Oggettistica devozionale

SUPPELLETTILI ECCLESIASTICHE E MANUFATTI
DEVOZIONALI
Altarietabernacoli
Schede a cura di Dania Nobile
Manifattura friulana (bottega dei Comuzzo?), sec. XVII
Ancona
Legno scolpito e dipinto 55,5x29x8,3 cm/ Inv. 144
Iscrizioni: sul fondo del basamento “CICERI TRICESIMO”; sul dorso “63”
Bibliografia: Religiosità popolare…1980, p. X.97.
L’oggetto in esame può essere descritto come una piccola ancona “a portale” a
base mistilinea definita da quattro alti plinti ornati, su ciascun lato, da formelle con
motivi fitomorfi e cherubini. Su questi piedistalli sono collocate quattro colonne,
due per lato, poste in avancorpo rispetto al piano dell’ancona. In esso si trova la
consueta apertura, situata nel centro e atta a incorniciare le sculture o le pale
d’altare, caratterizzata da un mascherone. Questa ideale finestra poggia su una
mensola modanata ed è affiancata da due lesene decorate con incisioni
ornamentali e contraddistinte da un capitello composito. Quest’ultimo caratterizza
anche le colonne, dal fusto adorno di viticci a spirale, poste a sostegno di una
elaborata trabeazione in cui ai consueti elementi decorativi si affiancano dei
pregevoli intagli a giorno situati tra il capitello e la trabeazione. Su quest’ultima si
erge la cresta composta da un elemento rettangolare profilato lateralmente da due
motivi a volute e sormontato da un timpano classico. A completare la decorazione
concorrono due singolari paraste che, con un imponente decoro a foglia,
affiancano un oculo centrale.
Il manufatto si presenta in pessimo stato di conservazione con una diffusa
formazione fungina di colore biancastro. La piccola ancona è segnata da diverse
cadute delle parti decorative che, comunque, essendo state meticolosamente
raccolte potranno essere facilmente reintegrate nella struttura originaria. Risulta
inoltre evidente come tale problema abbia interessato questo oggetto già molto
tempo prima del suo ingresso all’interno delle collezioni museali. Diverse parti
dell’ancona sono state infatti puntualmente ricostruite con un intaglio che
suggerisce l’intervento di un artigiano colto e soprattutto perfettamente
consapevole della correttezza filologica che si adopera in questo tipo di restauro.
Egli, infatti, si è limitato a riproporre con le medesime fattezze le porzioni
mancanti, senza però intervenire con colore o altro materiale che ne avrebbe
alterato l’aspetto equiparandolo, erroneamente, al manufatto originale. Questo
indica una certa sensibilità che appartiene a un restauro moderno a cui va riferito
questa opera di integrazione.
Questo singolare oggetto ricalca dunque le fattezze proprie di una alzata d’altare
risolta, però, in piccole dimensioni. Tale motivo consente di ipotizzare che il
manufatto sia un modello per la realizzazione di una più complessa opera a
carattere monumentale. Inoltre la presenza sul dorso del numero “63”,
manoscritto sia sull’oggetto che su un’etichetta ad esso applicata, permette di
avvicinare tale modello a quello presentato in occasione della mostra sulla
religiosità popolare in Friuli tenutasi a Pordenone nel 1980. Nessun supporto
fotografico concorre, purtroppo, ad avvalorare tale ipotesi che trova come unico
elemento a sostegno la corrispondenza numerica (63) tra questa ancona e il
manufatto esposto che viene segnalato come “modellino di altare cinquecentesco”
(cfr. Religiosità popolare…p. X.97). Pur non condividendo la datazione proposta in
quella sede si ritiene ragionevole identificare il pezzo esposto a Pordenone con
quello qui presentato. Se così fosse si potrebbe, anche in virtù degli elementi già
vagliati, considerare il restauro come intervento compiuto in occasione di quella
esposizione.
Probabilmente prodotto locale, questo piccolo modello si lega alla fortunata
tradizione artigianale di scultori friulani, che vanno dal noto gemonese Gerolamo
Comuzzo (Gemona 1589/1591 – post 1670) fino a Giovanni Saidero di Venzone
(Venzone 1611 - ?), dei quali il nostro anonimo intagliatore può forse considerarsi
un allievo. Nella raffinatezza dell’intaglio e nel vasto repertorio decorativo sembra
infatti di poter leggere, in questo modello, concreti rimandi alle botteghe di quei
artisti che tra Carnia e Cadore arricchirono le chiese con sontuosi altari lignei. In
modo particolare il modello della collezione Ciceri, con le caratteristiche testine
decorative poste sui plinti delle colonne e i motivi fitomorfi sulle stesse, sembra
una trascrizione di qualche altare comuzziano dalla cui consueta tipologia si
differenzia soltanto per la mancanza dei tipici fastigi laterali e per la presenza del
coronamento superiore con oculo centrale, motivo alquanto desueto nella
produzione comuzziana. Il repertorio iconografico che caratterizza questo
modello, se pur ricorrente nell’altaristica seicentesca, lo affianca ad altari come
quello nella parrocchiale di Collina di Gerolamo Comuzzo o a quelli nella chiesa
della Madonna in Monte di Raveo e nella Pieve di San Martino a Clauzetto attribuiti da
Giuseppina Perusini (G. PERUSINI 1985(a), p. 62) a Francesco Comuzzo
(Gemona 1629 – vivente nel 1666). Quest’ultimo, insieme al fratello Giovan
Vincenzo, frequentò fino alla prima metà del ‘600 la bottega del padre Gerolamo
dal quale apprese i segreti dell’intaglio e di quel particolare stile e carattere che
fecero la storia dell’altaristica lignea del Seicento friulano.
Si può dunque avanzare l’alettante ipotesi che il manufatto in esame sia il modello
preparatorio se non proprio per gli altari di Collina e di Raveo senza dubbio per
qualche lavoro molto simile.
Legato dunque all’importante tradizione scultorea friulana questa piccola ancona
potrebbe trovare una ragionevole collocazione nella bottega comuzziana della
seconda metà del XVII secolo.
Manifattura locale, sec. XIX - XX
Ancona
Legno scolpito e dipinto/ 58x53x9,5 cm/ Inv. 888
Questa ancona presenta una struttura pressoché rettangolare su cui sono apposti
i tipici elementi propri dell’architettura. Due semplici lesene e una cresta
ornamentale sono collocate su tre diversi registri così da conferire spessore
all’oggetto e suggerirne una certa profondità di campo. Le colonne composte da
un fusto liscio, caratterizzato dall’entasi, base e capitello grossolanamente
intagliati con motivi geometrici, sono poste quale immaginario sostegno della
copertura. Su quest’ultima sono fissate, nella parte frontale, delle applicazioni
con decoro a treccia che divide una pittura a singolari strisce alterne di colore
giallo e nero. In secondo piano sono apposte altre guarnizioni rifinite con un
semplice intaglio che propone un motivo a volute. Ciò che resta della decorazione
del timpano è un piccolo elemento triangolare, anch’esso applicato alla intelaiatura
dell’ancona, caratterizzato da una greca.
Altri ornamenti completano l’addobbo del basamento: ai lati, al di sotto delle
colonne, due cherubini fanno da cornice a un fregio in cui sono descritti due
ramoscelli fioriti le cui estremità s’intrecciano al centro. La cornice interna è
invece priva di significativi decori e si distingue solamente per le tonalità neutre
adottate. Dai resti di juta visibili sul retro dell’oggetto si può facilmente dedurre
che esso contenesse una piccola tela, ove era probabilmente raffigurato il santo a
cui l’altare era dedicato. Le diverse applicazioni che si riscontrano fanno supporre
che esse non siano nate quali decori per questo manufatto, ma siano state ad esso
adattate. Il frammento visibile nel timpano, in particolare, sembra provenire da
uno scarto di qualche cornice; comunque ciò che oggi rimane è soltanto una parte
di questa decorazione che, con ogni probabilità, si estendeva a coprire tutto il
timpano così da rivestire le parti che attualmente rimangono visibili e che, come
ad esempio il gancio metallico, di certo non dovevano essere scoperte.
Il manufatto non si presenta in buono stato di conservazione, si rilevano infatti
alcuni segni di tarlatura e diverse cadute del colore che, in modo particolare nelle
colonne, hanno permesso di riconoscere l’originale decoro che simulava le
venature del legno.
La lavorazione artigianale e a brani piuttosto ingenua inserisce tale oggetto
all’interno di una manifattura locale di modesta fortuna, probabilmente nemmeno
riferibile a qualche bottega. Sembra infatti plausibile l’ipotesi che si tratti di un
prodotto confezionato da un fedele e non da un esperto e qualificato intagliatore.
Le dimensioni dell’ancona consentono poi di immaginare una sua ubicazione in
qualche chiesa campestre locale. La fattura dell’oggetto e la natura delle
applicazioni ad esso apposte portano a supporre una collocazione cronologica tra
la fine del XIX e gli inizi del XX secolo.
Manifattura locale, sec. XIX - XX
Ancona
Legno scolpito e dipinto/ 118x93 cm/ Inv. 891
Ancona lignea a frontale architettonico con base ad andamento mistilineo su cui
poggiano quattro colonne, due per lato, con fusto ad entasi e a superficie liscia, e
basamento e capitello delle medesime fattezze. Le colonne consentono di
raccordare la parte inferiore con quella superiore, la quale ricalca puntualmente la
sagoma della struttura di base. Sopra la trabeazione è applicato un frontone a
profilo rettangolare anch’esso caratterizzato da due piccole colonne, simili a
quelle collocate nel registro inferiore, poste su due alti plinti e atte a sorreggere la
decorazione apicale contrassegnata da due motivi a “S” scanalati. A completare
l’ornato dell’ancona concorrono dei fregi, a semplici volute, applicati ai lati sia del
registro inferiore sia di quello superiore. Il frontone è a sua volta fiancheggiato da
due elementi trapezoidali, ricavati col medesimo intaglio visibile in altre parti del
manufatto, ed inoltre è fornito di oculo decorativo. Quest’ultimo costituiva in
origine la cornice di un quadro collocato sul retro e tale funzione può essere
ragionevolmente conferita anche alla sottostante apertura arcuata posta nel centro
dell’ancona. Su queste finestre si affacciavano dunque dei dipinti realizzati
probabilmente su tavola se si considerano alcune tracce significative, come i fori
lasciati dai chiodi e le sagome sbiadite, che avvalorano l’ipotesi dell’utilizzo di un
supporto pittorico ligneo. Da rilevare che, sempre sul dorso del manufatto, sono
applicate due robuste tavole di legno poste come rinforzo laterale dell’ancona.
Queste bande, oltre a consolidare la struttura dell’oggetto, sollevano anche delle
perplessità circa la presenza di un dipinto su tavola anche all’interno della finestra
centrale. Infatti uno dei due rinforzi presenta delle singolari scanalature che
evocano un gioco ad incastro, in cui l’altra parte poteva essere rappresentata da un
telaio con le due assi minori sporgenti, così da incastonarsi perfettamente alla
cornice. L’aspetto pittorico dell’ancona è orchestrato sui diversi toni dei bruni ai
quali si affiancano il rosso e il blu pavone riservati ad alcune parti dell’oggetto.
L’unica caratterizzazione cromatica è rappresentata dal fondo, risolto con un
effetto marmorizzato, che circonda l’ovale del frontone.
Lo stato di conservazione in cui versa il manufatto è piuttosto scadente: alle
considerevoli cadute di colore si affiancano degli interventi di risanamento della
struttura del tutto arbitrari e condotti in modo piuttosto approssimativo e
inesperto. Senza ponderare con attenzione i danni che un simile atto provoca alla
superficie lignea molte delle parti disgiunte sono state fissate con un’applicazione
di silicone. Questo dato evidenzia senza dubbio la natura artigianale di questo
intervento che, considerando il materiale utilizzato, non può che ritenersi recente.
L’aspetto industriale che contraddistingue l’opera la inserisce nell’ambito di una
manifattura di periferia della fine del XIX secolo. Infatti le formule
architettoniche proposte in questa ancona perdono quella grazia e cura artigianale
con le quali analoghi manufatti erano stati realizzati nei secoli in cui la scultura
lignea toccò il suo apice.
Manifattura locale, sec. XIX – XX
Tabernacolo
Legno scolpito, dipinto e dorato, ferro/ 60x65x39 cm/ Inv. 895
Su una base a parallelepipedo con frontale modanato si erge questo tabernacolo
a tempietto mancante della copertura. Il prospetto è costituito da una parte
centrale, di forma rettangolare, arricchita ai lati da due fregi realizzati disponendo
su una base bianca degli elementi vegetali, volute e motivi ad ovulo ricoperti da
uno strato di porporina. Quest’ultimo caratterizza anche i tre decori posti sul
basamento, dipinto a imitazione del marmo nero antico, e la cornice che divide la
specchiatura, anch’essa marmorizzata, dal riquadro centrale nel quale si inserisce
lo sportello centinato in ferro dorato. I due fregi, posti ai lati del prospetto, celano
dei preziosi decori che adornano i fianchi del ciborio. Le figure della Vergine in
preghiera e, nella parete opposta, dell’Arcangelo Gabriele chiariscono senza dubbio
l’iconografia. La presenza dell’Annunciazione desta meraviglia se si considera che
solitamente i decori per questo particolare oggetto erano attinti dagli eventi e dai
simboli della Passione di Cristo. Il tratto semplice, ma nel contempo raffinato,
delinea queste due figure le cui fisionomie sono del tutto conformi ai canoni
classici e non rilevano particolari tipizzazioni locali. La porticina del Santissimo è
costituita da un doppio sportello, quello interno costituito da ferro grezzo non
presenta alcun tipo di decoro, mentre quello esterno reca una lavorazione a
sbalzo. In quest’ultima sono proposti i simboli eucaristici riconoscibili nel tralcio
di vite, da cui germogliano un rigoglioso grappolo d’uva e l’ostia raggiata con
Cristogramma centrale, su cui s’intrecciano due spighe di frumento. L’interno dei
tabernacoli era solitamente foderato con del tessuto così da preservare le Sacre
Specie dall’umidità. Aprendo la porta del nostro ciborio si può osservare solo ciò
che resta del rivestimento e della cortina in seta bianca rifinita con ricami in filo
viola che ricalcano eleganti arabeschi floreali. La scelta cromatica del tessuto e del
filato della decorazione è riconducibile al significato simbolico che nella tradizione
eucaristica si consacra a questi due colori: il bianco inteso quale emblema di
purezza e il viola come simbolo di penitenza. Questo decoro va dunque a
impreziosire quello che è un accessorio molto importante per il ciborio in quanto
accentua la sacralità e la venerazione verso ciò che esso contiene.
L’aspetto conservativo non è ottimale se si considerano le parti mancanti e le
notevoli e significative cadute di colore. Lo sportello presenta una diffusa
copertura di ossido di ferro, mentre il prezioso tessuto ricamato che si trova
all’interno è seriamente danneggiato da abrasioni di diversa natura. Le due tavole
dipinte si mostrano, nel complesso, in discreto stato di conservazione
mantenendo inalterata la superficie pittorica su cui sono ravvisabili solo alcune
cadute di colore e lievi fratture del supporto, elementi che comunque non
disturbano la corretta lettura dell’immagine.
L’essenzialità del decoro, la morfologia delle figure, la natura dei pigmenti e il
modo col quale essi sono stati utilizzati fanno propendere verso una manifattura
della fine del XIX secolo. Considerando il materiale utilizzato si può
ragionevolmente ipotizzare che tale tabernacolo trovasse una sua originaria
collocazione all’interno di qualche contesto religioso locale, probabilmente
carnico, in cui la realizzazione in legno di questo genere di manufatto perdura al
crescente gusto verso gli analoghi elaborati lapidei o marmorei.
Manifattura locale, sec. XVIII - XIX
Tabernacolo
Legno scolpito, dipinto e dorato/ 78x61x43,5 cm / Inv. 896
Iscrizioni: sul dorso dello sportello: “ Marie bon (?)/ mère (?) : Proteges mon marì
/ et faites qui il revienne / bientōt [bientôt]_ A.B. le 15.10.39”
Tabernacolo a tempietto con base mistilinea caratterizzata da quattro
prominenze angolari decorate con delle volute. I due plinti in primo piano
sostengono delle colonne a fusto tortile e capitello corinzio, mentre quelli
posteriori reggono due paraste antropomorfe. La trabeazione presenta
un’essenziale cornice ornata con delle gocce, mentre la copertura del tabernacolo
è risolta con una semplice lastra lignea profilata seguendo i contorni del ciborio.
Sui fianchi di quest’ultimo si possono osservare due interessanti nicchie arcuate,
delimitate da pilastri fitomorfi e dotate di un pregevole fondo dorato. Di questa
doratura rimane soltanto una parte che circonda una sagoma dai contorni
indefiniti. Questo elemento è comune alle tre nicchie compresa quella che funge
da sportello le cui fattezze, considerando il pessimo stato di conservazione, sono
comprensibili solo comparandole con quelle delle edicole laterali.
Il tabernacolo in esame si presenta in pessime condizioni conservative e a
risentirne non è solo la cromia, ma anche l’intera struttura architettonica del
manufatto, seriamente compromessa da gravi fratture.
La raschiatura visibile sulla superficie dorata delle tre nicchie porta a supporre che
sia la conseguenza di un distacco intenzionale di una piccola scultura lignea o di
un bassorilievo, in origine applicati sulla parete dell’edicola stessa. Non si
spiegherebbe altrimenti il tipo di doratura; essa è infatti stesa esclusivamente su
alcune porzioni della superficie che, evidentemente, dovevano rimanere scoperte.
Valutando le dimensioni della base semicircolare della nicchia, qualunque siano
state le sculture presenti in questi spazi è certo che esse dovevano occupare il
minimo ingombro.
La porticina del Santissimo reca sul dorso una particolare iscrizione in francese
con cui una donna chiede protezione e grazia per il marito lontano. Tale
invocazione, realizzata con pennino e inchiostro blu, riporta anche una data utile
per collocare cronologicamente questo intervento che può essere, infatti, portato
al novecento considerando il metodo assolutamente moderno col quale viene
siglato l’anno. L’unico dubbio sulla datazione scaturisce dall’utilizzo del pennino,
forse più usuale nel XVIII secolo.
Alcuni elementi decorativi che abbelliscono questo tabernacolo lo inseriscono a
pieno titolo entro un artigianato di gusto ancora settecentesco, mentre l’intaglio
piuttosto ingenuo, riferibile a una realtà di periferia, lo colloca in un contesto
locale, probabilmente collinare, tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo.
Manifattura locale, sec. XVIII
Cupola di tabernacolo
Legno scolpito, dipinto e dorato/ 28,5x55,5x25 cm / Inv. 887
L’oggetto a base semipoligonale è contraddistinto da un intaglio a fasce che con il
loro andamento ne sottolineano la tipica forma a cipolla. Ai quattro angoli vi sono
delle eleganti foglie d’acanto, unico elemento decorativo di questa cupola al cui
vertice è situato un motivo apicale. Esso costituisce la base d’appoggio per quegli
elementi – croce d’altare o tronetto per l’esposizione eucaristica – che solitamente
venivano adagiati sulla copertura dei tabernacoli al fine di accentuarne
maggiormente la loro funzione sacra. L’aspetto cromatico del manufatto è giocato
prevalentemente sull’azzurro che trova una calibrata alternanza con l’oro utilizzato
nella fascia mediana e nel decoro posto al vertice. Dai pochi residui presenti sulla
superficie si evince che le foglie d’acanto erano in origine ricoperte da una stesura
pittorica che comprendeva colori quali il rosso e il verde, rilevati in particolare in
prossimità delle venature, che si affiancavano alla doratura di cui rimangono solo
delle lievi tracce.
L’opera in esame non si presenta in buono stato di conservazione soprattutto per
quanto concerne la stesura pittorica che presenta diverse e diffuse cadute della
pellicola. La parte prettamente decorativa è interessata da alcune crepe che
disturbano la lettura delle venature delle foglie.
Sul retro dell’oggetto sono ben visibili i solchi lasciati dalle sgorbie di questo
anonimo artigiano locale. Con tale accorgimento egli ha conferito leggerezza al
manufatto, indicandoci anche la sua collocazione che rientrava nel contesto di un
tabernacolo probabilmente incastonato all’interno di un’alzata d’altare. Si
presume, infatti, che la forma semipoligonale e la lavorazione ad intaglio della
cupola siano stati adottati in ragione di una visione esclusivamente frontale
dell’oggetto. La tipologia dei decori, il linguaggio attardato che caratterizza alcune
zone montane e il profondo legame che le genti di quei luoghi mantiene con le
tradizioni locali dell’intaglio del legno, collocano questo oggetto alla fine del
XVIII secolo.
Apparatiprocessionali
Schede a cura di Dania Nobile
Manifattura alpina, sec. XVIII
Tintinnabolo
Legno intagliato/ 176x52 cm / Inv. 893
Strumento processionale in legno costituito da una targa triangolare e da un’asta
formata da diversi elementi a sezioni poliedriche. Il fusto è caratterizzato da un
nodo cubico, decorato con due bugne a punta di diamante, sopra cui è collocata
una ghirlanda di foglie che, ricalcando l’aspetto quadrangolare della struttura,
conduce ad un altro corpo geometrico, dalle forme sinuosamente arrotondate
nella parte inferiore, intervallato da un anello modanato che lo divide
dall’elemento apicale su cui è fissata la targa. Quest’ultima presenta un raffinato
intaglio a motivi vegetali e volute due delle quali, proseguendo con dei decori
floreali, delineano la sagoma del tintinnabulo e consentono di raccordare
visivamente le due parti che lo compongono. La parte centrale della targa è
contraddistinta da un’apertura arcuata, d’ispirazione architettonica e poggiante su
una fascia a decori geometrici, caratterizzata da due colonne ioniche poste ai lati.
La chiave di volta dell’arco a tutto sesto è sormontata da una croce sotto cui sono
collocati i tre sacri chiodi che alludono agli episodi della Passione. Il fondo della
targa è singolarmente rifinito con un intaglio a mattonelle che, unito alla forma
stessa dell’insegna, sembra voler simulare il caratteristico tetto delle chiese alpine.
All’apice del tintinnabolo, inserita entro un cilindro ligneo, si nota una punta
metallica su cui veniva probabilmente infilato un crocifisso o, più semplicemente,
un pomello ornamentale. Il gancio metallico, posto immediatamente sotto la
chiave di volta, serviva a reggere la campanella il cui suono fungeva sia da
richiamo durante le processioni, sia da fattore utile a dare il giusto ritmo
all’andatura del corteo. A supportare l’ipotesi dell’originaria presenza di questo
strumento musicale concorre una significativa raschiatura nel verso della targa,
dovuta sicuramente allo sfregamento della corda della campana con la superficie
lignea.
Lo stato conservativo dell’oggetto è ottimo considerando che mancano
completamente segni di tarlatura o abrasioni varie che possano deturpare l’aspetto
complessivo dell’opera.
Il pezzo della collezione Ciceri sembra dunque trovare una legittima collocazione
entro la categoria dei tintinnaboli (o tintinnabuli), oggetti ecclesiastici che aprivano
le processioni precedendo il padiglione e la croce. Questi strumenti potevano
sorreggere fino a tre campanelle oppure, come nel nostro caso, soltanto una posta
nel centro. L’intaglio, se pur ricercato, presenta una grammatica piuttosto rigida
forse dovuta all’utilizzo di un’essenza difficilmente modellabile. L’aspetto globale
del manufatto lo colloca in un ambiente alpino della fine del XVIII secolo.
Manifattura locale, sec. XVII-XVIII
Mazza processionale
Legno intagliato dipinto e dorato/ h. 211,5 cm/ Inv. 1376
Asta processionale lignea formata da un bastone disadorno a cui è applicata una
parte decorativa proteiforme. Il primo registro è costituito da un pomello
ovoidale, ornato con motivi vegetali, sormontato da una ghirlanda formata da
quattro testine chine alternate ad altrettante foglie dorate. L’intaglio prosegue con
una fascia a foglie d’acanto, un elemento che viene riproposto anche nella corona
che introduce al motivo centrale dell’asta. Il fulcro della decorazione è infatti
rappresentato da una figura scolpita, forse un angelo, che in origine faceva parte di
una sorta di giostra di piccole statue. Il solo elemento scultoreo rimasto, infatti, ci
consente di immaginare la disposizione delle figure che, poste sopra dei piedistalli,
sorreggevano l’ornato superiore. Quest’ultimo risulta essere perfettamente
speculare all’elemento decorativo del registro inferiore, fatta eccezione per la serie
di testine che mantengono lo sguardo verso il basso. Sopra di esse il pomello
ovoidale viene riproposto quale parte terminale dell’asta al cui apice era
probabilmente collocato un elemento ornamentale oggi mancante.
Lo stato di conservazione del manufatto è piuttosto precario con rilevanti cadute
di colore e doratura, e diverse parti mancanti in più punti dell’ornato.
Questo particolare bastone va dunque identificato come una delle aste che
accompagnavano il corteo dei fedeli durante le processioni. Questi apparati
potevano essere caratterizzati da parti apicali che ne sottolineavano l’appartenenza
ad un certo ordine religioso, o ad una determinata confraternita oppure, più
semplicemente, potevano recare l’effigie del santo o della santa ai quali si porgeva
omaggio mediante quella processione. Considerando l’altezza dell’asta è altresì
possibile che essa sia il fusto di un candelabro portatile a cui andrebbe dunque
aggiunto il bocciolo con annesso piattello e puntale.
L’intaglio, curato ma piuttosto semplice, inserisce il manufatto nell’ambiente delle
botteghe locale collocandolo cronologicamente tra la fine del XVII secolo e
l’inizio del XVIII.
Acquasantiere
Schede a cura di Dania Nobile
Le acquasantiere pensili rientrano fra gli oggetti di devozione privata atti a custodire cose consacrate o a manifestare
e professare il credo religioso. I contenitori per l’acqua benedetta trovavano collocazione sia nelle case che nelle
cappelle private. Le si poteva ammirare, quale dono di nozze, sulle pareti delle camere da letto degli sposi, oppure
figuravano all’ingresso di oratori nobiliari, di qualche piccola chiesa di campagna o nella sacrestia della stessa.
L’elemento che caratterizza questa tipologia di acquasantiera è in primis la dimensione. Il piccolo formato consentiva,
infatti, di poterle appendere alla parete e utilizzarne quotidianamente l’acqua benedetta per bagnare la fronte con il
segno della croce. Questo cerimoniale cristiano, simbolicamente riconducibile al rito del battesimo, era solitamente
praticato al mattino al risveglio, e alla sera prima di coricarsi.
Nate quali semplici secchielli in metallo le acquasantiere si arricchirono ben presto di decori legati al culto dei santi,
della Madonna o dell’immagine del Cristo ai quali si aggiunsero, nelle diverse epoche, altre figure come gli angeli
utilizzati di frequente nelle acquasantiere per i bambini.
L’acquasantiera pensile, di forme e materiali diversi (vetro, ceramica e metallo), è solitamente costituita da una piccola
conca per raccogliere l’acqua e da una targa entro cui possiamo trovare l’effigie sacra.
Manifattura veneta, sec. XVIII
Acquasantiera pensile
Vetro soffiato e pinzettato/ 23x9,3x6,6 cm/ Inv. 17
La coppa a forma piramidale presenta una gola accentuata e una larga tesa al cui
bordo si legano due elementi tortili, con decori a pinza, che collegano la conca alla
palmetta anch’essa pinzettata. Al centro troviamo un motivo a cordone, con
venatura color blu. La targa a palma, sfornita del gancio utile per appendere
l’acquasantiera alla parete è invece dotata di un laccio in tessuto annodato tra gli
spazi dell’intreccio centrale. Il vetro della conca si caratterizza per la leggerezza e
l’esiguo spessore che tende ad aumentare solamente nella parte finale, in prossimità
del pomello.
La lavorazione “à la façon de Venise” permette di collocare questo prezioso
oggetto nell’ambito della manifattura muranese della metà del Settecento. All’interno
delle collezioni dei Musei Civici di Modena si possono ammirare interessanti
esemplari che, per tipologia e lavorazione, ben si affiancano a quelli presenti nella
collezione Ciceri (inv. 17, 67 – 67b e 1185 - 1185b). Alcune acquasantiere della
raccolta modenese sono collocate all’interno della manifattura boema in quanto
meno raffinata e ricca rispetto a quella veneziana (Canova 1993, p. 55). Per alcuni
esemplari custoditi nelle collezioni londinesi del Victoria and Albert Museum si
ipotizza l’Olanda quale luogo di provenienza (M. Cecchelli - L. Samoggia, 1999, p.
34
Manifattura friulana veneta, sec. XVIII
Acquasantiera pensile
Lamina in lega bronzea, sbalzata a stampo/ 25,1x10,3x4 cm/ Inv. 20
Bibliografia: RIBEZZI 2005, p. 114
Esposizioni: Udine 2005.
L’acquasantiera presenta una targa lavorata a giorno con volute, foglie d’acanto e
piccole nature morte. Una serie di narcisi, convergenti al vertice in una croce
raggiata, incorniciano un decoro in cui emergono due spighe di frumento e due
graziosi cherubini. Al centro della placca, incastonata all’interno di una cornice
bombata, è collocata una medaglia in cui figura la Madonna con il Bambino e San
Giovannino. Seduta su un trono di nubi Maria sostiene Gesù che riceve il saluto dal
piccolo Giovanni. L’estremità inferiore della targa è saldata ad una conca a orlo
espanso e corpo bombato con decorazione a baccellature, e termina in una goccia a
cherubino. Sul retro dell’acquasantiera, nella parte superiore, è visibile il gancio
ricavato da una sottile striscia di rame chiusa a “laccetto”.
Vistose fioriture di ossido interessano la parte anteriore della placca in prossimità
della coppa e all’interno della stessa.
La fine lavorazione a sbalzo del medaglione centrale denota una certa padronanza
della tecnica e del materiale, e suggerisce l’intervento di un artista estraneo alla
produzione in serie che sembra invece caratterizzare le restanti parti dell’oggetto.
Manifattura veneta, sec. XVIII
Coppia di acquasantiere pensili
Vetro soffiato e pinzettato/ 23,4x9,8x8 cm (Inv. 67); 29,5x10,3x8,2 cm (Inv. 67b)/
Inv. 67; 67b
La stretta coppa a bulbo a doppia ansa presenta un orlo piuttosto pronunciato su
cui poggiano due motivi a nastro pinzettato che collegano la conca alla placca a
palmetta. Questa è decorata a pinza zigrinata e arricchita da un cordone centrale
impreziosito da un filo vitreo blu posto al suo interno.
I due oggetti si differenziano soltanto nelle dimensioni giustificate dalla diversa
funzione: l’acquasantiera fusiforme (Inv. 67b) era probabilmente destinata al
marito, mentre l’altra (Inv. 67), più piccola e tondeggiante, era riservata alla moglie.
Nella struttura della targa a palma manca completamente il gancio per l’affissione.
Questo porta a supporre che i due manufatti fossero in origine adagiati su un
supporto, forse ovoidale e di velluto blu, in modo da creare un piacevole contrasto e
richiamare nel contempo il colore del nodo centrale. Il vetro della coppa, lavorato a
soffiature a stampo, presenta al suo interno delle piccole bolle d’aria. La coppia di
acquasantiere proviene, dunque, dalla bottega di uno dei maestri vetrai muranesi
che, grazie alla loro abilità, riuscirono a creare degli oggetti che accolsero subito il
gusto del pubblico.
Manifattura veneta, sec. XVIII
Acquasantiera pensile
Vetro soffiato e pinzettato/ 16,3x9,6x0,6 cm; 13x7,4x7,5 cm/ Inv. 1185 – 1185b
Il vetro cristallino dà forma a questa particolare acquasantiera, purtroppo divisa in
due parti da una frattura che non sembra sanabile. Il calice a tulipano con orlo
espanso e bombato termina in un pomello leggermente schiacciato. Lo spessore
consistente del materiale non impedisce di intervenire sulla superficie con decori a
pinza, che ornano la cornice della palmetta e la base della stessa rimasta saldata al
bordo della coppa. Il vetro che costituisce la conca presenta al suo interno vistose
bolle d’aria che suggeriscono l’uso della soffiatura, in questo caso a stampo, per la
realizzazione del pezzo. Il torciglione che decora la targa a palma è spezzato in
modo che le due parti risultano leggermente svasate. Questa frattura non è
dunque imputabile ad un trauma, ma a un probabile difetto di fabbrica.
La situazione in cui versa il manufatto non pregiudica, tuttavia, la lettura delle
forme, profondamente simili a quelle riscontrate nelle altre acquasantiere della
collezione (Inv. 17 - 67 - 67b). Per tale ragione l’oggetto può essere collocato
nell’ambito veneziano della metà del XVIII secolo.
Manifattura veneziana, sec. XIX
Coppia di acquasantiere pensili
Vetro lattimo, specchio, legno, tempera e acquarello su carta/ 19,5x8,4x5,7 cm/
Inv. 16 – 16b
Iscrizioni: sul retro della targa (Inv. 16) “ih a. ie”; sotto «S.MO.; nella parte inferiore
è applicata un’etichetta su cui è stampato “S. Dorothea”; sul resto della superficie
altre scritte a matita, non decifrabili.
Bibliografia: RIBEZZI 2005, p.114
Esposizioni: Udine 2005.
La targa di vetro sagomato e molato è applicata ad un foglio di carta e a un
supporto ligneo che seguono la medesima profilatura. Lo specchio è decorato con
motivi geometrici e floreali, bruniti sulla superficie, che incorniciano un ovale
centrale su cui è effigiata una figura femminile a mezzo busto. Secondo quanto
riportato sul retro di una delle due acquasantiere (Inv. 16) l’immagine ritrarrebbe
S. Dorotea. La presenza della santa appare particolarmente significativa in questo
contesto, a ragione della sua funzione di protettorato dei giovani sposi, ma non
sembra trovare un valido riscontro nell’iconografia. Questa presenta infatti una
giovane donna, in abito rosso e col capo coperto da un velo verde, che pare
accogliere tra le mani una spada di cui si vede soltanto una parte della lancia. Tale
attributo non appartiene certo a S. Dorotea, ritratta solitamente con dei fiori nella
veste o all’interno di cesti, ma sembra piuttosto riferirsi ad altre sante per le quali
la presenza di quell’oggetto è più comune (si veda S. Eufemia o S. Caterina
d’Alessandria). La corretta lettura dell’immagine è però compromessa dalla sua
stessa esecuzione: realizzata a stampa e rifinita a tempera e acquarello la figura è
infatti risolta con un tocco pittorico artigianale, privo di sostanziali rifiniture, che
non consente di individuare i particolari.
Le due coppe a tulipano decorate a baccellature, se pur simili, non sembrano
appartenere alla medesima serie. A differenziarle concorrono alcuni elementi
significativi: lo spessore del materiale, la forma della goccia e i decori rosa, ormai
sbiaditi, che ornano soltanto una delle due coppe (Inv. 16b.). Queste ultime sono
unite alle placche con un piccolo bullone metallico che permette alla conca di
ruotare sopra la targa, occupando in tal modo il minimo ingombro.
La superficie metallica dello specchio risulta graffiata in più parti lasciando così
intravedere il foglio di carta su cui è stampata l’immagine sacra. La tesa presenta
tracce di doratura che lasciano intuire la ricchezza della rifinitura dell’orlo delle
due coppe.
Per la tipologia del materiale e della tecnica utilizzati la coppia di acquasantiere
sembra appartenere alla manifattura veneziana dell’Ottocento
Manifattura friulana, sec. XIX
Coppia di acquasantiere
Piombo lavorato a fusione/ 16,4x7,4x4,7 cm/ Inv. 18; 18b
Iscrizioni: sul fondo del piede delle conche si trova in rilievo il numero di serie:
“ÎΛ83CO”.
Bibliografia: RIBEZZI 2005, p. 114
Esposizioni: Udine 2005.
Rispetto alle altre acquasantiere pensili della collezione Ciceri questa coppia si
contraddistingue per l’opportunità, resa possibile dal piede poligonale della
conca, di divenire anche un oggetto da tavolo. La vaschetta a sezione ottagonale
sostiene una targa a profilo polilobato ornata al centro con il Cristo crocifisso.
L’immagine emerge da un fondo arricchito, in modo singolare, da minuscoli
decori semisferici che distribuendosi su tutta la superficie e seguendo in
particolare il contorno della targa e il profilo della figura di Cristo ne esaltano i
volumi.
Nella parte posteriore di una delle due acquasantiere (Inv. 18) si nota un’incisione,
a linee spezzate intrecciate, sul metallo utilizzato per saldare la placca alla
vaschetta. Il modo piuttosto grossolano col quale sono state unite le due parti
permette di ipotizzare un intervento recente, suggerito anche dall’aspetto del
materiale impiegato.
La tecnica a fusione senza motivi a sbalzo e le rigide linee della composizione
propongono una datazione intorno agli inizi del secolo XIX.
Manifattura veneto-friulana, sec. XIX
Acquasantiere pensile
Vetro lattimo, legno, carta/ 22,7x9,6x5 cm/ Inv. 19
Iscrizioni: sul retro della targa (a matita): “u 72” “P. 40[?]614”.
Bibliografia: RIBEZZI 2005, p. 114.
Esposizioni: Udine 2005
Sulla targa in legno sagomato con cornice mistilinea è applicato un foglio di carta
sul quale, in origine, era collocata una stampa di cui oggi rimane soltanto un
frammento che non consente di decifrarne il soggetto. La coppa a tronco di cono
con pomello finale è realizzata in vetro lattimo, e dipinta a mano con graziosi
motivi floreali impreziositi da un decoro con cristogramma, croce raggiata e cuore
coi tre sacri chiodi, chiaro riferimento agli eventi della Passione.
Sul retro della placca lignea si trovano alcune iscrizioni sotto cui compare
un’ulteriore scritta a penna, probabilmente posteriore e di difficile comprensione a
causa della sbavatura dell’inchiostro lungo la venatura del legno.
L’utilizzo del vetro lattimo induce a considerare questa e le analoghe acquasantiere
della collezione (Inv. 16-16b.) quali simboliche eredi della fornace muranese
“Miotti” che, nel XVIII secolo, inventò il vetro lattimo poi largamente utilizzato
come valido sostituto della porcellana. Il decoro della conca ricalca i motivi
tradizionali della cultura veneto - friulana riconoscibili nei caratteristici colori dei
fiori.
Manifattura locale, sec. XIX
Acquasantiera pensile
Lamina ottonata, sbalzata a stampo/ 25,3x15x3,8 cm/ Inv. 21
Bibliografia: RIBEZZI 2005, p. 114.
