valorizzazione delle persone e delle loro relazioni ed è ispirata ai principi di equità sociale e di rispetto delle differenze, di tutela dei diritti, di sviluppo delle opportunità e dei beni comuni. 50 Stampato in proprio Maggio 2014 c/o Digicopy Forlì
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