IL PICCOLO – martedì 21 gennaio 2014 (Gli articoli di questa rassegna, dedicata esclusivamente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal sito internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti) Indice articoli ECONOMIA (pag. 2) Sasa ad Allianz, oggi UnipolSai decide REGIONE (pag. 3) La babele di stipendi e premi Ater Braccio di ferro sulle retribuzioni dei lavoratori Insiel Il 66% degli assegni vitalizi in regalo dalla Regione (2 articoli) TRIESTE (pag. 6) Porto, cooperativa in liquidazione. Undici lavoratori messi in strada GORIZIA-MONFALCONE (pag. 7) Amianto-bis, unificati 2 filoni d’inchiesta Fincantieri, nuova “cassa” a sorpresa ECONOMIA Sasa ad Allianz, oggi UnipolSai decide di Luigi dell’Olio MILANO Sull’accordo non sembrano esservi più dubbi, ma si tratta di decidere i termini e le tempistiche. Oggi si riunirà il cda di UnipolSai per vagliare la proposta di acquisto giunta nei giorni scorsi da parte di Allianz Italia in merito ad asset che la compagnia bolognese deve mettere sul mercato su indicazione dell’Antitrust, come condizione per ottenere il via libera alla fusione tra Unipol, Fonsai, Milano Assicurazioni e Premafin (occorre non superare il 30% nel ramo danni in ciascuna provincia italiana). Secondo le ultime indiscrezioni di mercato si tratta di un pacchetto superiore al miliardo di premi, riconducibile al ramo della Milano Assicurazioni, che tra le altre controlla Sasa, con 140 dipendenti a Trieste. L’offerta dovrebbe aggirarsi tra i 500 e i 600 milioni di euro. Fonti vicine al venditore danno ormai per scontato l’esito, anche se non è detto che il cda approvi già oggi la cessione. Alcuni consiglieri, infatti, sarebbero orientati ad affidare un mandato pieno all’amministratore delegato, Carlo Cimbri, affinché sia quest’ultimo a definire nei dettagli l’operazione. Questo perché vi sarebbero ancora alcuni punti da chiarire sul perimetro dell’operazione. Anche da parte di Allianz non sembrano esservi dubbi, come emerge dal tono delle dichiarazioni rilasciate ieri dal presidente Carlo Salvatori: «Questa operazione corrisponde alle esigenze di Unipol di dismettere il proprio business e ad Allianz di ampliare la sua sfera di business in Italia», ha spiegato ieri, a margine di un’iniziativa del Teatro Stabile di Torino. «Si tratta di un bel pacchetto che ci consente di ampliare il nostro giro di affari nel Paese». Il manager non ha fornito indicazioni più precise in merito, pur mostrandosi sicuro sugli sviluppi dell’operazione: «La definizione precisa dipende dal portafoglio, che ci viene offerto e che deve essere conveniente per chi vende e per chi acquista». Per poi aggiungere: «Troveremo un accordo perché si lavora tra persone serie e amiche». Secondo calcoli effettuati nei giorni scorsi dagli analisti, l’operazione dovrebbe consentire al gruppo tedesco di crescere nel ramo danni di circa tre punti percentuali, raggiungendo il 14%. L’Italia rappresenta il secondo mercato nazionale per Allianz dopo la Germania, grazie anche alla crescita degli ultimi anni: nei primi nove mesi del 2013 i premi sono cresciuti del 24,9% a quota 9,2 miliardi di euro, grazie soprattutto al balzo del ramo vita (+39,2% contro il +1,5% del danni), mentre l’utile netto ha registrato un rialzo del 61,6% a 744,6 milioni di euro. Di pari passo è migliorato il combined ratio (il rapporto fra spese generali e costi di risarcimento dei sinistri sulla raccolta premi), passando dall’87,2% al 77,7%. La stretta sull’intesa pone fine a settimane di rumors sui possibili compratori del pacchetto messo sul mercato da UnipolSai, che hanno riguardato quasi tutti grandi operatori internazionali delle assicurazioni, da Swiss Re ad Axa, da Munich Re a Berkshire Hathaway, passando per Zurich e la stessa Allianz. Alla fine l’offerta più soddisfacente è arrivata proprio da quest’ultima, entrata in scena a poche ore dalla scadenza dei termini, dopo aver appreso che da Bologna era stata respinta l’offerta avanzata da Ageas. Nella giornata di ieri, i titoli delle due società hanno visto prevalere le vendite, con Allianz che ha ceduto l’1,34% e UnipolSai a -1,79%. Per gli addetti ai lavori, dietro questo trend c’è la volontà di prendere profitto dopo i guadagni dei due titoli nelle sedute