COSA PASSA PER LA TESTA DI UN BAMBINO

COSA PASSA PER LA TESTA DI UN BAMBINO
Vasudevi Reddy
CAPITOLO 1 - UNA QUESTIONE APERTA
L'argomento principale di questo libro si basa sulla concettualizzazione scientifica dominante secondo
cui vi sarebbe una sostanziale distinzione tra corpo e mente. Per questo i bambini piccoli si
troverebbero in uno stato di dis-connessione dal mondo delle altre menti e la loro possibilità di
comprensione e di contatto sarebbe sostanzialmente ridotta.
Reddy propone quindi l'Approccio in Seconda Persona che permette di valutare i bambini all'interno
del contesto ed un concetto di Consapevolezza che si basa sul coinvolgimento emotivo tra individui
(sia bambini che adulti). Questo conduce ad una pratica che prevede il coinvolgimento reciproco
genitore-bambino come strumento necessario dello sviluppo.
CAPITOLO 2 - IL GAP E L'OPACITA' DELLA MENTE
Essendo chiaramente impossibile "vedere" le menti, con le quali si entra comunque in relazione,
bisogna però analizzare due questioni fondamentali:
- l'assunto che considera la mente opaca e difficile accesso;
- modi per giungere a comprendere le menti, se si considera l'esistenza di un gap.
Il Gap può essere inteso come il limite che separa il comportamento dalle facoltà mentali, il fisico dallo
psicologico e, sopratutto, la nostra mente dalle menti altrui.
Vi sono diverse concettualizzazioni del Gap che lo intendono riguardante:
- Rapporto tra le Diverse Menti (Piaget e Teoria della Simulazione);
- Distinzione tra Fisico e Mentale (Teoria della Mente);
- Distinzione tra Percezioni in Prima e Terza Persona.
Già Cartesio aveva posto una distinzione tra Res Cogitans e Res Extensa, secondo cui non vi era la
possibilità di avere accesso alle menti altrui, se non attraverso l'intervento divino. Attualmente le
cognizioni psicologiche tendono ancora ad attuare un dualismo tra mente e comportamento e prova
ne sono due scuole teoriche di rilievo:
- Comportamentismo;
- Cognitivismo.
Questo condurrebbe quindi alla possibilità di analizzare le menti solo attraverso inferenze e
congetture. Tali concettualizzazioni pongono però dei problemi, tra cui:
- l'Incertezza è Intollerabile: nonostante le concettualizzazioni precedenti conducano ad
un'impossibilità di capire le menti altrui, queste vengono smentite dal vivere quotidiano e dai rapporti
interpersonali che invece prevedono come fondamento questa possibilità. L'uomo non potrebbe quindi
vivere, né relazionarsi se si trovasse in uno stato di continua incertezza;
- l'Impossibilità del Disincarnamento: la scissione tra corpo e comportamento sta venendo meno
attraverso concettualizzazioni che considerano la mente come modalità e qualità delle azioni
comportamentali, per cui essa diverrebbe quindi visibile ed interpretabile;
- la Dimensione Privata dei Fenomeni Psicologici: vi è una ragione Evolutiva, secondo cui i bambini si
troverebbero in una primaria condizione di esposizione pubblica degli stati mentali, ed una Culturale,
che considera le diversità relative alla condivisione sociale ed emotiva tra le diverse culture, che
testimoniano contro un'univoca dimensione privata dei fenomeni psicologici.
Se si considera però comunque esistente questo Gap, due sono le Formulazioni Teoriche usate per
superarlo:
1. Approccio in Prima Persona: la conoscenza delle altre menti è possibile partendo solo dal sé. Per
comprendere le differenze tra individui si usano due teorizzazioni specifiche:
- Modello per Analogia (John Stuart Mill): concettualizza che solo attraverso l’analogia della nostra
stessa esperienza riusciamo a comprendere gli altri. Questa posizione è criticata in quanto attua una
generalizzazione applicabile solo in rari casi ed inoltre vari studiosi, tra cui Wittgenstein, hanno
considerato come la comprensione della propria mente e del proprio linguaggio debbano
necessariamente passare dalla condivisione, che è considerata come pre-requisito (e non come
conseguenza);
- Teoria della Simulazione: si basa sulla concezione che, riconoscendo la situazione in cui l’altro si
trova, l’individuo mette in atto una simulazione di ciò che proverebbe in quella situazione. La critica a
questo approccio riguarda sopratutto la mancanza di spinta e di motivazione alla comunicazione.
2. Approccio in Terza Persona: le rappresentazioni mentali dell’altro provengono dall’osservazione
dell’altro e si sviluppano tramite il controllo delle ipotesi e la deduzione. Questo sarebbe possibile però
solo dopo i 4 anni, perché è necessario un processo di astrazione e mentalizzazione. Di questo
approccio fa parte la Teoria della Mente (o Theory-Theory) secondo cui interpretando gli schemi
d’azione degli altri e le diverse occorrenze, l’individuo tende a formulare ipotesi teoriche e deduzioni
sulle menti altrui. La critica a questa visione viene però sopratutto dalla negazione dell'intersoggettività
del bambino e al fatto che la formulazione di teorie da parte del bambino andrebbe a negare
l'esistenza di quei "qualia (stati affettivi qualitativi) che contraddistinguono ogni essere umano e lo
differenziano dagli altri.
Si giunge quindi a considerare che, se si considera l'esistenza di un Gap, si deve negare la possibilità
di "leggere le menti" e la conseguente partecipazione attiva del bambino.
CAPITOLO 3 - MENTI CHE PARTECIPANO: UN APPROCCIO IN SECONDA PERSONA
L'Approccio in Seconda Persona proposto da Reddy si basa su una partecipazione attiva reciproca
a livello emotivo e sull'esistenza di tre fondamenti concettuali:
- rifiuto dell'esistenza di un Gap, per cui le menti sarebbero "leggibili" attraverso meccanismi percettivi
emotivi;
- considerazione dell'altro attraverso la valutazione delle nostre risposte emotive;
- la partecipazione emotiva ha inoltre il ruolo di costruire e sviluppare la mente del soggetto.
