Lectio Divina Il Cantico dei cantici (3,6-5,1) A cura della Comunità dei Chierici Regolari di San Paolo - Barnabiti Santa Maria al Carrobiolo – Monza www. carrobiolo.it 1 LA LETTIGA DI SALOMONE ( 3,6-11) CORO 3,6 7 8 9 10 11 Che cos'è che sale dal deserto come una colonna di fumo, esalando profumo di mirra e d'incenso e d'ogni essenza esotica? Ecco la lettiga di Salomone! La scortano sessanta prodi, tra i prodi di Israele: tutti impugnano la spada e sono addestrati alla guerra, ognuno cinge al fianco la spada contro gli incubi della notte. Un baldacchino s'è fatto il re Salomone in legno del Libano, ne ha fatto le colonne d'argento, d'oro la spalliera, il seggio in porpora, l'interno è stato ricamato con amore dalle figlie di Gerusalemme. Figlie di Sion, uscite a vedere il re Salomone con la corona che sua madre gli ha imposto nel giorno delle sue nozze, nel giorno della festa del suo cuore. La voce fuori campo che intona questo epitalamio, che funge anche da intermezzo e che è un pezzo di bravura descrittiva, potrebbe essere quella del coro. Lo spunto sembra venire dalla decisione della sposa di portare il suo uomo nella "casa della madre" compiendo così una processione nuziale che ora il coro o un solista del coro dipinge usando una scenografia regale, "salomonica". La lirica e il suo fondale esotico sono simili al cesello con cui si è lavorata la lettiga di Salomone. 2 Una nuvola di profumo (v. 6) La voce ci introduce in una scena quasi irreale: dal deserto montuoso che circonda Gerusalemme si leva una nuvola di polvere. Essa è simile a una colonna di fumo che sale verso l'alto e quindi verso Sion. Non è la polvere sollevata da una carovana di mercanti o di pellegrini che salgono verso la città santa cantando gli "inni delle ascensioni" (Sal 120-134). Infatti quella nuvola emana profumi di mirra, d'incenso e di altre polveri ed essenze aromatiche preziose importate da commercianti internazionali (vedi Ez 27,12-25). È facile immaginare come questa scena possa trasfigurarsi agli occhi di un lettore della Bibbia: la processione della lettiga nuziale può trasformarsi nel corteo degli Ebrei che dall'Egitto entrano nella terra promessa; la lettiga è l'arca avvolta nella nube d'incenso mentre la colonna di fumo è la nube teofanica con cui Dio ripara il suo popolo dall'ardore del sole del deserto. È per questo che l'esegeta francese A. Robert riferisce tutta la nostra scena al ritorno degli Ebrei dall'esilio babilonese nel secondo esodo di liberazione. Il poeta effettivamente poteva anche aver in mente quella scena biblica, come poteva aver sentito descrivere le meravigliose processioni per il nuovo anno a Babilonia o anche le due processioni egiziane che trasferivano il dio Amon da Karnak a Luxor nella festa di OpeT. Ma il senso è molto più immediato e legato direttamente al mondo ebraico. Il riferimento è quello di una celebrazione nuziale in tutto il suo fasto e in tutta la sua eccitazione. Ecco la lettiga di Salomone! (vv. 7-10) La nuvola di profumi, avvicinandosi, si dirada ed ecco apparire la lettiga imperiale di Salomone (v. 7), un palanchino stupendo intarsiato in oro (Est 1,6) e avorio (Am 6,4) come quelli dei re d'Oriente. D'altronde Salomone non si era sposato anche con una principessa di uno dei più potenti regni della terra, l'Egitto? Il coro vuole quindi sovrapporre, quasi in dissolvenza, al corteo nuziale dei due sposi del Ct la rappresentazione visiva delle più celebri nozze, quelle regali di Salomone con la figlia del faraone (1Re 9,16). Attorno alla portantina (l'archeologia ne ha messe alla luce alcune dei cananei, usate per portare le statue degli dei) marcia la guardia del corpo. 