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CONFIMI
Rassegna Stampa del 24/11/2014
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INDICE
CONFIMI
24/11/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Il declino delle Associazioni crolla il sistema Confindustria
12
CONFIMI WEB
21/11/2014 www.businessonline.it 10:38
Sistri: proroga 2015, pareri discordanti emendamento Legge Stabilità da approvare
tra resistenze ed ostacoli
17
SCENARIO ECONOMIA
22/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Draghi spinge sulle misure anti deflazione
19
22/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Bocciatura esclusa, le carte di riserva del Tesoro
20
22/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Telecom, allo studio integrazione Tim Brasil-Oi
22
22/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Iren, più vicino l'addio del capoazienda De Sanctis
23
23/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Primo sì dell'Europa all'Italia
24
23/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Canone Rai nella bolletta? L'anello debole delle regole per combattere l'evasione
26
23/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Rischio caos per le Sgr «leggere» Mancano i regolamenti Bankitalia
28
24/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
l'operaismo resiste a terni
29
24/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
spesa Pubblica tentazione irresistibile
31
22/11/2014 Il Sole 24 Ore
Il «bazooka» della Bce vale se serve a ripartire
32
22/11/2014 Il Sole 24 Ore
Fisco e lavoro, la spinta a semplificare
34
22/11/2014 Il Sole 24 Ore
E la Bce dà il via agli acquisti di Abs
36
22/11/2014 Il Sole 24 Ore
Squinzi: «Investimenti per la crescita e il lavoro»
38
22/11/2014 Il Sole 24 Ore
La Gdf mette sotto tiro Pmi e autonomi
40
22/11/2014 Il Sole 24 Ore
Aiuti Ue, maxitruffa all'Agea
42
23/11/2014 Il Sole 24 Ore
Al via la riforma Franceschini: così cambiano i musei
43
23/11/2014 Il Sole 24 Ore
Se le regole sono anti-credito
45
23/11/2014 Il Sole 24 Ore
Jobs act, rischio costi per le imprese
47
23/11/2014 Il Sole 24 Ore
Il gruppo Save gioca la partita negli aeroporti del Nord Est
49
23/11/2014 Il Sole 24 Ore
Al piano Juncker serve un «motore» finanziario
52
23/11/2014 Il Sole 24 Ore
Morando: «Assurda l'Imu sui macchinari, toglieremo la tassa»
54
23/11/2014 Il Sole 24 Ore
57
Si allungano i tempi per la riforma della Cig
23/11/2014 Il Sole 24 Ore
Abusi edilizi, multe a chi non demolisce
58
23/11/2014 Il Sole 24 Ore
Tltro, le banche chiedono 25 miliardi
61
23/11/2014 Il Sole 24 Ore
«Seat Pg riparte senza debito, il futuro è online»
63
23/11/2014 Il Sole 24 Ore
UniCredit, rush finale su Uccmb
65
23/11/2014 Il Sole 24 Ore
Fra la Fiom e Goldman Sachs
66
24/11/2014 Il Sole 24 Ore
Una tregua (impossibile) per attirare gli investimenti
68
24/11/2014 Il Sole 24 Ore
Il costo delle tasse oscure
70
24/11/2014 Il Sole 24 Ore
I rischi della «local tax»
72
24/11/2014 Il Sole 24 Ore
Il centralismo che frena le Pmi vincenti
73
22/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Padoan: "Inaffidabili i calcoli Ue sul deficit"
75
22/11/2014 La Repubblica - Nazionale
La lettera del ministro "Bruxelles appoggi le riforme italiane il debito è sostenibile"
76
22/11/2014 La Repubblica - Nazionale
"Una nuova moneta fiscale per battere la crisi"
78
22/11/2014 La Repubblica - Nazionale
La Tenaris graziata dai giudici tributari solo 9 milioni al Fisco che ora farà ricorso
79
23/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Ecco la riforma Rai al vertice un top manager il canone nell'Irpef
80
23/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Bini Smaghi: "La Ue vuole riforme ma sul deficit ha ragione Padoan Ora fusioni tra le
banche italiane"
83
23/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Flop del federalismo demaniale per i Comuni troppo oneroso gestire caserme e
85
palazzi di Stato
23/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Non si ferma il crollo dei consumi di gas nel 2014 quarto calo consecutivo (-11%)
87
24/11/2014 La Repubblica - Nazionale
I costi dell'Europa non politica
88
24/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Avanti tutta con le riforme l'ok Ue spinge il governo Padoan: "Supereremo anche
l'esame di marzo"*
90
24/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Alle banche italiane 4 miliardi di aiuti penultimi nella classifica europea
92
22/11/2014 La Stampa - Nazionale
Luxottica, la holding vara il riassetto A Del Vecchio va il 25% della Delfin
93
23/11/2014 La Stampa - Nazionale
SUL LAVORO IL GOVERNO RISCHIA IL FLOP
94
23/11/2014 La Stampa - Nazionale
Dimezzati i rimborsi spese ai deputati eletti all'estero "Sì, in effetti erano troppi..."
96
23/11/2014 La Stampa - Nazionale
"Ora l'emergenza sono le bonifiche Troveremo i soldi"
97
24/11/2014 La Stampa - Nazionale
Terni, gli operai tornano al lavoro
99
24/11/2014 La Repubblica - Affari Finanza
POCA FIDUCIA E CAPITALI IL PAESE NELLA PALUDE
100
24/11/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Un trattato transatlantico su misura dell'America
101
24/11/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Greco (Generali) "Avremo più profitti dalle filiali europee"
103
24/11/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Dai banchi al posto in azienda la filiera bocciata e da ricostruire
105
24/11/2014 Corriere Economia
Quella tassa nascosta che sta mangiando le buste paga di tutti
107
24/11/2014 Corriere Economia
Sicurezza, scuole e periferie «Un piano salva cantieri L'edilizia non può attendere»
108
24/11/2014 Corriere Economia
«Telefonia al bivio, deve unirsi alla tivù»
110
24/11/2014 Corriere Economia
Svolte Banche & polizze Così il governo Renzi prepara il piatto di Natale
112
24/11/2014 Corriere Economia
Mattone & famiglie C'eravamo tanto amati
114
22/11/2014 Milano Finanza
CON L'UNIONE BANACARIA IL PUZZLE NON E' FINITO
116
22/11/2014 Milano Finanza
Alitalia-Etihad, bene l'ok di Bruxelles ma la strada è ancora in salita
118
22/11/2014 Milano Finanza
Sugli stipendi Bankitalia non molla
119
SCENARIO PMI
22/11/2014 Corriere della Sera - Bergamo
Nuove banche dalle fusioni nel mondo cooperativo
121
24/11/2014 Il Sole 24 Ore
Dall'export più ricavi per le «corazzate tascabili»
123
23/11/2014 Il Messaggero - Umbria
Operaie del tessile decisea ripartire in cooperativa
125
23/11/2014 Avvenire - Milano
Cenni positivi, ma la ripresa è lontana
126
22/11/2014 Libero - Nazionale
«Tasse e burocrazia, altro "pacco" di Natale»
127
22/11/2014 Libero - Nazionale
Marino sotto accusa Il blocco alle auto fa chiudere i negozi
129
22/11/2014 ItaliaOggi
Attacco al premier da più fronti
130
24/11/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Tutti vogliono l'italian food i fondi a caccia di affari
132
24/11/2014 La Repubblica - Affari Finanza
News, analisi e nuovi prodotti ogni giorno la vetrina delle Pmi
134
24/11/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Export e digitale ecco il segreto di quelle imprese ancora in crescita
135
24/11/2014 Corriere Economia
Trasporti Ora Uber vuole fare impresa
137
24/11/2014 Corriere Economia
Crisi Imprese e salvataggi: il concordato della discordia
139
24/11/2014 ItaliaOggi Sette
Fiere extra Ue a portata di pmi
141
22/11/2014 Milano Finanza
ECCO LA POTENZA DI FUOCO E COME SI MUOVONO I SIGNORI DEI CAPITALI CHE
AIUTANO LE IMPRESE
143
22/11/2014 Milano
Finanza
I signori dei capitali
145
22/11/2014 Milano Finanza
Sostegno Sace da 200 mld
148
CONFIMI
articoli
24/11/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.39 - 24 novembre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
Roberto Mania
Benvenuti nel Paese delle rappresentanze imprenditoriali à la carte . Nella quale ciascuno prende ciò che
vuole e lascia ciò che non gli serve. Come in un grande supermercato delle lobby: si pagano soltanto i servizi
che si comprano. Basta sprechi, anche questa è una spending review. Sergio Marchionne se ne va dalla
Confindustria perché un gruppo industriale con aspirazioni apolidi vive come un ingombro il contratto
nazionale dei metalmeccanici, oltreché la lentocrazia di Viale dell'Astronomia. segue alle pagine 2 e 3 Però la
Fiat-Chrysler resta iscritta all'Unione degli industriali torinesi dove ha le sue radici più antiche e dove vuole
ancora contare tanto. Pietro Salini abbandona l'Ance perché l'associazione dei costruttori è utile ai piccoli che
sopravvivono a stento nel mercato domestico, non a chi, come Impregilo, realizza all'estero oltre l'80% del
proprio fatturato, però continua a pagare le quote associative alla Confindustria. L'Unipol dopo essersi fusa
con la Fonsai dei Ligresti dice basta all'Ania perché con le sue strutture pletoriche frutto di un manuale
Cencelli di settore l'associazione fa fatica a tenere il passo con i cambiamenti del mercato
finanziarioassicurativo, però l'ad Carlo Cimbri ha deciso di proseguire ad applicare il contratto nazionale. La
grande distribuzione ha lasciato la Confcommercio perché nei mega centri commerciali che hanno sostituito
le piazze delle città c'è bisogno di flessibilità di orario, di serrande alzate la domenica e nei giorni festivi, cose
che sono incompatibili con quelle gestioni familiari che reggono i tradizionali esercizi di prossimità. Le
associazioni degli artigiani, travolti dalla lunga Grande Crisi, mantengono ancora i propri iscritti ma potrebbero
rischiare tra un po' di finire, sulla scia delle ormai immodificabili tendenze demografiche italiane, come i
sindacati dei lavoratori dipendenti: più pensionati che attivi. Rete Imprese Italia doveva costituire la rivincita
dei piccoli rispetto allo strapotere "politico" della Confindustria dei capitalisti blasonati ma è nata pensando
che la concertazione avesse un futuro mentre era già stata sepolta. Resistono con la loro anomala identità le
cooperative, senza più le barriere ideologiche di un tempo, così come le associazioni degli agricoltori capaci
di resettare in tempo l'antico collateralismo con la politica (sono passati i tempi in cui la Coldiretti eleggeva i
suoi diretti rappresentanti nella liste della Dc) e costrette a fare i conti prima delle altre con l'integrazione delle
politiche europee. Addio allora al Moloch delle associazioni della rappresentanza imprenditoriale uguali per
tutti, grandi, piccoli, privati, pubblici, industriali, terziari. Sono state pensate e organizzate nel secolo della
rigidità fordista, con duplicazioni di strutture e di poltrone costose e ora insostenibili, tanto che nei territori ci si
fonde (dopo il Lazio anche gli industriali dell'Emilia Romagna e della Toscana lo stanno facendo). Il loro
interlocutore (a parte i sindacati) era il governo nazionale, oggi per vincere si deve competere nel mondo,
pure l'Europa è diventata stretta. La nuova, decisiva, polarizzazione tra le aziende, infatti, è tra chi esporta ciò
che produce e chi non va oltre i confini nazionali. Questa è la vera, attuale, linea di divisione che tende a
strutturarsi nelle organizzazioni di rappresentanza. Questo lega le scelte di Marchionne, Salini e altri.
Riproponendo, ma solo come subordinata, la questione dimensionale delle aziende. Perché - va da sé - i
piccoli fornitori arrancano, si aggrappano alle nuove filiere della produzione che rompono i vecchi confini e
presto pure i contratti di categoria (si pensi solo a ciò che accade nel settore dell'industria agro-alimentare). I
piccoli, nello stesso tempo, hanno bisogno delle sponde associative per avere i consulenti fiscali o del lavoro.
Stare nelle filiere però significa anche strappare alcuni nuovi servizi. A Bergamo e a Varese, per esempio,
hanno definito accordi per il credito bancario che prevede l'applicazione del medesimo rating a tutte le
imprese della filiera. È un caso che avrà molti imitatori. In Lombardia e in Veneto "si affittano" ai piccoli i cfo
(chief financial officer) per mettere a posto gli aspetti finanziari dell'azienda. Sono i nuovi servizi associativi
visto che quelli tradizionali (consulenze sul lavoro e il fisco) cominciano a dover sostenere la concorrenza dei
professionisti privati. I medi imprenditori delle multinazionali tascabili (quei 4 mila censiti dalle indagini di
Mediobanca) sono iscritti alle organizzazioni di categoria ma non partecipano più di tanto alla vita associativa.
Lo fanno più come testimonial nei convegni (sempre meno frequenti), ma poi rientrano nei capannoni. I
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Il declino delle Associazioni crolla il sistema Confindustria
24/11/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.39 - 24 novembre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
grandi fanno da sé, come dimostrano ampiamente, appunto, i casi Fiat e Impregilo, utilizzando consulenti
propri oppure internazionali. Tutto questo sta cambiando le organizzazioni di interesse, dunque. Un
cambiamento subìto, finora. Poi ci sono i fattori interni, o meglio il fattore interno, il "fattore R". Perché il
primato della politica fortemente ricercato dal nuovo premier Matteo Renzi ha provocato uno smottamento nel
sistema della rappresentanza sociale generale, già sotto assedio dagli attacchi della globalizzazione. «Renzi
sta producendo lo stesso effetto che ebbe nel 1980 la "marcia dei quarantamila" quadri della Fiat», sostiene
Paolo Feltrin, docente di Scienza della politica all'Università di Trieste. «Quella marcia svelò che un'epoca era
finita. Ora Renzi ne chiude un'altra. Non si chiede alle organizzazioni di interesse di scomparire, ma di
riposizionarsi. D'altra parte, basta andare sui siti delle varie confindustrie territoriali per toccare con mano
quanto siano indietro rispetto all'epoca attuale. La sveglia è suonata». È finita l'epoca della concertazione ed
è finita l'epoca della Confindustria politica. Confindustria non cerca nemmeno di dettare l'agenda, come ha
ambito a fare dalla presidenza di Luigi Abete dall'inizio degli anni Novanta per passare da quella di Antonio
D'Amato e finire alle gestioni più politiche di tutte, cioè di Luca di Montezemolo e di Emma Marcegaglia. La
politica renziana ha spiazzato gli industriali che si sono ritrovati a portare a casa risultati che mai avrebbero
sperato: l'abolizione sostanziale dell'articolo 18 (Giorgio Squinzi fece la sua campagna elettorale contro il
"falco" Alberto Bombassei all'insegna de "l'articolo 18 non è una priorità"), l'abolizione della componente del
costo del lavoro dal calcolo dell'Irap. Anche questa è la disintermediazione renziana. La stessa che ha
prodotto gli ottanta euro di aumento retributivo mensile che, di questi tempi, valgono ben più di un rinnovo
contrattuale. Confindustria si è adeguata, non chiede più tavoli di confronto, ma produce dossier tecnici che
invia ai pc del governo. E spesso (come denuncia Susanna Camusso) ritrova le sue idee nei provvedimenti
del governo. Oggi sarebbe inimmaginabile una presa di posizione comune delle associazioni di impresa
come ai tempi della Marcegaglia, con il governo Berlusconi all'ultimo sospiro, sulle politiche per la crescita e
l'occupazione. Il presidente della Confcommercio, Carlo Sangalli, ci ha provato ma ha trovato una
Confindustria sfuggente. D'altra parte gli sconti Irap servono ai grandi, banche e assicurazioni comprese, a
forte intensità di lavoro. I piccoli, con pochi dipendenti, vedranno poco o niente, e l'anticipo del Tfr farà loro
più male che bene. I piccoli rincorrono il governo, come la Cna che, snobbata al pari degli altri da Renzi, ha
convocato la prossima assemblea nazionale il 29 novembre in un capannone industriale di Mirandola nella
zona colpita dal terremoto, per dire che le convention si possono fare proprio nei luoghi della manifattura, gli
unici che il premier accetta di frequentare. Ma non è più il rapporto con la politica che può ricostruire la
rappresentatività delle associazioni datoriali. Nel modello à la carte c'è forse proprio la via per la loro
salvezza. Feltrin suggerisce un sistema fondato su quella che chiama "umbrella association": un'associazione
leggera di base con al livello inferiore associazioni di scopo (la riduzione di una tassa, per esempio) che una
volta raggiunto le fanno morire. Altra proposta arriva da Confimi nata da un gruppo di dissidenti della Confapi
guidati da Paolo Agnelli: solo le piccole imprese industriali con organizzazione leggerissima fondata sul
volontariato degli aderenti. Si battono tutte le strade per uscire dalla crisi della rappresentatività. Ma siamo
solo all'inizio.
[ GLI ABBANDONI ] Qui accanto, l'ad di Unipol-Sai Carlo Cimbri (1) che ha da poco annunciato la sua uscita
dall'Ania, l'associazione delle compagnie assicurative, e Pietro Salini (2), ad del gruppo Salini-Impregilo,
uscito dall'Ance, l'associazione di categoria del settore edilizia-costruzioni
[ GLI ABBANDONATI ] Qui sopra, il presidente dell'Ania Aldo Minucci (1) e il suo collega dell'Ance Paolo
Buzzetti (2) 1 2
SEPARATI IN CASA A lato, Sergio Marchionne , ad di Fca, e il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi. Il
gruppo automotive è uscito da Confindustria ma è rimasto associato all'Unione Industriale di Torino
Foto: Da sinistra Giorgio Squinzi e Sergio Marchionne
CONFIMI WEB
articolo
21/11/2014
10:38
www.businessonline.it
Sito Web
Verso la proroga di un anno dell'applicazione delle sanzioni per il mancato rispetto del Sistri. C'è il via libera
della Camera, ma non tutti sono soddisfatti.
Quali sono le novità, le ultime notizie e gli aggiornamenti sul Sistri, il Sistema di controllo della tracciabilità dei
rifiuti? A quanto pare il governo sta lavorando a una proroga al 31 dicembre 2015 delle sanzioni per le
aziende inadempienti. La Camera dei deputati, su sollecitazione del Ministero dell'Ambiente, ha approvato un
emendamento ad hoc e si resta in attesa della pronuncia del Senato. Ma se da una parte verrebbe superato il
problema del non procedere al pagamento del contributo 2014, dall'altra c'è la posizione di quelle aziende
hanno già regolarmente sostenuto le spese per essere in regola.
Occorre procedere a passo spedito perché dal primo gennaio è prevista la piena operatività del Sistri e senza
proroga le imprese sarebbero soggetto a pesanti sanzioni. In realtà sono in tanti a invitare al ripensamento di
questo strumento e ad affidare la tracciabilità dei rifiuti a un sistema nuovo da definire. Come spiegato dalle
associazione di imprese, non si tratta di ridurre la capacità di controllo su movimentazione e smaltimento dei
rifiuti, a di trovare una via d'uscita basata su criteri di trasparenza, efficienza, economicità e facile utilizzo per
le società.
Sulla questione Sistri è intervenuto anche Pierangelo Cantarella, direttore Api Asti, secondo cui "si tratta
dell'ennesima proroga, a danno delle aziende, specie le più piccole, che si erano già dotate del necessario,
come previsto dalla normativa, circa la tracciabilità dei rifiuti. Se da un lato siamo contenti dell'annullamento
delle sanzioni, dall'altro auspichiamo una soluzione più efficace, rispetto all'attuale sistema, del problema
relativo alla tracciabilità dei rifuti, magari sentendo anche, a livello nazionale, Confimi Impresa".
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Sistri: proroga 2015, pareri discordanti emendamento Legge Stabilità da
approvare tra resistenze ed ostacoli
SCENARIO ECONOMIA
59 articoli
22/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 12
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Il presidente Bce: alzare le aspettative sui prezzi il più velocemente possibile. Milano guadagna il 3,88%
Mercati subito in movimento: euro sotto 1,24 sul dollaro, rendimento dei Btp al minimo storico (2,21%)
Giovanni Stringa
MILANO Sono bastate poche parole - come nel luglio di due anni fa - e le Borse hanno preso il volo. «Faremo
quello che dobbiamo per aumentare l'inflazione e alzare le aspettative il più velocemente possibile come
prevede il nostro mandato», ha detto ieri il presidente della Bce Mario Draghi al congresso europeo dei
banchieri a Francoforte. L'euro è subito sceso, fino a andare sotto quota 1,24 sul dollaro, i rendimenti sui Btp
decennali hanno chiuso al minimo storico del 2,21% (spread con il Bund a 144) e le Borse si sono impennate:
Milano +3,88%, Madrid +3,05%, Parigi +2,67% e Francoforte +2,62%. E New York ha toccato nuovi record,
spinta anche dal taglio dei tassi in Cina.
Resta ora da vedere se l'euforia persisterà nel tempo, come era successo nell'estate 2012, quando le parole
di Draghi («siamo pronti a fare qualsiasi cosa sia necessaria per salvare l'euro nell'ambito del nostro
mandato») riuscirono a calmare l'eurotempesta e abbattere i tassi di Btp e Bonos. Oggi l'obiettivo sono i
prezzi: viaggiano a un passo della deflazione e quindi appaiono lontanissimi dal target della Bce di un «quasi
+2%» nel medio periodo. L'orizzonte finale? Aiutare l'arrivo di ripresa e investimenti. In un impegno che ha
raccolto il «benvenuto» del ministro Pier Carlo Padoan.
A fare rumore nelle orecchie dei mercati non è stato solo il discorso di Draghi, ma anche il silenzio del
presidente della Bundesbank, il «rigorista» Jens Weidmann. Anche lui allo stesso incontro di Draghi, nel suo
successivo discorso non ha fatto alcun accenno alle scelte della Bce o alla politica monetaria, concentrandosi
invece sulla capitalizzazione delle banche. E a margine del convegno lo stesso Weidmann ha a suo modo
glissato: «Non ci si può commentare a vicenda ogni volta».
«La situazione dell'inflazione nell'Eurozona è diventata sempre più difficile», ha spiegato Draghi, «una ripresa
più forte è improbabile nei prossimi mesi». Ragion per cui «aumenteremo la pressione ampliando
ulteriormente i canali attraverso cui interveniamo» - ha aggiunto - se sarà necessario. La Bce è pronta a
rivedere «le dimensioni, il ritmo e la composizione degli acquisti di titoli» per riportare l'inflazione verso
l'obiettivo del "quasi 2%". Partite ieri le operazioni sui prestiti cartolarizzati, Draghi ha fatto un riferimento
esplicito al «quantitative easing» - che include gli acquisti di titoli di Stato - di Federal Reserve e Banca del
Giappone.
Se la Germania è pronta - ipotesi da confermare - a non fermare il nuovo «bazooka» di Draghi, già si profila
la contropartita. Non solo nelle riforme strutturali, invocate di nuovo dalla Bce. Ma anche nell'esecutivo
politico. L'Eurozona, ha detto il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, ha bisogno
«urgentemente» di una revisione dei trattati per una governance economica: un ministro delle Finanze dei 18.
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La vicenda
Il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi ha parlato di un'inflazione che versa in una
situazione «sempre più difficile». La Bce ha ribadito che farà tutto il necessario per adempiere al proprio
mandato di guardiano della stabilità dei prezzi
Foto: «Se si dovessero materializzare ulteriori rischi sull'outlook dell'inflazione - ha detto ieri Mario Draghi (
foto ) - aumenteremo la pressione
e amplieremo ancora di più
i canali di intervento, modificando adeguatamente le dimensioni,
il ritmo e la composizione dei nostri acquisti»
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
19
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Draghi spinge sulle misure anti deflazione
22/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 13
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Bocciatura esclusa, le carte di riserva del Tesoro
Il negoziato con Bruxelles e le privatizzazioni. L'ipotesi del super dividendo Cdp 0,1 per cento è l'incremento
del Prodotto interno lordo previsto per l'Italia nel 2015, +0,3% per il 2016 e +0,2% nel 2017 1,2 miliardi di
euro l'ammontare del dividendo straordinario che il Tesoro avrebbe chiesto alla Cassa Depositi e Prestiti
Mario Sensini
ROMA Un altro grafico e tanti altri numeri per dire che tra i paesi della zona euro il macigno del debito italiano
è, secondo i dati della stessa Commissione Ue, il più sostenibile nel breve, nel medio e anche nel lungo
periodo. Più di quello della Germania e della Francia, annunciava il Tesoro con un tweet di prima mattina,
nella nuova puntata della campagna «Orgoglio e pregiudizio» avviata a inizio settimana. Proprio mentre il
ministro Pier Carlo Padoan prendeva carta e penna per scrivere ai Commissari Valdis Dombrovskis e Pierre
Moscovici, in vista del primo verdetto della Commissione sul bilancio 2015, atteso martedì prossimo.
È un pressing incalzante, quello del governo italiano. La campagna dei tweet, con l'avanzo primario di
bilancio, tra i più alti del mondo e tra i più stabili negli ultimi 20 anni, il deficit sempre sotto il 3% anche
durante la crisi, il debito che in questi sette anni di crisi è cresciuto meno di quello degli altri paesi Ue, eccetto
la Svezia. Poi l'intervista del ministro al «Financial Times», in cui torna a ribadire forti dubbi sui metodi
statistici usati dalla Commissione per valutare i progressi di bilancio degli stati membri. E ieri la lettera,
conciliante, ma dai toni molto fermi.
Rafforzare ancora la correzione del deficit, più di quanto si è già deciso di fare dopo le osservazioni della Ue,
«spezzerebbe definitivamente le ali alla ripresa». Sarebbe controproducente, dice Padoan, perché
ributterebbe il paese nella recessione, da cui sta faticosamente tentando di uscire, dopo aver perso «un
decimo del pil» nel corso della crisi.
L'Italia è sotto il 3% di deficit, rispetta la regola della spesa, ma non quella del debito, che imporrebbe una
riduzione sostanziosa. Ma è un debito, scrive Padoan alla Commissione, che non è aumentato per colpa di
politica di bilancio lassista, ma per i contributi al salvataggio dei paesi Ue in crisi, il pagamento degli arretrati
alle imprese, e per un'inflazione «che se fosse stata in linea con gli obiettivi della Bce, avrebbe già portato il
debito su un sentiero di discesa».
I collaboratori di Padoan sono convinti che dopo il compromesso di metà ottobre ed il rafforzamento della
manovra, l'Italia non dovrebbe avere grossi problemi a passare indenne l'esame di martedì prossimo.
Nessuno si aspetta una promozione piena, ma neanche brutti scherzi. E si spera che il nuovo presidente Jan
Claude Juncker scelga la linea del buonsenso, quella di aspettare, prima di far scattare procedure e multe.
È probabile che l'esame venga rinviato alla prossima primavera, sui dati "ex post", piuttosto che sulle
previsioni "ex ante". Per il governo italiano sarebbe senz'altro un punto a favore. Ad aprile, maggio, molte
riforme che oggi sono sulla carta dovrebbero essere già state approvate e avviate, la ripresa dell'economia
dovrebbe essersi consolidata e offrire prospettive migliori.
Nel frattempo, il Tesoro potrebbe anche accelerare il piano delle dismissioni, che è rimasto fermo al palo, ma
che Padoan ha garantito ancora ieri alla Ue di voler portare avanti con determinazione nelle prossime
settimane.
Secondo alcune indiscrezioni il ministero dell'Economia avrebbe chiesto alla controllata Cassa Depositi e
Prestiti la distribuzione di un dividendo straordinario che potrebbe arrivare ad 1,2 miliardi. In sostanza Padoan
avrebbe sollecitato la Cassa per ottenere gran parte del dividendo straordinario (1,5 miliardi) che incasserà
tra pochi giorni dalla sua controllata Cdp Reti, prima che in questa facciano ingresso i Cinesi di State Grid e i
privati.
Per il 25 novembre, intanto, Padoan aspetta le nuove previsioni Ocse sull'output gap, il numeretto della
"contesa" con Bruxelles. Le ultime previsioni Ue lo vedono, per l'Italia, al 3,5%. Secondo Padoan se la Ue
usasse i numeri Ocse, l'Italia sarebbe già in avanzo strutturale di bilancio. Oggi per l'Ocse l'output gap italiano
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Il retroscena
22/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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è al 5,1%, ma la nuova stima sarebbe anche superiore.
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Al «Ft»
In un'intervista al Financial Times il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan (foto )
è tornato a sottolineare
i dubbi sui metodi statistici usati da Bruxelles per valutare
i progressi
di bilancio degli stati. L'Italia
è sotto il 3%
di deficit ma non ha fatto abbastanza
nel 2014
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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22/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 46
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Cedute per 900 milioni di euro le torri nel Paese sudamericano
Massimo Sideri
MILANO La coppia Giuseppe Recchi-Marco Patuano riparte dal Brasile: dopo il match estivo perso contro il
suo stesso azionista Telefonica che ha strappato l'accordo Gvt-Vivo, Telecom Italia tenta di chiudere quello
che era ormai l'eterno dilemma su Tim Brasil. Puntarci e monetizzare? La decisione ieri è stata presa: il
consiglio di amministrazione ha dato mandato al presidente Recchi e all'amministratore delegato Patuano per
studiare l'integrazione tra Oi, il principale operatore telefonico brasiliano nato dalla privatizzazione di 16
compagnie regionali, e Tim Brasil, controllata da Telecom al 68% tramite Tim Partecipaçoes.
Scelto l'indirizzo il nodo rimane nella definizione delle risorse: un'operazione a debito sembra esclusa visto il
livello dell'indebitamento netto sempre sopra i 28 miliardi di euro. La voce su un possibile aumento di capitale,
che il gruppo ha smentito giorni addietro, rimane vivace sul mercato. Bisognerà capire se l'integrazione si
potrà fare carta contro carta visto che anche Oi in termini di indebitamento non è che se la passi benissimo,
tanto che da mesi si parla della possibilità di cedere le quote in Portugal Telecom. La vicenda è complicata
dal fatto che anche Oi aveva a propria volta aperto il dossier su Tim Brasil dando mandato a Btg Pactual.
Insomma, dietro un teorico accordo c'è una simmetrica guerra di conquista scatenata proprio dall'operazione
Gvt-Vivo che ha avviato il ballo del consolidamento in Brasile.
Ma ieri il consiglio di amministrazione romano, durato circa 5 ore, è servito anche per comunicare al board
l'offerta della stessa Telecom Italia a F2i per la quota di Metroweb (negli scorsi giorni era emerso anche
l'interesse di Vodafone) e per approvare la cessione delle 6.481 torri sempre in Brasile per circa 900 milioni di
euro ad American Towers Corp. Un consiglio di amministrazione di Tim Brasil ieri sera ha poi affrontato gli
stessi dossier per chiudere il cerchio.
Sulla questione Oi ieri è intervenuta anche l'Asati, l'associazione dei piccoli risparmiatori Telecom: «Oi ha un
debito consistente, superiore a quello di Telecom qualora rapportato all'Ebitda prodotto. Ma se andasse in
porto la vendita di Portugal Telecom, il debito di Oi rispetto all'Ebitda sarebbe confrontabile con quello di
Telecom. Un mandato senza la consapevolezza dell'eventualità di un modesto aumento di capitale, sarebbe
solo parole al vento». L'accordo sulle torri dovrà comunque essere approvato dall'Antitrust locale, processo
che potrebbe richiedere diversi mesi.
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Il titolo a Piazza Affari d'Arco Ieri 0,919 euro +1,71% 0,759 0,789 0,850 0,880 0,910 0,819 1 set 15 set 29 set
13 ott 27 ott 10 nov
I manager
Il presidente di Telecom Italia, Giuseppe Recchi, e sotto, l'amministratore delegato, Marco Patuano.
I due manager hanno ricevuto ieri il mandato del board
per studiare l'integrazione della controllata
Tim Brasil
con il principale operatore telefonico locale Oi 53,8 per cento
la quota detenuta da F2i in Metroweb. Ieri il Consiglio Telecom è stato informato dell'offerta presentata
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Telecom, allo studio integrazione Tim Brasil-Oi
22/11/2014
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Iren, più vicino l'addio del capoazienda De Sanctis
(fr.bas.) Il matrimonio combinato non ha funzionato, dopo meno di un anno e mezzo è in già in crisi. Da
tempo ormai gira la voce che l'amministratore delegato di Iren, Nicola De Sanctis (foto) , non sia più gradito ai
soci: i Comuni di Genova, Torino e Reggio Emilia (riuniti nel patto di sindacato). Ora però la situazione
sembra precipitata, fonti parlano di «turbolenza», ed entro la fine del mese potrebbe esserci il cambio. In pole
position ci sarebbe Massimiliano Bianco, ex direttore generale dell'Acquedotto Pugliese, in ottimi rapporti con
l'ex presidente di Iren Roberto Bazzano (rimasto in consiglio). E pensare che De Sanctis era stato scelto con
un metodo anomalo per una multiutility con soci pubblici: il sindaco di Genova Marco Doria aveva imposto per
il proprio candidato l'utilizzo dei cacciatori di teste e l'agenzia Spencer Stuart aveva selezionato (in cambio di
un modico compenso) una rosa di candidati. L'aveva spuntata De Sanctis, all'epoca responsabile delle
rinnovabili di Edison. Insomma, un manager venuto dal mercato e non dalla politica. Ma già in estate Doria
aveva bollato il proprio uomo come «deludente», nonostante i buoni risultati economici a fine 2013 e la
semestrale 2014 sopra le aspettative degli analisti. C'è chi parla di incompatibilità di carattere con il
presidente Francesco Profumo (indicato dal Comune di Torino) e il vice Andrea Viero (in quota Reggio
Emilia). Ma c'è anche chi evidenzia il peso di alcune scelte di De Sanctis, come il tentativo di efficientamento
della società attraverso una cura dimagrante delle numerose poltrone.
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Guala Closures sbarca negli Usa
(f. sav.) La ratio è quella di avere una maggiore vicinanza ai mercati di sbocco. E i clienti stavolta sono tutti
dall'altra parte del mondo. California. Cuore della Napa Valley, distretto del vino dal sapore un po' hi-tech.
Così la formula di marketing è quella del «design studio», un centro di ricerca e fabbricazione di circa mille
"chiusure" (tappi) destinate ai piccoli produttori della zona appena inaugurato dall'italiana Guana Closures,
leader mondiale di questa particolare mercato con 24 stabilimenti produttivi e oltre 13 miliardi di pezzi
realizzati ogni anno. La particolarità del centro è che utilizza un impianto ideato dagli ingegneri del gruppo
basato sulla stampa 3D, un trattamento ad hoc per le superfici al plasma e un sistema di polimerizzazione
dedicato.
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International School of Milan, la scommessa del fondo Hig
( d. pol .) Il business delle scuole di prestigio continua ad attirare investitori. Dopo la Cir che ha scommesso
sullo Swiss education group nel management alberghiero, ecco scendere in campo il fondo londinese Hig.
Per il suo primo investimento in Italia, il private equity guidato in Italia da Raffaele Legnani ha puntato in alto,
rilevando la maggioranza della International school of Milan, storico istituto per medie e liceo fondato nel
1957 da Francesco Formiga e oggi gestito dai suoi eredi. In realtà si tratta di quattro scuole declinate anche a
Modena, Monza e Siena, con un totale di circa 25 milioni di ricavi e 1.500 studenti, in costante crescita.
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Sussurri & Grida
23/11/2014
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Primo sì dell'Europa all'Italia
Via libera sui conti, nuovo esame a marzo. Il governo riconosce i ritardi sulla giustizia
L'Ue ha promosso la legge di Stabilità del governo Renzi. La nostra situazione sarà poi rivista in marzo. A
Roma, intanto, la ministra Boschi spiega che se si voterà prima della riforma del Senato lo si potrà fare con il
proporzionale. da pagina 4 a pagina 9 -a pagina26 il commento diMaurizio Ferrera
Pericolo scampato, almeno per ora. Dando ascolto alle argomentazioni del ministro dell'Economia Pier Carlo
Padoan, l'Unione europea ha dato il via libera alla legge di stabilità. Almeno fino alla verifica del prossimo
marzo, non dovremo fare ulteriori sacrifici sul fronte del deficit. Il confronto tra Roma e Bruxelles sui saldi di
bilancio merita però alcune riflessioni generali sugli equilibri tra «tecnica» e politica in Europa.
L'elemento chiave usato dalla Commissione per valutare i conti dei Paesi membri si chiama «deficit
strutturale». In parole povere, è il saldo fra entrate e uscite pubbliche, corretto in modo da tenere conto della
recessione. Per calcolarlo, la Commissione impiega metodi sofisticati, che includono la stima del «prodotto
potenziale», ossia quello che l'economia italiana potrebbe generare se non ci fosse la crisi. Si tratta di un
artefatto statistico. Un prodotto che non esiste non può essere osservato: è una specie di «fantasma», la cui
grandezza dipende da chi lo disegna. Il metodo della Commissione è condiviso da molti esperti. Ma non da
tutti (si veda in proposito il dibattito su Lavoce.info). Nei giorni scorsi Padoan ha fatto un'affermazione
alquanto clamorosa: se invece del metodo Ue usassimo quello dell'Ocse, oggi l'Italia sarebbe addirittura in
avanzo strutturale. Potremmo così disporre di risorse aggiuntive da destinare a lavoro e crescita. La stessa
Banca centrale europea ha espresso dubbi sui metodi di stima attualmente in uso.
Chi ha deciso questi metodi? Visto che i saldi di bilancio dei Paesi membri possono cambiare di svariati
miliardi all'anno a seconda delle formule di calcolo, la domanda non è certo peregrina. Pur di natura tecnica,
decisioni così rilevanti non possono essere prive di una qualche legittimazione democratica. Dovrebbero in
altre parole essere il frutto di procedure riconducibili, in ultima analisi, ai canali della rappresentanza
popolare. Se si prova a ricostruire la cosiddetta «base legale» su cui poggia la scelta dei metodi, ci si perde
tuttavia in un labirinto di norme legislative e regolamenti. In un pomeriggio di ricerche, chi scrive non è riuscito
a trovare il bandolo della matassa.
L'impressione è che la formula di calcolo utilizzata dalla Commissione sia stata elaborata da gruppi ristretti di
funzionari ed esperti. L'autorizzazione «democratica» è provenuta da una delega ex ante o da una ratifica ex
post da parte del Consiglio. C'è però da chiedersi: scelte così delicate e, alla fine, discrezionali possono
essere assunte ed applicate in sedi pressoché inaccessibili all'opinione pubblica? Quando sono in gioco le
opportunità di vita di milioni di cittadini è giusto che le istituzioni rappresentative firmino deleghe in bianco o
approvino a scatola chiusa? Che rinuncino al diritto di essere «tenute in conto» dai tecnici, di «chiedere
conto» delle loro decisioni, «per conto» dei propri elettori? L'Unione europea sta perdendo il sostegno
popolare anche per questa abdicazione.
Forse è ora che la democrazia entri nelle torri d'avorio di Bruxelles e fronteggi i molti fantasmi che le abitano.
Matteo Renzi ha esagerato a prendersela con «la banda di burocrati europei». Ma ha fatto bene a chiedere
maggiore trasparenza e ad insistere per una definizione condivisa, ma politica , di cosa vuol dire «flessibilità»
nell'applicazione delle regole fiscali. Certo, la politica può fare danni. Ma la tecnica non è depositaria di verità
assolute, né di metodi infallibili. Le sue diagnosi poggiano sempre su qualche premessa discrezionale e
proprio per questo anche le sue ricette possono risultare inefficaci e perfino causare effetti perversi: ad
esempio impedire la ripresa economica per un eccesso di austerità.
Solo un nuovo compromesso fra politica e tecnica può oggi salvare l'Ue. Soprattutto se ci si propone (come
sarebbe auspicabile) di trasferire a Bruxelles maggiori quote di sovranità. L'Europa ha un disperato bisogno
di crescita e lavoro. Ma se vuole riavvicinarsi ai cittadini e combattere i populismi, deve essere in grado di
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Indicazioni positive dai tecnici, ora tocca alla Commissione. Boschi: il Senato? Se si vota presto c'è il
proporzionale
23/11/2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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darsi un «senso», una missione legittimante. La posta in gioco è altissima e la soluzione non può che venire
dalla politica: una politica lungimirante, consigliata da una tecnica consapevole dei propri limiti.
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23/11/2014
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Canone Rai nella bolletta? L'anello debole delle regole per combattere
l'evasione
Francesco Di Frischia
ROMA Il governo Renzi vuole utilizzare la bolletta dell'elettricità casalinga per fare pagare il canone Rai a tutti
gli italiani. Così, per stanare i «furbetti» sconosciuti al Fisco, si attribuirebbe alle società che forniscono
energia elettrica, un ulteriore compito oltre a quello già in vigore dal 2005, anche per le aziende che erogano
gas e acqua, di chiedere agli utenti di fornire i dati catastali da girare poi all'Agenzia delle Entrate.
Un sistema che lascia molto a desiderare disegnato da un decreto del Presidente della Repubblica del 1973
e poi modificato dalla Finanziaria del 2005 che prevede «l'obbligo a carico dei soggetti che erogano servizi di
elettricità, acqua e gas di raccogliere e successivamente comunicare all'anagrafe tributaria i dati catastali
degli immobili nei quali sono attivate le utenze, così come dichiarati dall'utente».
Una successiva circolare dell'Agenzia delle Entrate del 2005 ha spiegato che questo meccanismo «è
funzionale ad un'efficace azione di contrasto dei fenomeni evasivi ed elusivi riferiti al settore immobiliare nel
suo complesso». In pratica il Fisco dovrebbe incrociare nelle banche dati queste informazioni per scoprire
«non solo le locazioni immobiliari non dichiarate o parzialmente dichiarate - sottolinea il documento - ma
anche tutte le attività economiche sconosciute o sottofatturate».
Le norme non indicano la modalità di raccolta dei dati da trasmettere all'amministrazione finanziaria, ma per
queste comunicazioni le aziende dovrebbero predisporre dei moduli da inviare ai titolari dei contratti suggerisce l'Agenzia delle Entrate - che poi dovrebbero compilarli e restituirli alle stesse società. «L'obbligo di
comunicare i dati catastali sarà assolto - si precisa nella circolare - in occasione di nuovi contratti dal 1° aprile
2005, delle modifiche contrattuali, tariffarie, del cambio di fornitore, compresa la variazione del voltaggio per
le forniture di energia».
L'ultima modifica risale a una circolare del 2012 dell'Agenzia delle Entrate che ha implementato e
perfezionato i contenuti e le modalità online di invio dei dati: è stato introdotto, tra l'altro, l'obbligo della
comunicazione negativa in assenza di dati. Una ricevuta web dell'Agenzia delle Entrate prova che
l'operazione si è conclusa senza intoppi.
Il meccanismo sembra in apparenza perfetto, essendo corredato anche da alcune sanzioni: una multa da 206
a 5.164 euro per il gestore che non trasmette i dati catastali e il codice fiscale del cittadino che firma il
contratto. E un'altra multa da 103 a 2.065 euro per l'utente che non compila il modulo e non lo spedisce alla
società.
Fatto sta che nella pratica sono molti gli utenti che si ribellano a questa prassi ma sono anche molti i gestori
che si rifiutano di funzionare come esattori. Risultato: la pratica è spesso disattesa, anche perché, e qui sta il
buco nella normativa, il gestore non ha l'obbligo di rifiutare l'allacciamento in assenza di questi dati.
Tutto questo dovrebbe scoraggiare ora il governo dall'utilizzare la bolletta elettrica come veicolo per far
pagare il canone. L'idea di abbassarne l'importo, portandolo a una cifra tra i 60 e gli 80 euro in base a fasce
di reddito, dovrebbe passare con un emendamento alla legge di Stabilità in discussione alla Camera: il
provvedimento è rivolto a chi possiede non solo un televisore, ma anche qualsiasi apparecchiatura elettronica
atta alla ricezione di segnali radio e tv, compresi computer, tablet e smartphon e.
Con questo sistema, secondo l'esecutivo, sarebbe praticamente impossibile evadere l'imposta (ignorata oggi,
secondo prudenti stime, dal 27% degli italiani).
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60-80 Il costo in euro del futuro canone Rai che il governo Renzi vuole inserire nella bolletta elettrica
dal prossimo anno con un emendamento alla legge di Stabilità 5.164 La sanzione massima (che parte
da 206 euro) prevista per le aziende erogatrici di gas, acqua e energia se non comunicano i dati del cittadino
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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23/11/2014
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che firma il contratto 2.065 La multa massima (che parte da 103 euro) per il cittadino che omette di
comunicare i dati catastali all'ente che eroga il servizio di fornitura
23/11/2014
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Dal primo gennaio i venture capital dovranno adeguarsi. Il pericolo di fuga all'estero
Massimo Sideri
MILANO Nei corridoi della finanza da startup la nuova normativa per la disciplina dei fondi di venture capital è
già stata battezzata "Sgr light". Ma, proprio come accade con la Coca Cola light , non si capisce se sia da
preferirsi alla bevanda tradizionale. La vicenda va avanti dal 2013. E il problema è proprio questo: è andata
troppo avanti. Oltre i limiti temporali. Gli altri Paesi si sono adeguati in tempo alla direttiva europea, l'Italia no.
Mancano ancora (la scadenza ufficiale era addirittura lo scorso 22 luglio) i regolamenti di Bankitalia che, dopo
una consultazione, sembra comunque orientata per una vigilanza robusta anche per quella che dovrebbe
essere «light» sui fondi sotto i 100 milioni.
Qual è il problema? Tempus fugit : con il recepimento della direttiva dal 1 gennaio non si potrà più operare
con dei fondi di venture capital, come è stato possibile fino ad oggi, senza essere vigilati dall'autorità
monetaria. Chi oggi ha una Srl (la maggioranza dei fondi di questa natura) dovrà passare a una Sgr,
sperando nei regolamenti in zona Cesarini per operare almeno con la versione «semi-light». Il rischio caos
per i piccoli è elevato. E non è l'unico pericolo: con la normativa europea che richiede a tutte le tipologie di
fondi di registrarsi - nasce in origine non per appesantire la regolamentazione sui piccoli fondi di vc ma per
mettere sotto il radar gli hedge fund - viene rilasciato anche un passaporto che, di fatto, potrebbe permettere
ai piccoli fondi che ancora devono nascere di scegliere dove andare: Francia, Gran Bretagna, Lussemburgo...
In sostanza se gli adempimenti richiesti dalla Banca d'Italia dovessero essere, per esempio, più onerosi di
quelli della Banque de France (ogni Paese può interpretare il light in maniera più o meno «calorica») il fondo
potrebbe anche decidere di finire sotto la lente parigina. Un paradosso.
Il tema degli oneri della vigilanza per i piccoli fondi c'è sempre stato: con strutture ridotte all'osso è capitato
anche che i funzionari vigilanti fossero più degli stessi soggetti vigilati. L'Aifi, l'associazione di settore, ha
stimato in 100 mila euro il costo iniziale dell'adeguamento alla nuova normativa.
In taluni casi sembra quasi che gli aggravi burocratici siano elementi di sopravvivenza per interi uffici svuotati
dalle funzioni storiche - come è emerso con gli stress test anche la vigilanza bancaria sta migrando verso
Francoforte.
Ma il tema principale, per l'Italia, rimane il ritardo. Chi operava solo con una Srl ha poco più di un mese prima
di finire fuori normativa e deve aspettare per poi fare tutto di fretta. Chi non operava ancora sta attendendo di
capirne di più rinviando il lancio del fondo. Per un settore che non brilla certo per dimensione (l'intero mercato
italiano vale 120 milioni l'anno) ma che, almeno, negli ultimi 12 mesi aveva dato segni di dinamismo non è
certo il migliore regalo di Natale.
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La vicenda
La direttiva europea 2011/61/Ue disciplina la gestione dei fondi alternativi attraverso il rilascio di un
passaporto europeo. Il decreto legislativo di attuazione nazionale è il n. 44 del 4 marzo 2014. La direttiva è
anche collegata all'introduzione del regolamento 345/2013 relativo ai fondi europei per il venture capital. La
direttiva sostanzialmente afferma che tutti i fondi devono essere vigilati dalle banche centrali dei Paesi
europei dal 1 gennaio 2015, ma in Italia mancano ancora i regolamenti attuativi e i fondi sotto i 100 milioni di
euro non sanno come aderire. Da questa data le Srl dovranno essere delle Sgr «light», cioè con minori
obblighi
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Rischio caos per le Sgr «leggere» Mancano i regolamenti Bankitalia
24/11/2014
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l'operaismo resiste a terni
Dario Di Vico
Avanti a oltranza. Verso i 35 giorni di sciopero consecutivi. La scelta degli operai dell'acciaieria Ast di Terni
muterà solo in caso di incontro positivo mercoledì al ministero. a pagina 11
I lavoratori dell'acciaieria di Terni evidentemente non sono scaramantici. Infatti con la sofferta decisione presa
ieri mattina di prolungare lo sciopero a oltranza fino a mercoledì 26 novembre arriveranno al fatidico numero
di 35 giorni consecutivi di blocco. Siamo dunque alla cifra simbolica della Fiat Mirafiori dell'autunno 1980,
data che resta scolpita negli annali del sindacalismo italiano e che fa parte della lista delle «eroiche
sconfitte».
Più di un mese di sciopero è una dose di conflittualità ancora più dura per un territorio come quello umbro e
non è un caso che a premere perché la lotta fosse «rimodulata» non era solo la Confindustria locale ma
anche i lavoratori delle ditte dell'indotto. C'è stato persino un tentativo di organizzare un'assemblea di
autoconvocati, «poche unità di lavoratori che proponevano il rientro incondizionato» secondo quanto
dichiarato dalla Cgil locale.
Non è un mistero, poi, che tra i commercianti sia forte la preoccupazione per il calo di reddito che si farà
inevitabilmente sentire nel mese di dicembre nel Ternano. Come avviene in questi casi le assemblee - che si
tengono in strada perché in fabbrica non si può - vengono definite «combattute» nelle cronache ma chi le vive
userebbe di più l'aggettivo «amare». Saltano fuori non solo le divergenze tra i sindacati, con la Fiom in chiave
barricadera, ma anche altre tipologie di differenze tra cui la più evidente è quella che divide gli operai con
moglie che lavora da quelli con famiglia monoreddito. Sono contraddizioni che difficilmente vengono
raccontate sui giornali, eppure lasciano strascichi e rompono amicizie pluriennali.
Gli operai comunque hanno deciso di andare avanti e cambieranno la forme di lotta solo mercoledì. Il
comunicato recita così ma si tratta di una foglia di fico perché se il 26 da Roma non dovesse arrivare
l'attesissima fumata bianca la situazione potrebbe radicalizzarsi ancora di più. In questi sei anni di crisi
chiusure di impianti ce ne sono state un po' in tutte le zone del Paese, e in qualche caso le ore di sciopero
hanno raggiunto quota 150 (Electrolux), la vicenda dell'Ast ha però qualcosa di particolare. Vuoi perché la
crisi dello stabilimento è figlia di una mancata vendita dalla Thyssen ai finlandesi dell'Outukumpu (vietata dal
giurassico antitrust europeo), vuoi perché si era sparsa la voce che i tedeschi volessero uscire del tutto dalla
siderurgia e, infine, anche perché la top manager italiana che gestisce l'Ast, Lucia Morselli, ha adottato una
tattica aggressiva e inutilmente spregiudicata. Per tutti questi motivi Terni è diventata la capitale
dell'operaismo duro pur partendo da tradizioni sindacali da Partecipazioni Statali, non certo oltranziste.
Delegazioni delle tute blu umbre in queste settimane si sono recate persino a Bruxelles e Monaco per
incontrare la Ue e la ThyssenKrupp e poi hanno messo in atto anche un blocco dell'Autosole che ha spezzato
l'Italia in due per più d'un paio d'ore.
Ma perché la trattativa è ancora in bilico, visto che in molti avevano giurato su una chiusura già la scorsa
settimana? L'azienda ha dato rassicurazioni sul piano industriale: per i primi 24 mesi i due forni di Terni
continueranno a lavorare e poi dovrebbe esserci una verifica, si produrrà almeno un milione di tonnellate di
acciaio colato, si cercherà di entrare nei mercati del Far East, si trasferirà da Torino in Umbria una linea
produttiva e si faranno investimenti in sicurezza e tecnologia per 150 milioni.
I problemi arrivano con i risparmi sul costo del lavoro. Gli esuberi richiesti da Morselli inizialmente erano 573,
scesi poi a 290 di cui 165 già coperti da esodi volontari grazie a uno scivolo di 80 mila euro ciascuno. Ne
rimarrebbero 125 e l'azienda vuole scrivere nero su bianco che, se non dovesse trovare altri volontari,
potrebbe ricorrere ad altrettanti licenziamenti.
Operai e sindacati si oppongono e anche sulla revisione degli istituti della contrattazione integrativa tengono
duro. La Thyssen vuole un premio di produzione variabile e ridurre le maggiorazioni sul lavoro domenicale e
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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L'acciaio in sciopero
24/11/2014
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notturno ma finora non è passata. Si spiega così come la battaglia di Terni sia ancora aperta, tutti dichiarano
che «non siamo distanti», intanto però la fabbrica resta chiusa e si pagano salatissime penali di mancata
consegna a clienti come Fiat, Electrolux e Indesit.
