II Nunzio Incardona e il suo tempo

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Nunzio Incardona e il suo tempo
A cura di Giuseppe Nicolaci
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Giuseppe Nicolaci
Nunzio Incardona e il suo tempo
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Tempo e idea è il titolo di un corso che Nunzio Incardona tenne alla
Facoltà di Lettere e Filosofia, a Palermo, nel 1971/72, l’ultimo del suo insegnamento di Filosofia morale a Lettere. L’anno dopo, Incardona subentrò
a Santino Caramella nell’insegnamento di Filosofia teoretica, che mantenne fino alla conclusione della sua attività didattica e accademica. Al corso
inaugurale su L’idea come sinossi tetica, che voleva essere concettualmente la
prosecuzione, sotto un diverso aspetto, di Tempo e idea, seguì nel 1973/74
L’èlenchos del principio. Quello scandito dai tre corsi di cui ho detto fu un
momento di passaggio importante nella sua storia di studioso, che lasciò una
traccia assai viva anche nella memoria di molti scolari, alcuni a quell’epoca
ancora studenti altri, come me, giovani laureati appena avviati alla ricerca.
Il testo che pubblichiamo in apertura di questa seconda parte del fascicolo
2-3/2013, nel decennale della sua scomparsa, è appunto una selezione dalle
dispense del corso del 1971, dovuta all’intelligente lavoro di sintesi di Ersilia
Caramuta, allieva anche lei di quegli anni, che ha operato in modo da mantenere intatte la vivezza e la spontaneità del linguaggio parlato (le dispense
erano la trascrizione delle lezioni registrate). C’è da fare i conti con i colori
forti, i ritmi serrati, a volte aspri, sincopati, di un ragionamento che appariva
costruirsi momento per momento, frase per frase, sporgendosi faticosamente
in avanti in cerca della parola, quasi non temesse di esibire la felicità delle
conclusioni insieme alla sofferenza del gesto, ancora incerto, che le sta cercando. In quei ritmi si sente martellare da subito uno dei temi chiave della speculazione di Incardona, rivisitato e scavato ulteriormente in ordine al progetto,
che già allora maturava, di quella metafisica che, in seguito avrebbe provato
a sistematizzare nel volume Concetto di metafisica del principio (1982). È il
tema della solitudine radicale del pensiero, impegnato nella domanda metafisica sui principi, a fronte della capacità di relazione al principio attestata
dall’esistenza stessa dell’uomo, di ogni uomo – “l’esistenzialità dell’esistenza
(quel che dell’esistenza tocca ogni esistente)”, dice Incardona –; l’attestazione
esistenziale ha tale urgenza e intensità da intercettare ab origine i percorsi
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della filosofia e da anticiparne il potere di inizio. Per l’appunto la difficoltà di
venire fuori, di prendere distanza da questa pre-disponibilità dell’inizio costituiva l’assillo metodico, oltre che tematico, centrale della sua ricerca. Alla fecondità della svolta ermeneutico-esistenziale di quella parte della filosofia del
Novecento di cui essa stessa, per tanti versi, era figlia, la ricerca di Incardona
opponeva una sorta di wittgensteiniana severità, vietandosi come impropria,
filosoficamente arbitraria, ogni via che traesse dalla condizione di indigenza
dell’esistenza una fonte di ricchezza per il pensiero. Nel deserto di questa desolante assenza di strade stava la riflessione sul tempo – tempo dell’esistenza,
tempo del pensiero – arduo crinale di collegamento e di separazione fra due
intransigenti solitudini, irrelate eppure tese nello spasmo paradossale di un
ascolto senza parola comune, irreciproco e silenzioso.
“Nunzio Incardona e il suo tempo” è il tema cui è appunto intestata la
seconda raccolta monografica di questo fascicolo. Il corsivo sul segno dell’appartenenza (e del riferimento) mette in gioco un voluto slittamento di senso:
riferisce il motivo-guida di cui si parla nella dispensa – il tempo come rimando mai risolto fra i moti dell’esistenza, se così può dirsi, e quelli del pensiero
– con l’intento, però, di prolungarne l’intensità oltre la parola e le pagine del
testo che ce ne parla. Gli studi proposti prendono idealmente, e a volte anche
materialmente, le mosse dal corso del ’71, per delineare e discutere, spesso in
reciproca anche se implicita dialettica, alcuni tratti portanti della proposta
teoretica dello studioso che ha guidato per oltre un ventennio il Giornale di
Metafisica, visti non casualmente in continuità con aspetti e momenti della sua personalità e della sua storia scientifica e culturale: dove il tempo è
tempo condiviso, chiesto o concesso ad altri, altre personalità, altre storie,
e dove la totale gratuità di un incontro può farsi kairòs, occasione essenziale
per il pensiero (di taglio un po’ diverso il contributo di G. Roccaro che non
si confronta direttamente con la prospettiva di Incardona, ma ne assume e
sviluppa autonomamente la lezione critica in ordine al pensiero medievale).
Alcuni di questi studi – altri seguiranno nei fascicoli del 2014 - elaborano
contributi a un convegno svoltosi sullo stesso tema a Palermo, su iniziativa
dell’Ateneo e del Dipartimento di Studi Umanistici, sotto la sigla del 3° Seminario Internazionale Nunzio Incardona. Dal loro confronto emerge bene,
credo, la complessità di una prospettiva di ricerca come quella di Incardona,
tutta giocata sul filo, a volte sottilissimo, di un’intenzione di pensiero in cui
la radicalizzazione delle difficoltà e l’ansia decostruttiva non cedono in alcun
modo al fascino dell’aporia ma puntano ogni istante – è questo l’aspetto più
arduo ma anche più coinvolgente del suo non facile magistero – ad aprire lo
spazio in cui tornare domani a costruire la strada. Tuttavia, l’unicum o, se
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vogliamo, il continuum, che la raccolta nel suo insieme cerca di intercettare,
è qualcosa come un tempo dello spirito, come potrebbe dirsi modernamente;
qualcosa di simile a ciò che i Greci pensavano sotto la parola aiòn; o forse,
ancora, a quel domani atteso ad ogni istante nel pensiero.
Il tempo di Nunzio Incardona è davvero quello del corso del ’71? Quello, intendo, che affatica il serrato ragionamento offerto oggi in lettura nelle
pagine di Caramuta e che, se mi si consente di insistere ancora con una certa
libertà sulle polisemie suggerite dal corsivo, fu per alcuni ascoltatori di allora,
oggi ancora per tanti versi suoi allievi, anche tempo di nascita all’impegno
della ricerca filosofica? Sarebbe del tutto gratuito, vana presunzione autoreferenziale, affermarlo. Non fu certo meno suo il tempo dei fervidi anni genovesi
alla scuola di Sciacca; non fu meno suo quello più duro, più tormentato e forse non meno fervido, della ricerca degli ultimi anni, segnati irreparabilmente
dal dolore per la perdita del figlio Marco. Tuttavia, nell’aver voluto intestare
il suo tempo anzitutto e idealmente al tempo di quella stagione che fu di
nascita, raccolta in quell’accavallarsi di date e di eventi che citavo all’inizio,
c’è una presunzione la cui gratuità – per noi della redazione del «Giornale
di Metafisica» – non ha nulla di autoreferenziale. Ha semmai il senso di una
dedica, come per l’impossibile restituzione di un debito: impossibile, perché
quello di cui si parlerà in queste pagine è un tempo che ci è stato donato e che
è da mettere a frutto; dunque, ancora una volta domani.
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