3 Si tratta di sessanta (i re ebraici solitamente ne avevano solo cinquanta) militari scelti, di altissimo addestramento (2Sam 10,7; 23,8-9.16-17.22; 1Re 1,8), che fungono ora da scorta ufficiale da parata. Armati fino ai denti, essi sono pronti ad affrontare ogni tipo di assalto e di incursione, soprattutto "gli incubi della notte" (v. 8). Quest'ultima locuzione, oltre al suo valore immediato (la notte è sempre segno di male e di terrore, Gv 3,29), forse allude, dato il contesto nuziale, a certe tradizioni popolari dell'antico (e recente) Oriente. Quel "romanzo popolare" sacro che è il libro biblico di Tobia mette in scena il demonio Asmodeo, nemico sanguinario di ogni matrimonio della giovane Sara (Tb 3,7ss). Era per questo che nel giudaismo si consigliava l'astinenza dal matrimonio nelle prime tre notti così da depistare gli spiriti maligni notturni. In Armenia la coppia dei giovani sposi è scortata da una guardia armata durante la prima notte di matrimonio. I Veda, scritti sacri indiani, consigliano ai neo-sposi di scagliare nella prima notte di nozze frecce contro i demoni che attentano alla loro fertilità e alla loro felicità. La lettiga, intravista da lontano, ora appare in tutto il suo splendore (vv. 910). Gli occhi si fissano stupiti ad ammirarne le bellezze che la rendono simile alle portantine per le processioni delle statue degli dèi orientali, simile, ad esempio, al kurgarru con cui a Babilonia si portava la dea della fertilità Istar. Il termine stesso ebraico usato per indicare la lettiga è esotico ed unico nella Bibbia e sembra rimandare ad una specie di trono o ad una tenda nuziale o anche a un palazzo reale in miniatura. All'interno, considerati come se fossero prìncipi di sangue reale secondo la citata prassi siriana e trans-giordanica, sono assisi gli sposi per tutta la settimana delle celebrazioni nuziali. È curioso notare che i kirghisi dell'Asia centrale nella tenda nuziale intronizzano la sposa sopra i doni ricevuti: quanto più i doni sono numerosi tanto più la sposa emerge dall'apertura centrale della cupola della tenda! Lo splendore del baldacchino di Salomone è definito fin nei dettagli: legno del Libano, colonne d'argento, spalliera d'oro, rivestimenti in porpora, la stoffa regale (Odissea, XIX, 225), usata però anche per l'arca dell'alleanza (Es 26,1.36; 27,16), per il velo del tempio (2Cr 3,14) e per gli abiti sacerdotali (Es 28,5.6.8.15.33). Infine i ricami preparati con amore dalle ragazze di Gerusalemme. 4 Figlie di Sion, uscite a vedere! (v. 11) All'avanzare del corteo tutta la città si mette in agitazione. Dalle case escono le donne di Sion: è l'unica volta nella Bibbia che si usa l'espressione "figlie di Sion" (in Lam 4,2 abbiamo "figli di Sion"). Secondo la simbologia regale e il riferimento a Salomone lo sposo appare con la corona che in questo giorno di festa la madre gli ha imposta sul capo. La corona in Oriente è simbolo di felicità (Gb 19,9; Sap 2,8) e nel giudaismo gli sposi venivano incoronati (Is 61,10), almeno fino al 70 d.C., anno della distruzione di Gerusalemme. Da quell'anno in segno di lutto la corona fu abolita. Rabbì Eliezer aveva coniato questo detto: «Lo sposo è simile a un re». E ancor oggi nella celebrazione del matrimonio ortodosso agli sposi vengono imposte due corone regali, mentre nei riti armeno, caldeo e maronita è solo la sposa ad essere incoronata. Scende il sipario su questa scena di corteo nuziale, scena piena di colori, di profumi, di voci, di fervore. Tra poco attorno al baldacchino nuziale si farà silenzio. I due sposi, ormai soli, si contempleranno e affideranno il loro amore alle parole e al linguaggio misterioso del corpo. Mentre ci prepariamo a questo nuovo atto ascoltiamo una pagina di un famoso romanzo di Thomas Mann, Giuseppe in Egitto (1936). Con un occhio attento al Ct lo scrittore tedesco dipinge così il corteo della moglie di Potifar, l'adescatrice del giovane Giuseppe. Dall'harem veniva un corteo: precedevano cinque servi in grembiule e corte cappe di tela, seguivano cinque ancelle coi capelli sciolti e nel mezzo, sospesa sulle nude spalle di schiavi nubii, con i piedi incrociati poggianti