GLI IPERTIROIDISMI P. BERTELLO - C. BERTELLO DEFINIZIONE Per ipertiroidismo si deve intendere una iperfunzione della tiroide con un aumento della sintesi e della secrezione degli ormoni tiroidei. La tireotossicosi invece è una situazione clinico-metabolica che si ha in presenza e in risposta a un eccesso di ormoni tiroidei in circolo. Ne deriva che la tireotossicosi può essere presente anche in assenza di ipertiroidismo, per aumento degli ormoni tiroidei circolanti non dovuto a una loro aumentata sintesi. Come vedremo in seguito questa distinzione è importante ai fini sia diagnostici sia terapeutici. La prevalenza dell’ipertiroidismo è di circa l’1%, maggiore nelle donne con un rapporto 5:1. CENNI DI ANATOMIA DELLA TIROIDE La tiroide è la ghiandola endocrina più grande nell’uomo. Il suo peso varia dai 15 ai 20 grammi. È situata davanti alla cartilagine tiroidea ed è costituita da due lobi uniti da un istmo al di sotto della cartilagine cricoide. Come residuo del dotto tireoglosso si può reperire dal 30 al 50% dei casi, a partire dal margine superiore dell’istmo, il lobo piramidale. I lobi, piriformi con apice in alto, hanno uno spessore di circa 2 cm, un’altezza di 3-4 cm e una larghezza di 2-3 cm. L’istmo è spesso circa 0,5 cm. Setti fibrosi suddividono i lobi in aree impropriamente definite lobuli, costituite da formazioni vescicolari, i cosiddetti follicoli, che contengono una sostanza glicoproteica iodinata detta colloide, costituita dalla tireoglobulina, che è sintetizzata dalle cellule follicolari (tireociti). La tireoglobulina contiene nella sua sequenza gli ormoni tiroidei, cioè tetraiodotironina (T4) – tiroxina – e la triiodotironina (T3). Tra i tireociti e nell’interstizio tra i follicoli si trovano le cellule C o parafollicolari che producono la calcitonina e possono dare origine al carcinoma tiroideo midollare. CENNI DI FISIOLOGIA La sintesi e la secrezione degli ormoni tiroidei è stimolata dal TSH (Thyroid Stimulating Hormone), glicoproteina composta da una subunità α non specifica e da una subunità β specifica prodotta dalle cellule basofile tireotrope dell’ipofisi anteriore. Il TSH si lega ai recettori specifici di membrana e stimola la produzione di AMPciclico che attiva la proteinchinasi A. La sintesi e la secrezione del TSH è a sua volta stimolata dal TRH (Thyrotropin Releasing Hormone), tripeptide di origine ipotalamica. Gli ormoni tiroidei, in particolare la T3, operano un duplice meccanismo di retroinibizione (feedback negativo) inibendo direttamente a livello delle cellule tireotrope ipofisarie la sintesi del TSH e riducendo il numero dei recettori del TRH sulle cellule tireotrope (Figura 1). La sintesi degli ormoni tiroidei è influenzata anche dalla quantità di iodio disponibile nei tireociti. Lo iodio inorganico è attivamente concentrato da queste cellule a concentrazioni circa 30 volte superiori a quelle plasmatiche. Questo processo è inibito da ioni inorganici quali il tiocianato e il perclorato, che per tale azione sono impiegati quali farmaci antitiroidei. Grandi quantità di ioduro inibiscono sia la sintesi degli ormoni tiroidei, bloccando la proteolisi della tireoglobulina, sia il loro rilascio in circolo (effetto Wolff-Chaikoff). Però l’eccesso di ioduri, soprattutto in ghiandole anomale, può provocare ipertiroidismo. Solo il 20% della T3 viene prodotto, in condizioni normali, nella tiroide, mentre il rimanente 80% è prodotto per 5’deiodazione a opera della 5’deiodinasi di tipo I a livello tissutale (specialmente epatico e renale). Il selenio è cofattore di quest’enzima e una sua carenza ne determina l’inibizione. Esiste un secondo tipo di 5’deiodinasi (tipo II), localizzata a livello ipofisario, encefalico e della placenta, che è responsabile della monodeiodinazione ipofisaria della T4, con effetto diretto sulla regolazione della sintesi di TSH. In corso di ipertiroidismo la produzione di T3 a livello tiroideo può invece aumentare anche di molto. La T3 e la T4 sono trasportate nel sangue quasi interamente legate alla TBG (ThyroxineBinding Globulin), alla transtiretina (TTR), che è una prealbumina, e all’albumina. Le HDL (lipoproteine ad alta den- sità) legano circa il 3% della T4 e il 6% della T3. Circa il 30% della T4 è convertita in T3 a livello extratiroideo (Figura 2). La T3 è 10-20 volte meno stabilmente legata che la T4 alle proteine di trasporto, in particolare alla TBG, per cui la percentuale di T3 libera è circa 10 volte superiore a quella della T4. La percentuale di T4 non legata, libera (FT4) è lo 0,03%, mentre la T3 libera (FT3) è lo 0,3%. La T3 possiede inoltre un’attività metabolica tre volte superiore a quella della T4, per cui quasi tutti gli effetti metabolici della T4 sono in realtà da attribuirsi alla T3 che da essa deriva. Gli ormoni tiroidei esplicano la loro azione a livello cellulare attivando recettori nucleari che si legano, con domini differenti, oltre che all’ormone, anche al DNA. Esistono almeno quattro isoforme di recettore: TRα-1, TRα-2, TRβ-1, TRβ-2. Questi recettori nucleari, quando attivati dalla T3 (affinità di legame 10 volte superiore a quella della T4), inducono un aumento della trascrizione dei geni che codificano per proteine cellulari, quali il GH, la catena pesante α della miosina, l’enzima malico e la pompa del calcio. Con questo meccanismo gli ormoni tiroidei influenzano la crescita e la maturazione dei tessuti, la respirazione cellulare, il consumo totale energetico e il ricambio di tutti i substrati, le vitamine e gli ormoni, inclusi gli ormoni tiroidei stessi. ESAMI PER LA DIAGNOSI DI IPERTIROIDISMO Dosaggio FT3 e FT4 Il valore delle frazioni libere (FT3, FT4) degli ormoni tiroidei correla bene con la situazione metabolica. I valori normali di FT4 sono compresi generalmente tra 0,70-1,85 ng/dl, quelli di FT3 tra 2,60 e 5,40 pg/ml. Nell’ipertiroidismo i valori di FT3 e FT4 sono elevati. Valori elevati di FT4 possono riscontrarsi anche in soggetti non ipertiroidei. Ciò avviene: a) nella sindrome da resistenza generalizzata agli ormoni tiroidei; b) nella variante a T4 alta della sindrome da malattia non tiroidea (sick euthyroid syndrome); c) con l’uso di mezzi di contrasto iodati; d) in presenza di autoanticorpi contro la T3 e la T4 per interferenza nel dosaggio; e) con l’uso di farmaci che spiazzano la T3 e la T4 dal legame con le loro proteine di trasporto. I più usati di questi farmaci sono i salicilati, il fenilbutazone, il diclofenac, l’ibuprofen, il ketoprofene, il naproxene, il flurbiprofen, il nabumetone, l’acido etacrinico, le sulfoniluree e l’eparina. La furosemide e il propranololo inibiscono l’attività della 5˙deiodinasi, per cui solamente l’FT4, e non l’FT3 può risultare elevata. Nell’anziano sono stati riscontrati ridotti valori di T3 ma non vi è evidenza per un aggiustamento di tali valori in funzione dell’età. I valori di TSH e il TRH-test consentiranno la diagnosi corretta. Nell’ipertiroidismo i valori dell’FT3 sono relativamente più elevati rispetto a quelli dell’FT4. Nella “T3-tireotossicosi” i valori di FT4 sono normali o addirittura bassi. Dosaggio T3 e T4 Il dosaggio di T3 e T4 totali è sempre meno usato. Infatti i valori di T3 e T4 possono dipendere dalla maggior affinità di legame delle proteine di trasporto (eutiroidismo con ipertiroxinemia), oltre che dai livelli plasmatici di queste proteine, livelli che possono aumentare o diminuire in diverse malattie (per es. epatopatie croniche, sindrome nefrosica ecc.), e con l’assunzione di farmaci (per es. estrogeni e androgeni). Dosaggio TSH Il dosaggio con metodo radioimmunometrico (IRMA) o in chemiluminescenza è altamente sensibile. I valori normali sono per lo più compresi tra 0,3 e 4 mU/l. Nell’ipertiroidismo i valori di TSH sono molto bassi (in genere <0,1 mU/l). Solamente nell’ipertiroidismo da adenoma ipofisario TSH secernente (abbastanza raro) o da sindrome da resistenza isolata ipofisaria agli ormoni