la Repubblica RSALUTE/ IN PRIMO PIANO MARTEDÌ 14 OTTOBRE 2014 40 Alzheimer. Per la prima volta da staminali di embrione umano ricreata nel “Petri dish” la fase delle placche: l’annuncio su Nature. Le reazioni al congresso dei neurologi italiani: “Progresso enorme”. I misteri da sciogliere LA CU RIO SITÀ POST-DOC Un’italiana nel team Carla D’Avanzo, 29 anni e da 3 in forza al Genetics and research of Neurology department di Harvard (Boston) diretto da Rudy Tanzi, è di Casalnuovo, alle porte di Napoli. Laureata in Biotecnologia alla Federico II, allieva dei docenti Lucio Annunziato e Anna Pannaccione, per otto anni ha studiato le tecniche di neurobiologia cellulare e molecolare. «Già a Napoli avevo iniziato con l’Alzheimer e gli “effetti della ßamiloide sullo scambiatore sodiocalcio”». Carla D’Avanzo 29anni Come è approdata n egli Usa? «Ero già stata lì come visiting. Poi, prima di rientrare, ebbi la proposta di assunzione come “postdoc”». E in futuro? «Dopo la gavetta potrei aspirare al ruolo di assistant prifessor». Meglio a Boston che in Italia? «Qui si lavora bene, perché ci sono sempre fondi, materiali e macchinari». Tornerebbe? «Mi piacerebbe, purché in posizione da strutturata o in un’azienda farmaceutica dove fare esperienza». nto e come ha Qua contribuito alla coperta? s «Con esperimenti di microscopia con focale e, anche, collaborando al lavoro pubblicato su Nature». (giuseppe del bello) © RIPRODUZIONE RISERVATA Morbo in provetta la ricerca di cure ora più veloce ARNALDO D’AMICO ER scoprire se un farmaco può curare la demenza si impiegano in media 12 anni, almeno 10 per sperimentarlo sui malati. Otto anni per individuare sui topi la molecola più promettente. E via così, un tentativo alla volta. Da oggi non è più così. A partire da staminali di embrioni umani è stato creato un microcervello malato di Alzheimer, moltiplicato in molti esemplari, e si andrà a verificare l’azione di 1.200 farmaci già in uso e di altri 5000 che si stavano selezionando sui topi per poi avviare i più promettenti alla sperimentazione umana. Le risposte arriveranno in un mese. «È un progresso impressionante — commenta Carlo Ferrarese, direttore del Centro di neuroscienze di Milano e della clinica neurologica dell’ospedale San Gerardo di Monza, a Cagliari per l’annuale congresso della Società Italiana di Neurologia — avere a disposizione un modello di cervello umano in vitro dove si verificano i due danni che, allo stato delle conoscenze attuali, sono la causa prima della demenza, semplifica, accelera e rende molto più economica la ricerca sui farmaci. Abbiamo da tempo sostanze che agiscono sulle placche senili, gli accumuli di proteine che progressivamente si diffondono nel cervello, e farmaci che agiscono sulla tau, la proteina che alterandosi, scombina lo «scheletro» della cellula nervosa. Somministrati ai malati — però — non hanno prodotto benefici. Rimane il dubbio che, dati ai primi segni premonitori, riescano a fermare l’accumulo di placche e la distruzione della tau. Sarebbe una sperimentazione di oltre 10 anni, con questo modello sapremo in trenta giorni se vale la pena di tentare». Il “mini-cervello” è stato realizzato da Rudolph Tanzi e Doo Yeo Kim, neuroscienziati del Massachussets General Hospital di Boston. I due sono partiti da cellule staminali di embrioni umani. Doo Yeon Kim ha avuto l’intuizione vincente: far crescere le cellule embrionali non in liquido ma sospese in un gel, dove hanno potuto organizzarsi in una rete di neuroni tridimensionale, come nella corteccia cerebrale. Prima però, con una sofisticata operazione di ingegneria genetica, hanno impiantato alcuni dei geni alterati più presenti nei malati — non in tutti — hanno diffuso nel gel un mix di fattori di crescita cellulare scoperti sinora e hanno aspettato. In poche settimane le staminali sono diventate neuroni, connesse tra loro, e in poche altre settimane dentro i neuroni la tau ha iniziato ad aggrovigliarsi distruggendo lo «scheletro» mentre fuori crescevano le placche, depositi di un’altra proteina, la beta-amiloide, protagonista anche di altre malattie. Intanto Tanzi ha chiarito un passaggio oscuro della malattia: si pensava che nel cervello si accumulassero molecole di beta-amiloide (non era chiaro se per produzione eccessiva o incapacità di smaltimento) che poi si organizzavano in placche che «turbavano» i neuroni finché non si autodistruggevano. Ma i farmaci che dovevano interferire con questo meccanismo non hanno dato risultati. Poi sono stati messi i geni umani di Alzheimer nei topi. Gli animali hanno mostrato presto le placche, ma i neuroni sono rimasti integri. Perché? Non era chiaro. L’eccesso di beta-amiloide non basta a metter in moto la malattia? O i topi erano troppo diversi nonostante l’impianto di geni umani? In P mancanza di meglio, i topi sono stati utilizzati per selezionare molecole da avviare alla sperimentazione sui malati. Ma nessuno dei venti farmaci miracolosi nei