sui cuscini di una lettiga dorata e adorna di teste animali dalle fauci aperte, sedeva una donna egizia. Era molto curata, coi gioielli fulgenti sulle crespe chiome, oro al collo, dita inanellate, braccia di giglio; e un braccio candido e delizioso lasciava ella pendere mollemente da un lato della lettiga. Sotto la corona di gemme della testa, Giuseppe vide il suo profilo che aveva un carattere così personale, nonostante il sigillo della moda: gli occhi allungati col cosmetico verso le tempie, il naso rientrante, la fossetta ombrosa delle guance, la bocca nello stesso tempo piccola e morbida che serpeggiava sinuosa tra angoli profondi. (Th. Mann, Giuseppe in Egitto, Mondadori, Milano 1981, p. 141). 5 IL CANTO DEL CORPO (4,1-5,1) LUI 4,1 2 3 4 5 6 7 8 Come sei incantevole mia amata, come sei incantevole! I tuoi occhi sono colombe, dietro il tuo velo; i tuoi capelli sono come un gregge di capre che discendono dal monte Galaad; i tuoi denti sono come un gregge di pecore da tosare che risalgono dal bagno: tutte avanzano in coppia e nessuna è senza compagna. Come un nastro scarlatto sono le tue labbra, la tua bocca è affascinante, come spicchio di melagrana è la tua guancia dietro il tuo velo. Il tuo collo è come la Torre di Davide, costruita a strati perfetti, dalla quale pendono mille scudi, tutti trofei di prodi. I tuoi seni sono come due cerbiatti, gemelli di gazzella, che pascolano tra i gigli. Prima che spiri la brezza del giorno e si allunghino le ombre, me ne andrò al monte della mirra, alla collina dell'incenso. Tutta incantevole sei, mia amata, non c'è in te difetto! Con me dal Libano, o sposa, con me dal Libano, vieni! Discendi dalla vetta dell'Amana, dalla vetta del Senir e dell'Hermon, dalle tane dei leoni, dai monti dei leopardi. 6 9 10 11 12 13 14 15 LEI 16 LUI 5,1 Mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa, con un solo sguardo mi hai rapito il cuore, con una sola perla della tua collana. Come sono incantevoli i tuoi amori, sorella mia, sposa, quanto più soavi del vino sono i tuoi amori, la fragranza del tuo profumo è superiore a ogni altro profumo Le tue labbra stillano nettare, o sposa, c'è miele e latte sotto la tua lingua; la fragranza delle tue vesti è come la fragranza del Libano. Un giardino chiuso sei, sorella mia, sposa, un giardino chiuso, una sorgente sigillata. I tuoi germogli sono un paradiso di melograni con frutti squisiti, di alberi di cipro e di nardo, di nardo e di zafferano, di cannella e di cinnamomo, di ogni albero di incenso, di mirra e di aloe, di tutte le essenze balsamiche. Sorgente di giardini tu sei, pozzo di acque vive che scaturiscono dal Libano. Déstati, aquilone, vieni, austro, soffia sul mio giardino, esalino i suoi balsami. Venga il mio amato nel suo giardino a cibarsi dei suoi Frutti squisiti. Sono venuto nel mio giardino, sorella mia, sposa, a raccogliere la mia mirra e il mio balsamo, a cibarmi dei mio Favo e del mio miele, a bere il mio vino e il mio latte. Compagni, mangiate, bevete e inebriatevi, amici! 7 Appoggiò la testa sulla sua spalla e ripeté le parole del Cantico dei cantici: Baciami con i baci della tua bocca, perché il tuo amore è migliore del vino. Giuseppe la baciava e le diceva, riprendendo i paragoni del testo sacro, che i suoi capelli erano neri come le caprette dei monti di Galaad, i denti bianchi come pecore che escono dal lavatoio, le labbra rosse come gli anemoni e le guance rosee come la polpa del melagrana. Di tutti questi paragoni piaceva a Maria solo l'ultimo, perché veramente non c'è rosa più delicato e cangiante della polpa di melagrano ( P. Festa Campanile, Per amore, solo per amore, Bompiani, Milano 1983, p.103). Questa, desunta da un mediocre romanzo di P. Festa Campanile sulla coppia di Nazareth, Maria e Giuseppe, è una delle tante citazioni che il nostro "canto del corpo" ha avuto nella storia letteraria. Fattosi il silenzio dopo la