tiroidei (rara) il TSH è elevato. Nella valutazione della funzionalità tiroidea, va tenuto presente che alcuni farmaci (vedi farmaci interferenti sulla risposta del TSH al TRH) e patologie concomitanti non tiroidee (sick euthyroid syndrome) possono ridurne la sensibilità e specificità. Pertanto, per i soggetti ricoverati, non è raccomandabile il dosaggio del solo TSH. TRH-test Si somministrano 200 μg di TRH ev e si dosa il TSH ai tempi -15, 0, 15, 30, (45), 60, 90, 120 minuti. Il picco di TSH nei soggetti normali si realizza tra i tempi 20 minuti e 45 minuti con aumento dei valori basali di TSH di circa cinque volte. Nell’ipertiroidismo la responsività è molto ridotta o assente. Nell’ipertiroidismo da sindrome da resistenza isolata ipofisaria agli ormoni tiroidei la responsività invece è normale. I corticosteroidi, la dopamina e i dopamina-agonisti, la difenilidantoina e il verapamile possono attenuare, mentre gli estroprogestinici possono aumentare la risposta al TRH. Negli anziani, specie maschi, la risposta è spesso attenuata. Essendo il dosaggio del TSH, con gli attuali metodi, molto sensibile, il test al TRH viene oggi raramente usato e solamente in alcuni casi di ipertiroidismo subclinico. Anticorpi antirecettore del TSH (TRAb) Sono presenti a livello elevato in oltre il 90% dei soggetti con morbo di Graves-Basedow. La normalizzazione dei valori plasmatici dei TRAb sembra indicare una remissione della malattia, dopo la sospensione della terapia tireostatica. Anticorpi antiperossidasi tiroidea (anti TPO o antimicrosoma) e anticorpi antitireoglobulina (anti HTG) Livelli elevati di questi anticorpi si riscontrano in tutte le tireopatie autoimmuni, compreso il morbo di GravesBasedow. Captazione dello iodio radioattivo (RAIU = Radio-Active Iodine Uptake) È preferibile usare lo iodio-123 (123I) perché viene impiegata una minore dose di radiazioni. Dopo 24 ore dalla somministrazione dell’isotopo, la captazione, nel soggetto normale, varia dal 5 al 20%. La RAIU è inversamente proporzionale alla iodiemia e direttamente proporzionale alla funzione della tiroide. È utile nella diagnosi differenziale della tireotossicosi. Nell’ipertiroidismo la captazione è precoce ed elevata, mentre nella tireotossicosi non dovuta a iperfunzione tiroidea la captazione è ridotta o assente. La RAIU è controindicata in gravidanza. Scintigrafia tiroidea Visualizza la captazione dello iodio radioattivo o del tecnezio-99m (99mTc) da parte della tiroide. Utile, come la RAIU, nella diagnosi differenziale delle tireotossicosi e, inoltre, negli ipertiroidismi, tra morbo di Graves-Basedow, adenoma tossico e gozzo multinodulare tossico. Anche la scintigrafia tiroidea non va eseguita in gravidanza. IPERTIROIDISMO SUBCLINICO Si definisce ipertiroidismo subclinico la situazione ormonale caratterizzata da valori di TSH bassi (<0,5 μU/ml) con valori di FT3 e FT4 nei limiti di norma. Può essere transitorio o persistente. Le cause dell’ipertiroidismo subclinico sono le stesse dell’ipertiroidismo clinico (Tabella 1). Tra i soggetti con più di 55 anni, l’ipertiroidismo subclinico dovuto al gozzo multinodulare è risultato il 57% dei casi, mentre quello dovuto al morbo di Graves-Basedow solamente il 6%. La prevalenza varia dal 2 al 14% a seconda delle popolazioni ed è maggiore nelle donne anziane. L’ipertiroidismo subclinico, nei soggetti con nodulo autonomo, progredisce a ipertiroidismo franco con la frequenza di circa il 4% dei casi per anno. La progressione a ipertiroidismo franco è maggiore nei soggetti con TSH più basso, quasi azzerato. Inversamente proporzionale ai valori del TSH è risultata essere anche l’incidenza di fibrillazione atriale (circa quattro volte superiore rispetto ad analoga popolazione con TSH normale). L’ipertiroidismo subclinico sembra in grado di aumentare la massa ventricolare sinistra, provocare disfunzione diastolica e ridurre la capacità cardiaca allo sforzo, mentre non sembra aumentare il numero dei ricoveri e la mortalità nei soggetti con cardiopatia ischemica, forse perché induce anche riduzione del colesterolo totale e delle LDL. È stato documentato che l’ipertiroidismo subclinico induce osteoporosi solamente nelle donne in postmenopausa. L’ipertiroidismo subclinico persistente va monitorato. Nei soggetti anziani con fibrillazione atriale, con malattie muscolo-scheletriche o con voluminoso gozzo, se il TSH è inferiore a 0,1 μU/ml, è bene prendere in considerazione la terapia tireostatica; mancano tuttavia dati certi sull’efficacia di tale trattamento nella prevenzione della fibrillazione atriale e delle fratture ossee. Se l’ipertiroidismo subclinico è terapeutico, come in caso di tumore o gozzo, può essere indicato l’uso di bifosfonati. TIREOTOSSICOSI E IPERTIROIDISMO Tireotossicosi e ipertiroidismo non sono sinonimi in quanto le tireotossicosi possono essere con o senza ipertiroidismo (vedi definizione di ipertiroidismo). Questa distinzione ha implicazioni diagnostiche e terapeutiche. Per quanto riguarda la diagnosi, nell’ipertiroidismo la RAIU è elevata, mentre nella tireotossicosi senza ipertiroidismo la RAIU è ridotta o assente. Per quanto riguarda la terapia, quella tireostatica (farmacologica, radiometabolica, chirurgica) è indicata solamente nell’ipertiroidismo e non nella tireotossicosi in cui non vi è iperfunzione della tiroide. Nella tabella 1 è riportata una classificazione delle tireotossicosi. Morbo di Graves-Basedow EZIOPATOGENESI Il morbo di Flajani-Basedow, indicato anche, soprattutto dagli anglosassoni, come morbo di Graves o di Parry, è una malattia che riconosce un’eziopatogenesi autoimmune. Fattori genetici ne condizionano l’insorgenza. La malattia è presente nel 20-40% tra i gemelli, in oltre il 10% tra i fratelli. È accertata l’associazione con alcuni alleli del CTLA-4 (Cytotoxic T Lymphocyte-Associated 4) e con alcuni antigeni del sistema HLA (per gli europei con gli antigeni HLA B8 e DRw3). L’ipotesi oggi più accreditata è che i tireociti, in seguito a infezione virale (in particolare da retrovirus) o batterica (in particolare da Yersinia enterocolitica), esprimono sulla superficie cellulare molecole della classe II di specifici tipi di HLA-DR, che presentano antigeni che potrebbero anche essere frammenti del recettore del TSH. Un’alterata sorveglianza immunitaria (compromissione della funzione dei linfociti T suppressor), permetterebbe una proliferazione di cellule T helper e una loro differenziazione in linfociti B che producono immunoglobuline IgG che si legano al recettore del TSH e stimolano in questo modo, attraverso l’AMP ciclico, la crescita e l’attività funzionale dei tireociti. Queste immunoglobuline sono identificate come immunoglobuline stimolanti la tiroide (TSI), o anticorpi antirecettore del TSH (TRAb). Sembra inoltre che la funzione delle cellule T suppressor possa essere compromessa dall’assunzione di iodio in eccesso, dall’assunzione di litio, dallo stress e dal parto. Il fumo costituisce un fattore di rischio (RR circa 2), ancor più forte per l’oftalmopatia. Una seconda ipotesi indica una mutazione somatica del recettore del TSH come stimolo antigenico. Al momento tuttavia non vi è chiara evidenza di una tale mutazione nel morbo di Graves-Basedow. Data la possibile insorgenza del morbo di Graves-Basedow dopo un episodio di rinite allergica è stato indagato un eventuale ruolo eziopatogenetico delle immunoglobuline E, ed è stata documentata una minore riduzione dei TRAb, dopo terapia con metimazolo, nei soggetti con IgE elevate. È stata documentata una variazione stagionale dell’incidenza di questa malattia, con picco nel mese di maggio, corrispondente al periodo dell’anno in cui si verifica la massima variazione positiva della temperatura media. Nella tabella 2 sono elencati i fattori condizionanti l’insorgenza del morbo di Graves-Basedow. PREVALENZA L’insorgenza di questa malattia è più frequente tra i 20 e i 40 anni e nelle