Non resta quindi che confidare in un buon mercoledì al tavolo ministeriale, e del resto anche per l'ex Lucchini
di Piombino questa settimana potrebbero arrivare notizie positive visto che l'asta tra gli algerini della Cevital e
gli indiani della Jindal è alle battute finali.
Resta sullo sfondo il rebus Ilva: c'è un'ipotesi di una cordata Mittal-Marcegaglia ma il tempo stringe. E oggi i
cancelli dell'impianto Ilva di Porto Marghera saranno bloccati dalla protesta di 300 autotrasportatori che non
vengono pagati da aprile. Ad organizzarli è la Cgia di Mestre che, messe da parte per una volta le statistiche
del sabato, torna a fare il sindacato degli artigiani.
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Foto: Manifestazione degli operai dell'acciaieria di Terni Ast. Per mercoledì è attesa al tavolo ministeriale una
soluzione della vertenza che dura ormai da più di un mese
24/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
spesa Pubblica tentazione irresistibile
Alberto Alesina e Francesco Giavazzi
I primi dati sull'economia dell'eurozona nell'ultimo trimestre dell'anno non sono positivi: il 2015 potrebbe
iniziare con un ulteriore rallentamento. I risultati definitivi per l'anno che si chiude saranno disponibili solo a
metà febbraio, e queste previsioni vanno prese con cautela. Tuttavia le intenzioni di acquisto delle aziende
dell'eurozona hanno raggiunto in novembre il livello più basso da 16 mesi in qua. Anche l'indicatore degli
ordini è sceso, per la prima volta in un anno. L'indice Markit - che traduce questi dati in una previsione del
Prodotto interno lordo (Pil) - vede un'eurozona che nel 2014 è rimasta sostanzialmente ferma
(+ 0,1/0,2%) dopo due anni consecutivi di recessione:
- 0,7% nel 2012 e -0,4% nel 2013.
Per l'Italia questo significa che la straordinaria serie di 13 trimestri consecutivi di caduta del Pil potrebbe non
interrompersi. Tredici trimestri! Non è mai accaduto in un Paese avanzato dalla crisi degli anni Trenta. I
risvolti sociali si vedono. Nelle periferie delle grandi città si è accesa una guerra fra deboli, tra italiani
impoveriti dalla recessione e immigrati. C'e poi un'altra guerra, quella fra generazioni: padri e madri protetti
dai sindacati, e figli precari ignorati. La famiglia italiana compensa questa «guerra» con trasferimenti infrafamiliari, con i figli disoccupati mantenuti da genitori pensionati. Ma la prossima generazione, quella dei nostri
nipoti, non godrà di un tale lusso. Solo una cura drastica può interrompere questa spirale di depressione.
La strada per uscire da questa recessione che pare non finire mai non sono investimenti pubblici che, se va
bene, impiegherebbero un paio d'anni a produrre domanda e nel frattempo rischiano di produrre solo
corruzione. Occorre abbassare in modo radicale la pressione fiscale su famiglie e imprese per aiutare i
consumi e dare una boccata d'aria a chi produce. Non tranquillizza che il ministro dell'Economia, illustrando la
legge di Stabilità alla Camera, abbia detto che «la pressione fiscale passerà dal 43,3% del 2014 al 43,2 nel
2015». Cioè rimarrà invariata.
Contemporaneamente, per evitare che la riduzione delle tasse si traduca in un aumento permanente del
debito, essa va accompagnata da un impegno formale a ridurre di altrettanto la spesa. Se questo impegno
richiedesse un controllo da parte della Commissione europea, esso sia benvenuto: potrebbe solo aiutarci a
resistere alle mille lobby che si oppongono ai tagli di spesa. Occorrono fantasia e determinazione nel tagliare
spese non essenziali, salvando quelle che veramente garantiscono la protezione dei più deboli. Ma di tagli
veri nella legge di Stabilità non c'è più che qualche miliardo.
Quando critica i «burocrati di Bruxelles» Renzi ha ragione: se non fosse stato per il grido di allarme di Mario
Draghi e per il suo richiamo al dramma della disoccupazione, sarebbero rimasti arroccati ai decimali del
rapporto deficit-Pil. Ma la partita che Renzi ha aperto con Bruxelles è piena di insidie. Se, come ha fatto
nell'ultimo vertice europeo, egli si avvicinasse troppo a Cameron e lasciasse intendere di essere anche lui
pronto a rovesciare il tavolo, i mercati e gli altri Paesi europei comincerebbero a chiedersi quanto sia solido
l'impegno dell'Italia a rimanere nell'unione monetaria. A quel punto sarebbe difficile criticare chi sostiene che
la Banca centrale europea, qualora decidesse di acquistare titoli pubblici dei Paesi dell'eurozona, dovrebbe
escludere da tali acquisti i titoli di Stato italiani.
Alberto Alesina
Francesco Giavazzi
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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C'erano una volta i tagli
22/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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Il «bazooka» della Bce vale se serve a ripartire
Marco Onado
La Bce è ormai pronta a intervenire in modo massiccio sui mercati per allontanare lo spettro della deflazione,
che è divenuto il problema fondamentale non solo del Vecchio continente, ma dell'intera economia mondiale.
Come ha ricordato qualche giorno prima del vertice del G-20 il ministro del Tesoro americano, il mondo non
può permettersi il lusso di un "decennio europeo perso". E siccome gli anni persi sono ormai sette, sarà il
caso di darsi una mossa.
Eppure, Mario Draghi ha dovuto mettere in campo tutte le sue abilità diplomatiche per cucire un consenso
che sembra ancora fragile, se non sull'obiettivo, almeno sugli strumenti da utilizzare. È infatti ovvio che una
banca centrale che rimane passiva di fronte a un obiettivo sistematicamente inferiore a quello di lungo
periodo e alle sue stesse previsioni ha il dovere di intervenire. La prima decisione politica importante della
neonata Bce fu di definire il proprio obiettivo di inflazione: annunciando che avrebbe perseguito un aumento
dei prezzi inferiore, ma vicino, al 2% segnalò che il rischio di deflazione può essere anche peggiore di quello
di inflazione, perché trascina l'economia in una spirale senza fondo, fatta di caduta della domanda e
crescente insostenibilità dei debiti pubblici e privati. Esattamente come era successo alla Germania dopo la
grande fiammata dell'iperinflazione.
Diversamente da quanto è avvenuto nei primi anni della crisi, il problema della Bce non è stato quello del
mancato riferimento nel suo mandato alla crescita economica. Da quando lo spettro della deflazione ha
cominciato a manifestarsi, gli ostacoli sono stati due, entrambi di natura politica. Il primo era il sospetto dei
governi dei Paesi centrali (ma condiviso anche a Francoforte) che la Bce fosse chiamata allo sgradito
compito di cavare le castagne dal fuoco a governi riluttanti a fare la propria parte nel risanamento dei bilanci
pubblici e delle relative economie. Il secondo era il veto, sempre da parte dei Paesi centrali, Germania in
testa, all'acquisto diretto di titoli pubblici da parte della Bce, in quanto non compatibile con la lettera del
Trattato.
Ieri Draghi ha orgogliosamente ricordato che la Bce è stata tutt'altro che inattiva e ha messo in campo una
strategia a tre stadi basata su strumenti non convenzionali ed eccezionali. In primo luogo ha portato
praticamente a zero il livello dei tassi a breve (addirittura negativi per la liquidità infruttifera delle banche); poi
ha ridotto l'intera curva dei tassi di interesse. Ora si appresta a mettere in campo la terza arma fatta di
acquisti di titoli privati (obbligazioni collegate a securitisation di prestiti alle imprese e covered bonds). E
poiché nel frattempo è aumentata la robustezza patrimoniale delle banche, è lecito prevedere che le somme
che verranno messe in campo potranno finalmente arrivare all'economia produttiva.
Tutto ciò ha richiesto un faticoso processo di costruzione del consenso che ha occupato l'intero secondo
semestre del 2014. Come ha detto in una recente intervista uno dei "falchi" del comitato direttivo, Peter Praet,
c'era unanimità fra i banchieri centrali dell'eurozona sull'obiettivo ma non sugli strumenti. Come dire che i
generali erano tutti d'accordo nel vincere la guerra, ma fieramente divisi sulle strategie.
Ora che anche la strategia è definita, rimane da capire se e quanto sarà efficace per combattere lo spettro
della deflazione. Come ha messo chiaramente in evidenza Carlo Bastasin su queste colonne, non solo la via
maestra di ogni operazione di quantitative easing è l'acquisto diretto di titoli pubblici, ma esistono altre vie
tecniche (la creazione di titoli che rispecchino la composizione dell'intero debito pubblico dell'eurozona) che
possono essere compatibili con la lettera e lo spirito del Trattato. Non a caso, Draghi ha sottolineato che il
consiglio direttivo ha dato mandato di studiare piani di fattibilità tecnica e legale per l'acquisto di altre
categorie di attività (si parla di quote di Etf, fondi immobiliari, azioni, addirittura di oro). Tutte vie che
presentano almeno uno di questi inconvenienti: non sono mai state sperimentate su larga scala; potrebbero
dar luogo a un sussidio politicamente molto delicato di specifici settori dell'economia privata e dunque di
specifici Paesi; potrebbero indirizzare la liquidità in segmenti non produttivi (l'oro o lo stesso immobiliare).
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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LE MOSSE DI DRAGHI
22/11/2014
Il Sole 24 Ore
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(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Le manovre di quantitative easing non sono la panacea per tutti i mali e nelle condizioni attuali comportano il
rischio di alimentare una fase di espansione dei mercati che è già andata al di là dei fondamentali economici.
Una delle poche certezze è che esse agiscono attraverso i bilanci degli operatori, inducendoli a sostituire
attività a basso rischio con altre più rischiose: tipicamente titoli in portafoglio delle banche con prestiti
all'economia. L'arma che la Bce si appresta a mettere in campo sarà efficace a condizione che si riesca a
creare in tempi ragionevoli un volume adeguato di titoli (cosa non facile perché il bilancio della Bce è inferiore
di quasi mille miliardi di euro al livello di due anni fa), assicurando al tempo stesso una distribuzione
ragionevolmente vicina alle dimensioni economiche dei vari Paesi dell'area.
In caso contrario, bisognerà passare ai piani alternativi attualmente allo studio, ma soprattutto bisognerà
prepararsi ad affrontare finalmente il problema con l'ottica dello sviluppo europeo e non degli egoismi
nazionali.
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22/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Fisco e lavoro, la spinta a semplificare
Davide Colombo
Davide Colombo u pagina 5
ROMA
Il piano di investimenti da 300 miliardi per i prossimi tre anni annunciato dal presidente della Commissione
europea, Jean-Claude Junker, è un buon punto di partenza. Tuttavia da solo non basta, visto che equivale a
un aumento del 2% su base annua della spesa per investimenti in Europa a fronte di una previsione di
incremento del 3,6% già stimato dal Fmi per il 2015 a politiche inviariate. Bisogna dunque prendere sul serio
le parole del vicepresidente Jyrki Katainen («mobiliteremo tutti gli investimenti pubblici necessari e gli
investimenti privati possibili») e orientare tutti gli interventi per rafforzare il contesto competitivo, e recuperare
la produttività perduta.
Il documento finale presentato ieri dal Consiglio dei presidenti di Business Europe riparte dall'elenco dei
vecchi e nuovi ostacoli che si sono affastellati in questi anni di Grande Crisi - anni in cui la quota di
investimenti diretti esteri in Europa sono scesi dal 40% al 20% della spesa globale - per indicare su quali
priorità dovranno essere concentrati i provvedimenti annunciati. Azioni di policy, si sottolinea nel documento,
che dovranno essere sviluppate utilizzando per intero i margini concessi dal Patto di stabilità e crescita,
perché il consolidamento fiscale dei singoli paesi non s'interrompa.
L'elenco è notevole, puntualizzato nelle 32 pagine del dossier in cui si individua almeno una dozzina di
barriere all'attività di impresa. Il punto di partenza è l'incertezza politica e il rischio di un'ondivaga attività
legislativa che può determinare ulteriori eccessi regolatori (anche in fase di recepimento di direttive Ue da
parte dei parlamenti nazionali "il famoso gold plating") che proprio in questa fase di debole ripresa vanno
scongiurati. Serve, invece, il massimo di concentrazione sulle scelte per mantenere una buona "regulatory
review" e per ridurre i costi del fare impresa. A partire dalla riduzione del carico fiscale sul lavoro e il capitale
per proseguire con le pratiche di better regulation sul mercato del lavoro, per il quale devono essere allentate
le forme di protezione eccessive e resi più efficaci i programmi di formazione mirati alle esigenze produttive.
Sul fisco Business Europe chiede di mettere da parte l'ipotesi di una tassazione sulle transazioni finanziarie
e rilancia il vecchio cavallo di battaglia dell'individuazione di una base imponibile consolidata per le imprese
che operano in più Paesi dell'Unione. Altra semplificazione da assicurare è sui pagamenti Iva, per i quali va
garantita certezza sui termini di rimborso; un tema particolarmente caldo in Italia per i fornitori della Pa in
vista del varo delle norme sul reverse charge è lo split payment previsto in Stabilità. Bisogna, poi, rivitalizzare
tutte le forme di finanziamento per le imprese che siano alternative al credito bancario, a partire dal mercato
Abs, ed espandere la possibilità di intervento dei fondi Bei e dei fondi strutturali.
Per sostenere lo sforzo nella realizzazione delle grandi infrastrutture strategiche nei settori dell'energia, dei
trasporti e delle comunicazioni (una spesa per 1 trilione di euro da qui al 2020 secondo le stime Ue) occorre
poi sostenere tutte le forme di partnership pubblico-privato, semplificando le regole per le concessioni e
risolvendo definitivamente il nodo sui tempi dei pagamenti.
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GLI OSTACOLI AGLI INVESTIMENTI PRIVATI 01|Incertezza economica e politica
L' incertezza politica ed economica ha pesato sugli investimenti. Essenziali le riforme strutturali per
aumentare la competitività
02|Incertezza normativa e burocrazia
Per investire servono regole certe che in Europa mancano ancora. La burocrazia ha un peso eccessivo sulle
imprese
03|Costi elevati dell'energia
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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LE PRIORITÀ PER BUSINESSEUROPE
22/11/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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In Europa i prezzi dell'energia sono più alti che in altre economie. L'elettricità a uso industriale costa più del
doppio che in Usa
04|Fisco non competitivo
Alti livelli di tassazione hanno impatto negativo sulla crescita. La pressione fiscale nella Ue è più alta del 50%
rispetto agli Usa
05|Mercato del lavoro rigido
In Europa le forme di protezione dei lavoratori sono eccessive rispetto ad altri paesi. Alta discrepanza tra
domanda e offerta di compentenze
06|Difficoltà di accesso al credito
Le condizioni per l'accesso ai finanziamenti restano problematiche
07|Accesso ai Fondi Ue
Per le imprese l'accesso ai fondi Ue resta difficile, costoso e lungo. Il loro utilizzo è ancora scarso
08|Ostacoli al mercato unico
Il mercato unico è la chiave per lo sviluppo. Ma le imprese continuano a trovare ostacoli se vogliono andare
oltre confine
09| Assenza di una politica Ue per gli investimenti esteri
L'Europa deve iniziare a pensare al mondo come mercato di riferimento
10|Scarsa collaborazione pubblico-privato
Il settore pubblico è cruciale nel promuovere i progetti infrastutturali. Va migliorata la partnership pubblicoprivato
11| Assenza di sostegno al rischio nell'innovazione
La competitività e la leadership in ricerca e tecnologia è possibile solo se esiste una cultura dell'innovazione
12|Mancanza di una politica Ue orientata alla competitività
Competitività e investimenti devono far parte di un disegno politico Ue
22/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
E la Bce dà il via agli acquisti di Abs
Alessandro Merli
Alessandro Merli u pagina 2
FRANCOFORTE. Dal nostro corrispondente
«Faremo quello che dobbiamo fare». Stavolta il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, non
si riferisce alla necessità di salvare l'euro, come nel famoso discorso di Londra del 2012, ma all'aumento
dell'inflazione e delle aspettative d'inflazione «il più rapidamente possibile, come il nostro mandato per la
stabilità dei prezzi ci richiede».
Con l'inflazione nell'eurozona allo 0,4% e nessun segnale di rimbalzo verso l'obiettivo di stare sotto, ma
vicino al 2%, e un'economia stagnante, ieri mattina a Francoforte Draghi ha fatto un altro passo verso la
possibilità di uno stimolo monetario più aggressivo che comprenda l'acquisto di titoli pubblici, un'opzione
favorita dai mercati ma che divide il consiglio della Bce, dove alcuni membri sono fortemente dubbiosi sulla
sua efficacia. Dopo aver ricordato le misure adottate negli ultimi mesi, il presidente della Bce ha affermato
che se le politiche già avviate non si riveleranno sufficienti a riportare «senza ritardi» l'inflazione verso
l'obiettivo, «aumenteremmo la pressione e allargheremmo ancora di più i canali attraverso i quali
interveniamo, modificando di conseguenza la dimensione, il ritmo e la composizione dei nostri acquisti». A
Bruxelles all'inizio della settimana, Draghi aveva ribadito che questi potranno includere titoli pubblici (oltre a
covered bond e Abs, i cui acquisti sono già iniziati) e ieri ha fatto riferimento alle esperienze di quantitative
easing (Qe) della Federal Reserve americana e della Banca del Giappone.
È improbabile che una decisione sul Qe venga presa al consiglio del mese prossimo, quando lo staff della
Bce rivedrà al ribasso le previsioni su inflazione e crescita, e prima della seconda assegnazione di fondi alle
banche attraverso la Tltro. Ma il meeting del 22 gennaio potrebbe risultare decisivo.
Draghi ha ricordato che i miglioramenti dei mercati finanziari degli ultimi due anni e mezzo non si sono
trasmessi interamente all'economia reale, dove la crescita resta debole e la disoccupazione sta scendendo
troppo lentamente. In particolare, l'inflazione troppo bassa per un periodo troppo prolungato rischia di
radicarsi nelle aspettative: una caduta di queste, ha osservato Draghi, porta a un aumento dei tassi
d'interesse reali, quelli che contano di più per le decisioni di investimento. Secondo indicatori di breve
periodo, le aspettative sono già scese a livelli «eccessivamente bassi».
Il banchiere centrale italiano ha cercato di dissipare i dubbi sull'efficacia degli acquisti di titoli, compresi quelli
dei banchieri che lo ascoltavano all'European Banking Congress, oltre la metà dei quali ha votato in un
sondaggio che il Qe non stimolerebbe l'economia europea.
Secondo Draghi, invece, gli acquisti di titoli agirebbero con una trasmissione diretta nei mercati nei quali la
Bce interviene e con un riequilibrio dei portafogli, per cui gli investitori sostituirebbero i titoli meno rischiosi
comprati dalla Bce con attività a più lungo termine, come azioni e immobili. Per le banche, un rialzo di queste
attività libererebbe capitale per maggiori impieghi, mentre imprese e famiglie beneficerebbero di un effetto
ricchezza.
Parlando allo stesso congresso, il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble ha affermato ieri:
«Non voglio dover difendere l'euro per i prossimi cinque o dieci anni con l'attuale governance», l'Europa deve
«urgentemente cambiare i Trattati»
La Bce punta soprattutto sul ribilanciamento fra un'area valutaria e l'altra, cioè dalle attività in euro verso
quelle in altre valute. Il Qe della Fed e della Banca del Giappone ha portato, ha ricordato Draghi, a una
significativa svalutazione del cambio, la via più rapida per far risalire l'inflazione. Ci sarebbe infine un effetto
segnaletico forte: che la Bce è pronta a usare tutti i mezzi a sua disposizione e senza indebiti ritardi. Nel
frattempo, il consiglio ha dato mandato allo staff di preparare le possibili misure. Draghi ha inoltre ripetuto il
suo appello ai Governi perché aiutino la ripresa con le politiche di bilancio, investimenti e riforme strutturali.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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L'ANALISI
22/11/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Intervenendo alla stessa conferenza, il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, uno dei più critici nel
consiglio della Bce su un possibile Qe, ha evitato il confronto con Draghi, concentrandosi nel suo discorso
sull'unione bancaria.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Gli interventi straordinari e gli asset delle banche centrali Asset totali delle
banche centrali. Valori in % sul Pil Bank of Japan PREVISIONE Federal Reserve Bank of England Bce 2007
2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 80 70 60 50 40 30 20 10 0 La Fed nel novembre del 2008 lancia
il primo Qe1. Seguono il Qe2 e a fine 2012 il Qe3. Poi il progressivo tapering Il tapering della Fed Avvia il
primo Qe nel marzo del 2009, poi conferma e rafforza a più riprese le misure per sostenere l'economia Le
mosse della BoE A fine ottobre l'istituto centrale giapponese port il ritmo annuale di espansione della sua
base monetaria a 80mila miliardi di yen La BoJ accelera Dopo Tltro, acquisti di covered bond e Abs, la Bce
sembra decisa a lanciare l'atteso Qe con l'acquisto di titoli per battere la deflazione L'attesa per la Bce Nota:
Danovembre 2014previsioni Fonte:Elaborazioni del Sole 24 Ore su dati delle banche centrali
Foto: - Nota: Da novembre 2014 previsioniFonte: Elaborazioni del Sole 24 Ore su dati delle banche centrali
22/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 5
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Squinzi: «Investimenti per la crescita e il lavoro»
Marcegaglia chiede un piano europeo da mille miliardi JOBS ACT «I tempi sono importanti: discutere di
migliaia di emendamenti è complesso, se c'è un aggiustamento di buon senso, bene la fiducia»
Nicoletta Picchio
ROMA
Crescita e investimenti, per creare occupazione. Superando l'austerità che ha finora contraddistinto le
politiche Ue e utilizzando la flessibilità prevista dal patto di stabilità. È l'appello che Emma Marcegaglia e
Giorgio Squinzi hanno rivolto al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e alle istituzioni europee,
nell'assemblea generale di BusinessEurope, che si è svolta ieri a Roma, nella sede di Confindustria. Il
presidente degli industriali, Squinzi, si è trovato accanto alla Marcegaglia, che lo ha preceduto al vertice di
Confindustria, nel suo nuovo ruolo di numero uno dell'associazione delle Confindustrie europee. Seduto tra di
loro, Renzi, che per più di un'ora ha partecipato alla riunione, facendo prima un suo intervento e poi
rispondendo alle domande degli industriali (è consuetudine che l'assemblea delle Confindustrie europee si
svolga nella capitale dello Stato che ha la presidenza di turno Ue e che sia presente il premier del paese
ospitante).
Il governo vuole andare avanti con le riforme, ha confermato il presidente del Consiglio, per la prima volta
nella sede di viale dell'Astronomia. Un impegno che gli hanno riconosciuto sia Squinzi che la Marcegaglia.
«Confindustria è consapevole dei tuoi sforzi per realizzare quelle strutturali che l'Italia aspetta da tempo», ha
detto il numero uno di Confindustria. «Il suo governo sta approvando riforme importanti. È necessario dare un
senso di urgenza, contiamo su di lei, sul suo impegno e sulla sua intelligenza per realizzarle», sono state le
parole della Marcegaglia, che è anche presidente Eni. È la crescita l'obiettivo, nei singoli paesi e in Europa,
che deve diventare un ambiente favorevole per gli investimenti. Bisogna rilanciare quelli pubblici e privati,
riducendo i costi operativi delle imprese, facilitando l'accesso ai finanziamenti. Su questi punti si sofferma il
documento di oltre 30 pagine approvato ieri dall'assemblea di BussinessEurope e che sarà presentato alle
istituzioni Ue.
«Il quadro non è confortante. Abbiamo perso dall'inizio della crisi 6 milioni di posti di lavoro. Il piano Juncker
è una buona partenza ma non basta, per tornare al livello di investimenti del 2000 l'Europa ha bisogno di
mille miliardi. In Italia gli investimenti privati sono calati dell'11% tra il 2000 e il 2013», ha detto la
Marcegaglia, convinta che vada utilizzata la flessibilità prevista dal patto di stabilità, mantenendo i conti in
ordine. Bisogna fare di più anche a livello nazionale, riducendo la spesa pubblica per trovare le risorse da
investire. Anche la Bei, ha continuato, deve fare la propria parte, sostenendo le Pmi, viste le difficoltà
nell'accesso al credito.
Crescita e flessibilità è la linea che il governo Renzi ha sostenuto al G20 di Brisbane. Un atteggiamento che
Squinzi ha sottolineato: «Voglio ringraziarti - ha detto - per gli sforzi fatti finora affinché l'Europa superi la
dicotomia tra austerità e crescita. Siamo fiduciosi che, grazie al tuo impegno, il governo chiuderà con
successo la presidenza italiana del semestre europeo». È urgente, secondo Squinzi, tornare a crescere: «La
Ue è l'area del mondo con la crescita economica più debole». Vanno date «risposte concrete ai bisogni degli
europei che chiedono sicurezza, migliori condizioni di benessere per il futuro. Per questi risultati dobbiamo
investire significative risorse in infrastrutture materiali e immateriali, innovazione e formazione, per realizzare
la visione dei nostri padri fondatori», ha detto Squinzi. A suo parere «la politica monetaria e le riforme non
sono da sole sufficienti». C'è bisogno «di una politica fiscale a lungo termine per sostenere la domanda
aggregata». Anche per Squinzi il documento Juncker «sarà il primo passo concreto». Ma ci sono altre azioni
da realizzare: nel documento di BusinessEurope approvato dall'assemblea, ha aggiunto, sono individuati gli
ostacoli agli investimenti e gli strumenti da attuare a livello comunitario per sciogliere i colli di bottiglia. «Se
negli Stati Uniti c'è un'innovazione dicono che porterà successo; in Asia dicono la copieremo, gli europei la
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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La lunga crisi L'ASSEMBLEA DI BUSINESSEUROPE
22/11/2014
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regolamenteremo», è stata una battuta della Marcegaglia, per insistere sulle riforme. «Abbiamo già detto ai
nostri colleghi europei di quella del mercato del lavoro, è un cambiamento strutturale importante. Non è solo
una questione di articolo 18, è fondamentale per avere investimenti in Italia», è stato il commento della
Marcegaglia. Il tema è all'ordine del giorno, si discute sull'eventualità della fiducia: «I tempi sono importanti ha commentato Squinzi - discutere di migliaia di emendamenti è complesso, se c'è un aggiustamento
complessivo di buon senso va bene anche la fiducia».
© RIPRODUZIONE RISERVATA LA PAROLA CHIAVE Piano investimenti Il presidente della Commissione
Ue Jean Claude Juncker sta lavorando a un piano di investimenti per rilanciare la crescita del valore di 300
miliardi. Mercoledì Juncker presenterà il pacchetto al Parlamento Ue. Contemporaneamente Renzi chiede lo
scorporo degli investimenti pubblici dal calcolo del deficit
Foto: Viale dell'Astronomia. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, tra il presidente di Confindustria Giorgio
Squinzi ed Emma Marcegaglia, presidente Eni e BusinessEurope
22/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 10
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La Gdf mette sotto tiro Pmi e autonomi
Quando mancano documenti e dichiarazioni largo spazio all'utilizzo dell'accertamento induttivo
Laura Ambrosi
Nuove modalità di quantificazione induttiva dei redditi sottratti a imposizione da imprese minori, professionisti
ed evasori totali, maggiori controlli derivanti dagli sviluppi delle attività di polizia giudiziaria e di segnalazione
di operazioni sospette, quantificazione, anche se solo ai fini statistici, delle imposte dirette evase dal
contribuente.
Sono queste alcune delle direttive contenute nella circolare del 19 novembre della Guarda di finanza relativa
all'attività di verifica del 2015.
Il documento adegua le linee operative dell'attività ispettiva, disciplinata con la circolare 1/08 e si sofferma, in
particolare, sui fenomeni evasivi attuati da imprese e lavoratori autonomi di modeste dimensioni che operano
direttamente con i consumatori finali. Questi soggetti, secondo il documento, evadono con sistemi elementari
quali l'omessa certificazione di corrispettivi, ricavi o compensi, o semplicemente omettendo la presentazione
della dichiarazione. Le tracce di evasione sono difficilmente reperibili e pertanto nella circolare è suggerito di
ricorrere alla ricostruzione induttiva.
Tenuto conto del largo uso del contante sia per gli acquisti, sia per gli incassi eseguiti da tali imprese, le
indagini finanziarie, ad esempio, potrebbero risultare poco proficue.
La presenza di documentazione fiscale e contabile frammentaria e/o la mancata presentazione della
dichiarazione, rendono così il metodo induttivo il più adatto, non solo perché normativamente consentito, ma
anche perché più efficace stante l'impossibilità di diversi riscontri. È però necessario ricostruire il volume di
affari e/o il reddito seguendo percorsi logico-deduttivi fondati su precisi elementi di fatto, oltre che maturati nel
quadro di un confronto con il contribuente.
Nella circolare è stato dato rilievo all'importanza del contraddittorio con il verificato, precisando che le
spiegazioni e le osservazioni, in questo genere di approcci, vanno sempre tenute in considerazione.
Per aziende di piccole dimensioni, per i lavoratori autonomi, ovvero per gli evasori totali le indagini dovranno
fondarsi:
- sulla movimentazione delle merci e/o su altri fattori legati alla produzione e quindi attraverso l'applicazione
di percentuali di ricarico, la rilevazione e l'analisi degli indici di rotazione del magazzino sulle materie prime
acquistate, sui generi di consumo, sui beni strumentali, sugli impianti, sul capitale investito eccetera;
- su altri elementi di fatto o documentali, per esempio i documenti rinvenuti in sede d'accesso, una contabilità
parallela, appunti, agende, documenti bancari.
Con riguardo, poi, agli evasori totali, l'eventuale rinvenimento di fatture relative a costi assume rilievo, in
primo luogo, per la ricostruzione indiretta del volume d'affari, consentendo cioè di applicare una percentuale
di ricarico al valore degli acquisti.
Le fatture emesse, relative ai ricavi dell'impresa, non possono rappresentare invece il complesso dei
componenti positivi non dichiarati. È verosimile, infatti, che l'evasore totale possa aver emesso i documenti
solo per alcune operazioni compiute e non per la totalità. Ne consegue che costituiranno solo un elemento
utile per confermare che il criterio induttivo utilizzato per la ricostruzione è coincidente con i documenti attivi
rinvenuti.
Per i soggetti caratterizzati da una struttura aziendale particolarmente avanzata, come le grandi imprese
fittiziamente residenti all'estero, occorre invece considerare anche le rilevazioni contabili riscontrate in
contraddittorio con il contribuente.
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Le principali novità
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Fisco LA STRATEGIA DELLE FIAMME GIALLE
22/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 10
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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IL CONFRONTO
Maggiore confronto tra flussi finanziari e redditi dichiarati
I risultati più significativi conseguiti dalla Gdf negli anni precedenti derivano dallo sviluppo degli elementi
acquisiti nelle indagini di polizia giudiziaria o di segnalazione di operazione. Anche per il futuro è previsto un
ulteriore approfondimento delle attività basate sul confronto tra flussi finanziari e situazione reddituale dei
contribuenti
SOTTO LA LENTE
Nel Pvc segnalati costi, spese e altri oneri documentati
In caso di ricostruzione induttiva, i verificatori devono procedere al riconoscimento dei costi verosimilmente
sostenuti dall'impresa: nel processo verbale di constatazione (Pvc) saranno segnalati i costi, le spese e gli
altri oneri risultanti da regolari documenti fiscali attestanti acquisti di beni e servizi inerenti
IL METODO
Ricostruzione induttiva
per autonomi e piccole aziende
Le manifestazioni evasive
di imprese e lavoratori autonomi di modeste dimensioni che operano direttamente con
i consumatori finali riguardano sistemi elementari (omessa certificazione di corrispettivi,
o compensi, omissione della presentazione della dichiarazione). In questi casi occorre ricorrere alla
ricostruzione induttiva
EVASORI TOTALI
Per ricostruire il business rilevanti le fatture sui costi
Nei confronti degli evasori totali, il rinvenimento di fatture relative a costi diventa rilevante per la ricostruzione
indiretta del volume di affari (applicare una percentuale di ricarico al valore degli acquisti). Le fatture emesse
(i ricavi dell'impresa), invece, non possono rappresentare il complesso dei componenti positivi non dichiarati
LA STIMA
Per le imposte dirette
solo una stima senza sanzione
Fermo restando le competenze degli uffici in sede di accertamento, ai fini del monitoraggio interno, i
verificatori della Gdf dal 2015 dovranno stimare le imposte dirette, adottando metodi analoghi a quelli già
usati per il controllo del superamento della soglia penale. Si tratterà solo di una stima senza l'indicazione di
alcuna sanzione
22/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 15.17
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Aiuti Ue, maxitruffa all'Agea
Dossier falsificati per trattenere i fondi - Martina: ora via alla riforma
Annamaria Capparelli
Alessio Romeo
Soldi rubati all'agricoltura: 20 milioni, che potrebbero salire a 200 senza il salvagente della prescrizione. La
lunga indagine della procura di Roma ha portato allo scoperto una maxi truffa sui contributi agricoli comunitari
in ambito Agea. Il terremoto si è abbattuto sui vertici delle precedenti gestioni dell'Agenza per le erogazioni in
agricoltura, la «cassaforte» da cui transitano 4 miliardi annui di premi. Un ente su cui gravano, inoltre, le
maggiori responsabilità nella gestione delle multe latte che pesano ancora sul bilancio dello Stato italiano.
La truffa scoperta dal nucleo speciale frodi comunitarie della Guardia di Finanza e dall'Ufficio europeo per la
lotta antifrode (Olaf) consisterebbe nel mancato recupero di fondi assegnati a beneficiari che non ne avevano
diritto, aggravato dalla «certificazione» di falsi requisiti per incassare i soldi.
L'avviso di chiusura di indagine è stato notificato nei giorni scorsi a sei dirigenti in carica dal 2008 al 2012.
Dal «cuore» finanziario del sistema partivano documenti indirizzati alla Commissione europea per garantire
l'affidabilità dei beneficiari dei finanziamenti, richiesti indietro da Bruxelles, ma che grazie al «falso timbro» di
Agea rimanevano nella casse dei finti agricoltori.
Una vicenda che, purtroppo, non sorprenderà gli addetti ai lavori. Da anni organizzazioni agricole, ma anche
organismi di controllo come la Corte dei Conti, denunciano il cattivo funzionamento dell'Agenzia. E la lista dei
ministri che hanno provato a «bonificare» l'Agea è lunga quanto quella dei «manager» coinvolti nell'inchiesta.
Dal blitz di Zaia con la nomina a commissario del leghista Fruscio, all'ex assessore Tampieri per arrivare al
generale della Finanza Mainolfi fino al direttore Sernia (chiamato dal ministro Martina) non si è mai arrivati a
varare una vera riforma dell'ente. Solo due giorni fa la commissione Agricoltura del Senato ha approvato un
emendamento al collegato agricolo che affida al governo la delega per la riforma dell'Agenzia.
Lo stesso ministro Martina ha sottolineato più volte la necessità di accelerare il riassetto degli enti e dell'Agea
in particolare. «Stiamo lavorando - ha dichiarato Martina - alla revisione della governance di Agea e Sin per
garantire la totale trasparenza dei pagamenti in agricoltura», anche attraverso «la revisione dell'attuale
sistema di gestione e di sviluppo del Sian, nonché degli organismi pagatori a livello regionale. Intanto
abbiamo convogliato risorse sull'operatività anzichè sulle consulenze», oltre alla nomina del nuovo direttore e
alla turnazione degli incarichi dirigenziali. Ci sono sei mesi per riformare l'Agenzia e superare quelle che già
nel 2012 la Corte dei Conti aveva bollato come «inefficienze organizzative» in riferimento al «mancato
rispetto delle norme sugli accertamenti ed alla assunzione degli impegni», denunciando «allocazioni contabili
errate e discrasie in operazioni di partite di giro».
Tutto questo senza contare che nel 2015 si apre per Agea la partita più difficile, con l'assegnazione ex novo
dei diritti all'aiuto in base all'ultima riforma Pac, che valgono 27 miliardi.
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27 mld
Gli aiuti Pac 2014-2020
Il plafond assegnato all'Italia che dovrà essere gestito da Agea
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Contributi. Olaf e Gdf hanno scoperto 20 milioni di incassi indebiti tra 2008 e 2012, prescritti 200 milioni
23/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Al via la riforma Franceschini: così cambiano i musei
Antonello Cherchi
Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, misure operative dal 1° gennaio.
Antonello Cherchi u pagina 21,
con un articolo di Silvia Costa
Dal prossimo primo gennaio il ministero dei Beni culturali cambierà volto: ci saranno 18 musei che
acquisteranno una speciale autonomia, spariranno le direzioni regionali, sarà ridisegnata la mappa delle
direzioni centrali, nasceranno i poli museali regionali. È la riforma targata Franceschini che però ha preso
forma ancora prima che l'attuale responsabile della cultura arrivasse a via del Collegio Romano. Si tratta,
infatti, di un intervento voluto dalle norme sulla spending review del 2012 (in particolare, l'articolo 2 della
decreto legge 95), che hanno imposto a tutti i dicasteri di tagliare del 20% gli uffici dirigenziali generali e del
10% la spesa per quelli non dirigenziali.
La riduzione dei costi è stata l'occasione per ripensare nel profondo la struttura dei Beni culturali, tanto che
già sotto la gestione Bray (il predecessore di Franceschini) era stata istituita una commissione, presieduta da
Marco D'Alberti, che aveva prodotto un documento. La palla è poi passata a Dario Franceschini e sotto di lui
ha preso forma il Dpcm che contiene il nuovo volto del ministero. Una riforma contrastata, sia perché ha
dovuto subire uno stop and go - un primo provvedimento, più scarno dell'attuale, era stato confezionato a fine
febbraio, salvo poi ritirarlo a giugno per adeguarlo alle novità introdotte con il decreto legge cultura, tra cui
quella sull'autonomia dei musei -, sia perché lungo il suo cammino è stata bersagliata di critiche, a cominciare
da quelle sul ripensamento delle direzioni generali.
Nonostante le traversie, la riforma è ora giunta in porto. La Corte dei conti ha dato nei giorni scorsi il via
libera e si attende la pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale», che, come ha spiegato Franceschini, dovrebbe
arrivare in questi giorni. Il ministro ha anche sottolineato che la riorganizzazione diventerà operativa dal primo
gennaio, seppure in modo graduale. Per esempio, i bandi per il reclutamento dei direttori dei musei autonomi
richiederanno più tempo.
La speciale autonomia riconosciuta a 18 istituti è la novità che dà il tono all'intera riforma. La misura prende
le mosse dalla convinzione che i luoghi d'arte debbano investire di più su sé stessi, facendo di tutto per
valorizzare al meglio le proprie potenzialità anche "commerciali". Ecco perché, in particolare, i responsabili
dei sette musei ai quali è stata riconosciuta la qualifica di direttori generali potranno essere reclutati con
contratti da tre a cinque anni anche tra figure esterne all'amministrazione, con bandi a cui potranno
partecipare esperti internazionali. Dovranno dimostrare di possedere non solo «una particolare e comprovata
qualificazione professionale in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali», ma anche il possesso «di
una documentata esperienza di elevato livello nella gestione di istituti e luoghi della cultura». Grazie
all'autonomia dovranno, infatti, stabilire l'importo dei biglietti e gli orari di apertura, occuparsi della
comunicazione, organizzare le mostre. In una parola, valorizzare il museo «facendone un luogo vitale,
inclusivo, capace di promuovere lo sviluppo della cultura».
La particolare attenzione dedicata ai musei trova riscontro a livello centrale nella creazione di una direzione
generale ad hoc, nella quale convergono le funzioni di valorizzazione, competenze finora riservate a uno
specifico direttore generale. Non si tratta, però, dell'unica novità relativa alla riorganizzazione degli uffici
romani: in particolare, nasce la direzione "educazione e ricerca", le belle arti e il paesaggio si scindono da
architettura e arte contemporanea e danno vita a due distinte direzioni generali, con un allargamento, per
quanto riguarda il contemporaneo, alle periferie urbane.
Aumentano, dunque, i direttori generali di settore, crescita compensata, però, dal fatto che tutti gli attuali
direttori regionali (che sono direttori generali) perdono la qualifica. La riforma, infatti, cancella le direzioni
regionali, trasformandole in segretariati regionali (uffici di livello diregenziale non generale), con il compito di
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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BENI CULTURALI
23/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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coordinare l'attività degli uffici del ministero dei Beni culturali presenti in ciascuna regione.
Infine, nascono i poli museali regionali (anch'essi uffici dirigenziali non generali), che dipendono dalla
direzione generale musei. Al direttore del polo museale è affidato il compito di coordinare l'attività degli altri
luoghi d'arte in funzione della loro fruizione e valorizzazione. Per far questo, il direttore del polo deve, almeno
ogni mese, riunire, anche in via telematica, i direttori dei singoli musei, compresi i responsabili dei siti dotati di
autonomia, per concordare strategie e obiettivi comuni.
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I SUPER MUSEI Gli istituti a cui è stata riconosciuta
una speciale autonomia
Galleria Borghese (Roma) *
Galleria degli Uffizi (Firenze) *
Galleria nazionale di arte moderna e contemporanea (Roma) *
Galleria dell'Accademia (Venezia) *
Museo di Capodimonte (Napoli) *
Pinacoteca di Brera (Milano) *
Reggia di Caserta *
Galleria dell'Accademia (Firenze) **
Galleria Estense (Modena) **
Galleria nazionale d'arte antica (Roma) **
Museo nazionale del Bargello (Firenze) **
Museo archeologico nazionale di Napoli **
Museo archeologico nazionale di
Reggio Calabria **
Museo archeologico nazionale di Taranto **
Paestum **
Palazzo Ducale (Mantova) **
Palazzo Reale (Genova) **
Polo Reale (Torino) **
- (*) Guidati da un direttore generale (**) Guidati da un direttore non generale
Foto: Il ministro. Per quanto nata nel 2012, la riorganizzazione del ministero dei Beni culturali è arrivata in
porto con la firma di Dario Franceschini Galleria Borghese. La scultura di Canova: Paolina Borghese
Bonaparte come Venere vincitrice.
23/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Alessandro Graziani
Finiti gli stress test della Bce, due nuove tegole regolamentari rischiano di frenare nuovamente l'erogazione
del credito all'economia reale in Europa e, soprattutto, in Italia. Avendone i poteri, i governi della Ue avranno
la forza di contenere le proposte di autorità come Eba e Fsb, fortemente condizionate dalla finanza
anglosassone?
E ancora: il proposito della Bce di arrivare rapidamente a un level playng field tra i diversi sistemi bancari
comporterà una revisione delle cosiddette «national discretions and options» in modo equilibrato o si
creeranno disparità trà i vari Paesi europei? I banchieri sono in allarme ma il tema che più rileva dal punto di
vista economico, e che dunque dovrebbe coinvolgere i Governi, è se le due Authority internazionali (Eba e
Fsb) dovessero davvero aarrivare fino in fondo con le nuove regole che, a prescindere dalla volontà, avranno
l'effetto di penalizzare per altri anni ancora l'erogazione del credito alle imprese europee. Vanificando,
paradossalmente, i tentativi della Bce di migliorare la trasmissione il credito all'economia attraverso le misure
di Tltro (si veda l'articolo a fianco) e dell'acquisto di asset back securities. Ma vediamo come e perchè i due
nuovi provvedimenti in gestazione dalle Autorità sovranazionali rischiano di frenare il credito.
La European banking association presieduta dall'italiano Andrea Enria ha inviato a inizio novembre (dunque
pochi giorni dopo l'esito degli stress test condotti con la Bce) alle banche europee una proposta di revisione
della classificazione dei cosiddetti crediti "past due". La novità tecnica, stonata nei tempi visto che arriva
pochi giorni dopo l'esito degli stress test che avrebbero dovuto dare certezze e stabilità al sistema bancario
europeo, introduce una limitazione dal 5 al 2% della soglia di sconfinamento oltre il quale un credito passa a
incaglio nei bilanci bancari. In pratica, se una piccola azienda dovesse «sconfinare» oltre il 2% del credito, la
banca dovrebbe passare la pratica a incaglio. Con il necessario avvio di rettifiche a accantonamenti. Stante
l'attuale contesto economico, un provvedimento del genere avrà un unico effetto immediato da parte delle
banche: maggiore «attenzione» nella concessione del credito per evitare rischi immediati sul conto
economico. E, a livello di sistema, una frenata alla ripresa dell'economia che contrasta con le politiche della
Bce impeganata a evitare la cosiddetta «trappola della liquidità» di keynesiana memoria.
Ben più pericoloso per il credito in Europa è quanto sta preparando il Financial Stability Board, presieduto dal
governatore della Bank of England Mark Carney, riguardo al capitale per le 30 banche di interesse sistemico
(le cosiddette Sifi, tra cui figura UniCredit come unica italiana). La proposta presentata al G-20 in Australia
della scorsa settimana prevede un innalzamento dei ratios patrimoniali al 16-20% (dall'attuale 10%) tra
capitale e forme ibride. La motivazione, lodevole, è di evitare che - dopo la crisi succeduta al caso Lehman le banche debbano essere salvate dai contribuenti. Peccato che la normativa ipotizzata consideri nello stesso
modo le grandi banche anglosassoni, che operano inglobando tutti i rischi della finanza (compreso lo shadow
banking), con le grandi banche commerciali europee. Così come è un peccato che le soluzioni proposte (tra
cui l'emissione di prestiti ibridi subordinati), avvantaggi chi - come le banche americane alla JP Morgan hanno una struttura organizzata con una holding company che può finanziarsi emettendo bond con rating
migliori. Più delle tecnicalità, quello che conta è che - tra disciplina Eba e normative Fsb - le banche che in
Europa sono orientate al credito alle imprese e alle famiglie rischiano di essere ancora penalizzate dalle
nuove regole. I Governi dell'eurozona, a partire da quello italiano, hanno ancora i poteri (in sede di G20) e la
possibilità temporale (tre mesi per l'Eba, un anno per l'Fsb) di intervenire per impedire nuove regole
penalizzanti per l'Europa bancocentrica. Non per fare un piacere alle banche, ma per evitare che il
razionamento del credito penalizzi per altri anni l'economia europea.
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LA PAROLA CHIAVE Pastdue 7L'esposizione scaduta e sconfinatada più di90giorni (per lungo tempo la
scadenza era fissata prima a270 poi a 180giorni) è definita "Past Due" e viene segnalata alla Centrale dei
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Se le regole sono anti-credito
23/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Rischi. Si tratta di una segnalazione grave chepuò aprire le porte alla posizione di incaglio. Èla prima
classificazione dei crediti nonperforming.Ad essa, in ordine di gravità crescente, seguonogli incagli
(perdurante situazione di difficoltà) e le sofferenze.
23/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Jobs act, rischio costi per le imprese
Claudio Tucci
Claudio Tucci u pagina 4
ROMA
Fusione tra Aspi e mini-Aspi ed estensione del nuovo sussidio di disoccupazione a una prima platea di
collaboratori coordinati e continuativi. Inoltre, la durata dell'assegno sarà legata alla storia contributiva del
lavoratore.
Mentre sul fronte del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti per i nuovi assunti, l'addio alla
reintegra passa per un doppio binario (oneroso per le imprese) nei casi di licenziamento per motivo
economico od organizzativo: un indennizzo monetario fino a un massimo di 1,5 mensilità per ogni anno di
anzianità aziendale, con un tetto (la cui entità è ancora in discussione - potrebbe essere di 24 o 36 mensilità),
oltre il quale il giudice non potrà andare; con la possibilità per il datore di offrire spontaneamente al lavoratore
licenziato un'indennità (una mensilità per ogni anno di servizio, con un limite che potrebbe essere fissato a 18
o a 24 mensilità) in funzione di una conciliazione-lampo. Nei casi di licenziamento disciplinare la regola sarà
sempre l'indennizzo: indennità ridotta in proporzione alla colpa del lavoratore, fino ad azzerarsi quando la
colpa sia ritenuta sufficiente a giustificare il licenziamento. La tutela reale dovrebbe essere limitata a specifici
casi in cui la contestazione infondatamente rivolta al lavoratore è molto grave (ad esempio reato perseguibile
d'ufficio) o al caso in cui sia provato il suo intendimento calunnioso, che la rende assimilabile alla
discriminazione (ma su questo punto la formulazione del Dlgs è ancora molto aperta e potrebbe cambiare).
Continua il lavorio tecnico sui decreti attuativi del Jobs act, che lunedì riprenderà l'esame alla Camera. Per
ora il Governo non sembra intenzionato a mettere la fiducia: sono stati presentati circa 150 emendamenti da
parte delle opposizioni, ne verranno segnalati circa 70 «quindi i tempi sono stretti ma sufficienti ad approvare
il provvedimento entro il 26 novembre. Certo non ci dovrà essere ostruzionismo», ha detto il sottosegretario
Teresa Bellanova. La «riforma del lavoro serve, è fondamentale - ha incalzato il numero uno di Confindustria,
Giorgio Squinzi -. Diamo un giudizio positivo sulla capacità di analisi dell'Esecutivo. Per questo ho fiducia che
il premier Renzi mantenga la sua parola. Non temo insidie nei decreti delegati».
Il primo Dlgs a essere varato dovrebbe essere quello sulle tutele crescenti; a cui si aggiungerà anche quello
sulla nuova Aspi (qui sono da chiarire gli eventuali maggiori costi a carico delle aziende - oggi l'industria
contribuisce più di tutti - visto anche che gli oneri del contratto di ricollocazione dovrebbero gravare sulle
aziende. Ecco perchè il passaggio dalla reintegrazione alla monetizzazione (indennità omnicomprensiva)
«dovrà essere realizzato con equilibrio», ha evidenziato Arturo Maresca (Sapienza, Roma). Il problema, ha
spiegato il giuslavorista, «si pone per le Pmi, da 16 a 50/100 dipendenti, che non avrebbero la possibilità di
sostenere il costo di 2/3 licenziamenti per motivi economici determinati, per esempio, da una difficoltà del
mercato». Su questo aspetto (se fossero confermati i tetti ipotizzati di 24 o, peggio, 36 mensilità) «va aperta
una riflessione per ridurli». Del resto, oggi, dopo la legge Fornero, per i licenziamenti economici, è previsto il
pagamento di un'indennità meno pesante (12-24 mesi), e già allora (nel 2012) l'Ocse ci "rimproverò" di aver
fissato importi troppo elevati (a fronte di un limite massimo medio negli altri paesi di circa 12 mensilità).
Il doppio canale su cui sta lavorando l'Esecutivo dovrebbe scoraggiare licenziamenti "non giustificati", e
l'imprenditore non sarà mai obbligato a conciliare la controversia pagando l'indennizzo: nei casi di palese
dissesto aziendale potrà affrontare il giudizio confidando che qualsiasi giudice riconoscerà il giustificato
motivo. Inoltre, la previsione «di un'indennità di licenziamento proporzionata all'anzianità di servizio - ha
evidenziato Pietro Ichino (Statale, Milano) - farà sì che nella fascia che fa registrare la maggior frequenza
statistica dei licenziamenti, cioè dipendenti con meno di 5/6 anni di servizio, l'esborso per la conciliazione
standard sarà inferiore al minimo previsto oggi dalla legge».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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LICENZIAMENTI E NUOVI AMMORTIZZATORI
23/11/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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© RIPRODUZIONE RISERVATAIl confronto internazionale
ITALIA Tetti a 24 o 36 mesi
Nei casi di licenziamenti economici il governo sta lavorando su un doppio binario: indennizzo fino a un
massimo di 1,5 mensilità per ogni anno di anzianità aziendale, con un tetto (la cui entità è ancora in
discussione: potrebbe essere di 24 o di 36 mensilità), oltre il quale il giudice non potrà andare; con la
possibilità per il datore di offrire spontaneamente al lavoratore licenziato un'indennità (una mensilità per ogni
anno di servizio, con un limite che potrà essere fissato a 18 o a 24 mensilità) in funzione di una conciliazionelampo
FRANCIA
Sei mesi di indennità
Il codice del lavoro transalpino dispone che per un licenziamento senza una «causa reale e grave» il giudice
può proporre il reintegro del dipendente; però se una delle due parti rifiuta il giudice concede al lavoratore
un'indennità a carico del datore di lavoro e non può essere inferiore alle retribuzioni percepite negli ultimi sei
mesi. Queste regole valgono per i lavoratori con due anni di anzianità e nelle imprese con più di 11
dipendenti
GERMANIA
Pesa età e anzianità lavoratori
Se il licenziamento è invalido ma la prosecuzione del rapporto di lavoro viene ritenuto comunque impossibile
da entrambe le parti si può arrivare al suo scioglimento consensuale. In questo caso la normativa tedesca
prevede che il datore di lavoro è comunque tenuto al pagamento di un'indennità compresa tra 12 e 18 salari
mensili a seconda dell'età del lavoratore (over 55 anni) e anche della sua anzianità di servizio (oltre vent'anni)
SPAGNA
Al massimo 24 mensilità
Le ultime modifiche del 2012 prevedono che in caso di licenziamento ritenuto illegittimo il lavoratore ha diritto
a una somma pari a 33 giorni lavorativi per ogni anno di lavoro, fino a un massimo di 24 mensilità. Il
lavoratore ha diritto anche alle retribuzioni arretrate dalla data del licenziamento fino alla notifica della
decisione giudiziale o comunque fino a quando non ha trovato un impiego alternativo nel caso sia avvenuto
prima della notifica
23/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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Il gruppo Save gioca la partita negli aeroporti del Nord Est
Vittorio Carlini
Crescere nel traffico, soprattutto intercontinentale. Poi, proseguire nel processo d'integrazione con la Catullo
Spa, cui fanno capo gli scali di Verona e Brescia. Sono tra le priorità di Save, gestore dei terminali di Venezia
e Treviso, per spingere il business. In particolare, sul fronte delle aggregazioni, il gruppo punta a rafforzare il
polo del Nord Est. La società, di recente, è arrivata a detenere il 35% della Catullo. L'obiettivo? Sviluppare,
d'intesa con gli altri soci, le strategie di crescita e industriali del sistema aeroportuale del Garda. Proprio in
quest'ottica si inserisce la proposta che la stessa Save porta avanti con riferimento allo scalo di Brescia il
quale, tra i suoi atout, vanta la focalizzazione sul trasporto delle merci. Ebbene, da un po' di tempo Catullo
Spa e la Sacbo (società che governa lo scalo di Orio al Serio) discutono sulla possibilità di definire una
collaborazione proprio sull'aeroporto di Brescia. Su questo fronte l'idea di Save è di arrivare a costituire tra la
Sacbo e Catullo una newco. Una società, partecipata pariteticamente, con cui concretizzare la gestione del
terminale. Ma non è solamente la pista di Brescia. Deve infatti ricordarsi che la Sea, gestore di Malpensa e
Linate (e socia al 30,98% in Sacbo), ha presentato ricorso al presidente della Repubblica contro la vendita
del 2% di azioni della Catullo da parte del Comune di Villafranca a Save. Quest'ultima, dal canto suo, non si
dice preoccupata. u pagina 18
www.ilsole24ore.com/finanza
La «Lettera» online per gli abbonati Crescere nel traffico, soprattutto intercontinentale. Poi, ampliare la
struttura aeroportuale di Venezia. Inoltre, proseguire nel processo d'integrazione con la Catullo Spa, cui
fanno capo gli scali di Verona e Brescia. Sono tra le priorità di Save per spingere il business.