Esposizioni: Udine 2005
La larga placca, di forma pressoché romboidale, è profilata da volute e, al vertice,
da un elemento a ventaglio su cui è stato ricavato un foro per l’affissione
dell’acquasantiera. L’interno della targa è caratterizzato da un motivo a cordone e
da una semplice linea sbalzata che, chiusi a ricciolo impreziosito da una foglia
palmata discendente, delineano uno spazio centrale privo di decoro. All’estremità
della placca è applicata la conca a calice su cui sono incisi fregi ornamentali che,
seguendo la linea della coppa, terminano in un pomello deformato.
L’esecuzione sommaria di alcune parti dell’acquasantiera induce a riferirne la
realizzazione alle maestranze locali, eredi di un artigianato che poggia sicuramente
su discreti modelli di gusto veneto risolti però in modo piuttosto ingenuo.
Manifattura locale, metà sec. XIX
Acquasantiera pensile
Peltro sbalzato a stampo/ 19x7,4x3,3 cm/ Inv. 22
Bibliografia: RIBEZZI 2005, p. 114.
Esposizioni: Udine 2005
La conca scampanata presenta un semplice ornato a stampo in cui si distinguono
tre diversi motivi decorativi. Essa è saldata ad una targa sagomata raffigurante
Maria con il Bambino circondata da angeli i quali sorreggono una corona sopra il
capo della Vergine e inginocchiati ai suoi piedi le porgono omaggio. A queste
figure angeliche si aggiunge la consueta goccia a cherubino che termina il decoro
della placca e impreziosisce nel contempo l’essenziale vaschetta.
La classica eleganza e la sobrietà della vaschetta accentuano il decoro della placca
lavorata su un discreto modello plastico, ma rifinita nei particolari in modo
piuttosto approssimativo. La rigorosa definizione del volto della Vergine si
sovrappone, infatti, all’immagine sommaria degli angeli. Si tratta dunque di
un’acquasantiera che rientra nella tipologia degli oggetti in serie, in crescente
diffusione a partire dalla seconda metà dell’Ottocento.
Manifattura veneta, sec. XIX
Acquasantiera pensile
Argento sbalzato a stampo, vetro/ 15x9,2x3,7 cm/ Inv. 23
Bibliografia: RIBEZZI 2005, p. 114.
Esposizioni: Udine 2005
L’oggetto è costituito da una targa ovoidale, sagomata e decorata a sbalzo con
eleganti volute e motivi floreali che incorniciano un ovale posto al centro e su
cui un tempo era probabilmente fissata una placca in ceramica dipinta. Di
quest’ultima non rimane più traccia, ma i resti di colla presenti sulla superficie
avvalorano l’ipotesi. La piccola conca di vetro, semicircolare e leggermente
bombata, è legata alla targa da un sottile anello in ottone cesellato. L’acquasantiera
è montata su un supporto di cartone pressato rivestito da un foglio di velluto blu,
e nella parte superiore è posto un gancio circolare su cui è legato il nastro che
serviva per appendere l’oggetto alla parete.
La patina bruna che ricopre la superficie della targa e le evidenti fioriture di ossido
di rame, presenti sia accanto alla conca che sul retro dell’acquasantiera,
suggeriscono l’utilizzo di una lega di scarsa qualità
Manifattura locale (carnica ?), sec. XIX
Acquasantiera pensile
Ceramica maiolicata, ingobbiata e invetriata/ 19,4x9,7x4 cm./ Inv. 25
La targa ovale presenta un decoro marmorizzato di colore verde che corre lungo
tutta la cornice bombata. La parte centrale comprende la raffigurazione delle Tre
Croci (il Golgota) abbozzate con semplici pennellate color marrone e rifinite con
guizzanti tocchi neri che sottolineano l’aspetto del tutto artigianale della
decorazione.
Questa acquasantiera può essere inserita nell’ambito della manifattura locale,
probabilmente carnica, dell’Ottocento un secolo che segnò il trionfo di questo
genere di oggettistica sacra ad uso domestico.
Manifattura friulana, sec. XIX
Acquasantiera pensile (frammento)
Ceramica maiolicata, ingobbiata e invetriata/ 12,3x8,7x4,6 cm.; 6,1x5,6x0,7 cm. ;
4x2,7x0,7 cm./ Inv. 933; 933b; 933c
I tre frammenti che costituiscono il manufatto forniscono una vaga idea
dell’aspetto originale che doveva avere l’oggetto. La conca (inv. 933), modellata a
conchiglia con pomello finale, è l’unica parte integra di un’acquasantiera la cui targa
(inv. 933b-933c) era probabilmente di forma circolare, con al centro il
Cristogramma attorniato da una serie di cerchi concentrici e da un’aureola di stelle.
Sul bordo della conca e del frammento di targa, ad essa legata (nv. 933), si notano
pennellature verdi.
La compendiosità della forma e del decoro e la presenza di un biscotto in argilla
rossa fanno propendere per una collocazione intorno alla metà dell’Ottocento.
Manifattura friulana, sec. XIX
Serie di tre acquasantiere a secchiello (secjèl)
Piombo lavorato a fusione/ 13,5x Ø4,3 (base) cm. (Inv. 1026); 13,5xØ 4,6 cm.
(Inv. 1049 - 1050)/Inv. 1026; 1049; 1050
Iscrizioni: sul fondo del piede della conca (nv. 1026) si trova in rilievo la sigla:
“ΛC”
Serie di acquasantiere da parete con la tipica e più antica forma a secchiello.
Questa tipologia, chiamata nella lingua friulana secjèl, presenta la classica forma di
un piccolo secchio tanto da “…parere un giocattolo” (GORTANI 2000, p. 322). In
questi oggetti si riscontrano diverse analogie: il piede a base circolare e orlo liscio,
collo tozzo, coppa con un ridotto diametro, manico a volute e anello apicale
piuttosto piccolo. Si possono tuttavia osservare alcune interessanti
dissomiglianze che riguardano in special modo il decoro a incisione della coppa.
Esso, infatti, si limita a semplici scanalature nel secchiello (inv. 1026) e nelle altre
acquasantiere (inv. 1049 – 1050) è descritto con una appena accennata
baccellatura nel registro inferiore e un motivo a piccoli ovuli sulla tesa. In tale
contesto è facilmente intuibile come il secchiello (inv. 1049) crei una naturale
coppia col suo simile (inv. 1050). Diverso è invece il caso dell’altro secjèl (Inv.
1026) che presenta una morfologia della vaschetta del tutto differente rispetto
alla coppia alla quale viene affiancato per ragioni stilistiche. Leggere varianti,
forse dovute alla malleabilità della materia, si notano anche nella forma del
manico (cempli), mentre le orecchie, in cui sono inserite le estremità del cempli
stesso, sono risolte con il medesimo motivo a palmetta.
Lo stato di conservazione solleva i consueti problemi che si riscontrano negli
oggetti in piombo. La duttilità del materiale rende gli oggetti soggetti a
deformazioni che ne mutano l’originale aspetto. In questo caso, tuttavia, a
esclusione delle malformazioni già segnalate, non si avvertono particolari danni
se non qualche leggera ammaccatura sui bordi. Sul fondo del secjèl (Inv. 1026) si
nota la presenza di un rilievo, un elemento tutt’altro che inusuale per questo
genere di materiale, come dimostrano altri esemplari della collezione Ciceri (Inv.
18 – 18b). Per la caratteristica forma a piccolo secchio e per la lavorazione del
materiale si può supporre che tali manufatti appartengano ad un artigianato locale
di periferia, che utilizza delle forme antiche per riproporle, in chiave moderna,
all’interno di un contesto ottocentesco.
Manifattura friulana, sec. XIX
Acquasantiera pensile (frammento)
Ceramica maiolicata, ingobbiata e invetriata/ 10x10,2x2,8 cm.; 4,5x7x1,1 cm./
Inv. 1047; 1047b
Il frammento della targa (inv. 1047) suggerisce una cornice a semplici volute
decorate a pennello alternando il colore giallo al blu. Quest’ultimo viene ripreso
anche nella raffigurazione centrale in cui compare una croce con due dei segni
canonici della Passione di Cristo, e il simbolo della Fontana zampillante che sgorga
ai piedi della croce divenendo così emblema di nuova vita generata dal Martirio. Il
frammento della conca (Inv. 1047b) non fornisce alcun elemento utile per
ipotizzarne una forma specifica che, tuttavia, potrebbe essere avvicinata a quella
delle analoghe acquasantiere della collezione Ciceri (Inv. 15-15b).
Tale confronto permette dunque di collocare l’oggetto entro la manifattura locale
del XIX secolo.
Manifattura friulana, sec. XIX
Coppia di acquasantiere a secchiello (secjèl); Acquasantiera a secchiello (secjèl)
Rame e ferro/6,8xØ 4,5 (base)cm.; 11,5x Ø 5 (base) cm. / Inv. 1187; 1190
Peltro/ 14,5xØ5,3 (base)/ Inv. 1186
Coppia di acquasantiere in rame (inv. 1187-1190) con la caratteristica forma a
secchiello rifinita da una essenziale incisione che ne sottolinea il piede e il corpo in
prossimità della gola superiore. Il cempli, presente in una sola delle due
acquasantiere (inv. 1190), è composto da una rudimentale asta in ferro priva di
decori o di una qualsiasi ricercatezza nelle forme. Diversa è invece la tipologia del
secchiello in peltro (inv. 1186) dalla capiente coppa e dalla ampia tesa. Il manico a
semplici volute è costituito da un sottile filo di ferro, peraltro di manifattura
recente.
Accostando questi oggetti agli analoghi esemplari della collezione Ciceri (Inv.
1026-1049-1050) si può ipotizzare una loro collocazione entro l’ambiente locale
del XIX secolo.
Manifattura veneta, metà sec. XIX
Acquasantiera pensile
Ottone sbalzato a stampo e cesellato/ 35,4x14,7x11,5 cm/ Inv. 53
La caratteristica primaria che contraddistingue questa dalle altre acquasantiere
della collezione Ciceri è il suo uso; le dimensioni e alcuni accorgimenti fanno
infatti supporre che si tratti di un manufatto destinato a qualche oratorio o
cappella privati. Entro un’edicola ornata da festoni, elementi vegetali e
architettonici, si trova l’immagine di Cristo con la mano destra verso l’alto, in
segno di benedizione, e la sinistra a sostenere uno stendardo su cui è apposto il
monogramma IHS. Alla sommità della targa, in linea con la figura centrale, si
trova una croce gigliata che chiude la cornice mistilinea. L’imponente effigie del
Redentore è risolta a pieno campo, lasciando così il minimo spazio al paesaggio
circostante descritto in forme essenziali. Nell’insieme della rappresentazione le
mani del Cristo hanno uno straordinario impatto visivo grazie alla loro forma
accentuata che ne sottolinea l’aspetto simbolico essendo, con i segni che portano,
testimoni della crocifissione. Il corpo della conca è strutturato a vaso doppio,
decorato con motivi classici e terminante in un pomello tornito. La coppa, inoltre,
ha al suo interno una vaschetta semisferica ed estraibile atta a raccogliere l’acqua
benedetta.
Sul retro della targa si notano due piastre metalliche, collocate tra placca e conca
come rinforzo, e diverse tracce di saldature che interessano anche il pomello della
coppa. Uno spesso strato calcareo ricopre l’incavo della vaschetta emisferica,
mentre la superficie interna della conca presenta alcune macchie di ossido di ferro
e diffuse fioriture di ossido di rame che si estendono anche sulla targa. Da
segnalare, infine, il parziale distacco della croce gigliata posta sull’apice
dell’acquasantiera e trattenuta alla targa con un mezzo provvisorio.
Siamo dunque in presenza di un manufatto ecclesiastico di uso privato e realizzato
probabilmente intorno alla metà dell’Ottocento, come lascerebbe supporre la
linearità della forma e dei decori.
Manifattura friulana, fine sec. XIX – inizi sec. XX
Coppia di acquasantiere pensili
Terraglia, ingobbiata e invetriata/20,3x10,4x5,8 cm.; 19,9x10,4x4,5 cm./ Inv. 14;
14b
La capiente conca a bulbo costolato e la targa, con cornice mistilinea, danno
forma ad una tipologia di acquasantiere ben rappresentata all’interno della
collezione. I motivi ornamentali della placca, sviluppati nelle tonalità del rosso e
del blu, incorniciano un Croce costituita da elementi vegetali che ne delineano le
quattro braccia, e da un motivo floreale posto nel centro e i cui colori riprendono
quelli della cornice. Un richiamo a tale iconografia è poi riprodotto lungo la coppa
dove tali soggetti sono accompagnati da liberi grafismi a pennello che sottolineano
la lavorazione a baccellature.
Una delle acquasantiere (inv. 14b) si differenzia dalla sua simile per il biscotto più
sottile e per la presenza di una particolare vernice stesa su tutta la superficie con
l’intenzione, forse, di “invecchiare” il manufatto. Tale proposito potrebbe essere
anche all’origine del craquelure sulla conca. Gli oggetti sono stati invetriati solo nella
parte anteriore lasciando così visibile l’ingobbio nella parte posteriore. Avvicinabile
ad altri esempi dell’arte friulana (Inv. 15-15b) questa coppia di acquasantiere può
essere collocata all’interno della fine del XIX e gli inizi del XX secolo.
Manifattura friulana, fine sec. XIX – inizi sec. XX
Coppia di acquasantiere pensili
Terraglia, ingobbiata e invetriata/19,7x10,3x4,8 cm; 19,7x10,2x5,6 cm/ Inv. 15;
15b
La coppia di acquasantiere presenta la medesima forma della targa, a cornice
mistilinea, e della conca a bulbo decorata a baccellature. L’ornato, risolto quasi
esclusivamente sulle tonalità del blu e del giallo, sottolinea il disegno della sagoma
e del rilievo del manufatto. Al centro della placca, entro un’edicola arcuata, sono
raffigurati i simboli cristologici affiancati dagli strumenti della Passione.
Nella decorazione dell’acquasantiera (inv. 15b) si notano alcune imperfezioni
soprattutto nella definizione del monogramma che mostra delle vistose sbavature
del colore. L’invetriatura ha interessato soltanto la parte anteriore, mentre nel
dorso è visibile solo l’ingobbio. Comparando questi oggetti con altri analoghi
esposti in mostra a Pordenone (La Ceramica Galvani…2004, p. 58) possiamo
ipotizzare che tali manufatti provengano dalla rinomata industria di Andrea
Galvani. In assenza, però, dei consueti e immancabili timbri o marchi di fabbrica è
possibile pensare, anche, che tali opere appartengano alla non meno importante
bottega dei Pezzetta di Buja (CARTA 2000, p. 36). È certo, comunque, che queste
acquasantiere, nella tipologia e negli accostamenti cromatici utilizzati, sono il
mirabile frutto della più antica tradizione ceramista delle manifatture friulane.
Manifattura friulana, fine sec. XIX inizi sec. XX
Coppia di acquasantiere pensili
Maiolica ingobbiata e smaltata/ 20x10x4,8 cm.; 20x9,5x4,3 cm./Inv. 24; 24b
Questa coppia di acquasantiere, unico esempio della collezione Ciceri di maiolica
smaltata, si distingue per l’inconfondibile aspetto laccato. La targa ellittica, ornata
nella parte superiore da una cresta e, nella parte inferiore, da una conca a tulipano
con raffinati decori, è caratterizzata da un motivo a rilievo con due figure
angeliche speculari e ritratte con i simboli della Passione. L’angelo volto a sinistra
(inv. 24b.) con calice in mano e indice puntato verso l’alto è un chiaro riferimento
all’Orazione nell’orto. I simboli della Crocifissione sono invece tenuti dall’altro
angelo (Inv. 24) il quale, volgendosi a destra verso l’altra figura celeste, conferisce
una sorta di continuità al racconto evangelico.
Il candore dello smalto che ricopre in modo uniforme il manufatto consente di
apprezzare la sobrietà e l’eleganza dei decori. La maestria con cui è stata condotta
la smaltatura della coppia di acquasantiere indica l’intervento di una pregiata
manifattura friulana attiva intorno alla fine dell’Ottocento, periodo in cui si
intensifica il culto verso gli angeli visti quali intermediari della grazia divina.
Bassorilievi
Schede a cura di Antonella Ortogalli
Scultore veneto-friulano
Bassorilievo con Adorazione dei pastori
Sec. XVII – XVIII/ Gesso e legno/ 23x16cm (con cornice 32,8x25,5x 6,7cm)/
Inv. 687
Bassorilievo di forma ovale entro cornice lignea aggettante e verniciata di nero. Il
primo piano è riservato all’umile culla del Bambino, poggiante su un rilievo
roccioso, raffigurato a sezione, coperto da un letto erboso. Intorno a Gesù si
raccolgono in adorazione i pastori, recanti i loro doni rustici, fra i quali spicca, ai
piedi della culla, l’agnello, prefigurazione del sacrificio di Cristo. Maria e
Giuseppe, affiancati da un angelo che stringe al petto una coppia di colombi,
contemplano il Figlio in preghiera, mentre alle loro spalle, in lontananza fra i colli
digradanti sullo sfondo, altri pastori e una canefora [donna che porta sul capo un
cesto] si avvicinano al gruppo sacro. La composizione è chiusa sulla destra dalla
mangiatoia mentre in cielo un angelo sorvola la scena affiancando la stella cometa
fra leggere e impalpabili nuvole.
Discreto lo stato conservativo con i rilievi coperti da coltre polverosa e cornice
con vistose crepe.
Buona la resa formale del bassorilievo caratterizzato da scoperto naturalismo e
intensità espressiva che conferiscono immediatezza narrativa all’opera. La
costruzione dello spazio è condotta con sicurezza grazie alla progressiva gradualità
del rilievo che passa dal primo piano a tutto tondo allo sfondo appena accennato
dal linearismo dei segni. Difficile stabilire se si tratti di un bozzetto preparatorio
per un lavoro di più ampio respiro, cosa che escluderei visto l’alto livello di
finitezza, o piuttosto un bassorilievo di alta manifattura, forse parte di un ciclo
tematico sulla Natività. La tipologia del rilievo, definito da calibrato luminismo
che si dispiega sulle superfici e fra i panneggi delle vesti dimostrando una maturità
linguistica che ha le sue radici in un’antica tradizione e un’evidente sensibilità
coloristica, pare orientare verso un maestro di area veneta attivo in epoca barocca.
Bassorilievo con Crocifissione
Sec. XVIII/ Gesso e legno/ 27,7x20,8cm (con cornice 36x28,4x 5,3 cm)/ Inv.
718
Al centro della scena campeggia la figura di Cristo con capo sollevato al cielo in
un’ultima invocazione a Dio. Lo fiancheggiano i due ladroni, dai corpi contorti e
tormentati in un accentuato espressivismo. Ai piedi della croce si addensa un
drappello di persone fra le quali si riconoscono la Vergine, nella consueta
posizione speculare rispetto a san Giovanni, la Maddalena nell’atto di abbracciare
il legno della croce, una donna velata con bambino in braccio secondo la più nota
iconografia che raffigura la Madonna con Bambino e, dalla parte opposta, il
centurione su un cavallo che si impenna imbizzarrito, probabilmente nell’atto di
ferire Cristo al costato con la lancia che per la posizione delle mani si può intuire
esistesse in origine o comunque fosse prevista. La parte inferiore della scena è
occupata dall’immagine del teschio ai piedi della croce e da una figura che pare
emergere dal terreno, esplicito riferimento alle anime del purgatorio.
Discreto lo stato di conservazione con circoscritte parti del rilievo mancanti, e
vistose crepe sulla cornice lignea dorata che racchiude l’opera nella sua forma
ovale.
Il ritmo della composizione è sostenuto e spezzato da un senso del movimento
brusco e rapido che informa i personaggi posti intorno a Cristo. Tutti sono
raffigurati in una sospensione delle azioni quasi a voler immortalare l’attimo di
maggior intensità espressiva e l’acmè del dolore, all’insegna di un’interpretazione
scopertamente teatrale del soggetto. L’affastellarsi delle figure in primo piano,
lasciando spazio sullo sfondo al turbinio delle nubi e ad uno scorcio di città,
conferiscono al rilievo la sensazione dell’horror vaqui, sensazione accentuata dalla
scelta cromatica del monocromo giocato su tonalità giallo-brune. Il codice
comunicativo dell’opera sembra basarsi sul nervosismo della condotta lineare e
sull’insistito panneggio con improvvisi passaggi chiaroscurali dimostrando così
una sensibilità linguistica rintracciabile nel gusto settecentesco. Visto il tema
rappresentato non è da escludere l’ipotesi che si tratti di un bassorilievo facente
parte di un ciclo dedicato alla Via Crucis e destinato ad una cappella privata.
Bassorilievo con Madonna con Bambino
Sec. XIX – XX/ Pasta di gesso e paglia su supporto di legno/ 30,7x33cm./ Inv.
1135
Rilievo realizzato a stampo che raffigura, entro sagoma quadrilatera, l’immagine a
mezzo busto della Madonna con Bambino. Il gruppo sacro è inserito entro una
cornice di contorno a rilievo caratterizzata da cartigli e motivi vegetali stilizzati. La
Vergine e il Bambino hanno i volti accostati e sono uniti da un caldo abbraccio.
Aureole percorse da motivi decorativi coronano le teste di entrambi. Il manufatto
è montato su un supporto di legno costituito dalla rudimentale unione, mediante
filo di ferro, di due tavolette dalle superfici non levigate.
L’oggetto versa in cattivo stato: il materiale, costituito da un rustico impasto a
base di gesso e paglia mostra cedimenti e parti ormai irrimediabilmente sgretolate.
L’immagine della Madonna con Bambino è improntata ad un sentimento di
tenerezza domestica di sapore ottocentesco. Per l’impiego di materiali poveri e di
colori a tempera stesi in maniera uniforme ed ingenua, giocando su una gamma di
tonalità pastello, si può affermare che il bassorilievo in esame è un prodotto di
artigianato locale adatto alla devozione privata.
Cartaglorie
Schede a cura di Dania Nobile
Il termine cartagloria, e le sue varianti cartaglorie, carteglorie, cantagloria o cartella delle segrete, indica ognuna delle
tre tabelle che contenevano i testi canonici riferiti alla liturgia della messa. Per questo motivo esse trovavano una
consueta collocazione sulla mensa dell’altare: la cartagloria principale, di dimensioni maggiori, era situata nel centro,
mentre le restanti erano poste ai lati, da cui il nome “carteglorie laterali”. Entrate nell’uso comune dopo la
Controriforma divennero un accessorio indispensabile e obbligatorio per l’arredo dell’altare. Inizialmente la
prescrizione riguardava soltanto la cantagloria centrale che originariamente conteneva il Gloria in excelsis, da cui
l’origine del nome. Al Gloria si aggiunsero poi altre preghiere e alcune formule che venivano recitate sottovoce (da cui
il termine “cartelle delle segrete”). All’interno di queste cornici potevano comparire anche altri testi la cui complessità
rendeva piuttosto arduo un semplice impegno mnemonico, per tale motivo si ricorreva a queste cartelle che
consentivano, al celebrante, di leggere tranquillamente le preghiere del rito che stava officiando. Se l’origine della
cartagloria centrale è antica non è così per quelle laterali che fecero il loro ingresso nell’arredo liturgico solo a partire
dal XVII secolo. La coppia si divide in cartagloria in cornu Epistolae, contenente il testo del Lavabo (Lavabo inter
innocentes) con relativa formula per la benedizione dell’acqua (Deus qui humanae substantiae), e cartagloria in cornu
Evangelii con l’inizio del Vangelo secondo Giovanni da leggersi al termine della funzione religiosa. Le carteglorie
utilizzate durante le solenni celebrazione si differenziavano da quelle di uso quotidiano per il materiale delle cornici
(argento o legno) e per la cura e le rifiniture del cartiglio che esse custodivano. Tra l’ottocento e il novecento le
suppellettili assunsero dimensioni sempre maggiori tanto da coprire, nonostante le norme lo vietassero severamente,
anche il tabernacolo. Si tenga comunque presente che l’adozione di messali e nuovi testi liturgici, e l’orientamento
dell’altare verso i fedeli portarono a un sensibile calo dell’utilizzo di questi arredi liturgici che trovano anche oggi una
rara collocazione sugli altari maggiori e solo in particolari occasioni, perdendo comunque quella che era la loro
funzione primaria e divenendo mero apparato decorativo.
Manifattura veneta, sec. XVIII
Serie di tre carteglorie
Legno intagliato e dorato/ 42,7x54,7 cm. (Inv. 1414); 40x28,5 cm. (Inv. 1413);
40x30 cm. (Inv. 1413b)
Le tre carteglorie presentano un fine decoro ad intaglio con motivi vegetali e
volute che incorniciano una specchiatura ovale entro cui si trovava la cartella, un
semplice foglio di carta stampato e incollato sulla superficie come lasciano
supporre i pochi frammenti rimasti. Le cornici, simili nella foggia, si differenziano
in alcuni particolari decorativi come, ad esempio, la ricca cresta a motivi vegetali
che orna soltanto la sommità delle carteglorie laterali (Inv.1413 – 1413b).
L’elaborato intaglio colloca questa serie all’interno della manifattura veneta della
fine del Settecento.
Manifattura veneta, sec. XVIII
Serie di tre carteglorie
Legno intagliato e dorato/ 40,5x58,5 cm. (Inv. 1424); 36,6x33,5 cm. (Inv. 1418);
36,4x33 cm. (Inv. 1418b)
Bibliografia: L. CICERI 1955, (ill. inv. 1424)
La serie è composta da una cartagloria centrale (inv. 1424) e da due laterali (inv.
1418 - 1418b) in legno intagliato e dorato. Quella principale è costituita da una
profilatura a volute vegetali inframmezzate da quattro rose poste agli angoli come
decoro della cornice che delinea la specchiatura ovale. L’asimmetricità di gusto
rococò, che contraddistingue questo manufatto, si ritrova anche nell’elaborazione
delle carteglorie laterali, tra loro speculari, in cui vengono ripresi i medesimi
motivi vegetali esasperati nella sinuosità delle forme. Nella parte inferiore della
cornice compare una rosa di foggia simile a quella che caratterizza il decoro della
cantagloria centrale.
Prive di cartella, le tre carteglorie poggiano su due piedini lignei semplici e
leggermente schiacciati. Il discreto intaglio e la buona doratura permettono di
inquadrare le “cartelle delle segrete” entro l’ambiente colto della manifattura
veneta del Settecento.
Carlo Zorzi (bottega)
Serie di tre carteglorie
Inizi sec. XIX/ Lamina d’argento e legno/ 40x47,5 cm. (Inv. 1338); 27,3x26 cm.
(Inv. 1599); 27,3x25,3 cm. (Inv. 1599b)
Le tre carteglorie sono costituite da cornici in argento applicate su un supporto
ligneo che ne segue la sagoma trapezoidale. I manufatti sono impreziositi da
quattro piccole foglie argentee collocate sugli angoli per celare i segni di giuntura
della lamina. In tali punti è visibile il punzone delle bottega di Carlo Zorzi (17361814) caratterizzato dalle iniziali con al centro lo stemma della città di Udine,
segno di riconoscimento del prestigio goduto dal celebre “toccador all’argento”.
Nella cantagloria centrale (Inv. 1338) lo spazio tradizionalmente riservato alla
cartella è invece occupato da un prezioso tessuto probabilmente ricavato da
qualche paramento ecclesiastico.
La serie proviene dunque dalla rinomata bottega del Zorzi, uno dei più importanti
orafi in Udine tra la fine del Settecento e il primo decennio dell’Ottocento,
periodo al quale vanno dunque riferite queste carteglorie in argento.
Manifattura friulana, sec. XIX
Serie di tre carteglorie
Legno intagliato e dorato/ 32,3x36,1 cm. (Inv. 1426); 26x19,3 cm. (Inv. 1427);
26,2x19,5 cm. (Inv. 1427b)
Il servizio consta di due carteglorie laterali (Inv. 1427 - 1427b) di forma
rettangolare e di eguale dimensione, e di una centrale (Inv. 1426) della medesima
figura geometrica sviluppata però in senso longitudinale. La cornice ha un intaglio
con motivo a cartiglio, rifinito con alcuni particolari floreali che ingentiliscono gli
angoli, e presenta nella parte superiore un ornamento a conchiglia.
Sulla superficie si notano i segni della doratura che un tempo ricopriva
interamente le canteglorie e che oggi si rivela nella sua bellezza solo nelle poche
parti rimaste integre. Il tentativo di recuperarne l’originario splendore ha forse
portato i proprietari a dipingere con della porporina la conchiglia della cornice
centrale (Inv. 1426).
Un cartiglio apposto sul retro della cartagloria principale riporta la seguente
iscrizione dattiloscritta: “FABB. DI M…BARDI IN UDINE”, a cui si affianca il
segno “II” scritto a matita sia sul dorso, scritta che si trova anche sui due altri due
pezzi di dimensioni minori.
CeroplasticaDevozionale
Schede a cura di Antonella Ortogalli
Manifattura locale, sec. XVIII
Madonna Addolorata
Cera dipinta, stoffa, carta, legno e vetro/ teca lignea 64x52x24,5cm./ Inv. 139
Iscrizioni: Ego nullam horam habui/ fine tribulatione cordis transfixi./ Birgit Revel.
Dolor Filii mei erat dolor meus,/ quia cor ejus erat cor meum./ Birgit. Revel
Ad pedes dolentis Matris nostre,/ vivere volumus, et mori cupimus
Martyr/ Martyrum
Regina/ Martyrum.
Bibliografia: RIBEZZI 2002, pp.1-2.
Un particolare aspetto della devozione è rappresentato dalla produzione
ceroplastica che si diffuse in Italia a partire dal XVIII secolo, anche se sono
documentati esempi molto più antichi. Si tratta della riproduzione di immagini
legate a culti devozionali o alla tradizione del presepio, nata per assecondare la
crescente esigenza di meditazione personale, nell’ambito delle mura conventuali o
domestiche, sulla vita della Vergine, di Cristo o dei Santi. Furono proprio i
conventi a divenire luoghi di produzione di tali manufatti, la cui evoluzione
mostra la ricerca costante di un sempre maggiore realismo quale mezzo di
propagazione dei fondamenti teologici. In Italia meridionale si registra un’antica
tradizione in questo campo. In particolare la Sicilia vanta numerosi artigiani (i
cirari) che, favoriti dalla fiorente apicoltura tutt’ora praticata, assecondarono
sapientemente la versatilità della cera fino a modellare con abilità artistiche figure
sacre, bambinelli ed ex-voto specializzandosi poi nei presepi, destinati non solo ad
una committenza ecclesiastica, ma bensì a devoti della nobiltà e dell’alta borghesia
locale. Il Museo Bellomo di Siracusa raccoglie numerosi simulacri devozionali di
cera racchiusi entro teche chiamate localmente scaffarate. Tale produzione, nata già
in epoca medievale, conobbe la massima fioritura durante il Settecento
spegnendosi all’inizio del secolo scorso (www.brunoleopardi.it/natale2.htm).
La teca lignea, che in gergo tecnico si chiama scarabattola, entro cui si conserva
l’immagine della Madonna Addolorata, è chiusa su tre lati ed è dotata di vetrina
frontale. Si imposta su basso zoccolo modanato ed è definita, nella parte
superiore, da una cornice lievemente aggettante che segue una sagoma curvilinea.
All’interno, immersa in una fitta vegetazione, siede la Vergine con viso, mani e
piedi di cera, mentre, con tutta probabilità, il corpo è imbottito. Maria è vestita di
un abito di raso color avorio tendente all’oro. Dello stesso tessuto è il manto che
le copre il capo già velato da pizzo raffinato, ma, purtroppo, in pessimo stato
conservativo. I suoi piedi sono calzati da sandali di cuoio alla francescana che
spuntano sotto l’orlo della veste. Il capo, chino verso la spalla destra, è rivolto al
cielo e le mani si avvicinano al petto, trafitto da una sola spada. Tutt’intorno un
giardino ricco di fiori di carta e di stoffa, fra i quali emergono, concentrati sul lato
sinistro della teca, i simboli della Passione di Cristo: la tonaca color porpora, i
dadi, la scala su cui poggiano la lancia, la canna con la spugna imbevuta di aceto e
gli attrezzi che servirono alla deposizione. A destra, invece, una balaustra alla
quale è appuntata una sottile corda, che divide trasversalmente lo spazio di questa
parte del giardino, può forse essere riferita alla simbologia mariana dell’Hortus
conclusus. Ai piedi di Maria sono poi riunite minuscole riproduzioni in cera di
agnellini a rappresentare i fedeli. Alle pareti laterali della teca sono addossate viti
cariche d’uva come chiaro rimando al sacrificio del Figlio di Dio. Sul fondo
campeggia un crocifisso ligneo caratterizzato da vistosi chiodi e corona di spine.
La croce sormonta un’altura suggerita dalla stesura pittorica che gioca sul
contrasto fra il bianco della parte inferiore e l’azzurro del cielo nella parte
superiore, dove trovano collocazione angioletti che sorreggono una corona fra
testine cherubiche e festoni.
Entro la teca piccoli cartigli custodiscono iscrizioni. A sinistra della Vergine si
legge: Ego nullam horam habui/ fine tribulatione cordis transfixi./ Birgit Revel. A destra:
Dolor Filii mei erat dolor meus,/ quia cor ejus erat cor meum./ Birgit. Revel. Ai suoi piedi:
Ad pedes dolentis Matris nostre,/ vivere volumus, et mori cupimus. Infine, due angioletti
recano rispettivamente le seguenti scritte: Martyr/ Martyrum e Regina/ Martyrum.
Il soggetto della Madonna addolorata, adottato per il manufatto in cera di cui si
scrive, rappresenta una sorta di semplificazione adatta alla devozione popolare del
tema colto dei sette dolori della Vergine. Nell’iconografia tradizionale Maria è
raffigurata con il petto trafitto da sette spade secondo l’interpretazione della
profezia di Simeone il quale preannunciò alla madre di Cristo che la sua anima
sarebbe stata trafitta da una spada (Luca, 2, 34-35), questo il primo dei sette dolori
a lei svelati. Inoltre, questa particolare accezione tematica del culto mariano unita
alla contemplazione dei simboli della passione, cosa che si riscontra nell’oggetto in
esame, ebbe una fortunata diffusione a partire dalla Controriforma nell’arte sacra
spagnola con il nome di Vergine della Solitudine (La Soledad).
Il particolare trattamento della cera modellata con l’intento di forgiare tratti
delicati appena definiti da tracce di colore stese in punta di pennello sugli occhi e
sulle labbra, la grazia della caratterizzazione dei costumi e del contesto ambientale
sui quali domina un’assoluta sobrietà sembrano indirizzare verso la produzione
ceroplastica locale. Una produzione soprattutto conventuale di cui oggi rimane
pregevole testimonianza nel presepe del Monastero Maggiore di Cividale, definito
da Andreina Nicoloso Ciceri come “il presepe più antico, più bello e prestigioso,
che il Friuli possa vantare” (Feste tradizionali….1987, p. 38).
Manifattura del Friuli orientale, sec. XVIII
Madonna con Bambino
Cera dipinta, stoffa, carta, legno e vetro/ teca lignea 57,5x33,5x24,3cm./ Inv. 143
Bibliografia: CICERI 1980, n. 6 p.X.95; RIBEZZI 2002 , pp. 1-2
Esposizioni: Pordenone 1980.
La scarabattola lignea di foggia semplice e forma parallelepipeda, poggiante su
piedini, presenta tre lati vetrati e solo il fondale chiuso da pannello. Il vetro
incorniciato posto sulla fronte è asportabile grazie al sistema dei due ganci che ne
assicurano la stabilità. La Vergine è raffigurata stante con in Bambino fra le
braccia. Soltanto i loro volti e le mani sono modellati con la cera a differenza del
corpo costituito da imbottiture. Entrambe le figure indossano vesti sobrie
realizzate in raso color celeste bordate da canottiglia dorata. Il velo, posto sul capo
della Vergine, è rifinito con pizzo mentre Gesù è rappresentato con il capo
coronato. Il collo e i polsi della Madre e del Figlio sono decorati da sottili fili di
minuscole perline di vetro. Maria ha anche lobi impreziositi da orecchini a fiore e
intorno al suo busto è stata posta una corona del rosario. I personaggi sono
immersi in una ricca profusione di fiori sparsi sul piedistallo e organizzati in
pesanti ghirlande che incorniciano l’apertura frontale. Interessante la parete di
fondo dove trovano collocazione ex-voto, brevi devozionali di varia foggia,
medaglie con immagini sacre e mariane, gioielli come un orecchino a pendente
con pietra rossa e un filo di perle. In particolare si segnalano due brevi devozionali
entro i quali si conservano carte manoscritte sagomate come i loro contenitori. Il
primo è un sacchettino di stoffa di colore verde a forma di cuore e presenta al suo
interno un foglio piegato in quattro parti che aprendosi assume la forma di un
quadrifoglio. Su di esso si legge: Ama tanto Iddio i nostri prossimi, che è giunto a dare per
essi la propria vita; e gode che per far bene a loro, noi lasciamo lui medesimo. Quanto dunque si
può credere che gli sian grati tutti i servigi che le referiamo? Ah! Che se intendessimo bene
quanto [ ] questa virtù dell’amore del prossimo, non ci dovremmo ad altro [ ], che a questo. La
carità fraterna è un contrapegno della predestinazione. Poiché ci fa riconoscere per veri discepoli di
Cristo, mentre questa divina virtù fu quella che lo mosse a far vita povera, e a morir ignudo su
d’una croce. E però quando ci troviam nelle occasioni di patire per la carità, ne dobbiamo
benedire Dio. San Vincenzo da Paola. L’altro breve devozionale, realizzato in una
stoffa di color avorio con applicazioni di perline e canottiglia intorno alla
raffigurazione centrale con la Vergine, il Bambino e un agnello ai loro piedi,
custodisce la seguente iscrizione dedicatoria: Se tu sai tacere e soffrire vedrai senza
dubbio il soccorso del Signore sopra di te. Egli conosce il tempo e il modo di liberarti. Abbi la
coscienza netta e Dio ti saprà ben difendere. Perciochè la malvagità di chi che sia non potrà
nuocere a colui che Dio vorrà aiutare. Sul retro poi continua così: Di non separarmi mai da
te/ Tu mi priverai degli amori di questo mondo/ mami/ mami.
Le condizioni della figura di cera possono essere giudicate discrete. Si registra la
mutilazione delle dita in entrambe le mani..
Manifattura del Friuli orientale, sec. XVIII
Gesù Bambino
Cera dipinta, stoffa, legno, vetro e carta/ 35,5x52,5x27,2cm./ Inv. 685
Bibliografia: CICERI 1980, p. 80
Esposizioni: Pordenone 1980.