L'uso della seconda persona (tu), opposto a quello della terza persona (lui/lei), pone il soggetto in
un'ottica di partecipazione alla relazione e non di mero osservatore.
All'interno quindi di un'impostazione fenomenologica (sostenuta anche dallo stesso Heidegger e, in
tempi più recenti, dalla Psicologia della Gestalt) la percezione necessita di una partecipazione al fine
di avere senso e importanza.
L'approccio ecologico di J.J. Gibson degli anni '70 ha quindi trovato un’interconnessione tra:
- Esterocezione (percezione del mondo esterno);
- Propriocezione (percezione dei propri stati interni).
In quest'ottica l’esperienza percettiva dell’altro implica un'esperienza propriocettiva del nostro corpo e
dei nostri sentimenti e l’esperienza propriocettiva delle nostre azioni e sentimenti comporta sempre la
percezione di ciò che stanno provando e facendo gli altri.
L'Approccio in Seconda Persona prevede quindi una partecipazione emotiva reciproca attiva
attraverso il dialogo, il coinvolgimento emotivo e lo sviluppo di nuovi significati condivisi. Il bambino si
troverebbe in un'esperienza emotiva quando riconosce che il proprio sé è il primo oggetto
dell’attenzione altrui ed espande la consapevolezza emotiva quando riconosce che anche altri oggetti
sono soggetti all’attenzione propria e altrui. Il coinvolgimento è necessario per giungere allora alla
consapevolezza.
Bisogna ora definire i Metodi dell'Approccio in Seconda Persona:
- Utilizzare la Partecipazione, abbandonando il classico modello di distacco proprio della psicologia
empirica, che consente di servirsi dei propri stati e delle proprie risposte emotive all'interno della
relazione;
- Necessità del Disimpegno che, nonostante la necessità della partecipazione attiva ed emotiva,
permette al soggetto di prendersi delle pause dalla relazione per poterla meglio comprendere;
- Sintonia con l'Organismo in quanto solo questa può permetterci di scoprire nuovi elementi;
- Riconoscere, Utilizzare e Gestire la Relazione.
Va infine fatto notare che le osservazioni più prettamente osservative e sperimentali, e quelle più
partecipative, possono integrarsi tra loro in modo da giungere ad una comprensione più completa dei
fenomeni psicologici.
CAPITOLO 4 - STABILIRE IL CONTATTO: L'IMITAZIONE
L'Imitazione può essere intesa come quella forma di contatto che permette una connessione
psicologica tra sé e l’altro in assenza di un linguaggio verbale comune. In questo senso essa diviene
fondamentale in due ambiti:
- trattamento delle disabilità comunicative (Phoebe Caldwell);
- interazioni con culture diverse (Darwin).
Rispetto agli studi sui bambini, Piaget e altri psicologi empiristi sostenevano che l'imitazione da parte
del neonato era impossibile per due ragioni principali:
- mancanza dell'abilità di cogliere le somiglianze tra sè e l'altro;
- mancanza dell'abilità di riconoscersi allo specchio.
Dalle prime ricerche di Olga Maratos (1972), che sorpresero lo stesso Piaget, si è però iniziato a
considerare l'abilità del bambino di imitare.
L'argomento si è quindi spostato sulla valutazione dell'Imitazione come Gesto Automatico (vista
quindi in senso dispregiativo, superficiale e primordiale), conducendo a tesi a favore o contro questa
visione:
- Argomentazioni a Favore: Anisfeld, lo studioso che più autorevolmente sostiene la teoria che
l'imitazione neonatale sia portata da meccanismi automatici di rilascio, ha condotto numerose ricerche
che confermano questa tesi. Altre argomentazioni a favore sembrano riguardare il fatto che alcune
funzioni imitative (riflesso di Moro, prensione, ricerca del seno, camminare, nuotare...) scompaiano
per un periodo della vita del bambino, passando quindi dal livello subcorticale (automatico) a quello
corticale (volontario);
- Argomentazioni Contro: le argomentazioni contrarie a questa tesi, oltre considerare che un approccio
in seconda persona permetta di ottenere diversi risultati anche ai test che confermerebbero i
meccanismi automatici, sono principalmente:
- l'imitazione riguarda anche gesti privi di senso, e quindi non ha un senso funzionale;
- i gesti imitativi non sono inevitabili né prevedibili, ed esistono varie diversità individuali;
- la riproduzione imitativa non è sempre immediata ma può essere differita nel tempo;
- le riproduzioni richiedono impegno e creatività.
Bisogna anche analizzare alcune ricerche che hanno cercato di Utilizzare l'Imitazione per Superare
il Gap. Tra esse vi sono:
- Scoperta dei Neuroni Specchio: avvenuta in modo casuale nel laboratorio "Giacomo Rizzolatti" di
Parma, tende a spiegare l'imitazione attraverso l'attivazione di specifici neuroni posti nella corteccia
premotoria. Questo però non può spiegare le imitazioni differite;
- Appaiamento Intermodale (AIM): Meltzoff e Moore studiarono un meccanismo attivato già nell'utero
che permette una mappatura spaziale memorizzata a livello intermodale. Questo modello si avvicina
però alla Teoria dell'Analogia e rende comunque le menti "invisibili";
- Spazio Primitivo Noi-Centrico: teorizzato da Vittorio Gallese, esso permette di colmare il divario tra
sé e l'altro. Nonostante l'importanza di questa teoria, essa non è ancora in grado di spiegare la
differenza percepita tra sé ed altro, e come questa spinga il bambino a rispondere alle azioni altrui.
L'Imitazione nella Teorizzazione del Modello in Seconda Persona viene considerata,
differentemente da quanto fin ora proposto, come una forma di vero e proprio dialogo con l’altro,
quindi un’attività interpersonale che stimola entrambi gli interlocutori in una situazione di
coinvolgimento emotivo reciproco.
Quest'attività imitativa ha allora alcune Funzioni:
- Tentativo Razionale di Testare l'Identità e la Risposta dell'Interlocutore;
- Tentativo Comunicativo.
Vari studi compiuti su bambini o su soggetti con difficoltà comunicative (ad es. pazienti autistici) hanno
confermato questa visione comunicative e relazionare dell'imitazione, che sottintende quindi la
presenza di una funzione intellettiva e di "lettura della mente" anche nei neonati.