precedenti. Emblematica la posizione di Equita Sim, che proprio ieri ha ridotto il peso di UnipolSai nel proprio portafoglio principale, spiegando: «Prendiamo profitto dalla recente ottima performance, lasciando spazio per l`ingresso di Telecom». REGIONE La babele di stipendi e premi Ater di Gianpaolo Sarti TRIESTE Ater che vai, paga che trovi. Il variegato mondo delle aziende territoriali, in odore di riforma, riserva sorprese non solo sugli affitti minimi agli inquilini – 10 euro a Trieste, 46 a Udine – ma anche sugli stipendi dei dipendenti. Differenze abissali, talvolta. Un impiegato assunto a Pordenone, ad esempio, a parità di mansioni e livello, costa quasi 10 mila euro all’anno in più di uno che lavora a Udine e 8 mila in più di un triestino. Misteri della pubblica amministrazione. Sarà anche per questo che la giunta Serracchiani, dopo il tentativo di Tondo con l’Ater unica, intende rivedere l’intero sistema. Retribuzioni incluse che, alla vigilia del nuovo provvedimento di riforma, scatenano un’altra polemica a distanza tra il presidente della Provincia di Udine Pietro Fontanini e l’esecutivo. In mezzo la presunta «pioggia di favoritismi», denuncia il leghista, a vantaggio dell’area giuliana. Fontanini porta a galla i premi di produzione concessi nel capoluogo: 7 mila 200, a fronte dei 5 mila a Gorizia, 4 mila e 200 a Udine, 4 mila a Pordenone e 2 mila 400 nell’Alto Friuli. Stando ai dati in mano al presidente, a Trieste i benefit verrebbero liquidati per il 50% «automaticamente» e per l’altro 50% in base al merito. «Nel resto del Fvg – rileva il presidente – le proporzioni cambiano fino ad arrivare a Tolmezzo dove il premio viene assegnato solo in base al merito. Una diversità di trattamento palese che vede i friulani pagare più degli altri. Si preoccupi quindi l’assessore Santoro, nella riorganizzazione delle Ater, oltre al contenimento dei costi, di parificare stipendi, premi di produttività e canoni di affitto e di mettere la parola fine a questi favoritismi a pioggia di cui beneficia il capoluogo». Santoro ribatte dimostrando che la spesa, in realtà, è più alta nel pordenonese. Una ricostruzione da cui emergono, tuttavia, forti disparità territoriali. In base ai dati in mano all’amministrazione, aggiornati all’esercizio 2012, il costo medio per dipendente calcolato sul numero complessivo del personale delle 5 aziende al 31.12.2013, è di 53.034 euro all’anno comprensivi delle voci salari, oneri sociali, trattamento di fine rapporto e di quiescenza. «A guardare bene questi numeri – spiega l’assessore – si scopre che il costo medio maggiore non riguarda Trieste». L’Ater Pordenone, infatti, tocca i 59.608 euro, Gorizia 55.836, Alto Friuli 55.304, Trieste 51.621 e Udine 49.912. Il capoluogo giuliano e la città friulana risultano quindi al di sotto dell’asticella fissata dalla media complessiva. «Stupisce che il presidente – commenta Santoro – si accorga solo ora delle diversità sul metodo di calcolo delle retribuzioni dei dipendenti Ater e non ne abbia chiesto conto nei cinque anni di amministrazione regionale precedente, nemmeno in occasione della cosiddetta riforma varata dall’ex giunta Tondo. Mi fa piacere comunque avere l’opportunità di rispondere alle sue sollecitazioni dal momento che questa giunta, con la legge 20/2013 ha inteso rivedere profondamente l’assetto delle Ater». Tuttavia, rileva ancora Santoro, «non si può guardare ad una riforma che ne garantisca reale efficienza soffermandosi solo sugli aspetti relativi al personale perché sono molte le voci del bilancio, le modalità di erogazione dei servizi e le tipologie di interventi su cui è necessario agire». Proprio ieri si è tenuta la seconda riunione operativa tra i neo amministratori unici e gli uffici regionali per definire il piano di lavoro che nei prossimi 18 mesi – vale a dire il periodo transitorio stabilito dal nuovo ddl di riforma – dovrà attuare il piano di convergenza tra le aziende. Tra le questioni affrontate anche quella relativa alla gestione del personale e delle premialità, «che richiede una interlocuzione diretta con la componente sindacale», suggerisce l’assessore. «Il piano di convergenza, da predisporre entro febbraio, dovrà garantire soprattutto una miglior gestione e dei servizi erogati ai