femmine rispetto ai maschi. Nelle zone non di endemia gozzigena il rapporto femmine/maschi è 6-7/1, mentre in quelle endemiche è più basso. ANATOMIA PATOLOGICA La ghiandola aumenta di volume per lo più in modo diffuso, diventa ipervascolarizzata e presenta una superficie liscia. I tireociti aumentano in altezza e i follicoli contengono poca colloide. Tra i follicoli è presente un’infiltrazione linfocitaria che testimonia la genesi autoimmune. SINTOMATOLOGIA Vi sono sintomi comuni a tutte le tireotossicosi e sintomi specifici del morbo di Graves-Basedow che riconoscono anch’essi meccanismi patogenetici autoimmuni. I principali sintomi specifici della malattia sono rappresentati dalla oftalmopatia e dalla dermopatia con l’acropachia. L’oftalmopatia infiltrativa è presente in forma evidenziabile ma lieve nel 20-40% dei casi, in forma più grave, che richiede terapia, nel 5% circa dei casi e può precedere (20% dei casi), essere concomitante (40% dei casi), o seguire (40% dei casi) la tireotossicosi. L’oftalmopatia in assenza di ipertiroidismo viene definita “oftalmopatia eutiroidea” o “malattia di Graves eutiroidea”. Nel tessuto retrorbitario sono stati evidenziati anticorpi rivolti contro antigeni (principalmente il recettore del TSH ma anche altri, tra cui il recettore dell’IGF-1) situati sui fibroblasti, sugli adipociti e sulle cellule muscolari. Si ipotizza che si inneschi una reazione infiammatoria con proliferazione di fibroblasti, produzione di glicosaminoglicani (acido ialuronico), edema e aumento di volume dei muscoli e del grasso retrorbitario. La concentrazione urinaria dei glicosaminoglicani sarebbe correlata con le manifestazioni cliniche dell’oftalmopatia. Per un’azione meccanica, dovuta all’aumento di volume del contenuto retrorbitario, si ha la proptosi o esoftalmo, manifestazione caratteristica della malattia. L’esoftalmo può essere misurato con l’esoftalmometro di Hertel ed è decisamente patologico quando supera i 24 mm. Dapprima l’esoftalmo può essere monolaterale ma quasi sempre col tempo diventa bilaterale; qualche volta può progredire rapidamente ed essere molto accentuato (esoftalmo maligno). L’oftalmopatia basedowiana può essere valutata e differenziata da neoplasie, dalla trombosi del seno cavernoso e da altri processi infiammatori mediante ecografia, TAC (Figura 3) e RMN orbitali. Va ricordato di non usare mezzo di contrasto iodato. L’oftalmopatia basedowiana (Figura 4) viene stadiata in base alla presenza e gravità dei sintomi (Tabella 3). La dermopatia infiltrativa si manifesta sempre in presenza di oftalmopatia e nel 50% dei casi più tardivamente. È caratterizzata da un mixedema pretibiale o sul dorso del piede che costituisce un’area cutanea rilevata, ispessita, con aspetto a buccia di arancia, talora pruriginosa e iperpigmentata, quasi sempre ben demarcata dalla cute sana circostante. Nel mixedema è presente infiltrazione linfocitaria con deposito di mucopolisaccaridi. Associata alla dermopatia infiltrativa vi può essere l’acropachia tiroidea, che consiste in ippocratismo digitale (mani e piedi), con alterazioni strutturali ossee ben differenziabili da quelle dell’osteoartropatia polmonare ipertrofica. La dermopatia infiltrativa è stata osservata nello 0,5-3% dei pazienti, senza variazione tra i sessi. La causa non è conosciuta. Non è necessaria alcuna terapia specifica. I sintomi e i segni non specifici del morbo di Graves-Basedow, ma comuni a tutte le tireotossicosi sono elencati, suddivisi per organi e apparati, insieme alla loro frequenza approssimativa, nella tabella 4. Essi possono manifestarsi in tempi e con intensità diversa da caso a caso. In particolare negli anziani può prevalere la sintomatologia cardiaca (cardiotireosi) con aritmie sopraventricolari e scompenso cardiaco. I segni oculari, non espressione dell’oftalmopatia infiltrativa, ma di aumentato tono simpatico sono: a) immobilità del frontale e del sopracciglio (segno di Joffroy); b) abnorme ampiezza della rima palpebrale per retrazione tonica della palpebra superiore (segno di Dalrymple); c) rarità e incompletezza dell’ammiccamento (segno di Stellwag). Questi segni generalmente scompaiono quando regredisce la tireotossicosi. Altro segno cutaneo abbastanza frequente è rappresentato dall’onicolisi, specialmente dell’anulare, con scollamento dell’unghia dal letto ungueale (unghia di Plummer). Tra i segni cardiovascolari va ricordato lo sfregamento di Means-Lerman, che è un rumore aspro di “va e vieni” udibile sul focolaio polmonare, probabilmente secondario allo sfregamento reciproco delle superfici pleurica e pericardica. Infine va ricordata la paralisi ipokaliemica periodica, imputabile, sembra, a una ridotta attività della pompa del calcio e che nei maschi latino-americani può verificarsi nel 10% dei casi. È un disordine neuromuscolare caratterizzato da improvvisi episodi di ipostenia prevalente agli arti (maggiormente alle gambe che alla braccia) e al tronco, con progressione sino alla quadriplegia flaccida. L’attacco può essere scatenato da un’aumentata secrezione di adrenalina o insulina, che induce l’ingresso del potassio nelle cellule, quale può verificarsi in caso di esercizio fisico intenso, stress o abbondante assunzione di carboidrati. Durante l’episodio è dimostrabile la presenza di ipopotassiemia la cui correzione prontamente risolve il sintomo. Anche la somministrazione di propranololo orale o endovena può risolvere l’attacco. È indistinguibile dalla forma familiare senza ipertiroidismo. In alcuni soggetti, quasi sempre anziani, l’eretismo psicomotorio può mancare, e l’astenia e la miopatia costituiscono i sintomi prevalenti (tireotossicosi apatetica). DIAGNOSI I valori di FT3 e FT4 sono elevati. Talvolta, specie negli anziani e/o nei malati, in particolare quelli sottoposti a eccesso di iodio esogeno, i valori di FT3 possono essere normali o di poco superiori alla norma, mentre quelli di FT4 sono decisamente alti (T4-tireotossicosi). In altri casi, al contrario, può risultare elevato solo l’FT3, mentre l’FT4 è normale o addirittura basso (T3-tireotossicosi). Questa situazione può verificarsi nelle fasi iniziali della malattia o di una sua recidiva. I valori di TSH sono decisamente molto bassi. La risposta al TRH appare molto ridotta o assente. La RAIU è aumentata. La captazione e la dismissione dello iodio talvolta possono essere così rapide che la curva di captazione presenta un cosiddetto “angolo di fuga”, che viene evidenziato solamente se la captazione è misurata alla seconda e alla sesta ora dopo la somministrazione del radioisotopo. La scintigrafia tiroidea evidenzia una tiroide aumentata di volume in toto intensamente e omogeneamente captante (Figura 5). Se sono presenti noduli ipocaptanti, questi vanno biopsiati. DIAGNOSI DIFFERENZIALE La nevrosi ansiosa può presentare una sintomatologia per molti aspetti simile a quella dell’ipertiroidismo. Nella nevrosi ansiosa però la cute è fredda anziché calda e il calo ponderale è associato ad anoressia anziché iperfagia. Anche il feocromocitoma può manifestarsi con sintomi presenti nella tireotossicosi (eretismo, intolleranza al caldo, sudorazione). Gli esami di funzionalità tiroidea ovviamente in queste patologie risulteranno normali. TERAPIA In circa il 20-30% dei soggetti si ha, nel corso degli anni, una remissione spontanea della malattia e una evoluzione, per un processo tiroiditico cronico, nella metà di questi casi, verso l’ipotiroidismo. Chiaramente non va aspettata la remissione spontanea. La terapia si pone l’obiettivo di diminuire la sintesi e la secrezione degli ormoni tiroidei e di attenuare i loro effetti. Può essere medica, con l’uso di farmaci o di iodio radioattivo o chirurgica. La terapia dell’ipertiroidismo è illustrata nella tabella 5. TERAPIA MEDICA I farmaci usati sono tre e appartengono al gruppo delle tionamidi. Essi sono il metimazolo (Tapazole), il carbimazolo (Carbotiroid), che