CAPITOLO 5 - LE PRIME CONVERSAZIONI
Nonostante le già prima citate teorizzazioni comportamentiste e cognitiviste, e la più recente Teoria
del Costruttivismo Sociale (Mead e Vygotskij), che indicava la necessità delle madri di presupporre
un'intersoggettività nei figli (ancora inesistenti) in modo che essa realmente si sviluppi, bisogna partire
dal valutare le Caratteristiche della Comunicazione tra Adulti al fine di vedere quando
un'interazione può essere considerata uno scambio comunicativo:
- Azioni Comunicative: espressioni, parole e gesti (precursori dell’eloquio adulto);
- Auto Sincronia: produzione di azioni organizzate e coerenti;
- Sincronia Affettiva e Interattiva: capacità empatica verso l’altro;
- Alternanza di Turni;
- Coordinazione Attentiva: riconoscere le aspettative dell’altro e coordinare la propria e altrui
attenzione verso un terzo oggetto;
- Riferimento: saper indicare o riferirsi verbalmente ad un oggetto;
- Contenuti Informativi: capacità di dire qualcosa su queste tematiche;
- Simbolismo: saper utilizzare simboli al posto degli oggetti;
- Competenza Grammaticale e Testuale;
- Competenza Socio-Linguistica.
Seguendo questo ragionamento si può affermare che già alla fine del primo anno il bambino mostra
almeno alcune competenze di ognuna di queste caratteristiche.
Gli studi condotti da Trevarthen e Hubley sulla bambina Tracy, a conferma che gli scambi interattivi
rappresentano già interazioni comunicative, hanno permesso di dimostrare che a partire da due mesi
il bambino presenta alcune competenze dei primi quattro punti:
- Sorrisi, vocalizzi e movimenti delle braccia vengono riconosciuti dall’adulto come azioni comunicative
e precursori del dialogo;
- I comportamenti del bambino di 2 mesi verso l’adulto non sono casuali ma sembrano essere regolati
in base alle richieste e/o alle risposte dell’adulto. Si tratta quindi di un coinvolgimento reciproco;
- Il bambino di 2 mesi è in grado di trasmettere il proprio stato emotivo e di percepire quello dell’altro,
ed è inoltre in grado di adattare le sue risposte rispetto allo stato emotivo che ha percepito nell’altro. In
questa logica in alcuni casi riconosce essere più appropriato rispondere con un’emozione analoga, in
altri reagirà con emotività diversa di tipo compensatorio. Non si tratta quindi di una conoscenza delle
emozioni a livello categoriale (che si svilupperebbe fra i 6 ed i 7 mesi), ma più che altro una
conoscenza a livello interattivo;
- L’alternanza dei turni nei bambini di due mesi viene stabilita dalla mamma che matura l’illusione che
il bambino risponda coerentemente rispettando i turni, ma inconsciamente stabilisce un’interruzione e
promuove lo sviluppo dello scambio interattivo. Vari studi sono stati compiuti in questo senso, ed
hanno fatto emergere che le vocalizzazioni dei bambini sono coordinate alle modalità comunicative
genitoriali.
Ovviamente varie critiche sono state fatte a questo modello (ad es. quella di Gergely secondo cui la
risposta sarebbe solo basata su valutazioni di elementi temporali e non relazionari-affettivi) ma rimane
difficile negare le capacità rilevate nel bambino di cogliere i "Profili d'Intonazione" (Stern) e gli elementi
emotivi in gioco nella relazione madre-bambino.
Bisogna poi considerare inoltre le Caratteristiche Funzionali del Dialogo che vengono identificate
da Reddy in:
- Apertura;
- Riconoscimento.
Ciascuna conversazione, comprese quelle tra adulti, necessita quindi di apertura verso l'altro,
riconoscimento dello scambio comunicativo e sintonizzazione, elementi che devono continuamente
essere rinnovati visto che ogni dialogo non è mai scritto a priori.
In questa stessa ottica le Prime Forme di Comunicazione fra Bambino e Adulto avvengono quindi
attraverso:
- il coinvolgimento e riconoscimento reciproci;
- il riconoscimento dell’altro e la percezione di essere riconosciuti;
- la presenza di aspettative rispetto all’altro e alla relazione;
- la sorpresa e la stimolazione dell’interesse altrui;
- l’attenzione e l’intenzionalità.
Il Paradosso della Comunicazione si realizza considerando che è la comunicazione che conduce
verso la condivisione mentale, ma essa è impossibile se non si presuppone che un soggetto (anche
un neonato) sappia che gli altri e cosa gli altri capiscono.
L'unico modo per risolvere questo dilemma paradossale è rifarsi alle teorie di Wittgenstein secondo
cui la comunicazione è considerata primaria, e si basi su una condivisione di menti pubblica
necessaria come pre-requisito del linguaggio che in questa logica diviene conseguenza. Il linguaggio
si sviluppa quindi in seguito come ulteriore strumento di comunicazione e di interazione a livello più
alto.
Da tutto questo emerge la capacità innata del neonato di saper cogliere i contenuti della mente (e
principalmente Attenzione ed Intenzionalità, analizzati nei prossimi due capitoli) e invitare al loro
riconoscimento.
CAPITOLO 6 - SPERIMENTARE L'ATTENZIONE
Secondo una concezione condivisa, frutto degli studi di Elizabeth Bates negli anni '70, i bambini
divengono coscienti dell'attenzione altrui dopo circa gli otto mesi di vita, arrivando ad utilizzare ad un
anno il gesto comunicativo di indicare in due sensi:
- Proto-Richiestivo (indicare oggetti perché l'adulto li prenda);
- Proto-Dichiarativo (indirizzare l'attenzione dell'adulto su quegli oggetti).
E' però vero che l'entrare in relazione con qualcuno significa essere in grado di valutare il grado di
attenzione che egli ha per noi, ed è in questo senso che si può sviluppare una teoria che collochi
l'attenzione del bambino ben prima degli otto mesi.