cittadini – ribadisce – a cominciare dall’adeguamento dei criteri di accesso alla residenza agevolata con l’obbligatorietà del passaggio dai redditi Irpef alle certificazioni Isee». Braccio di ferro sulle retribuzioni dei lavoratori Insiel di Roberto Urizio TRIESTE I lavoratori di Insiel hanno manifestato ieri alle 12, nel parcheggio dell’azienda in via San Francesco a Trieste, contro l’ipotesi di restituzione degli aumenti previsti dal contratto nazionale a partire dal 2012 e del mancato riconoscimento di quanto previsto dal contratto integrativo aziendale. «I lavoratori non accetteranno questa ennesima forzatura di un cda ormai decaduto che innesca una battaglia politica sulle spalle dei lavoratori» hanno motivato le Rsu di Insiel in una nota. Nel pomeriggio si è tenuto un incontro tra i rappresentanti sindacali e i vertici dell’Insiel che però non ha sciolto i nodi, visto che il cda, riunitosi ieri, non ha definito la questione. «Alle Rsu Insiel non interessa nessuna diatriba sulle mere questioni politiche o interpretative di normative, leggi o regolamenti e rimandano qualsiasi ambigua comunicazione al mittente, che si tratti dell’assessorato regionale o del Consiglio di amministrazione Insiel. - hanno commentato in una seconda nota gli esponenti sindacali - Ad oggi l’unica certezza è che i lavoratori non sanno ancora quanto sarà la loro retribuzione il 27 gennaio. Non è ammissibile che la politica regionale non sia in grado di dare una definizione univoca e chiara ad un emendamento da lei sostenuto, facente parte della Legge di Stabilità 2014, e che il Consiglio di amministrazione non si assuma responsabilità». Venerdì l’assessore regionale Paolo Panontin aveva inviato una lettera al presidente di Insiel, Sergio Brischi, indicando come gli emendamenti alla legge di stabilità salvaguardano «l’applicazione del contratto collettivo nazionale per il periodo successivo all’entrata in vigore» ponendo però dubbi su pregresso, sottolineando quindi la necessità di approfondimenti. In attesa di questi approfondimenti, Panontin invita i vertici di Insiel a «non procedere ad azioni di recupero di trattamenti economici già erogati al personale». Il 66% degli assegni vitalizi in regalo dalla Regione TRIESTE Complesso e delicato intervenire sui cosiddetti diritti acquisiti, per quanto si tratti di privilegi della Casta e per quanto la Corte costituzionale abbia aperto qualche varco. Ma Debora Serracchiani, dopo aver indicato la via dell’abrogazione del vitalizio, input poi raccolto dal Consiglio regionale, non lo considera un tabù: «Guardiamo con interesse a quanto si sta elaborando per contenere le spese in altre regioni, ad esempio la Lombardia, dove sono sul tavolo alcune ipotesi diverse». La presidente del Friuli Venezia Giulia cita una regione dove il tema è in effetti già all’ordine del giorno. Un gruppo di lavoro del Consiglio lombardo si riunirà proprio domani ragionando su quattro proposte elaborate dagli uffici: la prima consiste in una riduzione fissa dei vitalizi attualmente corrisposti nell’ordine del 10%. Le altre tre si basano invece su una valutazione del rapporto tra vitalizio erogato e contributo, così da penalizzare di più chi ha versato meno contributi. La stima è di un risparmio tra i 50 e i 70mila euro al mese. Possibile parlarne anche in Fvg? Secondo Serracchiani, con tutta la cautela del caso, sì. «Il fatto che gli assegni agli ex consiglieri si “mangino” la metà del bilancio del Consiglio regionale è un’anomalia che abbiamo corretto, per la nostra parte, abolendo il vitalizio – premette la governatrice – . Alla luce della normativa vigente, i margini d’azione per intervenire non sono molto flessibili e per questo guardiamo con interesse fuori regione. E siamo attenti pure al percorso che sta facendo il governo per introdurre correttivi alle cosiddette pensioni d’oro». Decisamente meno aperture arrivano dall’interno del Consiglio. Franco Iacop, il presidente, e Igor Gabrovec, il suo vice, ribadiscono il nodo dei diritti acquisiti. «Siamo già intervenuti in maniera molto decisa – chiarisce ulteriormente Iacop –, per adesso non si pongono altre urgenze». Da definire, in realtà, c’è ancora una questione tecnica, affrontata proprio oggi dall’Ufficio di presidenza del