La raffinata scarabattola si apre al fedele attraverso vetri posti su tre lati e fissati
su struttura lignea dotata di piedini. All’interno si conserva il simulacro di Gesù
Bambino in porte-enfant a fasce orizzontali in tinte pastello scandite da pizzi di
colore bianco e dorato. Il corpo è costituito da imbottitura mentre il capo è
forgiato nella cera ed è caratterizzato da biondi capelli ricci. Un doppio filo di
piccole perline colorate di vetro ne cinge il collo. L’infante è adagiato su un
giaciglio di colore rosa mentre il cuscino di raso è verde. Al petto sono appuntate
una spilla e una croce gioiello, entrambe con rubini incastonati. Intorno si dispiega
la consueta abbondanza di fiori di stoffa che lasciano a malapena emergere un
gruppo di piccole statuine lignee disposte sul fondo all’angolo destro della teca:
esse riproducono alcuni personaggi del presepio come la Vergine inginocchiata in
adorazione, un personaggio maschile che potrebbe essere un pastore, il bue e il
Bambino, quest’ultimo di dimensioni maggiori rispetto alle altre figure e avvolto
nuovamente in un parte-enfant. Sulla parete di fondo, dipinta di blu, è addossata
l’immagine di Maria in preghiera, affiancata da reliquiari, sei brevi devozionali a
forma di cuore o di croce in tessuti colorati e decorati, immagini sacre (San Luigi
Gonzaga definito “Angelo di Innocenza”) e corone di fiori.
L’insieme si conserva in buono stato mostrando integre le diverse parti di cui si
compone.
La tipologia dei Bambini in fasce ha origine nel XVIII secolo e può essere riferita
ad artigianato monastico. La cura rivolta alla scelta dei tessuti, delle ricche
decorazioni spesso con aggiunte di corone o gioielli aveva la precisa funzione di
sottolineare la “regalità” dei personaggi rappresentati. Oltre la più tradizionale
iconografia di Gesù Bambino si incontra spesso anche quella di Maria Bambina,
per l’origine della quale “si è soliti fare riferimento alla francescana Chiara Isabella
Fornari da Todi, che tra il 1720 e il 1730 avrebbe modellato nella cera delle figure
di Maria Bambina; alcune di queste sarebbero poi giunte presso i Cappuccini di
Santa Maria degli Angeli. Il prototipo si trova attualmente nella casa madre
dell’Ordine dal 1876” (BASTA 2002).
Il manufatto, come ci rende noto Luigi Ciceri, è frutto della perizia artigianale
monastica del Friuli Orientale (in Religiosità popolare in Friuli, 1980, p. 80).
Sec. XVIII-XIX
Chierichetto
Cera dipinta e stoffa/ 48cm./ Inv. 470
Bibliografia: CICERI 1980, p.73; n.12 p. X.95; VILLOTTA 2001, p. 129
Esposizioni: Pordenone 1980
Figura isolata di giovane chierichetto dal corpo imbottito e con testa e mani di
cera. Le braccia, più rigide rispetto al corpo, sono piegate e protese in avanti. Il
volto è caratterizzato da un modellato di grande delicatezza con definizione
coloristica di bocca, occhi e capelli. L’abbigliamento è costituito da veste talare
nera con lunga e fitta abbottonatura frontale, cotta di lino bianco fittamente
plissettata e rifinita da pizzi, sulla quale, ad altezza del collo, sono cuciti dei nastri
di raso color rosa. Completa il tutto la berretta clericale a quattro canti. Al centro
della schiena sporge una rudimentale asola in filo di ferro.
Il manufatto è conservato in discrete condizioni. Si registrano la mutilazione delle
dita delle mani e lo stato della veste, il cui tessuto di lana è guastato dalle tarme.
Nella chiesa di San Vincenzo Martire a Tualis si conserva un simulacro del tutto
analogo al nostro che è stato identificato come San Filippo Neri ed è posto stante
entro una “modesta urna di vetro fra due alberelli di carta crespa” (VILLOTTA
2001, p. 129). Non ritenendo calzante l’identificazione di San Filippo Neri con la
tipologia del personaggio in esame, che potrebbe essere anche una riproduzione di
San Luigi Gonzaga, stando all’analogia iconografica dei due santi, sembra
opportuno seguire la didascalia pubblicata da Luigi Ciceri nel catalogo della
mostra di Pordenone del 1980 e definirlo genericamente chierichetto (CICERI
1980, p.73, n. 12, p. X.95).
Manifattura locale, sec. XIX-XX
Gesù Bambino
Cera dipinta, stoffa cartone e vetro/ teca 10x18x13,5cm./ Inv. 149
Bibliografia: RIBEZZI 2002, p. 1
La teca è costruita come una semplice scatola di forma parallelepipeda con fondo
in cartoncino pressato sul quale si impostano pareti di vetro decorato agli angoli
con grappoli di fiori bianchi a smalto. I bordi di congiunzione fra i vetri sono
ricoperti da fettucce di raso arricciate. All’interno, su giaciglio lievemente
imbottito e foderato da raso bianco con motivo floreale tinta su tinta, è adagiato il
simulacro di Gesù bambino abbigliato con corta veste bianca dal bordino nero
che ne lascia scoperte le gambe fino al ginocchio e le braccia fino al gomito. Il
neonato è rappresentato con le braccia aperte e il palmo delle mani in vista. Sul
suo volto, caratterizzato da guance rosate e capelli scuri dipinti, si nota
un’espressione serena: gli occhi sono aperti e si intuisce un sorriso.
La figura in esame rappresenta uno dei temi più frequentemente proposti dall’arte
della ceroplastica e dunque ben codificato nelle diverse tipologie. I primi
esemplari documentati risalgono al Cinquecento e facevano parte del corredo
delle giovani spose quale augurio per la maternità, o venivano donati alle novizie
in procinto di prendere i voti monacali quale consolazione per la maternità
mancata.
Manifattura locale, sec. XIX-XX
Gesù Bambino
Cera dipinta, stoffa, cartone e vetro/ teca 16,4x21,4x12,5cm./ Inv. 150
Iscrizioni: Oh Dio accendimi del tuo amor e tutta rendimi cara al tuo cuor
Manifattura locale, sec. XIX-XX
Gesù Bambino
Cera dipinta, stoffa, cartone e vetro/ teca 16x21x11,5cm./ Inv. 1605
Iscrizioni: Il Dio immenso di gloria cinto tra fasce avvinto Bambin vagisce
Bibliografia:
I due manufatti sono accomunati dalle medesime caratteristiche. Infatti, entrambi
presentano una rudimentale teca costituita da base e parete di fondo in cartone
che sostengono un vetro posizionato a scivolo. All’interno Gesù Bambino è posto
a giacere su un fitto manto erboso simulato da sottili filati di diverse gradazioni di
verde, dove spiccano qua e là fiori di stoffa. Il Santo Bambino è rappresentato
nudo con le braccia aperte e protese, le gambe leggermente sollevate e il volto
incorniciato da pochi capelli biondi e ricci. Il capo poggia su un cuscino di raso
bianco rifinito da canottiglia dorata. Intorno a lui sono sistemati anche piccoli
agnelli di cera e cartigli (due per ciascun manufatto) che recano le seguenti
iscrizioni: Oh Dio accendimi del tuo amor e tutta rendimi cara al tuo cuor (Inv. 150) e Il
Dio immenso di gloria cinto tra fasce avvinto Bambin vagisce (Inv. 1605). Sulla parete di
fondo, foderata di carta bianca, sono affisse tre testine cherubiche in cera poste
intorno alla croce che spicca al centro di una mandorla raggiata ritagliata su un
semplice foglio di carta leggero e poi incollata.
Lo stato di conservazione risulta molto diverso per i due manufatti: il n. 150 è
stato oggetto di un recente restauro che ha ricomposto la teca e incollato al
corpicino di Gesù il braccio destro. Il n. 1605 invece versa in un pessimo stato: il
Bambino è mutilo della gamba e del braccio sinistri e il vetro della teca è mobile e
privo di alcun sostegno.
L’immagine del Bambino immerso in un ambiente naturale, fra rigogliosa
vegetazione e animali di piccole dimensioni, si lega strettamente al tema della
Passione, cui nel nostro caso fa esplicito riferimento anche la croce che sovrasta il
corpo di Gesù. Il giardino, dunque, rappresenta il Paradiso, dove, secondo
tradizione, sono destinati gli uomini giusti a conclusione del loro viaggio terreno:
la bellezza dell’ambiente simboleggia il concetto di Salvezza eterna cui ognuno
deve mirare. La nudità di Gesù poi non deve risultare strana in quanto, come
scrive Chiara Basta, “è uno degli elementi che, per contrasto, doveva accendere la
pietà nei fedeli, suggerendo riflessioni sia rispetto alla necessità di coprire con le
pie pratiche (preghiere, sacrifici, promesse) la statua, sia rispetto alla regalità di
questo Bambino ignudo e al contempo divino” (C. BASTA 2002, Nudità e vestizione).
Si ritiene che i due identici manufatti siano di produzione conventuale, come per
altro suggerirebbero anche le iscrizioni invocative contenute entro gli scarabattoli
di modestissima fattura. Non escluderei la possibilità che si trattasse di un
monastero della nostra regione, magari proprio quello delle orsoline a Cividale già
ricordato per il presepe (scheda inv. 139). Alcuni particolari, primo fra tutti il
trattamento della cera con intenti di realismo ingenuo e la povertà dei materiali
impiegati accomunano i due Bambini in esame al Crocifisso di cera inventariato
con il n. 686, permettendo così di ipotizzare un medesimo luogo di realizzazione e
una datazione piuttosto tarda intorno al sorgere del XX secolo.
Manifattura locale, sec. XIX-XX
Crocifisso
Cera dipinta carta e cartoncino/ 38x24,5x6cm./ Inv. 686
Iscrizioni: Creator, Redemptor et Judex meus,/ per Nativitatem Deus meus,/
Vitam, Mortem, et Resurectionem tuam,/ Virgine intercedente ….Beata Maria
sempre/ supplex te deprecor Imaginem tuam ne despicias/ opus manuum tuarum
ne perdas peccatori tuo indulgeas/ … sisque vita mea, refugium meum/ in secula
seculorum et salus mea
Bibliografia: RIBEZZI 2003, p. 296
Entro una teca a forma di capanna con struttura in materiale cartaceo e vetro
frontale è collocata l’immagine in cera del Cristo crocifisso. La struttura è foderata
da carta decorata con motivo geometrico a scacchiera rossa su fondo bianco; dello
stesso materiale è realizzata la croce latina con titolo affisso alla parete di fondo.
Su di essa trova collocazione il corpo scarno del Christus patiens percorso da vistose
tracce di sangue dipinte sulla cera, come altrettanto dipinto di color bruno è il
perizoma che ne cinge i fianchi. Il capo, chino sulla spalla destra, è coronato da
spine di rosa seccate. La croce sorge sul colle del Golgota, simulato dalla
disposizione dei materiali tessili utilizzati per ricreare la vegetazione, fra la quale si
scorge un piccolo agnellino a simboleggiare il sacrificio di Cristo. Ai lati del
crocifisso si leggono, entro piccoli cartigli disposti simmetricamente, i versi della
seguente invocazione: Creator, Redemptor et Judex meus,/ per Nativitatem Deus meus,/
Vitam, Mortem, et Resurectionem tuam,/ Virgine intercedente Beata Maria semper/ supplex
te deprecor Imaginem tuam ne despicias/ opus manuum tuarum ne perdas peccatori tuo
indulgeas/ sisque vita mea, refugium meum/ in secula seculorum et salus mea.
Discreto lo stato di conservazione: l’immagine di Cristo presenta le gambe
spezzate all’altezza delle ginocchia e la mano sinistra rotta a livello del polso. La
parete di fondo della teca, dove per altro si registra una corda con terminazione a
nappa che consentiva l’affissione a muro dell’oggetto, è interessata da vasti aloni
provocati da umidità. Si deve proprio a questo fattore l’emersione sulla superficie
cartacea di iscrizioni manoscritte che accertano il reimpiego di documenti come
lettere private per la realizzazione di tali manufatti. Si conferma così l’origine
modesta, probabilmente fra le mura di qualche monastero femminile, di molte
delle cere conservate in collezione. In particolare, il crocifisso in esame mostra
stringenti punti in comune con le due teche contenenti Gesù Bambino
contrassegnate in inventario dai numeri 150 e 1605: identico l’uso di materiali
umili e la semplicità della fattura come l’utilizzo di filati nelle diverse gradazioni di
verde a simulare la vegetazione e, per finire, risulta identica anche la tipologia dei
cartigli per le invocazioni.
Croci
Schede a cura di Antonella Ortogalli
Oreficeria veneziana, fine sec. XVII
Croce astile a doppio dritto
Argento sbalzato e cesellato/ 62x29,8cm./ Inv. 290
La croce astile costituisce il naturale sviluppo della cosiddetta croce portatile o
processionale adottata fin dalle origini del cristianesimo con la funzione di
precedere e dunque aprire il corteo liturgico. Inizialmente tali croci erano dotate di
impugnature o semplicemente erano caratterizzate da un prolungamento del
braccio verticale che ne facilitasse la presa per il trasporto, ma già a partire
dall’VIII secolo sono documentate croci dotate d’innesto così da permettere
l’inserimento delle stesse in una lunga asta che le rendesse visibili a tutti i fedeli
impegnati nel rito processionale. La caratterizzazione di entrambe le facce
attraverso immagini figurative comparve intorno al IX secolo e fu una scelta
dettata dalla particolare natura di tali croci che, essendo portatili, dovevano
mostrare indifferentemente il recto e il verso. Dapprima l’attenzione fu concentrata
esclusivamente sulla figura del Cristo dolente, al quale si affiancarono ben presto,
a partire dal XII secolo, la Vergine in coppia con San Giovanni entro le
terminazioni del braccio orizzontale e Dio Padre, posto all’apice. Da un punto di
vista iconografico e di ricchezza formale le croci figurate conobbero il massimo
sviluppo nel corso del Rinascimento con l’impiego di smalti e pietre preziose
entro strutture dai contorni mistilinei con terminazioni di grande inventiva a
creare manufatti preziosi per gli arredi ecclesiastici.
Appartiene al sontuoso stile barocco la croce astile d’argento contrassegnata dal
numero d’inventario 290. Essa presenta innesto tubolare terminante con nodo a
cipolla, sulle cui superfici si dispiegano motivi decorativi a cartigli e volute incisi,
mentre solo nella parte inferiore sono visibili graziose testine di cherubini. La
croce, caratterizzata da terminazioni polilobe, è arricchita da raffinati decori
floreali traforati, sagomati e inseriti lungo l’orlo seguendo uno schema
elegantemente simmetrico: ai lati del montante e su ciascun lobo delle
terminazioni. Sul recto campeggia la figura a tutto tondo del Christus patiens con
capo chino sulla spalla destra e busto lievemente scostato dalla semplice croce
latina cui è affisso. Essa è realizzata in lamina d’argento con raggiera lanceolata
all’incrocio dei bracci. La terminazione destra ospita la figura a mezzo busto di
San Giovanni dolente, mentre quella sinistra la Maddalena penitente dai lunghi
capelli. Entrambe le figure sono in lamina d’argento sbalzata e applicata al corpo
della croce. La terminazione inferiore è riservata a Maria e quella superiore, al di
sopra del titolo, all’Eterno Padre in atto benedicente e recante il globo terrestre. Il
verso presenta al centro la figura stante della Vergine col Bambino sostenuta da
teste di cherubini e circondata dai simboli dei quattro evangelisti, raffigurati entro
le terminazioni. Le superfici del montante e della traversa sono percorse da motivi
vegetali stilizzati e incisi su entrambi i lati.
Lo stato conservativo del prezioso manufatto può essere giudicato buono
nonostante i segni del passare del tempo e dell’usura siano riconoscibili nella
mancanza di alcuni fregi fusi e cesellati che decorano i lobi e nelle superfici
deformate qua e là da ammaccature.
Una ricca profusione di punzoni, leggibili sulle superfici, indirizza l’indagine
conoscitiva dell’oggetto verso una bottega d’argentiere veneziano grazie ai
numerosi leoni “in moleca” visibili accanto alle cifre GB sormontate da due
stelline entro sagoma a quadrilobo. Si tratta di un punzone riscontrato in analoghi
lavori d’argenteria sul finire del XVII secolo e agli inizi del secolo successivo.
Rappresenta una delle varianti del contrassegno del Sazador Gasparo Balbi
documentato alla Zecca tra il 1660 e il 1693. Il segno di un altro punzone è poi
riscontrabile solo sul recto: la lettera B è seguita da un’altra lettera difficile da
identificare, forse una S. Sul verso, invece, compare un contrassegno di bottega
documentato a cavallo fra il XVII e il XVIII secolo che rappresenta, entro una
forma vagamente ovale, la figura di un animale acquatico con ali spiegate: una
specie di cigno.
L’opera, ispirata a modelli in uso ormai da qualche secolo, appartiene, dunque,
all’epoca tardo - barocca come confermano la ricchezza e la tipologia della
decorazione, che identificano la croce in esame come lavoro di pregio grazie
anche alla cura per il dettaglio e alla grande attenzione rivolta all’aspetto narrativo
delle presenze figurative, rese con intensità espressiva e mimica gestualità. A tal
proposito, emerge, come prova di abilità formale, la plastica costruzione del corpo
di Cristo, frutto di attento studio del disegno anatomico, ma, soprattutto,
funzionale al coinvolgimento emotivo del fedele grazie al gioco di forze
contrastanti che suggerisce la tensione muscolare di braccia e gambe contro il
completo abbandono del capo sulla spalla destra.
Manifattura friulana, sec. XVII (?)
Crocifisso ligneo
Legno scolpito e dipinto/ 122x61cm./ Inv. 1411
Bibliografia: CICERI 1980, n. 2 p. X. 95
Esposizioni: Pordenone 1980
Una possente croce latina presenta la figura del Christus patiens con testa di grandi
dimensioni coronata di spine, dalle quali si dipartono fiotti di sangue che ne
irrorano il busto. Il volto, abbandonato, è lievemente proteso in avanti. Il torace è
caratterizzato da una struttura ossea a semicerchi concentrici che hanno origine
sullo sterno: evidente l’ingenuità compositiva che concorre ad individuare in una
bottega artigiana di ambiente attardato il luogo di provenienza dell’opera. Il corpo,
sproporzionato rispetto la testa, grava su gambe molto flesse e parallele tanto che
anche i piedi, di norma sovrapposti, in questo caso sono solo accostati ed è il
piede destro ad essere trafitto dal chiodo. Il perizoma, annodato al fianco sinistro,
è trattenuto da un doppio giro di corda.
Buono lo stato conservativo: un recente e non documentato intervento ha
provveduto a rinforzare il montante della croce mediante l’aggiunta di un nuovo
asse. La figura di Cristo presenta la mutilazione di alcune dita della mano sinistra e
cadute di colore.
Il crudo realismo espressivo ottenuto anche attraverso l’uso del colore atto a
sottolineare la valenza drammatica del soggetto, con abbondante profusione di
pennellate di vernice rossa su tutto il corpo, e la sommaria attenzione verso la
costruzione anatomica sono aspetti di un linguaggio basato su un’ingenuità
arcaicizzante che sopravvisse lungo i secoli, in veste di genuina adesione alla
tradizione locale, in molti prodotti scultorei realizzati per le piccole pievi della
zona carnica. Il crocifisso, esposto alla mostra di Pordenone del 1980, viene
indicato da Luigi Ciceri come opera del XVII secolo di manifattura carnica.
Manifattura friulana, sec. XVIII
Frammento di crocifisso ligneo
Legno scolpito e dipinto/ 72x35cm./ Inv. 154
Il frammento di crocifisso in esame è costituito esclusivamente da una parte
mutila del corpo di Cristo, privo delle braccia, del piede sinistro e di buona parte
della gamba destra, integra fino al ginocchio. Raffigurato secondo la tipologia
iconografica del Christus patiens, presenta volto chino sulla spalla destra con occhi
chiusi, labbra scostate e incorniciate da barba e baffi. Sui lunghi capelli spicca la
corona di spine. Dalla fronte rivi di sangue scendono a lambire il viso e il costato.
Il corpo è asciutto e il busto, allungato senza rispetto delle proporzioni, grava su
gambe particolarmente sottili.
Pessimo lo stato conservativo non solo per la condizione mutila che lo
caratterizza, ma anche per il generale sollevamento delle vernici che ha già
prodotto estese cadute della pellicola pittorica, aggravate dalle numerose
scalfitture e dalla diffusa tarlatura.
Non facile, dunque, esprime un giudizio stilistico sull’opera, che, tuttavia, pare
risentire, almeno nella costruzione del corpo, di tipologie iconografiche di antica
discendenza mostrando caratteri in comune con tanta parte della scultura lignea
carnica prodotta nel Settecento.
Croce da tavolo
Sec. XVIII/ Avorio e legno/ 66x13,5x21,6cm./ Inv. 397
La croce divenne parte integrante dell’arredo ecclesiastico solo nel IV secolo come
conseguenza della diffusione del culto della vera croce che si generò dopo il
rinvenimento ad opera di Sant’Elena. In origine le croci erano caratterizzate da
aniconismo. Sulle superfici, però, erano incastonate pietre preziose e smalti
variopinti. L’immagine del Christus patiens, la più comune, comparve a partire dal
IX secolo. La croce d’altare si sviluppa dal modello processionale e fece la sua
comparsa in Occidente piuttosto tardi, intorno al X secolo. Quest’ultima, infatti,
permetteva, vista la sua natura scomponibile rispetto l’asta sulla quale veniva
eretta, di essere adattata ad una base posta sull’altere. Spesso la parte inferiore
assumeva, grazie al valore decorativo di cui veniva investita, un significato
simbolico e allusivo al luogo della crocifissione rappresentando il Golgota stesso.
La presenza del crocifisso sull’altare durante la messa fu istituzionalizzata dal
Messale di papa Pio V nel XIV.
La collezione Ciceri annovera alcuni interessanti esemplari di crocifissi dotati di
base d’appoggio e adatti a sacrestie o ad ambienti domestici e quindi al culto
privato sia per i materiali di cui si compongono, che per le dimensioni contenute e
la tipologia che li caratterizza. Per tale motivo pare più opportuno definirli
generalmente crocifissi da tavolo. Si tratta di manufatti settecenteschi fra i quali
spicca il crocifisso in legno e avorio contrassegnato dal numero 397. Lo zoccolo
modanato ha sezione dal profilo mistilineo con due bracci laterali sporgenti e
divergenti. Su di essi poggiano elementi di raccordo a voluta arricchiti da intarsi
floreali eburnei. Tra tali decori si apre un piccolo cassetto che presenta sulla fronte
un pomello metallico posto al centro. Al di sopra della copertura a cupolino
s’innalza la croce latina con profilature lineari giocate sul contrasto cromatico del
legno e dell’avorio. Il montante termina con una decorazione a foggia di giglio
stilizzato e realizzato in avorio. Dallo stesso materiale è stato ricavato anche il
corpo di Cristo, plasticamente reso a tutto tondo. Il disegno anatomico è curato
nel dettaglio con chiaro intento patetico in modo da far risaltare l’ossatura resa
visibile sotto la sottile epidermide, tesa fino al punto di aderire alla cassa toracica
aperta ed espansa. Il volto, indirizzato verso la spalla destra, ha occhi ribassati e
labbra schiuse in un espressione di dolore. La testa, coronata di spine, presenta
lunghi capelli mossi e scomposti con ciocche che lambiscono le spalle.
Il manufatto è giunto in Museo in cattivo stato di conservazione con parti
mancanti o staccate per quanto riguarda la struttura lignea di base, intaccata anche
da tarli. Non è pervenuto il titulus, la cui originaria esistenza è testimoniata, oltre
che da ovvie ragioni iconografiche, dalle tracce che ne indicano la sede sopra il
capo di Cristo. Quest’ultimo è mutilo della mano sinistra, privo di aureola e le sue
superfici sono scurite da coltre polverosa.
Nonostante ciò risulta evidente l’elevata qualità del crocifisso realizzato
sicuramente per una committenza importante. Settecentesche risultano le scelte
formali e la tipologia decorativa impostata sul contrasto cromatico fra il candore
di volute ed elementi floreali, tratti da un repertorio diffuso e comune nel corso
del secolo, e la scura vernice con cui il legno è stato trattato.
Oreficeria veneziana, sec. XVIII
Croce da tavolo
Argento dorato e brunito, legno/ 84x12x31cm./ Inv. 1012; 1340
Su base con zoccolo modanato si imposta il cassettino dotato di piccolo pomello
inserito in una placca metallica foggiata a mascherone antropomorfo. La struttura
si completa con copertura sporgente e a sua volta modanata che si collega alla
base mediante due ali laterali a voluta. All’interno del cassettino sono stati
rinvenuti i piedini d’appoggio realizzati in argento brunito. Al di sopra della base si
erge la snella croce latina con terminazioni ad innesto raffiguranti coppie di
cherubini in argento fuso. All’incrocio dei bracci sono inserite quattro sottili
lamelle lanceolate a raggiera. Di intensa drammaticità la figura del Cristo vivo che
campeggia al centro, raffigurato nell’atto di rivolgere il capo al cielo ad invocare il
Padre prima di spirare. La tensione si percepisce nella muscolatura e nel reticolo
venoso in evidenza su braccia e spalle, il dolore nell’espressione del volto e nello
sforzo, tragicamente ultimo, di sollevare la testa, che inevitabilmente cede verso la
spalla destra. Le mani presentano l’indice e il medio in segno benedicente.
La croce lignea presenta una netta recisione proprio sotto i piedi di Cristo.
Sotto i piedini d’argento, ottenuti per fusione, si leggono le lettere TRO e FEO
sistemate su due file sovrapposte entro sagoma rettangolare. Le stesse si
riscontrano reiterate sui quattro elementi lamellari che compongono la raggiera e
sul cartiglio del titolo. Sulle terminazioni che riproducono teste cherubiche si vede
la sigla MP su leone “in moleca”, punzone riscontrato su manufatti del XVIII
secolo. In fine, sul perizoma si riconosce il marchio di Zecca veneziana col leone
vicino a iniziali di non facile identificazione, forse Z:C.
La scelta di un linguaggio espressivo di grande impatto emotivo caratterizza
un’opera di buona fattura dove ogni singolo dettaglio è trattato con grande cura: si
noti ad esempio la superficie scabra del perizoma, fermo e ben panneggiato, essa
certamente è funzionale a intenti luministici, aspetto certo in origine di grande
effetto vista la scelta di brunire alcune parti e dorarne altre puntando così su
suggestioni cromatiche modulate a contrasto con la vernice nera delle parti lignee.
Manifattura veneto-friulana, sec. XVIII
Basamento di croce da tavolo
Legno e ottone/ 12,3x17,5x9,5cm./ Inv. 1015
Base di sezione semi-ottagonale con zoccolo modanato e decorato da piccoli fiori,
di cui ne sopravvive uno soltanto su tre previsti in origine, in lamina di ottone
sbalzata. Al di sopra, una piccola struttura a podio presenta la parte centrale
cubica con mascherina riproducente una testina di cherubino, ottenuta per
fusione. Le due parti laterali, più basse e disposte secondo uno schema
simmetrico, sono sormontate da un piccolo puntale e hanno decori floreali in
ottone al centro della fronte e del fianco esterno. Sul gradino centrale si può
ipotizzare che in origine si ergesse il crocifisso purtroppo non pervenuto in
Museo.
Tutt’altro che buone le condizioni in cui si conserva questo frammento di croce
da tavolo di fattura settecentesca e di area veneta visto lo stringente confronto con
gli altri analoghi oggetti religiosi della collezione Ciceri. Estese tarlature ne hanno
intaccato le superfici lignee e le applicazioni floreali in lamina metallica purtroppo
sono giunte in numero ridotto come testimoniano le tracce lasciate sul legno.
Oreficeria veneziana, sec. XVIII
Croce astile
Argento sbalzato e cesellato/ 44x16,8cm./ Inv. 1018
Una semplice croce latina con profilature incise da disegno lineare e con
terminazioni caratterizzate da teste di cherubini si imposta su nodo a vaso
concluso da cupolino, il più diffuso nel Settecento, mediante foglie d’acanto
dorate che fanno da elemento di raccordo. Il nodo, posto al di sopra di un
semplice innesto cilindrico, presenta superfici consunte sulle quali si scorgono
comunque decori a foglie stilizzate incise e a sbalzo, mentre il collarino è
caratterizzato da bacellature ovoidali impercettibilmente sbalzate. La figura del
Cristo, nell’eccezione del Christus patiens, è lavorata a tutto tondo e presenta corpo
asciutto con visibile ferita al costato e perizoma appena mosso. Le lunghe mani
affusolate e i piedi sovrapposti sono trapassati da chiodi di grandi dimensioni con
capocchia appuntita. All’incrocio del montante con la traversa s’innestano quattro
sottili lamine foggiate a raggiera che incorniciano il titulus. Il verso della croce non
presenta figurazioni o elementi decorativi, ma è lasciato in uno stato grezzo.
Lo stato di conservazione è buono e permette la lettura dei punzoni che con la
presenza del leone “in moleca” indicano la manifattura veneziana. Essa è
confermata dalla sigla ZP inframmezzata dalla stilizzazione di un cigno,
contrassegno del Pubblico sazador Zuanne Premuda, documentato in Zecca a
partire dal 1695 e morto nel 1749. Tale marchio di controllo, riscontrato anche
sulla grande croce processionale custodita nel Palazzo Arcivescovile di Gorizia
(BERGAMINI 1992, p. 327) e in quella della chiesa di San Giorgio Martire a
Premuda (VILLOTTA 2001, p. 186), consentirebbe dunque di datare la pregevole
croce astile all’inizio del XVIII secolo. Va rilevata la raffinatezza dell’oggetto che
si caratterizza per assoluta sobrietà da un punto di vista decorativo e per l’elevata
fattura della figura a tutto tondo di Cristo.
Manifattura friulana, sec. XVIII (?)
Frammento di crocifisso ligneo
Legno scolpito e dipinto/ 12,5cm./ Inv. 1552
Il frammento superstite attesta un crocifisso di piccole dimensioni scolpito nel
legno. Purtroppo rimane davvero ben poco per poter operare un’analisi di stile
sull’oggetto in quanto il corpo di Cristo, privo della croce, si conserva mutilo di
entrambe le braccia con totale sollevamento della pellicola pittorica che ne ha gia
determinato la caduta in vaste zone. Il volto consunto non permette di leggerne
l’espressione, ma la posizione del capo, abbandonato sulla spalla destra, lascia
intuire la tipologia del Cristo dolente. Per quel che è possibile rilevare dall’intaglio
e dall’approssimativa definizione anatomica, pare trattarsi di un prodotto
artigianale di probabile provenienza carnica, adatto al culto privato in
considerazione delle ridottissime dimensioni.
Crocifisso ligneo
Sec. XIX/ Legno scolpito e dipinto/ 53,5x30,6cm./ Inv. 148
Su croce latina campeggia la figura di Cristo dai tratti somatici visibilmente
mediorientali: lunghi capelli e folta barba nero corvino incorniciano il volto
caratterizzato dal naso largo e schiacciato. Il capo è incassato nel busto e il corpo
non prevede alcun accenno alla caratterizzazione anatomica risultando
complessivamente goffo e approssimativo. Il perizoma rigido e statico cinge i
fianchi ed è annodato a destra. La vernice impiegata per dare colore alle superfici
simula una carnagione olivastra. La croce è pervenuta priva del titolo che in
origine sovrastava il capo coronato di spine di Cristo.
Lo stato conservativo risulta compromesso dalla mutilazione della mano destra e
dalle cadute di colore diffuse sul corpo.
La figura di Cristo è definita solo nella sua parte frontale lasciando quella
posteriore in uno stato volutamente incompiuto e scabro. Questo, unitamente ad
alcuni particolari, come la mancata definizione delle dita di piedi e mani o
l’assoluta mancanza di disegno anatomico, collocano l’opera come frutto di un
artigianato minore e di provincia, senza pretesa di dignità artistica. Inoltre le
ridotte dimensioni del crocifisso fanno pensare ad un uso domestico, adatto alla
devozione privata.
Frammento di crocifisso
Sec. XX/ Ottone fuso/ 23x11,5cm./ Inv. 291
Il corpo di Cristo, realizzato a tutto tondo mediante fusione, è rappresentato con
capo chino sulla spalla destra. Il volto è incorniciato da barba e capelli, la cui
consistenza è suggerita mediante disegno lineare ondulato. Definiti da analoghe
stilizzazioni, in questo caso da linee geometriche tagliate di netto, sono anche il
naso affilato e gli occhi socchiusi. Manca l’attenzione di matrice classica per le
anatomie e sul torace, dove non si percepiscono particolari tensioni muscolari,
spicca una vistosa ferita che si apre a rombo. Le superfici si caratterizzano per il
diverso impatto della luce che scivola sul corpo liscio, s’insinua fra i linearismi del
volto e viene intrappolata dal fitto e minuto tratteggio del perizoma.
La figura del Cristo è pervenuta in museo entro una cornice lignea con fondo
foderato di velluto rosso al quale è rudimentalmente affissa. L’opera è mutila del
braccio destro, della mano sinistra e delle dita dei piedi, trapassati da un vistoso
foro. Una visibile integrazione del metallo si nota nella parte posteriore del
braccio sinistro oltre a scalfitture e ossidazioni piuttosto diffuse.
Il linguaggio stilistico dell’opera, per quel che è possibile giudicare dal frammento
in questione, porta a riconoscerla come lavoro di epoca contemporanea, databile
al secolo scorso. Ulteriori indizi si sarebbero potuti ricavare dall’analisi della croce
che purtroppo non ci è pervenuta.
Decorazionisacre
Schede a cura di Dania Nobile
Manifattura friulana, sec. XVIII
Decorazione apicale
Legno intagliato e dorato/ 19,5x12 cm./ Inv. 967
Pomello decorativo in legno dorato scolpito con delle semplici incavature nel
fusto, e con dei motivi vegetali nella cui parte inferiore compare un elemento
semisferico. Sulla sommità alcune foglie, dalle linee semplici e raffinate, si
chiudono a bocciolo facendo così da corona alla sfera apicale. Lo stato di
conservazione della doratura è, nel complesso, buono. Si rilevano alcune rotture
della superficie con relative cadute di parti delle foglie ornamentali.
Il pomello può essere considerato quale terminale di asta di baldacchino per le
processioni, o come decoro delle mazze che venivano portate dinnanzi ai cortei
sacri.
Manifattura friulana, sec. XVIII
Decorazione apicale a corona
Legno intagliato e dorato/ 13x9,5 cm./ Inv. 1239
Decoro a forma di corona in legno dorato e scolpito con motivi vegetali e
pennacchio a pomello. Diverse cadute della doratura interessano la superficie del
manufatto lasciando così in evidenza il legno. L’oggetto trova una sua consona
collocazione quale decoro apicale di una mazza processionale, o come terminale
di aste di baldacchino.
Manifattura friulana, sec. XVIII
Decoro ornamentale
Legno intagliato e dorato/ 13,5x12,5 cm./ Inv. 1430
Decoro ligneo a croce gigliata ornata nel centro con un motivo floreale i cui petali
coprono le quattro braccia della croce e gli spazi tra esse, così da creare un effetto
a raggiera.
Sono evidenti i segni della tarlatura che copre la superficie dell’oggetto la cui
doratura è compromessa e ormai completamente perduta in alcune parti.
Il manufatto, in origine, faceva probabilmente parte di una croce di
consacrazione (vedi Inv. 1432) di cui rappresentava il decoro centrale.
Manifattura friulana, sec. XVIII
Decoro ornamentale
Legno intagliato, dorato e dipinto/ Ø11,5 cm./ Inv. 1431
Decorazione lignea intagliata a motivo floreale i cui quattro petali, chiusi a
raggiera, formano altrettanti fori di forma ovoidale. La parte centrale è costituita
da un elemento circolare a doppio raggio segnato da una profonda scanalatura
decorativa. Diverse e significative cadute della doratura interessano l’oggetto nel
suo complesso.
Tale manufatto può trovare una corretta collocazione come parte decorativa di
qualche mobilio o altare.
Manifattura friulana, sec. XVIII
Croce di consacrazione
Legno intagliato e dorato/ Ø 33 cm./ Inv. 1432
Questo manufatto a forma circolare presenta una decorazione in legno dorato
composta da quattro foglie disposte in modo da suggerire le linee di una croce
gigliata.
In diversi punti si notano alcune significative fratture e conseguenti cadute del
supporto ligneo e della doratura. La parte centrale è priva del decoro originale che
va però ricondotto, per forma e tipologia, agli esemplari (Inv. 1430 e 1431) della
collezione Ciceri. Essi, infatti, pur non essendo dichiaratamente collegabili a
questa croce di consacrazione riflettono quella che poteva essere la loro originale
collocazione. In particolare uno di questi decori (Inv. 1431) presenta il medesimo
elemento floreale del nostro ovale differendo, però, nella doratura eseguita in
modo del tutto dissimile.
Il manufatto va dunque certamente identificato come una delle dodici croci che,
fissate alle pareti della chiesa, costituiscono, insieme ai “candelieri di
consacrazione” che le accompagnano, una delle tappe fondamentali nella
consacrazione vescovile dell’edificio sacro.
Manifattura friulana, sec. XVIII-XIX
Vaso ornamentale
Legno scolpito, smaltato e dorato/ 43,5x13,5 cm./ Inv. 1264
Un possente zoccolo cubico sostiene questo vaso ligneo che è composto da un
piede a base circolare e da un piccolo nodo inferiore, a sezione sferica, da cui si
diramano delle foglie che convergono nel rigoglio a disco. L’intaglio prosegue con
un motivo a gola pronunciata terminante in un elemento circolare, leggermente
schiacciato, sul quale poggia un imponente pennacchio floreale. Le diverse varietà
che costituiscono il bouquet creano un raffinato gioco di forme che prevede
un’accurata disposizione di ogni singola parte, in modo da conferire al decoro un
gradevole slancio verso l’alto. L’oggetto è ricoperto da una stesura di smalto
bianco che lascia scoperte soltanto la scanalatura del basamento e la parte centrale
dei fiori.
Il manufatto è percorso da diverse abrasioni e da alcune fratture del legno, ma la
presenza della vernice lo ha probabilmente preservato dall’attacco dei tarli, che
non sembrano aver lasciato i caratteristici segni del loro passaggio.