La società, nel recente passato, è tornata a concentrarsi sulla gestione dei terminali della Città della Laguna
(Marco Polo) e di Treviso (Canova). Save, con l'eccezione dei servizi nei due scali, ha infatti ceduto il 50%
della controllata Airest (ristorazione in viaggio e Travel retail) ai francesi di Lagardere. La rimanente quota, di
cui il gruppo transalpino con un meccanismo di opzioni «put and call» potrà diventare titolare entro il 2016, è
iscritta a bilancio tra le «attività/passività destinate alla vendita». Analogamente al 40% detenuto in
Centostazioni, la partnership con Ferrovie dello Stato che gestisce un network di 103 medie stazioni italiane.
Insomma, la società veneta si è ri-focalizzata su piste di atterraggio e scali aerei.
Quel mondo dove l'obiettivo è creare il polo del Nord Est. In questa direzione i passi compiuti sono diversi.
Save infatti, in esecuzione dell'accordo con i soci di riferimento della Catullo spa, dapprima ha acquisito il 2%
del capitale di quest'ultima (quota cedutagli dal comune di Villafranca). In seguito ha sottoscritto un aumento
di capitale dedicato, arrivando a detenere nell'ottobre scorso il 35% della società veronese. L'obiettivo?
Replicare il modello utilizzato per l'aeroporto di Treviso. Cioè: da una parte, d'intesa con gli altri soci,
sviluppare le strategie di crescita; e dall'altra, passo dopo passo, aumentare il proprio peso per potere
esercitare a pieno titolo il ruolo di socio industriale.
Al di là degli sviluppi futuri, il risparmiatore esprime però una perplessità di fondo: l'integrazione tra due scali
così vicini (Verona e Venezia) rischia di creare sovrapposizioni. Save rigetta l'obiezione. La messa a sistema
degli aeroporti, viene sottolineato, è l'unica strada che permette, dopo avere analizzato la domanda, di
soddisfarla in modo efficiente. Ad esempio, la presenza di un unico soggetto che dialoga con le compagnie
consente di avere (e offrire) servizi più efficienti e, quindi, redditizi. Non solo. Save ricorda che gli scali in
«dote» alla Catullo spa (Verona e Brescia) si trovano in un'importante area sia per il turismo che per il
business. Una gestione industriale, e coordinata, può quindi estrarre valore. Proprio in quest'ottica si inserisce
la proposta che la stessa Save porta avanti con riferimento allo scalo di Brescia il quale, tra i suoi atout, vanta
la focalizzazione sul trasporto delle merci.
Ebbene, da un po' di tempo Catullo spa e la Sacbo (società che governa lo scalo di Orio Al Serio) discutono
sulla possibilità di definire una collaborazione industriale proprio sull'aeroporto di Brescia.
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LETTERA AL RISPARMIATORE
23/11/2014
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Su questo fronte l'idea di Save è di arrivare a costituire tra la Sacbo e Catullo una newco. Una società,
partecipata pariteticamente, con cui concretizzare la gestione del terminale di Brescia.
Al di là della newco, l'obiettivo della possibile collaborazione è lo sviluppo industriale della scalo. E non solo.
La speranza è che possa costituire un elemento di «pacificazione» tra la stessa Catullo e Sacbo. Lo scalo
bergamasco, infatti, ha presentato ricorso al Tar contro la concessione della società veronese su Brescia.
Vinto il primo grado, il procedimento è stato impugnato dalla Catullo. La collaborazione, nel momento in cui
iniziasse a prendere forma, potrebbe indurre a sepellire l'ascia di guerra. E già il 25 novembre prossimo,
giorno in cui il ricorso sarà al Consiglio di Stato, potrebbero trarsi le prime valutazioni: le parti, d'accordo,
avrebbero infatti deciso di chiedere il rinvio dell'udienza.
Ma non è solamente la pista di Brescia. Deve infatti ricordarsi che la Sea, gestore di Malpensa e Linate, (e
socia al 30,98% in Sacbo), ha presentato ricorso al presidente della Repubblica contro la vendita del 2% di
azioni da parte del Comune di Villafranca a Save. Cioè, la prima mossa che ha poi consentito l'aumento di
capitale al 35%. Al di là delle motivazioni del ricorso, il risparmiatore si interroga sulle possibili conseguenze
negative per la strategia del gruppo. La Save non si dice preoccupata. L'operazione con il comune di
Villafranca, è l'indicazione, è passata al vaglio degli organi competenti: dal Ministero a Enac, oltre che dai
legali e dagli advisor. Quindi, è la conclusione, c'è alcun timore. Fin qui l'espansione verso Ovest: quali però
le possibilità sul fronte dell'Est? In particolare rispetto allo scalo di Trieste dove, di recente, c'è stata una
nuova «apertura» da parte della Regione Friuli Venezia Giulia? Qui Save è chiara: allo stato attuale c'è
nessuna novità di rilievo.
Ciò detto, non è però solamente la crescita per aggregazioni. Tra i focus del gruppo c'è il piano d'investimenti
sullo scalo di Venezia. Così, nei prossimi 24 mesi, sono previsiti 120 milioni di Capex . Esborsi per diversi
interventi: dall'allargamento del «landside» del Terminal al tapis roulant che collegherà l'aeroporto alla
Darsena. Un mix di opere il quale dovrà «accompagnare» la crescita del traffico aereo.
Già, il traffico aereo. Su questo fronte, a ben vedere, un dubbio è inevitabile: l'Italia (sempre in recessione) e
l'Europa soffrono la congiuntura negativa. La stessa crescita mondiale è stata abbassata, sul 2015, al 3,7%.
Ebbene, simili dinamiche possono limitare lo sviluppo dell'attività degli aeroporti, compresi quelli di Save.
La società invita ad analizzare il tema meno superficialmente. In primis, nonostante la crisi domestica, dal
2007 alla fine del 2013 il sistema aeroportuale di Venezia, nella dinamica dei passeggeri, ha sovraperformato
sia l'Italia che l'Unione Europea. Il che mostra, è l'indicazione, di come l'azienda sia capace di crescere anche
in periodi difficili. Un andamento che, tra le altre cose, è conseguenza della diversificazione dell'offerta. In
particolare, grazie ai voli internazionali che rendono più resistente il business alla congiuntura locale. Peraltro,
afferma Save, proprio sul fronte dei voli intercontinentali c'è la volontà di crescere. L'obiettivo? Aprire una o
due nuove tratte dirette l'anno. Il focus è sull'Asia e poi il rafforzamento dei collegamenti con il Nord America.
Senza dimenticare il Medio Oriente. Qui, ad esempio, è avviato il dialogo con Alitalia-Eitihad per un possibile
nuovo volo Venezia-Abu Dhabi. Se questi i possibili sviluppi futuri, quale però l'attuale andamento del traffico
passeggeri? Nei primi nove mesi del 2014, seppure i ricavi sono saliti (+3,8%), il numero dei viaggiatori nei
cieli di Venezia (+1%) e di Treviso (+0,9%) è cresciuto meno della media italiana (+4,1%). Il che induce
preoccupazione. La Save rigetta il dubbio. Dopo anni di forte incremento è normale la stabilizzazione del
trend. Peraltro, il numero dei movimenti di aeroplani è stato minore e, di conseguenza, è salito il tasso di
riempimento degli stessi. Il che, aggiunge Save, è l'indizio della probabile futura nuova accelerazione di
passeggeri. I quali, a fine 2014, a quanto dovrebbero arrivare? Save indica che l'obiettivo, per l'intero sistema
aeroporti di Venezia, è di arrivare a circa 10,5 milioni a fine esercizio. Quell'esercizio che, rispetto alle variabili
di conto economico, secondo Save dovrebbe vedere un andamento in linea con i primi nove mesi. Target
precisi? La società non ne fornisce. Ciò detto, può desumersi che il fatturato e mol dovrebbero essere in
rialzo sul 2013. La bottom line invece, che già nei primi 9 mesi è risultata in discesa a causa dei maggiori
oneri finanziari conseguenti al dividendo straordinario, sarà inferiore.
23/11/2014
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Fin qui il bilancio. L'esperto, però, guarda un altro elemento: la partecipazione nell'aeroporto belga di
Charleroi. Qui la Commissione europea ha completato l'iter relativo alla denuncia di aiuti di stato nei confronti
dello scalo. La decisione finale sarà pubblicata a breve e potrebbe comportare un incremento annuo del
canone di concessione di circa 12 milioni. Una cifra non da poco. La Save, dal canto suo, attende la
pubblicazione e, insieme allo Stato Vallone, presenterà ricorso alla decisione. L'azienda è comunque
confidente che l'indicazione sarà rivista. L'aumento ipotizzato, infatti, deve considerarsi fuori da qualsiasi
logica economica.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 115,1 milioni 110,9 milioni Altri ricavi areonautici Commissioni e tariffe
areonautiche Ricavi non areonautici Altro +4,6% -8,2% +2,5% +8,1% Altri Emirates Ryanair Wizz Air Altri
Turkish Vueling Klm British Volotea Lufthansa Air France Alitalia Airone Easy Jet 37 3 84 15 3 33 4 5 5 5 6 12
17 Ricavi Ebitda Ebit Risultato lordo 115,10 110,9 48,1 46,6 36,4 35,6 37,6 39,4 Ebitda margin Ebit margin
42,0 41,8 32,1 31,6
I BILANCI DEI NOVE MESI A CONFRONTO
In milioni di euro
9 mesi 2014
9 mesi 2013*
* I dati economici sono riesposti in applicazione dell' Ifrs11 e dell'Ifrs5
LA DINAMICA DEU RICAVI DEL GRUPPO
9 mesi 2013
9 mesi 2014
IL TRAFFICO AEREO DIVISO
dati in %
Aeroporto
Aeroporto
MARGINALITÀ A CONFRONTO
dati in %
9 mesi 2013
9 mesi 2014
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Al piano Juncker serve un «motore» finanziario
Alberto Quadrio Curzio
In Europa e in particolare nell'eurozona (quasi) nessuno crede più che la crescita e l'occupazione
riprenderanno con le politiche economiche e fiscali adottate sino ad ora. La semi deflazione e stagnazione
europea sono ormai un fatto compiuto che preoccupa anche l'Fmi quale massima espressione del "governo"
dell'economia mondiale. Urge che i responsabili delle politiche economiche spingano gli investimenti
nell'eurozona.
È questa anche la richiesta che Emma Marcegaglia, presidente del BusinessEurope delle Confindustrie
europee tenutosi due giorni fa a Roma, ha avanzato con forza trovando unanime consenso, tra cui quelli del
presidente di Confindustria Giorgio Squinzi e del presidente del Consiglio Matteo Renzi. Questo ci porta al
piano Juncker da 300 miliardi in tre anni da valutare sia dal punto di vista politico che da quello economicofinanziario dove bisognerebbe coinvolgere la Bce.
La credibilità di Juncker. Politicamente il piano va apprezzato perché, se attuato, segnerebbe un salto di
qualità della Ue o della Uem per gli investimenti. L'implementazione del piano è cruciale anche per la
credibilità di Juncker (molto indebolito da vicende lussemburghesi) e di conseguenza per quella della sua
Commissione. In questa sfida (anche contro i Paesi frenatori) Juncker dovrebbe trovare un supporto nel
Parlamento europeo che già in passato ha mostrato molta apertura per gli investimenti su scala europea.
Di questo, e in particolare della necessità del supporto del Partito socialista democratico europeo, Juncker
sembra rendersi ben conto come dimostra la lunga lettera (con firma aggiunta dal primo vicepresidente della
Commissione, il laburista Frans Timmermans) che il 12 novembre ha indirizzato al presidente del Parlamento
europeo Martin Schulz e al presidente di turno del Consiglio europeo Matteo Renzi.
Juncker dunque riapre il tema degli investimenti europei senza menzionare gli Eurobond sui cui in passato si
era espresso favorevolmente (come tanti altri, tra i quali noi stessi, con le più diverse modalità) per non
incorrere nel veto tedesco che teme una mutualizzazione del debito pubblico dei Paesi membri. Juncker fa
bene ma la questione prima o dopo riemergerà.
Gli investimenti necessari. Sappiamo che i 300 miliardi del piano Juncker sono pochi. Infatti i mancati
investimenti in capitale fisso lordo nell'eurozona, rispetto al trend che si sarebbe verificato senza la crisi, sono
calcolati sull'anno corrente in 800 miliardi di euro. Questo dato può essere commentato da molti punti di vista
e tra questi ne scegliamo due. Il primo è il danno che le politiche improntate alla dottrina tedesca, supportata
da molti economisti un po' dovunque, del rigore che genera crescita hanno causato all'eurozona. Ovviamente
non si tratta di sostituire a queste politiche quelle del debito pubblico per fare sprechi ma quella di usare il
debito per fare investimenti che si ripagano nel tempo come è stato dimostrato, specie in queste condizioni di
fattori produttivi inutilizzati, dalle analisi dell'Fmi. Il secondo è che le entità necessarie indicate da più parti per
un piano di investimenti efficace vanno dagli 800 miliardi in su. Il partito socialista democratico del
Parlamento europeo punta su 800 miliardi per il periodo 2015-2020 come ha ribadito il presidente del gruppo
Gianni Pittella. Nel citato BusinessEurope, Emma Marcegaglia ha cifrato in mille miliardi il finanziamento
necessario. I programmi di Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva prefigurano
investimenti in infrastrutture (trasporti, energia, digitalizzazione), per 2000 miliardi entro il 2020 e il 2030.
Le modalità di finanziamento. La cifra dei 300 miliardi non è però neutra rispetto ai modi di finanziamento che
si chiariranno entro il Consiglio europeo di metà dicembre. Riassumiamo in due le notizie circolanti. La prima
notizia, cattiva, è che la Germania non vuole che si adatti allo scopo l'Esm (European Stability Mechanism) la
cui capacità di prestiti, tramite raccolta sul mercato dei capitali, è già adesso di 500 miliardi (di cui solo 50 già
impegnati) con garanzia degli Stati partecipanti al capitale. Su questa scelta lineare ci siamo già intrattenuti
(si veda l'articolo dell'11 novembre scorso) e ci rammarichiamo della miopia tedesca che blocca un potente
fondo ben accolto dal mercato e con due anni di rodaggio alle spalle.
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EUROPA E CRESCITA
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Concordiamo invece che la Bei non diventi il fulcro del piano Juncker sia perché la sua ottima attuale attività
non va caricata di nuovi compiti sia perché il programma di investimenti addizionali del "compact for growth"
del 2012 non è andato a buon fine.
La seconda notizia è che la Commissione sta lavorando sul varo di un (o più?) Fondo di investimento con
capitale iniziale fornito dalla Bei e dal bilancio comunitario su cui attrarre capitali privati. I capitali pubblici si
assumerebbero il rischio delle perdite di avvio del programma di investimenti in tal modo garantendo gli
investitori privati ai quali andrebbero invece i guadagni a regime. Il problema su cui non c'è concordanza è
quello della leva che i fondi pubblici possono avere attraendo capitali privati. Si ipotizza addirittura una leva
massima fino a 10 per cui 30 miliardi pubblici potrebbero mobilitare fino a 300 privati. L'operazione sarebbe
completata da assistenza tecnica per la messa a punto di programmi di investimento infrastrutturale nei
singoli Paesi e da norme per rendere anche fiscalmente attraente l'investimento nel fondo.
Una conclusione lineare. Se i fondi pubblici dovessero essere così limitati l'operazione sarebbe fallimentare. I
300 miliardi devono essere mobilitati davvero e qui solo la Bce può farlo subito acquistando un pari importo di
obbligazioni emesse dal Fondo di investimento (di natura pubblicistica) a sua volta garantito dagli Stati
dell'eurozona. Con 300 miliardi di fondi certi e rapidi per investimenti infrastrutturali, gli effetti moltiplicativi
verrebbero ben presto con altri investimenti privati nell'economia reale che la Bce non riesce a far decollare. Il
problema vero è se la Germania vuole essere il Paese leader di una Europa quale prima potenza
manifatturiera mondiale oppure esserne il primo frenatore.
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Morando: «Assurda l'Imu sui macchinari, toglieremo la tassa»
Ipotesi di franchigia Irap per le Pmi
Fabrizio Forquet
«In una situazione di risorse scarse, stiamo facendo il possibile per rilanciare la crescita. Anche in
Parlamento». Enrico Morando sta seguendo per il governo la legge di stabilità alla Camera. Un lavoraccio,
con la Cgil in piazza, le tante tensioni di una maggioranza non proprio a tenuta stagna e l'esigenza di trovare
risorse per rafforzare il carattere espansivo della manovra.
Viceministro, dica la verità, quanto le avrebbe fatto comodo poter disporre di una dote da 9 miliardi come
quella che viene assorbita per la stabilizzazione del bonus 80 euro...
Personalmente, per gestire la legge di stabilità in commissione, davvero molto. Avrei sicuramente
guadagnato parecchie ore di sonno. Ma per risolvere i problemi del Paese no. Non è una questione su cui si
può tornare indietro.
Fabrizio Forquet
Eppure più passano le settimane, più risulta chiaro che l'impatto sui consumi è stato pressoché nullo.
Sono soldi che restano in tasca ai lavoratori cominciando a ridurre la pressione fiscale sul lavoro. Per i
consumi aspettiamo di vedere l'andamento in questo ultimo trimestre, io resto dell'idea che il problema del
2014 è stato che c'era la sensazione che non si trattasse di un aumento di reddito permanente. Perciò credo
sia importante la scelta di stabilizzare il bonus. Anche perché ne va della credibilità del governo, è una misura
che serve a dare certezza a tutti.
Intanto, però, secondo le stesse stime del governo, la legge di Stabilità avrà un impatto modesto sul Pil.
Abbiamo fatto previsioni su basi prudenziali. Bisogna tener conto del fatto che entriamo nel 2015 a
bassissima velocità, anzi avendo accumulato ulteriore ritardo. Ma il carattere espansivo della manovra non è
negabile, malgrado la rinuncia che abbiamo dovuto fare a 3-4 miliardi a causa della richiesta della
Commissione europea. Il combinato disposto della legge di Stabilità e delle riforme strutturali, comprese
quelle istituzionali, avrà un impatto significativo, anche in termini di fiducia.
L'intervento sull'Irap va certamente nella direzione giusta. Nel dibattito alla Camera lei ha anche detto che si
può ipotizzare una franchigia per compensare le imprese che non hanno rapporti di lavoro stabili.
L'ho detto, mi riservo di approfondire la questione e presentare una proposta di modifica al Senato.
Intanto ci sono capitoli importanti per la crescita che sono rimasti fuori dalla legge di Stabilità: dall'Imu su
capannoni e grandi macchinari imbullonati agli investimenti in ricerca.
Questa dell'Imu sugli "imbullonati" è una vicenda paradossale che va chiusa. Assicuro che sarà risolta, a
prescindere da quanto dovesse costare. Non posso ancora dire se interverremo alla Camera o, più
probabilmente, al Senato, ma lo faremo. A Palazzo Madama affronteremo tutta la questione dell'imposizione
sugli immobili. Alla Camera, intanto, siamo già intervenuti per finanziare la legge Sabatini per gli investimenti
in macchinari.
Per la verità sul primo anno solo 12 milioni...
Un impegno apparentemente modesto che rende molto, però, in termini di operatività. Non bisogna farsi
ingannare dalla cifra: si produce una leva per investimenti importante in termini quantitativi. Sul made in Italy,
poi, abbiamo impegnato nuove risorse per 130 milioni.
Il piano Calenda ...
È un disegno moderno di sostegno al made in Italy. Noi oggi abbiamo una crescente domanda di Italia nel
mondo, dobbiamo essere capaci di rispondere in termini di un'offerta moderna. Con queste risorse e
l'impegno dell'Ice avremo un volano importante di crescita. Sono risultati che vanno sottolineati. Così come è
stato importante difendere il bonus da 80 euro come misura Irpef di riduzione del costo del lavoro,
respingendo chi voleva trasformarlo in un intervento per le famiglie di natura assistenziale. Per le famiglie c'è
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INTERVISTA / IL VICEMINISTRO DELL'ECONOMIA
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il bonus figli, che è stato rimodellato proprio per sostenere quelle più povere.
Intanto continua a restare fuori il rafforzamento del credito d'imposta alla ricerca, così com'è finisce per
essere poco più che simbolico.
Sul credito d'imposta alla ricerca non si è ancora conclusa la lettura alla Camera. Ci sono proposte
parlamentari orientate a superare la condizionalità che limita la misura agli investimenti aggiuntivi. È una
questione fondata, perché non è giusto penalizzare chi negli anni scorsi è stato eroico e ha continuato a
investire malgrado la recessione. C'è un problema di risorse, ma non escludo che si riesca a intervenire.
Al Senato si tornerà anche sulla tassazione dei fondi pensione?
Il governo è disponibile ad affrontare il tema, ma la nostra posizione è che la tassazione del capital gain
debba essere omogenea e unitaria. Poiché l'aliquota ordinaria è via via salita al 26%, mi sembra evidente che
anche quella dell'11,5% che pesa sui fondi pensione debba crescere. Poi siamo ben consapevoli
dell'importanza dello sviluppo delle pensioni integrative e quindi proveremo a costruire un equilibrio tra queste
due esigenze, tenendo conto delle necessarie coperture.
Intanto il Tfr in busta paga sarà tassato ad aliquota marginale. Ben pochi in questo modo aderiranno, e non è
detto che sia un male...
Anche qui è un problema di risorse. E comunque faccio notare che la differenza tra l'aliquota marginale e
quella media per i lavoratori con salari più bassi, che sono i più interessati, non produce su base annua un
aumento significativo di aggravio fiscale. Quindi, anche ammesso che tutto restasse così, si può sperare che
l'adesione sarà importante.
Lo sforzo maggiore alla Camera è quello che ha riguardato il finanziamento della legge delega sul lavoro. Le
risorse sono aumentate di 400 milioni tra 2015 e 2016.
È una nostra priorità. Siamo convinti che dobbiamo finanziare il nuovo, uscendo da un sistema di
ammortizzatori sociali vecchio e non europeo. D'altra parte solo se la legge di Stabilità avrà fornito le risorse
necessarie, potranno essere approvati i decreti delegati per far partire il Jobs Act.
Lei parla, giustamente, di modernizzazione del sistema. Ma la Cgil, non senza una sponda nel Pd, va in
piazza contro la legge di Stabilità e il Jobs Act denunciando scelte di precarizzazione e dannose per i
lavoratori.
È davvero sorprendente. Come si fa a parlare di precarizzazione? Sono anni che da sinistra si dice che i
contratti a tempo indeterminato devono costare meno di quelli precari. Con la legge di Stabilità - attraverso
l'esclusione del lavoro dall'imponibile Irap e la decontribuzione - noi facciamo sì che un'azienda che trasforma
i contratti a tempo in contratti stabili abbia un alleggerimento di costi nell'ordine di quasi il 30%. Se questa è
precarizzazione...
Vi imputano il superamento dell'articolo 18, che poi in realtà resta, seppur limitato.
L'intervento sulle regole deve essere funzionale all'obiettivo. Per stabilizzare i lavoratori dobbiamo dare un
minimo di flessibilità in uscita, altrimenti il vantaggio fiscale non basta a incentivare i datori a dare stabilità ai
rapporti di lavoro.
In molti casi l'indennizzo monetario sostituirà la reintegra. Dalle anticipazioni che sono circolate, però, c'è la
preoccupazione che un livello troppo elevato del risarcimento si riveli finanche controproducente rispetto al
sistema attuale.
Lo vedremo con i decreti delegati. È presto per parlarne e non posso entrare nel merito della questione.
Quello che conta per noi è aprire al nuovo. Conta per l'Italia e conta nei rapporti con l'Europa. La riforma del
lavoro, ma anche le altre riforme, sono cruciali per recuperare credito in Europa. Non per farci fare lo sconto
ma per essere co-protagonisti nel cambiamento della politica economica e fiscale a livello comunitario.
Abbiamo una circostanza favorevole: l'intonazione espansiva della politica monetaria, ma ora dobbiamo
orientare la politica fiscale nella stessa direzione.
Secondo fonti di Bruxelles è in arrivo il via libera della Commissione alla legge di Stabilità.
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Il Sole 24 Ore
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Penso che abbiamo sviluppato il confronto nel modo più giusto. La lettera di Padoan ha chiarito il rapporto
tra misure espansive e riforme strutturali. Con le sue raccomandazioni, l'Europa ci chiede da anni di fare
interventi che sono esattamente quelli che stiamo realizzando. Le riforme, nella fase di implementazione,
hanno bisogno di un più di risorse, nessuno può chiederci di farle e poi di non poterle finanziare. Perciò ero e
resto fiducioso.
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IL PROFILO Protagonista della politica
Enrico Morando è nato ad Arquata Scrivia, in provincia di Alessandria, il 30 settembre 1950, e si è laureato in
Filosofia all'Università di Genova. Giornalista per l'Unità nella prima metà degli anni Settanta, vanta una lunga
militanza prima nel Pci poi nel Pds, diventando membro della segreteria nazionale negli anni Novanta. Nel
2007 fa parte del Comitato dei 45 che dà vita al Partito democratico. La sua ventennale esperienza
parlamentare si svolge, tra il 1994 e il 2013, tra gli scranni del Senato, con un ruolo di particolare rilievo nei
lavori della commissione Bilancio a Palazzo Madama. Il 28 febbraio 2014 è nominato viceministro
dell'Economia nel governo Renzi
LA LETTERA DI PADOAN 1. STRATEGIA DI BILANCIO
La strategia di bilancio attuata dal governo «assicura un percorso di riduzione sufficiente del debito pubblico,
porta avanti un ambizioso piano di privatizzazioni e avvia un aggiustamento dei conti pubblici che non blocca
la crescita».
2. RIFORME FISCALI
L'obiettivo del governo è trasferire ulteriormente la pressione fiscale dai fattori produttivi ai consumi, al
patrimonio e all'ambiente. A gennaio scatta l'aumento al 26% sugli asset finanziari.
3. PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Tra gli sforzi del governo c'è una maggiore efficienza della P.A. grazie alla migliore gestione dei fondi europei
con i piani di rafforzamento amministrativo, le misure anticorruzione e la riforma della giustizia civile.
4. MERCATI DEI CAPITALI
Il trattamento fiscale delle sofferenze bancarie le nuove norme sul fallimento e il recupero crediti dovrebbero
rendere più flessibile il sistema bancario, mentre le Pmi dovrebbero essere agevolate nell'accesso ai mercati
di capitali.
5. MERCATO DEL LAVORO
Il documento del Tesoro inviato a Bruxelles ricorda la modifica dell'articolo 18 che introduce regole più certe
sui licenziamenti, contenuta nel Jobs act, la nuova flessibilità in entrata, le più ampie protezioni per i
disoccupati, le misure per le famiglie e per i giovani.
6. ISTRUZIONE
Sul fronte scuola, il governo punta innanzitutto sul Sistema nazionale di valutazione per migliorare i risultati
complessivi del sistema scolastico, da realizzare «all'inizio del 2015».
7. LIBERALIZZAZIONI
E SEMPLIFICAZIONI
Il piano del goveno riguarda sia le imprese che i cittadini ma anche le procedure sugli appalti pubblici.
8. INFRASTRUTTURE DI RETE
A settembre è diventata operativa l'Authority Trasporti mentre entro fine anno il governo definirà una lista di
infrastrutture strategiche nell'energia e nella logistica.
Foto: Viceministro dell'Economia. Enrico Morando
23/11/2014
Il Sole 24 Ore
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Si allungano i tempi per la riforma della Cig
IL RISCHIO Estendere l'Aspi a 300mila collaboratori potrebbe far crescere ancora il contributo a carico
dell'impresa LA PARTITA DECISIVA Si giocherà sulle risorse: alla dote iniziale di 1,5 miliardi si sommano
200 milioni nel 2015 e nel 2016
Davide Colombo
Per il momento si sa che i decreti delegati per l'attuazione della riforma degli ammortizzatori sociali
arriveranno in due o più fasi. Subito, a gennaio, insieme con il contratto a tempo indeterminato a tutele
crescenti e le sue regole per i licenziamenti ultrasemplificate, arriverà la nuova Aspi. Mentre bisognerà
aspettare qualche mese per vedere il restyling della cassa integrazione che, come previsto dalla modifiche
adottate alla Camera, non potrà più essere concessa in caso di cessazione definitiva di un'attività aziendale
(o di un ramo di impresa).
Con la nuova Aspi si supererà l'attuale distinzione tra Aspi e mini-Aspi prevista dalla legge 92/2012 e verrà
allungato il periodo di erogazione del sussidio a chi ha perso il lavoro tenendo conto della sua anzianità
contributiva. L'obiettivo del Governo (si veda l'intervista al responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, sul
Sole 24 Ore di giovedì 20 novembre) è di estendere questa tutela a una platea di almeno 300mila
collaboratori che oggi non ce l'hanno, compresi quelli con carriere molto discontinue (3-4 mesi di contratti in
due anni). L'Aspi resterà a base assicurativa ed è quindi da immaginare che la contribuzione maggiorata sui
contratti a termine resterà (se non verrà addirittura rafforzata). Con un aggravio di costi per le imprese. E
anche sulle tutele in costanza di rapporto di lavoro (la cassa di cui s'è detto) è prevista dalla delega una
maggiore compartecipazione delle aziende utilizzatrici, ed è da immaginare anche in questo caso come
minimo una conferma del contributo dello 0,20% introdotto per i fondi di solidarietà e il Fondo residuale Inps
per le aziende con più di 15 addetti che operano in settori finora non coperti dalla Cig. Ma è prevista anche
una rimodulazione degli oneri contributivi ordinari tra i diversi settori in funzione dell'utilizzo effettivo della
cassa.
La partita delle risorse sarà decisiva per il successo della riforma degli ammortizzatori sociali. Alla dote di 1,5
miliardi inizialmente prevista in Stabilità si sono aggiunti 200 milioni nel 2015 e altrettanti nel 2016. Ma come
è sempre avvenuto in questi anni di crisi, il Governo interverrà in corso d'anno se saranno necessari
rifinanziamenti, anche perchè quella dote dovrà essere spartita con la copertura della cassa integrazione e
della mobilità in deroga; sussidi che si vorrebbero dismettere entro il 2016.
L'incognita maggiore sui costi di questa nuova riforma non riguarda tanto l'estensione della platea dei
lavoratori coperti dall'Aspi quanto l'introduzione di una prestazione di carattere assistenziale (priva dunque di
coperture figurative) per i lavoratori che restano senza Aspi dopo la sua scadenza e si trovano con un Isee di
valore basso. Per questi soggetti è previsto un percorso di partecipazione a iniziative di attivazione e
reinserimento lavorativo cui è vincolato il sussidio assistenziale. Altra incognita importante sul fronte della
spesa legata al nuovo set di tutele riguarda infine l'introduzione di massimali sulla contribuzione figurativa
legata alle tutele per disoccupazione involontaria. Se questo schema verrà confermato la Nuova Aspi verrà
gestita in fase iniziale dall'Inps, come ente certificatore ed erogatore della prestazione, per poi passare
successivamente alla prevista Agenzia nazionale per l'occupazione, l'organismo che gestirà il sistema delle
politiche attive e dei centri per l'impiego con il coinvolgimento delle regioni; la delega prevede che per la sua
istituzione non si dovranno seguire le procedure introdotte nel 1999 e che avverrà senza costi aggiuntivi per
la finanza pubblica.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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L'ANALISI
23/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 5
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Abusi edilizi, multe a chi non demolisce
Sanzioni (reiterabili) fino a 20mila euro a carico dell'attuale proprietario dell'immobile MAGLIE STRETTE
Colpito chi costruisce senza permesso o in totale difformità con le regole Nessuna sospensiva per le cause in
corso
Guglielmo Saporito
Prime incertezze applicative sul decreto legge 133/14 (cosiddetto "Sblocca Italia"), convertito nella legge
164/14 ed entrato in vigore dal 12 novembre scorso.
La norma prevede, infatti, un'immediata sanzione pecuniaria tra 2mila e 20mila euro per gli abusi edilizi di
maggior calibro e in particolare per i casi di demolizioni non eseguite spontaneamente.
Dopo il pagamento di una prima sanzione, imposta dalla legge statale, le Regioni potranno prevedere che le
sanzioni stesse siano periodicamente reiterabili qualora l'ordine di demolizione non venga eseguito nemmeno
dopo il primo pagamento. Questo rischio di sanzioni rinnovate ciclicamente riguarda gli interventi realizzati
senza permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali (articolo 31, commi 4 bis e 4
quater del Dpr 380/01, introdotti dalla legge 164/14).
Sono interessati dalla novità una schiera di abusivisti, destinatari di ordinanze non eseguite, che confidavano
nell'inerzia delle amministrazioni o nelle lungaggini della giustizia amministrativa. Oggi, proprio per rimediare
a situazioni di abusivismo rimaste nel limbo della mancata esecuzione, l'articolo 17 del Dl 133/14 prevede
una sanzione supplementare collegata alla mera inottemperanza all'ordine di ripristino e quindi non sostitutiva
della demolizione.
Chi realizza un abuso edilizio integrale (senza permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni
essenziali) ha 90 giorni di tempo per eliminarlo o per mettersi in regola con un eventuale permesso in
sanatoria. Già dal 91º giorno successivo all'invito del Comune a demolire (articolo 31 del Dpr 380/01, Testo
Unico Edilizia), le Regioni potranno deliberare la reiterabilità della sanzione, facendo scattare una nuova
sanzione pecuniaria che potrebbe essere anche trimestrale, trattandosi di abusi edilizi di particolare gravità.
Indipendentemente dalla reiterazione, che spetta agli enti territoriali decidere, la prima richiesta, appunto da
2mila a 20mila euro, è oggi inevitabile perché prevista direttamente dal legislatore statale. Questa sanzione
pecuniaria colpisce il proprietario attuale dell'immobile, senza che abbia rilievo la circostanza che l'abuso sia
stato eseguito da altri o anni prima. La sanzione colpisce anche coloro i quali hanno un ricorso pendente,
visto che ne sono esclusi solo coloro i quali hanno ottenuto un sospensiva da parte del giudice
amministrativo.
Poiché si tratta di una sanzione di tipo dissuasivo, finalizzata a rendere effettiva la demolizione disposta dal
Comune, risulta difficile pensare alla possibilità di un ricorso che ostacoli la riscossione: la sanzione
pecuniaria completa, infatti, la reazione dell'ordinamento contro gli abusi di maggiori dimensioni e non riapre i
termini per contestare innanzi il Tar l'ordine di demolizione del Comune (che andava impugnato nei 60 giorni).
In taluni casi, si può pensare a chiedere una sanatoria specialmente se l'evoluzione dello strumento
urbanistico recepisce l'abuso e quindi rende possibile chiedere il rilascio del permesso di costruire che sani la
situazione: sul punto, tuttavia, vi è un contrasto giurisprudenziale in quanto gli articoli 36 e 37 del Dpr 380/01
richiedono una doppia conformità per la sanatoria, ossia la conformità sia al momento della realizzazione
dell'abuso, sia al momento della richiesta di sanatoria.
In specifici casi può essere possibile far presente l'esistenza di difficoltà tecniche nell'eliminazione dell'abuso
(quando cioè si intaccherebbe la struttura di un edificio, come prevede l'articolo 33 del Dpr 380/01 per le
ristrutturazioni in totale difformità). Anche questa, tuttavia, è una strada difficile da percorrere, perché
presuppone un vero e proprio dissesto statico di opere illegittime nell'eliminazione dell'abuso
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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La lunga crisi LO SBLOCCA ITALIA
23/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 5
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Le altre novità dello «Sblocca Italia»
COMUNICAZIONE D'INIZIO ATTIVITÀ
Nel decreto legge 133/14 sono state introdotte alcune modifiche alla disciplina relativa al Testo unico
dell'edilizia sull'attività edilizia libera.
Si tratta, nello specifico, degli interventi per i quali non è richiesto alcun titolo abilitativo e che si possono
effettuare liberamente.
Per quanto concerne gli interventi esenti anche dalla comunicazione d'inizio lavori, alcune novità sono
previste poi in materia di manutenzione ordinaria.
Il Dl 133/14 inserisce, infatti, un richiamo normativo al fine di definire gli interventi di manutenzione ordinaria,
ossia gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture
degli edifici
e quelle necessarie a integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti
SEGNALAZIONE CERTIFICATA D'INIZIO ATTIVITÀ
La Segnalazione certificata di inizio attività (Scia) prende il posto a tutti gli effetti della Dia e si applica in tutti i
casi intermedi rispetto a quelli di calibro superiore all'edilizia libera (articolo 6 Dpr 380/2001, edilizia libera) e
di calibro inferiore all'attività che richiede permesso di costruire (articolo 10 Dpr 380/2001). Serve una doppia
valutazione di coerenza alla previsione e di conformità alle previsioni di strumenti urbanistici, regolamenti
edilizi e della disciplina urbanistica edilizia vigente. L'errore non è consentito perché se c'è discordanza tra le
previsioni del Testo unico e le normative locali, prevale la norma più di dettaglio e cioè quella che
motivatamente imponga un titolo diverso dalla Scia. Il limite massimo per modificare con Scia il permesso di
costruire, è rappresentato dalla dichiarazione di ultimazione dei lavori
PERMESSO DI COSTRUIRE
Lo Sblocca Italia introduce due novità in materia di permesso di costruire.
La prima riguarda il termine per l'istruttoria; non è, infatti, più prevista una durata doppia (120 e non 60 giorni)
per i Comuni con popolazione superiore ai 100mila abitanti.
La possibilità di avere tempi più lunghi per l'istruttoria viene mantenuta solo per i progetti particolarmente
complessi.
In tutti i Comuni il permesso di costruire deve quindi essere rilasciato entro 90 giorni (60 giorni per l'istruttoria
della domanda e 30 per la decisione).
Il Dl 133/14 ha inoltre ampliato i casi in cui è possibile ricorrere alla proroga del permesso di costruire mentre
rimangono invariati i termini di decadenza del titolo edilizio: un anno dal rilascio per l'avvio dei lavori e tre
anni, successivi all'avvio, per il completamento dell'opera
I PERMESSI IN DEROGA
Per facilitare e incentivare gli interventi volti al recupero edilizio e alla riqualificazione urbana lo Sblocca Italia
ha previsto che i permessi di costruire possano essere in deroga (anche alle destinazioni d'uso) per gli
interventi privati di ristrutturazione edilizia attuati anche in aree industriali dismesse.
Questa previsione permette di intervenire anche sforando i limiti del piano regolatore, quali destinazioni
d'uso, altezze, indici edilizi, previo accertamento dell'interesse pubblico con specifica delibera del consiglio
comunale. Il mutamento della destinazione d'uso non deve, tuttavia, comportare un aumento della superficie
coperta prima dell'intervento di ristrutturazione, ossia un aumento di superficie coperta rispetto a quella
esistente prima dell'intervento
L'APPARATO SANZIONATORIO
Rafforzate le sanzioni per la mancata presentazione della comunicazione d'inizio lavori. L'omessa
trasmissione della comunicazione d'inizio lavori, prevista per alcune opere di edilizia libera, o della
comunicazione asseverata da un tecnico abilitato, per gli interventi di manutenzione straordinaria e le opere
di modifica interna sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti all'esercizio di impresa, o di modifica della
destinazione d'uso degli stessi, comporta la sanzione pecuniaria di mille euro. Quest'ultima viene ridotta di
23/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 5
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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due terzi
nel caso in cui la comunicazione d'inizio lavori venga effettuata spontaneamente se l'intervento è ancora in
corso
di esecuzione. L'incremento
della sanzione si deve anzitutto al tentativo di combattere il fenomeno
dell'abusivismo edilizio
GLI ONERI DI CONCESSIONE
Le semplificazioni dello Sblocca Italia hanno un contrappeso di tipo economico. Alle agevolazioni
burocratiche, che consentono un più semplice riordino delle unità immobiliari, corrisponde la possibilità per i
Comuni di modulare gli oneri di concessione. Questi si suddividono in costo di costruzione e oneri di
urbanizzazione: i primi sono una percentuale sul valore delle opere che si realizzano; i secondi corrispondono
all'aumento del peso urbanistico dell'intervento e quindi delle spese che l'ente locale sopporta per consentire
standard qualitativi adeguati. Mentre si esclude il contributo di costruzione per
le opere di manutenzione straordinaria,
è previsto uno sconto del 20% sui costi
di costruzione per le ristrutturazioni,
ma solo per le ristrutturazioni ed il recupero di immobili dismessi
IL FOCUS
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la lente le principali novità contenute in materia di attività edilizia e infrastrutture
nel Dl «Sbocca Italia»
23/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 6
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Tltro, le banche chiedono 25 miliardi
Pronte le richieste degli istituti italiani alla seconda asta Bce di metà dicembre
Marco Ferrando
Per la ripresa, vera, degli impieghi ci sarà da attendere il primo trimestre del 2015, stando alle stime Abi
diffuse in settimana. Tuttavia, nel frattempo le banche italiane si preparano a mettere altro fieno in cascina
con la seconda asta T-Ltro della Bce, fissata per l'11 dicembre: secondo le cifre raccolte da Il Sole 24 Ore,
complessivamente - tra importi già dichiarati e stime preliminari - le principali banche italiane (più il sistema
delle Bcc, coordinato da Iccrea) si preparano a chiedere a Francoforte oltre 25 miliardi. Giovedì si è aperta la
finestra utile per comunicare alla Banca d'Italia le richieste, mentre quest'ultima il 4 dicembre comunicherà i
limiti massimi aggiornati allo stock dei crediti in essere al 31 ottobre scorso.
La seconda asta, quindi, potrebbe portare in Italia qualcosa in più della prima, che si era chiusa con un
bilancio di 23 miliardi "tirati". Sì, perché se è vero che complessivamente l'esito dell'operazione targata Bce è
stato giudicato "deludente" da buona parte degli osservatori, l'Italia si è mostrata comunque più reattiva della
media: a settembre ha catalizzato più di un quarto degli 82,6 miliardi richiesti in Europa, per dicembre
potrebbe ipotecare una quota superiore al 15%, se saranno effettivamente richiesti i 145 miliardi stimati da
Reuters.
Nel dettaglio, chi si prepara a fare la parte del leone è Intesa Sanpaolo. Cauto alla prima asta, quando ha
chiesto "appena" 4 miliardi, l'istituto guidato da Carlo Messina punta a tirare tutti gli 8,5 miliardi cui ha ancora
diritto, cioè il 7% dello stock di impieghi (tranne i mutui immobiliari). «Fra erogato e manifestazioni di
interesse sono stati richiesti fra 8,5 e 9 miliardi», aveva sottolineato Messina a fine ottobre. «Abbiamo
ricevuto 2,5 miliardi di richieste nella fase di prevendita, a cui si aggiunge un miliardo, per un totale di 3,5
miliardi. Inoltre abbiamo già altre domande per 5,5 miliardi, che sono quelli che ci consentiranno a dicembre,
quando prenderemo l'altra tranche, di completare l'erogazione di tutto l'ammontare che avremo a
disposizione». Diversa la linea adottata da UniCredit, che a settembre ha chiesto tutta la quota disponibile per
le attività italiane (7,75 miliardi) e nel frattempo ha lanciato il piano straordinario di impieghi "Valore Europa";
a dicembre, secondo le prime stime, il gruppo dovrebbe domandare 2 miliardi, essenzialmente per le attività
austriache. Al contrario, alcune popolari - come Ubi, Bpm, Popolare di Vicenza e Veneto Banca - dopo aver
disertato la prima asta concentreranno le loro richieste, probabilmente per l'intero ammontare loro concesso,
a dicembre.
Un dato è certo: chiunque richieda nuovo denaro - a prezzi convenienti come due mesi fa, visto che il tasso
(fisso) delle linee è dello 0,15% - dovrà impiegarlo, pena la restituzione, a partire da dicembre 2016. Merito di
quella «T» che la Bce ha inserito davanti al già noto acronimo «Ltro», e che sta per «targeted». È una lettera
che dà il senso dell'operazione, perché questa volta le banche non potranno usare i soldi presi a tasso
agevolato per comprare titoli di Stato ma dovranno farli convergere su un bersaglio preciso, che è l'economia
reale.
A proposito di Ltro, i vecchi fondi erogati tre anni, per le banche (non solo italiane) siamo agli sgoccioli:
dell'Ltro di dicembre 2011 - in scadenza a dicembre - sono ancora da rimborsare 80 miliardi (su 489), più altri
190 di quella di febbraio (su 529).
@marcoferrando77
© RIPRODUZIONE RISERVATA Le richieste delle italiane Le principali banche italiane (e il sistema delle
Bcc) alle Tltro. Aste di settembre e di dicembre e totale 2014. Dati in miliardi Intesa Sanpaolo 4,0 8,5 12,50
Mps 3,0 3,0 6,00 Ubi 3,0 3,00 Banco Popolare 1,0 2,7 3,70 Bpm 1,6 1,60 Bper 2,0 2,00 Credem 0,73 0,73
Carige 0,7 0,4 1,10 CreVal 1,0 1,00 Mediobanca 0,58 0,58 Popolare di Sondrio 0,35 0,75 1,10 Popolare di
Vicenza 1,0 1,00 Veneto Banca 0,95 0,95 Iccrea banca 2,2 1,7 3,90 Banca SETTEMBRE DICEMBRE
TOTALE 231,20 145,00 ASTA DI DICEMBRE TOTALE 48,86 TOTALE 86,20 ASTA DI SETTEMBRE 25,55
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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La lunga crisi LA LEVA DEL CREDITO
23/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 6
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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ASTA DI DICEMBRE 23,31 ASTA DI SETTEMBRE Ue* Italia** UniCredit*** 7,75 2,0 9,75 (*)stime Reuters;
(**)Riferito alle banche italiane più grandi e al sistema Bcc; (***)la disponibilità per l'Italia esaurita con la prima
asta Fonte: elaborazione del Sole 24 Ore
Foto: - (*)stime Reuters; (**)Riferito alle banche italiane più grandi e al sistema Bcc; (***)la disponibilità per
l'Italia esaurita con la prima astaFonte: elaborazione del Sole 24 Ore
23/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 19
(diffusione:334076, tiratura:405061)
«Seat Pg riparte senza debito, il futuro è online»
IN CASSA «Ci sono 160 milioni: 75 saranno destinati a soddisfare i creditori, gli altri per il rilancio»
Monica D'Ascenzo Andrea Franceschi
Il bilancio 2014 potrebbe essere il primo a chiudersi senza debiti nella storia da azienda privata di Seat
Pagine Gialle. Il concordato, che ha ottenuto l'omologa del Tribunale di Torino il mese scorso, potrebbe
chiudersi, infatti, entro fine anno. Sulla tempistica è ottimista l'ad Vincenzo Santelia, che vorrebbe ripartire a
inizio 2015 avendo chiuso la vicenda debito. «Siamo impegnati con Consob nel processo per l'approvazione
del prospetto per l'emissione delle nuove azioni destinate alla conversione del debito da poco più di 1,5
miliardi, che porterà i creditori, obbligazionisti e soggetti finanziari, a detenere il 99,75%. Siamo
ragionevolmente fiduciosi che si possa concludere entro fine anno e contestualmente alla conversione del
debito pagheremo cash i creditori privilegiati, finanziari e fornitori», spiega Santelia. Che sottolinea: «Questo
ci permetterà di approvare il bilancio 2014, anche a livello patrimoniale e finanziario, con una situazione
risanata».
Quanta liquidità avete attualmente in cassa?
Seat Pg ha in cassa 160 milioni, di cui 75 circa saranno destinati a soddisfare i pagamenti ai creditori mentre
i restanti 85 milioni circa saranno al servizio del rilancio dell'azienda.
Gli attuali corsi di Borsa vedono Seat Pg valutata attorno ai 18 milioni. Considerato che le azioni oggi sul
mercato varranno solo lo 0,25% del capitale post conversione, la valutazione non è eccessiva?
Tenendo conto della valutazione di oggi di Borsa, Seat Pg dovrebbe avere una capitalizzazione post
conversione del debito di 7 miliardi. Invece, la fairness opinion di Kpmg sul gruppo individua un valore nella
forchetta tra 180 e 240 milioni. Questo vuol dire che la valutazione attuale non tiene conto del fatto che
l'emissione delle nuove azioni sarà iperdiluitiva: in Borsa, in sostanza, il titolo tratta tra le 30 e 40 volte in più
del valore complessivo stimato.
Come si spiega quindi l'andamento del titolo?
Le forti oscillazioni potrebbero essere attribuite all'attività di day trader che specula sulla volatilità del titolo.
A chiusura del concordato ha idea di chi saranno i soggetti cui dovrete rispondere?
Non possiamo saperlo con certezza. Questo perché le banche hanno ceduto da tempo il loro credito. Allo
stesso modo i bond, che rappresentano oltre la metà del fardello debitorio, sono stati scambiati sul mercato.
È probabile che si tratti per lo più di fondi speculativi specializzati in debito distressed.
I dati dei primi nove mesi dell'anno hanno evidenziato un calo del 20% dei ricavi e una flessione di oltre il
50% del margine operativo lordo. Quali sono le vostre stime per quest'anno e per il 2015?
I risultati sono in linea con il piano industriale. Per il 2014 i ricavi sono stimati a 400 milioni e l'Ebitda a 32
milioni. Ci aspettiamo, poi, una stabilizzazione degli ordini nel 2015 e dei ricavi nel 2016. La redditività,
invece, dovrebbe vedere il minimo il prossimo anno per poi risalire, ma sempre restando in territorio positivo.
Per il 2018 stimiamo un Ebitda di circa 62 milioni, pari a un margine dell'11%. Il piano non prevede la
distribuzione di un dividendo fino al 2018.
La ristrutturazione inciderà sui livelli occupazionali?
C'è un dialogo aperto con le parti sociali per diminuire la struttura dei costi. A rigurado i manager sono già
dimezzati rispetto al passato e si sono ridotti gli stipendi.
Qual è il mix dei ricavi?
La carta conta ormai per il 25%, mentre la parte web e media per il restante 75%. Attualmente abbiamo
accordi con Google, Sky e la Rai per la vendita di spazi pubblicitari e lavoriamo come media agency sul
territorio proponendo soluzioni tecnologiche innovative.
A che punto è l'azione di responsabilità contro il management e i consiglieri delle gestioni precedenti?
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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INTERVISTA Santelia Ceo Seat
23/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 19
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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È tutto in mano al Tribunale, l'udienza è stata fissata per febbraio. Il cda ora comincerà anche a prendere in
considerazione la posizione dei sindaci, che si sono dimessi dopo l'omologa del concordato, e probabilmente
chiederemo un supplemento di istruttoria sul loro operato. Complessivamente i nostri avvocati hanno
calcolato una richiesta di risarcimento danni nei confronti delle passate gestioni di 2,3 miliardi.