Consiglio: la determinazione della quota annua fiscalmente non imponibile. Si tratta in sostanza di intervenire sulla tassazione dei vitalizi pregressi che fino a prima dell’abrogazione avevano una quota (quella trattenuta in busta paga, il 19%) su cui non gravavano imposte. Tassando pure quella a decorrere dal 2014, gli importi netti dell’assegno si ridurranno di qualche decina di euro. Non certo un intervento risolutivo sul fronte dei costi. Ma, se Serracchiani avvierà un percorso, chi la seguirà? «Credo che abbiamo già fatto tanto – dice Alessandro Colautti (Ncd) – e credo anche che sia sbagliato generalizzare. Ci sono tanti vecchi consiglieri, penso soprattutto a quelli di provenienza Pci, che hanno versato per anni moltissimi soldi al partito e che con quel vitalizio oggi vivono con dignità. Chi va in pensione dorme, mangia, beve come tutti gli altri». (m.b.) Serracchiani: «Pronti a ridurre quei costi» TRIESTE Complesso e delicato intervenire sui cosiddetti diritti acquisiti, per quanto si tratti di privilegi della Casta e per quanto la Corte costituzionale abbia aperto qualche varco. Ma Debora Serracchiani, dopo aver indicato la via dell’abrogazione del vitalizio, input poi raccolto dal Consiglio regionale, non lo considera un tabù: «Guardiamo con interesse a quanto si sta elaborando per contenere le spese in altre regioni, ad esempio la Lombardia, dove sono sul tavolo alcune ipotesi diverse». La presidente del Friuli Venezia Giulia cita una regione dove il tema è in effetti già all’ordine del giorno. Un gruppo di lavoro del Consiglio lombardo si riunirà proprio domani ragionando su quattro proposte elaborate dagli uffici: la prima consiste in una riduzione fissa dei vitalizi attualmente corrisposti nell’ordine del 10%. Le altre tre si basano invece su una valutazione del rapporto tra vitalizio erogato e contributo, così da penalizzare di più chi ha versato meno contributi. La stima è di un risparmio tra i 50 e i 70mila euro al mese. Possibile parlarne anche in Fvg? Secondo Serracchiani, con tutta la cautela del caso, sì. «Il fatto che gli assegni agli ex consiglieri si “mangino” la metà del bilancio del Consiglio regionale è un’anomalia che abbiamo corretto, per la nostra parte, abolendo il vitalizio – premette la governatrice – . Alla luce della normativa vigente, i margini d’azione per intervenire non sono molto flessibili e per questo guardiamo con interesse fuori regione. E siamo attenti pure al percorso che sta facendo il governo per introdurre correttivi alle cosiddette pensioni d’oro». Decisamente meno aperture arrivano dall’interno del Consiglio. Franco Iacop, il presidente, e Igor Gabrovec, il suo vice, ribadiscono il nodo dei diritti acquisiti. «Siamo già intervenuti in maniera molto decisa – chiarisce ulteriormente Iacop –, per adesso non si pongono altre urgenze». Da definire, in realtà, c’è ancora una questione tecnica, affrontata proprio oggi dall’Ufficio di presidenza del Consiglio: la determinazione della quota annua fiscalmente non imponibile. Si tratta in sostanza di intervenire sulla tassazione dei vitalizi pregressi che fino a prima dell’abrogazione avevano una quota (quella trattenuta in busta paga, il 19%) su cui non gravavano imposte. Tassando pure quella a decorrere dal 2014, gli importi netti dell’assegno si ridurranno di qualche decina di euro. Non certo un intervento risolutivo sul fronte dei costi. Ma, se Serracchiani avvierà un percorso, chi la seguirà? «Credo che abbiamo già fatto tanto – dice Alessandro Colautti (Ncd) – e credo anche che sia sbagliato generalizzare. Ci sono tanti vecchi consiglieri, penso soprattutto a quelli di provenienza Pci, che hanno versato per anni moltissimi soldi al partito e che con quel vitalizio oggi vivono con dignità. Chi va in pensione dorme, mangia, beve come tutti gli altri». (m.b.) TRIESTE Porto, cooperativa in liquidazione. Undici lavoratori messi in strada di Silvio Maranzana Chiude un’altra cooperativa del porto e undici portuali vengono licenziati e finiscono sulla strada. È così terminata la triste agonìa del Consorzio commessi sopraccarichi che ultimamente prestava la propria opera sul Molo Settimo, ma dove, pur in presenza del record storico di container movimentati (458mila teu nel 2013) non riesce