è un carbetossiderivato del metimazolo che si trasforma in metimazolo, e il propiltiouracile (PTU) (Propycil). Tutti tre inibiscono la perossidasi tiroidea e bloccano pertanto la sintesi ormonale, impedendo l’organificazione dello iodio e l’accoppiamento delle iodotirosine a formare le iodotironine. Il PTU inoltre blocca la 5’monodeiodasi e inibisce quindi la conversione periferica della T4 in T3. Tutte le tionamidi esercitano anche un’azione immunosoppressiva. È opinione sempre più diffusa tra i tiroidologi, specie in Europa, che la terapia farmacologica debba essere la prima a essere usata. Il metimazolo è circa dieci volte più potente del propiltiouracile, per cui viene usato a una dose dieci volte inferiore. Il metimazolo possiede un’emivita intratessutale che lo rende efficace anche se somministrato una volta sola al giorno, mentre il propiltiouracile va somministrato tre volte al giorno. La dose iniziale da somministrare di questi farmaci varia con la gravità della tireotossicosi (dai 15 ai 30 mg al dì di metimazolo – le compresse di Tapazole sono da 5 e dai 150 mg ai 300 mg al dì di propiltiouracile – le compresse di Propycil sono da 50 mg). Nell’ipertiroidismo grave alcuni tiroidologi preferiscono iniziare la terapia con il PTU per ottenere una più rapida diminuzione della T3. In Italia il PTU non è in vendita, per cui fin da subito è praticamente sempre usato il metimazolo. Prima di ottenere un’at- tenuazione della sintomatologia occorrono 15-20 giorni poiché deve esaurirsi il deposito intraghiandolare degli ormoni tiroidei. Dopo 6 settimane nella maggior parte dei casi (circa l’85%) si ottiene l’eutiroidismo. È ormai assodato che più a lungo viene effettuata la terapia farmacologica tireostatica meno frequenti sono le recidive. La terapia deve essere continuata ininterrottamente, a dosaggio ridotto di mantenimento (2,5-5 mg/al dì di metimazolo) per almeno 18-24 mesi. Per evitare l’ipotiroidismo con aumento del TSH e conseguente aumento del volume della tiroide, alcuni specialisti associano alla tionamide la levotiroxina (Eutirox). I tentativi di aumentare la percentuale di remissione del morbo di GravesBasedow, variando il protocollo terapeutico (dose più elevata, durata, co-somministrazione di levotiroxina), non hanno avuto successo e i risultati dei rari studi che apparivano promettenti non sono stati confermati. La terapia con tionamidi non è priva di effetti collaterali. I più frequenti (3-5%) sono rappresentati da prurito, reazioni orticarioidi e rash cutaneo. Nella maggior parte dei casi questi effetti collaterali si risolvono senza richiedere la sospensione della terapia, anche se può essere utile, in tale evenienza, scambiare la tionamide (metimazolo con propiltiouracile), tenendo però presente che vi è cross-rettività nel 50% dei casi. Altro effetto collaterale relativamente frequente (5-10%) è una neutropenia modesta, che in parte può essere correlata all’ipertiroidismo stesso, per lo più transitoria, che non richiede necessariamente la sospensione della terapia. L’effetto collaterale più grave, talora con esito infausto, è l’agranulocitosi (neutrofili <500/ml), che si verificherebbe in circa 3 soggetti su 1000 che ricevono il farmaco per un anno. L’agranulocitosi si manifesta per lo più nei primi tre mesi di terapia e con dosaggio elevato del farmaco (30 mg o più al dì di metimazolo). La reazione è di tipo idiosincrastico e si manifesta all’improvviso. Pertanto il conteggio dei globuli bianchi a tempi stabiliti è poco utile, mentre è assolutamente importante raccomandare al paziente di controllare l’emocromo e di rivolgersi al medico, appena compaiono faringodinia, febbre o altri sintomi da infezione. In caso di agranulocitosi va immediatamente sospeso il farmaco e iniziata terapia corticosteroidea. Buoni risultati sono stati ottenuti negli ultimi anni con l’impiego dei fattori di crescita midollari (G-CSF). Durante la terapia con tionamidi può insorgere anche un’anemia aplastica, che sembra anch’essa giovarsi del trattamento con i fattori di crescita midollari. Altre complicanze gravi, fortunatamente più rare, più frequenti con il PTU, sono delle malattie a patogenesi autoimmune, in cui sono quasi sempre stati ritrovati gli anticorpi anticitoplasma dei neutrofili, sia perinucleolari sia del citosol (pANCA e c-ANCA). Sono state segnalate vasculiti leucocitoclastiche, lupus eritematoso sistemico, glomerulonefriti, nefriti interstiziali e granulomatosi di Wegener. È stata anche definita una sindrome artritica da tireostatico, che si manifesta nei primi due mesi di terapia, è caratterizzata da una poliartrite migrante, e si risolve entro quattro settimane dalla sospensione del farmaco. Le tionamidi, in particolare il PTU, possono essere inoltre epatotossiche e causare colestasi intraepatica ed epatiti fulminanti. Va ricordato però che l’ipertiroidismo di per sé può indurre colestasi intraepatica. Infine, in corso di terapia con metimazolo, sono state segnalate ipoglicemie da sindrome insulinica autoimmune. Le tionamidi attraversano la placenta per cui, a dosaggio alto, possono causare gozzo e ipotiroidismo nel feto. Il metimazolo inoltre può causare malformazioni congenite, in particolare l’aplasia cutis e l’atresia esofagea e coanale, per cui, in gravidanza è da preferirsi l’impiego del PTU. Per ridurre gli effetti dell’iperstimolazione simpatica, quali il tremore e la tachicardia, è corretto, in assenza di controindicazioni specifiche (asma, scompenso cardiaco grave), associare alle tionamidi i β-bloccanti (propranololo 20-40 mg ogni 8 ore o atenololo 50-100 mg ogni 24 ore). RECIDIVE Dopo una terapia tireostatica ben condotta per due anni le probabilità di una remissione protratta sono del 50-60%. È bene non sospendere il tireostatico se il TSH permane ancora basso, a meno che non si opti per un altro approccio terapeutico. Indici prognostici di recidiva sfavorevoli sono: a) il volume del gozzo; b) la gravità della tireotossicosi calcolata sulla base dei valori plasmatici di FT4 e della frequenza cardiaca; c) il fumo; d) livelli plasmatici elevati di IgE. Un fattore importante e spesso trascurato che può indurre una recidiva della malattia è rappresentato dall’assunzione di iodio per os (farmaci, sale iodato, acqua iodata ecc.) e/o per vena (esami radiografici con mezzi di contrasto iodati). La normalizzazione dei valori plasmatici dei TRAb, come già detto, rappresenta invece un indice prognostico favorevole. TRATTAMENTO RADIOMETABOLICO CON IODIO-131 (131I) Anche se negli Stati Uniti rappresenta ancora la terapia di scelta per molti tiroidologi, si sta affermando l’opinione che il trattamento radiometabolico con 131I è particolarmente indicato: a) nei casi di recidiva della malattia dopo terapia farmacologica o chirurgica; b) nei casi di intolleranza ai farmaci tireostatici, in soggetti di età almeno superiore ai 20 anni. Quasi tutti gli studi osservazionali sul trattamento con iodio radioattivo non sono stati in grado di documentarne effetti mutageni o favorenti l’insorgenza di neoplasie maligne o leucemie, nemmeno nei bambini e negli adolescenti. Soltanto uno studio recente sulla popolazione finlandese ha documentato un modesto aumento del RR (1, 2) di insorgenza di neoplasie della mammella, dello stomaco e del rene, mentre due studi hanno dimostrato un aumento di tumori della tiroide. È noto che la tiroide nell’infanzia è molto sensibile al danno da radiazioni. In gravidanza e durante l’allattamento la terapia radiometabolica è assolutamente controindicata perché potrebbe danneggiare la tiroide del feto e del neonato. La somministrazione dello 131I va quindi effettuata nei primi dieci giorni del ciclo mestruale e per almeno 4-6 mesi dopo la somministrazione va evitata la gravidanza. Molto dibattuto è il problema se il trattamento radiometabolico con 131I, liberando antigeni tiroidei comuni ai tessuti retrorbitari, sia in