C'è anche un capitolo penale sulla vicenda?
Sì, la procura di Torino ha aperto un fascicolo sulla vicenda anche se al momento non ci sono indagati.
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Foto: Al vertice della nuova Seat Pg. Il ceo Vincenzo Santelia
23/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 19
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UniCredit, rush finale su Uccmb
Trattativa in fase conclusiva con Prelios e Fortress per la cessione delle sofferenze
Carlo Festa
Fortress e Prelios sono vicine a chiudere l'acquisizione del controllo di Uccmb da Unicredit. Nulla, secondo i
rumors, sarebbe ancora stato firmato, ma venerdì sera sarebbero state raggiunte intese cruciali su alcuni
punti importanti dell'operazione. Domani sarebbe inoltre in programma un summit, forse decisivo, fra le tre
parti coinvolte (Unicredit, Fortress e Prelios) con i rispettivi advisor finanziari e legali.
L'offerta economica e il piano industriale sarebbero già stati studiati nei dettagli. Sul piatto, secondo i rumors,
dovrebbe finire una somma di 550 milioni di euro: dei quali 300 milioni per la piattaforma di gestione,
composta da circa 700 dipendenti, e 250 milioni per il pacchetto di non performing loan: un portafoglio del
valore nominale di 2,5 miliardi di euro valutato quindi circa il 10%.
L'ammontare dei crediti problematici oggetto di scorporo sarebbe, dunque, ancora sceso rispetto alla
previsione iniziale: Unicredit era infatti partita con una somma di Npl attorno ai 4 miliardi di euro per poi
scendere a 3,3 miliardi e ora attestarsi a circa 2,5 miliardi. Proprio lo scorporo dei crediti problematici sarà sul
tavolo del consiglio di amministrazione, che fonti vicino a Unicredit definiscono tecnico, del prossimo 4
dicembre.
Il via libera all'operazione non dovrebbe invece passare nuovamente dal consiglio di amministrazione di
Unicredit, visto che è stato affidato un incarico al manager Alessandro Decio e al chief financial officer Marina
Natale di arrivare a una chiusura dell'operazione.
Anche il progetto industriale è ormai definito. Fortress-Prelios nominerà infatti Charles Spetka, managing
director del gruppo americano, top manager naturalizzato italiano, come nuovo responsabile di Uccmb.
L'offerta di Fortress-Prelios punterebbe inoltre a mantenere la sede della società a Verona e a farne un
grande hub europeo per la gestione di crediti in sofferenza.
Insomma, Fortresse Prelios sembrerebbero aver accelerato in zona Cesarini sulla chiusura dell'operazione.
Dieci giorni fa erano infatti sorti, all'improvviso, alcuni contrasti su alcuni aspetti dell'accordo: i manager di
Fortress avevano infatti richiesto un sistema delle commissioni di servizio più premiante rispetto a quello
ipotizzato inizialmente. A queste richieste Unicredit si era opposta e la banca milanese aveva d'altro canto
messo sul tavolo altri paletti che avrebbero complicato la chiusura del deal. La scorsa settimana le parti,
presenti i manager di Prelios, si sarebbero tuttavia nuovamente incontrate e sarebbe stato trovato un
compromesso su diversi punti cruciali, complice anche la scadenza dell'esclusiva concessa alla cordata italoamericana, che rischiava di mandare all'aria tutto il lavoro fatto con il possibile rientro in campo di altri
contendenti. Tanto che sembrerebbe che negli ultimi giorni si siano riallacciati dei contatti tra il gruppo guidato
da Federico Ghizzoni e l'altro contendente in gara fino a un mese fa, cioè il gruppo statunitense Lone Star.
Unicredit avrebbe sollecitato a Lone Star una nuova offerta, che sarebbe attesa settimana prossima.
Tuttavia questa apertura a Lone Star potrebbe essere superata dagli ultimissimi eventi. Venerdì ci sarebbe
stato un incontro decisivo, mentre il summit in programma lunedì potrebbe spazzare via gli ultimi dubbi di
Unicredit alla conclusione dell'operazione con Fortress-Prelios sulla base di un accordo della durata di 12
anni su un portafoglio da gestire per conto della banca di circa 50 miliardi (25 miliardi attuali e 30 in
previsione nei prossimi anni), dando il via libera al passaggio di proprietà della piattaforma di Uccmb e dei
relativi crediti problematici per 2,5 miliardi.
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Foto: OLYCOM
Foto: La trattativa. UniCredit negozia la cessione della controllata Uccmb
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Banche. Domani summit fra le parti coinvolte e i relativi advisor sugli aspetti cruciali dell'operazione da 550
milioni
23/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 20
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Fra la Fiom e Goldman Sachs
Capitale e lavoro sulla stessa barca: in secca se l'economia non riparte
Giorgio Barba Navaretti
La Fiom e Goldman Sachs vogliono la stessa cosa: un paese che cresca e impieghi in abbondanza quanto
hanno da offrire, lavoro gli uni e capitale gli altri. Nel caso del nostro ammaccato paese capitale e lavoro sono
sulla stessa barca: in secca, in bonaccia, finché l'economia non riparta. E proprio perché sono sulla stessa
barca condividono lo stesso scetticismo sul futuro del paese, soprattutto sulla capacità del governo di ridar
vento alle vele. Certo i toni e le argomentazioni sono ben diverse. Da una parte il freddo linguaggio tecnico di
chi ha risorse e deve solo decidere dove e come impiegarle: «Siamo sempre più preoccupati per l'Italia, dove
nei mesi scorsi i dati sull'attività economica hanno continuato a sorprendere al ribasso e le riforme istituzionali
e strutturali non sono ancora state messe in atto», scrivevano i banchieri americani in agosto, riflettendo
un'opinione diffusa nella finanza internazionale e che si é consolidata negli ultimi mesi. Dall'altra i cortei e le
urla esasperate di chi ha poco o nulla da scegliere e che ha sì lavoro da offrire, ma ben pochi che se lo
vogliono pigliare.
Ora immagino che né i metalmeccanici né i banchieri apprezzino troppo il paragone, essendo collocati ai due
estremi opposti dello spettro delle opinioni politiche e delle condizioni economiche. Ma è proprio la polarità
delle loro prospettive ad avvicinarli nello scetticismo e nella lettura dell'azione di governo. L'infelice battuta di
Landini a Napoli riflette lo stesso gelido scetticismo delle analisi finanziarie sulla sostanza dell'azione di
governo: non è credibile, le persone oneste non ci credono
Veniamo allora ai fatti, all'oggetto dello scetticismo: i due tavoli della legge di stabilità e del Jobs act. Per
quanto possano essere imperfetti e migliorabili, entrambi i provvedimenti rappresentano un passaggio
fondamentale per il futuro della nostra economia ed uno sforzo vero di riforma strutturale. Soprattutto
contengono molti passi avanti, alcuni grandi altri meno, ma comunque coerenti nella sola direzione in cui il
paese va riformato.
Tra i molti provvedimenti, nella legge di stabilità c'é una riduzione strutturale del cuneo fiscale sul lavoro; una
decontribuzione delle nuove assunzioni a tempo indeterminato; il potenziamento dell'Aspi; un incentivo
stabile alla ricerca e sviluppo; il supporto alle esportazioni e molto altro. E il Jobs act va verso la direzione di
finalmente ridurre le barriere tra lavoro precario e stabile e di proteggere i lavoratori e non il posto di lavoro.
Una riforma indispensabile, inevitabile che finalmente, per quanto ancora perfettibile viene portata in porto.
I caveat sono infiniti. La storia dell'applicazione e implementazione delle leggi alimenterebbe lo scetticismo
su qualunque provvedimento possa prendere il governo. E la necessità di superare montagne ideologiche
come l'articolo 18 offuscherebbe e renderebbe torbido il merito di qualunque riforma. Ma anche il più scettico
dei banchieri non può non cogliere l'intensità dell'azione riformista del governo. E il più duro dei sindacalisti
non può non vedere come sia nella legge di stabilità che nel Jobs act ci siano elementi oggettivi che
migliorano le condizioni dei lavoratori. E allora perché ogni nuovo passo avanti dei due provvedimenti crea
maggiori tensioni, invece di essere apprezzato come un passo avanti per tutti?
Qui certo le strade di banchieri e sindacato si dividono: gli uni vogliono l'abolizione dell'articolo 18, gli altri la
sua trasformazione in una norma immutabile e inossidabile. Ma di nuovo è apparenza: sia il capitale sia il
lavoro sono sulla stessa barca, hanno bisogno del vento della ripresa. E il disincanto del banchiere e la
rabbia del sindacalista non aiutano. Rendono le riforme più complesse, più difficili e soprattutto proiettano
l'illusione che ci sia un alternativa possibile: un governo ancor più riformista o lavoro per tutti senza riforme.
Illusioni che ancor più frenano i banchieri scettici, e ancor più fanno arrabbiare quei lavoratori che credono
che un mondo ormai finito da tempo esista ancora. Il rischio è che le riforme davvero si arenino per
mancanza di soldi e consenso.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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INVESTIMENTI, OCCUPAZIONE E PROTESTE DI PIAZZA
23/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 20
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Il paradosso è che si usino infine le urla degli uni (sindacati) per convincere gli altri (banchieri) che si stia
veramente facendo qualcosa. Se alla fine saranno davvero i cortei della Fiom a rendere credibile l'azione del
governo agli occhi della Goldman Sachs, sarebbe la vittoria suprema del gioco degli inganni.
barba @unimi.it
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24/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Una tregua (impossibile) per attirare gli investimenti
Stefano Manzocchi
Investimenti cercasi: è il mantra che analisti, operatori economici e policymaker vanno ripetendo da tempo.
Gli investimenti sono la vera variabile mancante della nostra economia. Problema condiviso in parte con altri
Paesi europei, ma da noi più grave e prolungato nel tempo. Una carenza che grava sia sul quadro macro,
perché l'investimento privato o pubblico ha un effetto moltiplicativo sulla domanda aggregata, sia sul tessuto
microeconomico perché il nostro capitale fisico e immateriale si depaupera, contribuendo a rendere meno
efficienti le nostre imprese e i nostri lavoratori. Le motivazioni della scarsità di investimento pubblico sono
note e non vi torneremo: le responsabilità sono da attribuire in parte all'Europa, in parte a piani d'investimento
statali e regionali poveri di idee e di management.
Più interessante, forse, chiederci il perché del basso livello degli investimenti produttivi privati che pur con
fisiologiche oscillazioni non sembrano essersi ripresi dopo la crisi del 2009. Almeno quattro le condizioni che
hanno pesato in quest'ottica. Una prospettiva della domanda interna stagnante, che non rassicura le imprese
sugli utili del mercato domestico. Scarsa disponibilità ed elevato costo reale dei fondi per l'investimento, siano
essi interni o reperiti sul mercato, specie per quanto concerne le Pmi. Una proiezione insufficiente sulle
frontiere tecnologiche di buona parte del nostro sistema produttivo, sia per il retaggio di una specializzazione
in alcuni settori industriali dove meno conta l'innovazione "di rottura" (non quella incrementale che le nostre
aziende hanno sempre praticato), sia per le posizioni protette e di rendita in molti comparti dei servizi.
Continua pagina 9
L'EDITORIALE
Continua da pagina 1
Rimane una quarta condizione a contribuire alla stagnazione degli investimenti privati: quella dell'incertezza,
della complessità e dell'onere che il nostro sistema normativo e amministrativo impone alle imprese,
riducendone il potenziale di crescita. L'indagine sui costi dell'incertezza fiscale che viene segnalata oggi sul
Sole 24 Ore è importante perché misura e quantifica quegli oneri. E non si tratta di poca cosa, perché 17
giornate di lavoro per le Pmi solo per le incertezze fiscali è un numero abnorme. Mentre per le grandi imprese
che più sono in grado di scegliere tra localizzazioni tra diversi Paesi e regioni per i loro progetti
d'investimento, l'incertezza e la volatilità delle norme fiscali equivale a un segno meno nella pagella dell'Italia
(che pure di segni più ne ha ancora tanti). E a questo vanno aggiunti gli altri mille adempimenti, da quelli
ambientali a quelli del diritto del lavoro e altri, tutti giusti in via di principio ma mal disegnati, farraginosi e
spesso inutili o contraddittori.
Nelle percezioni degli operatori economici sulla facilità nel fare impresa, fornite dalla Banca Mondiale,
sprofondiamo al 65° posto tra 190 paesi di tutto il mondo, ben distanti dal Rwanda e dall'Armenia. Ancor più
grave se, pur in presenza di riforme realizzate, le percezioni restano quelle di un ambiente sfavorevole
all'impresa, agli investimenti e all'occupazione. Qui si apre, ad esempio, la pagina buia dei decreti attuativi
che ritardano o mancano di tradurre norme anche apprezzabili in atti e comportamenti conseguenti. Oppure
la pagina sciagurata di un Titolo V della Costituzione che ha moltiplicato i centri decisionali, i poteri di veto e
gli oneri burocratici a carico del settore privato. Oppure quella del principio che abbiamo incorporato da alcuni
anni nella nostra legislazione, quello della valutazione ex-ante dell'onere che nuove norme e regolamenti
impongono alle Pmi, salvo poi disattenderlo. L'incertezza e la complessità normativa hanno costi sociali
enormi e di solito poco valutati. Chi assume lavoratori, anche a tempo determinato e soprattutto nella
manifattura, lo fa in gran parte sulla base di piani pluriennali che prevedono investimenti materiali e
immateriali, e l'incertezza delle norme non può che danneggiare la percezione e la fiducia degli operatori.
D'altra parte, l'eccesso anche contraddittorio di procedure, non fa che ampliare spazi e potere della
burocrazia pubblica. Sarebbe bello (ma impossibile) impegnarci a una tregua di dieci anni nella nostra
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DAL FISCO AL LAVORO
24/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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produzione legislativa dopo aver chiuso presto e bene alcuni cantieri di riforma, da quella fiscale a quella del
lavoro. Quel che è certo è che le imprese private apprezzerebbero la tregua, e gli investimenti ne trarrebbero
beneficio.
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© RIPRODUZIONE RISERVATA Stefano
Manzocchi
24/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Il costo delle tasse oscure
Mauro Meazza
Meazza pagina 9
Se 137 ore vi sembran poche: a tanto ammonta, in una media impresa, l'extra carico lavorativo di
elaborazioni per far fronte agli adempimenti fiscali di carattere ordinario. Un carico che si aggiunge alle
normali pratiche contabili e che non considera eventuali impegni che possono derivare da un'operazione
industriale o amministrativa non prevista. Un impegno, insomma, di diciassette giorni lavorativi, calcolati
come valore medio: il che significa che, in diversi casi, questi diciassette giorni possono non bastare. A
questo sovraccarico si affiancano poi le 300 ore (detto altrimenti, 38 giorni lavorativi) che un commercialista
deve dedicare ogni anno per dare «tranquillità» al cliente, ovvero a cercare di eliminare le preoccupazioni
legate al dubbio di non aver applicato correttamente una norma o effettuato in modo adeguato un
adempimento.
I due valori, 17 giorni da un lato e 38 dall'altro, sono indicatori che misurano il costo dell'«incertezza fiscale»:
un'incertezza che l'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Milano ha voluto pesare con
due ricerche sul campo, l'una concentrata sulle grandi imprese e l'altra dedicata invece alle medie. I risultati
delle ricerche saranno presentati dopodomani a Milano, all'undicesimo Convegno nazionale sulle garanzie e
sulle tutele sociali (si veda il box).
«Tutti noi, professionisti, imprese, cittadini, percepiamo un diffuso malessere nei confronti del fisco - spiega il
presidente dei commercialisti milanesi, Alessandro Solidoro -, un malessere così evidente da essere dato per
scontato. Abbiamo voluto capire quanto può valere questo malessere, in termini di giornate lavorative e di
extra costi».
Per misurare il "fastidio fiscale", le due ricerche - l'una dell'Ordine dei commercialisti di Milano, coordinata da
Massimo Cremona, e l'altra dell'Università Bocconi di concerto con l'Ordine di Milano, coordinata da Carlo
Garbarino - hanno interpellato imprese e professionisti milanesi, facendo emergere i dati e i punti critici
ricorrenti del rapporto tra attività economica e fisco.
«Non è solo un problema di entità dell'imposizione - puntualizza Solidoro -. Siamo ormai consapevoli che i
vincoli europei e l'alto livello del nostro debito obbligano di fatto lo Stato a una tassazione sopra la media. Ma
a rendere veramente odioso il prelievo è anche la modalità. Si chiede tanto e si chiede male».
Le variazioni frequenti delle norme, la loro mancanza di chiarezza, la retroattività cui il legislatore fa ricorso
troppo spesso sono tutti motivi - immaginabili - di malessere, confermati dalle ricerche.
Ma i professionisti - sono stati interpellati 8.308 professionisti e i tax directors delle grandi imprese lamentano anche un utilizzo insufficiente dell'autotutela da parte dell'amministrazione, che sfocia poi in
contenziosi che si sarebbero potuti evitare. Tenendo presente, poi, che le 300 ore che il professionista dedica
alla ricerca della «tranquillità fiscale» del cliente di rado vengono remunerate o remunerate adeguatamente.
Dalle due indagini emerge, infine, un differente approccio alla ricerca della tranquillità tributaria: mentre tra le
grandi imprese l'incertezza è temuta molto come «costo reputazionale» (in ragione dei danni d'immagine che
possono derivare da una contestazione), tra le medie è più evidente la preoccupazione per il tax rate, la
pressione fiscale reale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA COSTI RELATIVI AD ADEMPIMENTI FISCALI ORDINARI IVA TOTALE
IRES/IRAP SPESOMETRO IUC/TASI/IMU Oltre 37ore Oltre 46ore Oltre 137ore Oltre 27ore Oltre 27ore DA
COSA DERIVA L'INCERTEZZA FISCALE MEDIE IMPRESE E CONTENZIOSO 1) Variazioni frequenti della
normativa 2) Mancanza di chiarezza nelle norme 3) Carenza di coerenza e di univocità nelle decisioni della
giurisprudenza 4) Scarsa attenzione dei giudici in sede di commissione tributaria provinciale 5) Scarsa
attenzione da parte dei verificatori Da pagare 1 su 5 delle società assistite dai professionisti è stata
controllata (verifiche, ispezioni, accessi, controlli documentali eccetera) Oltre la metà dei contribuenti
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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LA RICERCA
24/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
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contattati ha avuto poi rilievi dovuti all'incertezza fiscale
Foto:
I numeri del disagio
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24/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
I rischi della «local tax»
Gianni Trovati
Gianni Trovati pagina 3
L'ANALISI
Le tasse sull'abitazione principale sono una delle passioni più intense della politica di questi anni, con il
risultato che in sette città su 10 la Tasi sulla casa media è più cara dell'Imu 2012 (e il quadro peggiora se si
guarda ai centri minori, dove le detrazioni sono ancora più rare), e che gli appartamenti più modesti sono
anche i più penalizzati rispetto al passato. Basterebbe questo per chiedere a partiti e Parlamento di occuparsi
d'altro. Al di là della battuta, però, l'ennesima riforma del Fisco sul mattone è indispensabile, perché fra i tanti
difetti delle regole scritte pochi mesi fa c'è anche il fatto di non aver saputo guardare più in là del proprio
naso: tetti di aliquota e mini-aiuti statali sono stati previsti solo per quest'anno, lasciando campo libero nel
2015 ad aumenti record. Senza modifiche, l'anno prossimo si potrebbe imporre alla prima casa un prelievo
del 6 per mille senza detrazioni, il doppio rispetto a oggi.
Anche la fantasia fiscale, però, ha dei limiti, e la «tassa unica» su cui sta lavorando il Governo rappresenta
nei fatti un ritorno all'Imu, con aliquote e sconti un po' più bassi ma con lo stesso impianto. Appurato che soldi
per esentare tutte le abitazioni non ce ne sono, la scelta non è sbagliata, perché riporta un minimo di
progressività al carico fiscale.
Sugli altri immobili, però, il rischio è che la nuova aliquota massima al 12 per mille si traduca in un'altra
tornata di rincari, dopo che quest'anno i Comuni hanno potuto arrivare fino all'11,4 per mille. Né si può fare
troppo affidamento sulla capacità di discriminare tra i diversi immobili. Da un lato, l'esperienza insegna che
quando il sindaco è in difficoltà finanziarie (o non sa tagliare le spese) l'aliquota sale su tutti i tipi di fabbricati.
Dall'altro, è difficile sostenere che una casa sfitta - magari perché non si trova un inquilino - "merita" l'aliquota
al 12 per mille più di un negozio affittato, ad esempio. La nuova tassa tutta comunale, insomma, è una
scommessa sull'autonomia. Purché a perderla non siano i contribuenti.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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L'ANALISI
24/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 10
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Il centralismo che frena le Pmi vincenti
Marco Biscella
Domanda: perché il Pil dell'Italia diminuisce, ibernato sotto zero, eppure non mancano drappelli di imprese,
anche micro, che vanno forte, capaci di surriscaldare redditività, export, innovazione, occupazione? La
semplicità della questione non è affatto sinonimo di banalità del tema. A tal punto che per provare una
risposta - ricavata dallo studio e dall'analisi dei trend di lungo periodo (dagli inizi degli anni 90 all'epicentro
della recessione che stiamo attraversando) delle imprese e del mercato del lavoro italiani - la Fondazione
Obiettivo Lavoro ha dedicato il suo terzo rapporto sul lavoro ("Le imprese e il lavoro"), che verrà ufficialmente
presentato a Roma il prossimo 10 dicembre. Un'indagine, realizzata in collaborazione con la Fondazione per
la Sussidiarietà, che scandaglia dinamiche produttive e occupazionali, esigenze di servizi e di semplificazioni
del tessuto produttivo italiano.
Partiamo dal contesto. Il rapporto mette in evidenza la persistenza di alcune debolezze e tipicità del nostro
sistema industriale. Infatti si conferma «la presenza di imprese di piccole dimensioni, caratterizzate per lo più
da un modello di proprietà e gestione familiare, e da scarsa partecipazione a reti, strategie competitive
finalizzate soprattutto al mantenimento della propria posizione e allo sfruttamento dei vantaggi di
localizzazione, mercati di riferimento che non vanno al di là del comune di localizzazione». Non solo: «una
quota significativa del valore aggiunto manifatturiero dell'Italia è generata dai settori tradizionali, caratterizzati
da bassa intensità tecnologica, specificità che è rimasta pressoché stabile negli ultimi 20 anni: nel 2009 il
62% del valore aggiunto manifatturiero italiano era creato da settori a basso o medio-basso contenuto
tecnologico (44% della Germania, 59% della Francia), mentre nel 2011 il settore ad alta tecnologia
rappresentava solo una quota pari al 6,7% del valore aggiunto lordo totale (rispetto al 6,5% del 1992)». E fin
qui siamo ancora nel campo del già (purtroppo) noto, anche se comincia a cogliersi una certa vitalità - come
nel campo delle reti d'impresa (si veda Il Sole 24 Ore del 17 novembre).
Nel contempo, però, si sottolinea che «negli ultimi anni sono emersi segmenti di microimprese "aperte" in
grado di accedere a nuovi mercati e a occupare fasce di più alto valore aggiunto specie nei settori che stanno
dimostrando di poter stare con successo sul mercato internazionale. Imprese e settori che le «istituzioni
competenti» dovrebbero favorire, facilitandone la crescita dimensionale e sostenendone l'attività di Ricerca &
sviluppo.
«Le segmentazioni orizzontali non bastano più - commenta Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione
Obiettivo Lavoro -, oggi le segmentazioni sono verticali. Esistono due mondi diversi, diversissimi tra loro
all'interno di quell'universo che chiamiamo Pmi. E questa diversità sta portando a galla un problema
dirimente: il centralismo frena, le misure uguali per tutti, le norme indifferenziate non aiutano la ripresa, anzi
accompagnano il Paese al declino. Oggi, in presenza di una sempre più evidente scarsità di risorse pubbliche
a disposizione, bisogna avere il coraggio e la visione di scommettere, aiutandole, sulle imprese che
investono, creano occupazione, vincono sui mercati internazionali e fanno innovazione. Dare le briciole a tutti,
perché tutti sono uguali è una strategia perdente».
Il minimo comune denominatore è l'importanza del capitale umano e della formazione permanente. L'impresa
debole, che guarda ai costi, se assume, lo fa con profili poco qualificati. L'impresa forte, che punta sugli
investimenti, ha bisogno di personale qualificato, di maggiore flessibilità ed esternalizza servizi ad alto valore
aggiunto (che creano a loro volta nuova occupazione qualificata).
Lo conferma anche l'analisi del rapporto su oltre 360mila job vacancies, annunci di posizioni lavorative aperte
nel periodo febbraio 2013-febbraio 2014. Le domande di lavoro online sono in forte crescita e nella
stragrande maggioranza dei casi coloro che cercano lavoro su internet dispongono di skills molto elevate e si
affidano a soggetti specializzati. Un trend che può aiutare a capire perché Facebook ha deciso di entrare in
questo segmento di business.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Imprese e mercato del lavoro
24/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 10
(diffusione:334076, tiratura:405061)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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22/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 4
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Padoan: "Inaffidabili i calcoli Ue sul deficit"
Il governo si allinea al giudizio della Bce: la Commissione sottostima la recessione nella sua valutazione del
nostro disavanzo strutturale "L'Unione europea deve ripensare questa misura, se seguissimo i criteri Ocse
saremmo già in attivo". Fredda replica: "Andiamo avanti così" L'esecutivo europeo ribadisce: metodologia
concordata con tutti i paesi membri
ANDREA BONANNI ROMA. Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan torna a criticare i criteri di calcolo
economico in base ai quali la Commissione europea definisce i suoi giudizi sulle politiche di bilancio
nazionali. Una mossa che lascia intendere come l'Italia sia decisa a chiedere una revisione dei parametri
econometrici a livello Ue.
Dopo che anche uno studio della Bce, rivelato ieri da Repubblica , aveva sollevato dubbi sulla attendibilità
dei criteri seguiti da Bruxelles, Padoan è tornato sulla questione in una intervista che ha concesso al
Financial Times in occasione della sua visita a Londra. Il problema fondamentale di tutto l'esercizio di
controllo dei bilanci a livello comunitario è che esso è basato sui dati economici «strutturali» e non su quelli
nominali. I dati strutturali sono calcolati tenendo presente lo scostamento dell'economia di un Paese rispetto
al suo tasso di crescita potenziale, il cosiddetto «output gap», in modo da poter in qualche modo sterilizzare
nelle valutazioni dei programmi di convergenza gli effetti negativi dovuti a una bassa crescita o ad una
recessione. Ma il calcolo del tasso di crescita potenziale di un Paese è comunque un'assunzione teorica,
basata a sua volta su una serie di parametri il cui peso relativo può variare a seconda dei criteri scelti dagli
economisti che li applicano. Più alto sarà il tasso di crescita di un Paese, più elevato risulterà l'output gap in
caso di rallentamento economico o di recessione, più forti saranno quindi i margini di aggiustamento applicati
alle voci di bilancio. Nell'intervista, Padoan definisce «shaky», incerto, traballante, il metodo scelto dalla Ue
per definire la crescita potenziale valutazioni Ocse «saremmo da tempo in una condizione di surplus
strutturale. Saremmo in un mondo diverso, senza richieste di tagli aggiuntivi. Tutto cambierebbe». La
Commissione europea, interrogata sulle osservazioni del ministro italiano, ha fatto notare che la metodologia
seguita «è stata concordata tra tutti gli stati membri dell'Ue» e ha affermato di non essere al corrente «di piani
concreti per modificare questa metodologia nel breve termine». Secondo Padoan, invece, i criteri
econometrici che servono da base per le valutazioni del Patle. E considera che l'Italia sia stata penalizzata da
una calcolo che sottovaluta l'ampiezza della nostra recessione. Per esempio, secondo la Commissione
l'output gap italiano è pari a 3,5 punti percentuali del Pil, mentre per l'Ocse, di cui Padoanè stato chief
economist , si colloca a 5,1 punti percentuali. Sei calcoli di Bruxelles venissero fatti sulla base delto di stabilità
e del «fiscal compact» dovranno essere rivisti l'anno prossimo. Il ministro, nell'intervista, afferma anche che
esiste «un ampio consenso» tra i governi per correggerli e modificarli. Di certo, se confermasse una tendenza
a innalzare la stima della crescita potenziale dell'Italia, e quindi l'entità della recessione vissuta dal Paese, si
allontanerebbe ulteriormente il rischio di una apertura di una procedura di infrazione per i nostri conti pubblici,
che risulterebbero infatti strutturalmente molto più in equilibrio di quanto stimato oggi da Bruxelles. PER
SAPERNE DI PIÙ www.tesoro.it ec.europa.eu
IL RAPPORTO BCE Sulla "Repubblica" di ieri il rapporto degli economisti della Bce che contestano i calcoli
Ue del deficit strutturale
L'ANTICIPAZIONE
Italia-Ue, le diverse stime sul vero deÞcit strutturale
Stime Ue Stime Tesoro
2012 2013 2014 2015
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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I conti pubblici
22/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 4
(diffusione:556325, tiratura:710716)
La lettera del ministro "Bruxelles appoggi le riforme italiane il debito è
sostenibile"
Il Tesoro scrive al commissario Moscovici e al suo vice in vista del giudizio definitivo
ALBERTO D'ARGENIO
ROMA. «Sono certo che le istituzioni europee sosterranno gli sforzi senza precedenti dell'Italia per portare a
termine le riforme». Va letta dalla fine, da questo auspicio, la lettera inviata ieri dal ministro dell'Economia Pier
Carlo Padoan alla Commissione europea, ovvero al responsabile per gli Affari economici Moscovici e al
vicepresidente Dombrovskis.
Missiva che, come di consueto per il governo Renzi, viene pubblicata sul sito del Tesoro. Ma online non
vanno gli allegati, a partire dallo scadenzario con il quale il governo si impegna con Bruxelles sui tempie sui
modi con cui approverà le riforme. Ed è un dettaglio cruciale.
A ottobre Bruxelles non aveva rimandato al mittente la Legge di Stabilità - con richieste di modifica nonostante i dubbi sulla sua conformità con le regole Ue.
La Commissione si era accontentata di un taglio aggiuntivo di circa 3,3 miliardi del deficit. Settimana
prossima - non lunedì per problemi di agenda di Juncker - arriverà la pagella definitiva. Inizialmente
l'esecutivo comunitario era tentato dal chiedere una ulteriore correzione e affibbiare all'Italia un early warning,
un pesantissimo avvertimento sui conti che avrebbe potuto sfociare in una procedura. Praticamente un
commissariamento giustificato dal fatto che l'Italia comunque ha rinviato il pareggio di bilancio e non ha
tagliato il debito (nel 2015 al 133,8%) nella misura chiesta dal Fiscal Compact. Invece Juncker sembra voler
optare per una soluzione più soft, più politica. Nessuna bocciatura, ma raccomandazioni su debito, deficit e
riforme che, per quanto pesanti, non saranno vincolanti. E per questo il governo, dopo giorni di contatti con
Bruxelles, ha messo nero su bianco una serie di impegni. Per carità, informali, fuori da procedure o
meccanismi vincolanti, ma che saranno il termometro con il quale la Commissione tornerà a giudicarci a
marzo.E se non avremo mantenuto le promesse, allora sì che saranno guai. Ecco perché Padoan ha dovuto
allegare una «timeline» sulle riforme alle tre pagine della missiva nella quale ricorda che l'Italia da inizio crisi
ha perso un decimo del Pil ma il governo è impegnato in un piano di riforme che «darà una spinta alla
crescita, alla competitività e all'occupazione». Segue la lista: Jobs act («che aumentando l'occupazione
aumenterà ulteriormente la sostenibilità a lungo termine delle pensioni»), riforma della Pa, della giustizia,
deregulation dell'accesso al credito, riforma fiscale e dell'istruzione. Il ministro ricorda che sono misure in
linea con le raccomandazioni dello scorso giugno (insieme all'andamento del debito, il metro con il quale la
Commissione deciderà se punirci o meno). In più ricorda l'impegno sulle riforme istituzionali (Italicum e
Senato) e sulle privatizzazioni che frutteranno lo 0,7% del Pil a riduzione del debito. Padoan sottolinea che
l'avanzo primario è tra i migliori d'Europa (2%) e che il debito è cresciuto per colpa della recessione e per
altre «cause indipendenti dalla politica nazionale» come i soldi versati al fondo salva-Stati, la bassa inflazione
e l'accordo con la Ue per pagare i debiti della Pa. Ricorda che la manovra è «amica della crescita» e che
ulteriori dosi di rigore «in una fase di debolezza dell'economia possono essere controproducenti, finendo col
peggiorare il debito». Il Tesoro sottolinea che una manovra non in linea con le nuove norme Ue è giustificata
dallo stesso Patto di Stabilità «che si riferisce esplicitamente al sostegno delle riforme e prende in
considerazione le circostanze economiche avverse». Infine la lettera italiana sostiene che gli indicatori
internazionali dimostrano che il nostro debito «è più sostenibile di quello della maggior parte degli altri paesi
Ue» grazie alle passate riforme delle pensioni e al controllo della spesa della sanità. Ecco perché Padoan
chiude dicendosi fiducioso che la Ue «sosterrà le riforme» italiane. Come dovrebbe fare, almeno per il
momento. JOBS ACT E PENSIONI La riforma sul lavoro è la prima della lista Per il Tesoro il Jobs Act
"aumentando l'occupazione renderà più sostenibile il sistema previdenziale nel lungo periodo" AVANZO
PRIMARIO L'avanzo primario è tra i migliori d'Europa (2%). Il debito è cresciuto per "cause indipendenti dalla
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IL DOCUMENTO
22/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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politica nazionale": la recessione, il fondo salva-Stati, la deflazione e il saldo dei debiti Pa arretrati RIFORME
ISTITUZIONALI Nella timeline delle riforme anche giustizia, fisco, privatizzazioni e pubblica amministrazione
Il governo stima effetti positivi arriveranno anche dai cambi istuzionali A MOSCOVICI E DOMBROVSKIS La
lettera del ministro Padoan è indirizzata al vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, e
al commissario Pierre Moscovici (Affari economici e finanziari) LA MISSIVA I PUNTI
Foto: IL MINISTRO Pier Carlo Padoan, ministro italiano dell'Economia Ha insegnato alla Sapienza
22/11/2014
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"Una nuova moneta fiscale per battere la crisi"
Tra i promotori, Luciano Gallino e Stefano Sylos Labini. Oggi convegno nella Capitale
LUISA GRION ROMA.
Uscire dalla crisi creando una «moneta complementare» all'euro. Una moneta «fiscale» che cittadini e
aziende riceveranno gratuitamente e con la quale - dopo due anni - potranno pagare tasse, multe, ticket
sanitari, importi di vario genere da versare a beneficio dello Stato.O che potranno scontare in banca
trasformandola in euro da spendere subito. E' un'idea, di più: un manifesto su Micromega( «Oltre l'euro,
dentro l'euro»), un appello che un gruppo di economisti (Biagio Bossone, Marco Catteneo, Luciano Gallino,
Enrico Grazzini, Stefano Sylos Labini) sta lanciando a tutte le forze politiche e sociali con l'obiettivo di trovare
una via d'uscita dalla palude economica. Il progetto (di cui si parlerà questo pomeriggio al convegno «La
sinistra e la trappola dell'euro» all'hotel Universo, via Principe Amedeo a Roma) parte da un presupposto: per
sopravvivere va recuperata un po' di sovranità monetaria. Senza aspettare che i falchi europei prolunghino
l'agonia dell'economia italiana, ma anche senza uscire dall'euro e subire le conseguenze che una scelta del
genere implicherebbe. La via di mezzo c'è, assicuranoi promotori del manifesto,è si chiama Ccf: certificati di
credito fiscale. La proposta è questa: rilanciare la domanda attraverso un'emissione gratuita (da 100 miliardi)
da parte dello Stato di Ccf ad uso differito. Tali certificati sarebbero distribuiti sia ai lavoratori, pensionati e
disoccupati (in base al reddito), sia alle aziende (premiando quelle che fanno ricerca, che assumono o
s'impegnano in opere pubbliche urgenti). Lo Stato s'impegnerà non a rimborsarli, ma - a partire dai due anni
successivi alla emissione - ad accettarli in pagamento di qualsiasi impegno finanziario nei confronti della
pubblica amministrazione. Chi vorrà potrà scontarli in banca e - con un piccola riduzione di valore calcolata
su tassi analoghi a quello dei Bot a due anni - tramutarli in euro sonanti. «E' in quei due anni di utilizzo fiscale
differito che il Paese potrà giocarsi la scommessa» spiega l'economista Stefano Sylos Labini.
«L'immissione di questi certificati sul mercato, grazie all'effetto moltiplicatore del reddito, farà sì che il calo di
entrate pubbliche legato allo sconto fiscale sarà, a due anni dalla loro distribuzione, più che compensato
dall'aumento dei ricavi fiscali prodotti dal recupero del Pil».
Sembrerebbe l'uovo di Colombo: in realtà il progetto si basa su un esperimento già effettuato con successo
nella Germania degli anni Trenta e su accurati studi economici che calcolano la rilevanza dell'effetto
moltiplicatore. «Non è una provocazione, è un'alternativa praticabile» dicono i promotori dei Ccf. Resta da
capire come potrà reagire la Bce ad una proposta del genere: «L'adozione dei certificati rappresenterebbe un
messaggio politico forte - ammette Sylos Labini - ma la Banca centrale non avrebbe rilievi tecnici cui
appellarsi. Il Ccfè una "quasi moneta": lo Stato non stamperebbe euro, ma eserciterebbe la sua sovranità in
campo fiscale. Né si potrà eccepire un aumento del debito: non ci sarà raccolta di soldi. Se l'Italia emetterà
Ccf non chiederà nulla né alla Ue, né alla Bce. Punterà su se stessa».
© RIPRODUZIONE RISERVATA I PUNTI L'EMISSIONE Lo Stato emetterebbe a titolo gratuito dei Certificati
di Credito fiscale ad uso differito per 100 miliardi l'anno. Quindi li distribuirebbe ad aziende, lavoratori,
pensionati e anche disoccupati I PAGAMENTI Dopo due anni lo Stato si impegnerebbe non a rimborsarli, ma
ad accettarli per il pagamento di tasse, imposte, multe, ticket sanitari Chi non vorrà aspettare potrà scontarli
in banca LA CRESCITA Nei due anni di attesa, grazie all'effetto moltiplicatore del reddito, i Ccf produrrebbero
un aumento di Pil, quindi di ricavi fiscali che compenserebbero gli sconti garantiti dai certificati stessi
Foto: OLTRE L'EURO Oggi sarà illustrata la ricetta di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Luciano Gallino,
Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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L'APPELLO/ UN GRUPPO DI ECONOMISTI PROPONE SU MICROMEGA IL RECUPERO PARZIALE DI
SOVRANITÀ MONETARIA
22/11/2014
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La Tenaris graziata dai giudici tributari solo 9 milioni al Fisco che ora farà
ricorso
Il colosso italiano delle tubature ha il quartier generale in Lussemburgo Agenzia delle Entrate chiede 530
milioni La società la spunta per il 2007. "Sicuri di vincere anche per il contenzioso del 2008"
CARLOTTA SCOZZARI MILANO.
Il Fisco italiano presenta un conto da 530 milioni di euro alla Tenaris della famiglia Rocca, ma la società stima
di cavarsela pagando appena qualche milione. Il gruppo, che nei primi nove mesi del 2014 ha realizzato 6,2
miliardi di ricavi, vende tubi di acciaio in tutto il mondo, ma la cabina di regìa è collocata stabilmente in
Lussemburgo. È lì, al numero 46 dell'Avenue John F. Kennedy, che ha sede la Tenaris sa, holding quotata a
Milano, New York, Buenos Aires e Città del Messico, e costituita nel 2002 per mettere insieme le varie
controllate mondiali, tra cui la Dalmine dell'omonima cittadina bergamasca. Ed è dal Lussemburgo che
bisogna partire per seguire il contenzioso che dal 2012 contrappone la Tenaris guidata da Paolo Rocca,
fratello del numero uno di Assolombarda Gianfelice (che siede nel Consiglio di amministrazione), al Fisco
italiano. Tutto comincia la vigilia di Natale di due anni fa, quando l'Agenzia delle Entrate bussa alla porta della
holding lussemburghese Tenaris presentando un conto da 282 milioni tra mancate tasse, interessi e sanzioni,
riferito allo stacco di dividendi del 2007 da parte di una controllata italiana del gruppo. In sostanza, il Fisco
ritiene che le tasse su quelle cedole vadano pagate da noi, dove l'imposizione è più pesante che in
Lussemburgo. Non bastasse, il 24 dicembre del 2013, l'Agenzia delle Entrate torna alla carica con una
richiesta di 248 milioni, questa volta riferitaa dividendi del 2008.
Ma Tenaris non ci sta a pagare un conto complessivo da 530 milioni all'Italia, Paese dove risiedonoi due
fratelli Rocca. Così, la società ha presentato appello alla Commissione tributaria di Milano. Quest'ultima stando alla trimestrale al 30 settembre depositata presso la Sec, la Consob americana - non si è ancora
espressa sul contenzioso del 2008, mentre su quello del 2007, lo scorso febbraio, ha ridotto drasticamente il
conto da pagare al Fisco, da 282 a 9 milioni circa. Uno sconto che deve essere sembrato eccessivo
all'Agenzia delle Entrate, che il 2 ottobre ha deciso di ricorrere in appello. La partita è aperta, ma Tenaris è
fiduciosa di vincerla: «Sulla base della decisione della Commissione» sulla controversia del 2007, «crediamo
non sia probabile che le richieste» per il 2008 «si traducano in un esborso materiale».
Già nel 2012, la San Faustin della famiglia Rocca, holding controllante al 60,45% di Tenaris e pure
domiciliata in Lussemburgo (fino al 2011 lo era nelle Antille Olandesi), aveva raggiunto una transazione da 30
milioni con il Fisco, che anche in quel caso contestava il mancato pagamento di tasse in Italia. La San
Faustin ha in mano la maggioranza di Tenaris attraverso la Techint Holdings, società a responsabilità limitata
lussemburghese, mentre è controllata dalla Fondazione olandese Rocca & Partners Stichting
Administratiekantoor Aandelen San Faustin. I NUMERI
6,2 mld I RICAVI Il gruppo Tenaris li raccoglie nel 2014
30 mln LA TRANSAZIONE San Faustin (Tenaris) la raggiunge con il Fisco nel 2012 PER SAPERNE DI PIÙ
www.tenaris.com/italy/it www.giustizia-tributaria.it
Foto: L'AD Paolo Rocca, amministratore delegato della Tenaris, due anni fa a Wall Street
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Il fisco
23/11/2014
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Tassa di 65 euro in dichiarazione dei redditi o bolletta elettrica Rivoluzione da gennaio: cda a 5 membri, l'ente
come una spa >
CARMELO LOPAPA
ROMA. La rivoluzione Rai si consuma in tre step. Da portare a compimento con un blitz di poche settimane,
tra fine dicembre e i primi di gennaio con un provvedimento lampo del governo. Cambia tutto per Viale
Mazzini, ma molto anche per l'utente, che vede quasi dimezzato (65 euro) l'abbonamento. Un'operazione
destinata a mutare la governance (dalla nuova figura dell'Ad ai criteri di nomina dei membri del cda, che
diventano 5) da sottrarre ai tentacoli politico parlamentari. Fino al contratto di servizio pubblico.
ALLE PAGINE 2 E 3 CARMELO LOPAPA ROMA. La rivoluzione Rai si consuma in tre step. Ma da portare a
compimento con un blitz di poche settimane, al più tra fine dicembre e i primi di gennaio con un
provvedimento del governo. A Palazzo Chigi hanno deciso di affondare i bisturi su quel corpaccione
stagionato da mezzo secolo che è passato indenne attraverso cento cambi di governo, mille lottizzazioni,
innumerevoli "editori di riferimento". Il ricorso del cda contro i tagli dell'esecutivo non c'entra nulla, Matteo
Renzi guarda già oltre, ora la priorità del governo è il maxi piano da definire ormai solo nei dettagli. Cambia
tutto per Viale Mazzini, ma molto anche per l'utente-contribuente, che vede intanto quasi dimezzata (forse già
da gennaio) la quotacapestro dell'abbonamento. In bolletta o addirittura inserita in dichiarazione dei redditi,
una svolta senza precedenti. Canone con l'Irpef. Mossa che - per l'esecutivo - da sola potrebbe garantire la
popolarità dell'intera manovra Rai. Un'operazione strutturale destinata comunque a cambiare volto alla
"governance" - dalla nuova figura dell'Amministratore delegato ai criteri di nomina dei membri del cda - da
sottrarre ai tentacoli politico parlamentari. Fino al contratto di servizio pubblico, tutto da ridisegnare.
IL CANONE IN BOLLETTA.
Da gennaio il Canone Rai (che ammontava a 113,50 euro da pagare entro il 31 gennaio del 2014) sarà
inserito nella bolletta dell'energia elettrica. Lo strumento sarà un emendamento alla legge di stabilità in
Senato, in modo da rendere operativa la svolta fin dal gennaio 2015. Ma la svolta vera, quella che interesserà
gli utenti, starà nell'importo: 65 euro, che sarà possibile diluire per ciascuna delle bollette (mensile o
bimestrale a seconda del gestore), fin quasi a sparire dunque nella percezione collettiva. Sarà dunque
collegata alla bolletta di erogazione dell'energia elettrica di ciascuna abitazione, a prescindere dal denunciato
possesso (o meno) di una tv in casa. Sono trenta milioni i contratti oggi in Italia. Obiettivo, neanche a dirlo, è
aggirare il mostro dell'evasione, stimata in 600 milioni di euro ogni anno. Si pagherà però per tutte le
abitazioni. Per essere chiari, chi ne avrà tre, si vedrà recapitati tre canoni distinti in bolletta elettrica. Il vero
vantaggio è per la stragrande maggioranza di italiani che vanta una sola casa, col dimezzamento dei costi. Il
risultato immediato per la Rai sarà l'aumento del gettito, stimato oggi in circa 1,7 miliardi di euro: dovrebbe
passare a 1,8 miliardi. L'idea del governo è quella di collegare la vecchia tassa sulla tv al patrimonio e non al
reddito. Per le aziende che erogano energia e che dovranno rimodulare le loro bollette è prevista invece la
possibilità di ottenere dei rimborsi. Se il progetto del governo dovesse incontrare ostacoli lungo il cammino
parlamentare o in fase di realizzazione, sono già allo studio delle contromisure. La prima: l'inserimento della
bolletta elettrica nella dichiarazione dei redditi, una novità della quale non si era parlato finora; la seconda:
l'invio del bollettino per il pagamento del canone in abbinata (ma distinto) con la bolletta elettrica. Passi una
soluzione o l'altra, il messaggio del governoè semplice: da gennaio sarà molto più difficile sottrarsi alla tassa.
LA NUOVA GOVERNANCE Addio alla figura del direttore generale (oggi Luigi Gubitosi).
L'azienda di Viale Mazzini sarà guidata da un amministratore delegato, con tutti i poteri dell'ad di una società
privata. Il progetto al momento prevede che venga proposto dall'azionista di maggioranza, dunque dal
ministero del Tesoro per poi essere approvato dal cda (il governo lo preferirebbe) o dal Parlamento. Il
Consiglio di amministrazione passa dagli attuali nove a cinque componenti, chiamati a entrare in gioco solo
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Ecco la riforma Rai al vertice un top manager il canone nell'Irpef
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per le grandi scelte strategiche e non già, come avviene oggi, per ogni decisione operativa del day by day .
Sarà sempre il Parlamento peròa eleggere i consiglieri (come del resto elegge altri organi di garanzia qualii
componenti della Consulta o del Csm). Solo in alternativa alle Camere in seduta Comune, sarebbe allo studio
anche l'ipotesi della più ristretta commissione di Vigilanza Rai. I nomi sarebbero eletti tra una "rosa" indicata
da soggetti esterni e autonomi della politica come l'Agcom (l'Autorità per le comunicazioni), la Conferenza
Stato-Regioni, il Consiglio dei rettori, la Corte Costituzionale e i presidenti delle Camere. Il presidente, infine,
dovrebbe essere indicato dal cda ed eletto dalla commissione di Vigilanza.
Tutto a un solo fine: cancellare logiche di lottizzazione che hanno sempre governato la selezione dei vertici.
Sarà davvero la volta buona? Palazzo Chigi ci proverà attraverso un disegno di legge da adottare in Consiglio
dei ministri tra fine dicembre e i primi di gennaio, subito dopo la sessione di bilancio, ma da approvare entro
maggio. Non a caso. A metà 2015 è in scadenza il cda in vigore oggi e bisognerà cambiare prima se si vorrà
procedere al rinnovo con le nuove regole. Il ddl arriverà soloa fine anno per evitare l'ingorgo che già stressa il
Parlamento, ma anche per attendere che diventi legge l'inserimento del canone in bolletta proprio nella legge
di stabilità. L'obiettivo del governo Renzi è quello di riportare la Rai nell'alveo delle grandi aziende, soprattutto
al fine di snellirne le arcaiche e lente procedure decisionali. Stop agli appalti per ogni genere di spesa, anche
quelle minute di penne e matite. Secondo obiettivo, far rientrare l'azienda pubblica tra le fattispecie
disciplinate dal Codice civile. Dunque, società per azioni o quella con il modello duale con un consiglio di
sorveglianza: netta la predilezione del governo per la prima soluzione. IL SERVIZIO PUBBLICO Il contratto di
servizio pubblico, che disciplina i rapporti tra lo Stato e la più grande azienda culturale, è in scadenza nel
2016. Il governo Renzi ha intenzione di anticipare il rinnovo al 2015, ovvero ai prossimi mesi. Cosa cambia?
Nella filosofia di Palazzo Chigi viene ridefinita l'idea stessa di servizio pubblico. Non più un'azienda assistita
che vive con una programmazione a breve gittata, appesa sempre alle mammelle del Tesoro. E infatti, per
realizzare l'obiettivo, viene trasformata la struttura stessa del contratto, che da triennale viene reso
decennale. La Rai conoscerà in anticipo quanto incasserà dal gettito statale di anno in anno: nel 2015
dovrebbe ammontare a 1,8 miliardi, come si è visto, destinati a lievitare con il recupero dell'evasione tramite
bolletta. E questo consentirà ai futuri nuovi amministratori della "società" di poter pianificare una road map di
investimenti degno di un'azienda da oltre 10 mila dipendenti. Sarà la Rai del futuro, se la maxi operazione
andrà in porto nei termini definiti dal governo. Il presente appare assai più tormentato e burrascoso. Nella
settimana che si è appena chiusa, il cda ha deciso a maggioranza di far ricorso contro il decreto Irpef che
prevede tagli per 150 milioni. Atto di guerra contro palazzo Chigi. Il bilancio 2013 dell'azienda ha chiuso in
attivo per 5 milioni di euro, dopo la perdita di 244 milioni del 2012. Il direttore Gubitosi prevede un 2014 non
roseo, a causa dei diritti e dei costi legati al mondiale in Brasile. La sfida ambiziosa di Renzi è quella di
archiviare il "Cavallo morente" simbolo di Viale Mazzini per tenere in vita il solo "Cavallo alato" di Saxa Rubra.
Ma sarà un'impresa.
I VERTICI RAI
PRESIDENTE Anna Maria Tarantola è Presidente della Rai dal giugno del 2012. È stata una dirigente della
Banca d'Italia DIRETTORE GENERALE Luigi Gubitosi è direttore generale di viale Mazzini dal 17 luglio del
2012.
È stato anche ad di Wind e ha lavorato in Fiat
LA SCHEDA CANONE A 65 EURO, BOLLETTA O IRPEF Il canone Rai viene ridotto dagli attuali 113,50 euro
a 65 euro. Viene inserito nella bolletta elettrica o nella dichiarazione dei redditi 2015. L'importo sarà
rateizzato. Si paga per ciascuna abitazione posseduta e non in base al possesso della tv. Gettito stimato in
1,8 miliardi per l'anno prossimo PRESIDENTE E CDA Un ddl di riforma del governo, da approvare in aula
entro maggio, disegna i nuovi vertici. Il cda passa da 9 a 5 componenti, eletti dal Parlamento.
Il presidente sarà indicato dallo stesso Consiglio ed eletto dalla commissione di Vigilanza Rai 12 MENO
BUROCRAZIA, PIÙ SPA L'obiettivo del governo è snellire le procedure interne, oltre a sottrarre la Rai alla
lottizzazione politica. Il cda interverrà solo sulle grandi scelte strategiche, non su quelle quotidiane. Non sarà
23/11/2014
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più necessario ricorrere ad appalti per tutte le spese, anche le più minute CONTRATTO DI SERVIZIO
PUBBLICO Quello in vigore con la Rai scade nel 2016 e il governo vuole anticipare il rinnovo al 2015. Non
sarà più triennale, ma decennale. Per dare all'azienda la possibilità di programmare a lungo termine gli
investimenti, sulla base di un gettito certo (nel 2015 sarà di 1,8 miliardi) 34
LE TAPPE CANONE IN BOLLETTA Prima tappa a dicembre, con la legge di stabilità: il canone, fissato a 65
euro, sarà pagato con la bolletta elettrica o nella dichiarazione dei redditi, "diluito" nell'anno IL DDL DEL
GOVERNO Tra dicembre e gennaio il governo di Matteo Renzi intende presentare un disegno di legge che
ridisegna la governance della Rai e rinnova il contratto di servizio pubblico L'OK A MAGGIO L'obiettivo di
Palazzo Chigi è tagliare il traguardo della riforma entro maggio, quando scade il consiglio di amministrazione
di viale Mazzini
L'evasione del canone Rai in Italia 76,6 77,5 74,1 81,2 80,6 82,3 72,0 74,7 78,8 54,8 % dei paganti
Lombardia Valle d'Aosta Piemonte Liguria Emilia R.