più a lavorare soprattutto perché nel frattempo sono cresciuti i dipendenti diretti della società terminalista, la Trieste marine terminal (che a propria volta però utilizza la cassa integrazione nelle giornate in cui non arrivano navi). «Il nostro consiglio direttivo ha deciso la messa in liquidazione della cooperativa che è già stata comunicata alla Camera di commercio - spiega Franco Gargani presidente dei “Commessi” - l’assemblea dei soci il 29 genaio darà il suo avvallo e dal giorno seguente gli undici tra soci e dipendenti saranno in strada dal momento che non abbiamo diritto né a cassa integrazione né a mobilità.» Per domani i sindacati dopo varie insistenze hanno ottenuto un incontro nella sede dell’Autorità portuale dove per gli undici sarà fatto un monitoraggio per un estremo tentativo di ricollocamento. Nell’ottobre scorso i lavoratori del Consorzio avevano anche distribuito un’accorata lettera-appello ai componemti del Comitato portuale in cui affermavano che «le nostre mansioni sono e restano un servizio indispensabile al terminal contenitori e dopo aver contribuito alla formazione di quei colleghi di altre società che oggi ricoprono i nostri medesimi ruoli, la nostra cooperativa rischia di lasciare in strada i propri soci e dipendenti.» I Commessi sopraccarichi, attivi con denominazione diversa fin dagli Anni Quaranta, sono un altro pezzo di storia portuale che si chiude, ma sono anche l’ultimo nome di una lista di cooperative portuali scomparse che si fa sempre più lunga e che se non rivela una vera e propria morìa di posti di lavoro dato che molti portuali si “riciclano” in nuove società, segnala perlomeno una sostanziale mancanza di crescita nell’occupazione. L’ultimo fallimento decretato è stato quello della Primavera, la più grossa tra le cooperative, di cui gran parte dei soci è stata assorbita dalla Deltauno, società che opera sul Molo VII e che come Tmt fa anch’essa riferimento a Pierluigi Maneschi. Meno di un anno fa è fallita anche la Gsi (Gruppo servizi intermodali) che operava allo Scalo Legnami: in questo caso i lavoratori si sono riciclati nella Gst, nuova società costituita dalla Leo Sferch che presta servizio in particolare al Terminal Parisi sul Molo Sesto. Nel 2008 c’era stato il crak della cooperativa Fenice e prima ancora, ma con i bilanci in attivo, era stata chiusa la Labor. Accanto a ciò, il fallimento della Compagnia portuale, il cui ruolo nell’ambito dell’articolo 17 della legge sui porti (interviene come pool di manodopera in occasione dei picchi di lavoro) è svolto ora dalla società Minerva. «L’anno scorso, quando la crisi di lavoro era già forte siamo riusciti a far assumere sei dei nostri soci dalla Trieste marine terminal e altri due dalla cooperativa Ideal service - spiega Gargani - oltre a questo nonostante vari incontri con l’Autorità portuale, terminalisti e società varie non siamo riusciti ad andare.» In undici sono così rimasti con il cerino in mano, ma non sono i soli a passarsela male all’interno del porto. Di cassa integrazione in deroga hanno usufruito l’anno scorso anche i lavoratori delle cooperative Flavia e Triestina che operano perlopiù nei magazzini di caffé. Queste due, accanto come detto a Deltauno, Ideal service, Gst, Minerva e alla Seaway formano il panorama delle cooperative o società di manodopera superstiti. GORIZIA-MONFALCONE Amianto-bis, unificati 2 filoni d’inchiesta di Franco Femia Avvio con il rallentatore del processo amianto-bis. Il giudice monocratico Nicola Russo, dinanzi a un’aula semivuota, ha ammesso le tre parti civili istituzionali(Associazione esposti amianto, Comune di Monfalcone e Fiom-Cgil), respingendo la richiesta delle difese che sostenevano la loro non ammissibilità. Costituitisi anche una ventina di familiari di lavoratori deceduti. Il giudice, dopo aver riunito in un unico fascicolo processuale due filoni dell’inchiesta, si è riservato nella prossima udienza del 28 aprile di decidere sulla citazione della Fincantieri come parte civile avanzata dalle parti civili. In quella data si procederà all’ammissione della prove e all’esame eventuali istanze istruttorie che saranno presentate dalle parti. La decisione di fissare di qui a tre mesi la nuova udienza è stata motivata anche dal fatto che