grandiosa processione nuziale della pagina precedente, una pagina - come si è detto - di grande bravura e di erudizione, si leva nell'intimità della tenda nuziale il canto d'amore dello sposo. La sua è una finissima lirica dai toni erotici affini a quelli del genere arabo del wasf che in seguito presenteremo. Il tema è uno solo, il fascino e lo splendore del corpo femminile, espressione di una bellezza totale umana, spirituale e corporea, interiore e fisica. La musicalità dell'originale ebraico è unica perché affidata a ritmi continuamente mutevoli: dalla lode pacata e fastosa scandita dai 3 + 3 accenti si passa all'eccitazione fresca e lieve del metro brevissimo (2 + 2 accenti) per giungere sino allo struggimento del registro malinconico (3 + 2 accenti). È difficile in questo flusso melodico distinguere nettamente gli spazi, isolare i movimenti poetici. Un ritratto a cammeo della donna amata (4,1-7) inquadrato da due esclamazioni stupite (‘Come sei incantevole mia amata ... Tutta incantevole sei mia amata’) e un idillio legato all'immagine del giardino (4,12-5,1) sono intercalati da un brano di totale rapimento (4,8-11) racchiuso in unità dalla menzione del Libano in apertura (v. 8) e in finale (v. 11). Col gusto un po' barocco della poesia semitica le immagini si accalcano ed esplodono in giochi pirotecnici di colori, di suoni, di simboli, di profumi. Dietro il velo nuziale brillano gli occhi affascinanti, si intravede il nero delle chiome a cui fa da contrasto il candore dei denti. Filo di porpora sono le labbra, spicchio di melagrana è la gota, fermo e slanciato è il collo 8 come una torre che svetta verso il cielo mentre i seni liberi sotto la veste richiamano al poeta il dolce saltellare dei cerbiatti. Da questa contemplazione la poesia si accende sempre più di entusiasmo e di ebbrezza fino a diventare estasi e follia. Il canto dello sposo sembra quasi impazzire e tendere al mistero' e all'ineffabile: «Mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa!» (4,9). Una poesia "corporea" di grande purezza che richiede occhi limpidi e cuore puro. Prima di leggere queste pagine e le altre affini del Ct, per non scandalizzarsi e per non banalizzarle, bisognerebbe ricordare alcune parole della lettera 173 che Caterina da Siena aveva indirizzato ad un frate che aveva abbandonato il suo stato religioso: Occorre levare la nebula dell'intenebrimento della malizia e dell'amar proprio, levare questa nebula acciocché il vedere rimanga chiaro. Come sei incantevole, mia amata! (4,1-7) Lo sguardo innamorato dello sposo percorre il pianeta vivo ed affascinante del corpo della sua donna. Attraverso il velo imposto in Oriente alle donne - o forse anche attraverso la trama sottile della capigliatura simile ad un velo - balenano gli occhi "simili a lune", come si dice spesso nella poesia araba e nei racconti delle Mille e una notte, "simili a colombe", come invece dice il nostro poeta rievocando l'animale della tenerezza, della fedeltà e dell'amore caro al Ct (2,14). Il velo nasconde e svela al tempo stesso in un gioco allusiva pieno di fascino. La folta capigliatura corvina che quel velo non riesce a coprire è audacemente comparata a un gregge di capre dal mantello nero lucente iridato di riflessi di rame. I capelli coprono morbidamente volto e collo come le capre coprono le pendici del Galaad in una discesa molle ed ondeggiante. Al mondo pastorale il poeta attinge ancora per dipingere il candore dei denti (v. 2). Lavate prima della tosatura, le pecore biancheggiano sul verde del prato (Sal 65,14) e procedono a coppie secondo file armoniche. Così è la perfetta dentatura della donna, circondata dal nastro purpureo delle labbra (vedi Gn 38,28.30; Gs 2,18-21 per le allusioni bibliche), in un contrasto provocante di colori, mentre la bocca si schiude nell'armonia di una voce dolcissima ("bocca" del v. 3 è letteralmente "parlare"). Dietro il velo appaiono