Toscana Sardegna Umbria Lazio Campania Trentino A.A.
Friuli V.G.
Veneto Marche Abruzzo Molise Puglia Basilicata Calabria Sicilia 75,9 79,3 76,1 79,7 74,8 76,8 77,3 72,7
60,9 58,9 % dei paganti
PER SAPERNE DI PIÙ www.governo.it www.rai.it
Foto: VIALE MAZZINI Il governo è pronto a varare la riforma della Rai: novità su canone, governance e
nomina dei direttori dei tg
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Bini Smaghi: "La Ue vuole riforme ma sul deficit ha ragione Padoan Ora
fusioni tra le banche italiane"
STRESS TEST "Lo dice anche Draghi gli istituti bancari devono ridursi di numero e aumentare la redditività
MISURE TAMPONE Più margini di spesa o gli 80 euro sono misure tampone Più importante cambiare
giustizia, burocrazia, lavoro
ROMA. «Si è aperta la questione della differenza di vedute sul calcolo del deficit strutturale.
Bene, nello sostanza ha ragione Padoan quando dice che il problema non è di finanza pubblica bensì di
crescita potenziale, ma nel frattempo sono anche nel giusto le istituzioni europee quando sottolineano che il
potenziale di crescita dell'economia italiana si è ridotto considerevolmente rispetto a pochi anni fa. Tutto ciò
premesso, il punto vero non è qui». Lorenzo Bini Smaghi, economista di scuola Bankitalia, membro del board
della Bce fino al dicembre 2011, attualmente presidente della Snam, interviene nella querelle sull'"output gap"
scoppiata in sede europea, ma rimarca con forza che le discussioni stanno a zero: «Un punto di decimale in
più, uno in meno, poco importa.
Sì, forse per l'Italia si aprirebbe qualche insperata possibilità di investimenti pubblici in più, ma in ogni caso
ciò avverrebbe in misura talmente minima da non spostare le variabili complessive. L'unico nodo da sciogliere
resta la crescita».
Però il gioco del governo italiano a questo punto sembra essere quello di far perno su questa piccola
apertura per incardinarvi investimenti sufficienti a riattivare la domanda. E' un'illusione? «Intendiamoci,
sarebbe comunque un'opportunità da non perdere. Ma non risolverebbe i ritardi dell'Italia, che viceversa deve
ritrovare la via della crescita e della domanda aggregata in modo molto più vigoroso, robusto e deciso. E
l'unico modo è dare corpo alle tante volte annunciate riforme strutturali.
Proprio quelle che Padoan torna a enumerare nella seconda parte della lettera: giustizia, burocrazia, lavoro,
efficienza, produttività e via dicendo».
A proposito di scambi epistolari, lei era alla Bce quando partì la famigerata lettera dell'estate 2011. Che
differenza c'è con le missive scambiate oggi? «Bè, allora c'era un tono più ultimativo, ma la situazione
oggettivamente era molto peggiore. Non si può negare che rispetto a quei giorni il nostro Paese, ma direi
l'intera area euro, abbia conquistato beneo male una "maggiore solidità. Però di fatto le riforme in Italia
ancora non si sono viste, e conseguentemente non è tornata la crescita: bisogna fare presto, prestissimo.
E non fare affidamento su interventi tampone quali possono essere gli 80 euro o appunto questi margini
insperati sul bilancio pubblico: il problema di base non cambia, sia che il margine di crescita sia negativo
come dice la commissione o leggermente positivo come diciamo noi.
Forse la crescita potenziale non è ancora diventata negativa, ma di certo bisogna invertire in fretta questo
declino senza compromessi né incertezze».
In questi giorni è scoppiato anche un altro caso, i reiterati stress test che nel caso della banche italiane si
tradurrebbero in una serie di altri ammanchi clamorosi anche a carico delle istituzioni più blasonate. E'
giustificato l'allarme? «Gli stress test continueranno senza soluzione di continuità come fanno in America,
questo è certo. Sarebbe ora che il sistema bancario, come del resto quello dell'intera Europa, si rafforzasse.
E questo potrà avvenire solo con un cambiamento radicale: oggi il sistema bancario è troppo frammentato e
poco redditizio. Le banche devono ridursi di numero, come peraltro sostiene Draghi, accorparsi e perseguire
con maggior determinazione la via della redditività. Ma anche il sistema industriale, soprattutto delle piccole
imprese, deve mettersi al passo con i tempi, scoprire fonti di finanziamento di mercato, la Borsa, le emissioni
obbligazionarie. Oggiè troppo dipendente troppo dalle banche».
Mentre acquisisce la vigilanza in seguito agli stress test, la Bce sta anche lanciando le tanto attese e
pluriannunciate misure non convenzionali.
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INTERVISTA
23/11/2014
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Ce la farà ad arrivare al quantitative easing? «Per ora sono partiti, questa settimana, gli acquisti delle asset
backed securities, dopo che nei giorni scorsi erano stati avviati i covered bonds, e mi sembrano tutte misure
concrete tutt'altro che da sottovalutare.
Certo, prima si arriverà all'acquisto generalizzato di bond, appunto il quantitative easinge meglio sarà. Ne
trarrà beneficio anche il sistema industriale perché il Qe allenta la pressione sui tassi a lungo termine
favorendone il calo. Inoltre l'euro probabilmente scenderebbe. L'intero apparato produttivo potrà così investire
più agevolmente ma solo in un clima di fiducia e solidità verso il sistema-Paese.
Ecco che torna l'urgenza delle riforme». BANCHE SOTTO ESAME Repubblica ha rivelato ieri il piano della
Bce che rimette sotto esame le banche. Per gli istituti italiani potrebbero emergere nuovi ammanchi di
capitale fino a 16 miliardi L'ANTICIPAZIONE PER SAPERNE DI PIÙ www.palazzochigi.it
http://ec.europa.eu/index_it.htm
Foto: ECONOMISTA Lorenzo Bini Smaghi, ex board della Bce
23/11/2014
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Trasferiti solo 936 immobili su 5.500. Puglia virtuosa, Lazio ultima Burocrazia e costi alti stanno frenando il
passaggio agli enti locali La normativa è diventata più complessa nonostante sia nata con l'intento di
semplificare Fassino: "Non è colpa nostra, le procedure di passaggio devono essere semplificate"
VALENTINA CONTE
ROMA. Il federalismo demaniale non decolla. Appena il 17% degli immobili messi a disposizione dallo Stato è
passato realmente ai Comuni che li hanno richiesti.
Gli ultimi dati, forniti dall'Agenzia del Demanio, parlano chiaro: 936 su 5.519. E rivelano pure che il Lazioè tra
le regionia secco, con zero trasferimenti su 334 domande accettate. Mentre la Puglia, con 247, si intesta più
di un quarto delle operazioni nazionali andate a buon fine, seguita dalla Lombardia con 185 e dalla Calabria
con 142. Ma dov'è l'imbuto? I sindaci adocchiano una caserma, un palazzo, un castello.
Lo richiedono al Demanio. E quando c'è il sì, non deliberano.
Perché nel frattempo prendono visione del bene e trovano gli intoppi: procedure da mettere in campo,
restauri più ingenti del previsto, spazi già occupati. Insomma scartoffie e grane da sommare alle inerzie locali,
che certo non mancano. Così le delibere, senza piano di valorizzazione, non partono. E il trasferimento si
blocca. «La colpa non è certo dei Comuni», tuona Piero Fassino, presidente dell'Anci e sindaco di Torino. «Il
problema è la burocrazia. Il Comune vuole il bene? Lo Stato se glielo dà, glielo dà. E basta».
Fosse così semplice. Solo negli ultimi due anni, si sono sovrapposte tre leggi in materia: il decreto del Fare
con il governo Letta, lo Sblocca-Italia e adesso la legge di Stabilità con Renzi. Tutte partono con l'intento di
semplificare, poi spesso finiscono per complicare. Il decreto del Fare avvia il federalismo demaniale nel 2013,
stabilendo che i beni trasferiti entrano nel patrimonio disponibile delle Regioni e degli enti locali che possono
venderli o conferirli a fondi immobiliari, per poi cederne quote, entro tre anni, altrimenti tornano allo Stato. Il
10% del ricavato va all'erario. «Una gabella assurda», la definisce Fassino. Che difatti la legge di Stabilità ora
cancella. Dunque il 100% ai Comuni. Il punto è riuscire a venderli, gli immobili, in un periodo come questo. Lo
Sblocca-Italia di Renzi torna sul tema con la norma-caserme, in realtà valida per tutti gli immobili pubblici non
utilizzati, ma pensata soprattutto per quelli della Difesa, i più problematici (assieme a quelli storicoartistici
sotto il controllo del Mibac, il ministero dei Beni culturali). L'articolo 26 ne trasferisce solo l'uso, non la
proprietà ai Comuni. E innova su due punti: la proposta di valorizzazione può arrivare non solo dal sindaco,
ma anche da un privato, e quando questa è approvata dal Demanio, l'accordo di programma che ne deriva
vale anche come variante di destinazione d'uso. Una semplificazione enorme. La legge di Stabilità, ora in
discussione alla Camera, allenta ancora un altro po' le briglie. Si potrà vendere il patrimonio pubblico anche a
trattativa privata, senza bandi ma con aste ad invito rivolte ad investitori qualificati.
«L'emiro che vuole fare un albergo a cinque stelle non si mette mica a partecipare ai bandi», esemplifica il
Demanio, i cui poteri (stando ad alcuni emendamenti appena votati) potrebbero pure dilatarsi. Entro il 30
giugno i ministeri devono presentare piani per ridurre del 30% gli spazi occupati e del 50% gli affitti, a partire
dal 2016. Se non lo fanno, dice l'emendamento, subentra il Demanio che li commissaria. L'obiettivo è
superare le inerzie. Per vincere invece le resistenze del mercato, poco disposto a comprare in questo
momento, e l'inesperienza dei Comuni, specie quelli piccoli, il governo e il Demanio puntano tutto su Invimit,
società di gestione del risparmio del ministero dell'Economia, nata nel marzo del 2013 e presieduta da
Vincenzo Fortunato, potente ex capo di gabinetto del Tesoro. L'obiettivo di Invimitè aiutare Stato centralee
locale ad abbattere il debito, grazie proprio alla cessione di immobili pubblici inglobati in fondi ad hoc. In
modo diretto o indiretto (tramite i cinque fondi propri o come fondo di fondi creati dai Comuni), Invimit vende
le quote degli immobili valorizzati, trattiene il 4% e gira il 25% del resto allo Stato e il 75% ai sindaci. Ma
finora, anche qui, tutto fermo.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Flop del federalismo demaniale per i Comuni troppo oneroso gestire
caserme e palazzi di Stato
23/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 24
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Totale istanze Beni trasferibili Beni trasferiti Lo stato di avanzamento del federalismo demaniale 507 1033
679 961 879 97 933 791 389 624 467 601 408 68 334 498 3 185 7 86 38 0 0 40 979 18 271 82 581 34 764
537 172 180 67 387 281 506 44 13 0 0 372 91 1 247 425 142 Piemonte Lombardia Liguria Emilia R.
Toscana Umbria Lazio Campania Veneto Regioni a statuto speciale Marche Abruzzo Molise Calabria Puglia
Basilicata TOTALE 9367 5519 936
Foto: FOTO: ANSA LA NUNZIATELLA Nella storica scuola militare di Napoli un caso virtuoso: la Nunziatella
si è allargata il Comune ha ottenuto un edificio in uso alla polizia
23/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 25
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Non si ferma il crollo dei consumi di gas nel 2014 quarto calo consecutivo
(-11%)
LUCA PAGNI
MILANO. Da una lato c'è il perdurare della crisi economica, soprattutto nei paesi mediterranei, che ha fatto
crollare la domanda di energia elettrica.
Dall'altra, la crescita delle fonti rinnovabili, nonché i prezzi bassi del carbone e dei diritti della Co2. A cui si
deve unire un autunno con temperature più alte della media. Tutte queste cause messe insieme, determinano
un nuovo calo della domanda di gas in Europa, il quarto consecutivo e il peggiore a partire dall'anno 2000.
Secondo gli analisti della banca Société Generale, per la fine del 2014 i consumi di gas nel vecchio
Continente scenderanno dell'11 per cento rispetto ai dodici mesi precedenti, a quota 410 miliardi di metri
cubi, il calo più consistente degli ultimi 14 anni.
Una previsione ancora più negativa di quelle fornita un mese fa dall'associazione delle imprese di settore
Eurogas; nel dare il dato dei primi sei mesi (in calo del 18 per cento rispetto al primo semestre 2013) avevano
previsto un recupero nella seconda parte dell'anno, fissando il calo a 9 punti percentuali. Ma un autunno con
temperature più miti del solito sembrano proprio dare ragione alle cifre fornite da SocGen. Secondo il report
pubblicato nei giorni scorsi, a determinare il nuovo crollo della domanda di gas a livello europeoe il carbone
accessibilea prezzi vantaggiosi; solo con una ripresa dei prezzi dei diritto della Co2 - che renderebbero più
oneroso l'utilizzo del carbone, potrebbe far pendere la bilancia in favore del metano.
Quanto accade a livello europeo si riflette anche in Italia. Anche se nel nostro paese, il consumo di carbone
per la produzione di energia è inferiore rispetto alla media europea. A fare concorrenza al gas - che alimenta
le centrali a ciclo combinato - sono soprattutto le rinnovabili, cresciute esponenzialmente negli ultimi tre anni.
Secondo gli ultimi dati preconsuntivi forniti dal Ministero dello Sviluppo Economico, nel 2013 la stima del
consumo interno lordo di gas in Italia è stata 70,1 miliardi di metri cubi di gas: si è trattato del terzo anno
consecutivo di calo e un ritorno ai valori del biennio 1999-2000.
Stabili i consumi di gas per uso privato, crolla il dato se si guarda l'utilizzo per la produzione di energia
elettrica: nel 2007, il metano copriva il 29% del fabbisogno, per arrivare al 40,3% del 200-7-2008. Nel 2013
siamo tornati al 30% e le previsioni parlando di una ulteriore discesa. Il consumo di gas per il settore
termoelettrico è così calato di 9 miliardi di metri cubi dal 2010.
I numeri -18% IL SEMESTRE Nei primi sei mesi dell'anno il calo di consumo di gas è stato di 18 punti
rispetto allo stesso periodo 2013 30% L'ELETTRICITÀ Le centrali a gas contribuiscono a generare il 30 per
cento dell'energia elettrica del nostro paese
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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IL CASO/ LA UE: PEGGIOR DATO A PARTIRE DAL 2000 NONOSTANTE I PREZZI RIDOTTI
24/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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I costi dell'Europa non politica
JEAN PAUL FITOUSSI
FISCAL compact, six paks, two paks, semestre europeo: queste espressioni disegnano i contorni della
politica europea. < PAGINA CON quei vincoli auto-imposti dai governi di ieri, e subiti da quelli di oggi.
Questo stato di fatto e di diritto pone due interrogativi: uno politico, l'altro economico.
Il primo attiene alla strana democrazia che caratterizza i Paesi dell'Eurozona, i cui cittadini conservano il
diritto di cambiare governo, ma non quello di cambiare politica. In altri termini, una democrazia di forma, ma
non di sostanza.
Nasce da qui la questione economica. Se la politica attuata secondo i termini del Trattato avesse avuto esiti
felici per l'occupazione e il tenore di vita, sarebbe razionale continuare sulla stessa strada; ma se al contrario
portasse l'economia europea sull'orlo dell'abisso, sarebbe almeno il caso di interrogarsi sulla sua fondatezza.
Certo, si potrebbe obiettare che questa politica non è finalizzata al benessere delle popolazioni, bensì alla
riduzione del debito.
Ma persino in rapporto a quest'obiettivo i risultati sono fallimentari. Non solo l'inflazione resta al di sotto
dell'obiettivo indicato dalla Banca centrale europea, ma la deflazione che già colpisce alcuni Paesi sta
minacciando l'Eurozona nel suo complesso. I governi che comprendono l'aritmetica (il rapporto tra debito
pubblico, crescita e inflazione) si sono «timidamente» azzardati a chiedere che questo circolo vizioso sia
interrotto; ma sono stati subito richiamati all'ordine. Come si spiega quest'ostinazione delle istituzioni
europee? Siamo quasi alla metafisica: «I vostri sforzi non sono ancora sufficienti per raccoglierne i benefici:
perseverate, e sarete ricompensati». Ma le promesse di un futuro radioso hanno fatto cilecca. Non esiste
alcuna teoria, né alcune prova empirica a indicare che dall'austerità possa emergere un mondo migliore.
L'Europa è ammalata della dottrina da lei stessa iscritta nei suoi Trattati, in nome della quale va
perseguendo a qualunque costo - sia economico che sociale - il Graal dell'equilibrio di bilancio. Eppure una
politica del genere non ha alcuna prospettiva di successo. E ciò per i motivi che ho esposto nel Teorema del
lampione (Einaudi). Ai governi non rimane più alcun margine di manovra, tranne che per l'attuazione di
riforme strutturali, il cui risultato «involontario» potrebbe essere la deflazione. Privati degli strumenti del
potere - la politica monetaria, di bilancio, di cambio e la politica industriale - non hanno oramai altra risorsa
che quella di portare avanti una politica di competitività a breve termine, il cui strumento privilegiatoè la
compressione dei costi salariali. Per raggiungere quest'obiettivo possono disporre di alcune leve: sovvenzioni
alle imprese sotto forma di riduzione degli oneri sociali, liberalizzazione del mercato del lavoro (o meglio, se
vogliamo dir pane al pane, minori tutele per i lavoratori) e tagli alla spesa sociale della nazione.
Ma se un Paese guadagna in competitività, vuol dire che altri l'hanno persa.
Eppure esiste un'altra strategia, assai meno rischiosa, dato che non può in nessun caso portare alla
deflazione; un modo più cooperativo per comprimere il costo unitario del lavoro e migliorare così i livelli di
competitività, non attraverso la riduzione dei salari, ma accrescendo la produttività del lavoro. Il suo
strumento privilegiato: gli investimenti, sia privati che pubblici; i quali ultimi portano infatti a migliorare
l'efficienza del settore privato (basti pensare alle reti dei trasporti e delle comunicazioni). Ma questa strategia
è preclusa alla maggior parte dei Paesi dell'Eurozona dai vincoli di bilancio.
L'aspetto più sconvolgente di queste politiche europee, irragionevoli sul piano economico, è la loro durezza
sul quello sociale. Le tutele vengono ridotte nel momento stesso in cui la società ha più bisogno di essere
protetta. Il modello sociale europeo, concepito in un periodo di piena occupazione viene progressivamente
smantellato nel momento del maggior bisogno.
In altri termini: quando c'è lavoro per tutti si promettono alte indennità ai disoccupati, per poi ridurle, col
pretesto di una buona gestione finanziaria, via via che la disoccupazione aumenta. Meglio sarebbe, per
uscire dal binario morto su cui ci troviamo, riconoscere che l'architettura europea è fragile in ragione dei suoi
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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L'ANALISI
24/11/2014
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vizi di costruzione, e tentare di porvi rimedio. Il principale di questi vizi sta nell'aver concepito l'Unione politica
e monetaria come uno spazio ove i debiti nazionali sono sovrani, mentre la moneta non ha sovrano. Non si
tratta di una formula. Gli stati membri dell'Eurozona emettono prestiti in una valuta sulla quale non hanno
alcun controllo. In questo modo si lascia libero corso agli umori e alle profezie auto-realizzatrici dei mercati.
Se questi ultimi diffidano - anche se a torto - di un dato Paese, i capitali si affretteranno a lasciarlo, creando al
suo interno una crisi di liquidità (diminuzione della sua massa monetaria). La quale però non suscita alcun
meccanismo di correzione (una svalutazione) e si trasforma di conseguenza in una crisi di solvibilità.
A quel punto, lo Stato potrà ottenere prestiti solo a tassi notevolmente più alti, dato che non può costringere
la propria banca centrale e sottoscrivere i suoi titoli. Ma c'è di peggio: questa minaccia sulla solvibilità di uno
Stato mette in pericolo il suo sistema bancario, se i titoli pubblici che detiene si svalutano e i depositi bancari
diminuiscono per effetto della riduzione della massa monetaria. E si vieta alla Banca centrale europea, pure
consapevole di questo problema, di porvi rimedio.
Le soluzioni sono facili da enunciare, ma politicamente difficili da attuare. La più logica sarebbe quella di
chiudere lo spazio speculativo nel quale i mercati si stanno ingolfando; o in altri termini, creare nell'Eurozona
un titolo di debito unico, e al tempo stesso assegnare un sovrano alla moneta. Fu indubbiamente la creazione
della moneta unica a porre fine alla speculazione sui mercati di cambio, e quindi allo spread dei tassi
d'interesse. Ma piuttosto che rischiare una maggior integrazione,i Paesi dell'Eurozona hanno preferito
l'austerità di bilancio. Quella che ho raccontato è una storia triste. La storia di un deficit di democrazia
crescente, della distruzione di un capitale umano e sociale, di un deprezzamento del futuro. Eppure l'Europa
è ricca, per le sue risorse, la sua qualità di vita, il suo capitale di conoscenze, la competenza delle sue donne
e dei suoi uomini. Una politica diversa avrebbe potuto rivelare queste ricchezze. Per quanto tempo
pagheremo ancora i costi economici e sociali dell'assenza di un'Europa politica? (Traduzione di Elisabetta
Horvat)
24/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 8
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Avanti tutta con le riforme l'ok Ue spinge il governo Padoan: "Supereremo
anche l'esame di marzo"*
Slitta a venerdì il giudizio finale della Commissione sotto i riflettori la situazione finanziaria della Francia
L'IMPEGNO ITALIANO Dobbiamo tenere conto della bassa crescita, dell'alto debito pubblico e dell'inflazione.
Abbiamo fatto tutto ciò che potevamo Mercoledì prossimo al Parlamento di Strasburgo i primi dettagli sui
progetti da 300 miliardi L'Italia ha già presentato progetti da finanziare per 87 miliardi, record nell'Unione
ALBERTO D'ARGENIO
ROMA. «Viste le condizioni stiamo facendo il meglioe questa mia convinzione è rafforzata dal giudizio della
Commissione europea. Dobbiamo tenere conto della bassa crescita, dell'inflazionea zero e dell'alto debito
pubblico.
Con questi dati abbiamo fatto tutto quello che potevamo e Bruxelles ce ne dà atto». Pier Carlo Padoan
commenta con i collaboratori il via libera in arrivo dall'esecutivo comunitario alla Legge di stabilità italiana. Un
giudizio tutt'altro che scontato, visto che se avesse applicato le regole alla lettera l'Europa avrebbe potuto
chiedere al governo una nuova manovra correttiva accompagnata da una procedura di infrazione sul debito
che avrebbe di fatto azzerato la sovranità italiana in politica economica.
Ma non è andata così, l'impegno del governo sulle riforme,è la convinzione del Tesoro e di Palazzo Chigi, ha
portato l'Unione a dare credito all'Italia. E l'ok di Bruxelles ormai è scritto nero su bianco nelle bozze che
circolano nel quartier generale della Commissione e verrà formalizzato venerdì prossimo. Dunque l'Italia può
stare tranquilla, almeno fino a marzo, quando Bruxelles pubblicherà le previsioni economiche di primavera in
base alle quali appurerà se i conti tengono e tornerà a verificare l'avanzamento delle riforme.
Dunque l'appuntamento è per marzo, con Padoan che venerdì scorso ha scritto alla Commissione europea
una lettera nella quale ha ribadito gli impegni sulle riforme, con tanto di «timeline» allegata sui tempi previsti
per la loro approvazione definitiva. Ma il ministro dell'Economia parlando con i collaboratori dimostra di non
temere la scadenza primaverile. «Sono convinto - spiega a chi lo raggiunge al telefono di domenica - che
quanto stiamo facendo sulle riforme strutturali ci consentirà di superare anche quell'appuntamento,
arriveremo alla primavera con diversi provvedimenti approvati, a partire dal Jobs Act, e le perplessità di
qualche partner europeo sulla nostra capacità di approvare davvero le riforme, e di conseguenza di sostenere
il debito pubblico, saranno eliminate. Per questo sono certo che non ci saranno problemi». Dunque Padoan
sembra avere già archiviato gli esami europei sui conti e sulla competitività dell'economia italiana, tanto che
conversando con i collaboratori dice così: «Io sto già guardando avanti». E il futuro per l'Europa è il piano di
investimenti da 300 miliardi in gestazione proprio in queste ore a Bruxelles e che il presidente della
Commissione europea, Jean Claude Juncker, presenterà mercoledì al Parlamento di Strasburgo. «Il piano
può davvero far cambiare le prospettive di crescita dell'Unione», e dunque anche dell'Italia, confida Padoan.
Che esulta per la proposta di Juncker, che dovrà poi superare le forche caudine dei governi del Nord, di non
contare nel deficit i soldi che i governi verseranno nel fondo per gli investimenti che poi finanzierà i 300
miliardi di nuovi progetti europei. L'Italia tra l'altro, sottolinea con gli interlocutori Padoan, «ha spazzato le
obiezioni nordiche di chi è solito dire che i problemi non sono i soldi, mai progetti, il fatto che poi noi non
siamo in grado di spendere quanto l'Europa ci mette a disposizione». Il ministro si riferisce alla lista con
decine di progetti che l'Italia ha inviato la scorsa settimana a Bruxelles e che entrano nel listone di proposte
finanziabili dal futuro piano da 300 miliardi. Il governo italiano ha addirittura spedito richieste per 87 miliardi,
ovviamente non tutte saranno finanziate, la cifra più alta tra tutte le capitali dell'Unione. Una svolta quella
impressa da Juncker, tanto per la flessibilità che ha dimostrato di voler applicare nei giudizi sulle manovre dei
paesi dell'eurozona, quanto sullo scorporo degli investimenti dal calcolo del deficit. Ma non è scontato che il
nuovo corso dettato dall'ex premier del Lussemburgo porti a un tana libera tutti. Come confermano i dubbi
che a Bruxelles ancora restano sui conti della Francia. Se Roma - insieme a Madrid, Lisbona, Vienna e
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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L'Europa
24/11/2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Bruxelles - è ormai certa di ottenere venerdì - la pubblicazione delle pagelle Ue era prevista per oggi ma poi è
slittata per problemi di agenda - il via libera con rendez-vous a marzo, Parigi invece deve attendere l'ultimo
minuto per conoscere la sua sorte. La Francia viaggia da anni con il deficit sopra al tre per cento e ha chiesto
altro tempo per risanare, mentre stando alle regole la Commissione le dovrebbe subito infliggere dure
sanzioni economiche per la deriva dei conti.
Juncker vorrebbe riservare anche a Hollande il beneficio del dubbio, concedendogli altri4 mesi per
dimostrare la credibilità del suo programma di aggiustamento del disavanzo e di riforme. Ma i nordici, a
partire dai tedeschi, sono spazientiti e premono per usare il pugno duro: la decisione finale arriverà
direttamente venerdì durante la riunione del collegio dei 28 commissari europei.
LE TAPPE OK FINO A MARZO Venerdì la commissione Ue darà il giudizio sulle leggi di stabilità dei partner
Italia sicura della promozione fino alla verifica dei conti in primavera IL PIANO JUNCKER Gli investimenti
procrescita saranno affidati alla regia di Bruxelles che mercoledì presenterà il piano da 300 miliardi di risorse
tra capitali pubblici e privati LE RICHIESTE ITALIANE Il governo ha presentato progetti finanziabili per 87
miliardi la cifra più alta tra tutti i paesi Anche se devono ancora passare sotto il vaglio dell'ammissibilità
FUORI DAL DEFICIT Altro effetto positivo per i conti pubblici dovrebbe arrivare dalla possibilità di non
contare nel deficit la parte nazionale dei finanziamenti dei progetti Ue
PER SAPERNE DI PIÙ www.mef.gov.it http://ec.europa.eu/index_it.htm
Foto: PIER CARLO PADOAN Ministro dell'Economia
Foto: LA COMMISSIONE Per la nuova commissione europea si apre una settimana decisiva tra il giudizio ai
bilanci dei Paesi e il nuovo piano investimenti
24/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 9
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Alle banche italiane 4 miliardi di aiuti penultimi nella classifica europea
LUCA PAGNI
MILANO. Una campagna "social" per denunciare come sull'Italia pesino troppi pregiudizi, i quali andrebbero invece - trasformati in motivi di orgoglio. Uno su tutti: Francia a parte, le nostre banche sono tra quelle che
hanno ricevuto meno aiuti da parte dei governi per fronteggiare la crisi del credito.
Nei giorni del confronto con Bruxelles per l'approvazione della legga di Stabilità, il Ministero dell'Economia si
fa promotore di una iniziativa su Twitter in cui rilancia l'hashtag #prideandprejudice.
Con il capolavoro di Jane Austen, che nelle ultime stagioni sta conoscendo una nuova primavera grazie a
film, sceneggiati e parodie varie, ha poco in comune se non il titolo che diventa ora slogan dei primati che
possiamo vantare anche in campo economico.
Esattamente la percezione contraria che si ha del nostro paese.
«L'Italia - si legge sul sito del Mef - viene spesso descritta, soprattutto nella comunità internazionale, sulla
base di alcuni indicatori negativi: il debito pubblico, la bassa competitività, il deficit nominale di bilancio che in
passato ha determinato l'apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea.
Tuttavia, accanto a questi dati ci sono grandezze economiche utili a rappresentare l'Italia per ciò che è: uno
dei paesi principali del mondo sviluppato, il secondo paese per produzione manifatturiera in Europa, la terza
economia dell'Eurozona».
Il sito internet del Ministero li ha messi tutti in fila, con numeri a corredo. Si parte dalle banche: «I dati
Eurostat mostrano come nel periodo della crisi economica (2007-2013) i sistemi bancari e finanziari nazionali
di 17 paesi dell'area euro abbiano ricevuto aiuti dai governi nazionali con importi molto differenti. Sui 519
miliardi complessivi nell'Eurozona, le banche italiane hanno ricevuto solo 4 miliardi, a fronte dei 250 miliardi
percepiti da quelle tedesche e dei 165 miliardi da quelle britanniche». L'elenco prosegue con altri primati. Per
esempio: «L'Italia è stato il terzo contributore nella Ue di fondi "salvastati" (Irlanda, Grecia, Portogallo,
Cipro)». E ancora: «L'Italia può vantare un indice di sostenibilità economica, sia nel breve che nel mediolungo
periodo, inferiore alla media tra i 27 paesi della Ue». Infine, il debito pubblico: «Dall'inizio della crisi
economica, è cresciuto ad una velocità inferiore rispetto sia agli Stati Uniti che ad altri paesi dell'Unione
europea». Lo sappiamo: il problema è quanto è cresciuto negli anni prima della crisi.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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IL CASO/ CONFRONTO 2007-2013 DEL MINISTERO DEL TESORO
22/11/2014
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Pag. 19
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Luxottica, la holding vara il riassetto A Del Vecchio va il 25% della Delfin
Il patron ha sottoscritto un aumento di capitale da 162 milioni
[F. SP.]
MILANO Sistemata la complicata questione dei vertici in Luxottica, Leonardo Del Vecchio chiude anche la
partita al piano di sopra che tanti grattacapi gli aveva creato in famiglia. Delfin, la holding che controlla il
61,35% della multinazionale dell'occhialeria, ha messo in campo un aumento di capitale da 162 milioni di
euro che è stato interamente sottoscritto da Del Vecchio. In questo modo il patron di Luxottica è salito
dall'1,7% al 25% del capitale in modo da garantire la quota legittima di successione all'ultima delle tre mogli,
Nicoletta Zampillo. Il 12 novembre l'assemblea della finanziaria di famiglia, come ha riportato ieri l'agenzia
Radiocor, ha anche deliberato alcune modifiche alla statuto e la creazione di due conti speciali di riserva utili,
in cui sono stati trasferiti ingenti fondi che potranno essere distribuiti come dividendo. Il patron di Luxottica,
oltre ad aver sottoscritto tutte le quote di nuova emissione, manterrà anche l'usufrutto e i diritti di voto
sull'intero capitale come aveva in precedenza. Gli unici altri soci restano i sei figli che hanno la sola nuda
proprietà dei titoli Delfin. Quanto alle modifiche statutarie, oltre a delibere sulle modalità di trasferimento dei
titoli e sui quorum dell'assemblea, l'assemblea ha introdotto la possibilità di nominare un massimo di tre
osservatori «fintanto che Leonardo Del Vecchio sarà detentore di più del 50% dei diritti di voto». Gli
osservatori potranno partecipare alle riunioni del cda anche prendendo la parola, ma senza diritto di voto e
potranno subentrare ai gestori in caso di loro dimissioni. L'assemblea ha deciso di destinare 638 milioni di
euro alla Riserva Speciale Privilegiata e 1,477 miliardi alla Riserva Speciale Generale. Lo statuto dispone
inoltre che «nel momento in cui Leonardo Del Vecchio cesserà di avere il 50% dei diritti di voto o di essere
gestore», la società verserà ogni anno un dividendo pari al 10% dell'utile netto entro 20 giorni
dall'approvazione dei conti.
Foto: ANSA
Foto: Leonardo Del Vecchio
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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MANOVRA PER GARANTIRE LA «LEGITTIMA» ALLA MOGLIE NICOLETTA ZAMPILLO
23/11/2014
La Stampa - Ed. nazionale
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LUCA RICOLFI
Ese avesse ragione la Camusso? Nel sollevare il dubbio, lo dico subito, non mi riferisco alle proposte
economiche della Cgil, e tantomeno alla baruffa sull'articolo 18. No, il sospetto che abbia ragione la
Camusso, e torto il governo, mi è venuto su un'unica questione, che però ai miei occhi è anche la più
importante: la situazione del mercato del lavoro e i mezzi per creare nuova occupazione. PAGINA
Cominciamo dal mercato del lavoro. Secondo Renzi negli ultimi sei mesi sono stati creati 153 mila posti di
lavoro, che certo non bastano ma segnalano finalmente un'inversione di tendenza. Secondo i sindacati,
invece, bisogna guardare anche alla qualità dei posti di lavoro, all'andamento della disoccupazione, alle ore
di cassa integrazione. Chi ha ragione? Difficile dirlo con sicurezza, ma il pessimismo sindacale appare più
fondato dell'ottimismo governativo. Secondo l'Istat negli ultimi sei mesi l'occupazione è aumentata, ma di sole
70 mila unità. L'aumento di 153 mila posti di lavoro proclamato da Renzi è solo frutto di un ingenuo trucco
statistico, che gli anglosassoni chiamano cherry picking (scegliersi le ciliegie), ovvero presentare solo i dati
che ci danno ragione: in questo caso confrontare i dati di settembre non con quelli di 6 mesi prima (marzo),
ma con quelli del mese più basso dell'anno (aprile, in questo caso). Si potrebbe obiettare che, se
consideriamo solo le ultime due rilevazioni, ossia agosto e settembre, l'aumento è di 83 mila posti di lavoro,
un risultato decisamente positivo. Ma qui intervengono ben tre controobiezioni dei sindacati. Primo, in attesa
dei dati Istat più analitici, nulla sappiamo della qualità dei nuovi posti di lavoro, e tutto lascia pensare che
l'aumento possa essere dovuto soprattutto alla sostituzione di posti di lavoro full-time con posti di lavoro parttime, una tendenza che non si è mai interrotta negli ultimi 10 anni. Secondo, fra agosto e settembre la
disoccupazione non è affatto diminuita, bensì è aumentata di 48 mila unità. Terzo: sempre fra agosto e
settembre sono esplose le ore di cassa integrazione, e questa tendenza è proseguita fra settembre e ottobre.
Se si convertono le ore di cassa integrazione in posti di lavoro, e si correggono i posti di lavoro nominali con i
posti di lavoro congelati dalla cassa integrazione, si scopre che l'occupazione reale (fatta di posti di lavoro in
cui si lavora) non è aumentata di 83 mila unità ma è diminuita di 145 mila. Il che, forse, spiega l'aumento dei
disoccupati registrato dall'Istat, un dato che ad alcuni è parso in contrasto con l'aumento dell'occupazione.
Primo round: Camusso 1, Renzi 0. Ma passiamo al secondo round. Dice Renzi che «i sindacati passano il
tempo a inventarsi ragioni per fare scioperi, mentre io mi preoccupo di creare posti di lavoro». Susanna
Camusso gli risponde che «se fosse vero che il governo ha intenzione di creare posti di lavoro, le norme che
ci sono nella legge di stabilità rispetto ai precari sarebbero tutte diverse». Sono convinto anch'io che talora i
sindacati scioperino per scioperare, e naturalmente non nutro alcun dubbio sul fatto che Renzi desideri creare
posti di lavoro. Però il punto sollevato dalla Camusso è di sostanza, non di buona o cattiva volontà. La
domanda cruciale non è che cosa sogna Renzi, ma è se le norme varate dal governo, in particolare la
riduzione dei contributi a carico del datore di lavoro prevista dalla Legge di stabilità, siano idonee a creare
nuovi posti di lavoro, dove per «nuovi» si deve intendere posti che senza quelle norme non sarebbero mai
nati. Secondo la Cgil no: se Renzi puntasse davvero a massimizzare i nuovi posti di lavoro, «non
distribuirebbe fondi a pioggia alle imprese, ma li vincolerebbe alle assunzioni». Qui le obiezioni della Cgil
collimano perfettamente con le perplessità degli studiosi, che si possono riassumere in almeno cinque
osservazioni. Primo: la decontribuzione riguarda solo gli assunti nel 2015, quindi non potrà fornire una spinta
permanente all'economia. Secondo: la decontribuzione non richiede all'impresa beneficiaria di aumentare
l'occupazione e quindi, nella maggior parte dei casi, si risolverà in un regalo alle imprese. Terzo: è molto
improbabile che i pochi fondi stanziati per il 2015 (1,9 miliardi) bastino a coprire le richieste, che saranno
tantissime proprio perché nulla si pretende dalle imprese. Quarto: la previsione governativa che i lavoratori
assunti con la nuova formula siano 1 milione implica che i relativi posti di lavoro siano quasi tutti parttime, un
po' come i mini-job alla tedesca (lo sgravio medio preventivato dal governo è di soli 5000 euro per addetto,
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SUL LAVORO IL GOVERNO RISCHIA IL FLOP
23/11/2014
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più o meno quel che paga un datore di lavoro per un assunto part-time). Quinto: proprio perché non può
creare un numero apprezzabile di posti di lavoro addizionali, la decontribuzione governativa non si finanzia da
sé (attraverso l'aumento del Pil generato dai nuovi posti di lavoro), ma richiede ogni anno di essere
rifinanziata, cosa per cui il governo non ha le risorse. Fine del secondo round: Camusso 1, Renzi 0. Arrivati a
questo punto, qualche lettore potrebbe obiettare che è tutto da dimostrare che la decontribuzione prevista dal
governo non produrrà molti posti di lavoro. E allora lasciamo parlare il governo. Nella Legge di stabilità (che è
scritta dal governo, non da me) si prevede che l'impatto complessivo delle decine e decine di misure della
legge stessa sia di appena 40 mila nuovi posti di lavoro. Anche assumendo che tutte le altre misure non
creino un solo posto di lavoro, e che l'intero merito vada alla sola decontribuzione, si tratta di un risultato
davvero modesto. Un risultato che è reso ancora più deludente dalla lettura di quel che la Legge di stabilità
prevede per il lontano 2018: un tasso di occupazione e un tasso di disoccupazione quasi identici a quelli
attuali, con circa 3 milioni di disoccupati. Se queste sono le prospettive, forse non sarebbe male che il
governo, fra un tweet e l'altro, trovasse cinque-minuti-cinque per ascoltare non solo la Cgil ma le tante voci
che, in queste settimane, hanno posto il medesimo problema: la norma prevista dal governo non pare lo
strumento più incisivo per creare veri nuovi posti di lavoro. Ne ha scritto Tito Boeri sul sito lavoce.info, ne
abbiamo parlato noi, come Fondazione Hume e come Stampa, con la proposta del job-Italia, ne ha discusso
Confartigianato pochi giorni fa a Torino, ne ha parlato più volte in pubblico Giorgia Meloni, che sul nodo
fondamentale della «addizionalità» dei posti di lavoro ha anche depositato un emendamento al Jobs Act. Su
una questione come questa, il presidente del Consiglio non può cavarsela con una battuta. Perché, è vero, la
Cgil troppo spesso ha lo sguardo rivolto al passato, ma in questo caso è vero precisamente il contrario: la
battaglia per creare nuovi posti di lavoro è la battaglia cruciale del nostro futuro.
Foto: Illustrazione di Koen Ivens
23/11/2014
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Dimezzati i rimborsi spese ai deputati eletti all'estero "Sì, in effetti erano
troppi..."
Ma Picchi (FI) lamenta: 17,5 mila euro l'anno non mi bastano
DAVID ALLEGRANTI ROMA
Ci sono due tipi di parlamentari eletti all'estero. Uno è sfortunato, l'altro no. Uno siede a Montecitorio, l'altro a
Palazzo Madama. Al primo, dal gennaio 2015, dimezzeranno il fondo per i trasporti all'interno del proprio
collegio (si parla di continenti, non di regioni). Al secondo ancora no, ma c'è già un atto di indirizzo degli uffici
di presidenza che va nella stessa direzione. Paolo Fontanelli, questore della Camera, se la ride: «Sa, al
Senato sono più spendaccioni...». Però ancora reggono. Per i deputati il taglio invece è già stato deciso: da
420 mila a 210 mila euro. Dal prossimo anno, ogni deputato eletto all'estero potrà contare non su 35 mila
euro ma su un tetto massimo di spesa di 17.500. Son tempi di austerità coatta, questi, bisogna pur adattarsi.
Ne sa qualcosa Guglielmo Picchi, fiorentino che vive fra Firenze, Berlino, dove ha la moglie, e Londra, dove
c'è la banca d'investimento per la quale lavora (è in aspettativa). Il taglio gli dispiace non poco. «Io il plafond
l'ho sempre usato fino in fondo, ma non per andare a Creta o alle Baleari. Perché a Londra ci vado. A Berlino,
dove ho moglie e attività politica, ci vado. Come vado a incontrare i miei elettori al quartiere 5 a Firenze, lo
stesso faccio in una pizzeria a Stoccarda». Picchi s'è fatto due conti: con 1400 euro al mese l'Europa non ci
si gira. «Comunque, siccome si deve risparmiare, vorrà dire che io seguirò i miei elettori da gennaio fino a
quando posso. Se a luglio finirò i soldi - a me è capitato di finirli a novembre, poi li mettevo di tasca mia - non
ci andrò più». Il deputato ex M5S, Alessio Tacconi, oggi gruppo misto, quei soldi li ha sempre usati poco.
Massimo 2 o 3 mila euro. «La cifra era effettivamente alta e ti assicurava la tranquillità di poterti muovere
senza problemi. Ma non credo sia un grave problema, almeno per ora». Ben felice del dimezzamento
l'onorevole Gianni Farina, Pd, ex geniere del Genio Civile, è ancora più netto: «Sono d'accordo, anzi ritengo
che il provvedimento sia arrivato in ritardo! Mai usato tutti e 33 mila euro, al massimo 15 mila. In Europa
viaggio con il Tgv francese o con gli Ice tedeschi, con cui si raggiungono tutte le città importanti. Stoccarda,
Francoforte, Berlino». Al Senato c'è solo un atto d'indirizzo, ma basta a creare subbuglio. «Il mio - si
schermisce subito il senatore Claudio Micheloni, Pd - è un collegio di 72 nazioni, che va dalla Groenlandia
alla Siberia. Ha 2 milioni e mezzo di elettori. L'unica differenza fra me e un eletto in Italia è il budget che ci
copre biglietti aerei e altri trasporti». Micheloni, come gli altri, ci tiene a precisare che il fondo non è forfettario,
eh, non ci sono soldi regalati a babbo morto; si viene rimborsati per i viaggi effettivamente fatti. Meglio
spiegarle subito e bene queste cose, ché l'Allarme Casta è in agguato. Micheloni ne vuol parlare con il
presidente del Senato. «C'è un limite a tutto. Un conto è esigere un comportamento ineccepibile dai politici,
un altro attaccare le istituzioni e i mezzi per farle lavorare». Le mille miglia non si toccano. @davidallegranti
Foto: ANSA
Foto: Laura Boldrini Presidente della Camera
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il caso
23/11/2014
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"Ora l'emergenza sono le bonifiche Troveremo i soldi"
Galletti: "Ci sono 34 mila siti inquinati dall'Eternit"
GIACOMO GALEAZZI ROMA
Gianluca Galletti, cosa fa il governo per il caso Eternit? «Il lavoro non comincia oggi: stiamo destinando una
parte dei fondi di coesione territoriale per finanziare un piano settennale di bonifica dei siti. Sono 34 mila
quelli inquinati dall'Eternit: è un'emergenza nazionale. Il caso più emblematico è Casale Monferrato. Ho
incontrato il sindaco a Casale e abbiamo destinato subito 3 milioni per gli interventi più urgenti e altri 15
esclusi dal patto di stabilità. In settimana daremo a Casale un altromilione». E per l'emergenza Ilva? «Col
decreto sulla terra dei fuochi diventa obbligatorio utilizzare per il risanamento i fondi sequestrati alla famiglia
Riva. Il commissario Gnudi ha ottenuto dal tribunale di Milano lo sblocco di 1,2 miliardi ma il piano ambientale
dell'area costa di più, quindi la differenza sarà a carico di chi compra lo stabilimento ». L'Italia frana. È colpa
della Merkel e dell'austerity europea semancanoi fondiper il dissestoidrogeologico? «Non si possono dare
sempre tuttelecolpeall'Europa.Èfacile e ci solleva da responsabilità interne. Sul dissesto gran parte della
colpa è della burocrazia e dei ricorsi allagiustizia amministrativa. Permettere in sicurezza il territorio, abbiamo
trovato già stanziati, ma non spesi, 2,3 miliardi. Con un miliardo sono stati avviati i cantieri, il resto
verràspesoentrounanno.Sulle emergenze nazionali non vogliamo essere il governo del giorno dopo, ma del
giorno prima. Non è colpa della politica Ue del rigore se le nostre regole ambientalivannosemplificate». È
colpadegli ambientalisti? «Ci accusano di aver ridotto le regole. Ma troppe regole danneggiano l'ambiente e
c'era troppa confusione di responsabilità. Ora, per decreto, i presidenti di regione sono diventati commissari
straordinari per la messa in sicurezza del territorio e possono avviare i lavori con un'unica autorizzazione,
senza chiedere i permessi alle sovrintendenze e alle autorità di bacino. Abbiamo semplificato la giustizia
amministrativa: i ricorsi non possono fermare le opere necessarie all'incolumità pubblica. I soldi li abbiamo.
Non è l'Ue che ci blocca». Dove trova i soldi? «Con i fondi di coesione territoriale abbiamo 5 miliardi in sette
anni. In più ci sono due miliardi di cofinanziamento delle regioni e i 110 milioni esclusi dal patto di stabilità
attraverso il decreto sblocca Italia che andranno a Genova, Milano e alle altre città colpite. Opere
indispensabili e ambiente non sono in conflitto. L'ambiente è motore di sviluppo. Dopo la valutazione
d'impatto ambientale positiva, non ci debbono essere più ostacoli alla realizzazione delle opere. Vale per la
Tav cosi come per la Tap. Hanno avuto il "nulla osta" ambientale». E le case nell'area•Vesuvio? «Come
ministro dell'Ambiente prendo impegni e trovo risorse, ma è tutto inutile se non c'è rispetto del territorio. Non
faremo mai quei condoni edilizi che sono tentati omicidi contro le persone e l'ambiente. Col collegato
ambientale approvato dalla Camera e ora al Senato si danno 10 milioni di euro ai comuni per le demolizioni
degli edifici in territori a rischio. I comuni fanno le ordinanze di demolizione ma non hanno i soldi per
eseguirle. Se il Parlamento è d'accordo, diamo subito 10 milioni ai comuni già nella legge di stabilità. Ma i
comuni non devono più rilasciare licenze edilizie in zone a rischio. I piani urbanistici devono cementificare e
consumare suolo il meno possibile. Anche le Regioni devono destinare risorse e programmare interventi
immediati. I cittadini devono tenere pulito il giardino e non costruire abusivamente in zone a rischio come
l'alveo di un fiume». C'è troppo spreco alimentare? «Sì. In Europa ogni anno si sprecano 100 tonnellate di
cibo. E molte milioni di persone nel mondo sono denutrite. Quando buttiamo via il cibo, non lo sappiamo, ma
danneggiamo gravemente l'ambiente. Perché per produrre cibo si utilizza acqua, energia. Si consumano beni
non infiniti. Domani a Bologna il governo si impegna a fare azioni concrete per fermare lo spreco alimentare e
per concordare azioni comuni tra gli Stati europei».
Ha detto
Obbligatorio utilizzare per il risanamento i fondi sequestrati alla famiglia Riva Il caso Ilva
Il dissesto idrogeologico
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Intervista IL MINISTRO DELL' AMBIENTE
23/11/2014
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Più che dell'Ue, gran parte della colpa è della burocrazia e dei ricorsi giudiziari
Foto: Impegno
Foto: Gianluca Galletti (Udc), ministro dell'Ambiente, ha sostituito Andrea Orlando del Pd
Foto: Il rudere dello stabilimento Eternit a Casale Monferrato
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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24/11/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 22
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Terni, gli operai tornano al lavoro
Mercoledì il rientro in fabbrica di alcuni reparti. I sindacati: atto di responsabilità, ora avanti con la trattativa Il
nodo dei dipendenti delle ditte esterne La tensione resta alta e oggi arriva Landini
PAOLO BARONI ROMA
È un segno di disponibilità, ma certo non un cedimento. Perchè dopo oltre 30 giorni di sciopero ad oltranza la
guardia resta comunque alta. E a Terni ci tengono a precisare che la decisone è stata presa «non a seguito
delle molteplici sollecitazioni di chi non è parte attiva di questo negoziato, ma ragionata esclusivamente dalle
organizzazioni sindacali metalmeccaniche insieme alle Rsu come atto di responsabilità rispetto alla ripresa
del negoziato». E così all'Ast, dopo l'assemblea di ieri mattina, hanno deciso di «rimodulare» la protesta:
sciopero e presidi dureranno sino a dopodomani, giorno fissato per un nuovo incontro (finalmente decisivo?)
al ministero dello Sviluppo, quindi si procederà con un progressivo rientro al lavoro. L'attività della Acciai
Speciali Terni riprenderà mercoledì mattina alle 6, ma solo in alcuni reparti, ed andrà a regime a partire dal
primo dicembre a patto che a Roma la trattativa faccia progressi. Rimangono «attivi» i presidi in uscita dalle
portinerie, mentre viene sospeso quello in comune. Ieri a Terni non sono mancati momenti di tensione. C'è
stata anche una assemblea di autoconvocati, poche decine di persone delle ditte esterne, che proponevano
un rientro incondizionato in fabbrica. Una «fuga in avanti» subito arginata dagli operai che presidiavano gli
ingressi dello stabilimento con i quali c'è stato un dibattito molto «vivace». La nota delle segreterie provinciali
di Fim, Fiom, Uilm, Fismic, e Ugl nega ogni influenza esterna, ma di fatto con la decisione maturata ieri viene
incontro alle richieste del governo che la scorsa settimana, con una nota del ministero dello Sviluppo, aveva
espresso preoccupazione per lo sciopero ad oltranza della Thyssen a fronte dell'evoluzione positiva della
vertenza e della disponibilità, confermata dall'azienda, a modificare a fondo il piano industriale. Per questo si
sollecitavano «forme di lotta più coerenti con lo stadio raggiunto dal negoziato, tali da ridurre finalmente i costi
sopportati dai dipendenti e dalle loro famiglie, nonché tali da evitare il rischio grave di compromettere il futuro
di Terni sui mercati di riferimento». Sabato poi era stato il sottosegretario al Lavoro Teresa Bellanova a
rinnovare l'invito chiedendo di rimodulare le forme di lotta. Richiesta alla fine accettata, anche se a Terni
(dove oggi arriva il leader della Fiom Maurizio Landini per un confronto a porte chiuse con gli iscritti del suo
sindacato) la tensione resta molto alta. I sindacati, tra l'altro, contestano l'ennesimo «comunicato aziendale
affisso alle portinerie» qualche notte fa a firma dell'ad, Lucia Morselli, col quale l'Ast confermava «l'intenzione
di mantenere l'integrità del sito escludendo qualsiasi ipotesi di smantellamento di impianti». Una nota
considerata dai sindacati «elemento di disturbo e di ulteriore frizione tra i lavoratori». Detto questo, i passi
avanti fatti nelle ultime settimane sono evidenti, sia sul fronte degli investimenti (170 milioni in 4 anni, col
trasferimento della linea a freddo di Torino), della produzione (2 forni attivi ed almeno 1 milione di tonnellate
di acciaio fuso), come in tema di esuberi, scesi dai 550 del piano presentato a luglio a 291 e quindi a meno di
100, visto che altri 200 hanno accettato gli incentivi all'esodo. Resta il nodo del personale delle ditte esterne:
l'azienda non ne vuole sapere di prevedere per loro una specifica clausola di salvaguardia e questo fa dire
alla Cgil di Terni che l'accordo sulla Ast interessa «complessivamente il sito di Viale Brin». Insomma, fin che
se non si chiude pure sull'indotto non si firma.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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DOPO 30 GIORNI DI SCIOPERO AD OLTRANZA, I LAVORATORI RIMODULANO LA PROTESTA FINO A
INIZIO DICEMBRE. MA ALCUNI PRESIDI SONO ANCORA ATTIVI
24/11/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.39 - 24 novembre 2014
Pag. 1
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Federico Fubini
Èsuonato l'appello per una gara che aspettava da tempo di partire: due grandi nomi dell'industria italiana
prendono posizione per presentare (eventualmente) un'offerta sull'Ilva. I gruppi sono Arvedi e Marcegaglia e
per entrambi non manca la logica di un passo del genere nell'acciaio. Entrambi però sembrano volersi
muovere solo al riparo di un compagno dalle spalle più larghe. Marcegaglia lavora con il leader mondiale del
settore, gli indiani di ArcelorMittal; Arvedi pensa all'ipotesi di allearsi con la Cdp. Comunque finisca, la
vicenda solleva un paio di questioni che vanno oltre il destino dell'Ilva e dei suoi pretendenti. La prima
riguarda la fiducia degli imprenditori italiani nel futuro del loro Paese, la seconda la loro capacità di trovare
una via per uscire dal labirinto nel quale si sono cacciati. Se infatti si guardano le serie recenti sui
precedessori di Marcegaglia e Arvedi, cioè sui gruppi protagonisti di acquisizioni in Italia, il bilancio è magro in
modo stupefacente. Delle 28 maggiori operazioni dal 2012 ad oggi, in ben 18 casi il compratore era straniero:
dai cinesi nelle infrastrutture dell'energia agli svedesi nella farmaceutica, ai francesi e qatarini nella moda, ai
tedeschi nelle motociclette, fino ai russi in vari settori. Delle restanti dieci operazioni tutte italiane, cinque
hanno visto come protagonista la Cassa depositi e prestiti, che vede nel suo consiglio la stragrande
maggioranza di rappresentanti dell'azionista di controllo: il governo. Solo quattro operazioni su 28 sono
acquisizioni di capitalisti italiani in Italia. Si direbbe che essi per primi abbiano smesso di credere nel loro
Paese. Queste quattro operazioni tutte italiane e private sono peraltro concentrate in settori i cui prodotti non
si possono commerciare attraverso i confini internazionali: nell'immobiliare Generali ha riscattato la quota del
complesso CityLife che non possedeva già, nelle costruzioni Salini ha preso il controllo di Impregilo, per il
resto si sono viste operazioni su monopoli naturali (o meno) come gli aeroporti o le società di rete locali.