La Definizione di Attenzione più usata in ambito infantile è quella definita "spotlight" (o
"space-based") che teorizza che essa sia come un fascio di luce psicologico puntato sul mondo,
separato però dal corpo e dagli oggetti esterni. Vari studi hanno però portato a criticare questa
concettualizzazione, giungendo a rilevare un'Attenzione pubblica e trasparente, quindi che può essere
osservata dall’altro, e questo di conseguenza stimola l’interesse, la motivazione, l’emozione, l’azione
responsiva, l’attenzione altrui.
Inoltre l’attenzione è sempre diretta verso qualcosa (oggetto) e implica sempre la consapevolezza del
proprio coinvolgimento. Essa, come diceva Bruner, non può quindi essere distinta dal suo oggetto e
questo risulta particolarmente vero sopratutto per i bambini, i quali riescono anche a pochi mesi a
seguire lo sguardo dell'adulto solo se è rivolo verso un oggetto di cui sono in grado di comprendere
l'importanza.
Nonostante in psicologia dello sviluppo si sia data tanta importanza all'attenzione rivolta verso il Terzo
Elemento (oggetti esterni quindi alla diade genitore-bambini), gli Oggetti a cui si può Prestare
Attenzione sono molteplici:
- il sé;
- un’altra persona;
- un oggetto vicino o tenuto in mano dall’adulto;
- un oggetto che è parte del sé (ad es. vestiti);
- un oggetto che è parte del proprio corpo;
- un evento;
- un’idea.
Se l'attenzione è rivolta solo verso oggetti inanimati, essa è effettivamente difficile da valutare, ma se
tra questi oggetti includiamo il sé essa viene sicuramente percepita dal bambino, il quale la
sperimenta attraverso le risposte emotive che suscita il sentirsi oggetto di attenzione.
Bisogna ora considerare l'Evoluzione dell'Attenzione:
1. 2-3 Mesi: vari studi empirici hanno dimostrato come già ad otto settimane, ed in maniera crescente
fino ai 2-3 mesi, il bambino dimostri una consapevolezza dello sguardo rivolto verso di sé (o della sua
immagine nello specchio) rispondendo con elementi emotivi tra cui:
- sorriso sociale (già dal primo mese);
- reazioni negative (soprattutto in neonati prematuri o con disturbi neurologici) se non riescono a
disimpegnarsi dall’attenzione dell’adulto distogliendo lo sguardo;
- vocalizzi ed espressioni del volto, volti a riconquistare il contatto attentivo.
2. 4 Mesi: percepire di essere oggetto di attenzione permette di scoprire che anche altri oggetti
possono richiamare l’attenzione altrui, ed è proprio dai 4 mesi in poi che il bambino inizia a seguire
con lo sguardo la direzione in cui l’altro sembra prestare attenzione e, se non trova oggetti vicini che
attraggono la sua attenzione, torna a guardare il profilo dell’adulto. A questa età inizia anche il
richiamo dell’adulto con vocalizzi se esso si dimostra assente o distratto. Vari studi hanno dimostrato
che il bambino è in grado di valutare l'inclinazione della testa e degli elementi ad essa connessi (naso,
orecchie, occhi...) in modo molto sottile, giungendo quindi a determinare su cosa l'attenzione sia
rivolta.
3. 6 Mesi: in questa fase i bambini sono in grado di dirigere l'attenzione verso le proprie azioni,
tendendo a concentrarsi sugli elementi che notano avere un'influenza sugli adulti, sopratutto in termini
di attenzione. L'oggetto dell'attenzione si sposta quindi dal sé e diventa l'agire, e questo è identificato
dal fatto che, quando l'attenzione viene ottenuta, vi è una ripetizione costante del comportamento
(mentre a 4 mesi un vocalizzo cessava se si otteneva l'attenzione).
4. 8-12 Mesi: il bambino in questa fase è in grado di dirigere e trattenere l’attenzione sul sé con
strategie divertenti di burla e presa in giro ed è in grado di mostrare e porgere oggetti agli altri. Si
sviluppa quindi l'attenzione sul "terzo oggetto".
5. 12-15 Mesi: i bambini a quest'età riescono a prestare attenzione agli oggetti lontani (anche nel
tempo, intesi quindi come eventi passati e futuri) e non visibili, con tentativi di raggiungimento e di
richiamo.
Bisogna poi elencare alcune Strategie di Richiamo dell'Attenzione:
- Ripetizione di un comportamento per mantenere l’attenzione su di sé (implica consapevolezza del
coinvolgimento dell’altro di conseguenza alla propria azione);
- Interruzione della vocalizzazione di chiamata, quando si ottiene l’attenzione;
- Indicazione proto-richiestiva, per ottenere dall’adulto un oggetto;
- Indicazione proto-dichiarativa, per mostrare all’adulto un oggetto.
L'Attenzione nella Teoria in Seconda Persona viene spiegata partendo da alcuni fondamenti emersi
dagli studi analizzati:
- il primo oggetto di attenzione di cui il bambino è consapevole è il sé;
- la consapevolezza dell’attenzione avviene nel momento in cui il bambino riconosce che l’attenzione
altrui e rivolta verso altri oggetti (superamento della diade), e riesce a riconoscere tali oggetti;
- uno dei primi oggetti che il bambino riconosce dalla fine del primo anno è l’oggetto distale (indicando
e seguendo con lo sguardo);
- la risposta emotiva all’attenzione altrui è appropriata a prescindere dall’età del bambino;
- ad ogni età il bambino è in grado di dirigere e rispondere con l'attenzione propria e altrui verso un
oggetto.
La consapevolezza infantile di cui si parla è quindi di tipo affettivo ed è quella che permette in seguito
una consapevolezza concettuale, ed in essa il ruolo dell’adulto è fondamentale per motivare
l’attenzione del bambino.
Se la risposta emotiva all’attenzione è negativa (tensione) o neutra (disinteresse) in maniera
continuativa, le successive forme di coinvolgimento si trovano ad essere inibite. Ad esempio
nell'Autismo c’è una comprensione dell’attenzione sul sé da osservatore esterno, piuttosto che da
partecipante attivo, e questo spinge verso un orientamento del sé in terza persona.