in tutta la loro bellezza 9 anche le guance (o, per altri, le tempie) le quali evocano per lo sposo il frutto del melograno, un frutto caro al Ct. Lo spettro dei suoi colori (rosso, verde, bianco, dorato) crea un impasto di freschezza, di vitalità, di vigore. Dal viso si passa ora al collo e dai simboli rurali a quelli urbani (v. 4). Il collo sottile e slanciato della donna - e il pensiero corre alla statua della regina egiziana Nefertiti o ai profili femminili del Pollaiuolo - è arditamente comparato alla "Torre di Davide" che si staglia nel cielo tersissimo di Gerusalemme. Forse, evocando Gerusalemme, si vuole rimandare non solo ad un sottile senso spirituale ma anche ad una stilizzazione della città santa con la più alta delle sue torri (ma a noi ignota), costruita a strati perfetti, sulla quale sono appesi mille scudi, segno di mille vittorie. Davide, ad esempio, quando aveva vinto il re di Zobà Hadad-ezer «lo aveva depredato di tutti i suoi scudi d'oro e li aveva portati a Gerusalemme consacrandoli con altri al Signore» (2Sam 8,7.11). Così aveva fatto Salomone (1Re 10,16-17). Nella trasparenza dell'immagine femminile gli scudi si trasformano negli ornamenti e nelle collane che la sposa porta sul suo collo. Lo sguardo ora si fissa con tenerezza e con delicatezza sui seni della sposa (v. 5). Mobili e perfettamente gemelli, rimandano ad una coppia di cerbiatti che balzano, pieni di vitalità, su un campo di gigli: la tunica col suo colore diventa in questo modo il piano sul quale i seni liberi della donna si muovono seguendo i movimenti del busto. Un erotismo delicato, appena accennato. Un erotismo che non conosce volgarità, insistenza, malizia ma neppure ipocrisia. Un erotismo che si affida solo all'allusivo quando la raffigurazione del corpo giunge col v. 6 al sesso della donna. Si sta stendendo il velo della notte, le ombre si allungano e la brezza serale comincia a soffiare (vedi 2,17). E giunto il momento dell'amore, dell'abbraccio inebriante. Lo sposo verrà accolto dalla sua donna che lo attende con amore. È come varcare le soglie di un'ebbrezza sconfinata. La sessualità della donna è come un monte avvolto dai profumi degli alberi di mirra e di incenso. Tutto il corpo ora è posseduto visivamente e tattilmente ma anche spiritualmente in un dialogo perfetto. È un'esperienza di bellezza assoluta e intatta; difetti e macchie scompaiono perché tutto è purificato dal fuoco dell'amore. Di Assalonne, lo stupendo figlio ribelle di Davide, la Bibbia diceva: «Dalla pianta dei piedi al vertice del capo non v'era in lui difetto» (2Sam 14,25). 10 L’esclamazione finale (v. 7) usa per indicare questa perfezione della donna del Ct un vocabolo di totale purezza ("senza difetto") attribuito dal Levitico alle vittime sacrificali perfette (Lv 21,17.18.21.23; 22,20.21.25; Ml 1,13-14). C'è una purezza quasi sacra nell'amore puro. E per questo che la tradizione cristiana ha applicato questa qualità alla comunità dei credenti (Ef 1,4; Col 1,22; FiI2,15; Giuda 24; Ap 14,5) o al Cristo stesso (Eb 9,14; 1Pt 1,19) o a Maria nella celebre antifona liturgica Tota pulchra es, Maria, et macula originalis non est in te! Come la fragranza del Libano (4,8-11) La libertà della poesia e della fantasia d'amore emerge limpidamente dal salto di scena che questa strofa impone. Il riferimento ai monti profumati del v. 7 produce ora l'apparizione del Libano e della sua catena. Questo sistema montuoso, come è noto, fa da corona alla Palestina settentrionale. Oltre al Libano vero e proprio si menziona l'Amana, di solito identificato con l'attuale Gebel ez-Zebedani, da cui nasce l'omonimo fiume di Damasco, Amana (anche negli annali assiri si cita un monte Am-ma-na). Alla catena dell'Antilibano appartiene, oltre all' Amana, anche l'altro celebre monte, l'Hermon, qui chiamato anche col sinonimo in lingua amorrita di "Senir" (Dt 3,9). La sua vetta (circa 2800 m), innevata