Da un attento esame della cromia si è visto che la smaltatura copre nel vaso il
supporto ligneo neutro, mentre nel mazzo di fiori riveste una precedente doratura
che, secondo i dati rilevati dall’analisi, non interessava soltanto le parti attualmente
visibili, ma si estendeva a tutto l’elemento floreale. Considerando la foggia questo
vaso potrebbe trovare una consona collocazione come elemento ornamentale da
porre sulla cimasa di qualche organo oppure su qualche frontale architettonico
d’altare. Si può dunque immaginare che tale manufatto sia stato, un tempo, parte
integrante del decoro del frontone o di qualche parasta d’altare ligneo. La
presenza dello smalto bianco, pur non essendo particolarmente determinante, può
ugualmente suggerire un intervento dovuto a un cambiamento della moda e del
gusto del tempo. In quel contesto gli altari di marmo sostituirono gradatamente
quelli lignei che rimasero una realtà limitata a qualche centro di periferia dove,
non potendo introdurre nuovi arredi, si decise di sopperire a tale mancanza
semplicemente imitando il marmo. Questi motivi porterebbero a collocare
l’oggetto entro una bottega artigianale locale della fine del settecento, inizi
ottocento.
Manifattura friulana, sec. XIX
Coppia di decori ornamentali
Legno intagliato e dorato/ Ø10 cm. (Inv. 333), Ø6 cm. (Inv. 333b)/ Inv. 333,
333b
Applicazioni lignee floreali quadripetali con stame sopraelevato e a doppio
registro (Inv. 333), o semplicemente in rilievo (Inv. 333b). La rosa più piccola si
differenzia dall’altra sia per le forme, sia per l’intaglio, molto più ingenuo e
grossolano. Nella rosellina (Inv. 333b) la presenza di due fori posti sulla corolla
suggerisce un’applicazione dell’oggetto per mezzo di piccoli chiodi, mentre
l’assenza di questo particolare nell’altra rosa (Inv. 333) dichiara l’uso di un
collante.
Nella doratura, eseguita su fondo rosso, si rilevano alcune screpolature con
conseguente distacco (in particolare si veda Inv. 333b).
Questa coppia non presenta particolari affinità stilistiche tali da considerarle quali
serie di un unico apparato decorativo; questo, tuttavia, non esclude l’ipotesi che
esse siano parte integrante dell’ornato di qualche mobilio.
La presenza, sul retro della rosa (Inv. 333), di un’etichetta artigianale con scritto
“L/2.500” permette di ipotizzare che l’acquisto dell’oggetto sia avvenuto presso
qualche mercatino d’antiquariato.
Manifattura friulana, sec. XIX
Vaso ornamentale
Legno (noce?) scolpito/ 31x11,5 cm./ Inv. 1157
L’essenziale piede a base circolare sostiene questo vaso ligneo ad anfora semplice,
sulla cui sommità si trova un mazzo di fiori e frutti. La gola è decorata con
filiformi foglie d’acanto, che dalla parte terminale del collo del piede proseguono
fino alla base del rigoglio. Quest’ultimo è ornato da motivi a palmetta che corrono
lungo tutto il perimetro superiore. La spalla, composta da un sottile disco e da un
cilindro, sembra voler idealmente dividere il vaso dal suo contenuto.
L’oggetto presenta alcuni segni di tarlatura diffusi in particolar modo sul rigoglio
superiore. La peculiarità delle forme e l’uso del legno neutro, senza particolari
aggiunte cromatiche, permettono di inserire questo vaso ornamentale nel contesto
dei decori posti, di norma, in cima ai confessionali o sulle trabeazioni superiori ai
dossali del coro. Tale oggetto trovava dunque una sua probabile collocazione alle
estremità del dossale o al centro dello stesso, forse attorniato da angeli reggi
ghirlande. Il materiale e l’intaglio utilizzati suggeriscono l’intervento di una
discreta bottega di scultori locali degli inizi dell’ottocento.
Exvoto
Schede a cura di Claudio Moretti
Tra l’eterogeneo e ricco materiale della collezione Ciceri, un rilievo particolare assume il corposo gruppo degli ex
voto (quasi una cinquantina) costituito da dipinti e targhette.
La pratica votiva, sia essa un ringraziamento per l’intervento divino già manifestatosi o un pegno per una grazia che
deve ancora compiersi, fa parte da sempre del linguaggio spirituale dell’uomo e con esso si evolve pur mantenendo le
proprie funzioni originarie. Le tipologie dell’offerta mutano a seconda delle disponibilità del devoto o in proporzione
all’entità dell’intervento richiesto. Confraternite, ordini religioso-militari e Comunità commissionano chiese votive,
l’erezione di altari e dipinti; il singolo devoto di condizioni modeste dedica oggetti personali o realizzati allo scopo,
offerti in occasione del pellegrinaggio al Santuario.
Gli ex voto esprimono un atto di devozione e sono testimonianze del contesto culturale e religioso, dei valori e dei
costumi appartenenti ad un particolare momento storico; da qui l’articolato e crescente interesse del loro studio,
prezioso anche per salvaguardarne la memoria spesso dispersa dai numerosi furti e dalla perdita degli esemplari più
antichi.
La donazione Ciceri offre un’articolata campionatura, soprattutto per le tavolette dipinte. Si tratta infatti di
manifatture diverse, più o meno attente e in grado di aderire alla realtà e coglierne i particolari, secondo un arco
cronologico fra XVII e XX secolo. Di grande interesse sono le raffigurazioni delle immagini mariane: la Madonna
del Carmelo o dello scapolare, la Vergine del Rosario legata alla diffusione della pratica devozionale specifica, la
Madonna della Cintura, legata anche a culti popolari locali. Tre tavolette riportano la Madonna del Giglio simbolo di
candore (provenienti dalla omonima chiesetta di Aprato in val del Torre). Per quanto riguarda l’iconografia dei santi,
frequente è san Antonio da Padova, il cui culto è ampiamente diffuso.
Strettamente connesso al “rito” dell’ex voto è il luogo sacro ove è pubblicamente manifestata e rimane visibile il
segno del pactum tra uomo e divino. Diversi sono i santuari noti e frequentati in Friuli Castelmonte, S.Osvaldo a
Sauris, S.Antonio a Gemona, Madonna delle Grazie a Udine ma molti altri luoghi che non posseggono ufficialmente
lo status giuridico di santuario erano percepiti come tali dalle popolazioni e quindi oggetto di particolare devozione.
Una donna invoca la Vergine per la guarigione di una fanciulla
Sec. XVII/Olio su tavola/ 30,5x32 cm/ Inv. 230
Madonna del Rosario/ Infermità, malattia
Bibliografia: RIBEZZI 2005, p. 95
La patologia di cui soffre l’inferma che riposa a letto è rappresentata dalla gamba
posta sopra l’ammalata in cui è sommariamente descritta una tumefazione. Per la
sua guarigione forse la madre, inginocchiata e di profilo, implora la Vergine con il
Bambino assisa in alto al centro di una nuvola. L’ignoto pittore descrive
fedelmente sia l’interno (semplice letto a cavalletti) che l’abbigliamento.
Un angelo addita alla Vergine il viandante implorante
Sec. XVII/Olio su tavola/ 26x26,5 cm./ Inv. 232
Madonna del Buon Consiglio, angelo/ Voto segreto, preghiera
Iscrizioni: “EX VOTO Antonio Qm Pietro BeLina Perifit adì 26 giugno 1600”
Un viandante in abiti borghesi, forse un boscaiolo come lasciano supporre il
bagaglio e gli attrezzi a terra (un’ascia ed una roncola), si rivolge a mani giunte alla
Madonna presso la quale intercede un angelo. Il tenero atteggiamento della
Vergine verso il Bambino suggerisce l’iconografia della Mater Boni Consili (sacra
icona del santuario di Genazzano, dove la leggenda vuole che l’immagine nel XV
secolo sia apparsa portata in volo dagli angeli da Scutari in Albania per sfuggire
alle persecuzioni) preposta a tutelare i fedeli e sorreggere i pellegrini sulla retta
via.
La Vergine intercede per un uomo aggredito da soldati
Sec. XVII/Olio su tavola/ 22,4x24,8 cm./ Inv. 234
da Aprato, chiesetta Madonna del Giglio
Madonna con Bambino/ Aggressione armata
Bibliografia: MORO 1971, p. 163; RIBEZZI 2005, p. 95
La scena è ambientata in aperta campagna ove, sulla sinistra, un uomo è
trattenuto da due soldati armati di sciabola e archibugio (forse turchi, ausiliari
austriaci di etnia serbo/croata, tra cui va ricordato il reggimento di frontiera della
Slavonia “Gradisca” che aveva in dotazione divise rosse non dissimili da quelle
qui rappresentate). In alto, entro una nuvola, è assisa la Vergine, segno della
protezione ricevuta.
Un devoto in preghiera
Sec. XVII/Olio su tavola/ 27x31 cm/Inv. 237
Madonna con Bambino, sant’Antonio da Padova/ Voto segreto, implorazione
Bibliografia: RIBEZZI 2005, p. 96
L’atteggiamento dell’orante, inginocchiato e a mani giunte, mancando altri
riscontri, forse esprime una generica offerta di devozione o un voto che non si è
voluto esplicitare. La Vergine con il Bambino è affiancata da S. Antonio posto
più in basso ed entrambi occupano gran parte della scena.
Due uomini implorano per la salvezza di una donna caduta da cavallo
Sec. XVII/Olio su tavola/ 27x25,4 cm./ Inv. 239
Madonna con Bambino, santo francescano, santa martire/ incidente, caduta
Bibliografia: SGUBIN 1994, p. 77
Una donna caduta da cavallo corre il pericolo di esserne travolta e due
gentiluomini in ginocchio implorano l’assistenza divina impersonata dalla
Vergine, da un santo francescano e da una santa martire (forse santa Agnese
tradizionalmente protettrice delle giovani vergini o santa Barbara invocata in caso
di pericolo di morte improvvisa). Accurata e fedele la descrizione
dell’abbigliamento secondo le fogge del terzo quarto del XVII secolo.
Una famiglia si rivolge alla Vergine per il congiunto infermo
Sec. XVII/Olio su tavola/ 25,4x33,7 cm./ Inv. 243
Madonna con Bambino, san Antonio da Padova/ malattia infantile
Iscrizioni: “X.V.”
Bibliografia: SGUBIN 1994, p. 91
I genitori con quattro figli in fila secondo l’età sono inginocchiati e additano il
familiare (presumibilmente un altro figlio) che giace a letto ammalato; in alto a
sinistra la Vergine con il Bambino è affiancata da san Antonio da Padova,
protettore dei fanciulli. Una scritta, scarsamente leggibile sul retro, in cui si
accenna alla Madonna del Giglio, suggerisce la provenienza da una chiesetta
omonima.
Un uomo è trattenuto da due aggressori
Sec. XVII/Olio su metallo/ 29 x42 cm./Inv. 254
Madonna con Bambino, Santi/ aggressione
da Aprato, chiesetta della Madonna del Giglio
Bibliografia: MORO 1972, p. 164
In precarie condizioni conservative, il quadretto raffigura una scena articolata. Di
notte un gentiluomo è stato trascinato in camicia fuori casa; in ginocchio sembra
implorare due uomini, uno dei quali gli indica la strada, mentre dal terrazzino di
casa una donna sta assistendo alla scena. Oltre il muro di cinta figurano le anime
purganti mentre il Sacro è rappresentato dalla Vergine e due Santi, di cui la figura
con croce suggerisce Maria Maddalena, dal XIII secolo figura tutelare della
“Buona Morte”.
Una donna implora la Vergine per il congiunto infortunato
Sec. XVIII/Olio su tavola/ 23x34,3 cm./ Inv. 226
Madonna del Carmine/ incidente, caduta
Bibliografia: SGUBIN 1994, p. 179, RIBEZZI 2005, p. 93
La cronologia degli eventi è narrativamente descritta: un giovane uomo seduto
con una gamba ferita si è infortunato (l’antefatto è illustrato in alto, in secondo
piano) tentando di scavalcare un muro e la donna, forse la madre, inginocchiata,
supplica la Vergine.
Una donna con bambino cade da un muro
Sec. XVIII/Olio su tavola/ 29x31 cm./ Inv.227
Madonna del Carmine/ incidente, caduta
In un paesaggio campestre, una donna con in braccio un bambino cade da un
muretto. In alto nella consueta nuvoletta la Madonna con il Bambino.
Una donna si rivolge alla Vergine per il congiunto infortunato
Sec. XVIII/Olio su tavola/ 21,8x29 cm./ Inv. 228
Madonna del Rosario/ Infortunio, malore
Iscrizioni: EX VOTO
Lungo una strada compaiono due figure: l’uomo è disteso, forse colto da malore,
la donna inginocchiata sembra sostenerlo e innalza il braccio al Cielo. La Vergine
e il Bambino, splendenti dalla nuvola, trattengono in mano due rose rosse che
alludono al sangue del martirio e ai misteri dolorosi.
Un contadino è investito da un carro
Sec. XVIII/Olio su tela/ 27x52 cm./ Inv. 235
Da Aprato, chiesetta della Madonna del Giglio
Madonna con Bambino, san Antonio/ incidente
Iscrizioni: “PIETRO T. EX DEVOne 1771”
Bibliografia: MORO 1971, p. 167; MONTINA 1992, p. 127
La scena ambientata in aperta campagna raffigura un uomo investito dalle ruote di
un carro carico di un tino e, trainato da un cavallo e due coppie di buoi.
All’incidente assiste un compagno. La Vergine e il Santo figurano in alto, entro
nuvoletta, ma separati dalla scena.
Un’ammalata si rivolge alla Vergine
Sec. XVIII/Olio su tavola/ 27,9x28,1 cm./ Inv. 236
Madonna della cintura, san Valentino?/ malattia
Una donna seduta a letto e con le braccia aperte, cui è appesa una cintura, si
rivolge implorante alla Vergine accompagnata da un santo, forse san Valentino, la
cui presenza suggerisce una possibile patologia dell’offerente (forse epilessia).
Familiari pregano per un’ammalata
Sec. XVIII/Olio su tela/ 30,3 x 36 cm./ Inv. 244
Cristo in croce/ malattia
Bibliografia: CICERI 1969, p. 43; SGUBIN 1994, p. 113
Accanto al letto dove un’ammalata cerca di sollevarsi con due cordicelle, tre
donne elegantemente vestite pregano davanti al crocifisso che incombe sulla
sinistra.
Due donne e un ammalato si rivolgono alla Vergine
Sec. XVIII/Olio su tavola/ 20,4x28,4 cm./ Inv. 245
Madonna incoronata da angeli/ malattia
Iscrizioni “P.N.F. O.N.D” “AGOSTO – SETTEMBRE XIX” [SUL RETRO
DELLA TAVOLETTA]
Un infermo giace a letto e con le braccia congiunte si rivolge alla Vergine, come le
due donne inginocchiate presso il capezzale. La Madonna con Bambino è
accompagnata da due angioletti che le sorreggono la corona sopra il capo.
Due donne pregano la Vergine per la salute di un bambino
Sec. XVIII/Olio su tela/ 29x42cm./ Inv. 248
da Aprato, chiesetta di Madonna del Giglio
Madonna con Bambino/ malattia infantile
Iscrizioni: “EX VOTO 1701”
Bibliografia: MORO 1972, p. 163; MONTINA 1992, p. 88; SGUBIN 1994, p. 99;
RIBEZZI 2005, p. 95
In un interno signorile una donna elegantemente vestita, inginocchiata su un
cuscino presso una culla e affiancata da un’ altra figura femminile, prega la
Vergine per la salvezza del bambino.
Un uomo è aggredito da due banditi
Sec. XVIII/Olio su tela/ 49,3x61,5 cm./ Inv. 250
Madonna con Bambino, san Antonio/ aggressione armata
Bibliografia: SGUBIN 1994, p. 139; RIBEZZI 2005, p. 94
San Antonio, inginocchiato, si rivolge alla Vergine additandole la scena che si
svolge lungo una strada campestre con sullo sfondo vedute di borghi paesani
abbarbicati lungo le pendici dei monti. Un uomo, presso il carretto trainato da
due buoi è fermato e colpito dalla sciabola di uno dei due aggressori armati, forse
per derubarlo.
Un’ammalata si rivolge alla Vergine
Sec. XVIII/Olio su tela/ 22,3x32,3 cm./ Inv. 256
Madonna con Bambino, san Antonio/ malattia
Iscrizioni: “…TO”, stemma partito giallo e azzurro, con figura geometrica azzurra
e due stelle gialle
Bibliografia: MORO 1995, pp. 247 - 264
In un semplice letto che poggia su eleganti cavalletti intagliati, è seduta
un’ammalata in atteggiamento implorante verso il Sacro, ove la Madonna è
affiancata da san Antonio.
Una giovane prega la Vergine per la madre ammalata
Sec. XVIII/Olio su tela/ 35x38 cm./ Inv. 258
Madonna con Bambino/ malattia
In precarie condizioni, l’ex voto è ambientato in un interno. Una giovane
inginocchiata prega la Madonna per la madre che giace inferma, a letto,
confortata da un sacerdote.
San Leonardo
Sec. XVIII/Olio su tela/ 55x40 cm./ Inv. 507
Iscrizioni: “LEONHARTA PITT FECE FARE ANNO 1754”
Bibliografia: Nicoloso Ciceri 1997, p. 145, RIBEZZI 2005, p. 135
La figura del Santo, protettore di carcerati e puerpere, riconoscibile dagli attributi
(un lucchetto, una catena con alle estremità un ceppo e il pastorale) si erge sullo
sfondo di un paesaggio campestre e boscoso con nubi rosate che si levano dalle
cime delle montagne. Dal centro di una nuvola in alto si diffonde una luce che
circonda il capo di Leonardo mentre i cherubini si affacciano a guardarlo.
Dall’iscrizione sappiamo che il quadretto è stato commissionato da Donna
Leonarda moglie di Pietro e madre del medico Giorgio Pietro Pitt di Cercivento.
San Antonio da Padova con il Bambino
Sec. XVIII/Olio su tavola/ 55x40 cm./ Inv. 508
Iscrizioni: “GION BATISTA JCALLA. EX VOTO AO:1741”
Bibliografia: NICOLOSO CICERI 1997, pp.103-183, p.145
Il frate sorregge amorevolmente fra le braccia il Santo Bambino; sulla sinistra,
sopra un tavolino, sono posati un libro e i gigli bianchi, attributo del santo. A
destra, da una finestra, si scorge una veduta con alcuni alberi e case, sotto la quale
entro cartiglio compare l’iscrizione.
Placche ex voto (serie di tre pezzi)
Metallo argentato sbalzato e inciso/ 24x15 cm.ca./ Inv. 1595
Iscrizioni: a) Giacomo Treleano F F; b) S MARIA S AGNESE S ANDONI; c)
Anno 1707
Tre placche di metallo di uguale forma e dimensioni che circondano un ovale
recante incise scritte dedicatorie e decorazioni floreali.
Un uomo cade dal calesse
Sec. XVIII/Olio su tavola/9x30 cm./ Inv. 1820
Frammento di tavoletta in cui è raffigurato un uomo impigliato nelle briglie dei
cavalli del suo calesse.
Un uomo cade da una rupe sul Natisone
Sec. XIX/Olio su tavola/ 34,5x25,7 cm./ Inv. 225
Vergine Immacolata/ Incidente, caduta
Iscrizioni: “ P.G.R. IL 5 GENNAJO 1888”
Bibliografia: RIBEZZI 2005, p. 93
Su uno sperone roccioso lungo le sponde del Natisone alcuni giovani stanno
accendendo un fuoco epifanico; uno di loro, forse a causa della perdita di una
scarpa, scivola capovolgendosi dalla rupe. L’ambientazione è meticolosa e
suggestiva, un quadretto di vita, con le figurette femminili in atto di lavare i panni
o portare i secchi d’acqua appesi all’arconcello e dove il Sacro (la Vergine
Immacolata) è relegato in alto, distaccato dalla scena. Come si evince da fotografie
di fine 800, l’ alto muro di cinta con all’angolo un pinnacolo appartiene al
Monastero delle Orsoline; nel corso del XX secolo è stato abbattuto.
Una donna prega san Bartolomeo
Sec. XIX/Olio su tavola/ 22x33,4 cm./ Inv. 229
Santo/ voto segreto, implorazione
Iscrizioni: “EX VOTO”
In un modesto interno, che presenta come unico ornamento un quadretto con
effige mariana sulla parete, una donna è inginocchiata in preghiera e si rivolge al
santo, riconoscibile nell’apostolo Bartolomeo, con il coltello, strumento del
martirio e libro delle sacre scritture. La scena non suggerisce il motivo del voto,
che va forse individuata nel patronato.
Una donna con bambino prega la Vergine
Sec. XIX /Olio su tavola/ 24,4x30,9 cm./ Inv. 231
Madonna del Carmine/ infermità infantile
Iscrizioni: “G.R. 1882”
A fianco di una culla una donna tiene in braccio un bambino e si rivolge alla
Madonna con il Bambino, entrambi con scapolare in mano.
Due genitori implorano san Nicola
Sec. XIX/Olio su cartone/ 29,9x24 cm./ Inv. 233
Iscrizioni: “P.G.R. 22.N.e 1894”.
San Nicola/ infermità infantile
Al capezzale di un bambino i genitori pregano inginocchiati. La madre a braccia
aperte implora san Nicola, protettore dei fanciulli, mentre effigi religiose (della
Madonna e un Crocifisso) sono appese al muro della modesta stanza. Il quadretto
potrebbe provenire da una chiesetta intitolata al Santo, forse San Nicolò a Vuezzis
in Carnia.
Un uomo è circondato da soldati
Sec. XIX/Olio su tavola/ 33,3 x 35,1 cm./Inv. 238
da Montenars, Chiesa di San Daniele
Madonna del Carmine/ aggressione
Bibliografia: MORO 1971, p. 163; CICERI 1976, p. 168; SGUBIN 1994, p. 188;
RIBEZZI 2005, p. 94-95
Una pattuglia di quattro soldati austroungarici con zaino e baionetta fermano un
civile lungo una strada di montagna. La precisa descrizione delle divise suggerisce
una datazione tra la metà degli anni ‘30 e la fine degli anni ’40. Il motivo dell’ex
voto non appare molto chiaro: un fermo di un renitente alla leva, un estorsione da
parte della pattuglia, o un arresto legato a moti risorgimentali.
Due bambini sono investiti da un carro
Sec. XIX/Olio su tavola/ 25,7x33,3 cm./ Inv. 241
Madonna con Bambino/ incidente, investimento
Iscrizioni:”P.G.R.”, “1882”; “BOTTENICCO” [sul retro]
In un rustico cortile due ragazzini finiscono sotto le ruote di un carretto trainato
da due mucche guidate da un contadino con la frusta in mano. In alto la Madonna
con un giglio in mano.
La Vergine interviene a intercedere per una famiglia minacciata dall’incendio della casa
Sec. XIX/Olio su tavola/ 25,8x33,5 cm./ Inv. 242
Madonna del Carmine/ Incendio
Iscrizioni: V.F.G.R. 1887
Le fiamme si alzano dai tetti di alcuni caseggiati; nel pericolo incombente un
uomo insieme ai familiari indica alla Vergine l’accaduto.
La Vergine del Rosario interviene in favore di un minatore caduto in una cava
Sec. XIX/Olio su tela/ 25,5x36,6 cm./ Inv. 246
Madonna del Rosario/ incidente, caduta
da Aprato, chiesa di Madonna del Giglio,
Iscrizioni: “Giuseppe Toffoletto detto Guban 1842 P.G.R”
Bibliografia: MORO 1971, p. 169; MONTINA 1992, p. 135
In una cava di pietra lavorano tre uomini, uno dei quali precipita. La scena è
sommariamente descritta, anche la Vergine compare in cielo, appena accennata.
Una famiglia prega per il parente ammalato
Sec. XIX/Olio su tela/ 51,9 x 43,1 cm./ Inv. 247
Madonna/ Malattia
Iscrizioni: “Antonio Plazzareano detto gnes. 1864”
Bibliografia: Ribezzi 2005, p. 95
Minuziosa è la descrizione di questa modesta camera dove un anziano giace a
letto. Al suo capezzale si inginocchia un uomo, con a fianco la figlioletta, sull’altro
lato la moglie, in piedi. Su un tavolo sono riprodotte alcune suppellettili e a fianco
del letto gli oggetti sacri: l’acquasantiera, il crocifisso. Le immagini religiose con le
divinità taumaturgiche (San Giorgio e il drago e una Madonna a mani giunte)
figurano come quadri.
Una famiglia in preghiera
Sec. XIX/Olio su tela/ 32x45 cm./ Inv. 249
Madonna con Bambino, san Giuseppe, santa Lucia/ voto segreto, atto di
preghiera
Iscrizioni: “V.F.G.R. 1868”
Una donna, un uomo e una bambina inginocchiati si rivolgono in preghiera alla
Vergine e ai santi. La giovane con velo indossa un abito cerimoniale, da
comunione, forse da suora, oppure una veste tipica delle persone “votate”,
oppure potrebbe essere una novizia che si accinge a prendere i voti. La santa con
in mano la palma del martirio è stata individuata in Santa Lucia in quanto porta al
petto una spilla che le ferma il manto rappresentante due occhi. Nonostante le
passio non facciano cenno all’estirpazione degli occhi durante il martirio, dopo
l’XI secolo si diffonde la leggenda dell’accecamento di Lucia che
conseguentemente viene invocata in difesa della vista. Il culto assume tali
dimensioni che alla figura della santa sono legati ex voto specifici. Tuttavia il
legame tra la santa e la tutela degli organi oculari sarebbe molto più antico e legato
invece al nome (dal latino lux) luce intesa come vista interiore che allontana le
tenebre del male e disvela la verità. La figura di Lucia ha antichi richiami nella
Lucina latina, ricordata da Ovidio, dea della luce e delle partorienti (portava i
neonati alla luce).
Un uomo è schiacciato da un carro
Sec. XIX/Olio su tela/ 43x46,8 cm./ Inv. 251
Santo (indefinibile) o Madonna?/ incidente
Iscrizioni: “LI 18 FEB.JO 1858 P. G. R.”
Bibliografia: SGUBIN 1994, p. 216, RIBEZZI 2005, p. 95
Contrasta la meticolosità con cui è tratteggiata l’animata scena rispetto alla
descrizione del Sacro, la cui figura è indefinibile. In un ambiente montano,
invernale, sullo sfondo alcuni operai lavorano con il piccone mentre lungo la via
un uomo è travolto dalle ruote di un pesante carretto carico di pietre. In
prossimità dell’incidente vi sono adulti e bambini uno dei quali tiene fermo il
carro mentre gli altri, distesi a terra, cercano di aiutare l’infortunato.
Donne implorano la Vergine per la salute di un infermo
Sec. XIX/Olio su cartone/42,4 x36 cm./ Inv. 252
Madonna con Bambino, santo vescovo/ malattia
Iscrizioni: “P.G.R. 1897”
Al capezzale di un uomo ammalato una donna si dispera mentre un’altra figura
femminile, seduta, piange coprendosi il volto con le mani. Il Santo con il pastorale
è separato dalla Madonna, presso la quale intercede.
Un giovane rischia di annegare in un fiume
Sec. XIX/Olio su metallo/ 41,5 x35 cm./ Inv. 253
Madonna addolorata/ incidente, annegamento
Iscrizioni: “GRAZIA RICEVUTA”
Bibliografia: RIBEZZI 2005, p. 93
Un giovane rischia di annegare travolto dalle acque di un torrente, dalla sponda
un uomo getta una corda, altri osservano la scena mentre una figura femminile
inginocchiata implora la Vergine addolorata con cherubino raffigurata in
un’incombente Pietà.
Apparizione della Vergine a un uomo che rischia di annegare
Sec. XIX/Olio su metallo/ 60 x40 cm./ Inv. 255
Madonna, santi/ incidente, annegamento
Iscrizioni: “Pregate o voi che passate per l’anima di Simeone Tavella che qui
precipitò dell’anno 1884”
Le cattive condizioni conservative lasciano appena intravedere il dipinto. La
Madre di Dio regge uno scettro e un rosario ed è affiancata da due santi. Si
percepiscono inferiormente profili di montagne a formare una gola.
L’iconografia della Vergine può essere confrontata con il paliotto d’altare della
chiesa di S. Lorenzo a Clavais di Ovaro dove la Vergine impugna uno scettro le
cui forme richiamano la rocca delle filatrici (Moro 2004).
Un giovane rischia di cade da un albero
Sec. XIX/Olio su tela/ 51x71,6 cm./ Inv. 257
Angelo/ incidente, caduta
da Aprato, chiesa di Madonna del Giglio
Bibliografia: MORO 1971, p. 171; MONTINA 1992, p. 136
La scena è ambientata alle pendici di una radura alberata ove, durante i lavori di
disboscamento, un albero rischia di cadere all’improvviso mentre un uomo si
trova ancora sui rami più alti. In basso il boscaiolo ha sospeso il lavoro con il
piccone mentre il bambino che lo affianca indica la scena; un altro operaio che
con una fune al piede dovrebbe rallentare l’abbattimento, assiste impaurito alla
scena, togliendosi il cappello e coprendosi il volto. Il Sacro è rappresentato forse
da un piccolo angelo appena leggibile in alto sulla destra.
La Vergine del Giglio interviene per favorire la salvezza di una famiglia durante un incidente
in carrozza
Sec. XIX/Olio su tavola/ 33,3x35,1 cm./ Inv. 259
Madonna con bambino/ incidente
Iscrizioni: P.G.R.
Bibliografia: MORO 1971, p. 170
In un paesaggio prealpino, in primo piano una carrozza con una famiglia rischia
di precipitare in un ruscello, con la zampe anteriori del cavallo già nel vuoto. Sullo
sfondo si delinea nitido il castello di Prampero (Artegna).
Modellini di navi
Sec. XIX/Legno/ 62,5x75,4x19 cm./ Inv. 598
Sec. XIX/ Legno/ 12x63x18 ca cm./ Inv. 614
Chiesetta di S.Maria delle Grazie a Sabbionera
Bibliografia: Ciceri 1976, pp. 13-23, Fantin 1996, Ribezzi 2005, p. 99
Si tratta di due ex voto a modellino navale provenienti dalla chiesetta di Santa
Maria delle Grazie a Sabbionera sorta vicino ad uno scalo sussidiario del porto
fluviale di Latisana sul Tagliamento. Il culto della Madonna di Sabbionara si
diffuse presto a tutte le popolazioni rivierasche, tanto da giustificare nel 1638
l’erezione di un convento francescano poi distrutto da un incendio nel XVIII
secolo.
Il primo modellino rappresenta una goletta a palo in legno, a due alberi: si tratta
di una nave da trasporto. Sulla prora una catena in metallo e a poppa, sul ponte
riproduzione in scala del timone. Il secondo è una barca fluviale detto "passetto";
natante lagunare e fluviale che solcava le acque del Tagliamento e accompagnava i
“burci” veneziani (imbarcazione lunga fino a 30 metri, originariamente armata
con due alberi, smontabili per passare sotto eventuali ponti, che veniva spesso
condotta a traino) che frequentavano lo scalo di Latisana. Al suo interno resti del
sartiame e di remi.
Piastrella devozionale
Terracotta dipinta/ 9x8 cm./ Inv. 1042
Legata al culto della Madonna delle Pianelle di Nimis, la piastrella potrebbe essere
un ex voto. La riproduzione della chiesa appare tuttavia troppo stilizzata e
sintetica per un confronto esaustivo con l’edificio del santuario di Nimis. La
tipologia dell’oggetto in terracotta riconduce tuttavia a tale territorio, infatti
presso il santuario esisteva un antica fornace e tutta la zona era nota per la
produzione di tegole e mattoni.
Ex voto
Sec. XIX/Olio su tavola/ 10x36,5 cm./ Inv. 1819
Iscrizioni: “1804 Bat a BOSCXETI. Sul retro: Ex voto
Giovanni Bat. Boschetti”
13? Aprile 1804....
L’estrema frammentarietà dell’oggetto non permette ulteriori indicazioni. (cm)
Ex voto dell’alpino
Sec. XX/Olio su metallo/ 28x38 cm./ Inv. 240
Vergine Lactans, santo/ Voto segreto, preghiera
Iscrizioni: “V.F.G.R. 1918”
Bibliografia: CICERI 1980, fig. 87, sch.4; RIBEZZI 2005, p.96
Una donna inginocchiata si rivolge alla Madonna che le porge uno scapolare e al
Santo: prega per il parente (marito o figlio) pure lui inginocchiato in divisa
d’alpino.
L’offerente porterebbe a identificare il santo in San Maurizio, patrono degli alpini,
tuttavia non si ritrovano i suoi attributi usuali: la caratteristica croce mauritana
rossa e l’aspetto barbuto da moresco. Inoltre Maurizio diventa patrono degli alpini
solo nel 1941.
La panoplia militare suggerisce invece il nome di quel San Pancrazio, (IV secolo)
appartenente alla legione Tebea comandata da S. Maurizio, il cui culto, molto
antico nelle regioni tirolesi, nelle Alpi occidentali si sovrappone a quello
dell’omonimo santo di Roma.
Di grande interesse appare il confronto con una serie di ex voto piemontesi da
Vaglio Serra – Alessandria risalenti alla grande Guerra dove soldati italiani
ringraziano S. Pancrazio; si veda la banca dati in rete su gli ex voto pittorici
piemontesi curata da Renato Grimaldi e Roberto Trinchero.
Occhi a mascherina
Secc. XIX – XX/ Argento inciso e sbalzato/ 9x12,5 cm./ Inv. 136
Bibliografia: Ciceri 1980, p. x .96, sch.27
Esposizioni: Pordenone 1980; Udine 2005
Argento inciso e sbalzato/ 4x12,3 cm./ Inv. 137
Bibliografia: Ciceri 1980, p. x 96, sch. 27; Ribezzi 2005, p. 99
Esposizioni: Pordenone 1980, Udine 2005
All’interno di una cornice a motivi vegetali con fitta decorazione, figura una
mascherina con occhi stilizzati.
Tale tipologia di ex voto è di larga diffusione e variamente foggiato, soprattutto
nell’ornamentazione che lo profila.
La pratica di dedicazione di ex voto in forma anatomica è molto antica e si
riscontra con costante frequenza in molte civiltà attestata da numerose
testimonianze archeologiche e letterarie. La dedicazione dell’ex voto riproducente
un organo umano o la figura intera, generalmente sculture in terracotta, serviva a
stornare il male, frutto dell’ira della divinità, dall’organo ammalato all’imago
manufatta. La tipologia di questo rapporto tra umano e divino pagano
(quest’ultimo dalla duplice natura che contemporaneamente era talvolta benefica e
talvolta ostile), muta con l’affermarsi del cristianesimo dove il fedele si affida con
fiducia alla sfera celeste ora benigna tramite uno scambio tra dono-salvezza del
corpo.
Fra gli ex voto di tipo anatomico ricorrente è la tipologia della mascherina che
riproduce due occhi. Oltre che alla vista, organo essenziale, il dono può avere una
valenza simbolica: ricorda gli “occhi della divinità” e dell’anima, e allontana dal
pericolo del buio o in valore apotropaico storna gli sguardi cattivi.
Sacro Cuore
Sec. XIX/ Rame sbalzato/ h 40 ca.x31,5 ca. cm./ Inv. 116
Bibliografia: Ciceri 1980, p. x.96, sch.26
Esposizioni: Pordenone 1980
Cuore con i simboli della passione
Sec. XIXI/Argento sbalzato/ 36,6x26 cm./ Inv. 117
Bibliografia: Ciceri 1980, p. x.96 sch.25; Ribezzi 2005, p. 99
Esposizioni: Pordenone 1980, Udine 2005
Piccolo cuore metallico fiammeggiante
Sec. XIXI/Argento sbalzato/ 8,4x6cm./ Inv. 119
Bibliografia: Ciceri 1980, p. x.96 sch.24; Ribezzi 2005, p. 99
Esposizioni: Pordenone 1980, Udine 2005
La placche foggiate a cuore fiammeggiante sono variamente ornate da fregi
vegetali e testine di angelo, dai simboli della Passione o con l’iscrizione
“P.G.R.”.
Il Sacro Cuore è dono votivo universale e ricorrente. L’ex voto a forma di cuore
occupa un posto privilegiato nel repertorio degli omaggi votivi, per l’ampia
diffusione dovuta all’economicità del prodotto, le varietà morfologiche e di
manifattura e il valore simbolico decorativo. L’omaggio esprime l’atteggiamento
reverenziale del devoto che donando il cuore, centro dell’affettività, dei
sentimenti, stabilisce un legame con la divinità. Gli esemplari più pregiati di
manifattura artigianale possono essere riccamente decorati, inseriti in cornici
fogliacee e traforate anche con le iniziali dell’offerente, una data, le sigle P.G.R..,
ma diffusissimi sono i modelli realizzati a stampo sempre più stereotipati e che
orientativamente ricordano l’iconografia del Sacro Cuore di Gesù (con croce,
corona di spine, a vaso da cui fuoriesce una fiamma) o della Madonna (con
coroncina di rose, trafitto da spade o con il monogramma bernardiniano “WM”)
e il calvario della Passione.
L’iconografia del Sacro Cuore si diffonde dal secolo XVII, nelle aree di lingua
tedesca, nelle regioni alpine, e francesi ove il santuario di Paray-le-Monial, ricorda
le apparizioni seicentesche del Cuore di Gesù a santa Marguerite-Marie
Alacoque. La devozione viene ufficialmente riconosciuta nel 1765 da papa
Clemente XIII che concede alla Polonia ed alla Arciconfraternita della Chiesa del
Gesù a Roma la festa del Sacro cuore; quasi un secolo dopo la Congregazione dei
Riti estende la celebrazione alla chiesa intera. Accanto ai richiami evangelici (la
ferita al costato di Gesù, il cuore trafitto della Vergine), il successo di tale
iconografia è anche confortato dalla simbologia dell’organo cardiaco, per
tradizione sede della dimensione etica dell’uomo e non dovettero essere estranee
neanche metafore più profonde e ancestrali favorite dalla particolare forma del
cuore: la punta simile ad una picca assume una valenza difensiva e apotropaica
(come testimoniano le numerose tipizzazioni di amuleti e oggetti difensivi in tale
foggia), le forme morbide della parte superiore suggeriscono sentimenti di
accoglienza e dolcezza.
Targhette
Sec. XIX/Argento inciso e sbalzato/ 8,7x11,2 cm./ Inv. 134
Bibliografia: Ciceri 1980, p. x .96, sc. 27;
Esposizioni: Pordenone 1980
Sec. XIX/Argento inciso e sbalzato/ 5,7x7,2 cm/ Inv. 135
Bibliografia: Ciceri 1980, p. x .96 sch. 27 ; Ribezzi 2005, p. 98
Esposizioni: Pordenone 1980; Udine 2005
La prima è una schematica rappresentazione di una donna inginocchiata che si
rivolge in preghiera a Cristo in croce tra nembi. Analoga, ma molto più curata, la
raffigurazione della seconda.