CAPITOLO 7 - SPERIMENTARE L'AUTOCONSAPEVOLEZZA
Partendo dalle considerazioni che il Sé non è un elemento statico ma emerge e muta dalla relazione
con gli altri, e che la distinzione Sé-Altro, diversamente da quanto teorizzato da Freud e Piaget, è
presente fin dalla nascita, l'Autoconsapevolezza può essere vista come la distinzione e le
somiglianze fra se stessi e le altre persone e l’interesse per le proprie azioni e per il proprio corpo. Ciò
comporta la consapevolezza dell’altro distinto dal sé, ma necessario affinché il sé possa riconoscersi.
Vari studi hanno dimostrato che i bambini di 2 mesi hanno una consapevolezza del proprio corpo
distinta dallo spazio circostante e dagli altri oggetti e una consapevolezza delle proprie azioni in
relazione con gli altri.
Questo è possibile perché il neonato si sente riconosciuto dall’adulto e riconosce un’attenzione
emotiva nei suoi confronti che gli permette di prendere coscienza di sé. Non si tratta quindi di
un’autocoscienza a livello concettuale, che emerge di conseguenza a partire dai 18 mesi, ma di
un’autocoscienza esperita a livello emotivo, in relazione con l’altro (si tratta quindi di Consapevolezza
dell’Altro).
Rispetto alla Valutazione dell'Autoconsapevolezza si può fare riferimento a due elementi:
1. Timidezza: non è considerata un'azione consapevole, ma sono le azioni conseguenti di rossore,
ritrosia e imbarazzo ad essere riconosciute autoconsapevoli.
Vari studi, tra cui quelli di Lewis, hanno mostrato le differenze tra la Timidezza Adulta (o di bambini più
grandi) e quella Infantile:
- Timidezza Adulta: si manifesta con sorrisi di imbarazzo, la tempistica di voltare lo sguardo prima che
il sorriso svanisca o il tentativo di reprimere il sorriso ed evidenti movimenti delle mani verso il volto. I
tipi di contesto in cui si riscontrano queste emozioni ed azioni sono:
- in risposta alle attenzioni degli altri;
- in risposta ad una valutazione (positiva o negativa) espressa da altri;
- in anticipazione ad una valutazione.
- Timidezza Infantile: nel neonato si manifestano sguardi fugaci e diversione della testa che
accompagnano il sorriso e i movimenti delle braccia. Vi è però, differentemente dall'adulto, assenza di
tentativi di reprimere il sorriso (elemento che si manifesta dai 2 anni). I tipi di contesto in cui si
riscontrano queste reazioni sono:
- quando si inizia l’attenzione tramite lo sguardo reciproco e i saluti;
- quando ci si trova in un contesto di attenzione, e soprattutto con sconosciuti.
E' quindi evidente che queste reazioni rappresentano la base delle reazioni consapevoli di ritrosia e
vergogna in età adulta.
Inoltre esse sembrano, a partire dai 4 mesi, diventare più controllate ed utilizzate volontariamente dai
bambini, sopratutto come gesti che invitano al coinvolgimento attivo nella relazione.
2. Esibizione: il tentativo dei bambini di mettersi in mostra (definito "Prestance" dallo psicologo
francese Wallon) è considerata un'azione consapevole che si manifesta in maniera attiva a partire dai
18 mesi. Va però evidenziato che già dai 7/8 mesi i bambini mostrano una consapevolezza
dell’attenzione altrui e cercano di mettersi in mostra con azioni divertenti o intelligenti, ricercando
evidentemente l'approvazione e il complimenti dall’altro (per questo si parla di azione intenzionale).
Inoltre l'esperienza genitoriale dimostra che anche i bambini di 2 mesi mostrano di essere consapevoli
dell’attenzione altrui e abbozzano tentativi di esibizione che perfezioneranno nei mesi successivi.
L'Analisi di Timidezza ed Esibizione permette di rilevare che questi comportamenti non sono
modalità apprese di evitamento, né di ricerca di apprezzamento sociale, ma sono una forma di
continuità con le successive emozioni autoconsapevoli di vergogna e orgoglio. Queste reazioni
indicano quindi una risposta emotiva che prescinde dall’idea di un sé a livello concettuale ma,
nonostante ciò, il bambino percepisce di essere un oggetto di attenzione ed emozioni dell’altro e
reagisce emotivamente.
Inoltre sono questi elementi che concorrono nel determinare, in due modi, le relazioni con gli altri:
- la timidezza positiva accresce l’intimità;
- la volontà di mettersi in mostra del bambino rinforza la relazione.
Vari studi (tra cui la prova dell'immagine nello specchio) sull'Autismo e sulla Sindrome di Down
hanno messo in mostra che bambini con queste difficoltà specifiche presentano
un’autoconsapevolezza di tipo concettuale, ma non di tipo emotivo, per cui risulta presente il mettersi
in mostra ma è caratterizzato da azioni stereotipate e non sensibili alla relazione.
In sintesi bisogna quindi definire che, secondo quanto analizzato, anche se non si può ancora
teorizzare una concettualizzazione del sé prima dei 18 mesi, gli affetti autoconsapevoli sono gli
elementi che portano allo sviluppo del concetto del Sé (e non ne sono quindi il risultato) e formano
quindi le basi per la successiva Autoconsapevolezza, la quale è sia personale che in relazione
all'altro.
CAPITOLO 8 - GIOCARE CON LE INTENZIONI
L’Intenzione (considerata in relazione alla volontà di compiere delle azioni) deve essere contestuale
verso un oggetto, percepibile quindi dagli altri e di conseguenza capace di coinvolgere gli altri e di
suscitare una risposta di condivisione empatica. Essa non può quindi essere considerata come una
rappresentazione mentale individuale diretta a situazioni desiderate e quindi non trasparenti (come
fatto fin ora dalla maggior parte degli approcci psicologici), perché in questo modo non si riuscirebbe a
spiegare la consapevolezza che si ha delle intenzioni altrui.
