IL GIORNO La crociata degli orologiai contro i colossi svizzeri: "Liberalizzate i ricambi". La crociata degli orologiai contro i colossi svizzeri: "Liberalizzate i ricambi" Commenti Gli artigiani chiedono all'Europa di togliere i divieti nella distribuzione dei pezzi: "Altrimenti rischiamo di chiudere" di Luca Zorloni Rino De Feo, tesoriere dell'Associazione orafa lombarda (Newpress) Milano, 26 aprile 2014 - Gli orologiai italiani promettono battaglia alle grandi multinazionali svizzere delle lancette, che «non vogliono più vendere agli orologiai indipendenti le parti di ricambio necessarie per le riparazioni». E alla Commissione europea, che «accetta i vincoli della distribuzione selettiva imposti» dai gruppi elvetici. I riparatori chiedono a Bruxelles di liberalizzare il mercato europeo delle parti di ricambio degli orologi: «Senza non possiamo lavorare, la nostra è una lotta per la sopravvivenza». In gioco ci sono gli interessi di cinquemila artigiani in Italia, 500 nella sola Lombardia. Al momento l’Europa ha dato ragione ai signori elvetici delle lancette: «distribuzione selettiva». Il che significa, fuori dal gergo tecnico, che la casa produttrice può decidere a quali artigiani fornire i pezzi e a quali rifiutarli, chiedere l’acquisto di macchine particolari, «che non sono mai uguali da un marchio all’altro», spiega Rino De Feo, tesoriere dell’Associazione orafa lombarda (l’Aol), «e clausole di recesso senza giusta causa». Aol, che rappresenta 24mila esercenti, spalleggia il sindacato degli orologiai nella battaglia a Bruxelles, sotto l’egida del Cehar (la Confederazione europea degli orologiai artigiani riparatori). Le multinazionali elvetiche replicano che il blocco delle forniture è una mossa di difesa contro la contraffazione dei propri cronografi. «Le aziende cercano di tutelare il proprio prodotto – sottolinea Mario Peserico, a capo di Assorologi (l’associazione di categoria dei produttori) –. È una tutela del consumatore che il riparatore sia formato dalla casa madre. Ci si può specializzare in qualche marchio e non fare tutto». La spiegazione però non convince i riparatori. «Se si facesse un orologio con i pezzi di ricambio, uno da mille euro costerebbe cinquemila», incalza il numero uno di Aol, Andrea Sangalli: «In realtà i grandi gruppi vogliono trattenere l’indotto delle riparazioni». In Italia aggiustare cronografi è un’attività che muove un giro d’affari di 200 milioni di euro, da sommare al miliardo e 150 milioni spesi per comprarne di nuovi. Quattro anni fa la Corte di giustizia europea aveva dato ragione ai riparatori, condannando per abuso di posizione dominante le multinazionali. Tuttavia, la Commissione europea ha fatto il contrario. «Questione di lobby», liquida l’Aol. I riparatori non si arrendono: con le elezioni europee sperano che il vento a Bruxelles cambi direzione. «Noi chiediamo lo stesso trattamento degli autoriparatori – spiega Sangalli – con la norma a salvaguardia introdotta dall’allora commissario Monti», che liberalizza le parti di ricambio delle quattro ruote. E in gioco c’è anche il futuro di chi vuole diventare mastro orologiaio: alla scuola Capac di Milano, i 16 posti disponibili per il biennio di specializzazione non soddisfano mai la pioggia di richieste. [email protected]
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