tutto l'anno, è quasi un punto di riferimento e un segno di freschezza per chi viaggia in Galilea sotto l'incombere del sole. Monte da cui sgorga il Giordano, l'Hermon è, come gli altri, un'altura aspra e selvaggia, un tempo punteggiata da foreste di cedri e popolata di leoni e di leopardi. Ma questa catena di monti aveva nell'antico Oriente anche un valore simbolico particolare quasi come fosse una specie di Olimpo. Attorno ad essa era fiorita una leggenda cananea legata al mito di Adone il cui culto era noto anche in terra d'Israele (Is 17,10). Un giorno Adone aveva invitato la sua amata Astarte (per i greci Afrodite) a caccia sul Libano e sull'Antilibano. Essa, ignorando i consigli del dio, era stata assalita e uccisa da uno di questi leoni o leopardi. Da allora ogni anno Astarte scende dal cielo sulla vetta del Libano, sacro ad Adone, e si ferma lungo il fiume consacrato al dio. Il Libano in questo modo diventa un simbolo dell'amore e lo sposo immagina di veder apparire la sua donna nella cornice lontana, selvaggia e 11 verdeggiante di quel monte. Egli la desidera e la invoca con forza: si noti il grido martellante, simile ad un'implorazione, «con me, con me vieni ... discendi!». Ed eccola ora, davanti agli occhi, in tutto il suo splendore. L’originale ebraico del v. 9 usa un verbo quasi intraducibile ma di grande suggestione e potenza. Esso contiene il vocabolo "cuore" e ne indica il battito accelerato, la lacerazione, quasi l'arresto stupito: tu mi hai rapito il cuore, mi hai fatto impazzire, mi hai ferito il cuore (quasi come nell'Estasi di s. Teresa del Bernini), mi hai piagato il cuore (come traduce s. Girolamo), me l'hai trapassato (come traducevano i rabbini), tu mi hai incatenato il cuore ... La poesia araba conosce frasi di questo genere: Il suo viso durante una notte di luna piena e le sue guance feriscono il cuore. Un solo sguardo d'amore fa impazzire l'amato, una sola perla della collana della sua sposa rapisce l'anima. Il linguaggio degli occhi e del corpo è sempre diretto ed immediato. Ed è immediato anche l'accumularsi dei titoli dedicati all'amata. In questa strofa dominano "sposa" e "sorella", titoli noti anche alla poesia amorosa egiziana oltre che alla stessa Bibbia (Tb 7,11-15; 8,4.7.21; 10,6). La "sposa" (ma il vocabolo ebraico è più generico e vale anche per la "fidanzata") è "sorella", non tanto in senso genetico come avveniva in Egitto e nell'ellenismo a causa dei matrimoni endogamici tra fratelli e sorelle dello stesso clan familiare. In ambito faraonico e principesco egiziano questa prassi assicurava la purezza del sangue reale. La sposa del Ct è "sorella" perché, nel linguaggio orientale, il rapporto di fraternità è visto come segno di intensità e di totalità, riassume in sé tutte le relazioni interpersonali. La donna amata è per l'uomo sorella, madre, amica, figlia, sposa perché concentra in sé tutte le potenzialità dell'amore. Una famosa lirica d'amore del poeta francese Baudelaire si intitola appunto Figlia mia, mia sorella. Il Ct pullula di riprese che però non sono mai stanche ripetizioni. Così, ora, davanti alla sposa-sorella il poeta riprende le battute iniziali dell'opera (1,2-4). La simbolica è quella gustativa e olfattiva (vv. 10-11). L’amore è soave come un vino inebriante; le carezze 12 stordiscono come una bevanda forte; baciare è come suggere nettare o miele purissimo (Pr 5,3 e Sal 19,10, immagine applicata alla parola di Dio); la lingua, cioè le parole, è saporosa come se stillasse "miele e latte". La locuzione, di solito invertita "latte e miele", ricorre, come è noto, nella rappresentazione ideale della terra promessa. C'è, quindi, un riferimento allusivo al "corpo" della terra amata (Es 3,8.17; Lv 20,24; Nm 13,27; Dt 6,3). La donna è bella, dolce, morbida, desiderabile come la terra della libertà, cara al cuore di ogni ebreo. Al di là del suo significato concreto (per alcuni "latte