Madonna con Bambino
Sec. XIX/Lega metallica sbalzata/ h. 13 cm.ca/ Inv. 641
Bibliografia: Ribezzi 2005, p. 98
Esposizioni: Udine 2005
La targhetta presenta la Vergine con il Bambino.
Oggettisticasacravaria
Schede a cura di Dania Nobile
Manifattura friulana, sec. XIX
Stendardo (frammento)
Seta dipinta e dorata/ 38x28 cm./ Inv. 1379
Il frammento di questo stendardo, dal tipico colore rosso carminio, è
contraddistinto da una pittura, di pregevole mano, che ne decora sia il verso che il
recto. Il motivo prescelto è pressoché identico: su uno sfarzoso trono
goticheggiante seggono due angeli diversificati da minime varianti nel colore degli
abiti, nella posizione delle mani e di ciò che esse contengono. Una delle due figure
celesti regge con la mano destra una spada, mentre l’altro soggetto tiene nella
sinistra una palma.
Questo brandello, se pur rovinato in più punti, ci consente di immaginare la
forma originale del gonfalone che, come di tradizione, doveva essere pressoché
rettangolare con bordi rifiniti da preziose passamanerie e orlo inferiore, a volte
sagomato, completato da frange o altri motivi dorati.
L’aspetto conservativo del manufatto è, nel complesso, abbastanza buono se lo si
considera come oggetto a sé stante. Diversamente, se viene valutato quale
frammento di uno stendardo processionale, il suo aspetto non può che essere
giudicato sfavorevolmente a fronte, anche, delle ragioni che possono aver portato
a ritagliare questo brandello dal suo contesto originario. Si rileva una apertura del
tessuto, parzialmente risanata con un rammendo artigianale, e una toppa posta
lungo il bordo esterno del manufatto. La superficie pittorica presenta delle cadute
di colore che interessano in modo particolare gli abiti e le ali degli angeli, lasciando
invece indenni i delicati volti e i sontuosi troni sui quali seggono le due figure.
La tradizionale usanza che vuole nel recto l’immagine principale e nel verso
particolari figurazioni simboliche, o una semplice scritta, non ci aiuta nella
comprensione del corretto orientamento del manufatto. Possiamo infatti soltanto
supporre che lo sguardo dei due angeli sia rivolto al soggetto principale di tale
decorazione da identificare nella tradizionale figura della Madonna oppure di
qualche santo a cui i fedeli si rivolgevano in qualità di patrono della chiesa.
Nel complesso questo oggetto può essere sicuramente collocato all’interno di un
ambito locale dell’ottocento. Era consuetudine, infatti, assegnare questo genere di
manufatti minori ad artisti locali.
Manifattura artigianale, sec. XIX
Impugnatura di bastone
Legno scolpito/ h. 21,5 cm./ Inv. 1005
Iscrizioni: “Il frate Bossi al padre spirituale T…. Salvini Avana 1874”
L’oggetto si presenta mutilo dell’asta del bastone di cui rimane soltanto il pomo
che rappresenta la testa di un monaco incappucciato caratterizzato da una folta
barba e da un’accentuata espressività del volto. A definire in modo del tutto
particolare la fisionomia del frate sono la singolare apertura della bocca e lo
sguardo crucciato che marca il viso con delle profonde rughe, esasperando così i
lineamenti di un volto segnato dal tempo. In alcuni esemplari queste cavità non
sono altro che i fori di particolari fischietti che divenivano parte integrante del
bastone andando a costituirne la singolare impugnatura (S. CORADESCHI – A.
LAMBERTI 1989).
Lo stato di conservazione è nel complesso buono se si considera tale manufatto a
sé stante. Il taglio netto che si nota all’estremità fa supporre, infatti, una discutibile
manomissione e quindi un deturpamento a favore dell’oggetto originale.
All’interno della pregevole collezione Garzolini di Trieste si trova un esemplare di
Bastone con testa di monaco (Inv. n. 5312 bis) la cui impugnatura trova delle notevoli
analogia con quella della collezione Ciceri. Fiorenza De Vecchi sottolinea come
“la fantasiosa realizzazione di questo bastone, su cui la natura stessa del ramo ha
giocato un ruolo principale, fa ritenere il prodotto opera di buon artigianato
ottocentesco” (cfr. F. DE VECCHI Schede in “La collezione Garzolini…”, 1986, p.
200). L’ipotesi della studiosa trova conferma dal raffronto col nostro esemplare
che reca sul retro un’iscrizione dalla quale si desume la data di realizzazione, ossia
il 1874. L’incisione porta anche il nome dell’autore, perlomeno dello scritto, un
certo frate Bossi il quale dedica tale oggetto a un non ben identificato “T. Salvini”.
Proprio tale iscrizione e la natura spirituale della stessa hanno indotto a collocare
questo manufatto all’interno dell’oggettistica sacra.
Illuminazionesacra
Schede a cura di Antonella Ottogalli
Coppia di candelabri da terra
Sec. XVII, manifattura/ Bronzo dorato/ 62,5cm./ Inv. 879a, 879b
Coppia di candelabri da altare
Sec. XVII, manifattura italiana/ Ottone/ 25,4cm.; 8cm. (da piedino a piedino)/
Inv. 1119a, 1119b
Vista l’importanza della simbologia legata alla luce nel culto cristiano, fin dalle
origini è documentato l’uso di candelabri e lampadari di imponenti dimensioni
intorno all’altare, di norma posizionati a terra. La loro presenza sul ripiano della
mensa sacra si diffonde dal XV secolo e questo nuovo utilizzo ha comportato
ridimensionamento senza intaccare la tradizionale forma a stelo.
Queste due coppie di candelabri, l’una in bronzo da altare e l’altra in ottone da
terra, potrebbero appartenere, data la comunanza di caratteristiche stilistiche e
formali, ad un medesimo corredo liturgico per quanto documentino una tipologia
assai comune all’epoca come testimoniano gli antichi arredi ecclesiastici, che
ancora si conservano, o le botteghe di antiquari, presso i quali non è raro
incontrare esemplari del tutto simili a quelli in esame, spesso realizzati in legno.
I manufatti sono costituiti da base a pianta triangolare con profili mistilinei che
congiungono volute angolari a riccio come introduzione ai tre piedini. Su una
cornice poligonale lievemente aggettante si innesta il fusto tornito a nodi
sfaccettati che termina in piattelli esagonali, definiti da coroncina decorativa nel
caso dei due candelabri di dimensioni maggiori.
Coppia di angeli ceroferari
Sec. XVII, manifattura friulana/ Legno scolpito e dipinto/ 76x31x31cm. (base
21x17cm.)/ Inv. 892a, 892b
Questa tipologia scultorea raffigurante figure angeliche con funzione di sostegno
per candelabri iniziò a diffondersi in epoca medievale trovando collocazione nella
zona chiesastica riservata all’altare o comunque nella zona presbiteriale.
Su semplici piedistalli di sezione rettangolare si impostano i due angeli stanti e
disposti in modo speculare, particolare che li rende adatti ad una collocazione
chiesastica ai lati dell’altare. Infatti, un angelo sorregge il candelabro, terminante
con piattello salvacera coronato da un elemento decorativo in lamina di ferro, con
la mano sinistra accostando la destra al petto, mentre l’altro utilizza esattamente le
braccia opposte nel compiere il medesimo gesto. Entrambi indossano una lunga
veste gialla e rossa che lambisce i piedi e lascia scoperto un ginocchio. Sopra la
l’abito una corta tunica di colore blu oltremare è legata in vita da fusciacca giallo
ocra. Il movimento suggerito dai bordi svolazzanti introduce al particolare delle
belle ali spiegate a mostrare una gamma variopinta di colori che vanno dal rosso al
verde e dal giallo al blu. Sui volti delle due figure angeliche, caratterizzate da alte
fronti libere dai lunghi e mossi capelli castani, si legge un espressione di stupore
comunicata dalle bocche lievemente schiuse e dai grandi occhi indagatori.
Le due statue necessiterebbero di un intervento di consolidamento del supporto
ligneo e di fissaggio delle vernici, stese in modo uniforme e a tinte pure. Va
segnalato, inoltre, il rifacimento recente del volto e di due dita della mano destra
nell’angelo contrassegnato dal numero d’inventario 892b.
La costruzione anatomica delle figure risulta semplice ed efficace grazie a linee di
intaglio pulite in grado di interpretare l’intensità espressiva dei volti e dei gesti
oltre al senso del movimento racchiuso nelle pieghe delle vesti e nel loro morbido
gonfiarsi lungo i bordi. La stesura cromatica pecca d’ingenuità nella scelta di colori
saturi a campiture larghe e omogenee che suggeriscono una successiva ridipintura.
Il linguaggio scultoreo pare quello di una bottega artigiana minore attiva nella
nostra regione durante il XVII secolo.
Coppia di candelabri da altare
Sec. XVII, manifattura italiana/ Bronzo dorato/ 41cm.; 8cm. (da piedino a
piedino)/ Inv. 955a, 955b
Coppia di candelabri da altare
Sec. XVII, manifattura italiana/ Bronzo dorato/ 36cm.; 14cm. (da piedino a
piedino)/ Inv. 956a, 956b
Le due coppie di candelabri con le stesse caratteristiche strutturali e poche
variazioni sul piano decorativo sono databili al XVII secolo. Si impostano su
piede a base triangolare con profili mistilinei e tre piedini, leonini nel caso della
coppia contrassegnata dal n. 956. Il fusto a balaustro si sviluppa attraverso
modanature e nodi di varie fogge: a vaso o semisferici. La coppia n. 955 presenta
la particolarità di una cornice a sezione triangolare, su cui si imposta il fusto,
movibile intorno ad un perno centrale. Il bocciolo si articola in piattelli con
puntali al centro per fissare il portacero o figgervi direttamente la candela.
Lampada pensile
Sec. XVII, oreficeria veneziana/ Argento dorato sbalzato e inciso/ 23,5cm.
(totale: 56cm.); Ø 16,5cm.; Ø bocca 7,5cm./ Inv. 1021
Bibliografia: BERGAMINI 1992, p. 136
Fin dalle origini del cristianesimo è documentato l’uso di lampade pensili a olio o
a cera per scopi meramente funzionali o più prettamente devozionali. Le lampade,
sospese mediante catenelle, venivano posizionate lungo le navate centrali o sopra
gli altari dedicati al culto di santi martiri. Si registrano varie fogge, ma a partire dal
XVI secolo si stabilizza la caratteristica forma a vaso che tuttora risulta la più
diffusa nelle nostre chiese. Non dissimile da una lampada pensile è la “lampada
del sacramento” posta sull’altare dove si conserva l’eucarestia per ardere giorno e
notte secondo le antiche prescrizioni dettate durante il Sinodo di Worcester del
1240. Essa presenta, all’interno della coppa, un contenitore di vetro, generalmente
rosso, per l’olio d’oliva misto a cera d’api da cui si alimenta la fiamma.
La presente lampada è caratterizzata da coppa a forma di doppio vaso a piani
sovrapposti. Ogni piano è decorato con grosse bugne lavorate a sbalzo e percorse
da motivi fitomorfi, cartigli e volute secondo il repertorio più tipico del tardo
barocco. L’accentuata strozzatura del collo che introduce all’imboccatura presenta
foglie stilizzate finemente incise. Tre testine angeliche in argento fuso, saldate sulla
parte centrale, reggono le catenelle di sospensione che si congiungono al piattello
dalla foggia a cupolino. Quest’ultimo elemento riprende i motivi decorativi visibili
all’imboccatura della lampada e termina con foglie stilizzate e anello apicale.
Vista la rozza semplicità dell’orlo all’imboccatura della lampada si può immaginare
la presenza in origine di un coronamento non più esistente. Per la fattura e
l’evidente diversità di materiali impiegati, le tre testine di cherubini reggi catenelle
e l’appendice a pigna della lampada risultano frutto di un rifacimento posteriore.
A un’attenta osservazione è possibile rilevare un elevato numero di punzoni
mimetizzati fra le decorazioni. Riconoscibili il leone “in moleca”, indice di
manifattura veneziana, la sigla A torre coronata C, bollo di bottega attiva dalla fine
del XVII secolo all’inizio del XVIII, e le iniziali LC. Per le caratteristiche formali e
la presenza del punzone con A torre coronata C l’oggetto in questione può essere
confrontato con la lampada del Tesoro della Cattedrale metropolitana di Gorizia
che Sergio Tavano identifica come la lampada realizzata nel 1685 per la basilica di
Aquileia (BERGAMINI 1992, p. 136). Ne risulta una possibile datazione entro
l’ultimo ventennio del Seicento.
Lampada pensile
Sec. XVII – XVIII/ Lega di bronzo e argento dorato traforati e incisi/ 14cm.
(totale: 54cm); Ø 11,5cm.; Ø bocca 7,4cm./ Inv. 900
Lampada costituita da coppa a doppio vaso: quello superiore ha forma sferica
lievemente schiacciata, mentre quello inferiore, che si congiunge mediante la parte
terminale dei tre manici, segue un andamento digradante a due balze
concludendosi con anello terminale. Le superfici dei due elementi di cui si
compone il corpo della lampada sono traforate e incise a motivi fitomorfi e
cartigli di gusto rococò. I tre manici, da cui si dipartono le catenelle di
sospensione, sono sagomati a forma di foglie stilizzate e poi incise. Il piattello di
raccordo delle catene presenta un motivo decorativo a raggiera lavorata a sbalzo e
termina con anello apicale.
La qualità non particolarmente raffinata dell’intaglio e l’uso del bronzo, materiale
certo meno prezioso del consueto argento che si rileva solo nella manifattura del
cupolino, inducono a ritenere la lampada un prodotto di artigianato locale adatto a
un luogo di culto non centrale come una cappella votiva di campagna. Inoltre, le
scelte decorative, che attingono largamente al più tipico repertorio tardo
secentesco con un’ interpretazione semplice e a tratti rozza, potrebbero essere
indizio per una possibile datazione ai primi decenni del XVIII secolo, tenendo
presente un ambiente periferico e ritardatario come area d’esecuzione.
Coppia di candelabri da terra
Sec. XVII – XVIII, manifattura italiana/ Ottone/ 69,2cm. (totale con portacero
74,3cm.)/ Inv. 1592a, 1592b
Coppia di candelabri di grandi dimensioni solitamente posta a terra ai lati
dell’altare. Va sottolineata la grande raffinatezza formale dei manufatti in esame,
costituiti da base a sezione triangolare a smussi poggiante su piedi leonini, al di
sopra della quale si eleva il fusto a balaustro con nodo semisferico seguito da
nodo a vaso. Sul largo piattello salvacera con labbro rialzato ed espanso il puntale
sostiene i portaceri realizzati nel medesimo materiale, l’ottone.
Sulla base di entrambi i candelabri si legge la sigla SD, incisa a caratteri cubitali,
attraverso un tratto puntiforme.
Coppia di candelabri da altare
Sec. XVIII, manifattura friulana/ Legno scolpito, dipinto e dorato/ 20,2cm.
(totale con portaceri 32,8); Ø base 7,8cm. / Inv. 979a, 979b
Coppia di candelabri in legno intagliato e dipinto di colore bianco con tracce di
decorazioni dorate. Sulla base circolare si imposta un fusto a vaso sfaccettato che
termina, al di sopra della strozzatura del collarino, con un semplice piattello
dotato di puntale, supporto per i due portaceri in legno dipinti di rosso. Su ogni
faccia sopravvivono ancora parti dell’originaria decorazione dorata a motivi
geometrici che riprendeva, nel colore, le profilature dei candelabri.
Entrambi i manufatti versano in cattivo stato di conservazione con diffusissime
tarlature e vaste cadute delle vernici tanto da non poter valutare obiettivamente
l’originaria pigmentazione che si suppone bianca e stesa su uno strato verde
pallido di preparazione.
Candelabro da altare
Sec. XVIII, manifattura italiana/ Ottone/ 21,5cm.; 10,8cm. (da piedino a
piedino)/ Inv. 996
Su base modanata a sezione triangolare con piedini agli angoli si innesta il breve
fusto a balaustro. Il candelabro termina con piattello dal bordo espanso e puntale.
La linea strutturale elegante e la grande pulizia formale suggeriscono un periodo
d’esecuzione ancora influenzato dal gusto decorativo sei-settecentesco che
informa gli altri candelabri della collezione.
Coppia di angeli ceroferari
Sec. XVIII, manifattura friulana/ Legno scolpito e dipinto/ 12,3cm.x Ø 5ca. cm.
base/ Inv. 1105a, 1105b
Coppia di statuette in legno scolpito riproducenti angeli reggicandela in posizione
speculare. I busti, in torsione secondo linee direttive opposte, si inarcano a
sorreggere, aiutandosi con entrambe le mani, i portaceri originariamente di color
oro. Le figure angeliche indossano lunghe tuniche dorate dai bordi rossi
svolazzanti con terminazione a punta che si adagia sul piedistallo forgiato a
roccia. Quest’ultimo particolare funge anche da supporto per entrambe le figure
che vi poggiano il ginocchio sinistro. I volti conservano ancora traccia della
cromia dell’incarnato con il rossore su gote e bocca e tratteggi neri ad abbozzare
gli occhi.
Nonostante la resa cromatica, per quanto alterata dal tempo, risulti di buona
qualità, è altresì evidente che la fattura dell’intaglio e l’attenzione alla costruzione
anatomica siano approssimative e piuttosto grossolane lasciando trapelare quella
cruda concezione naturalistica tipica di un provinciale e attardato artigianato
minore.
Piattello portacero per candelabro
Sec. XVIII/ Lamina di ottone e ferro/ 10cm.x Ø 11,7cm. / Inv. 1134
Parte terminale di un candelabro costituita da piattello salvacera dotato di
semplice bocciolo cilindrico ed elegantemente decorato da un bordo rialzato
forgiato a corona. Il fastigio della corona presenta elementi fitomorfi a doppia
voluta reiterati lungo il cerchio.
La minuzia formale riservata alle decorazioni suggeriscono l’appartenenza
dell’oggetto ad un imponente candelabro di uso ecclesiastico o, considerando la
particolare struttura ad innesto cilindrico, potrebbe trattarsi di piattello adattabile
ad un’asta portacero da processione.
Lampada pensile
Sec. XVIII, manifattura di area alpina/ Lega di rame sbalzata e incisa/ 15,4cm.
(totale: 37,5cm.); Ø 10cm.; Ø bocca 6,5cm./ Inv. 1159
Motivi a grossi ovuli sbalzati ed accentuati da linearismi incisi caratterizzano la
coppa di questa lampada sagomata a doppio vaso. Un anello costituisce
l’appendice terminale del vaso inferiore dalla forma allungata e digradante in tre
balze di cui quella centrale, percorsa da bugne, risulta la più sporgente. Il vaso
superiore, invece, ha la caratteristica forma sferica schiacciata con imboccatura
particolarmente alta e movibile per facilitare le operazioni di accensione o
spegnimento della lampada stessa. Lunghe foglie stilizzate incise su lamina di
rame uniscono il corpo del manufatto alle catenelle dalle maglie vistose sagomate
a esse sovrapposte e affrontate. Il piattello di raccordo ha superfici lisce e si
conclude con semplice anello apicale.
Nonostante le superfici siano ricoperte da una patina scura dovuta al fumo
sprigionato dal lume, l’originaria cromia, con la tipica tonalità calda del rame, ci
viene restituita sull’imboccatura da piccole incisioni a zig zag.
Viste le dimensioni contenute del manufatto e l’utilizzo di materiale non pregiato
come il rame, questa lampada pensile può essere considerata parte dell’arredo di
una cappella votiva.
Lume votivo
Sec. XVIII – XIX, manifattura tedesca/ Ottone sbalzato e inciso, vetro/
11,5x8,7x2,5cm./ Inv. 1114
Iscrizione: DER GLAU[B]E.
Originale lume adatto alla devozione privata costituito da lamine di ottone che
compongono una sorta di piccolo libro. Sul recto e sul verso vi è raffigurata a
sbalzo una figura femminile stante vestita con una lunga tunica. Ella tiene un
crocifisso con la mano destra e accosta la sinistra al petto. Si tratta della
personificazione della Fede come conferma l’iscrizione tedesca posta ai suoi
piedi: DER GLAU[B]E. Un piccolo pomello facilita l’apertura del libricino ed
internamente vi sono un vetro con cornice incernierata ad un lato della copertina
e a due lamine di forma triangolare decorate a traforo. Aprendo il tutto e
lasciandosi guidare da due piccole feritoie poste sul dorso è possibile comporre il
lume, dotato anche di piccola candela tortile di cera bianca da inserire
nell’apposito bocciolo. Due lamelle esterne con un rudimentale sistema di
incastro ad asola costituiscono poi la maniglia per l’impugnatura.
Sulla maniglia la presenza del punzone dichiara, entro la forma stilizzata di una
sciabola il nome dell’artigiano costruttore: certo CONRAD LAWBER o
TAWNEL.
Bossoli portaceri
Sec. XVIII – XIX/ Ottone/ 7,2cm.x1,8cm. Ø bocca; 8,3cm.x2cm. Ø bocca;
9,4cm.x2,3cm. Ø bocca / Inv. 1118a, 1118c, 1118b, 1118b, 1118d
Bossoli portaceri
Sec. XVIII – XIX/ Legno/ 16,7cm.x6,7cm. Ø base/15,7cm.x6cm. Ø base/
22,2cm.x7,2cm.
Ø
base/21,3cm.x7cm.
Ø
base/11,9cm.x3,9cm.
Ø
base/14,2cm.x4,3cm. Ø base/12,5cm.x3,2cm. Ø base/Inv. dal 1136 al 1509; 1527
La collezione Ciceri conserva diverse serie o esemplari a sé stanti di portaceri che
venivano inseriti nei puntali posti al centro dei piattelli dei candelabri. Più comuni
sono quelli realizzati in legno, torniti a nodi decorativi e dipinti di colore rosso,
verde o oro. Di dimensioni ridotte sono poi quelli in ottone, di norma realizzati
nello stesso materiale del candelabro
Lampada pensile
Ec. XVIII – XIX, manifattura di area alpina/ Lamina di ottone dipinto e balzato,
ferro/ 15cm. (totale: 48cm.); Ø bocca 6,4cm./ Inv. 1822
La coppa della lampada, sagomata a vaso, prende forma grazie ad un’ossatura
costituita da fasce di ferro battuto larghe circa un centimetro che si dipartono
dall’imboccatura circolare. Tale struttura è dipinta di un colore verde scuro, lo
stesso riscontrabile sui manici. Tre lamine d’ottone, disposte a creare pareti
concave, sono saldate alla struttura portante e su di esse si dispiega un repertorio
decorativo di chiara impronta rococò con volute e girali lavorati a sbalzo e
accentuati dall’uso del colore rosso, che spicca sulla generale tonalità bruno –
nerastra della lampada. Fresco il motivo delle catenelle di sospensione con maglie
che riproducono la lettera esse alternate a cuori dipinti di rosso. Il piccolo piattello
a cupolino presenta decorazioni lievemente sbalzate.
La tipologia del manufatto, con le relative scelte cromatiche e decorative, induce a
ritenerlo opera di artigianato di area alpina. Inoltre, l’oggetto in esame è giunto in
museo unitamente ad un’insegna processionale lignea di chiara provenienza alpina
(Inv. 893) quasi fosse un tutto unitario. Solo ad un’attenta osservazione si è
potuto stabilire l’assoluta indipendenza dei due pezzi.
Lampada pensile
Sec. XIX, manifattura friulana/ Lega di rame argentata; 24cm. (totale: 72cm.)/ Ø
22cm.; Ø bocca 7,5cm./ Inv. 1014
Terminazione con elemento a forma di ghianda per questa lampada caratterizzata
dalla consueta forma a vaso doppio con parte inferiore percorsa da scanalature
verticali e parte superiore, dalle dimensioni nettamente maggiori, con superfici
lisce e strozzatura del collo che introduce ad un’imboccatura fortemente rialzata.
Raffinati manici a volute vegetali sporgono in corrispondenza di tre placche di
forma triangolare, decorate con motivi floreali a sbalzo e inserite lungo il bordo
del corpo centrale. Le maglie delle catenelle di sospensione hanno foggia a cuore e
sono congiunte da piccoli e sottili anellini. Il piattello a cupolino è piuttosto
semplice, in linea con la parte superiore della lampada, e termina con anello
apicale.
La cura dei dettagli e la sobrietà delle decorazioni che paiono rivisitare con
sensibilità neoclassica antichi modelli induce a giudicare il manufatto come lavoro
di buona qualità e a datarlo intorno al sorgere dell’Ottocento.
Lampada pensile
Sec. XIX, manifattura friulana/ Peltro e ferro/ 9cm. (totale: 34cm.); Ø 8cm.; Ø
bocca 5,4cm./ Inv. 1197
Piccola lampada pensile con coppa a doppio vaso ansato e appendice piriforme
con anellino terminale. Sulle superfici del corpo superiore sono incise tre testine
di cherubini che reggono festoni mentre lungo il bordo dell’imboccatura si
riconosce l’intreccio della corona di spine della Passione di Cristo. Dalle tre
sinuose anse si dipartono le catenelle che si ricongiungono al piattello del tutto
privo di elementi decorativi.
Una delle catenelle risulta spezzata. Le minute dimensioni unitamente alla
raffinatezza della forma e alla ricercatezza della decorazione a tratti di valore
scopertamente simbolico connotano la lampada come oggetto di uso devozionale
forse.
Coppa di lampada pensile
Sec. XX, manifattura italiana/ Ottone/ 7,5cm.; Ø bocca 6,3cm./ Inv. 1198
Linee semplici per questa piccola lampada pensile di cui rimane soltanto la coppa
a vaso digradante verso il basso con due balze percorse da sottili scanalature e
larga bocca sul bordo della quale tre anellini introducono alle catenelle tronche.
Si può ipotizzare anche per questa lampada, come per quella inventariata con il n.
1197, un uso legato al culto funerario: ciò si deduce dalle piccole dimensioni e
dall’assenza di particolari decorativi.
Oggettidevozionali
Schede a cura di Silvia De Marco, Claudio Moretti, Tiziana Ribezzi
Il carattere di intima spiritualità prende forma in una serie di oggetti caratteristici delle espressione di preghiera e di
intima meditazione che vengono personalmente conservati in ambito domestico. Si tratta di manufatti oggetti di
dono, segno di un pellegrinaggio e quindi di un atteggiamento votivo, di una particolare devozione a un santo e a un
luogo consacrato. Nell’ambito della venerazione, spesso piccoli oggetti di esiguo valore, quali semplici immaginette,
vengono resi preziosi dal lavoro privato che si traduce in abbellimenti quali incorniciature dipinte a mano o ricamate.
Tuttavia, nella consapevolezza popolare possedere questi piccoli oggetti benedetti, costituisce anche una forma di
consolatoria protezione in una dimensione apotropaica nella certezza che il contatto aiuti a scongiurare o allontanare
i mali della vita.
Oltre alle croci legate alla celebrazione eucaristica o astili innalzate su aste ad aprire il cammino processionale, larga
diffusione hanno anche le croci utilizzate in ambito non liturgico, privato e devozionale. La manifattura presenta
articolate tipologie, si va dalle piccole crocette ornamentali da usare come pendenti da collo e trattate come oggetto
di oreficeria o appese a un rosario, a quelle da muro e da tavolo, poste in un angolo privato legato alla preghiera e
quindi atte a essere collocate su un ripiano, su un inginocchiatoio o un cassettone. In questo caso, di medie
dimensioni, poggiano su uno zoccolo piramidale con frequenti rimandi al monte Calvario o a simbologia della
Passione e possono presentare incrostazioni madreperlacee, molto in voga dal XVII secolo.
I piccoli crocifissi hanno una funzione propedeutica alla contemplazione dell’estremo sacrificio del Salvatore e alla
meditazione penitenziale. Il carattere dell’immagine, pur variando da epoca a epoca, negli esemplari ad uso privato ne
riflette la funzione: i manufatti più preziosi e rigogliosi per l’apparato decorativo si prestano a una collocazione
ornamentale presso capezzali e pareti domestiche, croci più modeste anche con altri oggetti devozionali (nelle edicole
campestri, in uno spazio appartato) suggeriscono un atto di intima pietà religiosa, come il crocifisso di legno posto
fra le mani del defunto all’atto dell’ultima vestizione ed esposizione.
I presenti esemplari sono crocifissi portatili, iconici. L’iconografia si può limitare al corpo del Christus patiens
sofferente e spirante con il capo reclinato verso la spalla destra e circondato da solare raggiera secondo l’essenzialità
ascetica di ispirazione bizantina, i piedi generalmente sovrapposti e trafitti da un unico chiodo. In alto il cartiglio con
l’iscrizione Jesus Nazarenss Rex Judaeorum (abbreviato INRI), mentre ai piedi figura il teschio del progenitore Adamo
con le tibie incrociate, simbolo dell’opera redentrice del sacrificio operato da Cristo, tema diffuso a partire dall’età
altomedievale. Il legno fregiato dai diversi simboli e strumenti della Passione sottolinea la sofferenza del Calvario e
viene maggiormente utilizzato durante i riti della Settimana Santa e penitenziali, in particolare nell’adorazione del
Venerdi santo.
Manifattura area friulana-veneta (‘), sec. XVIII
Croce astile lignea con simbologia della passione o croce dei misteri
Legno intagliato/ 33,4x10,6 cm./ Inv. 30
Bibliografia: CICERI 1980, fig.34, p. x.95, sch. 14; RIBEZZI 2005, p.85
Esposizioni: Pordenone, 1980; Udine 2005
Sul recto, il corpo di Cristo giace tra le braccia del Padre dotato di aureola
triangolare. Ai piedi la colomba dello Spirito Santo a completare la Trinità. La
base è ornata dalla figura della Vergine addolorata, trafitta dalla spada di uno dei
sette dolori (la crocifissione).Sul verso, intagliata un’altra figura della Vergine che
tra le mani tiene un teschio e un crocifisso. Sopra il suo capo, un cuore
fiammeggiante cinto della corona di spine, sottostante vi è raffigurazione dei piedi
mozzi con i segni dei chiodi e sui bracci della croce quella delle mani. [In
prossimità dell’incrocio dei bracci del crocifisso, al di sopra della figura di Maria,
vi è rappresentato un cuore fiammeggiante sotto al quale sono posti due piedi
segnati dai fori dei chiodi e da due mani in prossimità dei bracci.] Ai piedi della
Madonna, le anime del Purgatorio tra le fiamme.
L’oggetto è mutilo del braccio sinistro.
Manifattura friulana, sec. XVIII
Piccolo crocifisso
Legno e rame/ 21,1x10,1 cm./ Inv. 33
Su una crocetta di legno è applicata una lamina di rame lavorato a sbalzo e fuso,
raffigurante Cristo e alcuni strumenti della passione. Si riconoscono dal basso: la
colonna con alla sommità il gallo di san Pietro e un teschio con due tibie
incrociate. Ai fianchi di Gesù, a destra, i dadi e il flagello, a sinistra il calice
mentre ai lati delle braccia sono raffigurati le tenaglie e il martello. Sulla testa della
croce la corona di spine e sopra il cartiglio con la scritta INRI. Il crocifisso veniva
probabilmente appeso come testimonia l’appicagnolo alla sommità.
Manifattura spagnola-sud Germania, sec. XVIII
Croce amuleto di San Zacharia contro la peste
Bronzo/ 11,5x6,4 cm./ Inv. 93
Bibliografia: CICERI 1980, fig. 13, p. x.96, sch.40; WAGNER 1981; GAITHER
1996
Esposizioni: Pordenone 1980; Udine 2005
Di grande interesse iconografico, questa croce metallica decorata a incisione con
decorazioni floreali e terminazioni dei bracci polilobate a “fiore di cardo”. Sul
braccio sinistro un cristogramma e la sigla col nome di Maria. Alla sommità un
appicagnolo.
Questa tipologia di oggetto è conosciuta come croce di Zacharia legata alla
pestilenza esplosa in Spagna nel 1547, a sua volta deriva dal prototipo della
cosiddetta croce di Caravaca (presso Mursia) che è molto venerata in Spagna e che
viene fatta risalire ai tempi della quianta crociata. Si diffonde poi nei paesi di
lingua spagnola e nelle zone del Sud della Germania a partire dall’inizio del XVII
secolo, grazie all’opera di Cappuccini e Francescani, come potente amuleto contro
le pestilenze. Conosciuta nel Piemonte con il termine di “breve” ebbe la massima
diffusione in concomitanza con le due epidemie di peste del 1598 e del 1630, per
poi avere una ripresa nel 1835 quando si diffuse il cosiddetto colera asiatico. Non
è un caso se le terminazioni della croce sono a “fiore di cardo”, il cardo è infatti
simbolicamente un fiore con forti caratteristiche di protezione e che dunque
rafforza i poteri difensivi della croce. Queste croci venivano affisse agli ingressi
delle chiese; il rituale prevedeva che il fedele bagnasse le dita della mano destra
nella pila dell’acqua benedetta, e poi seguendo i due bracci del crocifisso lo
accarezzasse, ripetendo su se stesso il medesimo segno.
Sul recto una scritta centrale recante la formula della benedizione di San
Benedetto: "VRSNS MVSMQLIVB" (Vade retro Satana; Numquam Suade Mihi
Vana Sunt Mala Quae Libas Ipse Venena Bibas) e sottostanti “CSSML”(Crux Sancta
Sit Mihi Lux) e “NDSMD” (Non Draco Sit Mihi Dux). Sul verso, nel corpo
centrale, la giaculatoria di San Zacharia: "+Z+DIA+BIZ +SAB+Z+HG" alla
base: “F + B” e “FRS”. La formula viene utilizzata nei paesi di lingua spagnola
come generico scongiuro contro altri mali e demoni vari. Frutto di numerose
discussioni tra studiosi, la formula è stata variamente interpretata nel passato,
tuttavia Herbert Wagner, nel 1981, grazie ad un manoscritto datato al 1834 e
recante il letterale scioglimento delle iniziali, ha potuto definitivamente risolvere le
diatribe. La traduzione della formula, (che si ispira, rielaborandoli, ad alcuni passi
dell’Antico e del Nuovo Testamento) è la seguente: + = Crux Christi salva nos, Z =
Zelus domus tuae liberet me (Salmo 69, 10), + = Crux vincit, crux regnat, crux imperat, per
signum crucis libera me, Domine, ab hac peste, D = Deus, Deus meus, explelle pestem a me et
a loco isto et libera me(Salmo 22, 2), I = in manus tuas, Domine, commendo spiritum, cor et
corpus meum (Salmo 31 ,6), A = Ante coelum (et terram) Deus erat, et Deus potens est
liberare me ab ista peste, + = Crux Christi potens est ad expellen-dam pestem ab hoc loco et a
corpore meo, B = Bonunn est praestolari auxilium Dei cum silentio, ut expellat pestem a me
(Lamentazioni 3, 26), l = Inclinabo cor meum ad faciendas iustificationes tuas, ut non
confundar, quoniam invocavi te (Salmo 119, 112), Z Ze/aw super iniquos pacem peccatorum
videns et speravi in te (Salmo73, 2), + = Crux Christi fuget daemones, aeram corruptum et
pestem expellat, S = Salus tua ego sum, dicit Domi-nus; clama ad me et ego exaudiam te et
liberabo te ab ista peste (Salmo 35, 3), A = Abyssus abyssum invocat et voce tua expulisti
daemones, libera me ab hac peste (Salmo 42, 8), B = Beatus vir, qui sperat in domino et non
respexit in vanitates et insanias falsas (Salmo 40, 5), + = Crux Cristi, quae antea fuit in
opprobrium et con-tumeliam et nunc in gloriam et nobilitatem, sit mini in salutem et expellat a
loco isto diabolum et aerem corruptum et pestem a corpore meo, Z = Zelus honoris Dei convertat
me antequam moriar, et in nomine tuo salva me ab ista peste, + Crucis signum liberet populum
Dei et a peste eos, qui confidunt in eo (Salmo 119, 112), H = Haeccine reddis Domino,
popule stulte? Redde vota tua offerens sacrificium laudis et fide illi, quia potens est istum locum
et me ab hac peste libera-re, quoniam, qui confidunt in eo, non confuden-tur (Deuteronomio
32, 6), G = Guttun meo et faucibus meis adhaereat lingua mea, si non benedixero tibi, libera
sperantes in te, in te confido, libera me (Salmo 137, 6 ), F = Factae sunt tenebrae super
universam terram in morte tua; Domine, Deus meus, fiat lubrica et tenebrosa diaboli potestas,
quia ad hoc venisti, fili Dei vivi, ut dissolvas opera diaboli, expelle tua potentia a loco isto et a
me, servo tuo, pestem istam, discedat aer corruptus a me in tenebras exteriores (Matteo 27,
45), + = Crux Christi, defende nos et expelle a loco isto pestem et servum tuum libera a peste
ista, quia benignus es et miseri-cors et multae misericordiae et verax (Salmo 103, 8), B =
Beatus, qui non respexit in vanitates et insanias, in die mala liberabit eum Dominus. Domine,
in te speravi, libera me ab hac peste (Salmo 40, 5), F =Factus est Deus in refugium mihi,
quia in te speravi, libera me ab hac peste (Salmo 94, 22), R = Respice in me Domine, Deus
meus Adonai, in sede sancta maiestatis tuae et miserere mei et propter misericordiam tuam ab
hac peste libera me (Salmo 25, 16), S = Salus mea tu es, sana me et sanabor, salvum me fac
et salvus ero (Geremia 17, 14).
La formula si ritrova in un grimorio di pergamena (libro di formule magiche)
presso il Museo Nazionale Bavarese di Monaco, nel cosiddetto grimorio di papa
Honorio e (pur con minime varianti) in due anelli e un bracciale ritrovati
all’interno di un galeone spagnolo affondato nel 1715 in Florida ora conservato
presso il State of Florida’s Division of Historical Resources ed è invece diffusa nei
paesi di lingua spagnola dove si ritrova frequentemente in medagliette devozionali
di S.Benedetto.
Di notevole interesse un confronto con analogo pezzo proveniente da Ahrhütte
presso Hillesheim (la cui datazione oscilla tra XVII e XVIII secolo) di proprietà
privata; si tratta di una croce di Lorena con incise le medesime formule del pezzo
della Collezione Ciceri. La croce udinese è priva del secondo braccio, tuttavia
forma, lavorazione, materiale e stile appaiono i medesimi del modello tedesco,
anche se in quest’ultimo, le lettere incise appaiono realizzate in modo più
compendiarlo e corsivo rispetto alle più regolari ed eleganti della croce Ciceri. A
testimoniare ulteriormente la presenza anche nella nostra regione di questa
tipologia di croce vi è l’esemplare proveniente da Venzone datato al XVIII secolo,
di dimensioni e qualità ancora più modeste esposto nella mostra Medagliette e
crocifissi presso la chiesa di sant’Antonio a Udine nell’autunno del 2005.