Considerando la caratteristiche della definizione data ad intenzione, bisogna analizzare tre elementi:
1. Percepibilità: bisogna principalmente analizzare cinque caratteristiche delle azioni intenzionali, le
quali vengono spesso trascurate:
- Direzionalità verso gli Oggetti: gli oggetti ci rendono consapevoli sia dell’attenzione, sia
dell’intenzione altrui. Già a 3 mesi, come dimostrato da uno studio sperimentale da Woodward, il
bambino è in grado di percepire sia la direzione di un’azione dell’altro, sia la direzione verso un
preciso oggetto, riconoscono quindi le intenzioni di un’azione verso uno specifico oggetto;
- Singolarità: l’azione intenzionale è costituita da un singolo atto, non da una serie di movimenti. E'
stato dimostrato che il bambino di 10 mesi è già in grado di percepire anche il ritmo delle intenzioni e
delle azioni a lui dirette (non si è ancora studiato se questa abilità percettiva e cognitiva abbia inizio
già prima);
- Forma: le azioni intenzionali hanno una forma coerente e non arbitraria e questo ne permette la
percezione agli altri. Il bambino di 2 mesi è in grado di riconoscere la forma del movimento biologico,
distinguendolo da quello automatico, anche se non sappiamo ancora se siano in grado di identificare
la sua tonalità affettiva, nel caso esso sia compiuto da elementi meccanici;
- Volontarietà: ogni movimento prodotto dall’organismo è percepito come volontario esclusi:
- riflessi;
- azioni accidentali;
- azioni forzate.
Non si sa però molto su come i bambini e gli adulti siano in grado di distinguere tra movimenti
volontari e non volontari, anche se si può dire che già a cinque mesi il bambino è in grado di
distinguere movimenti autoprodotti casuali e intenzionali;
- Aspettativa di Cambiamento: un’azione intenzionale provoca un cambiamento in positivo o negativo
e coinvolge quindi le intenzioni dell’altro. La consapevolezza reciproca delle proprie e altrui intenzioni
permette di allora di ostacolare o assecondare le azioni dell’altro.
2. Contestualità: il Contesto, inteso nella sua accezione spazio-temporale, deve essere considerato
al fine di comprendere il significato delle intenzioni coinvolte. Esso quindi non è un elemento
aggiuntivo, come considerato da vari psicologi attuali (ad es. Tomasello), ma è parte integrante delle
intenzioni.
3. Partecipazione Attiva: l'intenzione prevede al suo interno una partecipazione (da intendere nei
termini di apertura) che coinvolge l'altro, che a sua volta può modificarla attraverso il proprio
comportamento di risposta. La chiave per avere consapevolezza delle intenzioni può essere quella di
sperimentarle emotivamente (Michotte e Hobson) e la partecipazione, in questa visione, è di due tipi:
- Condivisione Empatica (che conduce all'adozione dell'intenzione dell'altro);
- Richiesta di una Risposta (che conduce ad un comportamento coerente con l'intenzione altrui).
Per considerare Cosa Fanno i Bambini con le Intenzioni degli Altri bisogna analizzare determinati
specifici comportamenti:
- Imitazione dell'Azione Intenzionale: a partire dai 2 mesi il bambino è in grado di imitare azioni
intenzionali dell’adulto ma non quelle di un gioco meccanico, e questo identifica che egli riconosce
l’intenzionalità dell’adulto nei suoi confronti e vi risponde, la richiama e la provoca se l’adulto si blocca.
E' stato dimostrato che invece i bambini autistici non sono in grado di imitare correttamente l'azione, e
sopratutto non colgono lo "stile" (sia esso più bizzarro o normale) con cui essa è compiuta;
- Aiutare le Intenzioni degli Altri: già a 3/4 mesi il bambino è in grado di riconoscere un’azione
incompiuta dell’adulto e la forma che andrebbe ad assumere, e riesce a cooperare ed accomodarsi
all’intenzione dell’adulto. Che questo non sia portato da una "semplice" comprensione della traiettoria
dell'azione o dal desiderio relativo a quell'azione del bambino è comprovato da due elementi:
- i bambini autistici non attuano comportamenti di aiuto delle intenzioni degli altri;
- l'aiuto delle intenzioni è compiuto anche in azioni che il bambino non desidera.
- Obbedire alle Intenzioni Altrui: intorno agli 8/9 mesi il bambino comincia a cogliere le intenzioni altrui
al di fuori del coinvolgimento immediato e mostrano accondiscendenza o contrarietà ai comandi e alle
proibizioni, consapevoli (in entrambi i casi) delle aspettative e dell’intenzionalità dell’adulto. Sembra
inoltre (anche se i dati empirici a tal proposito sono ancora scarsi) che in gioco vi sia anche un
equilibrio portato da rinforzi positivi per i comportamenti corretti;
- Scoprire le Perturbazioni delle Azioni Intenzionali: intorno agli 8/9 mesi il bambino è in grado di
riconoscere una perturbazione e di ricercare nell’adulto l’informazione sul problema e la motivazione
che provoca una certa azione. È la presenza del problema che permette di verificare l’intenzionalità
delle azioni altrui e di correggere i fraintendimenti comunicativi.
- Perturbare le Intenzioni dell'Altro: rispetto alla perturbazione di un'azione (utilizzare quindi atti
comportamentali insoliti o socialmente inaccettati) i bambini dimostrano, con la loro reazione di
sorpresa, di essere già a conoscenza delle intenzioni altrui, tanto da notarne le evidenti modifiche o
incoerenze. Già a partire dai 9/10 mesi cominciano a comparire le prime forme di presa in giro. Tra
esse si sviluppano principalmente alcuni Tipi di Provocazione:
- Scherzare con Non-Collaborazione: provocare l’adulto tentando di compiere una
proibizione;
- Scherzare Provocando: rispondere o attivare un’azione che susciti una risposta
nell’altro.
La presa in giro è in genere suscitata da una nuova interazione e spesso, nel tempo, diventa un gioco.
È chiaro nella presa in giro la consapevolezza del bambino per la direzione e forma delle intenzioni
altrui.
E' stato anche rilevato che i bambini autistici, rispetto ai bambini normodotati o con la Sindrome di
Down, dimostrano scarsa capacità di attuazione di questi elementi di scherzo, in quanto manca loro la
capacità di rilevare le intenzioni altrui.