si attende la deposizione della motivazione della sentenza del maxiprocesso, che dovrebbe avvenire, dopo la richiesta di proroga, entro il 15 aprile. Indubbiamente le motivazioni del primo processo potrebbero fare da linea-guida anche in questo secondo procedimento sebbene si affrontino casi di decesso diversi da quelli che sono stati esaminati nel maxi processo: infatti tra i 72 decessi, 41 sono dovuti a carcinoma polmonare correlato all’asbestosi. Secondo la Procura - in aula sarà rappresentata dal pm Valentina Bossi,dopo il trasferimento di Leghissa alla Procura di Caltanissetta - il tumore polmonare sarebbe stato provocato proprio dalla presenza della fibra killer. Sarà comunque il dibattimento processuale, nel quale avranno un ruolo importante le consulenze medico-legali, ad accertare le vere cause dei decessi. Per alcuni di questi sarebbero già maturati i tempi della prescrizione, che potranno comunque essere accertati nel prosieguo del processo. In questo procedimenti imputati di omicidio colposo sono 16 dirigenti dell’Italcantieri: Giorgio Tupini, Vittorio Fanfani, Antonio Zappi, Enrico Bocchini, Manlio Lippi, Aldo La Gioia, Saverio Di Macco, Italo Massenti, Cesare Casini, Glauco Noulan, Roberto Picci, Peppino Maffioli, Roberto Schivi, Livio Minozzi, Mario Abbona e Gianni Poggi; con loro anche tre titolari di ditte esterne che lavoravano all’interno del cantiere di Panzano. Si imputa loro di non aver adottato le necessarie misure di sicurezza per eliminare o ridurre l’esposizione all’amianto dei lavoratori e senza assicurarsi dell’effettivo impiego di mezzi per la protezione individuale quali adeguate mascherine. Corposa anche questa volta la documentazione prodotta dalla Procura: 12 faldoni contenenti 1593 fogli, consulenze mediche, verbali di perquisizioni e sequestri. Centinaia i testimoni che saranno citati complessivamente dalle diverse parti. Il periodo preso in esame dalla Procura, attivatasi anche su denunce-querele dei familiari di lavoratori morti, va dagli anni Settanta agli Ottanta fino a quando nel cantiere di Panzano veniva usato l’amianto per la costruzione delle navi. Altri due filoni dell’inchiesta sulle morti di amianto a Monfalcone entro l’anno arriveranno la vaglio del giudice delle udienze preliminari mentre continuano a giungere alla procura della Repubblica esposti-denunce su presunti decessi causati dall’esposizione all’amianto. Fincantieri, nuova “cassa” a sorpresa Acque agitate alla Fincantieri di Monfalcone, nuova cassintegrazione a sorpresa. A lanciare l’allarme sono le Rsu Fim, Fiom e Uilm dello stabilimento, molto preoccupati per la situiazione che si sta verificando in azienda. «In un momento di grande criticità con più di 400 maestranze in cassa integrazione, proprio mentre iniziavano i primi rientri legati alla costruzione di un troncone per lo stabilimento di Marghera - spiegano in un comunicato - per una serie di fattori negativi legati sia ad errori che a ritardi di fornitura dei disegni, la direzione ha comunicato la necessità di rimandare in cassa integrazione il personale delle aree interessate. Questa situazione provocherà anche un ritardo nel rientro dei lavoratori che opereranno negli step successivi». Una situazione inattesa che rischia di creare tensioni nello stabilimento più strategico del gruppo cantieristico. E i sindacati nel comunicato puntano il dito sulla dirigenza ricordando che più volte hanno denunciato questa situazione gestionale che secondo loro non funziona. «Noi crediamo - dicono infatti - che tutto ciò sia dovuto all’incapacità che l’azienda ha avuto negli anni nell’investire in innovazione e progettazione e di conseguenza riteniamo di una gravità inaudita da una parte che siano sempre gli anelli più deboli della catena a dover subire le conseguenze dell’inefficienza aziendale e dall’altra che i relativi costi vengano scaricate sulla collettività». Una situazione di frizione che giunge ora, nel momento più sbagliato quando il mercato delle crociere sta per ripartire. La Clia infatti (la più grande organizzazione del settore crociere) ha infatti detto che stima che nel quinquennio 2014-2018 verranno commissionate almeno una trentina di nuove unità da crociera.
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