grado di peggiorare l’oftalmopatia infiltrativa. È stato documentato il peggioramento dell’oftalmopatia nel 15% circa dei soggetti trattati e la possibilità di prevenirlo con la terapia corticosteroidea. È comunque per lo più consigliata la somministrazione di cortisonici (30-40 mg di prednisone al dì per due settimane e poi, a scalare, per due mesi) solamente nei soggetti con oftalmopatia già presente al momento della terapia radiometabolica. Una complicanza della terapia con iodio radioattivo (1% circa dei casi) è la tiroidite da radiazione che può manifestarsi dopo una decina di giorni, e che può aggravare la tireotossicosi. Per questo, in presenza di ipertiroidismo non lieve, soprattutto in soggetti anziani e/o cardiopatici, è consigliabile far precedere la terapia con farmaci tireostatici (in modo da esaurire il deposito intraghiandolare degli ormoni tiroidei), che non andranno assunti 3-4 giorni prima e dopo la somministrazione dello iodio radioattivo per permetterne l’accumulo nella ghiandola. La dose di iodio da somministrare viene determinata in microcurie (μCi) sulla base della captazione e del peso stimato in grammi della tiroide. Sono necessari 4-6 mesi per stabilire se la dose di iodio radioattivo somministrata è stata sufficiente. Nel frattempo può essere praticata la terapia con farmaci tireostatici o anche con ioduro (Lugol). L’ipotiroidismo che si instaura progressivamente nel tempo, è la complicanza più frequente del trattamento radiometabolico: dopo 10 anni dal trattamento, dal 50 al 70% dei soggetti risultano ipotiroidei. Poiché è stato dimostrato che una dose minore di iodio radioattivo ritarda la comparsa dell’ipotiroidismo ma non ne riduce la percentuale, sta prevalendo l’opinione di somministrare, specialmente agli anziani e ai cardiopatici, una quantità maggiore di iodio radioattivo (160 μCi/grammo) per ottenere prima la scomparsa dell’ipertiroidismo. Nei soggetti con grosso gozzo retrosternale il trattamento radiometabolico è per lo più controindicato perché può determinare edema e aumento di volume della tiroide con conseguente ostruzione delle vie aeree. Infine va tenuto presente che la terapia radiometabolica può essere responsabile, anche dopo una decina di anni, dell’insorgenza di iperparatiroidismo primitivo. TERAPIA CHIRURGICA La terapia chirurgica è indicata negli individui con scarsa risposta (anche per scarsa compliance) o con effetti collaterali alla terapia farmacologica, specie se hanno un gozzo voluminoso, che rende meno efficace la terapia con 131I o presentano, all’esame scintigrafico, aree ipocaptanti, “fredde”, che potrebbero essere sede di carcinoma. La terapia chirurgica è anche indicata per le donne in gravidanza e va effettuata preferibilmente nel II trimestre. L’intervento chirurgico deve prevedere la tiroidectomia totale o quasi totale (near total) per evitare il più possibile le recidive. Complicanze dell’intervento possono essere: a) l’ipotiroidismo che insorge subito o, nel 30-40% dei casi, con il passar del tempo, in relazione al volume del residuo tiroideo; b) le recidive che hanno l’incidenza dell’1-2% all’anno; c) l’ipocalcemia che per lo più (fino al 20% dei casi) è transitoria, ma che può essere permanente (1-4% dei casi); d) paralisi transitoria delle corde vocali (3-4% dei casi); e) lesioni permanenti del nervo laringeo ricorrente (< 1% dei casi). La percentuale di complicanze è correlata all’esperienza del chirurgo. Prima dell’intervento chirurgico va raggiunto l’eutirodismo con l’uso delle tionamidi per 4-6 settimane. Per rendere meno vascolarizzata la ghiandola e ridurre il rischio di emorragia è opportuno somministrare per 8-10 giorni prima dell’intervento chirurgico dello iodio (per esempio 5 gocce della soluzione iodo-iodurata di Lugol). TERAPIA DELL’OFTALMOPATIA E DELLA DERMOPATIA Nei casi lievi è sufficiente mettere in atto comportamenti confacenti, quali il dormire con il capo semisollevato e usare occhiali scuri. Per proteggere la cornea, specialmente nei soggetti che non riescono a chiudere completamente le palpebre, possono usarsi le lacrime artificiali, ogni 3-4 ore, e una soluzione all’1% di metilcellulosa, di notte. I diuretici non sono utili. Nell’oftalmopatia più grave si possono usare i cortisonici introdotti in sede retrobulbare oppure per via sistemica. Per via orale si può usare lo schema che prevede prednisone 100 mg per 1-2 settimane, poi a scalare di 12,5 mg alla settimana, per un totale di 8-9 settimane. La dose iniziale di prednisone può essere minore (30-40 mg al dì), con riduzione degli effetti collaterali. La terapia steroidea endovena (a partire da boli settimanali di 500 mg di metilprednisolone), rispetto a quella orale, sembra essere efficace in un maggior numero di soggetti, con minori effetti collaterali. Per prevenire l’osteoporosi indotta da glicocorticoidi, è bene instaurare terapia con bifosfonati, quando vengono usate alte dosi di prednisone. L’oftalmopatia generalmente comincia a migliorare dopo quattro settimane. Nei casi con segni di compressione del nervo ottico può essere praticata, da sola (quando controindicati o non tollerati i corticosteroidi) o in associazione ai cortisonici, la radioterapia esterna sul tessuto retrorbitario. Se la terapia con steroidi e la terapia radiante non arrestano la progressione dell’oftalmopatia e/o sono presenti calo del visus e diplopia, si può ricorrere alla decompressione orbitaria. La diplopia può essere trattata chirurgicamente con successo da oculisti esperti. Considerando che i fibroblasti orbitari presentano recettori per la somatostatina, si sono sperimentati gli analoghi, ma l’impiego dell’octreotide long-acting ha dato risultati contrastanti. La dermopatia può trarre beneficio da una terapia corticosteroidea topica, ma solamente nel 10% dei casi si ha una regressione totale e nel 50% dei casi circa una regressione parziale. Adenoma tossico e gozzo multinodulare tossico Gli adenomi tossici e il gozzo multinodulare tossico rappresentano la seconda causa di ipertiroidismo (20-30% dei casi). Essi sono iperfunzionanti in modo indipendente dallo stimolo del TSH. L’adenoma tossico, definito sovente morbo di Plummer, anche se il quadro clinico descritto da Plummer era più simile a quello del gozzo nodulare tossico, è un adenoma follicolare. Il gozzo multinodulare tossico si manifesta in genere dopo i 45-50 anni di età, in soggetti portatori di gozzo plurinodulare, specialmente in aree di carenza iodica. EZIOPATOGENESI Diventano sempre più numerosi gli studi che dimostrano che almeno alcuni degli adenomi tossici e dei noduli tossici del gozzo nodulare derivano da un’espansione cellulare monoclonale, secondaria a una mutazione (interessante, nella maggior parte dei casi, il dominio transmembrana) del recettore del TSH o della proteina G che stimola l’adenilciclasi (Figura 6). La percentuale dei noduli in cui è stata documentata la mutazione varia, a seconda degli studi, dal 10 all’80%. Questa variazione sembra derivare dalla diversa zona di provenienza dei soggetti studiati, perché le mutazioni sono apparse più frequenti nelle zone a carenza iodica. L’età di insorgenza dell’ipertiroidismo varia ampiamente dall’infanzia all’età adulta, così come le dimensioni del gozzo. Le differenti mutazioni della cellula follicolare tiroidea determinano la sua diversa capacità ormonale e replicativa. Un’assunzione eccessiva di iodio sovente costituisce la causa scatenante, per cui, nell’ambito di un gozzo nodulare, uno o più noduli diventano iperfunzionanti (tossici). SINTOMATOLOGIA Obiettivamente è presente un gozzo uni-o plurinodulare. Sono presenti i segni e i sintomi della tireotossicosi, in particolare quelli cardiaci, essendo i soggetti in prevalenza anziani. Per lo stesso motivo, con maggior frequenza rispetto al morbo di Graves-Basedow, l’ipertiroidismo si può manifestare nella sua variante apatetica. Non sono presenti