Niente a che fare con la voglia di inventare, innovare, investire, affrontare concorrenti culturalmente diversi te.
Una notevole mancanza di eroismo, si direbbe. C'è un'altra lettura di questo fenomeno e riguarda la seconda
questione, quella sulle vie per uscire dalla palude. Poiché hanno un debito cumulato attorno al 130% del Pil,
le imprese non finanziarie italiane sono più fragili delle concorrenti europee. Hanno meno capitale e più debiti.
La progressione di scalate e acquisizioni dall'estero negli ultimi anni somiglia a una grande operazione di
scambio di debiti italiani per capitale internazionale. Chi acquista da fuori, mette i soldi e si porta in casa
propria i problemi di qui. Non vellicherà gli istinti dei più nazionalisti, ma è un passaggio necessario se si
vuole che questo Paese, prima o poi, sia finanziariamente risanato.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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POCA FIDUCIA E CAPITALI IL PAESE NELLA PALUDE
24/11/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.39 - 24 novembre 2014
Pag. 1
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Un trattato transatlantico su misura dell'America
Marcello De Cecco
L'integrazione economica tra le due sponde dell'Atlantico è un vecchio progetto, vecchio almeno quanto la
formazione della Unione europea. Io stesso, molti anni fa, ho scritto un articolo auspicandone la
realizzazione. Ognuno naturalmente ne ha una visione propria. Ad esempio, se ne può auspicare la nascita
per meglio contrastare la crescente supremazia economica della Cina e in generale dell'Asia orientale. O
anche si può considerarne il potenziale di contrasto della rinascita russa e specialmente della integrazione tra
Russia e Cina. L'ultima versione, conosciuta col nome di Ttip, Transatlantic trade and investment partnership,
si pone come obiettivo, nemmeno troppo nascosto, di fungere da veicolo, a profitto delle grandi imprese
europee e specialmente americane, per indebolire definitivamente le strutture dello stato sociale e della
regolazione dei mercati da parte degli Stati. E' un progetto che parte, per iniziativa del Commissario de Gucht
e della rappresentanza a Bruxelles degli Usa, nel 2011. Ma parte, nella presente temperie di contrasti tra
Europa e Stati Uniti e in particolare tra Stati Uniti e Germania, con il piede sbagliato, in una atmosfera di
segretezza e non trasparenza. segue a pagina 10 segue dalla prima Il primo risultato di questa falsa partenza
è di suscitare contro il progetto l'ostilità dell'opinione pubblica europea, preoccupata del crescente deficit di
democrazia che sta avvolgendo l'Europa e della possibilità che il nuovo partenariato serva specialmente a
indebolire gli apparati apprestati per assicurare il massimo rispetto dell'ambiente e la massima limitazione
delle trasformazioni genetiche dei prodotti naturali. La prospettata unione euroamericna, infatti, farebbe
aumentare assai poco sia il commercio totale che specialmente il Pil delle parti contraenti, e quel poco solo
nel lungo periodo. Questo a detta persino degli studi di parte condotti per promuovere l'iniziativa. Il progetto,
nato male, non riesce a fare molta strada prima di suscitare una rivolta, non generalizzata, ma sotto forma di
ostilità da parte di gruppi di attivisti nel campo della protezione sociale e biologica, delle norme di protezione
del lavoro e dell'ambiente. Fanno clamore rivelazioni come quella, specialmente efficace sulla opinione
pubblica tedesca, dell'ammissibilità in Germania, se il partenariato sarà realizzato, di prodotti americani come
i polli disinfettati con il cloro, pratica comune dei produttori statunitensi per impedire l'infestazione delle
carcasse mentre viaggiano dagli allevamenti d'oltreoceano al consumatore europeo. Sembra una campagna
anti-americana, l'ennesima rivolta dopo quelle causate dalle rivelazioni sulle intercettazioni della Nsa dei
telefoni della Merkel. A spingere per la realizzazione del nuovo partenariato sono le associazioni industriali
europee, che vedono in esso un cavallo di Troia contro gli eccessi di regolamentazione degli stati nazionali
La Confindustria tedesca emette dichiarazioni dall'esplicito tenore favorevole. Il suo presidente Ulrich Grillo
dice che gli europei hanno da imparare dagli americani nel campo della difesa dei consumatori e dei prodotti
naturali. Ma qualche giorno prima la signora Merkel aveva dichiarato che mai avrebbe permesso che ai
tedeschi fossero dati da mangiare polli al cloro. Quel che è letale per il partenariato, il cui negoziato
dovrebbe, secondo quanto deciso dal Congresso Usa, concludersi a fine 2015, è la inclusione proditoria nel
negoziato e quindi nel Trattato, di una sezione dedicata a una rivoluzione nelle procedure usate per risolvere i
contenziosi tra privati e Stati. In tale sezione, Individual State Dispute Settlement, si ammette la possibilità
che gli Stati possano essere chiamati in giudizio, davanti a corti arbitrali di tre membri, appositamente formate
da specialisti del diritto commerciale internazionale, da individui e società che si ritengono danneggiati da
divieti imposti a loro comportamenti da parte degli stati stessi, nella ipotesi che tali comportamenti statali
abbiano causato loro danni anche solo di riduzione dei profitti attesi dalle attività interrotte o ridotte. Si tratta,
come si capisce bene, di una innovazione giuridica che serve a limitare drasticamente la sovranità degli stati,
favorendo ad esempio grandi società multinazionali, che non esiterebbero a chiamare in giudizio, davanti alle
già dette corti arbitrali, gli stati invadendo la sovranità giuridica che essi hanno sui propri territori. Non si
capisce come abbiano potuto, i fautori del Trp, come lo si designava all'inizio, aggiungere la "I" all'acronimo, e
cioè la sezione relativa alle dispute tra stati e individui, pensando di riuscire a far passare una modifica tanto
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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[ IL COMMENTO ]
24/11/2014
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radicale dell'assetto del diritto internazionale che prevale da parecchi secoli, e da quasi due millenni di
tradizione giuridica europea. Proprio l'aggiunta della sezione sugli investimenti e sulle dispute ad essi relative
è bastata a far condannare l'intero progetto anche da parte di coloro che erano favorevoli ad esso. I
socialdemocratici tedeschi che per bocca del ministro dell'economia, Sigmar Gabriel, hanno reiterato il favore
di massima ma qualificandolo con clausole di grande prudenza. Così, a difendere il tentativo di "aprire"
l'assetto chiuso del welfare state europeo, dominato da entità nazionali non dedicate a fini di lucro, sono
rimasti in pochi. Essenzialmente quelli che avevano avuto l'idea e l'avevano promossa attivamente, i governi
degli Stati Uniti e del Regno Unito. Entrambi sono rappresentanti di interessi forti, come quelli degli
intermediari finanziari internazionali, che hanno visto la loro libertà di azione ridotta da interventi legislativi e
amministrativi dopo la crisi. Anche parecchie multinazionali industriali di origine anglo-americana si
avvantaggerebbero della riduzione delle regole sui mercati europei come strumento di ulteriore penetrazione
organica in tali mercati, dato che il futuro non sembra offrire loro prospettive favorevoli in altre aree
dell'economia mondiale, come quella asiatica, assai meno aperta alle loro incursioni. A coronare il cambio di
atteggiamento dei governi dell'Europa continentale è giunta la dichiarazione del ministro francese per il
commercio estero, Mathias Fekl: allineandosi ai socialdemocratici tedeschi, ha detto di non aspettarsi che il
governo francese porti al proprio parlamento una proposta di Trattato Transatlantico che includa la sezione
sulla risoluzione delle dispute tra individui e Stato. L'ultima parola per ora è venuta da Jean Claude Juncker,
che ha affermato che in materia tanto delicata gli organi di decisione europei non permetteranno che nessuno
tenti di forzare loro la mano. La montagna, dunque, con buona pace di inglesi e americani, partorirà un
topolino e forse nemmeno quello.
24/11/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.39 - 24 novembre 2014
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Greco (Generali) "Avremo più profitti dalle filiali europee"
Paolo Possamai
Greco (Generali) "Avremo più profitti dalle filiali europee" a pagina 17 Dove vanno le Generali in cerca di
nuovi profitti il leader lo ha voluto visualizzare. Mario Greco, all' investor day convocato a Londra la settimana
scorsa, ha voluto accanto a sé i responsabili della Compagnia per la Germania, la Francia e i Paesi dell'Est
Europa. Da questi countries , Greco promette agli azionisti di trarre maggiore efficienza e dunque redditività
aggiuntiva rispetto ai 4,1 miliardi di risultato operativo maturato nel 2013 e atteso per il 2014 alla soglia di 4,7
miliardi secondo il consensus degli analisti (2,89 miliardi nel ramo vita e 1,94 miliardi ramo danni). Da qui in
primis passa lo sviluppo. Ma alla crescita degli utili dovrà dare un contributo pesante pure la leva dei costi,
posto che a Londra è stato ribadito il target di risparmi per 750 milioni nel 2015 e un miliardo l'anno appresso
(raddoppiando rispetto al dato 2014). E in termini di strumenti, particolare enfasi è stata posta sul canale di
vendita diretta e sulla digitalizzazione. La strategia di crescita è nuova e, a un tempo, pienamente inserita
nella storia di Generali, nata nel 1831 a Trieste, quand'era il maggior porto dell'impero asburgico, e dall'anno
seguente presente con proprie sedi a Vienna, Praga, Budapest, Milano, Venezia, Marsiglia, Bordeaux. Non
dai risultati del Vietnam o dell'America Latina, quanto meno nel medio periodo, potranno essere soddisfatti gli
investitori, ma piuttosto da un allineamento delle perfomances di Germania, Francia, Est Europa all'exploit
dell'Italia. Italia prima della classe. Vero che ogni paese ha caratteristiche proprie, differenti abitudini dei
consumatori, diversi tassi di interesse. Ma balza all'occhio che l'Italia pesi per il 42% del risultato operativo
(avendo il 30% del totale dei premi), mentre la Germania vale il 14% (ma in termini di premi la percentuale è
pressoché al doppio), la Francia il 12% (i premi sono tra il 16 e il 19% negli ultimi anni). Un caso a sé consiste
nei Paesi dell'Est Europa, che costituiscono appena il 6% della raccolta totale e però l'11% in termini di
redditività. Su tale versante Generali è tornata in forze dal 2007 tramite la joint venture con Ppf, di cui rileverà
entro la fine dell'anno la totalità delle quote con un versamento a saldo di 1,3 miliardi di euro. In una manciata
d'anni, la Nuova Europa è diventata il quarto mercato per il gruppo di Trieste con 3,5 miliardi di premi, 11
milioni di clienti, mentre all'88% è attestato l'indice combined ratio . Ma a rileggere la storia, Ungheria e
Cecoslovacchia, Germania dell'Est e Jugoslavia, Romania e Bulgaria rientrano a pieno titolo nei mercati
domestici di Generali fin dai suoi primordi e solo gli esiti nefasti per l'Italia del secondo conflitto mondiale e le
nazionalizzazioni dei regimi comunisti avevano cancellato le insegne del Leone a quelle latitudini. In qualche
modo, la rapidità della ripresa del business ha a che fare con la profondità delle radici e con una leadership
secolare della Compagnia. "Adesso dobbiamo crescere di più in Polonia" è il target principale secondo
Luciano Cirinà, top manager per l'area Cee. Dell'Italia, presentando la semestrale nel luglio scorso, Greco ha
detto semplicemente "stiamo facendo un capolavoro". Il riferimento era al grande cantiere di fusione di 5
diverse compagnie, alla riduzione dei marchi da 10 a 3, al recupero di quote di mercato in atto (+20% nel
ramo Vita). E al benchmark dell'Italia - affidata alle cure del ceo Philip Donnet - devono dunque tendere gli
altri paesi. In particolare, è attesa a una svolta la Francia. E non per nulla Eric Lombard, direttore generale di
Generali France, sostiene che "ci troviamo di nuovo in una dinamica di conquista". Difatti, dopo che tra 2009
e 2013 la compagnia del Leone ha perso 5 miliardi di premi, quest'anno invertirà la tendenza e "l'obiettivo è
adesso di crescere in un mercato francese che non cresce". Secondo Lombard, "la priorità è di ridurre il tasso
di rescissione dei contratti", che è più elevato della media in primis per una questione di tariffe. In Germania,
dove il Leone è numero due a casa di Allianz e dove a tenere il timone è Dieter Meister, la chiave di volta
dello sviluppo sta dentro il processo di digitalizzazione delle polizze (che non è sfida da poco conto, dato il
ruolo che nei consumi online stanno avendo competitors nuovi come Google o Amazon). Prossimo
appuntamento il 27 maggio a Londra con il nuovo piano industriale, poiché - per dirla con le parole di Greco "con disciplina, semplicità e focus" sono stati centrati con un anno di anticipo obiettivi fissati per il 2015 "che
molti ritenevano impossibili e visionari". Vale a dire un Roe operativo al 13%, un indice Solvency I superiore
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[ IL CASO ]
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La Repubblica - Affari Finanza - N.39 - 24 novembre 2014
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al 160%, la generazione di 2 miliardi di free surplus capital , il piano del taglio ai costi. Di qui viene
l'abbandono del vincolo a non distribuire un monte dividendi superiore al 40% dell'utile netto. Il Ceo insiste
spesso sul tema della "semplificazione": in questo caso intende dire che, sfrondando l'albero di Generali da
tanti rami di partecipazioni non strategiche (vendite che hanno fruttato 3,7 miliardi), è emerso con nettezza il
core business e quali sono gli obiettivi cui dedicare gli investimenti e da cui attendere remunerazione. Qui
viene in causa il focus sull'Europa, sapendo che - per affermare in posizioni di leadership Generali in aree
vaste e complesse come per esempio il Far East - occorrerebbe una massa di investimenti incompatibile con
la natura della Compagnia (e un arco temporale assai ampio). Non ne deriva, ovviamente, alcun disimpegno
rispetto ai mercati lontani ma la consapevolezza che il loro peso relativo è e resterà contenuto. GENERALI
POSTEVITA INTESA SANPAOLO UNIPOLSAI GENERALI ALLIANZ
Foto: Qui sopra, Mario Greco , ceo di Assicurazioni Generali Un contributo all'efficienza del gruppo verrà dai
paesi esteri
24/11/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.39 - 24 novembre 2014
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Dai banchi al posto in azienda la filiera bocciata e da ricostruire
UNA RICERCA FIRMATA DA MCKINSEY & COMPANY E UN'INDAGINE OPERA DELLA COMMISSIONE
UE ADDEBITANO L'ALTO TASSO DI DISOCCUPAZIONE A CRISI, ABBANDONI SCOLASTICI,
DISATTENZIONE A VOCAZIONI E SBOCCHI PROFESSIONALI. ECCO IL PIANO PER LA SVOLTA
Christian Benna
Il lavoro in Italia finisce dietro la lavagna. E questa volta la tirata d'orecchie non ha niente a che vedere con
articolo 18, burocrazia, pressione fiscale e urgenza di investimenti per rilanciare il sistema paese. Perché nei
giorni in cui piovono a raffica le statistiche che ci inchiodano a una disoccupazione ormai fuori dagli argini dei
paesi avanzati (12,6% risulta senza lavoro, il 42,5% dei giovani a spasso), escono due ricerche che bocciano
il nostro sistema scolastico. E sarebbe proprio lì, nelle aule di scuole e università, che l'Italia si gioca
(malissimo) la partita dell'occupazione, e quindi della ripresa. A ragionare intorno a questi temi ci sono una
ricerca firmata da McKinsey & Company e un'indagine dalla Commissione Europea. L'Education and training
Monitor 2014, l'analisi targata Ue, lascia poco spazio ai dubbi. Solo il 22% dei ragazzi italiani, nell'età
compresa tra 30 e 34 anni, ha un'educazione superiore, e si tratta di una delle percentuali più basse di tutta
l'Unione, dove la media viaggia intorno al 36%. Si abbandona quindi la scuola troppo presto. E quello che è
più grave è un sistema scolastico privo di veri percorsi "vocazionali". Mancano del tutto - o sono piuttosto
fragili - i ponti tra mondo educativo e quello del lavoro. I giovani che escono dal percorso di studi si trovano
spaesati in un'economia in affanno che ha bisogno di professionalità precise e ben specializzate. L'Ue invita a
osservare i passi avanti compiuti in Germania dove l'apprendistato comincia già a scuola con seminari e
stage avviati già nel periodo di studio. La ricerca c o n d o t t a d a McKinsey suggerisce già dal titolo lo
scenario di riferimento: "Studio ergo Lavoro". In base a questa indagine, la probabilità per un giovane italiano
sotto i 30 anni di essere disoccupato risulta essere 3,5 volte superiore alla popolazione adulta (la media
europea si attesta a 2). E il dato allarmante è che dal 2007 al 2013 il tasso di disoccupazione under 30 è
raddoppiato: passando al 15 al 28%, con punte di oltre il 40% sotto i 24 anni. Per la società di consulenza, le
cause della disoccupazione giovanile sono solo in parte riconducibili alla crisi economica. Infatti il 40% degli
under 30 senza lavoro sconta il deficit strutturale del sistema paese, e soprattutto nel dialogo quasi assente
tra educazione e mondo del lavoro. Il che risulta evidente se si prende in considerazione che nel 2012, nel
pieno della crisi, per il 16% dei posti ricercati dalle imprese (65 mila posti di lavoro), è stato difficile trovare
personale qualificato. In particolare, stando a un sondaggio Istat, risultano poco reperibili figure molto
richieste dal mercato come diplomati commerciali e tecnici nelle telecomunicazioni e nel legno mobile e
arredamento, installatori di impianti idraulici, ma anche laureati specializzati come progettisti informatici ed
elettronici. Come sottolineato dal report della Commissione Ue, l'Italia sforna pochi laureati. E quelli che ha, il
Paese non riesce a utilizzarli al meglio. Non contribuisce il tessuto produttivo fatto di piccole e medie imprese,
perlopiù a basso tasso tecnologico. Sono tre le cause individuate da McKinsey all'origine della difficile
transizione dei giovani dalla scuola al mondo del lavoro: sbilanciamento quantitativo tra domanda delle
imprese e scelte dei giovani; carenza di competenze adeguate ai bisogni del sistema economico; inefficacia
dei canali di supporto alla ricerca del lavoro. Insomma c'è un gap da colmare, per superare il disallineamento
tra tessuto produttivo, in difficoltà ma in trasformazione, e domanda di lavoro. Perché, se il dibattito degli
ultimi anni si è concentrato su riforma del lavoro e della previdenza, alleggerimento del carico fiscale,
sostegno all'innovazione e agli investimenti, secondo gli analisti McKinsey occorre fare di più a partire proprio
dalla scuola. La scelta dell'università ad esempio in Italia non è correlata alla possibilità di impiego. Il 66%
delle matricole risponde di scegliere un corso di laurea seguendo le inclinazioni personali, e solo in seconda
battuta, pensando a un futuro lavorativo. Giovani sprovveduti o forse troppo realisti. Infatti il 42% dei diplomati
dichiara di trovare lavoro attraverso amici e parenti, mentre la quota scende al 23% se parliamo di laureati.
Insomma, università e scuola non sono canali efficienti per la ricerca di un lavoro. Siamo in netto ritardo con il
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Milano
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resto d'Europa. Ma nulla è perduto. Perché basterebbe intervenire, migliorando, la filiera formazione-lavoro. Il
piano d'intervento elaborato dalla società di consulenza - organizzato in 6 aree di azione e 16 iniziative prevede una stretta collaborazione tra pubblico e privato. Intanto è necessario individuare le priorità di
sviluppo dell'offerta formativa, con riferimento ai settori economici più promettenti; quindi indirizzi chiari per
scuole e università, erogando i fondi pubblici a chi si allinea, e rivedere, invece, i corsi di laurea a numero
chiuso, come medicina, dove la domanda è molto alta. Serve inoltre potenziare gli istituti tecnici e orientarli in
base alle esigenze dei distretti industriali; sviluppare nei territori aree formative vicine alle tipicità dei tessuti
produttivi locali, incentivare le università a pubblicare il tasso di job placement dei proprio ex alunni;
organizzare campagne informative rivolte a giovani e imprese sugli sbocchi lavorativi offerti dalle scuole e
favorire occasioni di apprendimento pratico per i giovani durante il periodo scolastico. FONTE ANALISI
MCKINSEY [ IL QR CODE ] Grazie al Qr Code qui sopra potrai accedere direttamente alla pagina web
dedicata alle aziende inserzioniste. Se non sei già in possesso di un lettore Qr Code sul tuo smartphone o
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Foto: In Italia
Foto: disoccupazione fuori dagli argini: 12,6% il totale, 42,5% tra i giovani
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Corriere Economia - N.39 - 24 novembre 2014
Pag. 1
Quella tassa nascosta che sta mangiando le buste paga di tutti
MASSIMO FRACARO E NICOLA SALDUTTI
Autunno 2006, il governo Prodi innalza le aliquote Irpef. Da allora sono passati 8 anni e si sono succeduti 4
governi. Ma la curva delle aliquote Irpef è ancora la stessa. Nessuno è mai riuscito ad appiattire quegli
scaglioni, fin troppo ripidi. E, quella che dovrebbe essere la madre delle riforme fiscali, tagliare le tasse sui
redditi, è scomparsa dalla discussione politica. E non è un problema da poco. Perché da allora i redditi si
sono gonfiati (poco per la verità), ma, visto che il nostro sistema è progressivo, la gran parte di questi aumenti
è andata a sfamare l'appetito del Fisco. E' la peggiore delle tasse, quella sull'inflazione. Nel 2007 un operaio
di buon livello arrivava a guadagnare 20.864 euro lordi l'anno. Pagati i contributi, l'Irpef e l'Ici ne poteva
spendere 17.522. Tenendo conto dell'inflazione, ora quel reddito è salito a 24.364 euro. In tasca all'operaio
ne restano però solo 20.597 (se si tiene conto del bonus Renzi, 19.959 senza). Il suo reddito è aumentato di
3.500 euro, quello disponibile di 3.077 ( ma solo di 2.437 senza il bonus di 80 euro al mese). E le cose vanno
peggio per il ceto medio: un quadro guadagnava 41.655 euro e gliene restavano in tasca 28.381. Ora il suo
reddito nominale è salito a 48.644 euro (più 6.989), quello disponibile a 31.993: quasi la metà degli aumenti di
stipendio è stata incamerata dallo Stato e dagli enti locali. Senza grandi risultati, dato che nel 2007 il rapporto
debito pubblico/Pil era a quota 103%. Ora siamo al 133% (è vero che la crisi ha inciso, ma senza l'aumento
delle tasse dove saremmo adesso?). Il 2014 che si avvia alla conclusione, secondo i calcoli della Cgia di
Mestre, è stato, per la prima volta dopo tanto tempo, un anno positivo. Il saldo tra nuove tasse e riduzioni
fiscali è positivo per oltre 3 miliardi e a beneficiarne saranno soprattutto i redditi medio bassi, come è giusto,
grazie al bonus di 80 euro. Altre importanti misure arriveranno nel 2015 sul fronte dell'Irap. Prendiamoli come
buoni auspici. Ma l'Irpef, senza correttivi, continuerà a mordere. Anno dopo anno saremo destinati a una
continua, inesorabile spremitura.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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IL PUNTO
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Corriere Economia - N.39 - 24 novembre 2014
Pag. 1
Sicurezza, scuole e periferie «Un piano salva cantieri L'edilizia non può
attendere»
A pagina 15 BUZZETTI, PRESIDENTE DEI COSTRUTTORI
Quando si parla di costruzioni è davvero difficile vedere il bicchiere mezzo pieno. Vestire la realtà con un
abito meno severo? Il presidente di Ance, Paolo Buzzetti, non ci prova nemmeno. Meglio guardare in faccia
le cose come stanno.
Riconoscerà almeno che Expo ha dato una boccata di ossigeno alle imprese delle costruzioni.
«La verità è che ci si aspettava tantissimo. Forse troppo. Dal punto di vista del fatturato Expo non ha
cambiato le prospettive delle nostre aziende».
Togliamoci il pensiero: quale è il bollettino della crisi nel settore?
«Nella filiera abbiamo perso 800 mila posti di lavoro. Erano 3 milioni prima della crisi. Mentre sono 15 mila le
aziende fallite. Veda lei».
Sì, ma gli imprenditori delle costruzioni non stanno rilanciando. Gli investimenti sono al lumicino.
«Gli investimenti sono diminuiti del 47% dal 2011 a oggi».
Appunto.
«Dall'inizio della crisi 116 miliardi di finanziamenti in meno dalle banche. Senza ossigeno è difficile investire».
Banche capro espiatorio di ogni male.
«Non è solo il problema del credito. C'è anche che la tassazione sulla casa è aumentata del 200% dal 2011 a
oggi. Le nostre aziende hanno perso 58 miliardi di fatturato. E poi...».
Le infrastrutture.
«Appunto. Il governo aumenta la spesa corrente del 3-4% a fronte di una diminuzione degli investimenti in
infrastrutture».
Yoram Gutgeld, consulente economico del presidente del Consiglio, dice che l'Italia in passato ha investito in
infrastrutture più della Germania. Ma questo non ha risollevato il Paese.
«Serve un piano Marshall per le infrastrutture. Se l'Italia vuole uscire dalla crisi è dall'edilizia che bisogna
ripartire».
Al di là della crisi, il dissesto dei territori sfida le costruzioni a proporsi in modo nuovo. Meno villette a schiera,
più ristrutturazioni.
«Su questo non c'è dubbio. E noi lo abbiamo detto per primi. "Riqualificazione": ecco la parola chiave.
Bisogna passare dal consumo di suolo alla rimessa a nuovo degli edifici con criteri di efficienza energetica. È
chiaro che per fare questo il governo dovrebbe mettere a disposizione sgravi fiscali adeguati».
Il governo ha già mobilitato fondi per la ristrutturazione delle scuole. Come è andata?
«Di fatto le risorse disponibili hanno consentito solo pochi interventi di massima urgenza. Gli edifici da rifare,
magari perché si trovano in territori a rischio sismico, sono ancora 15 mila».
Anche qui servirebbero risorse pubbliche che non ci sono.
«Bisogna fare delle scelte. Credo che le scuole dei nostri figli possano essere una priorità».
C'entrano anche le condizioni di degrado edilizio nella deriva sociale delle periferie delle grandi città?
«Certo che sì. Facciamo come in Francia, dove si sceglie un quartiere che ha bisogno urgente risanamento e
lì si parte da scuole e ospedali. Ci sono 62 miliardi di fondi strutturali Ue da utilizzare. Aggiungiamo risorse
pubbliche nostre e proviamo a cambiare la faccia delle nostre città».
Quanto è difficile fare rappresentanza ai tempi della crisi?
«Difficilissimo. Dietro ogni piccola azienda che chiude c'è il dramma umano di un imprenditore e della sua
famiglia».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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INTERVISTA Parla il presidente dell'Ance: la crisi ha tagliato 800 mila posti di lavoro
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Corriere Economia - N.39 - 24 novembre 2014
Pag. 1
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Sul fronte opposto ci sono le esigenze delle grandi aziende. Impregilo di recente è uscita da Ance.
«Spero che Pietro Salini ci ripensi. Capisco le esigenze di un gruppo che ormai lavora all'estero per l'80 per
cento del suo fatturato. Credo, però, sia necessario trovare un punto di caduta che permetta di rappresentare
al meglio sia le istanze dei piccoli che dei grandi».
Cgil, Cisl e Uil degli edili protesteranno unitariamente il 27 novembre. Anche loro chiedono lavoro e
investimenti.
«Con la crisi molte delle nostre richieste sono anche quelle del sindacato. Bene le riforme del governo. Certo,
a onor del vero nessuna delle nostre imprese è fallita per colpa dell'articolo 18».
@rquerze
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Foto: Ance Il presidente dell'Associazione dei costruttori edili, Paolo Buzzetti. Il settore risente dell'aumento
delle tasse sulla casa: +200% in tre anni
24/11/2014
Corriere Economia - N.39 - 24 novembre 2014
Pag. 1.4
«Telefonia al bivio, deve unirsi alla tivù»
fabio tamburini
Nella telefonia, in Europa, «la concentrazione è cominciata e continuerà per reggere la rivalità di Usa e
Cina», dice Gavin Patterson, capo di British Telecom: «Indispensabili le alleanze sulla tv». A pagina 4
La concentrazione nelle telecomunicazioni in Europa? «E' già cominciata e continuerà per rafforzare i
principali gruppi che devono reggere la concorrenza americana e cinese». Gli investimenti nella rete in banda
larga? «Sono indispensabili per l'offerta di servizi che permettono redditività interessanti». La convergenza
con la produzione di attività televisive? «La sfida è lanciata ma ci sono strade diverse: dall'investimento
diretto a fusioni e alleanze. Ma attenzione: contenuti tv e telecomunicazioni sono due mercati diversi».
Gavin Patterson, 48 anni, amministratore delegato di Bt group (British Telecom), è tra i protagonisti della
nuova stagione delle telecomunicazioni in Europa, che preannuncia grandi cambiamenti sia perché il mercato
è frammentato in centinaia di operatori sia perché il declino di redditività della telefonia tradizionale, compresa
quella mobile, rende indispensabile puntare sull'offerta di prodotti e servizi sempre più avanzati. British
Telecom ha capito per tempo che il vento stava cambiando e ha preso tre decisioni strategiche. Sul fronte
interno, il Regno Unito, realizzando investimenti per 2,5 miliardi di sterline nella rete di fibra ottica a banda
larga e con l'entrata diretta nella fornitura di prodotti televisivi. Nel resto del mondo, il gruppo è presente in
170 Paesi, con la focalizzazione esclusiva nelle attività per le imprese.
Quando avete avviato i cambiamenti?
«Sei, sette anni fa».
Perché?
«Siamo stati obbligati a farlo. Sky ha cominciato ad offrire servizi di rete e ci siamo resi conto che negli Stati
Uniti l'Internet tv stava prendendo piede».
Come è maturata la scelta d'investire direttamente nella tv?
«Non avevamo scelta. L'unica alleanza possibile era con Sky, che aveva scelto di andare per conto suo.
Così, prima abbiamo creato una piattaforma di servizi televisivi e successivamente, 18 mesi fa, siamo
diventati fornitori diretti di canali tv, soprattutto nello sport. Naturalmente condizione indispensabile era la
creazione di una rete a banda larga nell'intero territorio inglese e, in cinque anni, abbiamo provveduto».
Con che copertura?
«Partendo da zero siamo all'82 per cento, con l'obiettivo di arrivare in tempi rapidi al 95 per cento».
Con quale potenza?
«Attualmente siamo a 80 megabyte al secondo, ma saliremo presto a oltre 100, che diventeranno diverse
centinaia. Il progetto è pronto, lo avvieremo nei prossimi mesi».
La banda larga e l'offerta di prodotti tv sono un modo per compensare la diminuzione di redditività dei servizi
tradizionali?
«Bt, negli ultimi anni, ha aumentato e non diminuito il livello dei profitti. Stiamo cominciando a raccogliere
frutti adeguati, anche se sono investimenti che vanno valutati nel lungo termine. I ricavi nel segmento del
consumer, in particolare, sono aumentati del 7 per cento, grazie alla crescita (+17%) di quelli a broadband (
banda larga, ndr ) e tv. Negli ultimi tre mesi il numero degli abbonati ai canali televisivi è cresciuto di 38 mila
unità. Sono numeri importanti che, rispetto a due anni fa, segnano una svolta. Oggi nel Regno Unito sono
oltre 5 milioni le famiglie che attraverso le diverse piattaforme possono vedere i due canali sportivi del
gruppo. Un numero destinato a crescere anche per il recente lancio di un'offerta commerciale che prevede la
possibilità per il cliente di avere Bt sport, Netflix (l a società americana che offre servizi televisivi in streaming,
ndr ) e fiber broadband (la connessione alla rete della banda larga in fibra ottica, ndr) a 5,99 sterline al mese
per i primi sei mesi».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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INTERVISTA Patterson (Bt)
24/11/2014
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Il modello inglese d'investimenti nella banda larga e nella tv è applicabile da Bt in Italia?
«Fuori dal Regno Unito abbiamo deciso di operare soltanto nel business to business, cioè nell'offerta di
servizi alle imprese. Scelte diverse non rappresentano una priorità, né una necessità».
Continuerete a investire?
«Lo faremo in cinque direzioni. Nel Regno Unito in fibra ottica, contenuti televisivi, servizi di telefonia mobile e
business to business. Fuori ci concentreremo in quest'ultimo segmento».
I mercati americano e cinese hanno quattro, cinque grandi compagnie telefoniche. In Europa sono oltre 200.
Continuerà così oppure è prevedibile un forte processo di concentrazione?
«Ci sarà un consolidamento significativo che, del resto, è già cominciato. Soprattutto nella telefonia mobile
ma anche tra mobile e telefonia fissa. Lo confermano le acquisizioni avviate da Vodafone in Germania e
Spagna».
Con quale logica?
«Reggere la concorrenza con gruppi del calibro di Google, Facebook, Samsung e i server provider cinesi,
che stanno acquistando peso. Per le aziende europee la strada è obbligata. Il problema è la competitività».
Chi saranno i protagonisti?
«Le maggiori società europee, ma anche quelle americane e dell'Est asiatico».
Compreso Bt?
«E' difficile dirlo e fare previsioni, perché i fattori d'incertezza sono troppi».
C'è spazio per alleanze tra gruppi delle telecomunicazioni e media produttori di contenuti?
«Noi abbiamo scelto d'investire direttamente, ma alleanze e accordi di vario tipo sono immaginabili».
Come risponde a critiche e denunce di alcune associazioni dei consumatori italiane che vi accusano di
troppa aggressività commerciale ?
«Abbiamo avuto segnalazioni da parte di piccole imprese e le abbiamo gestite, ma si tratta di un numero
irrilevante di situazioni».
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44% Regno Unito 12% Altri 32% Europa continentale* 12% Stati Uniti e Canada COSÌ I RICAVI Ripartizione
per aree geografiche Fonte: elaborazione CorrierEconomia S. Avaltroni 21,9 miliardi di euro * L'Italia è il
secondo mercato europeo dopo il Regno Unito
Foto: Telecomunicazioni Gavin Patterson, 48 anni, è l'amministratore delegato di Bt group (British Telecom),
uno dei gruppi protagonisti nel risiko delle tlc europee
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Corriere Economia - N.39 - 24 novembre 2014
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Svolte Banche & polizze Così il governo Renzi prepara il piatto di Natale
Dieci persone al lavoro su 10 settori dell'economia Obiettivo: togliere i monopoli. Dalle farmacie al web Il testo
è quasi pronto: si attende la legge di Stabilità, poi si parte L'indicazione dell'Antitrust: 15 giorni per spostare il
conto corrente
ALESSANDRA PUATO
La Legge annuale sulla concorrenza è l'araba fenice. Sono cinque anni - dal 2009, come previsto dall'allora
nuova disposizione, la numero 47 del 23 luglio - che l'Antitrust prepara il materiale (le «segnalazioni») perché
il governo la vari, con l'obiettivo di avvantaggiare i consumatori e ridurre i monopoli. Non l'ha fatto, però,
nessun esecutivo finora: né Berlusconi, né Monti, né Letta. Ora - a meno di smentite, sempre possibili - forse,
però, ci siamo. Al ministero dello Sviluppo economico, guidato da Federica Guidi, c'è una «task force» di una
decina di persone che vi lavora.
L'ok di Renzi
Il testo, secondo fonti, è quasi pronto. L'ultima riunione è stata giovedì 20. La legge-scudo degli italiani
dovrebbe essere varata a breve, entro fine anno. Si attende la Finanziaria, poi si parte. Il presidente del
Consiglio Matteo Renzi è d'accordo e si ritiene sia questo il prossimo appuntamento importante del governo.
Il riserbo, però, è alto, per evitare pressioni delle diverse categorie. Non sono nuovi, per esempio, ad azioni
di lobbing in questo senso farmacie, banche e ordini professionali.
Che cosa ci sarà, dunque, nella prima Legge sulla concorrenza dell'Italia? Le linee guida sono quelle
individuate dall'Autorità per la concorrenza e il mercato presieduta da Giovanni Pitruzzella, che le annunciò
proprio a CorrierEconomia un mese fa. Il governo sarebbe orientato a rispettarle.
La segnalazione dell'Antitrust tocca almeno dieci settori: assicurazioni e banche, comunicazioni e benzina,
energia e farmaceutica, aeroporti e poste, trasporti locali e municipalizzate. Saranno queste le indicazioni
valide, tranne su un paio di argomenti: Poste e Ferrovie. Per le due aziende è infatti in corso la
privatizzazione (Fs ha dato il via all'iter mercoledì scorso), non sono previsti interventi che sbarrino la strada
all'azionista Tesoro. Non ci si aspetta, dunque, lo scorporo del BancoPosta da Poste Italiane, né dell'Alta
Velocità (o della rete) da Fs.
Le proposte
Per il resto, la via sarebbe (più o meno) quella indicata dall'Antitrust. Che chiedeva: a) di proseguire la riforma
dell'Rc auto, con sconti anti-frode, per esempio, per chi monta la «scatola nera» (su questo non dovrebbe
esserci l'opposizione delle compagnie); b) un tetto di 15 giorni per trasferire il conto corrente; c)
l'accelerazione della posa dei cavi per la banda larga, perché tutti possano accedere a Internet; d) l'abolizione
dei vincoli che limitano la diffusione dei distributori di benzina self-service; e) un numero minimo, anziché
massimo, delle farmacie; f) di far partire le gare per la distribuzione del gas, per i treni locali, per le aeree
destinate a negozi negli aeroporti. Infine propone che si obblighino i comuni a cedere le loro società, se in
perdita.
Sono gli stessi capitoli toccati dall'Indice sulle liberalizzazioni, nei quali (vedi altro articolo) l'Italia non sempre
guadagna la sufficienza, per apertura del mercato (casi poste, carburanti, treni). «Il prezzo delle mancate
liberalizzazioni lo pagano i consumatori con prezzi più alti, minore scelta e minore qualità dei servizi», dice
Paolo Martinello, presidente di Altroconsumo. Che fa due esempi: treni e banche.
Nei primo caso, la maggiore concorrenza nell'alta velocità ha fatto scendere i prezzi e aumentare la
domanda, ma nel trasporto locale «dove i monopoli imperano ancora, la qualità è bassissima e la domanda,
potenzialmente alta, non trova risposte adeguate». Nel credito, invece, «la libertà di sostituzione del mutuo ha
creato un mercato nuovo, quello della surroga, sul quale le banche puntano e crescono». Benché l'Antitrust
sia «attento a impedirlo», nota Martinello, le liberalizzazioni rischiano ora la retromarcia: «Occorre una linea
di politica economica più forte e convinta». È la volta buona?
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Regole Prevista in dicembre la Legge sulla concorrenza dopo 5 anni di attesa
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Corriere Economia - N.39 - 24 novembre 2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Foto: Grandi manovre Federica Guidi, ministro per lo Sviluppo economico: studia la «Legge annuale sulla
concorrenza»
24/11/2014
Corriere Economia - N.39 - 24 novembre 2014
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Mattone & famiglie C'eravamo tanto amati
L'incertezza spinge a risparmiare di più: lo fa il 41% degli italiani. E tra gli investimenti preferiti la finanza
sorpassa la casa Il 58% è pessimista. In maggio lo era solo il 39%
GIUDitta marvelli
Più pessimisti di un anno fa. E quindi più propensi, sempre che ce ne sia la possibilità concreta, ad
accantonare in vista di un futuro nebbioso. A scapito anche di spese necessarie, come l'istruzione dei figli e il
saldo di vecchi debiti. Il desiderio di risparmiare, quindi, è ancora troppo in bilico sulla paura. E cambia verso
rispetto al passato: sempre meno mattone, sempre più investimenti finanziari.
Statistiche
L'umore degli italiani con conto corrente è abbastanza grigio: se Mario Draghi, il presidente della Banca
centrale europea, ha parlato nei giorno scorsi di timori per una nuova recessione, le famiglie, a leggere questi
dati, se la sentono già addosso. Il campione di mille «bancarizzati», rappresentativo di 39 milioni di
connazionali maggiorenni, interpellato nel mese di ottobre da Gfk Eurisko per l'Osservatorio Anima, non
lascia spazio ad altre interpretazioni.
Nell'ottobre 2013 il 49% riteneva che la situazione potesse peggiorare ancora. In maggio gli animi erano più
sollevati e i pessimisti erano scesi al 39%. Oggi siamo risaliti al 58%, con un 22% che prevede un
peggioramento contenuto dell'economia e un 36% che invece teme scenari decisamente funesti.
«L'impasse raffredda i progetti, soprattutto quelli di consumo - dice Pierluigi Giverso, direttore marketing di
Anima -. Si riscalda un poco il concetto di risparmio, più che altro in ottica di protezione o rassicurazione del
futuro incerto».
Piani difficili
Accade così che solo il 53% (66% nel maggio 2013) dichiari di avere dei piani per il futuro. Nella scorsa
primavera il 43% del campione dichiarava di avere progetti di spesa (vacanze, scuola, casa, aiuti a familiari,
spese importanti, debiti), oggi più di qualcuno ci ha ripensato e il totale di chi risponde affermativamente a
questa domanda è sceso al 39%. Sul fronte dei risparmi, invece, si è saliti dal 26% di maggio al 29% di oggi.
Chi ha fatto retromarcia sul fronte delle spese, quindi, oggi pensa che sia meglio accumulare una riserva per
il futuro e mettere soldi da parte per emergenze o imprevisti. Anche se poi nella pratica spesso le intenzioni di
risparmio rimangono tali. Come è accaduto per il bonus fiscale, i famosi 80 euro, che sono finiti nella busta
paga di circa dieci milioni di italiani proprio a partire da maggio. Secondo il campione il bonus è stato speso
tutto o in larga parte da due terzi dei beneficiari. Anche se molti, prima di averlo, pensavano di non spenderlo
e di metterlo via.
Ma se aveste soldi da investire dove li impieghereste? Il 41% che si dichiara desideroso di far fruttare i propri
soldi (un altro 41% non ne ha, un ulteriore 18% non risponde) in questo momento è sempre più propenso a
scegliere un prodotto finanziario (27%) mentre il sogno del mattone, per ora, è piuttosto fuori moda.
Nel maggio 2012 il 25% avrebbe scelto la casa e solo il 19% un investimento finanziario. Oggi le proporzioni
sono invertite: il 14% preferirebbe la casa, il 27% metterebbe i soldi in un impiego finanziario, il 6% li terrebbe
sul conto corrente.
Al risparmio, gestito o no, gli italiani chiedono poi la stessa cosa che volevano dal mattone o dai Bot negli
anni dei tassi d'oro: la protezione del capitale. La indica come primo desiderio il 45%. Nutrito anche il
drappello di chi vorrebbe il rendimento garantito. Mentre meno attenzione viene riservata ai costi (solo il 22%
presterebbe particolare attenzione a questa voce) e alla semplicità con cui fare l'investimento scelto (15%).
La crisi sta mettendo a dura prova anche gli investitori di più lunga esperienza. Quei nove milioni di italiani
che, oltre al conto corrente, hanno anche un piccolo o grande gruzzolo da parte già investito in prodotti
finanziari. Nel loro caso il minor interesse per il mattone è una costante che dura fin dal maggio 2012: a
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Sondaggi Foto di gruppo per 39 milioni di titolari di un conto in banca. Protezione del capitale e rendimento
garantito i valori più importanti
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Corriere Economia - N.39 - 24 novembre 2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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quell'epoca il 29% di questo sottogruppo (pari al 23% circa dei mille intervistati) si dichiarava interessato alla
casa per eventuali investimenti da fare, mentre il 53% preferiva appunto fondi & co.
Oggi il mattone piacerebbe solo al 17% mentre il gradimento per un investimento finanziario è espresso dal
63%. Difficile dire ora se questi nuovi orientamenti resteranno tali anche se la congiuntura economica
dovesse migliorare. O se la crisi ha in qualche modo cambiato per sempre il modo di ragionare delle famiglie
italiane.
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Il sentiment I progetti e le intenzioni del campione di italiani (circa mille) con un conto corrente che
rappresentano 39 milioni di connazionali «bancarizzati» HA DEI PIANI PER IL FUTURO? NELLA SCELTA
DEI PRODOTTI DI INVESTIMENTO FAREBBE PIÙ ATTENZIONE A QUESTI ASPETTI... Progetti di
SPESA* 38 % 43 % * Alimentati anche dal risparmio 39 % Progetti di RISPARMIO 30 % 26 % Ottobre 2013
Maggio 2014 Ottobre 2014 29 % mag. 2012 set. 2012 dic. 2012 mag. 2013 ott. 2013 apr. 2014 ott. 2014 25
% 24 % 18 % 20 % 19 % 5% 6% 6% 18 % 23 % 5% 4% 14 % 25 % 20 % 16 % 6% 14 % 27 % 19 % 7% SE
AVESSE SOLDI DA INVESTIRE COME LI IMPIEGHEREBBE? Rendimento garantito 33% 36% Costi
contenuti 20% 22% Rendimento elevato 13% 11% Durata breve termine 10% 9% 43% 45% Protezione
capitale investito 15% 15% Semplicità con cui fare investimenti 11% 13% Ricevere rapidamente contante In
case/immobili In prodotti finanziari Terrebbe i soldi in liquidità sul conto corrente S. Avaltroni Maggio 2014
Andare in vacanza; provvedere all'istruzione dei figli; acquistare/ ristrutturare casa; aiutare economicamente i
familiari; acquistare beni importanti; pagare/saldare i debiti Iniziare/continuare a costituirsi una pensione
integrativa; mettere soldi da parte per emergenze/ imprevisti; accumulare un capitale come riserva di
sicurezza per il futuro Fonte: Gfk Eurisco Osservatorio Anima, novembre 2014 Ottobre 2014
Foto: Anima Marco Carreri, amministratore delegato
22/11/2014
Milano Finanza - N.230 - 22 novembre 2014
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CON L'UNIONE BANACARIA IL PUZZLE NON E' FINITO
Antonio Patuelli*
a pag. 9 CON L'UNIONE BANACARIA IL PUZZLE NON E' FINITO Dal 4 novembre è iniziata una nuova era
per le banche europee (ovviamente comprese quelle italiane): la piena operatività del Meccanismo di
vigilanza unico (Mvu) che comprende la Banca Centrale Europea e le autorità nazionali competenti (per
l'Italia la Banca d'Italia) dei Paesi dell'area euro. La nascita dell'Unione Bancaria è occasione assai
importante innanzitutto di definizione di principi e regole di vigilanza sulle banche, ma ha un significato anche
ben maggiore. Innanzitutto sono stati definiti dalla Bce i nuovi e aggiornati principi di vigilanza fra i quali
l'obiettivo di utilizzare le migliori prassi; l'omogeneità delle procedure di vigilanza sugli enti creditizi di tutti gli
Stati membri con il fine di evitare disparità di trattamento; la coerenza con le norme del mercato unico;
l'indipendenza e gli elevati livelli di responsabilità in capo al Meccanismo di vigilanza unico; l'analisi del rischio
come priorità della vigilanza stessa con il recepimento del principio di proporzionalità e con l'adozione di livelli
minimi di vigilanza per tutti i soggetti creditizi e con l'obiettivo di assicurare la sicurezza e la solidità delle
singole banche, la stabilità del sistema finanziario europeo e di quelli dei singoli Stati membri che vi
partecipano anche con misure correttive efficaci e tempestive per ridurre la probabilità di fallimento e i danni
connessi. Questi nuovi principi regolatori sono di estrema importanza e poggiano anche sulla base condivisa
del collaudato funzionamento della moneta comune, l'euro. Ma occorre osservare che da soli l'euro e l'Unione
bancaria, dopo la libera circolazione di persone e cose nella Ue, configurano importantissimi passi in avanti
nella strategia della costruzione di una nuova Europa: si tratta di una strategia, però, tutt'altro che completata
e che necessita assolutamente di svilupparsi con coerenza anche in altri aspetti fondamentali delle attività
economiche. Altrimenti nascerebbe una grave contraddizione fra le Unioni già esistenti in Europa, innanzitutto
quelle doganale, monetaria e ora bancaria, e le forti disparità, invece, che continuano a sussistere fra i
medesimi Stati nazionali europei che partecipano alle importanti cooperazioni rafforzate in atto. Quindi,
perché non esplodano queste contraddizioni, il processo di sviluppo e di armonizzazione delle regole
economiche europee deve proseguire perché tutto, altrimenti, potrebbe essere rimesso in discussione con le
più gravi conseguenze. Occorre, pertanto, far maturare tempestivamente una forte comune determinazione
nell'Unione europea e negli Stati membri, in particolare nei protagonisti di queste cooperazioni rafforzate,
sulla necessità di realizzare uniche normative anche in altri aspetti fondamentali della vita civile ed
economica. Innanzitutto occorre un Testo Unico bancario europeo per superare le ormai vecchie regole
nazionali che difficilmente possono a lungo convivere con identiche normative e prassi di vigilanza. Il diritto
penale dell'economia deve essere anch'esso uniformato perché non hanno senso disparità sanzionatorie per
le medesime fattispecie in un mercato già così integrato per l'abolizione delle dogane interne, per unità
monetaria e per vigilanza comune sulle banche. Ugualmente occorre una forte determinazione riguardante la
creazione di una unione finanziaria con la razionalizzazione e la semplificazione normativa delle ormai troppo
complesse e diversificate regole di funzionamento dei mercati finanziari nazionali che coesistono tuttora nel
mercato unico. In proposito la Consob ha opportunamente richiamato il principio sintetizzato dal grande
codificatore dell'antico diritto romano, l'imperatore Giustiniano, secondo il quale «nelle leggi è preferibile la
semplicità alle complicazioni». Queste misure, un Testo Unico europeo, un diritto penale dell'economia
identico e l'unione dei mercati finanziari possono essere realizzati con bassissimi costi, se non quasi
inesistenti, perché si tratta di classiche riforme che non costano, poiché implicano l'emanazione di norme
uniche e semplificate che, anzi, favorirebbero proprio lo sviluppo di maggiori efficienze ed economicità. Tali
obiettivi possono e debbono, quindi, svilupparsi in via prioritaria. Ma non può essere dimenticata, né
sottovalutata, la fondamentale importanza anche dell' unione fiscale, ovvero lo sviluppo di un processo,
inevitabilmente e realisticamente graduale, di progressiva armonizzazione delle troppo diverse e complesse
norme fiscali esistenti sia nei 28 Paesi dell'Unione europea, sia soprattutto in quelli che operano con
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PATUELLI (ABI)
22/11/2014
Milano Finanza - N.230 - 22 novembre 2014
Pag. 1
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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cooperazioni rafforzate. Questo processo di armonizzazione è indispensabile, perché altrimenti l'Unione
europea, e in particolare le cooperazioni rafforzate, porterebbero forti conflittualità interne e spinte di
disgregazione che contraddirebbero radicalmente le finalità della costruzione dell'Unione europea che è
tuttora in corso ed è ancora carente di un Trattato che concretizzi una vera e propria Costituzione per
l'Europa, senza la quale tutti gli sforzi di realizzazione del mercato unico e delle cooperazioni rafforzate
potrebbero essere vanificati in tempi medio-lunghi. Dopo ormai troppi anni di crisi, innanzitutto economica,
l'Unione bancaria rappresenta la prima decisione di grande rilevanza che l'Europa pone in essere
concretamente per dare maggiore stabilità, trasparenza, efficienza e fiducia negli organismi finanziari e
bancari degli Stati membri. È un passo decisivo che non va assolutamente sottovalutato da alcuno, ma che
non è esaustivo né conclusivo. E va sviluppato tempestivamente con atti coerenti che lo completino.