e miele" sarebbe una melassa o marmellata fatta con impasto di datteri e mosto, per altri sarebbe una bevanda rinfrescante nomadica a base di cagliata), lo sposo vede nel "miele e latte" un cibo paradisiaco, una specie di ambrosia che egli gusta baciando la sua donna. Anche nella poesia amorosa araba si dirà: «La sua lingua spande perle e la sua saliva è miele puro». Anche l'odorato - secondo una costante del Ct - è coinvolto a causa degli aromi della sposa, dei profumi delle sue vesti (Gn 27,27), cosparsi di essenze silvestri provenienti dal Libano. Con questo effluvio di sapori, di odori e di fragranze sullo sfondo del monte dell'amore, si chiude questa seconda strofa di "rapimento" e di abbandono totale dell'amato nelle braccia della sua sposa tanto attesa e desiderata. Un giardino paradisiaco (4,12-5,1) Il terzo movimento di questo canto del corpo si snoda su un simbolo classico della poesia amorosa, quello del giardino. In trasparenza è sempre il corpo della donna che è di scena, il vero giardino delle delizie e della bellezza. La comparazione è sviluppata in un crescendo che in finale trasforma il canto dello sposo in un duetto con la sposa (4,16). Il giardino è abbinato a una sorgente ed entrambi sono sigillati, bloccati agli estranei. Questo tema, allusione abbastanza nitida all'illibatezza della donna, alla sua fedeltà, all'esclusività del possesso reciproco dei due innamorati, è presente anche in molti testi egiziani. Eccone un esempio. Io sono la tua prima sorella. Io sono per te come un giardino piantato di fiori e di ogni sorta di erbe odorose. 13 Anche il poeta francese P. Valéry immagina che «la primavera giunga per spezzare le sorgenti sigillate» dal gelo mentre il riso della donna-sorgente «mette nel sangue movimenti segreti». Siamo, quindi, davanti ad una vigna protetta da un muro (Is 5,5) o a un'oasi irrigata difesa da una siepe o da una palizzata. La fantasia popolare ha voluto identificare questo quadro fantastico nelle cosiddette "vasche di Salomone" nei pressi di Betlemme. Questo giardino può essere aperto solo dallo sposo, l'intimità non dev'essere violata ma solo donata per amore. È solo lo sposo che può abbeverarsi a questa fonte purissima ad altri interdetta. Lo sposo, allora, entra nel suo giardino e i suoi occhi restano abbagliati. Usando un termine di origine persiana entrato anche nella nostra lingua oltre che in ebraico (Qo 2,5; Ne 2,5), lo sposo definisce quel piccolo mondo un "paradiso" (v. 13). Dappertutto sbocciano germogli, i melograni trionfano coi loro frutti squisiti così cari alla simbolica amorosa ed erotica orientale. In una poesia egiziana a un melograno vengono messe in bocca queste parole: I miei grani sono simili ai denti dell'amata, i miei frutti assomigliano ai suoi seni. lo sono l'albero più bello del giardino. Una vasca di granito nel cortile del Gur-Emir ("la tomba dell'Emiro"), il mausoleo del grande condottiero tartaro Tamerlano (1336-1405) a Samarcanda in Uzbekistan, veniva colmato di succo di melagrana in cui si bagnavano le principesse e gli eroi. In questo giardino dell'amore il visitatore è avvolto e stordito da un effluvio di profumi e di essenze esotiche: il cipro (1,14), il nardo (1,12), lo zafferano, la cannella, il cinnamomo, un aroma estratto dalla corteccia di un albero indiano ed usato come ingrediente per il balsamo della consacrazione (Es 30,23), l'incenso arabico, la mirra (1,13), l'aloe aromatico indiano (diverso da quello amaro medicinale) e ogni tipo di essenza balsamica in una specie di nube profumata fatta di aromi sacri e profani (Es 30,23-24; Pr 7,17; Sal 45,9). Il canto dello sposo si chiude nel v. 15 con una ripresa quasi antifonale del v. 12: «Sorgente di giardini, pozzo di acque vive che scaturiscono dal Libano». La donna è per l'uomo come una sorgente di acque abbondanti e freschissime, alimentata dalle nevi della catena del Libano. 