l’oftalmopatia e la dermopatia, che sono presenti solo nel morbo di Graves-Basedow. DIAGNOSI I valori di FT3 ed FT4 sono elevati, anche se a volte poco al di sopra della norma: I valori del TSH sono molto bassi; gli anticorpi antirecettore del TSH (TRAb) e antiperossidasi tiroidea (anti-TPO) sono assenti. La scintigrafia tiroidea può evidenziare: a) uno o più noduli ipercaptanti, “caldi”, con pressoché totale assenza di captazione nella restante ghiandola (Figura 7); b) una captazione disomogenea con aree ipercaptanti frammiste ad aree ipocaptanti interessanti tutta la ghiandola (Figura 8). TERAPIA La terapia con tionamidi non è quasi mai risolutiva e va protratta nel tempo, per cui appare razionale solo in individui molto anziani, che rifiutano il trattamento radiometabolico, che presentano un alto rischio operatorio e il cui ipertiroidismo è ben controllato con piccole dosi di tireostatico. Per il gozzo multinodulare tossico, il trattamento radiometabolico è quello più praticato dalla maggior parte degli endocrinologi. La dose di 131I da somministrare è in genere molto maggiore di quella richiesta per il morbo di Graves-Basedow. La complicanza dell’ipotiroidismo dopo il trattamento è abbastanza rara, probabilmente perché aree prima inibite riprendono la loro funzione. Per evitare che la tiroidite da radiazione aggravi la tireotossicosi, è consigliabile, specialmente se il soggetto è anziano, far precedere la terapia con tionamidi. Se il gozzo è voluminoso e vi sono segni compressivi o noduli sospetti all’ecografia e/o alla scintigrafia, specie nei soggetti più giovani, appare altrettanto indicata la terapia chirurgica, che deve però essere la tiroidectomia quasi totale o totale, pena la recidiva del gozzo plurinodulare. Per l’adenoma tossico, la terapia chirurgica è da molti endocrinologi, soprattutto europei, ritenuta di scelta, anche se recenti studi hanno molto rivalutato il trattamento radiometabolico, che sarebbe in grado di produrre, nell’arco di due anni, la riduzione del 50% del volume della tiroide e che, dopo 5 anni, indurrebbe l’ipotiroidismo in meno del 10% dei casi. In caso di adenoma tossico l’intervento chirurgico può essere limitato alla loboistmectomia omolaterale all’adenoma. Ipertiroidismo indotto dallo iodio (Jod-Basedow) EZIOPATOGENESI L’ipertiroidismo indotto dallo iodio viene anche identificato come “effetto Jod-Basedow” (Jod-Basedow phenomenon). Esso si manifesta prevalentemente nei soggetti portatori di gozzo plurinodulare, nelle aree a carenza iodica. L’aumentata assunzione di iodio può avvenire con la dieta (consumo di sale o acqua iodati), con i farmaci (amiodarone, collutori, disinfettanti), con prodotti di erboristeria o cosmetici (per esempio Somatoline crema) o con i mezzi di contrasto iodati. L’eccesso di iodio dapprima può ridurre la sintesi degli ormoni tiroidei (effetto Wolff-Chaikoff), cosicché l’ipertiroidismo si manifesta in genere dopo 2-3 mesi dall’assunzione dello iodio. L’amiodarone è un farmaco antiaritmico che contiene due atomi di iodio. La compressa da 200 mg libera in circolo circa 6 mg di iodio, mentre con la dieta medialmente assumiamo 0,3-0,4 mg di iodio al giorno. La tireotossicosi indotta da amiodarone (AIT) ha una prevalenza, nelle regioni a carenza iodica, come in Italia, del 10-15% e può essere di due tipi: il tipo I, tuttora il più frequente (anche se, negli ultimi anni, in Italia, sta aumentando l’incidenza del tipo II), insorge in soggetti con gozzo nodulare o diffuso ed è dovuta a un aumento della sintesi degli ormoni tiroidei, e il tipo II, che insorge con tiroide normale ed è dovuta a tiroidite con rilascio degli ormoni in circolo, senza aumento della sintesi. In molti casi possono coesistere i due tipi. La AIT può manifestarsi, per motivi ancora non del tutto chiari, anche dopo 2-3 anni dall’inizio dell’assunzione di amiodarone. DIAGNOSI Va ricordato che l’amiodarone è in grado di inibire la conversione di T4 in T3. I valori di FT3 ed FT4 sono elevati, con inibizione del TSH. La RAIU è per lo più molto ridotta o assente, dati gli alti livelli di iodio in circolo che competono con l’isotopo tracciante. La ioduria delle 24 ore è elevata. Nella AIT di tipo I può aversi però una RAIU quasi normale. Nella AIT di tipo II invece la RAIU è sempre assente. Nel tipo II, e non nel tipo I, i livelli plasmatici di interleuki- na-6 possono essere aumentati e l’agoaspirato tiroideo evidenzia un quadro citologico di tiroidite. Due studi recenti indicano che il color-Doppler, in mano esperta, è in grado di distinguere, nell’80% dei casi, il tipo I (aumentata vascolarizzazione) dal tipo II (vascolarizzazione assente). TERAPIA Va quasi sempre sospesa l’assunzione di iodio. L’emivita dell’amiodarone è lunga (circa 100 giorni), per cui gli effetti possono perdurare ancora per alcuni mesi dopo la sospensione del farmaco. Va sottolineato che l’assunzione di iodio con la dieta è controindicata nei soggetti con gozzo nodulare. La terapia farmacologica, nel tipo I o misto, prevede l’impiego di tionamidi ad alto dosaggio, da continuare fino a quando si è normalizzata la ioduria, e, nei casi più severi, l’associazione con i cortisonici, che bloccano la conversione di T4 in T3 e con il perclorato di potassio (Pertiroid), 200 mg ogni sei ore, che previene l’ulteriore captazione dello iodio. Nei casi più gravi risultati temporanei si possono ottenere con la plasmaferesi. In alcuni casi va presa in considerazione la terapia chirurgica. Nella tireotossicosi indotta da amiodarone di tipo II si devono impiegare i corticosteroidi ad alte dosi (prednisone 50-75 mg al dì). I primi risultati si manifestano sovente già dopo una settimana. L’eutiroidismo si ottiene, nella maggior parte dei casi, dopo 4-6 settimane, ma il 10-20% dei soggetti rimane ipertiroideo per 3-4 mesi. È stato proposto, sulla base della riduzione dei casi di ipertiroidismo ottenuta, nei soggetti anziani con gozzo nodulare e TSH inibito, l’impiego di perclorato di potassio, 200 mg ogni 6 ore, associato a metimazolo, 60 mg al dì, per 3-4 giorni, a partire dal giorno prima di un esame radiologico con mezzo di contrasto iodato. Va ricordato che il perclorato di potassio può essere causa di anemia aplastica, sindrome nefrosica e disturbi gastroenterici. Va ricordato che l’effetto del warfarin è potenziato dalla tireotossicosi mentre è ridotto dall’ipotiroidismo. Adenoma ipofisario TSH-secernente Quasi tutti i soggetti con il macroadenoma ipofisarico hanno il gozzo, circa il 40% un’alterazione del campo visivo e circa il 30% delle donne presentano galattorrea. Vi può essere il reperto radiologico (TAC, RMN) di adenoma ipofisarico, anche localmente invasivo. I livelli plasmatici di TSH sono elevati, e in particolare sono caratteristicamente elevati i livelli della subunità α del TSH. La risposta del TSH al TRH è praticamente assente. La terapia indicata è quella chirurgica per via transfenoidale. In caso di recidiva o in pazienti non operabili può essere impiegata terapia con octreotide e con analoghi long-acting della somatostatina. Gli analoghi della somatostatina possono anche essere usati prima dell’intervento chirurgico, per renderlo più efficace. Nei soggetti con associata iperprolattinemia si è ottenuto qualche successo con l’uso dei dopamino-agonisti (bromocriptina e cabergolina). Sindrome da resistenza ipofisaria isolata agli ormoni tiroidei (sindrome di Refetoff) È generalmente dovuta a una mutazione del recettore nucleare ipofisario della T3. Come nell’adenoma ipofisario TSHsecernente, i livelli di TSH sono inappropriatamente elevati in rapporto ai valori di FT3 ed FT4 pure elevati. I livelli della subunità α del TSH però non sono alti e inoltre la risposta del TSH al TRH è normale. Come terapia è stata provata la somministrazione di T3 e del suo derivato, acido triiodotiroacetico (TRIAC), con scarsi risultati. Tumori trofoblastici secernenti gonadotropina