(riproduzione riservata) * presidente Abi
Foto: Antonio Patuelli
22/11/2014
Milano Finanza - N.230 - 22 novembre 2014
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David Jarach*
Il pronunciamento dell'Ue sulla congruità dell'investimento nella «nuova» Alitalia da parte di Etihad per un
valore pari al 49% sembra segnare un favorevole punto di non ritorno per l'accordo tra le parti, che possono
ora procedere ancora più speditamente all'attuazione dello stesso. Quali sono le prospettive, ma anche le
difficoltà che si schiudono e l'impatto che le loro decisioni produrranno sul sistema del trasporto aereo
italiano? Non c'è dubbio che il turnaround di Alitalia - nei fatti fallita per la seconda volta dopo il primo knockout del 2008 - non si presenta a prima vista particolarmente agevole, nemmeno con il sostegno del nuovo e
potente azionista mediorientale. Il mercato italiano ha visto la progressiva uscita di molti player nazionali,
sostituiti dagli operatori low-cost esteri, ormai attivi su 20 dei 37 scali identificati come rilevanti dal recente
Piano Aeroportuale Nazionale. Questi attori agiscono in forze sul mercato domestico e sulle connessioni
intra-europee, con la prospettiva di una concorrenza emergente anche sulle connessioni a lungo raggio. E
hanno inoltre ricevuto un «tappeto rosso» nei nostri scali regionali, dove hanno supplito a un'assenza
d'imprenditorialità di Alitalia e assicurato uno sviluppo delle connessioni dirette solo qualche anno fa
inimmaginabile. A fronte di ciò, il trinceramento di Alitalia sugli scali di Fiumicino e Linate appare
comprensibile ma pur sempre discutibile in chiave strategica, così come l'abbandono del progetto di «marchio
da battaglia» Air One, ucciso da un format curiosamente low-fare ma dagli alti costi. Senza dimenticare poi
che i maggiori volumi di traffico da e per il nostro Paese sono generati proprio sul versante del breve e medio
raggio, mentre la componente di lungo raggio è strutturalmente più sottile e con caratteristiche di accentuata
stagionalità. La risposta più facile potrebbe essere legata a uno sviluppo della partnership con Air Berlin.
L'ipotesi più estrema di una fusione con Alitalia non sembrerebbe utopia nel medio termine. Anche sul
versante del lungo raggio le sfide manageriali sono multipolari. La crisi economica che attanaglia l'Italia ha
agito sulle spese di viaggio delle imprese, producendo uno schiacciamento del valore per la componente
d'affari verso la più bassa tariffazione «best buy». In questo senso è chiaro come lo sviluppo di un'aerolinea
«sexy», così come vuole Etihad, a cui necessariamente abbinare una componente di servizio premium, non
possa guardare al mercato interno italiano, bensì focalizzarsi in modo primario sui flussi in arrivo dall'estero:
peraltro un obiettivo positivo se viene visto nell'ottica dello sviluppo del sistema turistico nazionale e di Expo
2015. Oggi gli ingressi nel nostro Paese producono uno yield medio di rotta pari a circa un quinto della media
del mercato tedesco, sono di marcata connotazione turistico/religiosa con una più bassa componente d'affari,
peraltro intercettata da vettori terzi in misura maggiore rispetto ad Alitalia, grazie a consolidati sistemi di
alleanza e di jv in essere. Per conquistare la domanda premium estera sarà necessario ricostituire il disegno
e la capillarità della rete di vendita all'estero che, proprio sotto Alitalia Cai, era stata smantellata. La crescita
del network a lungo raggio richiederà almeno un triennio per produrre risultati. Chi scrive ritiene più realistico
nel breve termine puntare su una crescita del traffico Italia-Abu Dhabi, che produrrebbe un immediato ritorno
per l'investitore. Resta infine da chiedersi come risponderà l'eterno rivale Emirates: un primo segnale arriva
dall'inserimento dell'A380 su Milano a partire da dicembre per Dubai (e in prospettiva su New York?), ma a
parere di chi scrive è lecito aspettarsi ben altre e più invasive azioni sul fronte anche di nuovi servizi a lungo
raggio. Il cielo è il limite e certamente gli altri player non lasceranno campo facile alla nuova Alitalia-Etihad,
dato che in gioco non c'è solo il mercatoItalia quanto, in chiave più allargata, la tenuta e il successo del nuovo
modello di alleanza azionaria impostato da Etihad al di fuori delle regole e degli assetti finora governati dai
vettori basati in Europa e negli Usa. (riproduzione riservata) *docente di Marketing del trasporto aereo, Sda
Bocconi Milano
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Alitalia-Etihad, bene l'ok di Bruxelles ma la strada è ancora in salita
22/11/2014
Milano Finanza - N.230 - 22 novembre 2014
Pag. 29
(diffusione:100933, tiratura:169909)
Sugli stipendi Bankitalia non molla
Giovanni Barbara - partner KStudio Associato (Kpmg)
Banca d'Italia torna a dettare disposizioni ad hoc in materia di politiche e prassi di remunerazione e
incentivazione per le banche e i gruppi bancari (con il settimo aggiornamento del 19 novembre alla circolare
285 del 17 dicembre 2013 - Disposizioni di vigilanza per le banche). Si tratta del recepimento delle
innovazioni apportate tanto dalla direttiva 2013/36/Ue del 26 giugno 2013, cosiddetta Crd IV (Capital
requirement directive) in ordine alle previsioni in materia di politiche e prassi di remunerazione e
incentivazione nelle banche e nei gruppi bancari sia degli indirizzi e dei criteri concordati in sede
internazionale, tra cui quelli dell'Eba e del Fsb. In particolare, la Crd IV, come la precedente direttiva
2010/76/Ue (Crd III), reca principi e criteri specifici a cui le banche devono attenersi al fine di: I) garantire la
corretta elaborazione e attuazione dei sistemi di remunerazione; II) gestire efficacementei possibili conflitti
d'interesse; III) assicurare che il sistema di remunerazione tenga conto dei rischi, attuali e prospettici, del
grado di patrimonializzazionee dei livelli di liquidità di ciascun intermediario; IV) accrescere il grado di
trasparenza verso il mercato e infine V) rafforzare l'azione di controllo da parte delle Autorità di vigilanza. In
quest'ottica l'attenzione dell'Authority si è focalizzata in particolare, sulla necessità di una ridefinizione dei
meccanismi di remunerazione e incentivazione dei componenti degli organi di amministrazione e controllo e
del personale, indispensabili per favorire il buon governo delle imprese bancarie nonché una loro sana e
prudente gestione. Particolarmente innovative sono le disposizioni in ordine alla struttura della remunerazione
e in particolare le condizioni e le modalità di pagamento della componente variabile (bonus). Le nuove
disposizioni di vigilanza stabiliscono che per il personale che può assumere rischi rilevanti (risk takers) la
parte variabile della remunerazione non deve superare quella fissa. Il limite può essere superato e la
componente variabile della remunerazione può diventare il doppio di quella fissa solo su approvazione
dell'assemblea degli azionisti a maggioranza qualificata. Altra novità riguarda il compenso del presidente del
cda (o, nel sistema dualistico, dell'organo cui è attribuita la supervisione strategica) che non deve superare la
remunerazione fissa dell'ad o del dg; questo limite può essere elevato dall'assemblea degli azionisti con
maggioranza qualificata. L'Authority poi disciplina l'introduzione di meccanismi di correzione ex post delle
remunerazioni per rafforzare il collegamento della componente variabile con i rischi, con le condizioni
patrimoniali e di liquidità della bancae coni comportamenti individuali (malus e claw-back). Le politiche di
remunerazione, come aggiornate dall'Authority sulla base delle nuove regole, troveranno applicazione solo
nelle assemblee che approveranno i bilanci 2014, mentre Palazzo Koch concederà agli istituti un periodo
transitorio (fino al 30 giugno 2016) per adeguarsi. In generale serve però che le nuove indicazioni siano
modulate nel rispetto del principio di proporzionalità, in relazione tanto alle dimensioni quanto alle diverse
attività degli istituti bancari.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/11/2014
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ROSSO & NERO
SCENARIO PMI
16 articoli
22/11/2014
Corriere della Sera - Bergamo
Pag. 10
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Nuove banche dalle fusioni nel mondo cooperativo
Sorisole-Lepreno con Valle Seriana, Zanica con Bariano-Cologno Bilanci e lavoro Operazioni alla pari Non
sono previsti contraccolpi sull'occupazione
Donatella Tiraboschi
Sono 9 ma entro la primavera del prossimo anno diventeranno 7. È l' effetto fusione che, entro sei mesi,
ridurrà in Bergamasca il numero delle banche di credito cooperativo. Dieci giorni fa è stata inoltrata a
Bankitalia la proposta di matrimonio tra la Bcc di Sorisole e Lepreno con la Bcc Valle Seriana, da cui nascerà
la Bcc di Bergamo e delle Valli, mentre a breve si attende che via Nazionale si esprima sulla fusione tra la
Banca della Bergamasca di Zanica e la Bcc di Bariano e Cologno al Serio, che darà vita alla Bcc della
Bergamasca e Orobica.
Il piano industriale di quest'ultima è al vaglio di Bankitalia da poco più di due mesi. «A metà dicembre
scadranno i 90 giorni previsti e conosceremo l'esito», anticipa Marino Ghilardi, direttore generale della Bcc
della Bergamasca. Ma il «placet», che potrà essere espresso anche con un «silenzio-assenso», è scontato
proprio perché l'azione concentrica di Bce e Banca d'Italia spinge per un piano di fusioni su scala nazionale
che però, in molte zone d'Italia, sembra correre il rischio di impattare sui più radicati orgogli di campanile. Non
è questo il caso delle Bcc bergamasche, dove le identità territoriali, fulcro di un'autonomia custodita con
vigore («Il nome della banca che nascerà e che ha mantenuto, unendole, le precedenti denominazioni, è già
di per sé un programma», conferma Marino Ghilardi) vanno a fondersi per ottimizzare le risorse in campo ed
arginare le difficoltà che i «piccoli» del credito patiscono: rischi crescenti, margini ridotti e costi non
comprimibili. Insieme, insomma, è meglio tanto più se, come in questi due casi, gli istituti vantano equilibri
tecnici in linea tra di loro. La parola d'ordine è pariteticità. Ghilardi rimarca con forza questo concetto e pur
non intendendo anticipare nulla sulla governance della nuova banca, («ormai mancano pochi giorni, poi
forniremo tutti i particolari») lascia intuire che nelle cariche apicali come in quelle di massima rappresentanza,
il criterio sarà quello dell'alternanza del «primus inter pares». Sede amministrativa e sede operativa verranno
spartite tra Zanica e Cologno, i soci sfioreranno quota 9 mila e le risorse umane, nelle 29 filiali, saranno la
somma esatta di quella dei due istituti: 217 addetti, «che saranno operativi su una piattaforma gestionale più
ampia, in linea con le potenzialità di sviluppo che la fusione consente di seguire», conclude il dg Ghilardi.
Le due parole terribili delle fusioni bancarie, «esuberi» e «demansionamenti» sono scongiurate sia in pianura
che dalle parti di Sorisole e nelle valli. Lo conferma il numero uno della Bcc di Sorisole e Lepreno, Duilio
Baggi. Per l'ok di Bankitalia in questo caso si dovrà attendere metà febbraio, ma il piano industriale della Bcc
di Bergamo e delle Valli conferma in toto il personale addetto 125 su 20 filiali e due tesorerie (una delle quali
destinata, in futuro, a diventare sportello). «La gestione delle risorse umane è uno dei nostri punti di forza.
Già da tempo abbiamo avviato una revisione dei ruoli, coniugandoli con l'inclinazione e le aspirazioni dei
nostri dipendenti. Un processo che si è rivelato produttivo, in tutti i sensi». Nessun dettaglio sulla governance,
fermo restando che «se il presidente sarà espressione di una banca, il vice lo sarà dell'altra» con un
elemento già fissato: Giovanni Diotti attuale direttore generale della Bcc di Sorisole sarà confermato nel ruolo:
«È una figura che nell'altra banca non c'è», chiarisce Baggi.
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d'Arco Le schede BANCA DI CREDITO COOPERATIVO BERGAMO E VALLI L'ORIGINE: Nasce dalla
fusione tra Bcc Sorisole e Lepreno e Bcc Valle Seriana BANCA DI CREDITO COOPERATIVO
BERGAMASCA E OROBICA L'ORIGINE: Nasce dalla fusione tra Bcc della Bergamasca di Zanica e Bcc di
Bariano e Cologno al Serio ALTRE BCC DELLA PROVINCIA DI BERGAMO I numeri 20 filiali +2 sportelli
tesoreria 125 217 29 filiali Dipendenti Dipendenti Raccolta diretta Impieghi Capitalizzazione Raccolta diretta
Capitalizzazione Impieghi 550 495 64 150 1.065 1.189 7.000 8.500 I SOCI Dati in milioni di euro Dati in
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Credito
22/11/2014
Corriere della Sera - Bergamo
Pag. 10
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/11/2014
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milioni di euro Bergamo Treviglio Ghisalba Calcio Mozzanica e Covo Caravaggio
51 sportelli in totale coinvolti dalle due fusioni avviate
La vicenda
Tra le nove Bcc bergamasche sono in atto due fusioni tra Bcc di Sorisole e Lepreno con Bcc della Valle
Seriana e tra la Banca della Bergamasca con la Bcc di Bariano e Cologno al Serio. L'ok della Banca d'Italia è
atteso prima della primavera Dopo la fusione nel 2008 nella Calcio Covo della Banca PMI e l'ingresso della
Offanengo nella Bcc di Treviglio nel 2011, è in stallo l'ipotesi di fusione tra la Bcc di Treviglio e la Bcc
Caravaggio
24/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 18
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Dall'export più ricavi per le «corazzate tascabili»
E. N.
Le medie imprese italiane riescono a battere la crisi e mettono a segno un aumento dei ricavi. È l'effetto
internazionalizzazione che spinge i conti delle «corazzate tascabili» del made in Italy, che vedono crescere il
loro giro d'affari di circa il 2 per cento. È questa la crescita media messa a segno dal 58% delle mid cap
italiane negli ultimi dodici mesi. Fatturato in calo invece per un'azienda su cinque. È quanto emerge dalla
ricerca «Medie imprese motore di sviluppo» di Ge Capital, leader nell'erogazione di prodotti e servizi
finanziari alle imprese.
Nel breve termine il sentiment è ancora più positivo e il panel interpellato si attende un aumento dei ricavi del
3,8%. Una crescita organica nella maggioranza dei casi, ma per un 9% di aziende si opererà anche con
operazioni di acquisizioni e fusioni. Di fatto le realtà del manifatturiero sono sempre più proiettate all'estero
per dribblare la debolezza della domanda interna e nel breve periodo non si attendono segnali di una ripresa
solida. La crescita si insegue in Europa (+15%), ma Mario Draghi venerdì scorso ha detto che sarà
«improbabile una ripresa più forte nei prossimi mesi», e a livello globale (+18%). In particolare le realtà dei
comparti manifatturiero e servizi sanno di essere competitive sulle piazze estere, mentre il retail si muove
oltralpe per agganciare la ripresa degli altri.
«Dalla ricerca emerge un mid-market italiano complessivamente in salute, perché trainato da aziende che
sono riuscite a internazionalizzarsi sempre di più compensando la caduta della domanda interna», dice Paolo
Braghieri, Ceo di Ge Capital Italy . «Durante la crisi, inoltre, hanno prestato grande attenzione al controllo dei
costi e ora sono pronte a fare nuovi investimenti».
Tra le aree d'investimento, il trend è dato stabile o in crescita rispetto all'anno scorso, ci sono il capitale
umano, i beni strumentali, la ricerca di prodotti innovativi per raggiungere segmenti di mercato meno esposti
alle guerre dei prezzi. «Le aziende osservate sono quasi inarrivabili per la capacità di coniugare competenze
tecniche e design - aggiunge Paolo Gubitta, che insieme a Bruno Parigi e Diego Campagnolo, docenti
dell'Università di Padova, ha curato la parte italiana della ricerca -. Anche per questo motivo i nuovi ricchi
vengono in Italia a fare shopping di medie imprese virtuose».
A dare ancora più forza è la struttura familiare della proprietà: la seconda o terza generazione molto spesso è
affiancata da manager esterni. Una scelta che si ripercuote positivamente sui bilanci e sui livelli occupazionali
rispetto alle imprese non familiari.
«Inoltre, nel nostro mid-market si stanno facendo strada delle imprese a proprietà familiare ma con una
gestione manageriale che non teme il confronto internazionale - aggiunge Gubitta - e soprattutto sanno
assecondare le esigenze della crescita».
Prospettive che aprono le porte al reshoring. La ricerca di Ge evidenzia come nell'arco dei prossimi tre anni
quasi un terzo delle aziende interpellate dichiari di voler riportare in Italia una o più attività produttive. Una
strategia che andrà a premiare le aree a maggiore potenziale innovativo.
Per contro, la presenza in Italia si scontra con diverse circostanze che frenano la crescita. La più importante è
legata al costo dell'energia e materie prime, che precede le spese sostenute per rispettare le normative.
Seguono la capacità di attrarre e trattenere in azienda i talenti e il ciclo recessivo. Ed ecco che chiedono al
sistema-Paese un piano che le renda ancora più competitive, le supporti nell'internazionalizzazione, operi un
taglio netto ai vincoli burocratici. I soliti mali che fiaccano spesso la volontà di chi vuole fare impresa.
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Le rotte dello sviluppo
Percentuale di crescita
o diminuzione attesa
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Imprese/2. Ricerca Ge Capital sul sentiment delle medie aziende italiane
24/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 18
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/11/2014
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IL SENTIMENT
L'andamento del giro d'affari,
in percentuale Impresa 10 Settore -2 Ambito regionale -8 Nazionale 15 Mercato europeo 18 Mondiale
Inseguendo la crescita LE ROTTE DELLO SVILUPPO Percentuale di crescita o diminuzione attesa +3,8%
Aumento stimato dalle aziende nel 2014: Fonte: GE Capital
Foto:
Inseguendo la crescita
23/11/2014
Il Messaggero - Umbria
Pag. 51
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Supportate da privato Agli enti pubblici chiedono il "Crescendo"
FAI DA TE
ORVIETO Su di loro si sono spenti i riflettori, non se ne parla più da tempo ma le donne del tessile di Orvieto
sono intenzionate a gridare ancora più forte per farsi sentire. Il manifatturiero è sempre stato uno dei settori
che caratterizza il territorio orvietano ma da almeno due anni è in ginocchio.
Sono una quarantina le ex lavoratrici nel settore che anche da 25 anni sono state espressione della
produzione orvietana e che ora avrebbero tutta l'intenzione di ripartire attraverso una cooperativa grazie
anche al supporto di un imprenditore esterno. È il problema dov'è, verrebbe da chiedersi.
«La questione da risolvere, che permetterebbe di dare risposte occupazionali a lavoratrici che nella maggior
parte dei casi ad oggi sono rimaste sprovviste di ammortizzatori sociali - spiega dalla Cisl Raffaello Trentini è quella riguardante l'ubicazione della produzione. Da tempo stiamo chiedendo al sindaco e all'assessorato
allo sviluppo economico del comune di Orvieto di sapere se c'è la possibilità di utilizzo dello stabile del
Consorzio Crescendo, quello nel quale produceva la ex Sphera prima e la MManifattura poi. Questa struttura,
infatti, dovrebbe essere sistemata in termini di impiantistica, per tornare ad essere un punto di riferimento
nella produzione del territorio».
A questo punto, visto il disinteresse generale nonostante ci siano tutte le prerogative per una facile partenza,
le ex lavoratrici del tessile insieme al sindacato minacciano di occupare la sala del consiglio comunale se a
breve non riceveranno risposte certe dall'amministrazione.
QUESTIONE DI TEMPI
«La questione tempistica - spiegano le lavoratrici - non è una variabile indipendente: la produzione, compresa
la campionatura, dovrebbe partire entro il mese di febbraio. Un dettaglio non di poco conto per chi, come noi,
è rimasto senza un lavoro e quindi uno stipendio».
Secondo Trentini «è impensabile che non si diano risposte certe su una questione che ha del potenziale
concreto in termini di occupazione femminile, in un territorio che da questo punto di vista è stato falcidiato.
Questa strada, inoltre, potrebbe essere in prospettiva anche una soluzione per alcuni giovani disoccupati, che
ad oggi si vedono costretti ad abbandonare Orvieto. La produzione di capi-spalla maschili di alta qualità,
inoltre, permetterebbe un ritorno di immagine per l'intera area orvietana».
S. Simo.
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Operaie del tessile decisea ripartire in cooperativa
23/11/2014
Avvenire - Milano
Pag. 3
(diffusione:105812, tiratura:151233)
Cenni positivi, ma la ripresa è lontana
Resta critica la situazione del mercato del lavoro: saldo occupazionale ancora negativo (-1,04%)
PIERFRANCO REDAELLI
Segnali in chiaro scuro per il comparto industriale della Brianza. I dati della produzione manifatturiera della
provincia di Monza rilevati dagli uffici studi della Camera di commercio e dall'Associazione industriali
confermano che la ripresa è ancora lontana, anche se fra le piccole e medie imprese, rispetto al terzo
trimestre del 2013, il fatturato è aumentato del 2,6%. Positivo l'andamento degli ordini con quelli interni che
dopo mesi di stallo si risollevano. Restano in crescita quelli esteri. L'andamento della produzione industriale è
invece di segno negativo sia su base congiunturale (-0,2% rispetto al trimestre precedente) sia tendenziale (0,9% rispetto al 2013), anche se in miglioramento confrontate con quelle del trimestre scorso. Critica la
situazione del mercato del lavoro, con un saldo occupazionale pari a -1,04% (risultato di un tasso di ingresso
dell'1,30% e un tasso di uscita del 2,34%). Diminuisce nel terzo trimestre 2014 il ricorso alla cassa
integrazione (le imprese che ne hanno fatto ricorso passano dal 20,6% al 12,4%). Da luglio a settembre
registrano un calo due comparti in passato trainanti: il mobile e la chimica. Mentre ritornano positivi
metalmeccanica, abbigliamento, editoria. Segnali di fiducia arrivano dagli ordini: più 3,9 rispetto allo stesso
periodo della scorso anno. Per Carlo Edoardo Valli presidente della Camera di Commercio e per Andrea
Dell'Orto presidente di Confindustria di Monza, la Brianza resta la prima per numero di imprese per
chilometro quadrato in Italia. Determinante per il rilancio è una politica a sostegno degli investimenti e del
lavoro. «Gli imprenditori ci sono - dicono Valli e Dell'Orto - la politica deve fare la sua parte».
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Industria.
22/11/2014
Libero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:125215, tiratura:224026)
«Tasse e burocrazia, altro "pacco" di Natale»
ANTONIO CASTRO
Regalo di Natale indigesto per le imprese che alla grandinata di tasse concentrate a dicembre, devono
sommare il "pacco dono" (non richiesto), della burocrazia che fa lievitare anche quest'anno (...) segue a
pagina 21 segue dalla prima (...) gli adempimenti, neanche fossero un panettone. In tutto questo le promesse
di seplificazioni restano tali, e i consumi andrà già bene se terranno i livelli dell'anno scorso: «La ripresa, se
c'è, è ancora lenta, incerta e faticosa. Insomma: gli italiani faranno le formichine per scelta, ma anche,
purtroppo, per necessità. Quanto al Natale, ci auguriamo che la tradizione dei regali tenga, ma non osiamo
sperare molto di più». Carlo Sangalli, presidente storico di Confcommercio, non ha dubbi. Nonostante tutte le
promesse, questo è un Paese che resta imbrigliato in una rete di lacci e lacciuoli (burocratici e fiscali),
preferisce non dare voti (per il momento), all'operato del governo Renzi, però teme il trasferimento d'imposta
a livello locale e i 65 miliardi di clausole di salvaguardia messi a garanzia della legge di Stabilità 2015.
Quanto al Jobs Act è scettico: «Aspettiamo i decreti attuativi». Dicembre si annuncia come un mese di
scadenze fiscali e contributive da incubo. Come nel 2013. Come mai non si riesce a scadenzare i pagamenti
su 12 mesi e tra luglio e dicembre si arriva sempre all'imbuto fiscale? «Il problema non è tanto quello delle
scadenze, quanto quello dell'aumento degli adempimenti, ogni anno sempre più numerosi e gravosi, a carico
dei contribuenti. Oltre a ciò, negli ultimi anni la pressione fiscale è cresciuta costantemente, soprattutto a
livello locale dove ha creato deiveri e propri ingorghi fiscali. Così le tasse si pagano tre volte: prima come
imposte, poi come burocrazia e infine come incertezza. Basti pensare al combinato maldisposto Imu-TasiTari che ha disorientato le famiglie e complicato la già difficile attività di gestione delle imprese del
commercio, del turismo, dei servizi e dei trasporti». Il governo ha promesso di semplificare pagamenti e
adempimenti burocratici. Però di concreto si è visto poco... «In tutti questi anni, di riforme annunciate ne
abbiamo viste tante. Ma, oggi più che mai, abbiamo bisogno che questi temi vengano considerati prioritari.
Non neghiamo che un passo in avanti è stato fatto con il primo decreto legislativo di attuazione della riforma
fiscale, ma la strada verso una maggiore semplificazione è ancora lunga. Semplificare il sistema fiscale per
noi significa sostanzialmente tre cose: ridurre la pressione fiscale, che oggi è a un livello incompatibile con
qualsiasi prospettiva di ripresa; rendere più semplici e meno numerosi gli adempimenti; migliorare i rapporti
tra Fisco e contribuenti, rendendoli più trasparenti». Il nuovo direttore dell' Agenzia delle Entrate, Orlandi, ha
promesso un fisco più semplice e comprensibile. Che non faccia venire il mal di testa per riuscire a pagare. Ci
crede? Ha notato qualche miglioramento concreto? «Mi fa molto piacere che siano stati abbandonati i blitz
"stile Cortina". E soprattutto che si sia deciso di concentrare i controlli sui grandi evasori e non accanendosi
sugli errori formali di poco conto a carico di chi le tasse già le paga. Riconosciamo alla Orlandi il merito di
voler aprire una nuova stagione nei rapporti con i cittadini e le imprese, c'è veramente bisogno di instaurare
un rapporto più "sereno" tra fisco e contribuenti». Le piccole e medie imprese restano un argine sociale ed
economico fondamentale per l'Italia. Le riforme del mercato del lavoro in gestazione aiuteranno il ritorno alla
crescita? O teme che il quadro normativo si complichi ulteriormente? «Gli effettidi questo provvedimento
potranno essere verificati solo dopo che i principi contenuti nella legge delega saranno tradotti in vere e
proprie norme di legge con i decreti legislativi. In ogni caso, per noi una buona riforma del lavoro passa da tre
punti imprescindibili: riduzione del costo del lavoro, flessibilità idonea a rispondere alle diverse esigenze delle
imprese e cogliere così tutte le opportunità di assunzione, una seria e concreta semplificazione della
burocrazia». Sul fronte sindacale si annunciano nuove tensioni. Le associazioni di categoria sembrano stare
alla finestra. Sono 10 mesi di governo Renzi: proviamo a dare qualche voto? «Più che dare un voto, mi
permetto di dare un suggerimento: puntare sulla crescita, solo così potremo risolvere i problemi strutturali del
nostro Paese. La Legge di Stabilità è buona nelle intenzioni, quando si propone di diminuire la pressione
fiscale, ma rischia di aggravare la situazione contenendo deipassaggi molto preoccupanti: alludo al rischio di
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Carlo Sangalli (Confcommercio)
22/11/2014
Libero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:125215, tiratura:224026)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/11/2014
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un aumento delle tasse locali e all'incremento di Iva e accise previste dalla "clausola di salvaguardia", che
potrebbero sottrarre 65 miliardi di consumi nel prossimo triennio determinando, così, un ulteriore
peggioramento della crisi». Consumi sempre al palo. Gli italiani in bolletta o in apprensione continuano a fare
le formichine? Come vede il periodo natalizio? Cali o tenuta? «L'ultima rilevazione del nostro Indicatore
congiunturale dei consumi fotografa il permanere di una totale stagnazione. Se poi consideriamo anche gli
altri principali indicatori economici - dalla produzione industriale al clima di fiducia - possiamo dire che la
ripresa, se c'è, è ancora lenta, incerta e faticosa. Insomma: gli italiani faranno le formichine per scelta, ma
anche, purtroppo, per necessità. Quanto al Natale, ci auguriamo che la tradizione dei regali tenga, ma non
osiamo sperare molto di più...».
La ripresa è lenta, incerta e faticosa. Gli italiani faranno le formiche per necessità. Per questo Natale, ci
auguriamo che la tradizione dei regali tenga, ma non osiamo sperare molto di più CARLO SANGALLI
22/11/2014
Libero - Ed. nazionale
Pag. 10
(diffusione:125215, tiratura:224026)
Marino sotto accusa Il blocco alle auto fa chiudere i negozi
Le cifre di Confcommercio bocciano la politica del Campidoglio Con la viabilità ridotta scendono i ricavi di un
esercizio su due
CHIARA PELLEGRINI ROMA
Un disastro (economico) annunciato per i commercianti romani del centro storico, o meglio per quel triangolo
di strade che comunemente viene definito Tridente. In soli 4 mesi dall'avvio della assoluta pedonalizzazione
dell'area, saltano fuori i dati (tragici) dell'andamento delle vendite, già non brillanti complice la crisi e la minore
disponibilità di romani e turisti. Le piccole imprese (soprattutto i negozi ma anche le catene che nella zona
hanno presidi importanti), ora presentano la lista dei danni che questa scelta del sindaco Ignazio Marino
comporta non solo per i singoli esercizi, ma anche anche e soprattutto per le casse del fisco. Ebbene a 120
giorni dalle nuove disposizioni su accesso e traffico, che vietano l'accesso in determinate aree la
Confcommercio della Capitale ha pensato bene di contrapporre i numeri alle scelte del Campidoglio. E così si
scopre che il 78,4% dei negozi e delle botteghe di questo che è il "supercentro", il "Tridentino", di Roma
danno «un giudizio molto negativo» sul sindaco Marino. Percentuale che per altre imprese che insistono in
zone della Capitale sale addirittura al bulgaro 94,8%. L'indagine della confederazione romana, condotta da
Format Research, fa emergere un dissenso verso il primo cittadino addirittura superiore alle attese: «La
negatività è stata più ampia di quella che si sarebbe aspettata», spiega il presidente della Confcommercio
Roma, Rosario Cerra. L'iniziativa di chiudere al traffico (anche ai motorini) questo triangolo della città (tra
Piazza del Popolo, via Condotti e via del Babbuino), all''inizio dell'estate poteva contare su una percentuale di
estimatori ben maggiore. «Quelle che si erano dichiarate molto o abbastanza favorevoli all'iniziativa alla fine
del mese di luglio 2014 erano risultate il 68,5%, ai primi di novembre le imprese che continuano a giudicarla
positivamente si sono ridotte al 40,1%». Ma non basta. Perché se è vero che nelle intenzioni del Campidoglio
si voleva trasformare in un salotto a cielo aperto il centro di Roma, i fatti dimostrano che dalla teoria alla
pratica ne manca di strada. Sempre secondo l'associazione non è migliorata l'illuminazione dell'area del
Tridente, non c'è stata una maggiore attenzione nei confronti delle esigenze delle imprese e dei cittadini
residenti da parte dell'amministrazione della città, non c'è stato alcun incremento dei consumi e non è stato
migliorato il trasporto pubblico. La lista delle critiche e dei danni è chilometrica. Con riferimento ai ricavi,
rilevando l'andamento nel secondo trimestre del 2014, rispetto al medesimo periodo dell'anno precedente sia
presso le imprese che insistono nelle aree del Tridente, sia presso quelle che insistono nelle altre zone della
Capitale, sono stati rilevati scostamenti significativi. Nel dettaglio il 41,5% segnala che i propri ricavi sono
rimasti invariati, mentre secondo il 52,9% sono diminuiti. E solo il 5,7% delle imprese del Tridente ha visto
aumentare i propri ricavi rispetto ad un anno dalla data. Resta - nonostante le promesse e le garanzie l'insoddisfazione per i parcheggi per i commercianti ed i residenti nelle aree limitrofe il tridente. Neppure per i
motorini sono stati realizzati tutti i posti che servirebbero. In compenso la sosta oraria è aumentata da 1 a 1,5
euro l'ora.
Foto: Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, al centro di uno scandalo per aver parcheggiato la propria
automobile in divieto di sosta [Fotogramma]
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Gli affari di Roma
22/11/2014
ItaliaOggi
Pag. 4
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Attacco al premier da più fronti
Landini choc: Renzi non ha il sostegno delle persone oneste
EMILIO GIOVENTÙ E GIAMPIERO DI SANTO
Il premier Matteo Renzi deve guardarsi da attacchi da più fronti. In tutto questo il governo non ha ancora
deciso se mettere la fiducia alla Camera sul Jobs act. Il premier intanto deve fare i conti con la fronda della
minoranza del Pd, che si appella alla libertà di coscienza per emendamenti e voto finale, e con la resistenza
dei sindacati e del leader della Fiom, Maurizio Landini, che ieri ha detto: «Renzi riconosca che non ha il
consenso delle persone oneste, dei lavoratori e di chi cerca lavoro». Landini, raggiunto da numerose critiche
per le parole pronunciate ha rettificato in parte: «Mai pensato che Renzi non ha il consenso degli onesti, ma
questo governo non ha il consenso della maggioranza delle persone che, per vivere, devono lavorare, dei
precari, dei giovani e di quelli che cercano lavoro. Queste persone sono parte di quella parte del paese
onesta che paga le tasse e tiene in piedi questo paese», ha detto nel corso della manifestazione Fiom a
Napoli. Contro Renzi si è scagliato anche il segretario generale aggiunto della Uil, Carmelo Barbagallo: «Si
inventi una scusa per farci evitare lo sciopero», ha dichiarato. «È un cantastorie, perché ne racconta una la
mattina, una il pomeriggio e un'altra alla sera», ha detto il numero uno Uil a proposito del premier. Renzi ha
replicato che «si salva il lavoro tenendo aperte le fabbriche e le aziende, non alimentando polemiche o
giocando a chi urla più forte».A dare man forte al premier ieri è intervenuta la Cna. «Il sentimento più diffuso
tra le Pmi nei confronti dello sciopero generale è di stizza. Tutti i giorni lottiamo per strappare un ordine,
andare avanti nonostante le avversità e i dipendenti con noi. Le ragioni dello sciopero ci sembrano
pretestuose, frutto di un atteggiamento di chiusura legato a una visione del mondo che non esiste più», ha
dichiarato il presidente Cna, Daniele Vaccarino, annunciando che «tra le Pmi l'adesione sarà quasi nulla».
Vaccarino ha poi espresso un giudizio sul bonus di 80 euro: «Chi dice che non servono a nulla non vive nel
paese reale e dentro le fabbriche. È manna dal cielo». Anche Ncd alza la voce Non ci sono soltantoi sindacati
a scagliarsi contro il premier. Renzi, infatti, deve fare i conti anche con i malumori espressi chiaramente dal
Nuovo centrodestra. Il governo è È corso ai ripari con un emendamento al ddl stabilità per impedire che le
Poste, titolari dell'erogazione del servizio social card dal marzo 2014, fossero costrette a richiedere a soggetti
indigenti, cittadini extracomunitari compresi, indietro le somme già versate nel periodo tra gennaio e la
conclusione del contratto, avvenuta, appunto, nel mese di marzo. Così, il ministero dell'economia, con una
nota, spiega perché è stato costretto a presentare la modifi ca che è stata scambiata per un'estensione della
platea dei benefi ciari della social card. Ma il Nuovo centrodestra, oggi, ha chiesto al governo di ritirare anche
quell'emendamento, secondo quanto ha spiegato Nunzia De Girolamo, capogruppo alla camera del partito
guidato da Angelino Alfano: «Dopo l'equivoco che si è creato ieri, crediamo sia opportuno che il governo
valuti questa richiesta anche per meglio riformulare l'emendamento stesso», ha detto De Girolamo. «Non è
chiaro tra l'altro se il governo vuole estendere la social card o destinare apposite risorse per ottemperare a
precedenti obblighi e sanare il contenzioso con le Poste. C'è ancora tempo per discuterne». L'altro fronte
d'attacco del Nuovo centrodestra è il canone Rai. «Sarebbe più opportuna una imposta progressiva collegata
all'Irpef in modo da commisurarlo alle condizioni economiche di chi ne usufruisce», hanno detto esponenti del
Nuovo Centrodestra. «L'ipotesi di inserire il canone nella bolletta elettrica è una stortura di sistema. Non si
può caricare una tassa su tariffa e le aziende elettriche non possono fare da esattori per lo Stato: ci sarebbe
una sovrapposizione di competenze inaccettabile. Oltretutto, si complicherebbe la vita a imprese e
consumatori». La legge di stabilità comunque, ieri ha registrato alcune novità, tra le quali quella sul bonus
bebè. Con un emendamento depositato in commissione Bilancio il governo sostituisce il tetto di reddito di
90mila euro per benefi ciare del bonus con un tetto Isee di 25mila euro annui. Il benefi cio viene rafforzato per
i più poveri: l'importo dell'assegno verrà aumentato per coloro che hanno un valore Isee sotto i 7mila euro
annui. Una misura richiesta dalla minoranza del Pd nei giorni scorsi e oggi diventata proposta di modifi ca
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Social card agli immigrati e canone Rai, Ncd non ci sta e fa tremare la maggioranza
22/11/2014
ItaliaOggi
Pag. 4
(diffusione:88538, tiratura:156000)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/11/2014
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governativa alla legge di Stabilità 2015. La commissione Bilancio ha anche dato il via libera all'aumento da
250 a 400 milioni di euro del fondo per la non autosuffi cienza, compresa la Sla. I 150 milioni in più arrivano
dal fondo famiglia, ridotto da 298 a 148 milioni. Dal 2016 il fondo resta a 250 milioni. Via libera anche
all'aumento a 650 mila euro annui - fi no al 2017 il fi nanziamento per l'autorità garante per l'infanzia e
l'adolescenza. In arrivo, poi, altri 220 milioni di euro in tre anni per la realizzazione del piano straordinario
della promozione del Made in Italy e 60 milioni aggiuntivi nel 2015 per il fondo emergenze nazionali.
Berlusconi rassicura Renzi Su una cosa soltanto può fare affi damento Renzi. Il patto del Nazareno è ancora
in piedi. E Italicum potrà essere approvato entro dicembre. Silvio Berlusconi, che nella serata di ieri aveva
dichiarato di non essere certo della tenuta della maggioranza che sostiene l'attuale governo e si era detto
scettico sugli effetti del Jobs act sulla creazione di nuovi posti di lavoro, ieri mattina ha invece ha spiegato,
per prima cosa, che «l'Italicum potrà essere approvato entro la fine dell'anno a patto che il governo sappia
ascoltare le ragioni della destra e della sinistra». Poi,a proposito del Patto del Nazareno e della tenuta
dell'accordo con il Pd sulle riforme istituzionali, l'ex Cavaliere ha detto: «Ho messo me stesso e Forza Italia in
una posizione diffi cile da comprendere perché ho detto sì a quei miglioramenti alla legge elettorale e
all'assetto istituzionale che la sinistra in passato aveva bocciato per la politica del tanto peggio tanto meglio.
Ora che abbiamo la possibilità di fare queste modifi che noi dobbiamo esserci». Infi ne, il leader di Fi ha
aggiunto che «tagliare le tasse sulla casa è doveroso» e, a proposito del no tax day del 29 e 30 novembre, ha
sottolineato: «Dopo che Fi è stata ingiustamente mutilata del suo capo, che è fuori battaglia per mancanza di
libertà, di cui ora finalmente si vede la fi ne, ora il partito torna in campo, cominciando proprio dal problema
della casa, colpita da tasse moltiplicate per 3 dopo il nostro governo, che ricordo fu costretto alle dimissioni.
La casa è il pilastro su cui ogni famiglia costruisce il futuro per i propri fi gli». Eternit, si corre ai ripari Renzi
deve fare i conti anche con l'onda emotiva nazionale colpita dalla sentenza Eternit. Dopo la caduta in
prescrizione del reato di disastro ambientale per la vicenda Eternit, Renzi aveva promesso un intervento. E
subito il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha annunciato la novità: «Il consiglio dei ministri ha già
definito una nuova disciplina della prescrizione che la prossima settimana andrà in parlamento. Faremo di
tutto perché l'iter sia il più veloce possibile affi nché il provvedimento sia approvato». Il Guardasigilli ha poi
sottolineato (sempre in riferimento alla sentenza Eternit) «che c'è una riforma dei reati ambientali ferma in
parlamento: vogliamo si arrivi ad una rapida approvazione». Una accelerazione decisa, quella impressa
dall'esecutivo, che ha convinto i presidenti di senato e camera, Pietro Grasso e Laura Boldrini, a concordare
un percorso per quanto possibile più rapido: è stato deciso che la riforma delle norme sulla prescrizione
comincerà a Montecitorio. Intanto, la Procura di Torino ha chiuso formalmente l'inchiesta Eternit bis in cui è
indagato l'imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny. Si procede per omicidio volontario continuato.
Quarantatre casi di morte, oltre ai primi 213, saranno contestati a Stephan Schmidheiny. I pm Raffaele
Guariniello e Gianfranco Colace stanno lavorando all'atto formale di chiusura delle indagini. Napolitano dal
papa Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ieri è stato ricevuto in udienza da Papa Francesco.
L'incontro, durato un'ora e venti minuti in forma strettamente privata arriva dopo un anno dalla visita uffi ciale
di Bergoglio al Quirinale, il 14 novembre 2013. Storace condannato per vilipendio Francesco Storace è stato
condannato a Roma a sei mesi per vilipendio al Presidente della Repubblica. «Sono l'unico italiano
condannato per questo reato», ha commentato.
24/11/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.39 - 24 novembre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
Tutti vogliono l'italian food i fondi a caccia di affari
Ettore Livini
Buon appetito, il pranzo è servito. In menu ci sono i migliori marchi del cibo e della tradizione agroalimentare
italiana. I commensali invece, un po' a sorpresa, sono i big della finanza. Che dopo aver fatto incetta di
marchi della moda, alberghi e palazzi tricolori, hanno messo nel mirino il Made in Italy della tavola: rilevando
etichette di vino a peso d'oro, contendendosi con rilanci milionari bar storici e corteggiando carne, salumi,
formaggi come fossero griffe firmate. L'ingresso del Fondo strategico della Cdp e del Qatar nella Inalca
(Cremonini) è solo l'ultimo tassello di un mosaico sempre più ricco. segue a pagina 8 segue dalla prima «Il
cibo tricolore è uno dei pochi tratti riconoscibili del nostro paese nel mondo» come dice il ministro
dell'Agricoltura Maurizio Martina. Noi fatichiamo a farlo fruttare. E a caccia di questo Eldorado inesplorato si
sono messi ora i capitalisti e i fondi globali. La loro scommessa è chiara: il valore dei marchi tradizionali del
lusso, dopo essere schizzato alla stelle, ha iniziato a segnare il passo in Borsa. Meglio quindi andare a
cercare nuove nicchie dove ripartire da zero. E i brand della filiera agroalimentare, a giudicare dalle loro
ultime mosse, sono il campo di battaglia prossimo venturo dove realizzare questo sogno. Nessuno, a dire il
vero, aveva mai messo in discussione il valore finanziario del marchio Italia in questo campo. Carta canta:
Barilla e Ferrero, capaci di guardare lontano ed internazionalizzarsi, sono riusciti a conquistare il mondo
senza bisogno di andare in Borsa e senza legarsi a filo doppio alle banche. E l'Expo 2015 di Milano, non a
caso, ha scelto come tema proprio l'alimentazione. Il problema è che dietro ai due giganti (salvo rare
eccezioni che si contano sulle dita delle mani) c'è un mondo di nani. Capaci - per tradizione e per i legami con
il territorio - di creare prodotti di qualità planetaria. Ma impossibilitati, per scelta o per mancanza di risorse, a
volare alto mettendo il naso fuori dal nostro paese. I numeri sono pietre: l'export alimentare dell'Italia, pur
raddoppiato negli ultimi dieci anni, è la metà di quello della Germania cui nel campo, obiettivamente, abbiamo
poco da invidiare. E solo il 12% delle imprese del settore esporta i suoi prodotti. A mischiare le carte in tavola,
però, accendendo un faro sulle potenzialità del settore e scatenando l'appetito della grande finanza, è
arrivato Oscar Farinetti. Il papà di Eataly è partito da zero (o per meglio dire dal tesoretto di famiglia messo
assieme con la vendita di Unieuro e dall'aiuto delle banche). Ha mischiato imprenditorialità e il meglio della
tavola tricolore. E la ricetta pare aver fatto centro. Il negozio newyorchese al Flat Iron, ha raccontato il New
York Times, è la terza attrazione più visitata della Grande mela dopo Empire State Building e Metropolitan. I
ricavi di Eataly arriveranno quest'anno a 400 milioni. Numeri importanti che hanno convinto la Tip di Giovanni
Tamburi a staccare un assegno di 120 milioni per rilevare il 20% della società, in vista della quotazione a
Piazza Affari - mercati permettendo - tra il 2015 e il 2016 per finanziare nuovo sviluppo. «Le cose vanno
benissimo e Eataly sta aiutando anche molte piccole imprese di casa nostra a farsi conoscere nel mondo conferma Tamburi - ho appena incontrato investitori tedeschi che vorrebbero entrare nel capitale. Una volta
l'alimentare dava ritorni bassissimi. Ma l'Italia è diversa, la vogliono tutti e con i mercati ai massimi è ovvio
che la finanza venga a cercare valore anche qui». Una rondine, certo, non fa primavera. L'esperienza di
Eataly e quella della Cremonini hanno però fatto scuola. Se i piatti e i marchi della tradizione gastronomica
italiana tirano come le firme della moda - hanno pensato i giganti della finanza e del lusso meglio comprarseli
ora prima che diventino (com'è capitato nel fashion) troppo costosi. Detto fatto: Louis Vuitton Moet Hennesy e
Prada si sono sfidati a suon di assegni per mettere le mani su due nomi notissimi, rispettivamente Cova e
Marchesi, della pasticceria milanese. Obiettivo: clonarli in giro per il mondo abbinati ai negozi di casa o nelle
catene di grande distribuzione, sfruttando marchi che da soli sono sinonimo di qualità. Lo stesso ha fatto
Renzo Rosso, che da tempo aveva avviato un propria attività nel vino, entrando nel capitale di BioNatura, la
maggior catena italiana di biodinamico assieme a Giorgio Rossi Cairo, ex consulente di tutti i maggiori gruppi
industriali italiani. Garantendo così ai fondatori i capitali per fare il salto di qualità e, magari, pensare in futuro
a giocare la carta della crescita all'estero. La partita, ovviamente, non è facile. C'è da consolidare e far
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[ L'INCHIESTA ]
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La Repubblica - Affari Finanza - N.39 - 24 novembre 2014
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crescere i marchi senza vendere la loro anima sull'altare dei profitti. Ci sono da consolidare filiere e mercati
senza che vadano perse le peculiarità che hanno fatti grandi piccoli prodotti di nicchia. La macchina però ha
iniziato a muoversi. E attorno al tavolo del cibo e del vino made in Italy hanno iniziato a sedersi commensali
inattesi. Alessandro Profumo, per dire, ex-Unicredit ora Mps, non ha saputo resistere alla sirena
dell'agroalimentare e negli scorsi mesi si è comperato il 45% della azienda vitivinicola Mossi nel piacentino,
uno dei re indiscussi dell'Ortrugo. Una novità. Sul fronte enologico l'unica eccezione (o quasi) alla
frammentazione delle grandi etichette tricolori erano state fino a pochi anni fa le assicurazioni. Unipol,
Generali e la tedesca Allianz, proprietarie dei maggiori portafogli di etichette tricolori. E come ovvio - visto che
vendemmiare non è proprio il loro mestiere - faticano a mettere a punto progetti di crescita importanti. Il salto
dalla finanza, lavorava alla Goldman Sachs, alle bollicine l'ha fatto invece Matteo Lunelli, passato dalla City
alla guida delle Cantine Ferrari di Trento, controllate dalla sua famiglia. E lui ha idee di crescita chiare: «La
domanda di enogastronomia in un mondo dove gli chef diventano star è sempre maggiore. L'Italia, su questo
fronte, ha da vendere una grande biodiversità. È naturale quindi che la finanza mette gli occhi sui nostri
marchi - racconta - noi stiamo provando a crescere all'estero raccontando le straordinarie storie che il nostro
paese ha da raccontare. Il legame con il territorio, la qualità, la produzione sostenibile». Ultimo atto
l'acquisizione del 50% delle Cantine Bisol e la diversificazione nel Prosecco. «Il know how nel marketing
digitale e nella gestione dei grandi clienti consente di sviluppare grandi sinergie e promuovere il valore dei
prodotti italiani oltrefrontiera. E' un modo per far conoscere meglio tutto il paese» assicura Lunelli. Altri
segmenti di mercato ma approccio simile ha utilizzato la Coop, provando a contrastare il prevedibile assalto
di hedge fund e fondi sovrani al vino di casa nostra. Le cooperative hanno messo assieme un marchio alla
volta, partendo dal Tavernello ma arrivando ai grandi Amaroni e al Brunello di Montalcino, un network
(Caviro) da 317 milioni di ricavi. Briciole rispetto ai competitor stranieri, ma almeno un inizio. E non a caso le
stesse cooperative che a Bologna vogliono lanciare con Farinetti Fico, una mega Disneyland del cibo tricolore
per turisti stranieri da cinque milioni di visitatori l'anno - stanno provando a fare lo stesso sulle filiere del latte
e del formaggio con la Granarolo. «Per anni abbiamo vissuto con la certezza che piccolo è bello conclude
Marilena Colussi, una delle più autorevoli ricercatrici di tendenze alimentari e sociali italiane - ma anche per
rilanciare il paese ora è il momento di esportare di più. E l'aiuto della finanza è benvenuto. Abbiamo capacità
e competenze. L'unica raccomandazione è puntare alto, salvare la nostra cultura del cibo e la nostra
eccellenza, posizionando i prodotti nei segmenti premium dove si guadagna di più e dove la concorrenza
fatica ad arrivare». Guadagni, segmenti premium. Musica per le orecchie di fondi sovrani e grandi capitali a
caccia di nuovi affari nel lusso. L'assalto al made in Italy della tavola è appena iniziato. FONTE INTESA
SANPAOLO PROMETEIA INTESA SANPAOLO DA COMTRADE
LE PARTECIPAZIONI "ATIPICHE"
ALESSANDRO PROFUMO Ha comprato il 45% dell'azienda vinicola Mossi nel piacentino che produce
l'Ortrugo PATRIZIO BERTELLI Prada ha rilevato l'azienda di alta pasticceria e ristorazione Marchesi RENZO
ROSSO Il patron della Diesel è entrata nel biodinamico comprando Bionatura
PICCOLE E DOMESTICHE Il grafico qui accanto evidenzia come le imprese del made in Italy alimentare che
si sono internazionalizzate sono quelle che hanno registrato i maggiori incrementi di fatturato. Anche in un
anno difficile come il 2013
Foto: Sopra, uno dei mall di Eataly. Le aperture estere hanno trainato l'immagine del made in Italy
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La Repubblica - Affari Finanza - N.39 - 24 novembre 2014
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News, analisi e nuovi prodotti ogni giorno la vetrina delle Pmi
DA OGGI LE AZIENDE ITALIANE AVRANNO UNA RIBALTA SPECIALE COMPLETAMENTE DEDICATA A
LORO GRAZIE AD AFFARI&FINANZA ASSIEME A INTESA SANPAOLO. IL SITO VERRÀ AGGIORNATO
CONTINUAMENTE
(r.rap.)
