Avvertenza II Nunzio Incardona e il suo tempo A cura di Giuseppe Nicolaci GdM 2-3/2013 xxx-xxxx 429 Giuseppe Nicolaci 430 Avvertenza Giuseppe Nicolaci Nunzio Incardona e il suo tempo Avvertenza Tempo e idea è il titolo di un corso che Nunzio Incardona tenne alla Facoltà di Lettere e Filosofia, a Palermo, nel 1971/72, l’ultimo del suo insegnamento di Filosofia morale a Lettere. L’anno dopo, Incardona subentrò a Santino Caramella nell’insegnamento di Filosofia teoretica, che mantenne fino alla conclusione della sua attività didattica e accademica. Al corso inaugurale su L’idea come sinossi tetica, che voleva essere concettualmente la prosecuzione, sotto un diverso aspetto, di Tempo e idea, seguì nel 1973/74 L’èlenchos del principio. Quello scandito dai tre corsi di cui ho detto fu un momento di passaggio importante nella sua storia di studioso, che lasciò una traccia assai viva anche nella memoria di molti scolari, alcuni a quell’epoca ancora studenti altri, come me, giovani laureati appena avviati alla ricerca. Il testo che pubblichiamo in apertura di questa seconda parte del fascicolo 2-3/2013, nel decennale della sua scomparsa, è appunto una selezione dalle dispense del corso del 1971, dovuta all’intelligente lavoro di sintesi di Ersilia Caramuta, allieva anche lei di quegli anni, che ha operato in modo da mantenere intatte la vivezza e la spontaneità del linguaggio parlato (le dispense erano la trascrizione delle lezioni registrate). C’è da fare i conti con i colori forti, i ritmi serrati, a volte aspri, sincopati, di un ragionamento che appariva costruirsi momento per momento, frase per frase, sporgendosi faticosamente in avanti in cerca della parola, quasi non temesse di esibire la felicità delle conclusioni insieme alla sofferenza del gesto, ancora incerto, che le sta cercando. In quei ritmi si sente martellare da subito uno dei temi chiave della speculazione di Incardona, rivisitato e scavato ulteriormente in ordine al progetto, che già allora maturava, di quella metafisica che, in seguito avrebbe provato a sistematizzare nel volume Concetto di metafisica del principio (1982). È il tema della solitudine radicale del pensiero, impegnato nella domanda metafisica sui principi, a fronte della capacità di relazione al principio attestata dall’esistenza stessa dell’uomo, di ogni uomo – “l’esistenzialità dell’esistenza (quel che dell’esistenza tocca ogni esistente)”, dice Incardona –; l’attestazione esistenziale ha tale urgenza e intensità da intercettare ab origine i percorsi GdM 2-3/2013 431-433 431 Giuseppe Nicolaci della filosofia e da anticiparne il potere di inizio. Per l’appunto la difficoltà di venire fuori, di prendere distanza da questa pre-disponibilità dell’inizio costituiva l’assillo metodico, oltre che tematico, centrale della sua ricerca. Alla fecondità della svolta ermeneutico-esistenziale di quella parte della filosofia del Novecento di cui essa stessa, per tanti versi, era figlia, la ricerca di Incardona opponeva una sorta di wittgensteiniana severità, vietandosi come impropria, filosoficamente arbitraria, ogni via che traesse dalla condizione di indigenza dell’esistenza una fonte di ricchezza per il pensiero. Nel deserto di questa desolante assenza di strade stava la riflessione sul tempo – tempo dell’esistenza, tempo del pensiero – arduo crinale di collegamento e di separazione fra due intransigenti solitudini, irrelate eppure tese nello spasmo paradossale di un ascolto senza parola comune, irreciproco e silenzioso. “Nunzio Incardona e il suo tempo” è il tema cui è appunto intestata la seconda raccolta monografica di questo fascicolo. Il corsivo sul segno dell’appartenenza (e del riferimento) mette in gioco un voluto slittamento di senso: riferisce il motivo-guida di cui si parla nella dispensa – il tempo come rimando mai risolto fra i moti dell’esistenza, se così può dirsi, e quelli del pensiero – con l’intento, però, di prolungarne l’intensità oltre la parola e le pagine del testo che ce ne parla. Gli studi proposti prendono idealmente, e a volte anche materialmente, le mosse dal corso del ’71, per delineare e discutere, spesso in reciproca anche se implicita dialettica, alcuni tratti portanti della proposta teoretica dello studioso che ha guidato per oltre un ventennio il Giornale di Metafisica, visti non casualmente in continuità con aspetti e momenti della sua personalità e della sua storia scientifica e culturale: dove il tempo è tempo condiviso, chiesto o concesso ad altri, altre personalità, altre storie, e dove la totale gratuità di un incontro può farsi kairòs, occasione essenziale per il pensiero (di taglio un po’ diverso il contributo di G. Roccaro che non si confronta direttamente con la prospettiva di Incardona, ma ne assume e sviluppa autonomamente la lezione critica in ordine al pensiero medievale). Alcuni di questi studi – altri seguiranno nei fascicoli del 2014 - elaborano contributi a un convegno svoltosi sullo stesso tema a Palermo, su iniziativa dell’Ateneo e del Dipartimento di Studi Umanistici, sotto la sigla del 3° Seminario Internazionale Nunzio Incardona. Dal loro confronto emerge bene, credo, la complessità di una prospettiva di ricerca come quella di Incardona, tutta giocata sul filo, a volte sottilissimo, di un’intenzione di pensiero in cui la radicalizzazione delle difficoltà e l’ansia decostruttiva non cedono in alcun modo al fascino dell’aporia ma puntano ogni istante – è questo l’aspetto più arduo ma anche più coinvolgente del suo non facile magistero – ad aprire lo spazio in cui tornare domani a costruire la strada. Tuttavia, l’unicum o, se 432 Avvertenza vogliamo, il continuum, che la raccolta nel suo insieme cerca di intercettare, è qualcosa come un tempo dello spirito, come potrebbe dirsi modernamente; qualcosa di simile a ciò che i Greci pensavano sotto la parola aiòn; o forse, ancora, a quel domani atteso ad ogni istante nel pensiero. Il tempo di Nunzio Incardona è davvero quello del corso del ’71? Quello, intendo, che affatica il serrato ragionamento offerto oggi in lettura nelle pagine di Caramuta e che, se mi si consente di insistere ancora con una certa libertà sulle polisemie suggerite dal corsivo, fu per alcuni ascoltatori di allora, oggi ancora per tanti versi suoi allievi, anche tempo di nascita all’impegno della ricerca filosofica? Sarebbe del tutto gratuito, vana presunzione autoreferenziale, affermarlo. Non fu certo meno suo il tempo dei fervidi anni genovesi alla scuola di Sciacca; non fu meno suo quello più duro, più tormentato e forse non meno fervido, della ricerca degli ultimi anni, segnati irreparabilmente dal dolore per la perdita del figlio Marco. Tuttavia, nell’aver voluto intestare il suo tempo anzitutto e idealmente al tempo di quella stagione che fu di nascita, raccolta in quell’accavallarsi di date e di eventi che citavo all’inizio, c’è una presunzione la cui gratuità – per noi della redazione del «Giornale di Metafisica» – non ha nulla di autoreferenziale. Ha semmai il senso di una dedica, come per l’impossibile restituzione di un debito: impossibile, perché quello di cui si parlerà in queste pagine è un tempo che ci è stato donato e che è da mettere a frutto; dunque, ancora una volta domani. 433
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