Analogamente di stretta pertinenza è anche il rimando a un pieghevole di
santuario di provenienza austriaca costituito da nove santini (cfr. CICERI, 1980,
p.66 m.38): la stampina centrale raffigura i SS. Sebastiano e Giovanni ai lati di una
croce di Lorena recante la formula succitata, questi oggetti venivano venduti
presso i santuari proprio come protezioni contro le malattie.
Manifattura conventuale della Terra Santa, sec. XVIII-XIX
Crocifisso, sec.XVIII
Sec. XX,/ Legno e madreperla/ 22,5 x 11,1 cm./ Inv. 274
Crocifisso in legno con intarsi in madreperla raffiguranti Cristo, una testa di putto
e all’apice due braccia che si incrociano con i segni delle stimmate nei palmi delle
mani. Ai piedi del Cristo, sotto il teschio di Adamo, la Vergine trafitta da uno dei
sette dolori. Intarsi con motivi vegetali e geometrici identici al pezzo n. 273,
mentre il motivo dei fiori romboidali, alcuni dei quali riconoscibili come gigli,
simbolo di purezza e verginità è identico a quello del reliquiario n. 66. Il cartiglio
recante la scritta INRI è in avorio. Questa tipologia di oggetto, con le
incrostazioni in madreperla e la figurazione realizzata con un segno nero che
richiama la tecnica della xilografia, si diffonde a partire dal sec. XVII, opera di
artigianato francescano o cappuccino proveniente dalla Terra Santa. Analoghe
realizzazioni si ritrovano nelle croci provenienti dal santuario della Madonna a
Cordovado (ora conservato al Museo Diocesano di Pordenone), dal duomo di
Maniago, dal santuario di Barbana e dalla parrocchiale di Solimbergo, esemplari
che attestano la loro diffusione in regione. Ancora più interessante appare il
confronto con due crocifissi dei Civici Musei del Castello di Udine che presentano
i medesimi consueti motivi floreali e geometrici.
Manifattura friulana, sec. XIX
Piccolo Crocifisso con appicagnolo
Legno e rame/ 14x7,1 cm./ Inv. 710
Crocifisso ligneo con inserzioni di borchie in rame alle terminazione dei
bracci della croce. Il Cristo è realizzato con una placchetta in rame a
fusione, sopra il cartiglio recante la scritta INRI e ai piedi del Salvatore, un
teschio con tibie. Sul dorso segni di un sigillo in lacca rossa.
Manifattura italiana, sec. XX
Crocifisso
Rame/ 12,7x9,6 cm./ Inv. 716
Crocifisso in lamina con applicata la figura di Cristo dal corpo fortemente
allungato e dagli arti stilizzati. I bracci della croce terminano con dei lobi a picca;
quello posto nella parte superiore presenta un foro per l’affissione.
Manifattura italiana, sec. XX
Crocifisso
Metallo argentato e legno/ 27x15 cm./ Inv.1596
Crocifisso ligneo con il Cristo e un teschio realizzati in metallo argentato a
fusione. La testa del Redentore è adorna di un’aureola raggiata. Le terminazioni
delle braccia della croce sono ornate da placchette di metallo.
Croce, sec.XIX
Tessuto, passamanerie/ 17 x 9,4 cm/ Inv. 86
Esposizioni: Udine 2005
Crocifisso in stoffa, imbottito da un'anima rigida. Decorato con nastri di raso rosa
e fili dorati intrecciati e attorcigliati; il fondo è costituito da stoffa di colore rosa
antico. Di manifattura raffinata è presumibilmente espressione di lavoro
monastico utilizzata come oggetto-dono.
Rosari
La corona del rosario è uno strumento di preghiera con ampia diffusione popolare legato alla devozione mariana, alle
espressioni penitenziali e un tempo immancabile fra i beni domestici e personali. Le anziane la conservavano nelle
tasche del grembiule per sgranarne le preghiere nelle pause del giorno o trattenendola fra le mani durante le funzioni
religiose; in casa era appesa sopra l’immagine sacra o presso l’acquasantiera per le orazioni comuni e private.
L’etimologia latina rosarium ricorda il serto di rose in onore della Vergine e infatti la lunga filza di grani è unita da
una cordicella circolare che si fa scorrere fra le dita per numerare i Pater noster, Ave Maria e Gloria ed elencare i
Misteri, con un filo pendente provvisto di una croce terminale o un portareliquie, una sacra immaginetta entro teca o
smaltata e soprattutto medaglie religiose, segni di un pellegrinaggio o di individuale devozione a un santo.
I grani sono realizzati con i materiali più svariati, da quelli poveri (semi d’albero, tondini di legno anche intagliati
mentre il cedro e l’olivo della Terrasanta godono di una particolare osservanza) o essenze e pietre preziose (avorio,
agata, ametista, granati, corniole, coralli e madreperla dalla forte valenza simbolica che nella tradizione popolare sono
considerate un mezzo di protezione dal male) nonché vetro e metalli anche finemente lavorati ( vaghi filigranati o
maglie d’argento per la filza).
La lunghezza varia. Oltre alla forma più comune ( che consta di 50 grani più piccoli e 5 più grandi o poste intercalati
ai dieci dei misteri) un tempo usata dalle donne anche come gioiello da indossare, esistono corde più corte o di
media lunghezza ma anche più lunghe (di 100 0 150 grani chiamate anche salteri per corrispondere al numero dei
salmi) e l’anello a dischetto. L’oggetto diventa così anche un vero monile, spesso prezioso oggetto di dono, elargito
dai pontefici o fra omaggi regali; assume altresì un valore di protezione personale e nella fede popolare quando viene
posato nelle mani del defunto ne protegge l’anima dalla dannazione e dal purgatorio.
L’uso del rosario è antico e conosciuto in diverse civiltà, propagato in Occidente dai Domenicani, in quanto la
leggenda vuole che san Domenico l’abbia ricevuto direttamente dalla Madonna con la raccomandazione a divulgarne
la preghiera per la conversione dei non credenti e dei peccatori. La pratica di preghiera che in precedenza si
configurava nella recita dei “rosari del Padre Nostro” si accentua in epoca controriformista per diffondersi con
l’apporto delle confraternite intitolate e dalla festa inserita nel calendario liturgico (7 ottobre) per ricordare la vittoria
cristiana contro i turchi nella battaglia di Lepanto quando Pio V chiese alla cristianità di pregare con il rosario contro
la minaccia musulmana;
La preghiera, a partire dal tardo medioevo si è evoluta nel tempo. Dall’ultima riforma (Giovanni Paolo II, 2002,
lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae) che ne ha rivalutato l’aspetto meditativo, i misteri luminosi (Il battesimo
di Gesù, lle nozze di Cana, l’annuncio del regno di Dio, La Trasfigurazione di Gesù, L’istituzione dell’Eucarestia) si
sono aggiunti a quelli gaudiosi (Annuncio a Maria, Visita a Elisabetta, Nascita di Gesù a Betlemme, Presentazione al
tempio, Il ritrovamento di Gesù fra i dottori), dolorosi (L’agonia nell’uliveto, La flagellazione, L’incoronazione di
spine, Gesù è caricato dalla croce, La morte sulla croce) e gloriosi (la Resurrezione, L ’Ascensione al cielo, la
Pentecoste, l’Assunzione di Maria, l’Incoronazione della Vergine), ciascuno costituito da cinque diversi temi di
riflessione intorno ai momenti della vita di Gesù e Maria, sua madre.
Manifattura friulana, sec. XIX
Rosario a perle arancioni
Paste vitree/ lunghezza 30 cm ca/ Inv. 94
Esposizioni: Pordenone 1980
Bibliografia: CICERI 1980, p. x.97, sch.53.
Un rosario costituito da perle in pasta vitrea arancione a forma di lampone.
Quattro perle sono in color bianco.
Rosario ad anello
Sec. XIX/ Lega in argento/ Ø 2,4 cm. ca. / Inv. 94 b
Bibliografia: CICERI 1980, p. x.97, sch.53
Esposizioni: Pordenone 1980
Rosario ad anello costituito da una serie di 10 borchie a forma di fiore chiuso, al
centro una borchia di dimensioni maggiori.
Rosario ad anello
Sec. XIX/ Lega in argento/ Ø 3,1 cm. ca./ Inv. 94 c
Bibliografia: Ciceri 1980, p. x .97, sch. 53
Esposizioni: Pordenone 1980, Udine 2005
Rosario ad anello a due facce. Sul recto, come cimiero, una testa della Vergine di
profilo orante e lungo la circonferenza, una serie di 10 borchie a forma di rosa.
Sul Verso, sul cimiero, un piccolo crocifisso e sulla circonferenza 10 borchie con
impresse delle lettere a formare la scritta: + AVE+MARIA.
Manifattura veneta, sec. XIX
Corona di rosario in ametista
Ametista e metallo/ lunghezza 40 cm./ Inv. 270
Corona di rosario con grani in ametista sfaccettati, una placchetta metallica con
motivi vegetali chiude la collana. Il crocifisso presenta le terminazioni della croce
lavorate a forma di picca.
Manifattura friulana, sec. XVII-XVIII
Rosario di San Michele
Legno e lega in ottone e rame/ lunghezza 35,5 cm. Ø medaglietta 2,5 cm./ Inv.
95
Iscrizioni: S.MI CHA. A
Bibliografia: CICERI 1980, p.x.97 sch. 49
Esposizioni: Pordenone 1980
Rosario di perle lignee con annessa una medaglietta scaccia - demoni. Sul verso, la
raffigurazione di San Michele arcangelo con scudo e spada fiammeggiante mentre
calpesta il drago. Sul recto, due cuori raggiati e fiammeggianti sormontati, uno da
un crocifisso e l’altro da una spada di foggia seicentesca.
Manifattura friulana, sec. XIX
Rosario con crocifisso smaltato blu
Legno, argento e paste vitree/ lunghezza 82 cm. ca./ Inv. 1351
Esposizioni: Udine 2005
Rosario costituito da perle lignee terminante con una croce smaltata sul cui recto
vi è rappresentato Cristo e sul verso decorata da smalti blu, gialli e rossi. Le croci
sono incastonate in una cornice costituita da un’ornamentazione a filigrana in
argento con girali di tipo fitomorfo.
Manifattura italiana, sec. XX
Corona di rosario
Legno (?), osso (?)/ lunghezza 25 cm./ Inv. 1547
Rosario costituito da vaghi di legno bianco terminante con una croce stilizzata
composta con gli stessi elementi sferici.
Frammento di rosario con medaglietta della Vergine
Sec. XIX/ Legno e metallo; lunghezza 14 cm ca./ Inv. 1551
Iscrizioni: O Marie concuensans peche friezp..pour nons qui avons recours a vous
Frammento di corona con perle di legno scuro. Alla all’estremità una medaglietta
con impressa l’immagine della Vergine circondata da due scritte concentriche
parzialmente leggibili, sul verso entro un cerchio di stelle il monogramma di
Maria sovrasta due cuoricini di cui uno è trafitto.
Bottiglievotive
Bottiglie votive con crocifisso e simboli della Passione
Vetro, legno, lamina in metallo dipinta, carta/ 24 x base 12 x prof. 7,3 cm./ Inv.
138
Vetro, legno, stampa su carta/ 24 x base 12 x prof. 7,3 cm./ Inv. 395
Bibliografia: CICERI 1980 fig. 12, p.X 95, Segni della devozione 2005, p. 118
Le due bottiglie, l’ una quadrangolare e l’altra ottagonale, probabilmente non della
medesima fattura ma ascrivibile all’area alpina come suggeriscono iconografia e
confronti ( Religions et traditions populaires 1979, p.55) presentano all’interno scene in
miniatura ispirate al Calvario. Nella prima Cristo in croce con i simboli della
Passione si erge sull’altare decorato da festoni e con diversi ceri sulla mensa,
nell’altra il Crocifisso si innalza da terra con ai piedi raffigurazioni su carta
stampata allusive all’apostolato di Gesù.
Questi oggetti sono esempi di un artigianato minuzioso legato a particolari
professioni (quali i marinai che realizzavano navi entro bottiglie o i soldati nelle
pause dai campi di combattimento durante la Grande Guerra) e a particolari
ricorrenze dell’anno. Vista l’iconografia, possono essere state in uso anche in
qualche Confraternita ad esempio per uso processionale (in particolare la
Confraternita dei Passionisti dedita al culto e a promuovere la devozione del
Cristo crocifisso), destinate successivamente a rimanere esposte in cappelle ed
edicole, quali immagini e memorie di meditazione.
Cuscinetti
Nella devozione popolare frequente è la consuetudine di confezionare, conservare e utilizzare oggetti poi fatti
benedire dal sacerdote. A questi piccoli manufatti dalle forme diverse vengono affidate proprietà protettive,
considerati quindi come amuleti per preservare la persona e la sua salute da influssi negativi. Nel circuito dello
scambio spesso sono oggetto di dono in circostanze particolari, come segno di una devozione, se portati da un
pellegrinaggio, nella consapevolezza che “per trasferimento” l’oggetto protegge chi l’ha donato e chi lo riceve. La
terminologia cambia, come la manifattura a seconda della condizione e del ceto sociale. Sono piccoli cuori realizzati
in materiali diversi (cartone rivestito e decorato, in tessuto impreziosito da perline) e cuscinetti sempre a cuore o a
stella o come sacchettini con cucite immaginette o santini raffiguranti soggetti devozionali quali il Sacro Cuore,
un’icona mariana, l’immagine di un Santo patrono. La forma stessa ha un valore simbolico.
Ciceri dice che “hanno un corrispondente nei sacchetti che preparavano le streghe, i quali contenevano cose
sconsacrate: ostie oltraggiate, immagini sacre sforacchiate, pezzetti di corda di campane o di impiccati. (Nicoloso
Ciceri 1982, p.572).
Manifattura di area carnica?, sec. XIX
Cuscinetto devozionale a forma di cuore
Cotone e applicazione di perline/ 11,5 x 7 cm./ Inv.87
Cuscinetto a forma di cuore, in stoffa rossa, al centro, una fila di perline. Ai
bordi, piccoli dischi metallici con perlina. Sulla sommità un anello in corda e
nella parte inferiore una sfera in corda.
Stato di conservazione: discreto.
Artigianato carnico, sec. XIX
Cuscinetto a forma di cuore con raffigurazione di Cristo
Tessuto imbottito/ 10 x10 cm./ Inv.88
Scapolare, in stoffa, a forma di cuore. Al centro, entro un cerchio, incorniciato
da un filo metallico arricciato, una piccola stampa raffigurante Cristo reggente in
mano il Sacro Cuore, l’aureola del capo è dipinta con smalto dorato. La
decorazione dipinta che adornava il tondo è quasi completamente scomparsa. Un
filo di perline arancione incornicia l'oggetto.
Stato di conservazione: mediocre.
Manifattura di area carnica, sec. XIX
Cuscinetto con raffigurazione della Vergine e il Bambino
Tessuto imbottito/ 7,5 x 7,5 cm./Inv. 89
Esposizioni:Pordenone 1980
Bibliografia: Religiosità popolare in Friuli, 1980, p. x.96, sch..47.
Scapolare a forma di stella a quattro punte, color carne, al centro dentro un
cerchio, una stampa raffigurante la Vergine con Bimbo ambedue incoronati. Il
tondo è incorniciato da fili a forma di stella di David. Il verso è costituito da un
tessuto di raso rosa scuro.
Stato di conservazione: discreto.
Manifattura di area carnica, sec. XIX
Cuscinetto con raffigurazione di Sant’Antonio e il Bambino
Cotone ricamato e stampa applicata/ 7 x 7 cm./Inv. 90
Stato di conservazione: discreto
Molto simile al n. 89 sia per identici materiali e decorazioni che per analoga
tecnica, forma e stile. Al centro un tondo con una stampa raffigurante S.Antonio
con in mano un giglio e in braccio il Bambino. Sul verso una stoffa a fiori rossi.
Manifattura di area friulana, sec. XIX
Cuscinetto con fiore cruciforme
Cotone con applicazioni di passamaneria/
7,4 x 5,8 cm./ Inv. 96
Un cuscinetto di forma rettangolare con
cornice costituita da un filo intrecciato ad un
nastro dorato. Al centro entro un rombo un
fiore cruciforme a quattro petali costituito
da una canutiglia intrecciata.
Stato di conservazione: discreto.
Cuscinetto devozionale
sec. XIX / Cartone e cera/ 25 x 17 cm./ Inv. 34
Bibliografia: Segni della devozione 2005, p.137-138
Scapolari
Lo scapolare originariamente è un elemento distintivo dell’abito di alcuni ordini religiosi (Carmelitani, Servi di Maria,
Trinitari, Mercedari, Teatini) e consiste in un tessuto, talvolta provvisto di cappuccio che copre le spalle e si distende
anteriormente e posteriormente lungo la tunica talare.
Con un corrispettivo valore simbolico lo scapolare si diffonde anche tra i laici con l’istituzione del Terz’ordine
carmelitano e della Confraternita del Carmine ed è confezionato nella forma di due quadratini di tessuto uniti tramite
due nastri da portare l’uno sul petto e l’altro sulle scapole (da cui il nome).
L’origine leggendaria del manufatto riporta alla visione di S. Simone Stock, carmelitano inglese vissuto nel XVIII
secolo, cui la Vergine del Carmelo (monte biblico in cui avrebbe avuto origine l’ordine) lo consegna quale protezione
speciale. Al santo è legato il “Privilegio sabatino”, ovvero la promessa che la Madonna libererà dal Purgatorio, il
primo sabato dopo la morte, i confratelli del Carmine morti piamente con lo scapolare. Si diffonde pertanto
l’iconografia della Vergine del Carmelo, in cui lo scapolare è ostentato come il rosario o la cintura mentre il
diffondersi di pratiche devozionali popolari e la propaganda ne favoriscono l’uso quale oggetto protettivo dispensato
dai religiosi e acquisito in occasioni particolari soprattutto i pellegrinaggi
Lo scapolare benedetto, chiamato anche “pazienza”, “abitino” o “breve” indossato come i filatteri, è inserito fra le
fasce del neonato, appeso al collo o appuntato con una spilla fra la biancheria intima,. In questo caso può essere
confezionato anche come un “sacchettino” e contiene oggetti benedetti (chicchi di grano e di sale o di incenso, foglie
benedette o di ulivo consacrato, la cera triangule della Candelora o della Settimana Santa, cotone imbevuto di oli sacri
accanto a medagliette, piccole immagini spirituali, preghiere scritte su un foglietto ripiegato) e accompagna il
bambino non solo nella fase puerile, più minacciata da malocchio e invidia, ma durante tutta la vita, soprattutto nelle
occasioni significative. Scapolari benedetti venivano donati ai soldati in partenza verso il fronte durante la prima
Guerra mondiale.
Gli esemplari della presente raccolta presentano piccole immaginette cucite o direttamente stampate sulla tela della
Madonna del Carmelo con santi devoti e iscrizioni di preghiera in italiano, francese, spagnolo, inglese, raffigurazioni
della Pietà, l’Addolorata, Maria Hilf;. Alcuni invece sono ricamati a filo dorato con simbologia cristologica
(monogramma, Sacro Cuore) ed eucaristica; ma anche l’associazione dei colori ha un suo significato (marrone/nero
per la Madonna del Carmelo, nero per la Madonna dei dolori dei Serviti, rosso per la croce dei Trinitari, azzurro per
l’Immacolata dei Teatini).
Manifattura di area carnica (?), sec. XIX
Coppia di scapolari
Seta ricamata/ 6 x 5 cm./Inv. 120
Scapolari in stoffa color carne con motivo cucito a zig zag in filo rosa, uniti da un
nastro azzurro: il pezzo a) raffigura il sacro calice con spighe. Il pezzo b), entro
un sole raggiato, un cristogramma.
Stato di conservazione: buono
Manifattura di area francese, sec. XIX
Coppia di scapolari della Vergine del Monte Carmelo
Lana con stampa applicata/ 5,5 x 4 cm./Inv. 122
Iscrizioni: a) N.D Du MONT CARMEL priez pour nous b) Souvenez vous o treès
pieuse Vierge Marie
Stampati su un tessuto bianco cucito su un velluto marrone raffigurazioni: a) della
Madonna del Monte Carmelo e il Bambino reggente due scapolari, b) della
Vergine che dona due scapolari ad un santo in veste dominicana (S.Simone
stock?).
Stato di conservazione: buono.
Manifattura di area friulana (?), sec. XIX
Coppia di scapolari della Vergine del Monte Carmelo
Canapa stampata/4 x 2,9 cm./Inv. 123
Iscrizioni: a) N.S. DEL MONTE CARMELO, Tiened piedad de nonsotros,
abbiate pietà di noi. b) OUR LADY OF CARMELO N.S. del Carmen Soccorred
nos_ Be our aid
Bibliografia: Tradizioni popolari in Friuli, 1992, p.367.
Stampati su tessuto raffigurazioni: a) della Vergine incoronata e il Bambino che
dona degli scapolari a dei fedeli supplicanti, b) della Madonna che tiene in braccio
Gesù bambino donante degli scapolari ad un giovinetto.
Stato di conservazione: buono.
Manifattura di area friulana (?), sec. XIX
Coppia di scapolari della Vergine del Monte Carmelo
Canapa stampata /4 x 2,9 cm./Inv. 124
Iscrizioni: a)Pregate per noi b) Abbiate pietà di noi.
Bibliografia: Tradizioni popolari in Friuli, 1992, p.367.
Identiche raffigurazioni della n. 123 ma in dimensioni maggiori. Le stampine
sono cucite con filo arancione.
Stato di conservazione: buono.
Manifattura di area friulana (?), sec. XIX
Cotone stampato/ 5,1 x 3,5 cm./ Inv. 126
Iscrizioni: Pray for us
Bibliografia: Tradizioni popolari in Friuli, 1992, p. 367.
Stampati su tessuto raffigurazioni: a) della Madonna del Carmelo con il Bambino
reggenti degli scapolari, b) della Vergine che dona degli scapolari a S.Simone
Stock.
Stato di conservazione: buono.
Manifattura di area friulana (?), sec. XIX
Coppia di scapolari della Vergine con Bambino
Cotone stampato/ 6,5 x 5 cm./Inv. 127
Bibliografia: Tradizioni popolari in Friuli, 1992, p.367.
Una stampa su tessuto raffigurante la Vergine con manto che le copre la testa,
corona e aureola. In braccio tiene il Bambino e nella mano destra uno scapolare.
A incorniciare l’immagine decorazioni acquerellate geometriche in azzurro.
L’iscrizione alla base appare abrasa, inoltre è andata perduta l’immagine del
secondo scapolare.
Stato di conservazione: discreto.
Manifattura di area friulana (Valli del Natisone), sec. XIX
Scapolare quadrato della Vergine
Stampa su stoffa/ 8,1 x 7,9 cm./ Inv. 128
Esposizioni:Pordenone 1980
Bibliografia: Religiosità popolare in Friuli, 1980 fig. 68, x.96, sch..28.
Su un tessuto in raso ecrù, Una piccola stampina ovale della Madonna con
Bambino; il capo è coperto dal manto e adorno dalla corona. Cucite attorno alla
sacra figurazione, dei fiori azzurri e rosa e delle foglie. Piccoli dischetti dorati
decorano gli angoli. Un nastro azzurro regge lo scapolare.
Stato di conservazione: discreto.
Manifattura di area carnica, sec. XIX
Scapolare della Vergine incoronata
Lana con stampa applicata/ 8 x 6,5 cm./ Inv. 129
Iscrizioni: AVE MARIA
Bibliografia: Tradizioni popolari in Friuli, 1992, p. 367.
Entro un ovale raffigurazione della Vergine con aureola e corona, e il Bambino
circondati da una corona di stelle. Maria indossa un collare che forma la scritta
rosario. Ai suoi piedi S. Caterina da Siena e S.Filippo Neri che ricevono dei rosari.
Stato di conservazione: discreto.
Manifattura di area alpina, sec. XIX
Coppia di scapolari di Maria Hilf
Cotone con stampa applicata/ 8,1 x 6,4 cm./ Inv. 130
Iscrizioni: S.Maria hilf
Esposizioni:Pordenone 1980
Bibliografia: Religiosità popolare in Friuli, 1980 fig. 68, x.96, sch. 28.
Collegate da un nastro nero, due raffigurazioni entro una cornicetta di nastro rosa:
a) Maria Hilf e il Bambino circondati da una ghirlanda di fiori. b) un grande cuore
fiammeggiante con all’interno le figure della Madonna e Cristo che espongono il
loro sacri cuori. Alla base i due monogrammi cristologici e mariologici.
Stato di conservazione: buono.
Manifattura di area carnica (Cercivento), sec. XIX
Coppia di scapolari
Canapa con stampa applicata/ 7,8 x 6,2 cm./ Inv. 131
Esposizioni:Pordenone 1980
Bibliografia: Religiosità popolare in Friuli, 1980 fig. 68, x. 96, sch. 28.
Coppia di scapolari uniti da un nastro rosso scuro, raffiguranti il primo la Vergine
dei sette dolori reggente Cristo deposto e il secondo La Madonna incoronata con
il Bambino. Nella mano sinistra la Madre porge una coppia di scapolari. Nella
parte inferiore sono rappresentate le anime del purgatorio.
Stato di conservazione: discreto.
Manifattura di area carnica, sec. XIX
Coppia di scapolari
Lana con applicazioni (stampa e crocifisso metallico)/ a) 6 x 5,4 b) 7 x 6,7cm./
Inv. 132
Bibliografia: Tradizioni popolari in Friuli, 1992, p. 367; Segni della devozione 2005, p.
136-137.
Coppia di scapolari di dimensioni diseguali, in stoffa rossa scura e una cornice di
nastro beige. Il pezzo a) presenta cucita una crocetta in materiale argentato e il
corpo del Cristo in metallo dorato. Lo scapolare b) porta al centro una stampa su
tessuto raffigurante la Vergine col Bambino che donano degli scapolari a San
Simone Stilita.
Stato di conservazione: discreto.
Manifattura di area friulana, sec. XIX
Scapolare raffigurante un cuore
Stampa e tessuto; 15x8 cm. ca/Inv. 720
Entro una cornice costituita da canutiglie dorate, una stampa colorata raffigurante
un cuore rosso fiammeggiante.
Stato di conservazione: pessimo.
Medagliettereligiose–sec.XVIII‐XIX
Medaglie religiose bronzee o di metallo argentato di diverso formato e misura sono diffuse con continuità fin dai
primi secoli del cristianesimo, attestando spesso la memoria del martirio di un santo, una figura particolare fino ai
giorni attuali quando la piccola medaglietta ricorda un evento particolare, costituisce un dono tradizionale in
particolari riti di passaggio (battesimo, prima comunione), un omaggio alle persone care come ricordo di un
pellegrinaggio o espressione di un culto specifico.
Coniata con immagini su un lato o usualmente sia al recto che al verso, è munita di appicagnolo per usarla come
pendente, cucita o appesa a un nastro per portarla al collo come gioiello (similmente alla moneta a indicare uno status
anche giuridico o quale talismano), o appuntarla con un fermaglio alle vesti, soprattutto ai bavaglini del neonato con
funzione oltre che devozionale di amuleto protettivo in un periodo particolarmente delicato della vita. Funzione
analoga hanno i medaglioni battesimali, regalati in occasione della cerimonia, inseriti in cornici d’argento anche
finemente filigranate e con raffigurazioni di santi protettori dell’infanzia (frequente S. Antonio da Padova) o del
battesimo di Gesù.
Le medaglie commemorative di un evento (ricordo giubilare, medaglia miracolosa), di culti mariani, di santuari, di un
pellegrinaggio costituiscono l’emblema di un atteggiamento devoto o penitenziale, l’osservanza di un voto, pertanto
sono preziosamente custodite, spesso appese ai rosari con fini protettivi, ai santini di S. Antonio sulle porte delle
stalle o custodite anche con valore affettivo insieme alle sacre immagini,
Con analoga funzione apotropaica è testimoniato l’uso di porre medagliette su bastoni ai confini dei campi per
propiziare il raccolto o lasciate “sui terreni che venivano definiti dei “pagans” o dei “muarz” per tenere buone le
anime dei defunti affinché non Intralciassero il buon esito del raccolto nei campi (Candussio – Rossi 2005, p.14).
La larga presenza di medaglie appuntate ai cuscini votivi ne evidenzia poi l’uso fra i doni alle sacre immagini a
costituire gli accessori preziosi per indorare l’effigie mariana durante le occasioni solenni (Ori e tesori d’Europa 1992,
p.462).
I soggetti rappresentati sui due lati delle medagliette possono essere in correlazione (l’intitolazione
mariana/l’immagine del santuario, leggende di fondazione), attingono agli eventi cristologici, alle solennità del culto
mariano a insegne di confraternite o di ordini e associazioni religiose e alla vasta agiografia dei santi taumaturghi
Per la maggior parte si tratta di medagliette di produzione seriale distribuite presso i santuari e di valore economico
modesto, atte quindi a un acquisto diffuso tuttavia possono essere benedette secondo il Rituale romano con una
formula che ne dichiara l’uso, diretto ad ottenere da Dio una grazia spirituale o temporale pe i meriti e l’intercessione
del rappresentato. Ma spesso artigiani su commissione si sono dedicati alla sottile cesellatura (un esempio i
medaglioni battesimali o elargiti dal devoto come ex voto) o a realizzare medagliette smaltate e istoriate
appositamente create per l’ornamentazione femminile.
Bibliografia: Religiosità popolare in Friuli, 1980, p. x.97, sch.54.
R. Madonna del Buon Consiglio/V. Cristo crocifisso
Rame/3x2 cm./Inv. 110
R. Madonna rappresentata come divina pastora (culto diffuso in Spagna e
celebrato il quarto sabato di Pasqua o l’8 settembre) / V. san Pietro da Alcantara, in
veste da dominicano, inginocchiato davanti ad una croce.
Rame/3,4 x 2,1 cm./ Inv. 111
Iscrizioni: recto: LAD·PASTORA 8 ·OTT verso: S·PETRUS DE ALCANTARA
R. Maria an Luggau / V. Crocifisso di Sirolo
Rame/ 3,8 x 2,8 cm./ Inv. 112
R. Tobiolo e l’angelo/ V. L’Annunciazione
Argento/ 5,5 x 4 cm./ Inv. 113
Bibliografia: Religiosità popolare in Friuli, 1980, p. x.97, sch.54.
R. Ultima Cena/ V. Madonna con Bambino
Argento/ 4,6 x 3,1 cm./ Inv. 114
R. Battesimo di Gesù/ V. San Venanzio, protettore della città di Camerino dove subisce il
martirio nel III secolo d.C i
Bronzo / 2,5 cm./ Inv. 1360
Iscrizioni: sul recto, FIL • ME • D, sul verso, S • VEN
R. Sant’Antonio da Padova/ V. Due angeli reggono effigie della Vergine incoronata
Argento sbalzato/ 5 x 4,8 cm./ Inv. 115
Iscrizioni b) S M. OBTHING: PATRONA B.
Bibliografia: Religiosità popolare in Friuli, 1980, p. x.97, sch.54.
Due pendenti a forma di cuore
Argento/ a) 2, 4 x 1,9 b) 2x 1,7 cm./Inv. 719
Placchetta devozionale
Rame sbalzato/ 10,5 x 7,5 cm./ Inv. 475
Entro volute e forme vegetali, un medaglione rotondo con raffigurazione di
Cristo di profilo. In alto la colomba dello Spirito Santo, nella parte inferiore una
testa d’angelo.
Occhi di Santa Lucia
Opercoli della conchiglia di Bolma Rugosa/ Diametro medio di 2,5 cm/ Inv.
1539
Bibliografia: PERUSINI 1988; NICOLOSO CICERI 1982; Segni della devozione 2005
Con Occhi di Santa Lucia s’intendono comunemente gli opercoli delle conchiglia di
Bolma Rugosa, un gasteropode diffuso nel Mediterraneo, che alcune fonti indicano
anche con il nome scientifico di Astraea Rugosa. Fin dalla preistoria gli opercoli di
questa conchiglia sono stati ritenuti efficaci amuleti per la protezione della vista.
La denominazione popolare che li lega a Santa Lucia deriverebbe dunque dalla
cristianizzazione di questi amuleti, che sono stati avvicinati proprio alla Santa
venerata come patrona della vista. La Santa siracusana deve probabilmente il suo
patronato proprio al nome che porta, che deriva dal latino Lux, lucis, “luce”, nome
che ricorda quello di una divinità pagana, Lucina, che per gli antichi guariva e
preservava dalle malattie degli occhi. Un’altra spiegazione riguarderebbe invece la
frase che Santa Lucia pronunciò prima di essere martirizzata, così riportata dalla
passio: “Così farò vedere ai credenti in Cristo la virtù del martirio e ai non credenti
toglierò l'accecamento della loro superbia”. In questo senso, il patronato sulla vista
sarebbe un’estensione in senso fisico di ciò che la Santa avrebbe profetizzato
riferendosi alla cecità spirituale dei pagani. In ogni caso sarebbe da escludersi
l’ipotesi di un martirio per accecamento, anche perché è soltanto dal XIV secolo
che Lucia è raffigurata con gli occhi posati sul piattino, e la passio narra di un
martirio per decapitazione, sorte che le spettava in quanto nobile.
Questi amuleti erano considerati anche propiziatori della fertilità, per
l’antichissima associazione tra la conchiglia e la fecondità femminile e potevano
essere incastonati in anelli, orecchini, ciondoli d’oro, d’argento o in metallo,
indossati dalle donne contro la sterilità o per favorire una gravidanza senza
complicazioni.
Perusini, che attribuisce erroneamente gli opercoli al Trochus, riporta: “sono
adoperati come propiziatori della fecondità, probabilmente perché aprono la
conchiglia, ed anche contro le malattie degli occhi per la loro forma che ricorda
un occhio arrossato”(PERUSINI, 1988), citando, a riprova della diffusione di
amuleti in cui venivano incastonati gli opercoli della Bolma rugosa, una placca in
metallo del XIX secolo proveniente da Zagabria, un ciondolo laziale in oro, e un
ciondolo viennese del XVIII secolo, in oro con sei opercoli, tramandato di
generazione in generazione alle donne di una famiglia di Vienna, che se ne
servivano per propiziarsi una gravidanza serena.
Gli Occhi di Santa Lucia possono essere a pieno titolo inseriti tra gli amuleti di
derivazione animale, che devono il proprio potere apotropaico proprio al fatto di
provenire da esseri animati; si pensi alle unghie, ai becchi, ai denti, alle corna, alle
zampe di animali, tradizionalmente usati come portafortuna. In più, nel caso degli
opercoli della Bolma rugosa vi è da sommare la fascinazione esercitata dall’
“occhio”, che “vigila e minaccia”, ed è in grado sia di proteggere dal malocchio
che di lanciarlo: nell’Antico Egitto, l’occhio di Horus, figlio di Iside e Osiride, è
l’occhio che “tutto vede” e veniva impresso all’ingresso delle case, sui sarcofagi e
sulle tombe, per contrastare il maligno o per proteggere il viaggio del defunto
verso l’aldilà; nella mitologia greca, l’occhio di Gorgone immobilizza e pietrifica, e
raffigurazioni di occhi sono un motivo frequente a decorazione delle anfore
greche; in età Medievale, i mascheroni di pietra che sovrastano porte e finestre
vegliano a protezione della casa e dei suoi abitanti.
Medaglione di Santa Teresa d’Avila
Madreperla/ 10 x 6,5 cm./ Inv. 92
Al centro dell’ovale santa Teresa d’Avila è incorniciata entro un motivo polilobato
con foglia di vite e grappoli d’uva allusivi al sangue versato nel sacrificio divino.
La madre carmelitana (Teresa de Cepeda y Ahumada, Avila 1515- Alba de
Tormes 1582) che si dedicò alla riforma dell’ordine spagnolo secondo le severe
regole delle origini anche tramite la collaborazione dell’amico e confessore S.
Giovanni della Croce, con i suoi scritti imperniati sull’imitazione di Cristo e sul
cammino verso la perfezione influenza notevolmente il pensiero spirituale del suo
tempo annoverandola come una delle più alte personalità della teologia mistica
L’iconografia classica riporta alle sue visioni che durante la vita provarono il suo
fisico, minacciato fin da giovane età da una salute precaria. La freccia dell’amore
divino con cui un angelo la colpisce al cuore (transverberazione) nell’esperienza
di dolore ed estasi è frequente attributo iconografico: viene pertanto invocata in
caso di malattie cardiache, per la liberazione delle anime dal Purgatorio, per le
quali intercedeva nelle sue invocazioni ed è protettrice degli scrittori cattolici.
Il tondo è provvisto di appicagnolo, forse per utilizzarlo come pendente:
proviene, presumibilmente da qualche luogo di devozione, quale pregevole
ricordo di pellegrinaggio
Tabacchiera con effigie devozionale
Latta incisa/ 8,1x6,5x2,4 cm./ Inv. 85
Iscrizioni: sul recto: “25-XII-43”, “SANTA TERESA”, sul verso:“MAMMA
TORNERÒ”, “PPM 17.4.44”
La piccola scatola di latta, incernierata su un lato, probabilmente una tabacchiera,
è stata incisa molto semplicemente sui due lati. Sul coperchio figura la Santa
carmelitana con l’attributo floreale, i gigli; sul verso è tratteggiata una basilica
(forse la chiesa di S. Antonio di Padova) e sotto la scritta “mamma tornerò”. Si
tratta, quindi, di un oggetto realizzato da un soldato in guerra anche con
intenzioni votive, che, nell’incertezza del ritorno a casa, si rivolge alla protezione
della santa venerata in ambito familiare.
L’oggetto può essere inserito nella caratteristica produzione “di guerra” quando i
soldati per ingannare l’attesa si dedicavano al recupero e alla decorazione di
oggetti nella speranza di poter inviare ai familiari n ricordo.