corionica (hCG) Sia la mola idatiforme sia il corioncarcinoma e anche, nel maschio, il tumore testicolare a cellule germinali possono produrre gonadotropina corionica in eccesso, che può indurre iperfunzione della tiroide. I valori di FT3 ed FT4 sono elevati. Sono inoltre elevati i livelli urinari di β-hCG. La terapia è ablativa chirurgica per la mola idatiforme. Per il corioncarcinoma può essere impiegata la chemioterapia. Prima di eliminare il tessuto trofoblastico, per controllare la tireotossicosi, si possono usare le tionamidi. Ipertiroidismo congenito L’ipertiroidismo congenito può essere dovuto: a) al passaggio transplacentare delle immunoglobuline stimolanti il recettore del TSH in donne gravide affette dal morbo di Graves-Basedow durante o prima della gravidanza; b) a mutazioni familiari della parte transmembrana del recettore del TSH, che ne aumentano l’attività (Figura 9); c) a mutazioni non familiari del recettore del TSH. L’ipertiroidismo congenito da anticorpi materni è autolimitato dall’emivita delle immunoglobuline stesse. Provoca un ritardo di crescita intrauterina e il neonato, spesso da parto prematuro, presenta tachicardia e, talora, segni di insufficienza cardiaca, ipereccitabilità, ipertermia, ipotonia muscolare, esoftalmo uni o bilaterale. Se l’ipertiroidismo non viene diagnosticato e curato può manifestarsi ritardo mentale e microcefalia, come conseguenza di una precoce craniostenosi. Le linee guida nazionali e internazionali per il dosaggio dei TRAb in gravidanza prevedono: a) nelle donne gravide eutiroidee, non in terapia, che hanno assunto farmaci antitiroidei prima della gravidanza, il rischio di ipertiroidismo neonatale è trascurabile quindi non è necessario il dosaggio dei TRAb in gravidanza; b) nelle donne gravide eutiroidee che hanno ricevuto terapia radiometabolica o chirurgica prima della gravidanza il rischio di ipertiroidismo neonatale dipende dal titolo dei TRAb nella madre. Questo va misurato nei primi mesi della gravidanza: se il titolo è assente o ridotto non sono necessarie ulteriori valutazioni, se il titolo è elevato il feto dovrà essere attentamente controllato per segni/sintomi di ipertiroidismo. Il titolo dovrà essere ancora controllato nell’ultimo trimestre per valutare il rischio di ipertiroidismo neonatale; c) nelle donne gravide in terapia con farmaci antitiroidei per morbo di Graves-Basedow (terapia cominciata sia precedentemente sia durante la gravidanza) i TRAb dovranno essere controllati nell’ultimo trimestre. Se il titolo è assente o ridotto, il rischio di ipertiroidismo neonatale è trascurabile, in caso contrario è necessaria la valutazione della funzionalità tiroidea tramite prelievo ematico dal cordone ombelicale, dopo 48 ore e dopo 5-7 giorni dalla nascita, per escludere l’ipertiroidismo precoce e tardivo. Se la funzionalità tiroidea risulta normale, riverificarla nel secondo mese di vita, poiché talvolta, per la contemporanea presenza di TRAb ad azione bloccante e stimolante, l’insorgenza dell’ipertiroidismo neonatale può essere tardiva. L’ipertiroidismo congenito non autoimmune, da mutazione del recettore del TSH, è abbastanza raro e si manifesta in genere dopo la nascita (da qualche settimana a qualche anno). I sintomi, compresa la precoce craniostenosi, sono quelli dell’ipertirodismo neonatale. La terapia dell’ipertiroidismo congenito è medica e prevede l’uso delle tionamidi (metimazolo 0,5 mg/kg/ die o propiltiouracile 5-10 mg/kg/die in tre somministrazioni quotidiane-ogni 8 ore). Vengono ora trattate due situazioni particolari dell’ipertiroidismo: a) la crisi tireotossica; b) la tireotossicosi in gravidanza. Crisi tireotossica Per crisi tireotossica, detta anche tempesta tiroidea (thyroid storm), si intende un quadro di tireotossicosi con segni e sintomi fortemente accentuati. Si verifica per lo più in corso di infezioni, di sepsi, di stress o dopo intervento chirurgico, in particolare sulla tiroide, se il soggetto ipertiroideo non è stato adeguatamente trattato, o dopo un trauma. La causa della crisi tireotossica non è l’aumento improvviso dell’increzione ormonale tiroidea ma l’aumento delle frazioni libere degli ormoni, secondario a una diminuzione delle proteine vettrici, associato a una esaltata attività del sistema simpatico. La sintomatologia è caratterizzata da febbre alta, spiccata tachicardia, diarrea, vomito, agitazione psicomotoria, delirio, stato psicotico, che può evolvere in stato stuporoso fino al coma. La crisi tireotossica richiede un trattamento tempestivo e polifarmacologico nell’intento di ridurre, agendo a più livelli nel minor tempo possibile, gli effetti devastanti degli ormoni tiroidei. La terapia della crisi tireotossica è illustrata nella tabella 6. Tireotossicosi in gravidanza La tireotossicosi non trattata in gravidanza può provocare: a) complicanze materne (pre-eclampsia, distacco di placenta, aborto spontaneo, parto prematuro, scompenso cardiaco); b) complicanze feto-neonatali (basso peso alla nascita, morte neonatale, malformazioni congenite – anencefalia, ano imperforato e labbro leporino – ipertiroidismo fetale e neonatale). L’aumentata frequenza di malformazioni congenite nei nati da donne ipertiroidee non trattate in gravidanza si riduce significativamente se si normalizza la funzione tiroidea con tionamidi. Le tionamidi, a dosaggio appropriato, non interferiscono sostanzialmente con la funzione tiroidea fetale. Non sono state dimostrate differenze in termine di soppressione della funzione tiroidea tra metimazolo e propiltiouracile. La terapia con tionamidi nel primo trimestre di gravidanza non ha effetti sul successivo sviluppo intellettivo. Sebbene sia stato suggerito che il PTU è preferibile in gravidanza, entrambi i farmaci si sono rivelati clinicamente efficaci e sicuri allo stesso modo. Sia il metimazolo che il propiltiouracile attraversano la placenta. La correlazione tra comparsa di aplasia cutis e altre malformazioni nel neonato e assunzione di metimazolo è ancora controversa, tuttavia molti endocrinologi prediligono in gravidanza la terapia tireostatica con il PTU. L’obiettivo della terapia con tionamidi deve essere quello di raggiungere l’eutiroidismo in breve tempo, mantenendo l’FT4 materna nel range alto della norma. Va peraltro detto che, per l’immunodepressione gravidica, in genere, in gravidanza l’ipertiroidismo del morbo di Graves-Basedow si attenua. Se nel I trimestre la dose delle tionamidi per ottenere l’eutiroidismo deve essere troppo elevata o compaiono effetti collaterali insostenibili, è consigliabile considerare l’intervento di tiroidectomia, che va preferibilmente effettuato nel II trimestre di gravidanza. Il propranololo, specialmente per lunghi periodi, non va usato in gravidanza perché può indurre un basso peso e una insufficienza respiratoria alla nascita. Durante l’allattamento la dose di metimazolo deve essere inferiore a 20 mg/die e quella del PTU inferiore a 450 mg/die. È opportuno che la puerpera assuma la tionamide in dosi frazionate e venga controllata periodicamente la funzione tiroidea del lattante. Si ribadisce che la RAIU e il trattamento radio-metabolico sono controindicati in gravidanza. Tireotossicosi senza ipertiroidismo Nelle prime fasi della tiroidite subacuta (di DeQuervain), la tireotossicosi, in forma più o meno lieve, si manifesta in oltre il 50% dei casi. La proteina C reattiva e gli altri indici di flogosi sono molto elevati. La RAIU è molto ridotta o assente (Figura 10). La terapia, nelle forme più gravi, prevede, oltre agli analgesici antinfiammatori, l’uso dei corticosteroidi (prednisone 50 mg al dì per 1-2 settimane, e successivamente a scalare per altre 3-4 settimane). Inutili le tionamidi. Anche la tiroidite linfocitica senza dolore (painless), che può manifestarsi dopo il parto (tiroidite post-partum) esordisce, nella maggior parte dei casi, con segni di tireotossicosi. Gli indici di flogosi, a differenza