Da oggi le imprese italiane avranno una vetrina speciale completamente dedicata a loro. Nasce infatti
Impresa Italia, iniziativa di Affari&Finanza sviluppata assieme a Intesa Sanpaolo. Il sito (online da oggi alle 14
all'indirizzo www.repubblica.it/economia/rapporti/impresa-italia), che verrà aggiornato quotidianamente,
racconterà le storie di successo del made in Italy, ne raccoglierà le voci e affronterà i problemi con cui le Pmi
devono combattere ogni giorno. Per consentire al lettore di addentrarsi in quello che è a tutti gli effetti il cuore
pulsante dell'economia del Belpaese, Impresa Italia metterà inoltre a disposizione numeri, fatti e notizie e
delineerà scenari su quelli che possono essere gli sviluppi futuri. Sarà dunque un vero e proprio viaggio nel
mondo delle imprese, che stanno senza dubbio attraversando un periodo difficile - negli ultimi 23 trimestri ben
16 hanno fatto registrare un Pil negativo - ma che hanno altresì dimostrato di poter prosperare anche nelle
situazioni più avverse. L'export italiano era ed è tutt'oggi uno dei fiori all'occhiello dell'economia tricolore, così
come molti settori, dalla moda all'alimentare, sono delle eccellenze mondiali, che tutto il mondo ci invidia e
cerca con scarso successo di copiare. Anche in tempi i crisi sono infatti numerosissime le aziende che
continuano a investire, che portano sul mercato prodotti nuovi e innovativi e che allocano risorse importanti
nella ricerca e nello sviluppo. Proprio al settore alimentare Impresa Italia dedicherà grande attenzione: su
Expo2015 si concentrano infatti molte delle speranze di ripresa di tutta l'economia nazionale. Intesa
Sanpaolo, per parte sua, offrirà a numerose aziende la possibilità di partecipare a un evento mondiale come
quello in programma l'anno prossimo a Milano, dando loro ospitalità direttamente nel suo Spazio. Le imprese
selezionate potranno raccontare la loro storia, farsi conoscere sulla ribalta mondiale e dare ispirazione ad altri
imprenditori. La partecipazione ad Expo2015 dei vincitori avrà un aspetto istituzionale e un altro più riservato
per pianificare incontri e sviluppare relazioni, per invitare i dipendenti e i clienti e per favorire opportunità di
business anche a livello internazionale. L'iniziativa di Intesa Sanpaolo che consentirà di selezionare le
i m p r e s e sia c h i a m a " C a n d i d a la tua i m p r e s a " e sarà a cc e s s i b i l e sia o n l i n e sul sito
www.unmondopossibile.com sia nelle sue oltre 4500 filiali presenti sul territorio italiano prendendo contatto
con il Gestore Imprese. Per il numero uno di Ca de Sass, Carlo Messina, «la partnership con Expo Milano
2015 rappresenta un'occasione unica per rafforzare il nostro impegno verso il Paese, valorizzare le
eccellenze imprenditoriali italiane, la vitalità della nostra economia e il primato del patrimonio artistico e
culturale di cui è ricca l'Italia. Perché Intesa Sanpaolo crede nella grande occasione di rilancio che Expo offre
al Paese e sostiene l'imprenditoria italiana con un impegno concreto». FONTE BANCA DATI ASI
Foto: Impresa Italia metterà a disposizione numeri, fatti e notizie e delineerà scenari su quelli che possono
essere gli sviluppi futuri. Grande attenzione riservata al settore alimentare
Foto: La partnership con Expo Milano 2015 rappresenta un'occasione unica per Intesa San Paolo per
rafforzare l'impegno verso il Paese
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Milano
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Export e digitale ecco il segreto di quelle imprese ancora in crescita
INTESA SANPAOLO HA SIGLATO UN ACCORDO CON PICCOLA INDUSTRIA PER UN NUOVO
STRUMENTO COL QUALE VIENE PROPOSTA UN'AMPIA GAMMA DI SOLUZIONI. E CON "CREATED IN
ITALIA" C'È ANCHE UNA PIATTAFORMA DI E-COMMERCE
Marco Frojo
stano invece sotto pressione comparti come quello immobiliare e delle costruzioni», dice Barrese. A sostegno
delle Pmi, Intesa Sanpaolo ha di recente siglato un accordo con Piccola Industria Confindustria che intende
essere un nuovo strumento dedicato alle piccole e medie aziende alle quali viene proposta un'ampia gamma
di soluzioni in linea con l'idea di una finanza sempre più strategica, al servizio della crescita e della
competitività del sistema imprenditoriale del Paese. Al centro della collaborazione c'è un nuovo plafond di 15
miliardi di euro, che si aggiunge ai 35 miliardi già stanziati con gli accordi precedenti, e un programma
focalizzato su interventi in tema di crescita, innovazione e start up, export e internazionalizzazione. L'export
resta dunque la vera chiave del successo del Made in Italy e Intesa Sanpaolo, oltre alla possibilità concessa
a numerose aziende di presentarsi all'Expo2015 offrendo loro ospitalità nel suo spazio, ha messo a punto
anche la vetrina "Created in Italia", una piattaforma di ecommerce a disposizione di tutte le piccole e medie
imprese che vogliono crescere nei mercati i n t e r n a z i o n a l i sfruttando gli strumenti digitali. «Il binomio
export-internet è infatti quello che attualmente consente di creare maggior valore - spiega Barrese - La cura,
la creatività, l'ingegno, l'energia sono i valori del made in Italy che il mondo riconosce e premia ogni giorno.
Created in Italia è una vetrina dedicata alle imprese d'eccellenza che portano valore al brand Italia. Realtà
imprenditoriali che considerano il paesaggio e le tradizioni del loro territorio come elementi distintivi delle loro
creazioni e che, grazie a Intesa Sanpaolo, possono valorizzare i propri prodotti sul portale, beneficiando così
di una grande visibilità». Created in Italia si articola in quattro sezioni: Ticket Expo Milano 2015, Offerte e
promozioni, Proposte di viaggio e Luoghi d'Italia. Nella prima è possibile acquistare i biglietti d'ingresso o
reperire informazioni sull'Esposizione universale; in Offerte e promozioni è presente un catalogo di coupon
per vivere, a prezzi vantaggiosi, esperienze enogastronomiche e turistiche d'eccellenza. In Proposte di
viaggio si trova la possibilità di acquistare pacchetti viaggio "in grado di far scoprire la bellezza più
sorprendente e meno conosciuta del paesaggio e del territorio italiano"; nell'ultima sezione, infine, grazie alla
collaborazione con SlowFood, Created in Italia mette a disposizione una sezione informativa con l'obiettivo di
valorizzare e far conoscere i presìdi e i prodotti enogastronomici d'eccellenza del nostro Paese. A brevissimo
sarà inoltre disponibile una nuova sezione "cultura" su Created in Italia dove i clienti in possesso della carta
Expo potranno scaricare dei coupon contenenti sconti piuttosto che agevolazioni (es. salta coda) il tutto per
valorizzare al massimo il patrimonio artistico culturale del nostro Paese. «C'è ancora molto da fare per uscire
dalla crisi, bisogna fare sinergia e l'iniziativa Created in Italia va proprio in quella direzione», afferma Barrese,
che si dice convinto che quella digitale è «una vera e propria rivoluzione industriale», che cambia
radicalmente il modo di fare business. Milano Export e canali digitali. Sono questi i due driver di crescita che
hanno sostenuto le imprese di successo anche nei periodi più bui della crisi economica. Questa tipologia di
aziende non ha mai smesso di chiedere finanziamenti e il sistema bancario non ha mai smesso di sostenerle,
per il semplice motivo che il loro business è solido e la loro solvibilità alta. A sostenerlo è Stefano Barrese, dal
30 ottobre scorso responsabile dell'area Sales e marketing di Intesa Sanpaolo: «Una parte importante delle
aziende italiane continua a crescere e sono quelle che operano sul mercato internazionale e quelle che si
affacciano sui mercato digitali». Per il manager del primo gruppo bancario italiano «ci sono dei segnali
positivi» che vengono dall'economia e molti altri potrebbero arrivare da Expo2015, che aprirà i battenti fra
poco più di cinque mesi. In occasione dell'evento meneghino, infatti, le eccellenze mondiali nel campo
dell'alimentazione (e non solo) saranno sulla ribalta mondiale e potranno ricevere un notevole impulso in
termini di crescita. Secondo il manager le realtà italiane di maggior successo sui mercati internazionali si
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[ I PROGETTI ]
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concentrano in Piemonte, Toscana, Emilia Romagna, Veneto e parte della Lombardia, mentre è soprattutto il
Sud ad avere un gap da colmare. I mercati che contano una maggiore presenza italiana sono invece Stati
Uniti, Francia e Germania, seguiti dalla Cina. «Abbiamo però situazioni molto interessanti in Russia e
Turchia, senza dimenticare le importanti aspettative che alimentano mercati di frontiera come quello indiano e
alcuni Paesi del continente africano», illustra Barrese. A mostrare una dinamica positiva non sono solo le
società votate all'export ma anche alcune che operano soprattutto nel mercato domestico. «L'alimentare è un
ottimo esempio, così come lo è il settore farmaceutico. Re- [ LA SCHEDA ] Il gruppo con oltre 11 milioni di
clienti è presente anche in Medio Oriente Intesa Sanpaolo, con 11,1 milioni di clienti e oltre 4.500 filiali, è il
maggiore gruppo bancario in Italia e uno dei principali in Europa. Il gruppo nasce il 1° gennaio 2007 dalla
fusione di Sanpaolo IMI in Banca Intesa. Con una copertura strategica del territorio attraverso le sue
controllate locali, Intesa Sanpaolo si colloca tra i principali gruppi bancari in diversi Paesi del Centro-Est
Europa e nel Medio Oriente e Nord Africa, dove serve 8,4 milioni di clienti con una rete di oltre 1.400 filiali. In
queste aree, infatti, Intesa Sanpaolo è al primo posto in Serbia, al secondo in Croazia e Slovacchia, al terzo
in Albania, al quinto in BosniaErzegovina, Egitto e Ungheria, all'ottavo in Slovenia. Al 30 giugno 2014, il
Gruppo Intesa Sanpaolo presenta un totale attivo di 628.305 milioni di euro, crediti verso clientela per
332.211 milioni di euro, raccolta diretta bancaria di 375.775 milioni di euro e una raccolta diretta assicurativa
e riserve tecniche di 104.695 milioni di euro. L'attività del gruppo si articola in cinque business units: Banca
dei Territori, che raggruppa gli istituti controllati in Italia, Corporate e Investment Banking, Banche Estere
(Albania, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Egitto, Federazione Russa, Repubblica Ceca, Romania, Serbia,
Slovacchia, Slovenia, Ucraina e Ungheria), Eurizon Capital (asset management con 183 miliardi di risparmio
gestito) e Banca Fideuram (rete promotori).
Foto: Numerose aziende italiane continuano a crescere e sono quelle che operano sul mercato internazionale
e quelle che si affacciano sui mercati digitali
Foto: Created in Italia è una vetrina dedicata alle imprese d'eccellenza che portano valore al brand Italia
Foto: Qui sopra Stefano Barrese (Intesa Sanpaolo)
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Corriere Economia - N.39 - 24 novembre 2014
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Trasporti Ora Uber vuole fare impresa
La piattaforma di noleggio dell'auto con il guidatore svolta e si rivolge alle Pmi «Così non si gonfiano le note
spese». A breve apertura in una quinta città
GRETA SCLAUNICH
Le proteste e le normative da aggiornare non impensieriscono Uber, la controversa applicazione-piattaforma
(in Italia ha suscitato le proteste dei taxisti per concorrenza sleale e una pronuncia dell'Antitrust) che
consente di noleggiare l'auto con l'autista. Non finché i numeri continuano a crescere: le previsioni del 2014
danno il fatturato in salita a 10 miliardi di dollari (con una percentuale di crescita del 300% anno su anno),
mentre tra un giro di finanziamenti e l'altro la società, a cinque anni dalla nascita, è ritenuta valere 30 miliardi.
Milano, il caso pilota
Ma anziché parlare di Ipo, l'offerta pubblica di vendita, cioè del debutto in Borsa (alcuni lo davano per certo
entro dicembre, ma ora pare arriverà non prima di un paio d'anni), Uber preferisce concentrarsi sullo sviluppo
di nuovi servizi per gli utenti. Anche in Italia, dove l'app cerca di espandere la propria clientela rivolgendosi
alle aziende con il nuovo servizio «Uber for business».
Dice la country manager italiana, Benedetta Arese Lucini: «Siamo partiti nel marzo 2013 con il "popolo della
notte" e non a caso l'orario di utilizzo più coperto a Milano, la prima città dove siamo sbarcati, è quello che va
dalle 19 all'una. Adesso però guardiamo oltre i cittadini privati, vogliamo aprirci ad altri utenti. Il nuovo
servizio, infatti, è pensato per le piccole e medie imprese: ci si iscrive alla piattaforma come azienda,
fornendo i dati della carta di credito aziendale, poi si invitano le persone dando loro il permesso di utilizzare il
servizio. In Italia, ma anche all'estero».
Lo strumento, che si rivolge ad aziende di massimo 250 dipendenti (partite Iva comprese), consente secondo
l'azienda di risparmiare fra il 5 e il 10% delle spese: secondo uno studio sugli Usa, Paese dove «Uber for
business» è già stato lanciato, le società risparmiano quasi mille dollari a persona all'anno. Un motivo è la
tracciabilità e trasparenza del servizio, che renderebbe impossibile gonfiare le note spese. In Italia alcune
imprese lo stanno già testando e Lucini è ottimista: «Piace perché è molto semplice: non serve essere dei
giovani appassionati di tecnologia per utilizzarlo. Spero che questo nuovo servizio non scateni altre proteste
da parte dei taxisti, ma non dovrebbe succedere: i trasporti Ncc (gli autisti privati, ndr. ) nel settore del
business si fanno da sempre ed è più facile per le categorie tradizionali accettare la nostra concorrenza».
Il nodo non ancora risolto riguarda infatti UberPop, il servizio che mette in contatto diretto guidatori di auto e
passeggeri, contro il quale i tassisti stanno protestando da mesi con manifestazioni e scioperi in diversi Paesi,
Italia compresa.
La protesta dei taxisti
«Così ci fanno concorrenza sleale, noi ci limitiamo a mantenere una posizione di tutela del servizio pubblico e
continueremo a farlo», sostiene il presidente del sindacato dei taxisti Unica Filt Cgil, Giovanni Maggiolo.
L'Antitrust ha dato parere favorevole, Renzi ha elogiato il servizio dopo averlo usato a New York? Maggiolo
taglia corto: «Quello dell'Antitrust è un parere, quella di Renzi solo una battuta».
Ma, proteste a parte, in Italia Uber spinge sull'acceleratore. «Il nostro Paese è tra i primi cinque in Europa per
grandezza e il secondo, dopo la Francia, per numero di città nelle quali il servizio è presente. Dopo Milano,
Roma, Genova e Torino, entro la fine dell'anno apriremo in un'altra città del Nord», anticipa la country
manager.
Ma per avere anche da noi i nuovi servizi già inaugurati negli Usa, come la possibilità di consegnare pacchi
tramite biciclette, bisognerà aspettare: «Si può fare in città grandi dove c'è molta liquidità, le città europee in
questo sono ancora indietro. Dobbiamo crescere prima di poterlo fare, ma se dovessimo lanciare un servizio
così anche in Italia io vorrei renderlo più locale: niente biciclette, ma motorini».
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Piattaforme I piani d'espansione in Italia della società americana che cresce del 300% l'anno e vale 30
miliardi di dollari
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Corriere Economia - N.39 - 24 novembre 2014
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/11/2014
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Agli italiani Uber piace, dice l'azienda: secondo la quale ogni settimana arrivano oltre 300 richieste di
potenziali guidatori che vogliono iscriversi al servizio. E Genova, dove Uber è arrivata a settembre, si è
guadagnata il primato europeo per la velocità di crescita del servizio. Il focus, adesso, resta l'Expo.
Prima del taglio del nastro è previsto lo sbarco in altri centri italiani, ma pure il miglioramento dei servizi nelle
città già coperte. Con qualche piccolo incentivo in più, magari sull'esempio di Roma dove Uber ha abbassato i
prezzi e ora costa circa il 25% in meno. Cioè quanto un normale taxi.
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Travis Kalanick (2009, San Francisco) Amministratore delegato Noleggio auto con autista 205 città, 50 Paesi
Milano, Roma Genova, Torino Benedetta Arese Lucini Country manager Espandere il core-business: servizi
per aziende e consegna pacchi Migliorare i servizi: in arrivo partnership con Spotify Arrivare in nuove città (la
prossima entro fine anno) Lancio di Uber for business: servizi per le Pmi In Italia Nel mondo Dove è presente
Prossimi obiettivi Fonte: elaborazione CorrierEconomia su dati dell'azienda I numeri italiani 300 Le richieste di
nuovi autisti alla settimana 19 p.m. - 1a.m L'orario di utilizzo a Milano del servizio Uber 30 miliardi di dollari
Valutazione per il 2014 10 miliardi di dollari Ricavi previsti per il 2014 Pparra
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Corriere Economia - N.39 - 24 novembre 2014
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Crisi Imprese e salvataggi: il concordato della discordia
Gli artigiani: conciliare meglio le esigenze di debitori e creditori
ISIDORO TROVATO
L e imprese italiane sono sotto attacco ormai da otto anni per l'effetto congiunto di una serie di fattori
sfavorevoli. Esistono diversi tipi di termometro con cui è possibile misurare la febbre del disagio, uno di questi
individua le procedure concorsuali come misuratore: si tratta di episodi di amministrazione giudiziaria,
controllata e straordinaria, bancarotta semplice e fraudolenta, concordato preventivo e fallimentare,
fallimento, liquidazione coatta amministrativa, stato di insolvenza e accordi di ristrutturazione dei debiti.
I concordati preventivi aperti tra gennaio 2012 e agosto 2014 sono stati in Italia oltre 4.700 e un dato
singolare è che a segnare il record delle procedure è Treviso, una delle capitali del Nordest, area che per
lunghi periodi ha rappresentato la locomotiva dell'economia italiana.
I numeri
Partendo proprio da questo sorprendente dato, la Confartigianato della marca trevigiana ha realizzato
un'indagine sulle imprese del territorio tratteggiando uno spaccato che può essere preso a modello per tutte
le Pmi italiane. Dalla ricerca, infatti, emerge che le aperture di procedura concorsuale in Italia sono attribuibili
in massima parte a scioglimenti e liquidazioni (84% degli eventi censiti nei primi 8 mesi del 2014), il 13% a
fallimenti e solo il 2% ricade nella classe dei concordati e per concordati si intendono quasi esclusivamente
quelli preventivi (rappresentano il 95% nei primi 8 mesi del 2014).
Proprio il 2013 è stato segnato da un forte incremento di questa procedura, dovuta in particolare
all'introduzione del cosiddetto «concordato in bianco». Invece nel 2014, in seguito ai correttivi introdotti, vi è
stato un ridimensionamento del fenomeno.
Scendendo nello specifico della ricerca, si scopre che a Treviso solo il 27% delle aziende coinvolte in un
concordato preventivo riesce a recuperare i crediti, mentre la maggior parte delle aziende (61%) che ha
aderito a questa procedura, poi è fallita. In particolare, quasi la metà (48%) ha chiuso definitivamente per non
aver recuperato i crediti: i tempi medi di attesa hanno superato i due anni.
Non a caso, stando ai giudizi degli imprenditori interpellati, il concordato preventivo è giudicato sostenibile
solo con alte quote di recupero dei crediti e con tempi più brevi di quelli sperimentati, al massimo otto mesi.
Per molti imprenditori (41%) il concordato preventivo è preliminare al fallimento o anche coincide (6%). Inoltre
il 44% delle aziende continua a lavorare per committenti che non pagano.
I dubbi
«Diventa legittimo chiedersi se si tratta di un'opportunità o di un abuso delle regole - afferma Renzo Sartori,
presidente di Confartigianato della marca trevigiana -. Serve un accordo di intenti tra imprese, professionisti e
tribunali (sezioni fallimentari) per cercare, nei limiti del possibile, di conciliare meglio le ragioni di continuità
aziendale con le ragioni dei creditori, molti dei quali possono a loro volta subire conseguenze pesanti proprio
in termini di continuità aziendale. Si chiede, in particolare, di evitare che il ricorso a procedure alternative al
fallimento risulti funzionale a fini estranei alla legge. Se del caso, migliorare la norma rendendola più rapida e
stringente».
Una delle varianti determinanti è proprio la tempistica: il ritardo dei pagamenti sui tempi concordati è infatti
l'altro grave problema che fiacca la resistenza delle imprese.
Nasce dall'insieme di questi dati la proposta della Confartigianato di marca trevigiana. «Serve una legge spiega Sartori - che chiarisca e migliori le condizioni di deducibilità fiscale delle perdite su crediti, perdite che
oggi rappresentano una vera e propria area grigia dalle dimensioni non del tutto evidenti». Per evitare il
perpetrarsi del classico danno oltre alla beffa.
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Riforme appannate Meno procedure preventive, ma i «furbetti» restano
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Corriere Economia - N.39 - 24 novembre 2014
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1 Gli indicatori del malessere Italia, apertura di procedure Nei primi 8 mesi del 2014 Altre 1% Concordato 2%
Fallimento 13% 84% Scioglimento e liquidazione Pparra Fonte: C.s. Sintesi su dati Infocamere-Stock View
Piccoli elettrodomestici crescono É aumentato del 4,1% il giro d'affari dei piccoli elettrodomestici nel
terzo trimestre del 2014. Tra i comparti più dinamici, quello delle macchine da caffè in capsule e degli
apparecchi per la preparazione del cibo. Buona, anche la performance di aspirapolvere e scope
elettriche ricaricabili
Occupazione in calo nell'editoria Periodo negativo per la piccola e media editoria che ha perso il
21,5% dei suoi addetti nel 2013. Secondo le stime dell'Associazione Italiana Editori si è passati da
7.291 occupati a 5.722. Ridotto, anche il numero delle imprese attive (4.769, meno 1,9%) e il numero
dei titoli pubblicati (-7,1%). mila aziende agrituristiche 20 Il settore genera un fatturato complessivo
superiore al miliardo. Regione leader la Toscana con 4.074 imprese agrituristiche, 50mila posti letto e una
produzione di fatturato di circa 250 milioni ogni anno. Al secondo posto, il Trentino Alto-Adige (3.229
agriturismi), seguito dal Veneto (1.222) e dalla Lombardia (1.132 aziende). Tra il 1998 e il 2013 le aziende
sono aumentate di circa il 150%.
Gli indicatori del malessere
Foto: Artigiani Renzo Sartori, presidente della Confartigianato della marca trevigiana
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ItaliaOggi Sette - N.278 - 24 novembre 2014
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(diffusione:91794, tiratura:136577)
Fiere extra Ue a portata di pmi
Tra le altre ammesse spese di allestimento e promozione
Pagina a cura DI CINZIA DE STEFANIS
Finanziamenti agevolati a favore delle pmi per la realizzazione di iniziative promozionali per la prima
partecipazione a fi ere o mostre sui mercati extra Ue (marketing e/o promozione del marchio italiano).
L'importo del fi nanziamento non può essere superiore a 100 mila euro per ciascuna pmi o aggregazione di
pmi riconducibili alla stessa proprietà. Per l'aggregazione di pmi non riconducibili alla stessa proprietà,
l'importo massimo del fi nanziamento non può comunque superare 300 mila euro (nel caso di due pmi
aggregate, 200 mila euro e nel caso di tre o più pmi aggregate, 300 mila euro). L'intervento consiste in un fi
nanziamento a tasso agevolato volto a favorire la realizzazione di iniziative di marketing in occasione della
prima partecipazione a una fi era o mostra sui mercati extra Ue. Tutto questo lo prevede la nuova circolare
aggiornata n. 8/2013 della società italiana per le imprese all'estero (Simest), soggetto gestore degli strumenti
fi nanziari a favore delle pmi che operano all'estero. Al momento della presentazione della domanda l'impresa
deve fornire alla Simest un'autodichiarazione attestante che si tratta della prima partecipazione a una specifi
ca fi era o mostra. Il fi nanziamento può essere concesso per la prima partecipazione a più fiere o mostre
diverse, anche nello stesso Paese, ma non per più partecipazioni alla stessa fi era/ mostra. I finanziamenti
sono indirizzati a tutte le pmi aventi sede legale in Italia, in forma singola o aggregata, comprese quelle a
partecipazione giovanile o femminile. Nel caso di imprese aggregate la domanda è presentata dalla società
capofila corredata dal mandato con rappresentanza sottoscritto dai partner. Tutte le obbligazioni sono
assunte dai partner solidalmente. Fermo restando che l'impresa può presentare più domande di
finanziamento, ogni singola domanda deve riguardare una o più fi ere/mostre da realizzarsi al massimo in tre
Paesi di destinazione. La domanda deve essere presentata prima della data prevista per l'inizio della fi era o
mostra. Spese ammissibili. Le spese ammissibili al fi nanziamento di cui alla scheda programma sono: spese di funzionamento (affi tto spazio espositivo e suo allestimento, personale esterno ecc.); - spese per
attività promozionali (consulenze, materiale pubblicitario, workshop e similari ecc. riconducibili alla fi era/
mostra); spese per interventi vari (20% forfettario della somma delle spese precedenti). Le spese da
sostenere per la partecipazione a fi ere/mostre devono essere inserite in preventivi di spesa articolati in base
alla «scheda programma» contenuta nel modulo di domanda e approvata dal comitato agevolazioni. Una
spesa si considera ammissibile al fi nanziamento se direttamente collegata alla partecipazione alla fi
era/mostra ed è sostenuta dal richiedente nel periodo di realizzazione del programma, che decorre dalla data
di presentazione della domanda di fi nanziamento e termina 18 mesi dopo la data della stipula del contratto di
fi nanziamento. Una spesa si considera sostenuta alla data in cui avviene l'effettivo pagamento. Le spese
inserite nei preventivi articolati in base alla «scheda programma», devono essere suddivise per singola fi
era/mostra e riguardano: - spese di funzionamento (affi tto e allestimento dello spazio espositivo, gestione,
trasporto e assicurazione all'interno della fi era/mostra, compensi al personale esterno); - spese per attività
promozionali (consulenze, realizzazione di materiale pubblicitario e promozionale, partecipazione a business
meeting, convegni, work-shop e similari riconducibili alla fi era/mostra); - spese per interventi vari (spese non
documentabili con fattura, ammesse nella misura forfettaria del 20% della somma delle spese previste per il
funzionamento e le attività promozionali). Misura del fi nanziamento. Il fi nanziamento agevolato è deliberato
dal comitato che ne determina la misura in base alla valutazione del programma promozionale e del
preventivo dei costi presentati. Il fi nanziamento agevolato può coprire fi no a un massimo dell'85%
dell'importo delle spese indicate nella «scheda programma» approvata dal comitato. Esso può essere
concesso per un importo non superiore a quello consentito dall'applicazione del regolamento Ue «de
minimis». Simest concede 100 mila euro per ciascuna pmi o aggregazione di pmi riconducibili alla stessa
proprietà. Trecento mila euro per l'aggregazione di pmi non riconducibili alla stessa proprietà (200 mila euro
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IMPRESA La prima partecipazione è fi nanziata a tassi agevolati da Simest. Tetto a 100 mila euro
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ItaliaOggi Sette - N.278 - 24 novembre 2014
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/11/2014
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nel caso di due pmi aggregate e 300 mila euro nel caso di tre o più pmi aggregate). Il fi nanziamento può
coprire fi no a un massimo dell'85% dell'importo delle spese indicate nella scheda programma e può essere
concesso per un importo non superiore a quello consentito dall'applicazione della normativa comunitaria «de
minimis». In ogni caso, il fi nanziamento non può superare il limite del 12,5% della media del fatturato degli
ultimi tre esercizi. Il finanziamento è deliberato dal comitato agevolazioni che ne determina la misura in base
alla valutazione del programma promozionale e del preventivo delle spese. Il fi nanziamento prevede un
anticipo compreso tra un minimo del 20% e un massimo del30% dell'importo del fi nanziamento concesso.
Condizioni del fi nanziamento. Il fi nanziamento è concesso alle seguenti condizioni: - il periodo di utilizzo del
fi nanziamento, nel quale vengono effettuate le erogazioni, decorre dalla data di stipula del contratto di fi
nanziamento e termina 24 mesi dopo tale data, o meno, in corrispondenza con l'eventuale riduzione del
periodo di preammortamento di cui al successivo alinea; - il preammortamento decorre dalla data di stipula
del contratto e termina 24 mesi dopo tale data. Tale periodo può essere ridotto su richiesta dell'impresa da
formularsi nella domanda di fi nanziamento. La durata complessiva è di 4 anni di cui 2 di preammortamento
(per soli interessi) e 2 di rimborso del capitale. I periodi di preammortamento e rimborso possono essere
ridotti su richiesta dell'impresa.
Foto: Nell'inserto da pag. 33 i nuovi fi nanziamenti per andare all'estero
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Milano Finanza - N.230 - 22 novembre 2014
Pag. 1
(diffusione:100933, tiratura:169909)
ECCO LA POTENZA DI FUOCO E COME SI MUOVONO I SIGNORI DEI
CAPITALI CHE AIUTANO LE IMPRESE
alle pagine 20, 21 e 22 Che l'Italia abbia bisogno di capitali per la crescita non è un segreto e da tre-quattro
anni a questa parte i vari governi hanno effettivamente lavorato affinché gli investimenti in pmi e in start up
possano essere incentivati. I primi risultati già si vedono, ma certo si tratta ancora di poca cosa rispetto a
quanto servirebbe. Non a caso, periodicamente, dallo stesso mondo della finanza si raccolgono posizioni
critiche a proposito della scelta delle aziende target sulle quali sono andati a investire il Fondo Strategico
(Fsi) e il Fondo Italiano d'Investimento (Fii), i due principali veicoli di investimento voluti dal ministero
dell'Economia e promossi dalla Cassa Depositi e Prestiti per far crescere il tessuto produttivo italiano. I due
operatori, infatti, seppure ben diversi nella struttura, sono nati con un obiettivo simile, cioè quello di
individuare, ciascuno nell'ambito di una precisa soglia dimensionale, quelle imprese dalle quali partire per
costruire gruppi che possano dire la loro a livello internazionale. Ma certo non si tratta di un compito che si
possa portare a termine in uno, due o tre anni. E soprattutto si tratta di un compito un po' ingrato, perché nel
frattempo, per un'azienda che viene sostenuta nello sviluppo, ce ne sono molte di più che vengono lasciate a
loro stesse. Qualcosa di nuovo peraltro bolle in pentola. Dopo i quattro decreti in tema di startup, minibond e
liberalizzazione del mercato del credito, che ora può essere erogato anche da fondi, veicoli di
cartolarizzazione e assicurazioni (si veda articolo nella pagina a fianco), elaborati negli ultimi due anni e
mezzo in tandem da ministero dello Sviluppo Eocnomico e ministero dell'Economia (Mise), Stefano Firpo, a
capo della segreteria tecnica del Mise, spiega a MF-Milano Finanza: «Ora stiamo lavorando a strumenti
finanziari che possano canalizzare risorse private verso alcuni investimenti qualificanti per la competitività
della nostra industria: innovazione, internazionalizzazione, digitalizzazione, interconnessione di filiera». Circa
un mese fa Firpo aveva anticipato a MF-Milano Finanza che tra novembre e dicembre sarebbe stato pronto
«un nuovo provvedimento per incentivare gli investimenti in strumenti di debito a medio-lungo termine di
aziende appartenentia particolari settori e/o filiere industriali». Insomma, un passo ulteriore rispetto alla
normativa a supporto degli investimenti in minibond, che ha già portato alla creazione di una trentina di fondi
di investimento dedicati, anche se quelli operativi sono ancora pochini. Intanto, secondo quanto riferito da
Bloomberg venerdì 21 novembre, la Cdp si appresta a ricevere dalla sua collega tedesca Kfw un prestito da
500 milioni di euro per cofinanziare piccole e medie impresee progetti infrastrutturali ad alta efficienza
energetica. Nel frattempo, per le partite più importanti il Fondo Strategico, guidato da Maurizio Tamagnini, ha
avutoa disposizione5 miliardi di euro di capitali, tra quelli messi sul piatto da Cdp (4 miliardi) e da Banca
d'Italia (con l'apporto della sua quota in Generali), che avranno un effetto leva importante, grazie a joint
venture e accordi di coinvestimento con altri fondi sovrani (Qatar, Kuwait, Russia e Cina). A oggi Fsi ha
investito un po' a macchia di leopardo, spaziando su vari settori, ma sempre nell'ottica di individuare aziende
in grado di incidere in maniera significativa sull'export italiano e sull'occupazione in Italia. Per statuto il Fsi
non ha obblighi precisi da rispettare; può acquisire partecipazioni in società che presentino un equilibrio
finanziario, patrimoniale ed economico e siano caratterizzate da adeguate prospettive di redditività con un
fatturato netto non inferiore a 300 milioni e almeno 250 dipendenti, con un margine di ribasso del 20% se
l'attività della società è rilevante in termini di indotto e di presenza di stabilimenti produttivi. L'eccezione a
questi limiti è però prevista per società di settori considerati «strategici». Tra questi sono stati inseriti
GLI INVESTIMENTI DEL FONDO STRATEGICO ITALIANO % capitale Equity investito Data investimento
Società target Kedrion Metroweb IQ Made in italy Investments Generali Ansaldo Energia Valvitalia Sia FSI
Investimenti Trevi Finanziaria Industriale Rocco Forte Hotels Inalca 23,2% 46,2% 50% 4,48% (sceso a 2,57%
a luglio 2014) 84,84%, impegno per acquistare un altro 15%, Impegno per cedere il 40% a Shangai electric
corp 49,5% 42,3% 77% Minimo 15,8% 23% (acquisito da Fsi e Fsi Investimenti spa) 28,4% (acquisito da Iq
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FONDO STRATEGICO, FONDO ITALIANO, SACE E BEI
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Made in Italy) 100 mln più bond convertibile da 50 milioni 200 milioni più opzione per investire altri 300 milioni
150 mln e accordo per arrivare a un miliardo 884 mln (apporto a capitale fsi della quota di banca d'italia) 659
milioni, impegno per investire altri 147 milioni 151 mln (bond convertibili) 205 mln più 77 mln di finanziamento
Impegno per 500 mln (apportate partecipaz. per 1,185 mld) impegno per massimi 101 milioni Impegno per 76
milioni Impegno per 165 milioni Lug 2012 Dic 2012 Mar 2013 Mar 2013 Dic 2013 Gen 2014 Mag 2014 Lug
2014 Lug 2014 Nov 2014 Nov 2014 Fonte: Fsi
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I signori dei capitali
Stefania Peveraro
Che l'Italia abbia bisogno di capitali per la crescita non è un segreto e da tre-quattro anni a questa parte i vari
governi hanno effettivamente lavorato affinché gli investimenti in pmi e in start up possano essere incentivati.
I primi risultati già si vedono, ma certo si tratta ancora di poca cosa rispetto a quanto servirebbe. Non a caso,
periodicamente, dallo stesso mondo della finanza si raccolgono posizioni critiche a proposito della scelta
delle aziende target sulle quali sono andati a investire il Fondo Strategico (Fsi) e il Fondo Italiano
d'Investimento (Fii), i due principali veicoli di investimento voluti dal ministero dell'Economia e promossi dalla
Cassa Depositi e Prestiti per far crescere il tessuto produttivo italiano. I due operatori, infatti, seppure ben
diversi nella struttura, sono nati con un obiettivo simile, cioè quello di individuare, ciascuno nell'ambito di una
precisa soglia dimensionale, quelle imprese dalle quali partire per costruire gruppi che possano dire la loro a
livello internazionale. Ma certo non si tratta di un compito che si possa portare a termine in uno, due o tre
anni. E soprattutto si tratta di un compito un po' ingrato, perché nel frattempo, per un'azienda che viene
sostenuta nello sviluppo, ce ne sono molte di più che vengono lasciate a loro stesse. Qualcosa di nuovo
peraltro bolle in pentola. Dopo i quattro decreti in tema di startup, minibond e liberalizzazione del mercato del
credito, che ora può essere erogato anche da fondi, veicoli di cartolarizzazione e assicurazioni (si veda
articolo nella pagina a fianco), elaborati negli ultimi due anni e mezzo in tandem da ministero dello Sviluppo
Eocnomico e ministero dell'Economia (Mise), Stefano Firpo, a capo della segreteria tecnica del Mise, spiega
a MF-Milano Finanza: «Ora stiamo lavorando a strumenti finanziari che possano canalizzare risorse private
verso alcuni investimenti qualificanti per la competitività della nostra industria: innovazione,
internazionalizzazione, digitalizzazione, interconnessione di filiera». Circa un mese fa Firpo aveva anticipato
a MF-Milano Finanza che tra novembre e dicembre sarebbe stato pronto «un nuovo provvedimento per
incentivare gli investimenti in strumenti di debito a medio-lungo termine di aziende appartenentia particolari
settori e/o filiere industriali». Insomma, un passo ulteriore rispetto alla normativa a supporto degli investimenti
in minibond, che ha già portato alla creazione di una trentina di fondi di investimento dedicati, anche se quelli
operativi sono ancora pochini. Intanto, secondo quanto riferito da Bloomberg venerdì 21 novembre, la Cdp si
appresta a ricevere dalla sua collega tedesca Kfw un prestito da 500 milioni di euro per cofinanziare piccole e
medie impresee progetti infrastrutturali ad alta efficienza energetica. Nel frattempo, per le partite più
importanti il Fondo Strategico, guidato da Maurizio Tamagnini, ha avutoa disposizione5 miliardi di euro di
capitali, tra quelli messi sul piatto da Cdp (4 miliardi) e da Banca d'Italia (con l'apporto della sua quota in
Generali), che avranno un effetto leva importante, grazie a joint venture e accordi di coinvestimento con altri
fondi sovrani (Qatar, Kuwait, Russia e Cina). A oggi Fsi ha investito un po' a macchia di leopardo, spaziando
su vari settori, ma sempre nell'ottica di individuare aziende in grado di incidere in maniera significativa
sull'export italiano e sull'occupazione in Italia. Per statuto il Fsi non ha obblighi precisi da rispettare; può
acquisire partecipazioni in società che presentino un equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e siano
caratterizzate da adeguate prospettive di redditività con un fatturato netto non inferiore a 300 milioni e almeno
250 dipendenti, con un margine di ribasso del 20% se l'attività della società è rilevante in termini di indotto e
di presenza di stabilimenti produttivi. L'eccezione a questi limiti è però prevista per società di settori
considerati «strategici». Tra questi sono stati inseriti di recente, con un decreto ad hoc firmato dal ministro
dell'Economia Pier Carlo Padoan, anche quelli turistico-alberghiero, agroalimentare, della distribuzione e
della gestione dei beni culturali e artistici, che si sono affiancati quindi nella definizione a difesa, sicurezza,
infrastrutture, trasporti, comunicazioni, energia, assicurazioni, intermediazione finanziaria, ricerca e
innovazione e servizi pubblici. Anche il Fondo Italiano di Investimento, sotto la guida di Gabriele Cappellini,
ha distribuito capitali nei settori più diversi e in vari fondi di private equity e di venture capital, con la differenza
che in quel caso i soldi in questione sono per la maggior parte privati. Il Fii, infatti, nel 2010 ha raccolto 1,2
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PER LE IMPRESE/1
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miliardi di euro investiti dai soci della sgr, cioè dalle principali banche italiane, oltre a Confindustria, Abi e
Cdp, con la Cassa che da parte sua ha investito 250 milioni in quel primo giro. Ora la stessa Cdp ha già
messo sul piatto altri 350 milioni per i due nuovi veicoli in raccolta del Fii ,cioè il fondo di fondi di venture con
target 150-200 milioni (la Cdp si è impegnata per 50-100) e quello di fondi di private debt con target 500-600
(la Cdp ne ha promessi 250). Non solo. Un paio di settimane fa il Fii ha rinnovato l'accordo di coinvestimento
con il Fondo Europeo di Investimento, controllato dalla Bei (si veda articolo a pagina 22), che prevede di far
affluire un totale di 500-600 milioni su nuovi fondi di private equity, di venture capital, di private debt e al
fianco di business angel. Insomma, una potenza di fuoco significativa, che grazie alle formule del fondo di
fondi e dei coinvestimenti porterà parecchio denaro su pmi e start up italiane nei prossimi anni. Senza
contare poi, che il Fondo di Garanzia per le Pmi del Mise può ora agire a supporto anche del capitale di
rischio e dei fondi di private debt e che presto garantirà anche le tranche mezzanine delle cartolarizzazioni di
prestiti che potranno essere acquistate dalla Banca Centrale Europea nell'ambito del Qe. Per il momento,
però, in Italia non esiste un veicolo di investimento studiato per soccorrere le aziende che, pur trovandosi in
evidente squilibrio finanziario, dal punto di vista del business varrebbe invece la pena di recuperare. Non
esistono incentivi particolari a investimenti di questo tipo, nè il Fondo Italiano e il Fondo Strategico investono
in aziende che non siano in equilibrio finanziario. Per la verità, lo statuto del Fsi prevede la deroga all'obiettivo
di un adeguato ritorno nel caso in cui le imprese target operino «in regime di monopolio naturale o nel settore
delle infrastrutture o delle reti». Oppure se «le acquisizioni siano giustificate da particolari situazioni, di natura
tendenzialmente transitoria», senza dimenticare che il Fsi «può inoltre acquisire le partecipazioni che in base
al proprio Statuto potrebbe acquisire la Cassa Depositi e Prestiti». Il che significa che, in pratica, il Fsi
potrebbe fare tutto. Ma ci vorrebbe una precisa indicazione politica perché questo avvenga. Così, nel
frattempo, l'iniziativa è lasciata totalmente al mercato. Da un lato le banche iniziano sì a cedere portafogli di
crediti in sofferenza a fondi specializzati, ma in questo caso non si tratta di fondi che si prendono la briga di
rilanciare le aziende debitrici, bensì semplicemente cercano di recuperare i crediti. Dall'altro lato, ci sono
operatori specializzati in turnaround che cercano di trovare la quadra con più banche per subentrare ai loro
crediti deteriorati, non ancora in sofferenza, in alcune specifiche aziende, sulle quali poi interebbero lavorare
per riportarle alla redditività. Obiettivo, questo, certo meritevole e potenzialmente profittevole, ma difficilmente
realizzabile in un contesto in cui ciascuna banca ha a bilancio a diversi prezzi i crediti verso le stesse
aziende. (riproduzione riservata)
GLI INVESTIMENTI DEL FONDO STRATEGICO ITALIANO % capitale Equity investito Data investimento
Società target Kedrion Metroweb IQ Made in italy Investments Generali Ansaldo Energia Valvitalia Sia FSI
Investimenti Trevi Finanziaria Industriale Rocco Forte Hotels Inalca 23,2% 46,2% 50% 4,48% (sceso a 2,57%
a luglio 2014) 84,84%, impegno per acquistare un altro 15%, Impegno per cedere il 40% a Shangai electric
corp 49,5% 42,3% 77% Minimo 15,8% 23% (acquisito da Fsi e Fsi Investimenti spa) 28,4% (acquisito da Iq
Made in Italy) 100 mln più bond convertibile da 50 milioni 200 milioni più opzione per investire altri 300 milioni
150 mln e accordo per arrivare a un miliardo 884 mln (apporto a capitale fsi della quota di banca d'italia) 659
milioni, impegno per investire altri 147 milioni 151 mln (bond convertibili) 205 mln più 77 mln di finanziamento
Impegno per 500 mln (apportate partecipaz. per 1,185 mld) impegno per massimi 101 milioni Impegno per 76
milioni Impegno per 165 milioni Lug 2012 Dic 2012 Mar 2013 Mar 2013 Dic 2013 Gen 2014 Mag 2014 Lug
2014 Lug 2014 Nov 2014 Nov 2014 Fonte: Fsi
IL PORTAFOGLIO DEL FONDO ITALIANO D'INVESTIMENTO AL 30 GIUGNO 2014 I % capitale Valore a
bilancio Amut Angelantoni Test Tech. Antares Vision Bat Comecer Dba Group E.M.A.R.C. Eco Eridania Elco
Farmol Ferry Invest. (ex Cartour) Forgital Group Geico Lender General Medical Merate Imt La Patria
Labomar Marsilli & Co. Mesgo Rigoni di Asiago San Lorenzo Sira Group Surgital 39,8 32 21,11 21,6 32,9
22,8 31 32,16 29,76 0 100 0,1 12,1 28,85 30,3 32,37 29,33 13,75 32 35,56 15,46 40,35 16 10 11,81 5 6,2 (1)
7,5 1,85 10 0 0 (2) 17,5 0,1 (3) 0,7 11,8 5 (4) 9,32 3 10 8 10 (5) 15 12 10,6 Tbs Group True Star Turbocoating
Zeis Excelsa 360 Capital 2011 Alto Capital Iii Ambienta Axa Expansion Iii It. Parallel Consilium Private Eq.
22/11/2014
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F.lli Emisys Development Finanza E Sviluppo Impresa Gradiente I Hat Holding All Together Igi Invest. Cinque
Parallel Neip Iii Programma 101 Progressio Investimenti Ii Sofinnova Capital Vii Star Iii Private Equity Fund
United Ventures Vertis Capital Parallel Winch Italia Wisequity Iii 13,17 24,9 15,25 9,6 13,92 26,6 17,26 99
27,31 22,9 28,49 26,32 33,33 98,77 26,61 46,88 12,24 6,25 17,1 18,99 98,36 99,5 19,28 10 (6) 9,5 (7) 7,5 (8)
19,99 (9) 2,4 4,45 4,3 3,96 0 (10) 0,021 (10) 4,2 6,4 5,3 3,1 2,8 1,4 4,2 4,67 2,47 1,7 5,95 4,4 15,2 % capitale
Valore a bilancio (1) più finanziamento soci da 0,45 milioni (2) finanziamento soci da 3 milioni (3) più
finanziamento soci per 9,9 milioni e bond convertibili per 20 milioni (4) più bond convertibili per 5,6 milioni (5)
più finanziamento soci da 4 milioni (6) più bond convertibili per 10 milioni (7) più finanziamento soci da 3
milioni (8) più bond convertibili per 2,5 milioni (9) più bond convertibili per 8,92 milioni (10) il valore è nullo
perché i fondi sono appena stati lanciati Fonte: Rendiconto semestrale FII al 30 giugno 2014
Foto: Maurizio Tamagnini
Foto: Stefano Firpo
22/11/2014
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Sostegno Sace da 200 mld
Anna Messia
Dal Vietnam alla Papua Nuova Guinea. Dall'Oman alla Bulgaria. Grazie all'intervento di Sace, l'assicuratore
del credito che nel 2012 è passato dal Tesoro alla Cassa Depositi e Prestiti, le imprese italiane riescono ad
aggiudicarsi forniture nei diversi Paesi del mondo. Una delle più importanti operazioni chiuse quest'anno da
Sace ha riguardato, per esempio, la realizzazione di una raffineria e di un impianto petrolchimico greenfield in
Vietnam, che nascerà a 200 chilometri a sud di Hanoi. Un maxi progetto che vale complessivamente 9
miliardi di dollari, tecnologicamente all'avanguardia, che punta a ridurre la dipendenza energetica del Vietnam
dall'estero. L'intervento di Sace è indispensabile per consentire alle imprese italiane, grandi ma anche pmi, di
entrare a far parte di operazioni come queste. Lo schema, generalmente, è sempre lo stesso: il gruppo
assicurativo guidato da Alessandro Castellano garantisce il finanziamento che le imprese costruttrici
ottengono dalle banche, il più delle volte un pool di istituti internazionali. Nel caso del progetto vietnamita, per
esempio, Sace ha garantito 200 milioni di euro di finanziamento. L'esistenza di una protezione assicurativa
non solo consente ai costruttori (nel caso del Vietnam una joint venture tra le società energetiche giapponesi
Idemitsu Kosan, Mitsui Chemicals e le compagnie petrolifere di Stato del Kuwait e del Vietnam) di avere un
più facile accesso al finanziamento bancario, ma allo stesso tempo mette in sicurezza il pagamento delle
forniture delle aziende italiane coinvolte nel progetto. Con iniziative come quella del Vietnam, Sace ha dato
sostegno alle imprese del Paese anche negli anni peggiori della crisi. Dal 2008 al 2013 la sola capogruppo ha
garantito finanziamenti e assicurato transazioni a sostegno di export e investimenti (in gran parte a mediolungo termine) per oltre 57 miliardi. Importo che lievita a 200 miliardi se vengono considerate anche le
operazioni a breve termine, assicurate dalla controllata Sace Bt, o finanziate dalla società di factoring del
gruppo, Sace Fct, nata nel 2010, che in quattro anni ha smobilizzato 6,5 miliardi a favore di imprese fornitrici
della Pubblica amministrazione, contribuendo al pagamento dei debiti arretrati di quest'ultima. Anni difficili, in
cui Sace ha visto anche lievitare i sinistri. Nei nove mesi di quest'anno sono stati pagati 278 milioni di euro,
più dei 196 milioni di premi lordi incassati, a causa in particolare degli indennizzi corrisposti alle aziende
italiane per esportazioni in Iran.E nel 2013 era stato raggiunto il picco dei 402 milioni di sinistri. Anche questa
liquidità ovviamente ha consentito alle imprese italiane di attenuare gli effetti della crisi, mentre Sace, grazie
alla sua solidità patrimoniale, è riuscita comunque a parare il colpo e a chiudere con un utile medio annuo di
400 milioni. Anzi, l'anno scorso ha anche pagato un maxi dividendo straordinario alla Cassa Depositi e
Prestiti di 1 miliardo di euro. Per contribuire alla crescita del sistema Italia Sace potrebbe poi avere presto un
nuovo strumento a disposizione, previsto dal decreto competitività dello scorso giugno: la possibilità per le
compagnie di assicurazione di concedere direttamente credito alle imprese. Il regolamento Ivass, l'authority
assicurativa, pubblicato il mese scorso, ha stabilito le modalità di questo intervento (invogliando per esempio
la cooperazione e la condivisione del rischio dell'assicurazione con un istituto bancario). Di fatto, però, Sace,
nonostante sia una compagnia, non viene vigilata dall'Ivass (se non per la partecipata Sace Bt). Per cui quel
regolamento non la riguarda direttamente, benché possa essere preso come un riferimento. Nodo che nei
prossimi mesi dovrà essere sciolto, con Castellano che in passato non ha mancato di sottolineare l'urgenza
dell'intervento per consentire all'Italia di competere ad armi pari con altri Paesi, come gli Stati Uniti. Nel 2008
il presidente Usa, Barack Obama, lanciò per esempio la National Export Initiative con l'obiettivo di
raddoppiare export americano in pochi anni, dando a US Exim Bank (la Sace Usa) la possibilità di erogare
finanziamenti diretti, e non solo di garantirli, come aveva fatto fino a quel momento, per compensare la scarsa
capacità del canale bancario privato. Tra il 2009 e il 2012 US Exim Bank ha erogato oltre 20 miliardi di dollari
di finanziamenti a medio-lungo termine destinati a clienti esteri per l'acquisto di beni made in Usa, oltre a una
novantina di miliardi di garanzie. In ballo per Sace c'è poi anche la ridefinizione dei rapporti con lo Stato
italiano, già oggi garante di ultima istanza. In pratica se l'assicuratore fallisse a prendersi carico operazioni
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PER LE IMPRESE/2
22/11/2014
Milano Finanza - N.230 - 22 novembre 2014
Pag. 21
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sarebbe il ministero dell'Economia. Rapporti che vanno ora risistemati in una nuova convenzione in vista
anche dell'annunciato processo di privatizzazione di Sace del governo. L'intenzione sarebbe di richiedere la
riassicurazione dello Stato per le operazioni «non a mercato» realizzate da Sace. In pratica, se per un
interesse del Paese, la compagnia fosse chiamata a garantire operazioni in settorio aree geografiche in cui
ha già raggiunto un'esposizione elevata entrerebbe in gioco lo Stato Italiano, come riassicuratore. La firma è
attesa a breve. (riproduzione riservata)
I GRANDI NUMERI DI SACE GRAFICA MF-MILANO FINANZA Dati in milioni di euro * Dati 2014 riferiti a
Sace Spa, per gli altri anni i dati sono del bilancio consolidato Settembre 2014* 2013 2011 2012 Premi lordi
Sinistri liquidati Utile lordo Utile netto Patrimonio netto Riserve tecniche Dipendenti 196 278 550 377 4.980
2.479 720 399 402 578 345 5.321 2.519 717 442 112 211 140 6.202 2.342 689 380 265 271 168 6.210 2.590
705
Foto: Alessandro Castellano