Rametto di corallo,
sec. XIX/ Gesso dipinto/ lunghezza 11,5 ca./ Inv. 1515
La pasta gessosa è stata modellata a forma di rametto di corallo e dipinta di rosso,
forse con l’intenzione di farne o di imitare un amuleto. Il valore apotropaico del
corallo, legato sia al mondo marino che dei minerali è antichissimo; al vivifico
carattere simbolico del colore purpureo, collegato al sangue e dunque al concetto
di vitalità, si ricorda l’impiego terapeutico ai fini della fertilità femminile e di
protezione dell’infanzia. In questo caso la forme stessa, acuminata, appesa al collo
dei bambini ancora in fasce, ne aumentava l’efficacia per allontanare il malocchio
e forze negative ed era considerato un rimedio o un mezzo preventivo
eccezionalmente efficace contro le convulsioni, la tosse canina, i dolori della
dentizione. Il Bambin Gesù viene quindi spesso raffigurato con una collanina e un
rametto di corallo appeso al collo, tali ornamento vengono donati anche alle
statuette dei santi bambinelli e in Sicilia era frequente l’uso di donare fasce
battesimali decorate da rossi coralli (L’arte del corallo …1986, passim); per tale
ragione “protettiva” erano spesso confezionati in corallo anche i paternoster dei
rosari.
E’ ricordato anche l’utilizzo terapeutico: nei tempi antichi polvere di corallo
macinato in Egitto era versata sui campi per preservarli da calamità; se ne ricorda
anche l’utilizzo medicinale. La polvere mescolata con acqua era considerata un
rimedio contro le malattie interne mentre bruciato e mescolato con grassi serviva
come unguento per ferite e ascessi.
Quadretticonraffigurazionidevozionali
Madonna con Bambino, Hecce Homo,
Carta, raso e tessuto, vetro/ 12x9,5 cm; 12x9,3 cm; 9,9x8,2 cm/ Inv. 35, 83
Due stampine oleografiche e colorate raffiguranti la Maternità di Maria e il Cristo
incoronato di spine di Klagenfurt cono state impreziosite da decori floreali con
fili argentati e dorati, perline e incollate sul fondo di una piccola scatola protetta
da vetro. L’esito è un quadretto devozionale con l’immagine infiorata e abbellita,
tipica produzione di ambito monastico dedita alla predisposizione di oggetti dono
e/souvenir graditi ai pellegrini.
San Antonio da Padova
Metallo dipinto/ 8x5,3 cm/ Inv. 108
Su fondo nero entro una cornicetta con quattro stelline agli angoli, il santo è
raffigurato a figura eretta in abito francescano con alcuni dei suoi diversi attributi,
rami di gigli simbolo di purezza d’animo nel braccio sinistro e il Bambin Gesù
(in ricordo dell’apparizione in visione) che si protende ad abbracciarlo, assiso sul
libro aperto posato nella mano sinistra dalla quale pende anche un rosario.
Intorno all’aureola il nome “S. Antonio Padova”. Il semplice dipinto presenta un
foro per l’affissione a muro ed è un manufatto di modesta fattura adatto alla larga
diffusione come immagine ricordo per la devozione dei numerosi pellegrini ai
luoghi di culto.
Universale, infatti, è la venerazione del santo patavino, cui contribuirono i
sermoni di san Bernardino, patrono di diverse città (fra cui Lisbona ove nacque e
Padova ove si fermò a predicare morendovi ancor giovane), invocato a protezione
dei fanciulli, nelle condizioni di povertà, in caso di smarrimento di oggetti, dalle
donne in difficoltà, in situazioni di pericolo come testimoniano i molti luoghi a lui
dedicati anche in Friuli quali il santuario gemonese, le numerose chiesette votive
nonché gli affreschi con l’effigie del santo taumaturgo solo o in Sacre
Conversazioni in edicole e cappelle rurali dai monti al piano. La festa si celebra il
13 giugno (giorno della morte, 13 giugno 1231).
L’Addolorata/Ecce Homo
Cianotipie entro cornice in metallo/ 17x12,3 cm/ Inv. 717
Il presente quadretto è stato realizzato con due stampine oleografiche atte a
presentare una meditazione sulla divina sofferenza: da un lato è raffigurata la
Vergine in atto benedicente con il cuore serrato dalla coroncina di rose e trafitto
dalla spada; sull’altro il Cristo sofferente secondo l’iconografia del Cristo
incoronato di Klagenfurt
Santuari mariani
Litografie entro cornice/ 10x6 cm/ Inv. 699, 711, 1526
Dopo il cammino verso un luogo santo, il pellegrino reca con sé oggetti ricordo in
memoria del gesto votivo o da regalare alle persone care e molto spesso si tratta
della semplice immaginetta spirituale che riproduce il luogo e l’effigie cara alla
devozione. I fogli vengono poi conservati fra le pagine dei messali o vengono
elaborate in ambito domestico, incorniciati più o meno preziosamente, decorati
anche manualmente, infiorate e affissi sulle mura di casa come protezione e invito
alla meditazione. Proprio il gesto di lavorare, maneggiare l’immagine santa
esprime oltre a una prassi di mimesi a una forma di preghiera
Nei quadretti della collezione Ciceri si ripete l’icona di Maria Zell, dal santuario
ubicato nella valle del Bürgeralpe in Stiria frequentatissima meta di pellegrini nel
cuore della Mitteleuropea. L’effigie della Magna Mater Austriae, Madre Regina
incoronata con lo scettro in mano e avvolta in un grande manto con il Bambino
benedicente è conservata nella cappella delle Grazie e sulle piccole stampe è
riprodotta in alto dominante sul verde del paesaggio campestre o sul santuario. Il
culto, anche per opera di emigranti si diffonde al di qua delle Alpi nelle vallate
montane ove diventa figura taumaturgica di valore allargato.
Portapalmeevasid’altare
Schede a cura di Dania Nobile
Le prime testimonianze riguardanti l’usanza di abbellire, con rami fioriti e altre varie composizioni floreali, gli altari si
trovano nel Caeremoniale Episcoporum del 1600. All’interno della collezione Ciceri si possono ammirare alcuni
caratteristici esemplari di vasi portapalme e una semplice serie di vasi d’altare in metallo. Questi ultimi erano
solitamente disposti sulla mensa dell’altare alternandoli ai candelieri. Essendo degli apparati secondari dell’arredo
liturgico i vasi non seguono delle regole prestabilite circa la tipologia da adottare, ma, generalmente, nel corso dei vari
secoli si predilesse materiali e forme simili a quelle dei comuni vasi domestici. Da questi ultimi i vasi sacri si
differenziano soltanto per la peculiarità di certe decorazioni o iscrizioni. L’utilizzo dei fiori, proibito in certe fasi del
calendario liturgico, diventava dunque parte essenziale dell’addobbo della mensa. Nel periodo compreso tra la
Domenica delle Palme e il Mercoledì Santo sull’altare, accanto ai candelabri, venivano disposti i vasi portapalme,
ossia dei particolari vasi d’altare che avevano la funzione di sorreggere ramoscelli d’ulivo o, più frequentemente, delle
palme. Queste ultime sono essenzialmente delle composizioni floreali di seta, perline o, come nel caso degli esemplari
della collezione Ciceri, ferro e legno. Per il culto cristiano la palma è, per eccellenza, l’emblema della vittoria, del
trionfo di Cristo sulla morte e simbolo del martirio. È dunque con tale significato che esse venivano devotamente
collocate sull’altare maggiore.
Manifattura locale (carnica?), sec. XVIII
Coppia di portapalme
Legno scolpito, dipinto e dorato/ 27x23,2 cm (Inv. 174); 27x22,7 cm (Inv.
174b)/ Inv. 174; 174b
Il piede a base semicircolare e fusto modanato di questa coppia di portapalme
poggia su un piano a forma di parallelepipedo e di colore rosso. Il rigoglio è
caratterizzato da sinuose baccellature a goccia che accentuano l’aspetto
semiconico della parte superiore dei manufatti. Il collo è definito da evidenti
scanalature che terminano con un motivo ondulato che segna l’orlo
dell’imboccatura. Dagli estremi di quest’ultima dipartono le due anse laterali
costituite da una ampia voluta e da un accurato elemento vegetale. Non essendo
scolpiti a tuttotondo questi portapalme necessitano di una parte di sostegno,
posta sul retro e quindi nascosta, che dia stabilità all’intera struttura. Sulla
superficie dell’imboccatura è ben visibile il foro ove era collocato il ramo che,
considerata la tipologia del manufatto, era probabilmente costituito dalla classica
palma in ferro. L’oggetto è interamente coperto da un fondo di colore rosso
rivestito dalla doratura solo nel corpo del vaso, lasciando così scoperti il
basamento, la parte posteriore e quella superiore.
L’analisi del manufatto ha permesso di riscontrare delle crepe e cadute del colore
e della doratura. Da rilevare anche la presenza di alcune fratture in prossimità dei
punti di raccordo tra corpo e ansa (si veda in particolare Inv. 174).
L’accurato intaglio e la discreta doratura inducono a ritenere tali manufatti il
riuscito prodotto di una colta bottega friulana, forse carnica, attiva intorno alla
metà del XVIII secolo. Come ipotizzato per altri portapalme della collezione
Ciceri (Inv. 175 – 175b), anche in questo caso alcune caratterizzazioni portano a
supporre un loro utilizzo all’interno di qualche villa nobiliare, o comunque nel
contesto di una piccola chiesa o di un oratorio.
Manifattura veneta?, sec. XVIII
Coppia di vasi portapalme
Coppia di palme
Legno scolpito e dorato/ 22,5x22,4 cm (Inv. 175); 22,3x23 cm (Inv. 175b); 32x13
cm. (Inv. 175c); 32x14,5 cm. (Inv. 175d)/Inv. 175; 175b; 175c; 175d
Coppia di vasi portapalme (Inv. 175 – 175b) ad anfora semplice con piede a base
semicircolare, e spalla e collo privi di decori. Il corpo è ornato con un motivo a
tendaggio nella parte superiore, dalle cui borchie di sostegno scendono le
nappine, e in quella inferiore e nell’orlo dell’imboccatura con delle foglie
sovrapposte. Le anse laterali che abbracciano le giare ripropongono l’elemento
vegetale già presente nel manufatto e terminano con due volute, una delle quali
termina sulla base della spalla. Le palme (Inv. 175c – 175d) poggiano su un
pennacchio decorato a ovuli e sono scolpite con un differente motivo floreale,
attorniato da foglie, che comprende in un caso tre diverse varietà floreali (Inv.
175c) e nell’altro una rosa centrale (Inv. 175d).
La coppia di portapalme, intagliata e dorata solo nella parte frontale, presenta
certe fratture in prossimità del piede (Inv. 175) e diffusi segni di tarlatura (Inv.
175b). Alcune cadute della doratura riguardano invece le palme il cui cattivo stato
di conservazione non è paragonabile a quello dei vasi portapalme. Il diverso
processo di doratura o semplicemente la differente essenza possono aver
contribuito a tale risultato.
Le ridotte dimensioni dei portapalme, la presenza di palme lignee ad intaglio e la
ricchezza del manufatto ne suggeriscono un uso domestico, da riferire
probabilmente a qualche cappella nobiliare privata. La foggia del manufatto
propone dunque una datazione entro la fine del XVIII secolo e un’esecuzione per
mano di uno scultore presumibilmente di scuola veneta, considerata la qualità
dell’intaglio.
Manifattura locale, sec. XVIII
Portapalma
Legno scolpito, dipinto e dorato/ 27,3x18x14 cm/ Inv. 1337
Bibliografia: A. NICOLOSO CICERI, 1959, p. 45 (ill.).
Rose in legno dorato
Legno intagliato e dorato, ferro, gesso, juta/ h. media 27,5 cm/ Inv. 1334 (a-g)
Bibliografia: A. NICOLOSO CICERI, 1959, p. 45 (ill.).
Il corpo dell’oggetto è nettamente articolato in due parti contrassegnate da
un’accentuata gola e da un profilo modanato. La cornice mistilinea che
caratterizza il manufatto è articolata su motivi lineari e su volute che si chiudono
nelle due alette laterali a foggia vegetale. Una semplice ghirlanda di foglie decora
la parte superiore, mentre in quella inferiore si nota un elemento decorativo che
ricorda un fiore tra alti ciuffi d’erba. La linearità della sagoma del piede, ad
andamento curvilineo, si contrappone alla creatività naturalistica dell’imboccatura
del portapalma intagliata a foggia floreale. L’aspetto pittorico si esaurisce in una
calibrata disposizione del colore rosso per il fondo e dell’oro per le parti
aggettanti, o per quelle particolarmente significative per l’armonia della forma
dell’oggetto. In una pubblicazione del 1959 l’oggetto in esame venne presentato
insieme all’elemento floreale che esso conteneva. Si tratta di una serie composta
da sette rose lignee dorate applicate a dei gambi in ferro ricoperti da una
protezione, in gesso e juta, che simula l’effetto naturale. I tre boccioli e le quattro
rose fiorite formano un apparato decorativo omogeneo in cui compaiono minime
varianti, riferite soprattutto alle dimensioni.
Il portapalma non presenta una lavorazione a tutto tondo, di conseguenza l’ornato
riguarda soltanto la parte frontale, mentre il retro non è contraddistinto da alcun
elemento pregevole se non le consuete parti d’appoggio e sostegno del vaso
stesso. Il foro per l’inserimento della palma trova, curiosamente, un proseguo
anche sul collo. Si rileva una vistosa crepa in prossimità del decoro posto alla base
del corpo e si notano alcune cadute di colore sparse sulla superficie. Per quanto
riguarda le rose ornamentali lo stato di conservazione della doratura è discreto,
mentre si constatano diverse fratture nella parte in gesso.
Il discreto, se pur semplice, intaglio e la tipologia del decoro adottato collocano
questo vaso portapalma nell’ambito di una bottega locale della metà del Settecento
e lo inseriscono nel contesto di qualche piccola chiesa di provincia.
Manifattura locale (carnica?), sec. XVIII - XIX
Coppia di portapalme
Legno scolpito, dipinto e dorato/ 27x19,4 cm (Inv. 1169); 26,5x16 cm (Inv.
1169b)/ Inv. 1169 – 1169b
Coppia di portapalme in legno, con fusto modanato a sezione semicircolare e
corpo ovoidale, poggianti su uno zoccolo ligneo. Il piede è ornato con delle
palmette che vengono riproposte anche superiormente costituendo così l’unico
decoro della semplice anfora, il cui stretto collo porta alla piccola imboccatura
orlata da motivi a ovulo. Un tocco particolarmente raffinato è dato dalle due alette
laterali a foglia che abbelliscono il manufatto, arricchendolo di nuovi elementi
dorati che vanno ad aggiungersi alle altre decorazioni e rendono prezioso il
semplice fondo bianco. Le sporgenze decorative non appartengono al medesimo
intaglio del vaso, ma sono ad esso applicate mediante un sistema ad incastro.
Sul retro degli oggetti si nota un rinforzo in legno posto come sostegno alla
struttura che è stata intagliata, anche in questo caso, soltanto nella parte frontale.
Si rileva altresì un taglio netto nelle anse floreali di uno dei vasi (Inv. 1169b),
mentre l’altro (Inv. 1169) mostra una profonda fessura che corre lungo tutta la
superficie, dall’imboccatura fino al piede. Diverse e sparse cadute della cromia
sono presenti su entrambi, anche se tali difetti interessano in modo particolare la
superficie di uno dei portapalme (Inv. 1169). Nell’altro (Inv. 1169b) si può
chiaramente constatare l’instabilità di una delle due alette la cui coesione col resto
del manufatto sta iniziando a vacillare.
La pulizia dell’intaglio e la semplicità dei decori inseriscono questa coppia nel
contesto locale, probabilmente carnico, tra la fine del Settecento e i primi
dell’Ottocento.
Manifattura italiana?, sec. XVIII - XIX
Portapalma
Legno scolpito e dorato/ 37x27 cm/ Inv. 1265
Su un basamento a forma di parallelepipedo è collocato questo portapalma mutilo
alle estremità, ma le cui forme sono ugualmente comprensibili grazie alle parti
rimaste. Da queste si intuisce che il piede, con orlo decorato da una serie di ovuli
e collo segnato da alcune scanalature, era in origine a base semicircolare. Un
semplice anello introduce a un raffinato rigoglio baccellato dal quale si sviluppa la
sinuosa sagoma del portapalme le cui alette formano un tutt’uno col corpo
divenendo, con le loro essenziali volute, parte integrante della spalla e del collo del
vaso. Ai lati si notano due eleganti foglie d’acanto che si aprono verso il centro
dove è collocato un ovale. Questo decoro ovoidale è impreziosito da una cornice
mistilinea che termina con dei motivi fitomorfi i quali, nella parte inferiore, lo
collegano al rigoglio baccellato, mentre in quella superiore lo inseriscono
nell’ornato del collo. Quest’ultimo presenta delle profonde scanalature che
confluiscono in un’imboccatura che, con ogni probabilità, riproduceva una linea
ondulata simile a quella che possiamo osservare in altri esemplari della collezione
Ciceri (Inv. 174, 174b, 1337). Il portapalme, non essendo scolpito a tutto tondo,
presenta il fine intaglio solo nella parte frontale, mentre sul retro è visibile la
semplice asta d’appoggio alla cui sommità è posto il foro per l’inserimento della
palma.
La parte frontale dell’oggetto, in prossimità dell’ovato centrale, è contrassegnata
da una vistosa crepa. L’ovulo è poi caratterizzato da un’estesa caduta della
doratura che lascia ben visibile la superficie neutra del legno. Il medesimo danno,
accompagnato da sparsi segni di tarlatura, interessa altre parti del manufatto. Da
rilevare la particolarità dell’alzato del basamento che si diversifica dal resto del
portapalme per la scelta del colore, identificabile in un granata metalizzato.
La sinuosità delle forme e la presenza di elementi decorativi di gusto settecentesco
propongono una datazione tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo.
Manifattura locale, sec. XVIII-XIX
Coppia di vasi portapalme
Legno scolpito, dorato e dipinto/ 48x28 cm (Inv. 1335); 47,5x28,5 cm (Inv.
1335b)/ Inv. 1335, 1335b
Su uno zoccolo modanato, decorato con un’incisione a linee spezzate intrecciate,
si ergono queste particolari portapalme dalla caratteristica forma a croce. La base
di quest’ultima è risolta, come del resto l’intera struttura del manufatto, con una
linea rotondeggiante che ne definisce i contorni e, allo stesso tempo,
contraddistingue anche l’ornato, in gran parte costituito da motivi vegetali, in cui
mancano, infatti, forme acuminate. Esse caratterizzano, invece, i petali del calice
floreale, posto sul fusto del portapalme, da cui germoglia un elemento circolare
che diviene il fulcro di una serie di foglie che, aprendosi verso l’esterno,
suggeriscono i bracci di una croce. Tale forma è poi enfatizzata dalle terminazioni
costituite da fiori multicolori attorniati da foglie, che con la loro sagoma
completano visivamente le traverse della croce. La parte apicale del portapalme è
risolta con un decoro affine a quello che adorna il corpo del manufatto. Sulla
sommità del fusto si nota, poi, il tipico foro utile per l’inserimento dell’asta della
palma. Le parti dorate si alternano gradevolmente agli elementi floreali dipinti con
colori dai singolari riflessi metallizzati, che consentono di confrontarli con gli
analoghi soggetti presenti in una palma della collezione Ciceri (Inv. 1261b).
Del tutto simile nella lavorazione ad intaglio e nella scelta cromatica delle singole
parti, questa coppia di vase à palmes presenta delle affinità anche per quanto
riguarda lo stato conservativo. Le fratture che interessano la superficie degli
oggetti sono, infatti, poste nei medesimi punti: una profonda fenditura, situata
nella parte mediana del corpo, pone in serio pericolo la stabilità del portapalme
(Inv. 1335) e segna, rovinandone le forme, il portapalme (Inv. 1335b). Analoghe
crepe le riscontriamo anche nella parte inferiore dei due manufatti uno dei quali
(Inv. 1335b) si contraddistingue per un pezzo mancante nella decorazione apicale
del fusto.
La peculiarità di questi portapalme li inserisce in una bottega probabilmente
importante considerando le rifiniture risolte con completa fedeltà tanto da creare
una coppia del tutto simile, una similitudine che si è rivelata tale anche negli
aspetti conservativi. Alla luce delle affinità emerse dal confronto con analoghi
oggetti della raccolta Ciceri, si può collocare questa coppia di vasi portapalme tra
la fine del XVIII e gli inizi del XIX.
Manifattura locale, sec. XIX
Coppia di vasi portapalme
Legno scolpito, dipinto e dorato/ 32x15,5 cm. (entrambi)/Inv. 177; 177b
Coppia di guarnizione per vasi portapalme
Ferro dipinto/48,8x24 cm. (Inv. 177c); 50x22,5 cm. (Inv. 177d)/Inv. 177c; 177d
Queste portapalme (Inv. 177; 177b) sono caratterizzate dalla tipica forma ad
anfora biansata che ricalca la foggia dei più comuni vasi d’altare. Il piede a base
circolare presenta un orlo privo di decori, e un collo baccellato e ornato
alternando il bianco all’oro. Un motivo vegetale dorato, di gusto prettamente
neoclassico, raccorda l’accentuata strozzatura del piede con il pronunciato rigoglio
baccellato. Il collo si apre verso l’ampia imboccatura quasi fosse un fiore appena
sbocciato. Le portapalme, infine, poggiano su un basamento quadrato che forma
un tutt’uno con la struttura e permette di sopraelevare i vasi. La gradevole
alternanza del bianco, del rosso (posto come fondo) e dell’oro garantisce un
effetto di assoluta eleganza e sobrietà, pur mantenendo salvi i dovuti elementi che
rendono questa coppia di vasi portapalme un apparato decorativo degno delle
grandi celebrazioni.
L’aspetto conservativo del manufatto è piuttosto buono e si rilevano solo alcune
cadute della doratura. Nella parte superiore è ben visibile il foro che serviva per
l’introduzione della palma.
Le palme in ferro (Inv. 177c; 177d), leggermente curvato, sono dipinte con un
decoro comprendente rose, peonie, dalie, margherite, fiordalisi e zinnie. Il taglio a
forbice del bordo esterno propone la sagoma delle foglie che incorniciano il
mazzo floreale. I fiori sono collocati in modo schematico, ricalcando una
simmetricità e una linearità che evidenziano un ordine che manca nelle altre palme
della collezione Ciceri.
Una diffusa patina di ossido di ferro copre tutta la superficie dell’oggetto e si
rilevano alcune cadute di colore.
La coppia (Inv. 177c; 177d) in fase di inventariazione è stata affiancata ai vasi
portapalme (Inv. 177; 177b). Un’analisi del manufatto ha portato a considerare
tale abbinamento non del tutto opportuno, tuttavia, non potendo stabilire con
certezza in quale fase del loro utilizzo (sia esso liturgico che privato) tali elementi
siano stati messi in relazione, si terrà valido l’accostamento col quale sono
pervenuti in museo.
Manifattura locale, sec. XIX
Coppia di vasi portapalme
Legno scolpito, laccato e dorato/ 16,5x13Ø cm (entrambi)/ Inv. 980; 980b
Questi vasi portapalme possono essere considerati tra i più piccoli esemplari della
collezione Ciceri. La forma ad anfora è contraddistinta da un elegante rigoglio
ornato da un decoro a festone dorato, che impreziosisce la parte centrale del vaso
e le estremità delle due essenziali anse laterali, poggiandosi su di esse e scendendo
lungo i fianchi dell’anfora. Un intaglio piuttosto semplice caratterizza invece il
piede, a base circolare con orlo modanato, e il collo ornato con cinque semplici
cavità e terminante in una imboccatura circolare orlata con un motivo decorativo.
I vasi sono ricoperti da uno strato di lacca color bruno, graffiata in alcune parti
così da evidenziare il fondo rossiccio e creare un effetto antichizzante. Tali
accorgimenti non sono riproposti sul retro in cui, invece, è stata adottata una
stesura in smalto bianco. Queste accortezze nella decorazione suggeriscono il
verso corretto del vaso che, come di consueto, non era concepito per essere
visibile a tutto tondo.
I due manufatti sono contrassegnati da alcuni segni di tarlatura (Inv. 980 in
particolare), accompagnati da cadute della cromia sull’ansa destra del vaso (Inv.
908) e sul verso del portapalma (Inv. 980b) il cui decoro a festone è segnato da
una evidente fessura.
Le dimensioni piuttosto esigue di questa coppia di vase à palmes portano a supporre
una loro originale collocazione entro una cappella privata o nel contesto di
qualche piccola chiesa di campagna. L’intaglio essenziale e la semplice foggia
inseriscono questi oggetti nell’ambito delle botteghe locali della metà del XIX
secolo.
Manifattura locale, sec. XIX
Coppia di vasi d’altare
Ottone/ 17,4x9Ø (base) cm (entrambi)/ Inv. 1163; 1163b
Iscrizioni: “B ^ V”
Coppia di vasi d’altare
Ottone/ 17x9,3 Ø (base) cm (Inv. 1164); 16,7x9,1 Ø (base)cm. (Inv. 1164b)/ Inv.
1164-1164b
Coppia di vasi d’altare
Peltro/ 15x8,9 Ø (base) cm (Inv. 1178); 14,8x8,9 Ø (base)cm (Inv. 1178b)/ Inv.
1178-1178b
Questi portafiori d’altare si differenziano per il materiale utilizzato e per alcuni
particolari decorativi che li caratterizzano. I quattro vasi in ottone sono costituiti
da un piede modanato a sezione circolare e da un corpo sagomato che termina in
una larga imboccatura. Li accomuna, inoltre, una semplice incisione che
sottolinea la sagoma di questi oggetti. La coppia (Inv. 1163-1163b) si distingue,
invece, per la presenza, nella parte inferiore del corpo, del monogramma “B^V”.
La struttura dei vasi in peltro è nel complesso piuttosto simile a quella degli
ottoni, ma differisce per l’estrema essenzialità delle forme.
In alcune parti dei vasi in ottone si notano segni di ossido di ferro, mentre per la
coppia in peltro si riscontrano delle significative ammaccature e fratture.
Questi contenitori, che venivano utilizzati per disporre i fiori a guarnizione
dell’altare, trovano una generica collocazione entro l’apparato ornamentale
ecclesiastico. La presenza, però, del monogramma mariano in una delle coppie in
ottone permette di inserirla nel contesto di un altare dedicato alla Vergine.
Manifattura locale, sec. XIX
Coppia di guarnizioni per vaso portapalma
Ferro dipinto/ 53x26 cm (Inv. 1419); 58x25,6 cm (Inv. 1419b)/ Inv. 1419; 1419b
Coppia di palme in ferro la cui superficie è dipinta con dei fiori dove si possono
riconoscere rose, dalie, peonie e alcune margherite. Il tutto è disposto in modo da
accentuare la curvatura dell’oggetto messa in risalto ponendo in primo piano i
fiori dalle dimensioni maggiori e poi, via via, quelli di grandezza minore. La
zigrinatura del bordo delle due palme simula le foglie poste a contorno
dell’omaggio floreale.
La superficie pittorica si presenta in buono stato di conservazione, mentre il
supporto è rivestito, soprattutto nella parte non dipinta, da un considerevole
strato di ossido di ferro.
Questi oggetti rappresentano la parte fondamentale dei vasi portapalme di cui
diventano la principale guarnizione. Alla ricchezza dei vase à palmes si
aggiungevano dunque questi decori che adornavano gli altari coi loro raffinati
fiori.
Manifattura locale?, sec. XIX
Portapalme
Guarnizione per vaso portapalma
Legno scolpito, dorato e dipinto/ 29,5x25 cm (Inv. 1261); 46x26 cm (Inv.
1261b)/ Inv. 1261; 1261b
Caratteristico portapalma (Inv. 1261) delineato da due volute che gli conferiscono
un aspetto che può essere facilmente confrontabile con quello tipico della lira. Il
particolare intaglio “a giorno”, inoltre, non fa altro che avvalorare questo rimando
visivo. Vero fulcro della decorazione, le due volute sono impreziosite da
altrettante rose dorate poste nella parte inferiore, mentre dal ricciolo superiore
discendono dei motivi a grappolo che verranno poi ripresi anche nell’intaglio della
palma. Dal punto di giunzione delle due volute sorge un elegante motivo a giglio,
da cui germoglia lo stelo centrale del portapalme caratterizzato da un’imboccatura
a calice sulla cui sommità si nota il consueto foro per l’asta della palma. La
particolare forma a lira di questo portapalme e la gradevole alternanza del colore
blu alla doratura autorizzano a considerarlo come uno tra gli esemplari più
caratteristici della collezione Ciceri, essendo anche l’unico ad essere provvisto di
una palma lignea (Inv. 1261b). Quest’ultima si distingue, infatti, dalle altre palme
presenti all’interno della raccolta, proprio perché in legno intagliato e dipinto. I
motivi decorativi prescelti rimangono, invece, pressoché invariati: fiori multicolori
attorniati da una fitta vegetazione costituita da curiose foglie dalla forma
tradizionale, ma dalla cromia alquanto fantasiosa.
Lo stato di conservazione dei manufatti è, nel complesso, abbastanza buono; si
evidenziano sparsi segni di tarlatura e una lesione nello spigolo destro del
portapalme il cui retro è inoltre interessato da alcune cadute della cromia. Da
segnalare la presenza di un gancio metallico posto sul dorso della palma che,
considerando il notevole peso dell’oggetto, aveva probabilmente la funzione di
sostegno.
Il sobrio, ma raffinato intaglio e l’accurata doratura collocano questo portapalme
all’interno di una colta bottega locale del XIX secolo.
Manifattura locale, sec. XIX – XX
Coppia di vasi portapalme
Legno scolpito e dorato/19,4x6,6Øx9,6 (base) cm./Inv. 178; 178b
Coppia di guarnizioni per vaso portapalma
Ferro dipinto/35x15,2 cm. (Inv.178c); 33,8x16 cm.(Inv. 178d)/Inv. 178c – d
Coppia di portapalme in legno dorato, poggianti su un basamento anch’esso
ricoperto interamente dalla doratura. Il piede, a base circolare e collo stretto,
sostiene il vaso caratterizzato dalla forma ad anfora semplice impreziosita da un
rigoglio baccellato terminante in una singolare goccia appuntita, che
contraddistingue questa coppia di vasi e li differenzia dagli altri della collezione
Ciceri. L’imboccatura a disco presenta sulla sommità il foro per la collocazione
delle palme in ferro (Inv. 178c – 178d), le quali sono caratterizzate da un orlo
sagomato la cui zigrinatura suggerisce la forma delle foglie poste a contorno del
decoro floreale. Quest’ultimo è composto da fiori multicolori in cui si distinguono
i classici elementi che compaiono negli analoghi apparati della collezione.
La doratura dei portapalme è in precario stato conservativo, con significative
cadute dello strato di foglia d’oro che lasciano così visibile la superficie lignea
neutra. Il retro dei vasi è risolto con un approssimativo strato a tempera di colore
ocra. Le palme sono segnate da evidenti cadute della policromia e da una patina
uniforme di ossido di ferro che ricopre interamente il verso dell’oggetto.
La tipologia del legno, la lavorazione al tornio e l’aspetto industriale della rifiniture
fanno propendere per una collocazione cronologica tra la fine del XIX secolo e gli
inizi del XX.
Reliquiari
Schede a cura di Claudio Moretti
Nella collezione sono ospitati un gruppo cospicuo di reliquiari di probabile provenienza friulana, databili al XVIIIXIX secolo: si tratta di custodie di legno o metallo per lo più di modesta fattura destinate a conservare resti del corpo
o oggetti appartenenti ai Santi della Chiesa. Le tipologie formali riflettono categorie correnti quali reliquiari a
ostensorio, a capsula, a tabella e a vista, particolarmente atti all’esposizione e alla devozione dei fedeli, che nella
venerazione delle reliquie oltre a un esempio di edificazione attraverso la conoscenza della martirologia vedono una
forma di intercessione nel favore divino.
Il culto delle reliquie si diffonde già dai primi secoli del cristianesimo per onorare la Passione del Salvatore, il nome
della Vergine, dei martiri e accrescerne la devozione. Il culto delle anime sante prosegue lumgo i secoli diffondendosi
a macchia d’olio nella consapevolezza popolare che “il contatto” con i sacri resti costituisce una forma di salvezza in
quanto Dio “opera” per mezzo di essi.
I contenitori si differenziano: oltre agli altari sulle tombe, sui sepolcri e sui luoghi sacri, alle teche da conservare nelle
mense o da esporre nei mausolei, ai vasi, si aggiungono i reliquiari antropomorfi “topici” o “parlanti” che nella forma
rammentano le caratteristiche dei resti conservati e maggiormente si prestano alla spiritualità medievale. Anche la
manifattura, sempre più prerogativa di borreghe orafe, si raffina e diventa pregevole per i materiali ricercati e preziosi
e l’alta qualità artistica. Le forme si diversificano notevolmente, dagli incolpi cruciformi da indossare sul petto e sulla
persona alle forme composite architettoniche e monumentali da portare anche in processione. La diffusione dei
reliquari è tale – soprattutto nell’età barocca particolarmente attenta alla sfarzo e alla magniloquenza – che altari e
intere cappelle all’interno delle chiese sono dedicate all’esposizione delle reliquie (esemplare è la cappella della
Vergine del Santuario della madonna delle Grazie a Udine). Ma possedere reliquie anche in ambito domestico
costituisce onore, segno di ricchezza e censo per diverse famiglie notevoli che nelle proprie dimore dedicano spazi
privilegiati alla conservazione e all’esposizione. Non si conosce la provenienza dei reliquiari, mancando testimonianze
dei carteggi o documentazione allegata ai manufatti. Alcuni recano un sigillo vescovile, come l’esemplare dedicato a
S. Aniano martire, che reca impresso il segno di Gian Girolamo Gradenigo.
Reliquiario a croce
Sec. XVIII/ Legno intagliato/ 29,3x10,9 cm/ Inv. 31
Bibliografia: CICERI 1980, p. 9; Segni della devozione 2005, p. 85
Elegantemente intagliato, il reliquiario presenta sul recto Cristo in croce fra
l’Addolorata (inferiormente) e Dio Padre (alla sommità); sul verso i simboli della
Passione. All’interno dell’alloggiamento, papirole dorate e con pietrine rosse
circondano piccoli frammenti di reliquie con cartigli che fanno riferimento a S.
Giusto, S. Giovanni, S. Fruttuoso vescovo spagnolo martire del III secolo, S.
Giocondo vescovo di Aosta, VI secolo, SS. Orsola e Flora.
Crocifisso reliquiario ligneo
Legno/ 25x8 cm./ Inv. 709
Esposizioni: Udine 2005
Copia di dimensioni minori del crocifisso n. 31. Le figure appaiono tuttavia più
stilizzate e spigolose. Manca tutto il coperchio che chiudeva la teca porta reliquie
della croce e il contenuto.
Reliquiario a ostensorio,
sec. XVIII/ Peltro/ 17,3x7,5 cm./ Inv. 32
Su una base polilobata sbalzata a volute, il fusto a balaustra regge la teca raccolta
entro una ricca mostra. Doppia voluta festonate e traforate, arricchite da elementi
fitomorfi sono raccordate dalle figure di sue santi vescovi ai lati. Alla sommità due
angeli di profilo reggono la corona poggiante su una scena della Crocifissione con
pie donne. Entro la teca è conservata una medaglietta con cristogramma, mentre
quattro pietre sono incastonate nella decorazione
Coppia di Reliquiari a ostensorio
Sec. XVIII/ Legno itagliato e dorato/ 37x 6 cm./ Inv. 176
Un susseguirsi di volute contrapposte profila l’intelaiatura del reliquiario, fungono
da basamento, articolano il nodo del fusto e incorniciano il ricettacolo vuoto a
luce ovale.
Reliquiario a ostensorio
Sec. XVIII/ Legno intagliato policromo/ 32,5x base 12,2x8,1 cm/ Inv. 260
Su un basamento circolare a baccellature il fusto presenta due nodi, il primo ovale
con cornice a petali, il secondo a conchiglia. Il ricettacolo è sottolineato da una
profilatura ovale a perle mentre la mostra termina alla sommità con un motivo a
palmetta desinente a rami fogliacei e sormontato da una croce.
Reliquiario a ostensorio
Sec. XVIII/ Legno intagliato, dorato e dipinto/ Inv. 1262
Una decorazione baroccheggiante a volute, foglie d’acanto, gigli, palmette e
corelle arricchisce il profilo del reliquiario che poggia su uno zoccolo. La cornice
del ricettacolo è mistilinea. Al verso si scorgono frammenti di quattro sigilli a
ceralacca rossa con impressi degli stemmi vescovili ora illeggibili.
Reliquiario a foglia
Legno/ 13x8,8 cm/ Inv. 36, 712
Bibliografia: CICERI 1980, fig. 33, p.X 96, sch. 18; Segni della devozione 2005, p. 85
(Inv. 712)
Esposizioni: Pordenone 1980; Udine 2005
A forma di foglia, la teca centrale presenta reliquie con nastri in cui a penna sono
riportati i nomi “Cosimo, Lucilla, Costan” al recto e al verso “Cosimo, Geudenr..,
Dogna”; altre 14 teche lungo il bordo contengono cartigli esplicativi, oramai
illeggibili. Il secondo presenta una stampina oramai raffigurante il Sacro Cuore ed
alcune scritte devozionali relative ad un’indulgenza promulgata da papa Pio IX il
14 luglio 1877. Intorno una corona di 13 teche piccole, circolari con sfondo rosso,
contenenti delle reliquie e piccoli cartigli esplicativi.
Reliquiario a tabella
Sec. XVIII/ Legno intagliato e dipinto/ 25 ca x17cm/ Inv. 59
Su un basamento che assume le sembianze di un altare profilato da volute, poggia
la mostra a guisa di tabernacolo con cimasa dove volute ed elementi fogliacei si
dipartono da una palmetta centrale. La teca contiene un astuccio a croce
circondato da decorazioni con fili d’oro, canutiglie, fiori di carta policroma e
cartigli recanti i nomi di S. Constanza, S. Laurenty, S. Polixena e S…inatus martiri.
Reliquiario a tabella
Sec. XVIII/ Carta, gesso e vetro/ 8,6x8,4 x prof. 1,8 cm./ Inv. 69
Entro la teca con una cornice ornata da corolle alternate a campanule, al centro,
profilato da decoro in lamina metallica (rame?) figura il volto virginale di profilo,
con una scritta ormai illeggibile. Ai lati cartigli con i nomi dei SS. Julien, Costantii,
Primo e Feliciano, questi due ultimi venerati in Carinzia (si veda la chiesa ad essi
intitolati presso il paese di Maria Wörth). Negli angoli la lamina è lavorata a
formare quattro gigli, raccordati da una cornice quadrata che presenta lungo i lati
una foglia di vite.
Reliquiario a tabella
Sec. XVIII/ Legno, gesso carta e vetro/ 19,7x15 cm/ Inv. 81
Iscrizioni: MTER .SO..PR
Reliquiario con raffigurazione in tondo a bassorilievo, in gesso, della Madonna; la
scritta che incornicia il profilo è quasi illeggibile. Intorno 5 reliquie dei
SS.Clemente, Prospero, Onesto martire di Nimes, Vittoria e Secondo patrono di
Asti, conservate in rettangoli rivestiti di tessuto a nastrino azzurro e argento. Il
fondo è dipinto in rosso scuro. Diffusa decorazione a nastri e canutiglie argentate.