14 La forza di questo paragone è da intendere nella cornice dell' assolato e assetato panorama della terra di Israele. Nell'itinerario spesso aspro e desolato della vita l'amore è come il pozzo a cui si attinge per essere dissetati e rinvigoriti. Questa simbolica del giardino come grembo fecondo, come rifugio di pace e come oasi che offre frutti e bevanda ha rimandato spesso i lettori ebrei e cristiani del Ct a Sion, giardino perfetto in cui Dio accoglie l'uomo e lo ricolma di beni e di consolazioni (Sal 46; Sir 24). Il carme si trasforma, allora, in un inno dei fedeli che nella terra dell'elezione si sentono accolti da un amore infinito: «in Dio si scoprono nuovi mari quanto più si naviga», scriveva un mistico spagnolo, Fray Luis de Lean, contemporaneo di Teresa d'Avila. A questo punto la sposa lancia un appello di grande potenza poetica ai venti settentrionali e meridionali, ai venti freddi e caldi, perché avvolgano lei e il suo giardino così da far esalare in tutta la loro intensità gli aromi in esso celati (v. 15). Tutto il mondo nel suo asse verticale nord-sud si concentra attorno a questo giardino paradisiaco nel quale l'amato è invitato a entrare. L'oasi chiusa è aperta dalla donna stessa; il sigillo della fonte è spezzato e lo sposo è chiamato a cibarsi dei frutti squisiti ed esaltanti dell'amore. L'uomo risponde accogliendo con gioia l'invito (5,1). Egli è ora nel giardino dell'amore. Qui egli si lascia sedurre dai profumi, qui egli è rinvigorito dal miele che in esso cola, qui egli è dissetato da un latte dolcissimo e da un vino generoso. A questa mensa d'amore che guarisce ogni limite e ogni debolezza egli è assi so come un principe. Ed è così che, con un appello finale indirizzato al coro, egli invita i compagni e gli amici del corteo nuziale a partecipare alla sua gioia. Il poeta si riferisce concretamente al grandioso banchetto nuziale a cui si era ammessi solo su invito dello sposo (Mt 25,1-13; 22,1-14; Mc 2,19-20). Ma, al di là di questo sfondo concreto, nell'appello dello sposo si può rintracciare anche una dichiarazione sulla forza diffusiva che l'amore racchiude in sé. Il testo ebraico, infatti, può essere anche tradotto così: «Compagni, mangiate, bevete e inebriatevi di amore!». L'amore ha in sé una forza che si dirama e che cerca di provocare amore. Un commentatore ha persino pensato che questo appello sia pronunziato dal poeta stesso, autore del Ct, che per un istante rompe l'anonimato invitando gli sposi a godere in pienezza il loro 15 amore. Anche il poeta, quindi, si sarebbe lasciato attrarre dalla meraviglia di questa coppia e dallo splendore del loro amore. Abbiamo letto un canto dolce e appassionato in cui l'unione nuziale è apparsa in tutta la sua luminosità fisica e spirituale. In esso abbiamo sentito l'eterna voce dell'amore caldo e profondo. Un amore simile a quello che il marito della sacerdotessa Mutiritis ha espresso in un epitaffio a lei dedicato (Ostracon 584 del Cairo, XIX dinastia, XIII sec. a.c.). Dolce, dolce d'amore, la sacerdotessa Mutiritis dolce, dolce d'amore, accanto al re Menkheperré, dolce, dolce accanto a tutti gli uomini, signora d'amore fra le donne. È una figlia di re, dolce d'amore, bella tra le donne, una ragazza che non ha pari a vedersi. Neri sono i suoi capelli, più neri della notte, più neri delle bacche di pruno. Bianchi sono i suoi denti, più dei denti di selce sotto la falce; due corone di fiori sono i suoi seni, ben ritti sul suo petto. Nel suo saggio De l'amour lo scrittore francese Stendhal osservava che, come un ramoscello gettato nelle miniere di sale si copre di un'infinità di cristalli, così chi ha preso ad amare fiorisce di mille perfezioni l'oggetto amato. Ogni uomo considera la donna di cui è innamorato come la sintesi di ogni bellezza. In essa trova tutto ciò che lo può saziare. Questa è la forza totalizzante dell'amore, fonte di pace e di gioia. 16
© Copyright 2025 ExpyDoc