topi ha aumentato la sopravvivenza dei malati. D’ora in poi non si procederà più così a tentoni. Tanzi ha già scoperto che le placche fanno saltare le proteine tau dentro i neuroni avviandoli alla morte perché attivano un enzima particolare. Il che chiarisce il modo in cui si sviluppa la demenza e fornisce già un nuovo bersaglio. Un altro mistero per cui il mini-cervello sarà determinante è capire che cosa fa il gene più potente nel causare la malattia, ApoE4, che si trova in oltre la metà dei casi di Alzheimer: non è la causa della malattia, ma aumenta molto il rischio di caderci, soprattutto se il soggetto ha altri fattori di rischio. Beta-amiloide È una proteina che prodotta in modo anomalo causa le placche senili (amiloidi). Si pensa che tale proteina distrugga le sinapsi neuronali nel cervello. «Anche su questi misteri attendiamo progressi più rapidi — osserva Ferrarese — sappiamo che alcune patologie aumentano il rischio, come diabete o ipertensione, ma non sappiamo come e perché. Ancora meno sappiamo degli stili di vita connessi: attività fisica, stimoli intellettuali, la ben nota dieta mediterranea abbassano il rischio. Infine, un meccanismo della malattia: nel cervello dell’Alzheimer si scatena l’infiammazione, non sappiamo perché e se svolge un ruolo negativo, ad esempio il sistema immunitario accelera l’eliminazione dei neuroni, o li difende dalla beta-amiloide. Dopo che lo avremo scoperto potremo puntare a un farmaco efficace, che contrasta o stimola il sistema immunitario». © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica MARTEDÌ 14 OTTOBRE 2014 41 PER SAPERNE DI PIÙ www.nature.com www.alzheimer.it L’INTERVISTA. “A inizio 2015 i test sui farmaci Abbiamo mimato il gel del cervello” N LABORATORIO lo chiamano Rudy, e dr. Rudy Tanzi è il tweet con hashtag SuperBrain e la frase “Come reagisci ad ogni esperienza modifica il tuo network neuronale e così anche il mondo dove vivi”. SuperBrain è il suo libro scritto con l’endocrinologo Deepak Chopra. Il sottotitolo del volume è un programma: “Libera l’esplosivo potere della tua mente per massimizzare salute, felicità e benessere spirituale”. A poche ore dall’articolo apparso sul New York Times (a firma di Gina Kolata) che riprendeva lo studio apparso su Nature INFOGRAFICA PAULA SIMONETTI I LA RIVISTA Quella lettera a Nature online Il titolo apparso sull’edizione di domenica 12 di Nature online è “A three-dimensional human neural cell culture model of Alzheimer’s disease” : una lettera inviata a gennaio, accettata ad agosto. La firma di 19 ricercatori, in gran parte del Massachusetts General Hospital, Harvard Medical School, Institute for Neurodegenerative Disease, con a capo Rudolph E. Tanzi e Doo Yeon Kim. Tra i firmatari anche Carla D’Avanzo, PostDoc Associate all’ospedale di Boston. Proviene dall’università Federico II di Napoli. online, i messaggi di congratulazioni hanno invaso il suo profilo twitter. È un lunedì felice quello del professore (54 anni) di Neurologia alla Harvard university e direttore della Genetics and Aging Research Unit al Massachusetts General Hospital di Boston. È dagli anni Ottanta che studia il morbo di Alzheimer. È stato lui ad isolare nel 1987 la proteina App, precorritrice della betaamiloide e nel 1995 un’altra, chiamata presenilin 2. Ha lavorato con successo sul morbo di Wilson e sull’Huntigton. Più recentemente ha individuato le responsabilità di zinco e rame nelle formazioni neurotossiche. Alle domande risponde con prontezza e il sorriso di soddisfazione. Professor Tanzi, quando comincerete con i test sulle molecole? Quale il vostro programma? «Siamo già pronti con il materiale e speriamo di partire con i test sui farmaci all’inizio dell’anno prossimo». Tanti ricercatori hanno cercato di far crescere le placche in provetta con un liquido: come siete riusciti e quale l’errore degli altri? «Tentavano di far crescere le cellule in un liquido e questo non funziona. Il cervello è più come un gel. Così lo abbiamo imitato ed ha funzionato!». Quale è stata la vostra reazione emotiva quando avete visto che la beta-amiloide si trasformava in placche? «Onestamente non potevamo credere ai nostri occhi quando l’abbiamo visto per la prima volta. Poi gradualmente abbiamo realizzato che era vero! Eravamo affascinati». Crede che questo esperimento chiarisca in modo definitivo l’ipotesi della beta-amiloide come causa dell’Alzheimer? «Sì. È la prova definitiva che la beta-amiloide è sufficiente a condurre alla formazione tossica di grovigli neurofibrillari nelle cellule nervose umane. Questo poi conduce alla neurodegenerazione ed infine alla demenza». (maurizio paganelli) © RIPRODUZIONE RISERVATA Il professore Tanzi fin dal 1980 ha lavorato sulle neurodegenerazioni isolando il precursore della beta-amiloide (App). L’assistente Doo Yeon Kim lavora nel team del laboratorio di Genetica e Aging researh diretto da Dora Kovac.
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