della tiroidite di De Quervain, non sono per lo più alterati. Possono essere presenti, a basso titolo, gli anti-TPO. La RAIU è molto ridotta o assente. In genere non è necessaria la terapia cortisonica. Per controllare l’attività del simpatico può essere usato il βbloccante. Il teratoma ovarico (struma ovarii) può produrre ormoni tiroidei in quantità tale da determinare una lieve tireotossicosi. In questo caso la RAIU è presente a livello ovarico e subnormale, o bassa, a livello tiroideo. La terapia è chirurgica. Anche nella tireotossicosi da metastasi iperfunzionanti di carcinoma follicolare tiroideo la RAIU è presente a livello del tessuto metastatico. La terapia è quella ablativa con 131I. La tireotossicosi factitia è dovuta a eccessiva assunzione di ormone tiroideo (T4 o T3) accidentalmente o volutamente, per cure dimagranti o per cause psichiatriche. Valori di FT3 elevati e di FT4 bassi si hanno in caso di assunzione soltanto di T3; valori di FT3 ed FT4 entrambi elevati indicano invece l’assunzione anche di T4. La RAIU è molto ridotta o assente. Molto bassi o soppressi sono anche i livelli di tireoglobulina. La terapia consiste ovviamente nella sospensione dell’assunzione dell’ormone ed eventualmente nell’uso di β-bloccanti. La tireotossicosi “da hamburger”, dovuta all’ingestione di carne macinata contenente tessuto tiroideo dell’animale, può essere considerata una variante della tireotossicosi fattizia con lo stesso quadro clinico-diagnostico e terapeutico. Letture consigliate Bogazzi F., Bartalena L., Dell’Unto E.: Proportion of type 1 and type 2 amiodarone-induced thyrotoxicosis has changed over a 27-year period in Italy. Clin. Endocrinol. (Oxf), 67, 533-538, 2007. Chattaway J.M., Klepser T.B.:PTU vs MMZ in the treatment of Graves’ disease during pregnancy. Ann. Pharmacother., 41, 1018-1022, 2007. Cooper D.S.: Antithyroid drugs. N. Engl. J. Med., 352, 905-917, 2005. Diez J.J.: Hyperthyroidism in patients older than 55 years: analysis of the etiology and management. Gerontology, 49, 316321, 2003. Eckstein A.K., Plicht M., Lax H.: Thyrotropin receptor autoantibodies are independent risk factors for Graves’ ophthalmopathy and help to predict severity and outcome of the disease. J. Clin. Endocrinol. 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Squizzato A., Romualdi E., Buller H.R., Gardes V.E.: Clinical review: Thyroid dysfunction and effects on coagulation and fibrinolysis: a systematic review. J. Clin. Endocrinol. Metab., 92, 2415-2420, 2007. PIERDOMENICO BERTELLO Direttore Dipartimento Area Medica Ospedale Civico di Chivasso (TO), ASL TO4, Piemonte CHIARA BERTELLO Specializzanda in Medicina Interna Università degli Studi di Torino TABELLE E IMMAGINI Nucleo paraventricolare Ipotalamo TRH Ipofisi anteriore Ipotalamo T3 T4 5´deodinasi tissutale TSH T3 T4 Tiroide Fig. 1 - Meccanismi di regolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide. Fig. 2 - Metabolismo della T4. TABELLA 1 Classificazione delle tireotossicosi Con ipertiroidismo Morbo di Graves-Basedow Hashitotossicosi Adenoma tossico (morbo di Plummer) Gozzo (o struma) multinodulare tossico Jod-Basedow Adenoma ipofisario TSH-secernente Sindrome da resistenza ipofisaria isolata agli ormoni tiroidei Tumori trofoblastici secernenti hCG Iperemesi gravidarum Ipertiroidismo congenito Senza ipertiroidismo Tiroidite subacuta di De Quervain Tiroidite linfocitica senza dolore con tireotossicosi transitoria Tiroidite post-partum Tiroidite da amiodarone Tiroidite da radiazioni Tiroidite da palpazione (in corso di chirurgia paratiroidea) Teratoma ovarico (struma ovarii) Metastasi iperfunzionanti di carcinoma follicolare tiroideo Tireotossicosi factitia Tireotossicosi da “hamburger” TABELLA 2 Fattori condizionanti l’insorgenza del morbo di Graves-Basedow Genetici Immunitari Infezioni Farmaci (iodio, interferone) Stress Ormoni (estrogeni) Gravidanza Fig. 3 - Oftalmopatia basedowiana. TAC orbitale che evidenzia ispessimento dei muscoli retti interni. Fig. 4 - Oftalmopatia basedowiana. TABELLA 3 Stadiazione dell’oftalmopatia basedowiana Stadio Sintomi 0 Documentabile solo con esami strumentali Retrazione della palpebra superiore, sguardo fisso Lacrimazione, fotofobia, iperemia con giuntivale, chemosi Esoftalmo con o senza diplopia Danno corneale (cheratiti, ulcerazioni) e interessamento dei muscoli oculari (oftalmoplegia) Riduzione del visus da compressione del nervo ottico 1 2 3 4 5 TABELLA 4 Sintomatologia delle tireotossicosi Organi/Apparati Sintomi e segni Frequenza Tiroide Aumento di volume Fremito tiroideo 98% 70% Sistema Nervoso Centrale Eretismo psicomotorio e labilità emotiva Iperreflessia Tremori fini alle mani Vertigini 99% 95% 95% 40% Cardiovascolare Tachicardia Cardiopalmo Aumento della PA differenziale Fibrillazione atriale 99% 90% 90% 10% Cute Calda, umida Aumento della sudorazione Capelli fini e fragili Eritema palmare 90% 90% 85% 8% Occhi Segni oculari 70% Sangue Anemia normocromica Leucopenia Trombofilia 30% 20% 10% Gastrointestinale Iperdefecazione o diarrea Stipsi Colestasi intraepatica 25% 5% 1% Endocrino-metabolico Intolleranza al caldo Calo ponderale Alterazioni ciclo mestruale Bulimia Ipocolesterolemia Anoressia Aumento ponderale Ginecomastia 90% 85% 80% 75% 30% 10% 2% 2% Muscolare Astenia muscolare e/o atrofia 85% Respiratorio Dispnea da sforzo modesto 75% Fig. 5 - Scintigrafia tiroidea di soggetto con morbo di Graves-Basedow. TABELLA 5 Terapia dell’ipertiroidismo • Farmacologica Tionamidi (1-2 anni) – Pro Possibile remissione permanente Evita l’ipotiroidismo Basso costo – Contro Effetti collaterali (agranulocitosi, rash cutaneo, orticaria, poliartrite migrante, colestasi, epatite, ipoglicemie) Gozzo e ipotiroidismo nel feto • Trattamento radiometabolico con 131I – Pro Cura definitiva dell’ipertiroidismo – Contro Ipotiroidismo permanente Tiroidite da radiazioni Precauzioni immediate dopo il trattamento • Chirurgica – Pro Rapida e definitiva cura dell’ipertiroidismo – Contro Ipotiroidismo permanente Rischio di ipoparatiroidismo e di danno del nervo laringeo ricorrente Rischio anestesiologico Recetttore TSH TRH TSH T3 + T4 B) Morbo di Graves-Basedow TSH TRAb T3 + T4 C) Adenoma tossico. TSH Recettore TSH mutato T3 + T4 Nodulo Fig. 6 - Meccanismi etiopatogenetici del morbo di Graves-Basedow (B) e dell’adenoma tossico (C). Fig. 7 - Scintigrafia tiroidea di soggetto con adenoma tossico. LOBO DESTRO LOBO SINISTRO Fig. 8 - Scintigrafia tiroidea di soggetto con gozzo multinodulare tossico. Fig. 9 - Struttura del recettore del TSH. TABELLA 6 Terapia della crisi tireotossica • Blocco sintesi o secrezione degli ormoni tiroidei – PTU, 200 mg ogni 4 ore – o metimazolo, 20 mg ogni 6 ore – per os o per sondino nasogastrico o per via rettale e, dopo, soluzione di Lugol, 8 gocce ogni 6 ore, o ioduro di sodio (ipodato, mezzo di contrasto), 1 g ev nelle 24 ore o 1-3 g per os nelle 24 ore (Oragrafin). – Litio, 300 mg ogni 6 ore (seconda scelta in soggetti con allergia allo iodio) • Inibizione conversione T4 in T3 – Idrocortisone, 100 mg ev ogni 6 ore o desametasone, 2 mg ev ogni 6 ore (i cortisonici inibiscono anche il rilascio degli ormoni tiroidei) • Antagonismo del simpatico – Propranololo, 40-60 mg ogni 4-6 ore per os o sondino nasogastrico oppure 2-4 mg ev lentamente (1 mg/min), monitorando frequenza cardiaca ed ECG. Dose di mantenimento 5 mg/ora. Controindicato nell’asma bronchiale. • Terapia di supporto – Panni rinfrescanti e paracetamolo (non usare i salicilati perché possono aumentare l’FT3 e l’FT4) – Soluzioni glucosate ed elettrolitiche con polivitaminici (monitorare la PVC) – Digitale e diuretici (in caso di scompenso cardiaco la digitale va somministrata a dosaggio più elevato) – Barbiturici per la sedazione – Terapia antibiotica (se infezione o sepsi) Fig. 10 - Scintigrafia tiroidea di soggetto con tiroidite subacuta.
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