Rispetto allo Sviluppo della Consapevolezza delle Intenzioni bisogna partire dalla considerazione
che tutte le forme di coinvolgimento intenzionale e autentico (quindi non preordinato e routinario), ma
sopratutto il gioco e la presa in giro, portano ciascun soggetto al'interno delle intenzioni dell'altro. Essa
si sviluppa poi nel bambino attraverso il coinvolgimento emotivo con l’adulto e attraverso il gioco il
bimbo apprende il ritmo alternato con l’altro, ma anche le reazioni emotive, l’intenzionalità e il
coinvolgimento reciproci.
In un progressivo sviluppo le Intenzioni degli altri vengono apprese:
- inizialmente in prima persona, sentendo la stessa azione nel proprio corpo;
- in seconda persona, percependole come a sé dirette;
- infine in terza persona, come rappresentazioni concettuali.
Concetto fondamentale rimane comunque la Reciprocità del Coinvolgimento.
Nell'Autismo si riscontrano deficit nell’imitazione, difficoltà nell’ubbidire, nel far fronte ai
fraintendimenti comunicativi e una modalità atipica di presa in giro, con una frequenza inferiore
rispetto agli altri bambini.
CAPITOLO 9 - CONDIVIDERE IL DIVERTIMENTO
L'Umorismo, e conseguentemente ad esso il divertimento, è suscitato dall’incongruenza, per cui esso
si basa su un aspetto anomalo e inusuale di alcuni elementi. Esso viene accompagnato da
un’attivazione fisiologica ed è determinato da azioni sociali divertenti.
Fondamentali sono le Funzioni Sociali (in quanto esso è un atto sociale perché si realizza nello
scambio comunicativo tra due o più soggetti) e le Funzioni Emotive (in quanto l'umorismo non è
comprensibile come "semplice" elemento cognitivo).
Va quindi posto alla base che l'Umorismo si realizza nello scambio con l'altro (sia esso reale o
immaginario) e le varie ricerche sui bambini tendono a dimostrare questa tesi.
Due Prospettive Cognitivo-Evolutive sulla Comparsa dell'Umorismo (Schultz e McGhee) hanno
teorizzato che solo dopo i 18 mesi i bambini riescano a rappresentarsi simbolicamente due differenti
versioni della realtà necessarie al riconoscimento dell'incongruità, e che però dopo i 6-7 anni colgano
il significato della battuta, riuscendo quindi a "risolvere le incongruità".
Secondo McGhee già dopo i 4 mesi i bambini percepiscono l'incongruità ma non sono in grado di
comprendere che essa proviene dal far finta (o non è minacciosa ma scherzosa, come definito da
Rothbart) e questo, fino ai 18 mesi, gli impedisce di fare esperienza dell'umorismo.
Questi dati teorici sono però in contrasto con l'evidenza empirica rilevata dai genitori secondo cui i
bambini inizierebbero a scherzare anche prima di parlare.
Considerando la Risata, essa non è direttamente indicatore dell'umorismo (in quanto si ride per
differenti ragioni, oppure si può anche non ridere per cose umoristiche), ma va considerata nei suoi
aspetti contestuali e relazionari, ed è in questo senso che può essere analizzata come frutto della
comprensione dell'umorismo.
È fondamentale quindi che la risata del bambino sia comprensibile, condivisibile e contestualizzata.
Solo in questo modo il bambino può fare esperienza del divertimento. E' quindi necessaria una
relazione fra l’adulto e il bambino a rendere l’evento divertente. Vari studi hanno confermato che in
bambini con sviluppo tipico e in quelli con la sindrome di Down il motivo della risata sia sempre
spiegabile da parte dei genitori (cosa che però non avviene sempre in bambini autistici) e che vi sia
una sorta di Affordance (intesa, da Gibson, come caratteristiche distintive offerte dall'ambiente)
genitore-bambino basata su stimoli quali la novità, la sorpresa e l'ambiguità (caratteristiche percettive
divertenti individuate da Berlyne).
Questi dati permettono di determinare che lo Sviluppo della Comicità inizi precocemente nell'infanzia e
vada poi mutando in termini di contenuto, cambiando quindi i suoi contenuti-bersaglio e la sua
comprensione. Va comunque tenuto in conto che l'Umorismo si sviluppo in un triplo set di relazioni
bi-direzionali tra:;
- bambino;
- genitore;
- evento.
Inoltre è stato rilevato come, fino al primo anno di vita, il divertimento si trovi più relazionato
all'interazione sociale che all'evento in se, per cui vi è una prima fase che prevede una condivisione
necessaria per lo sviluppo della risata (e del divertimento in generale) che, solo in seguito, potrà
essere sviluppata anche in solitaria (anche se, nel nostro immaginario, è comunque sempre presente
un potenziale interlocutore).
Considerando ora la Sensibilità alle Risate degli Altri bisogna fare una distinzione:
- prima dei 6 Mesi: il bambino si dimostra interessato alle risate degli adulti e cerca di riprodurle,
anche senza necessariamente comprenderne il motivo;
- dopo i 6 Mesi: il bambino inizia, prima in modo casuale, a compiere atti che suscitano l'ilarità degli
altri. Attraverso essi si sviluppa la capacità del bambino di comprendere l'attenzione altrui e i motivi
che stanno alla base di queste risposte emotive, giungendo fino ad essere in grado di influenzarle.
Va però analizzato che l'Umorismo, richiedendo una forte dose di coinvolgimento e sensibilità,
prevede paradossalmente un simultaneo Distacco e Disimpegno per essere realizzato. L'umorista
(inteso come qualunque soggetto che sta facendo umorismo) deve quindi riuscire a realizzare una
non-relazione al fine di cogliere il divertimento da situazioni che non necessariamente lo sono.
In questo senso i bambini hanno dimostrato, in diverse prove empiriche, già a 9 mesi di saper
Prendere in Giro, eludendo quindi ciò che è comunemente accettato e compiendo quanto è
inaspettato, in tre differenti modi:
- non accondiscendere fatto a fini provocatori;
- offrire per poi ritirare un oggetto;
- azioni provocatorie che perturbano le attività degli altri.
L'aspetto più importante è la reciprocità della presa in giro, che la rende valida solo se compresa dagli
altri.
Le Motivazioni per Prendere in Giro sono differenti:
- rendere più profonda la comunicazione, visto che è necessario un maggiore impegno interpersonale
per ripristinare lo stato precedente (Nakano);
- creazione di "eventi critici" che permettono di creare nuovi modi di relazione;
- stabilire un contatto profondo sul piano psicologico;
- creare forme di controllo sociale e di bullismo;
- sollecitare forme di coinvolgimento positivo e creare livelli più profondi di intimità.
CAPITOLO 10 - COMUNICARE IN MANIERA NON VERITIERA
L’Inganno, che per Reddy è da analizzare nel suo approccio in seconda persona, quindi valutando
l'esperienza dell'ingannabilità dell'altro in relazione con il sé, è una forma di comunicazione che
necessita di un partner comunicativo, di un significato e di un’intenzione.
Non è plausibile, analizzando i dati empirici rilevati, affermare che per ingannare il bambino necessita
la consapevolezza delle credenze e delle false credenze dell’altro perché queste si sviluppano intorno
ai 4 anni, come definito dalla Theory-Theory (o Teoria della Mente) ma di fatto i bambini sono in grado
di provocare azioni ingannevoli verso l’altro già dal primo anno. Se infatti ad un anno i bambini sono in
grado di fornire informazioni veritiere (ad es. gesto proto-informativo), e di correggere gli altri quando
capiscono male, non è accettabile escludere che siano in grado anche di fornire informazioni
ingannevoli.
Vi sono inoltre altre Critiche al Concetto di Inganno della "Theory-Theory":
- le bugie non sono azioni ingannevoli utilizzate per ottenere un guadagno materiale o per evitare una
punizione (dato che questa è una modalità che si sviluppa più avanti);
- non si può neanche sostenere che tali azioni siano inappropriate e poco flessibili;
- non si tratta neppure di risposte o giochi appresi in precedenza.
Si tratta di vere e proprie Bugie Sfrontate. Di queste, come rilevato dallo studio di Newton, esistono
quattro tipologie (ciascuna con il proprio significato):
- Nascondere un vissuto emotivo;
- Mostrare un vissuto emotivo diverso;
- Dichiarare non vero qualcosa che è appena accaduto;
- Fare una falsa affermazione.
Le Fasi dell’Inganno Infantile sono principalmente tre:
- Suscitare una falsa credenza;
- Aspettare la reazione dell’altro;
- Confessare l’inganno.
Le Modalità di Presa in Giro sono diverse e si possono presentare nella forma verbale e non
verbale:
- Bugia per difendersi;
- Bugia per ottenere benefici materiali;
- Fingere di non sapere;
- Falsa autoaccusa;
- Fingere di aver ottenuto un permesso;
- "Salvare la faccia";
- Presa in giro per il semplice divertimento;
- A fin di bene (si presenta dai 4 anni);
- Nascondere qualcosa;
- Distogliere l’attenzione altrui per compiere azioni proibite;
- Azioni ingannevoli per attirare l’altro (dagli 8 mesi pianto);
- Simulare l’esistenza di un oggetto inesistente.
Ovviamente, come rilevato dagli studi compiuti, queste abilità non nascono "dal nulla" in una precisa
fascia di età ma tendono a svilupparsi con il tempo, passando da utilizzare l'attenzione altrui e il
proprio corpo come oggetto di inganno (ad es. fingere di piangere per ottenere l'attenzione), a forme
triadiche che tendono a coinvolgere anche gli oggetti esterni.
Rispetto al Perché si Sviluppa la Capacità di Ingannare bisogna considerare, diversamente dalle
teorizzazioni cognitive della "Teoria della Mente", che essa emerge in uno scambio dialogico e
relazionare tra soggetti (in primis tra madre e bambino) e che quindi i bambini si regolano rispetto
all’adulto, alle sue risposte e alla tolleranza che mostra rispetto a queste azioni. Si parla allora quindi
di azione sociale e non di risposte apprese in maniera rigida.
Il "carburante" che alimenta queste forme di comportamento relazionare è il dialogo emotivo che si
sviluppa quindi in questi contesti specifici, permettendo al bambino di sperimentare, attraverso
l'ingannabilità degli altri, all'interno di sé il processo della comunicazione prossimale (sia essa vera o
falsa). Queste sperimentazioni permettono poi successivamente di estendere la capacità di ingannare
anche ad oggetti esterni e distali.
CAPITOLO 11 - ALTRE MENTI E ALTRE CULTURE
L'Approccio in Seconda Persona sviluppato in questo libro prevede il coinvolgimento attivo del
soggetto, inteso come l'elemento cardine per comprendere gli altri da un punto di vista evolutivo ed
esperienziale. Gli altri approcci, proposti da altre impostazioni teoriche, sono invece:
- Approccio in Prima Persona: parte dal sé, attribuendo un ruolo di fondo alla simulazione o al
modellamento;
- Approccio in Terza Persona: deduzione degli stati mentali attraverso inferenze ottenute
dall'osservazione distaccata del comportamento.
Tali teorie non permettono però di spiegare come i bambini possano comprendere le persone, in
quanto altre ed in quanto persone.
Stabilire un Coinvolgimento in Seconda Persona è quindi necessario per divenire consapevoli in
quanto l'informazione che ne deriva ha un significato ed un'accuratezza maggiore, viene sperimentata
(piuttosto che simulata o inferita) e crea nuovi aspetti di cui essere consapevole. Da questa
definizione derivano due ulteriori Implicazioni:
- la Partecipazione è Necessaria per la Comprensione degli Altri: questo vale sia per gli adulti che per
i bambini e necessita quindi di sviluppare nuovi strumenti di ricerca in psicologia;
- è Necessario un Coinvolgimento anche per la Comprensione di Altre Culture: bisogna abbandonare
un tentativo di osservazione esterna delle altre culture e iniziare a coinvolgersi, partendo dalla base
comune dell'essere umano (esistenza di bisogni, necessità, desideri...), con gli appartenenti ad altri
popoli, sperimentando una condivisione emotiva che può consentire, come nel caso del bambino, di
comprendersi meglio.