L’oggetto è protetto da vetro e da una graziosa cornice lignea dipinta di verde con
decorazione a fiori chiari. Vetro di protezione.
Reliquiario a tabella
Sec. XVIII/ Tessuto, carta, pergamena e cera/ 32 x 22 cm./ Inv. 118
Iscrizioni: SANCTA MARIA LAVRETANA ORA PRO NOB CLEM ✱ IX ✱
PONT ✱M ✱
Esposizioni: Pordenone 1980.
Bibliografia: Ciceri L., 1980, p.X 95, sch. 15.
Su un supporto rivestito da passamaneria a fili dorati al centro figura l’ovale in
cera con l’effige della madonna lauretana raccolta entro una ricca cornice
argentata e filigranata con fiori e pietre. Le reliquie recano cartigli esplicativi: “SS.
Perpetua, Giustina, Candida martiri e S. Epigmenio (Pimenio) martire di Roma”.
Reliquiario a tabella con capsule
Sec. XVIII/ Legno/ 31x21,6x2,8cm./ Inv. 151
Esposizioni: Pordenone 1980.
Bibliografia: CICERI 1980, p. 95
Entro una struttura lignea poligonale a forma di edicola, sono stati inseriti due
reliquiari a capsula. L’inferiore, di maggiori dimensioni, è sormontato da un
decoro mistilineo con mascherone e appicagnolo e presenta alloggiamenti con
cartigli esplicativi dedicati a “S.Anna madre della Vergine, S.Antonio da Padova,
S.Marina, S.Domenico, S.Vincenzo, S.Teodoro, S. Humiliati?, S.Peregrino,
S.Prudente, S. Filippo Neri, S.Felice”. Il secondo reca i seguenti riferimenti
“S.Ignazio di Loyola, S. Giuseppe, un brano della Veste di Maria, S.Filippo Neri,
S.Gaetano da Thiene, e un frammento dalla colonna della flagellazione di Cristo”.
Coppia di reliquiari a tabella su fusto
Sec. XVIII/ Legno scolpito e dorato/ h 63,5 cm. x ø base 13 cm./ Inv. 219
Coppia di reliquiari a tabella su fusto scolpito a motivi vegetali, alla base due
orecchie a forma di foglia. La teca a forma rettangolare è decorata a motivi
vegetali come il cimiero alla sommità. Il ricettacolo per le reliquie appare vuoto e
privo anche dell’asse del dorso. Tracce di verniciatura verde nell’interno del
ricettacolo.
Reliquiario a tabella
Sec. XIX/ Legno/ 8x 9,9 cm/ Inv. 409
Tavoletta lignea sulla quale è stato incollato successivamente un cartoncino color
bordeaux. Sovrastante, entro una cornicetta mistilinea dorata, una reliquia coperta
da frammenti di tessuti di vario genere, con piccolo cartiglio recante la
scritta:"PETRUS".
Stipetto portareliquie
Sec. XVIII/ Legno dorato e dipinto/ 33,3x24,4x3,5 cm/ Inv. 407-408
Iscrizioni: (nel ricettacolo entro il rosone) …Ligno Sup. quo apparuit BVM (inv.
407)
Gli stipi, in coppia, sono suddivisi in cellette che contengono calici e coppe
coperte con cartigli esplicativi. Nel primo sono annotati i SS. Simone apostolo,
Clemente martire, Claudio, Alessio, Canziano, Prospero martire, Liberale, Camillo
de Lellis, Cirillo martire, Desiderio martire di Genova e Langres, Bernardo abate,
Eugenio martire, Vittoriano martire patrono di Adelfia, Giorgio, Innocenzo
martire, Paolo eremita, Pacifico. Nel secondo, i SS. Agata Vergine martire,
Stefano Presbitero, Severino martire, Valerio martire, Veneranda Parasceve
vergine martire, Lelia martire irlandese detta anche Lidania, Ciriaco martire,
Aurelio martire, Orsola, Anastasia martire, Ludovico c. (Ludovico re crociato?),
Pietro, Luca evangelista, Fabiano martire e papa, Marcello, Cosma e
Damiano,Gaudenzio, Gregorio Nas. (Gregorio di Nissa?), Trifonio monaco,
Vittoria martire.
Reliquiario a cofanetto, 1831
Stagno/ 3x6,4x 6,3cm./ Inv. 64
Una scatolina contiene reliquie entro sacchettini di raso azzurro e tre frammenti
di ambra. Un bigliettino allegato, scritto in latino, ricorda, ad un anno di distanza,
la consacrazione da parte del vescovo Emanuele Lodi (17 luglio del 1831) della
chiesa della Beata Vergine delle Grazie e di un altare, che conservava il presente
reliquiario. Le reliquie apparterebbero ai santissimi martiri Deodato, Basileo e
Urbano. Frammenti di un sigillo di ceralacca sul coperchio.
Reliquiario a cofanetto
Sec. XVII/Legno intarsiato/ 2,5 x10 x 5,2 cm./ Inv. 66
Il coperchio del cofanetto presenta inserti con decorazioni geometriche e floreali
in madreperla e al centro un disco ad alloggiamento. L’interno è suddiviso in 17
scomparti contenenti le reliquie, costituite la maggior parte da sassolini e piccoli
frammenti lignei. Come illustra il cartiglio esplicativo i cimeli provengono dai
luoghi del martirio di Cristo, dal sepolcro di Lazzaro, dalla lapide di Maria di
Bethania, dalla casa di S. Giuseppe, dal luogo del martirio di S. Stefano, dal Sacro
monte di Sion e dalla piscina probatica.
Reliquiario a capsula
Sec. XVIII/ Litografia acquerellata, legno/ 8,8 x 7,3 cm./ Inv. 70
La capsula in legno policromo presenta una stampina raffigurante san Antonio
che regge nella sinistra un ostensorio e nella destra sopra il libro delle scritture il
santo Bambino. Sul verso 6 frammenti di reliquie accompagnate da 5 cartigli
dorati indicanti rispettivamente R.Santor, SS. Mart., SS.Vergine e L’Agnus Dei. Le
reliquie sono collocate entro dei nastri rossi su un tessuto di fondo dorato.
Reliquiario a capsula
Sec. XVIII/ Cartone, vetro/ 8x 6,3cm/ Inv. 76
Bibliografia: Religiosità popolare in Friuli, 1980, p. 96
Esposizioni: Pordenone 1980.
La teca ovale entro cornice di canutiglie e nastri dorati, presenta una suddivisione
polilobata. Figurano otto frammenti di reliquie, con altrettanti cartigli indicativi, di
cui si riconoscono i nomi di S. Valentino, S. Costante, S. Barbara, S. Celestino.
Reliquiario a capsula
Sec. XVIII/ Litografia acquarellata sottovetro, cartone e vetro/ 9x7,8 cm/ Inv.
77, 79
Bibliografia: Segni della devozione 2005 (inv. 79)
Esposizioni: Udine 2005 (inv. 79)
Le teche ovali contengono due stampine raffiguranti rispettivamente un Gesù
adolescente a mezzo busto e il volto della Vergine. Intorno, cartigli esplicativi con
riferimento ai SS. Pantaleone, Felice e Marco (nella prima) ed Eustachio,
Valentino, Felice, Marco e Pantaleone (nella seconda).
Reliquiario a capsula, sec. XVIII-XIX
Bronzo/ 2,8 x 2,3cm./ Inv. 100
Argento/ 2,5 x 2 cm./ Inv. 101 Iscrizioni: “EX OSS JOS.CAL".
Argento/ ø 2,5 cm./ Inv. 102 Iscrizioni: "EX OSSIBUS S.JULIAE V.M."
Peltro/ 3x2,5 cm./ Inv. 103
Peltro/ 3,3 x 2,3cm./ Inv. 104
Metallo/ 3,3 x 3 cm./ Inv. 105
Argento/ 5,8 x 3,5cm./ Inv. 106
Ottone/ 5,8 x 5 cm./ Inv. 107
Metallo/ 6 x 4,8 cm./Inv. 121
Legno/ 15, 8 x 11cm./ Inv. 1193
Vetro, argento, raso/ h.2,5 cm./ Inv. 1361
Bibliografia: CICERI1980, sch. 21.
Esposizioni: Pordenone 1980.
La serie di reliquiari si presenta nella forma di piccoli medaglioni circolari od ovali
con appiccagnolo entro montatura variamente lavorata; forse destinati al culto
privato potevano anche essere appesi al collo.
Le reliquie, entro la teca rivestita di tessuto, portano cartigli che, quando leggibili,
recano riferimenti a “S. Teresa V”, “santa Giulia vergine martire”, “SS. Filippo,
Andrea, Francesco”, “SS. Fabiano e Sebastiano”, “SS. Ermacora e Fortunato”,
“SS. Giovanni apostolo ed evangelista e Sant’Ermacora”, Santa Eufemia martire
aquileiese e un frammento del velo di Maria, “S. Cristoforo”.
Nell’esemplare n. 107, sul dorso un sigillo rosso con impresso un galero (cappello
cardinalizio) e uno stemma, tripartito da una fascia curva che occupa
orizzontalmente il terzo di mezzo dello scudo riconducibile a Pietro Antonio
Zorzi vescovo.
Reliquiario a capsula
Sec. XIX/ Bronzo sbalzato/ 6x4,8 cm. ca / Inv. 713
Esposizioni : Ori e Rituali, Udine, 2008
Medaglione di forma ovale, a due valve; sul verso il monogramma di Maria, con
sottostante la raffigurazione del cuore addolorato trafitto, sul recto il
cristogramma. L’interno è vuoto.
Reliquia di S.Aniano martire
Sec. XVIII/ Carta e gesso/ h 16 cm/ Inv. 82
Bibliografia: CICERI 1980, sch. 23.
Esposizioni: Pordenone 1980.
Reliquia (un frammento osseo?) di S.Aniano diacono martirizzato ad Antiochia
assieme a Sant’Eustosio e al vescovo Demetrio nel 260 d.C. , entro contenitore
tubulare in gesso. Il contenitore è parzialmente ricoperto da una stoffa in lino
chiaro, annesso vi è un cartiglio con scritta esplicativa. Decorazione con fiori rosa
e bianchi di carta. Vi è inoltre il sigillo vescovile in ceralacca con impresso uno
stemma curvilineo bipartito parzialmente leggibile: sulla sommità una croce a
doppi bracci sormontato da un galero; a sinistra sopra tre sfere una croce di
Lorena, a destra una fascia sormontata da 5 sfere semiovali. Si tratta dello stemma
del vescovo Gian Girolamo Gradenigo che costituisce quindi un prezioso termine
cronologico per la datazione dell’oggetto.
Reliquiario
Sec. XVIII/ Litografia, metallo, cera/ 17,6x14,6 cm/ Inv. 109
Esposizioni: Pordenone 1980.
Bibliografia: CICERI 1980, sch. 21.
Sul recto sopra una carta decorata a fiori rosa un santino raffigurante
Sant’Antonio da Padova. Sul verso delle reliquie con cartigli esplicativi di San
Salvatore, Santa Agata e San Donato. Ai quattro angoli delle piastrine di cera
impresse; nella parte superiore raffiguranti due profili maschili, nell’inferiore di
destra si riconosce un monogramma di Maria, il sinistro è illeggibile. Al centro
nella parte superiore una croce di Lorena in stagno, circondata da cartigli: CERA
PAPAL RELIQIAE SS.…B.V. M.. In basso a sinistra si riconosce un pezzo di
cera trafitto da una lancia di Longino in lega metallica malleabile.
Reliquiario a fiala
Sec. XVIII/ Vetro e ottone/ 21,5x6,5 cm./ Inv. 1011, 1013
Iscrizioni: Ex Palio S. Ioseph; Ex Subucula B.M.V.”
Reliquiario a cilindro verticale con all’interno del ricettacolo capsule
rispettivamente con un frammento del mantello di S. Giuseppe e della tunica (la
subucula) della Vergine, come indicato dal cartiglio. Il verso della capsula
conserva un sigillo prelatizio ormai illeggibile. Il piede è circolare con lavorazioni
a sbalzo a forma di petalo, il fusto è dotato di un nodo ad anello, la decorazione si
ripete nella coppa che sostiene il ricettacolo. Ai lati, delle orecchie intagliate e
lavorate a sbalzo di forma vegetale. Il coperchio a forma di campana itera il
motivo a petalo e termina con un piccolo globo sormontato a sua volta da una
croce.
Reliquiario a fiala
Sec. XIX/ Vetro/ 10,5x5 cm./ Inv. 1077
Un’ampolla di vetro decorato con un daino e motivi floreali contiene reliquie
carie; i cartigli recano riferimento a: “S. Fortunata m. e Innocenzo XI papa e
beato”.
Reliquiario a tabella con cornicetta quadrangolare
Sec. XIX/ Legno intagliato/ 7,7x6,4 cm./ Inv. 1550
Cornicetta intagliata a motivi fitomorfi. Le cattive condizioni non permettono una
lettura completa dei cartigli nei 18 piccoli alloggiamenti. Si leggono (sul recto) i
piccoli cartigli dei SS. Valentino, Eufemia, Aurelio martire, Cosma e (sul verso) di
S. Leone.
Contenitore a tabella
Sec. XVIII/ Legno dorato/ 15x9,5 cm / Inv. 964
La coppia presenta una cornice mistilinea intagliata a motivi rocaille con volute,
fronde a festoni e ricco cimiero.
Tabella
Sec. XVIII/ Legno, tessuto, fili argentati/ 17,3x13,4 cm / Inv. 715
La cornicetta a tabella lavorata con fili argentati e perline a formare una
decorazione floreale presenta un ricettacolo ovale centrale.
Contenitore a tabella
Sec. XVIII/ Legno dorato/ 61x38 cm./ Inv. 1339
La tabella a timpano triangolare è costituita da 24 celle protette da un vetro. Lo
schienale poteva essere chiuso con un lucchetto di cui rimane traccia.
Intagliatore di area friulana, sec. XVIII
Piccolo trono con padiglione
Legno, scolpito, intagliato, dipinto e dorato/ 28x21x15 ca cm / Inv. 1227
Un tronetto con elegante cornice mistilinea a decorazioni vegetali; alla sommità
un padiglione anch’esso decorato a motivi fitomorfi. Centralmente un ricettacolo
rettangolare decorato all’interno con carta stampata presentante raffinati motivi
floreali e vegetali. L’interno era destinato a conservare una reliquia
Suppellettiliecclesiastiche
Schede a cura di Antonella Ottogalli
Oreficeria locale, sec. XVIII
Navicella
Argento sbalzato e inciso/ 14x15cm., base: Ø 7cm / Inv. 1020
L’uso di contenitori per incenso a forma di piccola nave, da cui deriva il termine
comune di navicella, è attestato dai documenti inventariali già a partire dal XIII
secolo. La diffusione nei secoli successivi di quest’oggetto di uso liturgico
determinerà l’affermarsi di una precisa tipologia che soppianterà i più antichi
recipienti per incenso a forma di coppa o di torre, noti con il nome di acerra ad
indicare lo stretto legame con la ritualità pagana.
La navicella della collezione Ciceri è caratterizzata da coppa a mezzaluna con
coperchio a due valve incernierate al centro e terminanti con manici diversi.
Questo particolare è indice di un successivo intervento, come dimostra la vistosa
saldatura che determina l’inserimento del manico a riccio, profondamente diverso
dalla raffinata voluta che lo fronteggia. Un semplice fusto a balaustro coniuga il
corpo con il piede lavorato a sbalzo. Le superfici sono ricoperte da motivi
fitomorfi incisi.
Il generale buono stato di conservazione del manufatto consente di rilevarne la
pregevole esecuzione sul piano decorativo. La mancanza di punzoni, però, non
permette di identificare l’artefice della navicella, opera di argentiere locale della
prima metà del settecento.
Oreficeria locale, sec. XVIII
Navicella
Argento sbalzato e cesellato/ 14x14cm, base: Ø 7,9/ Inv. 1377
La navicella in esame è caratterizzata da un piede a base circolare lavorato a
sbalzo, sul quale si innesta il fusto a balaustro. Il corpo a mezzaluna presenta una
decorazione a motivi fitomorfi che si estendono anche sulle due valve del
coperchio incernierato al centro e dotato di manici a riccio.
Per la tipologia e le scelte decorative, organizzate nella parte superiore a
costolature, il portaincenso della collezione Ciceri può essere messo a confronto
con un analogo oggetto della Pieve Arcipretale di Santa Maria Assunta di Gemona
datato fra il secondo e il quarto decennio del XVIII secolo dalla Drusin (in
GANZER 1985, p. 80).
Dai punzoni rinvenuti sia sul coperchio che sotto l’orlo del piede della navicella
Ciceri è possibile avanzare un ipotesi attributiva dell’oggetto. Infatti vi sono incise
le iniziali A.C. inframmezzate dallo stemma della città di Udine che si possono
riferire all’orefice Carlo De Zorzi documentato dal 1756 al 1816 con bottega in
città. Inoltre, la manifattura friulana sarebbe confermata anche dalle tracce di una
seconda sigla, F:Z, affiancata alla precedente, ad indicare forse un successivo
intervento. Essa potrebbe riferirsi a Francesco De Zorzi argentiere (documentato
dal 1756 al 1840), detentore di un esercizio a Udine con il fratello Antonio, e
depositario presso il Podestà di un proprio punzone in data 12 maggio 1812.
Oreficeria locale, sec. XVIII
Navicella
Ottone sbalzato e inciso/ 12x15cm , base: Ø 8,4/Inv. 1378
Il corpo baccellato dotato di coperchio incernierato al centro e privo di manici si
innesta su un fusto con nodo e termina con un piede a base circolare dal largo
bordo liscio. Le decorazioni a volute sbalzate di gusto roccoco si sviluppano sulla
modanatura del piede e sulla coppa. Complessivamente lo stato conservativo
appare mediocre con i segni dei manici divelti alle estremità delle due valve.
La mancanza di punzoni rende difficile indicare con precisione la provenienza
della navicella che per la mediocrità del linguaggio decorativo può definirsi di
manifattura modesta e provinciale.
Oreficeria veneziana, sec. XVIII
Turibolo
Argento sbalzato e cesellato/ 25,5cm, base: Ø 9cm/ Inv. 1022
Suppellettile di uso liturgico per bruciare l’incenso ed effonderne il fumo
profumato, il turibolo assunse fin dall’alto Medioevo un valore altamente
simbolico grazie al potere allusivo delle singole parti che lo compongono. Così
il suo corpo fu associato a quello di Cristo, le quattro catene di sospensione alle
virtù cardinali, il fuoco generato dalla combustione dei grani d’incenso allo
Spirito Santo e il fumo odoroso alle preghiere innalzate a Dio. Dalle forme
semplici, prevalentemente a sfera dei turiboli più antichi si passò alle complesse
strutture di carattere architettonico del periodo gotico per giungere alla più nota
tipologia a vaso fiammeggiante del XVII secolo che perdurò nei secoli successivi
con crescente attenzione per gli aspetti decorativi.
Il turibolo di collezione Ciceri ha forma di vaso poggiante su base circolare
decorata a motivi fitomorfi cesellati e organizzati a fasce. La coppa del braciere
presenta rigonfiamenti a grossi ovuli alternati a coste e tre testine di cherubini
applicate per reggere le catenelle. La cupola è lavorata a giorno ed è legata, grazie
alla quarta catenella di sospensione, al cupolino dalle lunghe foglie stilizzate
incise sulle superfici.
L’oggetto si conserva in ottimo stato in tutte le sue parti e consente di
apprezzarne la buona manifattura che si può attribuire ad argentiere di area
veneta attivo nel XVIII secolo grazie anche al confronto con il turibolo del
tesoro del Duomo di Gemona (Cfr. Drusin in GANZER 1985, p. 78) vicino per
forma e stile all’oggetto in esame.
Manifattura locale, sec. XVI
Mortaio
Bronzo/ 16,5xØ 20,5cm/ Inv. 1493
Iscrizioni: DEUS ILLUMINE TUO SALVANE [LA FA] DOMINE.
Recipiente per frantumare i grani d’incenso simile agli analoghi utensili di uso
domestico da cui si differenzia per le decorazioni di carattere sacro presenti sul
corpo dell’oggetto.
La coppa del mortaio in esame presenta la tradizionale forma tronco conica
munita di anse a foggia di testine cherubiche. Le due facce dell’oggetto sono
caratterizzate dalla presenza di medaglioni entro cui si sviluppano tematiche sacre
rese con minuta precisione. Su una faccia si riconosce l’iconografia della
Resurrezione di Cristo fra le figure di San Filippo e San Pietro mentre sull’altra la
lettura dei soggetti si fa più complessa e la sua interpretazione è resa difficile dalle
superfici consunte a causa della lunga usura: al centro, entro mandorla tripartita
orizzontalmente da aeree architetture ad arco, si vedono tre scene non più
leggibili, il cui contenuto sacro è suggerito dalle aureole che coronano le figure. Ai
lati della zona centrale, secondo uno schema rigidamente simmetrico, vi sono due
ovali con Cristogramma, lungo i bordi dei quali sopravvive parte di un’iscrizione:
DEUS ILLUMINE TUO SALVANE [LA FA] DOMINE.
Le scheggiature riscontrabili lungo il bordo superiore, le diffuse ossidazioni e lo
stato già segnalato delle superfici, caratterizzate da rilievi e incisioni notevolmente
compromessi, attestano una condizione conservativa piuttosto mediocre. Nel
contempo tali indizi, unitamente all’indagine stilistica del linguaggio iconografico
rilevato sull’oggetto, un linguaggio diffuso su manufatti bronzei come piccole
campane oltre che mortai, suggeriscono una possibile datazione entro il secolo
XVI.
Oreficeria veneziana, prima metà sec. XVII
Ostensorio
Argento sbalzato e cesellato, ottone e vetro/ 36 cm, base: Ø 22 cm, teca: Ø 12,3
cm/ Inv. 1017
Fu in seguito al IV Concilio lateranense del 1215 che si impose l’uso
dell’esposizione dell’ostia consacrata, dal quale derivò la necessità di codificare
una tipologia di contenitore adatto all’ostensione. In realtà, in un primo momento
ci si limitò ad adattare pissidi e soprattutto reliquiari alla nuova necessità, in
quanto il corpo di Cristo veniva interpretato come sua reliquia per analogia con le
reliquie dei santi. Soltanto nella prima metà del Quattrocento si definirono le
forme proprie degli ostensori che vennero suddivisi in quattro categorie a seconda
dell’aspetto del ricettacolo: si ricordano, infatti, ostensori a croce, a disco, a torre
o con figure dalla cui evoluzione derivarono quelli a coppa, a raggiera o
architettonici.
Alla categoria di ostensori raggiati appartiene il manufatto di collezione Ciceri
costituito da teca rotonda con lunetta, cornice incisa a motivi vegetali e raggiera a
punte alternate a fiamme, culminante in una crocetta apicale dalle terminazioni
trilobe. Il ricettacolo si innesta a vite nel fusto a balaustro con nodo ad oliva
decorato da tre testine di cherubini. Il piede, purtroppo divelto dal gambo, è
caratterizzato da frutti tondeggianti fortemente sbalzati fra disegni a cesello.
La resa del nodo con teste di cherubini e la tipologia dei motivi decorativi
concentrati sul piede appartengono a tanta argenteria veneziana realizzata fra
Cinque e Seicento. Conferma ne viene dai due punzoni, leggibili sotto il piede
assieme al bollo dell’argentiere (A.C.), che riproducono il leone “in moleca”,
controllo usato dalla Zecca della Dominante dalla seconda metà del XVI secolo
fino ai primi anni del XIX secolo.
Oreficeria locale, prima metà sec. XX
Patena
Argento/ Ø 15,5 cm/ Inv. 1055
Termine latino per indicare il piatto, la patena serve per posare l’ostia durante la
consacrazione. Essa assieme al calice costituisce un esplicito riferimento alle
suppellettili domestiche dell’Ultima Cena. Antichissimo è il suo uso, introdotto
già prima dell’adozione delle ostie piccole e sottili (sec. X-XI) in luogo del pane
del sacrificio che necessitava di patene evidentemente di grande dimensione e
spesso dotate di anse o manici. Il materiale con cui venivano realizzate era per lo
più lo stesso del calice che le si accompagnava e quindi si prediligevano metalli
come l’oro o l’argento.
La patena Ciceri è di foggia particolarmente semplice e del tutto priva di
decorazioni: di dimensioni piuttosto contenute, essa ha forma circolare ed è
dotata di bordo rialzato. Ai piedi del bordo si può notare il piccolo e illeggibile
punzone di bottega accanto a quello di titolo (800), il cui obbligo fu introdotto
per legge nel 1934 rimanendo in vigore fino al 1968.
Manifattura locale, sec. XIX
Stampo per ostie
Ferro battuto/ 68,5cm./Inv. 880
Ferro battuto/ 78cm./Inv. 1660
Ferro battuto/ 74cm./Inv. 1661
Ferro battuto/ 80cm./Inv. 1671
Ferro battuto/ 74cm./Inv. 1676
La diffusione degli stampi per ostie in ferro battuto è attestata a partire dal XIII
secolo soppiantando analoghi strumenti realizzati dapprima in legno e poi, in
epoca medievale, in terracotta, pietra e bronzo. Essi presentano due piatti uniti
mediante cerniera con le forme delle ostie (di norma due di grande formato
inframmezzate da due o quattro impronte per quelle più piccole) incise su una
sola faccia. Gli stampi sono poi dotati di lunghi bracci necessari per la cottura sul
fuoco. All’inizio del secolo scorso la produzione meccanizzata delle ostie ha
condotto al loro graduale abbandono.
I cinque esemplari conservati in collezione presentano le stesse caratteristiche
strutturali con meccanismo a pinza e lo stesso materiale di realizzazione, il ferro
battuto, che inevitabilmente mostra zone intaccate da ossidazione, fenomeno
particolarmente vistoso sul n. 880. Sui piatti per lo stampaggio delle ostie si
contano da tre a cinque imprimiture di due dimensioni. Esse sono accomunate
dal ripetersi delle stesse figurazioni sacre: compare costantemente il cristogramma
al quale spesso si affianca la scena della crocifissione, con cura miniaturistica per
il dettaglio, e l’immagine del Christus Passus. Alcune delle imprimiture sono
caratterizzate da cornici decorative che definiscono la forme circolare dell’ostia
con motivi floreali, con il susseguirsi di minute stelle o con profilature polilobate.
Tutti i pezzi si conservano in buono stato.
Manifattura muranese (?), sec. XVIII-XIX
Ampollina
Vetro dipinto/ 14x9,3 cm Ø base/ Inv. 476
Vetro/ 11x8,5 cm Ø/ Inv. 1078
Vetro/ 10,5x4,6 cm Ø base/ Inv. 1188
Le ampolline sono piccoli contenitori di diverse forme e materiali atti a contenere
l’acqua e il vino non ancora consacrati. Sono, dunque, legate alla ritualità
eucaristica e la loro funzione perdura tutt’oggi fin dalle origini del cristianesimo
quando si diffuse l’uso comune di aggiungere dell’acqua al vino della
consacrazione. Generalmente le ampolline si distinguono a seconda della forma
che le caratterizza in tre categorie (BRAUN 1932, p. 422): vi sono contenitori a
fiaschetta, a boccale o a brocca. Inizialmente si usarono i materiali più disparati
fino ad orientarsi su una ristretta cerchia che prevedeva l’uso del vetro, del peltro,
dell’oro e dell’argento seguendo le normative prescritte dal Sinodo di Würzburg
del 1298.
L’ampollina n. 476 della collezione Ciceri è realizzata in vetro soffiato. La sua
forma coniuga alcune caratteristiche della tipologia detta a fiaschetta, in quanto
presenta un corpo panciuto dotato di lungo e sottile collo, con altre del tipo più
comune a brocca con piede d’appoggio, sinuoso versatoio e manico.
L’ampollina è inoltre dotata di piccolo tappo, sempre in vetro, sormontato da una
minuta sfera dipinta di nero. Quest’ultimo è anche il colore che ne caratterizza le
decorazioni dagli stilizzati motivi vegetali a girali che si dispiegano intorno al
monogramma cristologico IHS sormontato da croce. La scelta decorativa palesa
un gusto ancora vagamente settecentesco. L’ampollina n. 1078 risulta molto simile
tipologicamente alla precedente, dalla quale si differenzia per la mancanza di
piede, tappo e decori. Infatti, questo oggetto, come il n. 1188 dalla caratteristica
forma a brocca, è costituito da vetro trasparente completamente privo di simboli
eucaristici o religiosi.
I tre manufatti si conservano in ottimo stato.
Produzione locale, sec. XIX
Ampollina per il vino
Peltro/ 11x6,4 cm Ø base/ Inv. 1170
Peltro/ 11,5x5,6 cm Ø base/ Inv. 1172
Peltro/ 11,7x6,5 cm Ø base/ Inv. 1238
Produzione tedesca, sec. XIX
Ampollina per il vino
Peltro/ 11,3x6 cm Ø base/ Inv. 1171
I quattro esemplari spaiati di ampolline che si conservano in collezione
presentano caratteristiche pressoché identiche: tutti sono stati realizzati in peltro e
appartengono alla categoria di ampolline a boccale con piede circolare, struttura
bombata, manico a voluta, beccuccio, coperchio incernierato e contrassegnato
dalle lettere incise V o A (quest’ultima solo nel caso del n. 1238) ad indicarne il
contenuto. Si tratta di ampolline di uso piuttosto comune facenti parte del
normale corredo d’altare. Sulle superfici dei piccoli oggetti in questione non si
riscontra alcuna cura decorativa: piccole incisioni lineari ad anello si susseguono
scandendo le diverse parti di cui si compongono. Le ampolline inventariate con i
n. 1171 e 1172 hanno graziose maniglie per sollevare i coperchi sagomate a V,
richiamando così la lettera incisa sul coperchio stesso a ribadire il contenuto.
Ad eccezione del n. 1170 che si conserva in buono stato, tutti le altre ampolline
presentano superfici molto consunte e parti, come piedi e maniglie, piegati o
addirittura accartocciati.
Degno di nota è il punzone rinvenuto all’interno del n. 1171: esso rappresenta,
entro sagoma ovale, una figura angelica stante posta in mezzo alla sigla IZ e con
un’iscrizione mutila ai piedi che riporta le seguenti lettere: ENG[ ]ZIN[ ]. Tale
punzone è stato riscontrato anche su una coppia di candelieri in peltro della stessa
collezione (inv. 971a, 971b) e si tratta di un attestato di qualità tipico dei prodotti
di peltro di area tedesca realizzati in serie. Nada Boschian scrive che in tale zona
di produzione “era obbligatorio il marchio che ne attestasse la bontà, e già questo
poteva venir espresso in vari modi: con le scritte Feinzinn, Edelzinn, Engelzinn
(come nel nostro caso), Fin, oppure con segni convenzionali raffiguranti una rosa,
una corona, un angelo, due martelli incrociati, una brocca, dei cuori o una papera”
(in Il peltro, Milano 1966, p. 128).
Piatto
Bronzo battuto/ 4,5xØ 45 cm/ Inv. 1440
Piatto a forma di grande bacile che presenta lungo l’orlo della tesa una
decorazione a piccoli motivi floreali stilizzati e reiterati, iscrizioni sulla sponda e al
centro la raffigurazione sbalzata della Tentazione di Adamo ed Eva. I progenitori
sono rappresentati, secondo tradizione, ai lati dell’albero nel giardino dell’Eden
dove, sullo sfondo a destra, sorge un edificio di cui si vede un’aerea struttura ad
arco. Le due iscrizioni, racchiuse entro giri concentrici rispetto al fondo, recitano
invocazioni in carattere gotico.
La tipologia del piatto e le scelte decorative che lo informano inducono a ritenere
l’opera di manifattura tedesca e di epoca rinascimentale, momento che conobbe
l’ampia diffusione di simili esemplari, presenti in gran numero sul territorio
italiano: si veda il piatto conservato presso la chiesa di Santa Maria delle Scale a
Ragusa (sec. XV) con al centro la Tentazione di Adamo ed Eva, soggetto largamente
rappresentato, o quello del Museo napoletano di Capodimonte (sec. XVI),
raffigurante il Martirio di San Sebastiano con motivi ornamentali molto vicini a
quelli riscontrati sull’oggetto in esame. Non si è ancora accertato l’uso di tali
manufatti che, tuttavia, per la forma e le figurazioni di carattere sacro, si possono
ritenere piatti per elemosine poi convertiti a scopo puramente ornamentale come
spesso accerta, ed è anche il nostro caso, la presenza di un foro al centro della tesa
per l’affissione a parete.
Manifattura locale, sec. XIX
Acquasantiera mobile
Rame battuto, modellato e stagnato internamente/ ferro battuto e ottone; 166,5
cm/ Inv. 739
L’acquasantiera mobile deriva dal modello di quella fissa presente all’ingresso delle
chiese. Si diffuse un uso domestico già a partire dal X secolo per consentire ai
fedeli di compiere i riti della devozione privata con l’acqua benedetta.
L’acquasantiera della nostra collezione è costituita da un supporto in ferro
battuto, un catino e un secchiello di rame. Il supporto presenta tre piedi
convergenti in un solo gambo attorno al quale si dispiegano elementi di decoro a
volute disposti a raggiera. Al di sopra il ferro è modellato per accogliere e dare
stabilità al catino proseguendo poi in altezza con un unico elemento che presenta
un supporto per il secchiello forgiato a testa di serpente e collocato poco prima
della terminazione d’ottone con la raffigurazione stilizzata di anime fra le fiamme
del purgatorio. Il catino (16,8x36 cm.Øbocca) ha corpo panciuto che si restringe
poco sotto il bordo everso con finiture arrotolate. Una fascia, delimitata da
elementi a cordino rilevato, è caratterizzata da baccellature a ovuli concavi che
impreziosiscono le superfici lisce creando effetti di chiaroscuro. Il secchiello
(23x21,3 cm.Øbocca), chiuso da coperchio con pomello d’ottone, ha la base
arrotondata con un piccolo rubinetto d’ottone posto al centro. Un manico ad
arco, inserito nelle espansioni ad orecchie del bordo superiore del secchiello,
consente di sospendere l’oggetto sopra il catino.
Per quanto riguarda i manufatti in rame lo stato di conservazione può essere
giudicato discreto: le superfici risultano assottigliate e consunte, spaccature e
vistose saldature si notano nel catino dove tracce di verderame hanno intaccato gli
interni. Buono lo stato del supporto di ferro e di tutte le parti d’ottone.
La presenza dell’iconografia delle anime del purgatorio sul pomello d’ottone ci
permette di stabilire l’utilizzo in ambito sacro di tale oggetto, molto simile per le
caratteristiche formali al più comune lavamani di uso domestico, largamente
diffuso in zona carnica. La presenza di acquasantiere mobili è attestata nelle
abitazioni private e nelle sacrestie.
Manufattidevozionali
Schede a cura di Antonella Ortogalli e Silvia De Marco
Manifattura locale, sec. XIX
Corona
Bronzo dorato/ 6,5xØ 7,5cm/ Inv. 981
Le corone votive poste su raffigurazioni e statue di particolare valore da un punto
di vista devozionale si registrano nei documenti inventariali già a partire da epoca
tardo-medievale conoscendo la massima diffusione lungo il Seicento, quando i
repertori decorativi barocchi contribuirono a renderle straordinariamente ricche e
preziose.
La corona in esame è costituita da cerchio lungo il quale si susseguono pietre
colorate, con netta prevalenza di quelle viola, entro castone. Sul cerchio si
impostano elementi decorativi a forma di trifoglio che si alternano ad altri di
forma sferica. Il fastigio ha fitte volute che convergono al centro in un foro
circolare.
Buono lo stato conservativo. L’oggetto, privo di valore artistico, pare prodotto da
bottega artigiana locale.
Oreficeria locale, inizio sec. XIX
Corona
Argento sbalzato/ 7,5xØ 10cm / Inv. 1019a
Corona
Argento sbalzato/ 9,2xØ 6cm/ Inv. 1019b
Le due corone, accomunate stilisticamente, ma di dimensioni diverse,
costituiscono sicuramente il corredo decorativo di un gruppo scultoreo
raffigurante la Vergine e il Bambino a noi purtroppo ignoto. Castoni e finte perle
a sbalzo caratterizzano il cerchio inferiore di entrambe. Su di esso si impostano
motivi decorativi a conchiglia alternati ad altri tratti dal repertorio vegetale, incisi e
sbalzati. Il fastigio è costituito da quattro volute a foggia di foglie lanceolate che si
inarcano convergendo verso il centro. La corona di dimensioni ridotte, destinata a
Gesù Bambino, conserva ancora il globo con crocetta apicale patente al di sopra
del fastigio.
Gli oggetti si conservano in buono stato. Non si riscontrano tracce di punzoni che
ci aiutino ad identificare la paternità dei manufatti, tuttavia sulla croce della corona
n. 1019b il marchio di una piccola incudine rappresenta il simbolo che veniva
utilizzato per i minuti lavori d’argento di secondo titolo (800) e spesso, se da solo
come in questo caso, esso faceva riferimento ad un intervento di restauro.
Oreficeria locale, sec. XIX
Corona
Argento sbalzato e cesellato/ 9,2xØ 6cm./Inv. 1353
La corona presenta elementi decorativi puntiformi e floreali lavorati a sbalzo sulle
superfici del cerchio e delle quattro volute che si congiungono all’altezza del
globo con croce apicale dalle terminazioni trilobe. Lo stato di conservazione è
mediocre con cerchio che ha perso l’originaria saldatura e una voluta spezzata
all’altezza del globo. Non si registrano punzoni di alcun tipo.
Manifattura locale, inizi sec. XIX
Arca battesimale (arcje)
Legno, vetro, ferro e stoffa/ 52,5x84,5x36,5 cm/ Inv. 890
Nelle tradizioni popolari il battesimo, inteso non soltanto come rito religioso,
rappresentava soprattutto l’occasione per ufficializzare l’ingresso nella comunità
d’appartenenza di un nuovo bambino. Ecco dunque che anche il tragitto dalla
casa alla chiesa verso la fonte battesimale diveniva momento collettivo: si
snodava per le strade del paese la processio ad fontem con un vero corteo costituito
dai genitori, i padrini, i parenti, qualche amica e la levatrice. Chi aveva il compito
di portare il bambino era una ragazza molto giovane, il simbolo dell’innocenza.
Per proteggere il battezzando da sguardi malevoli si usava poi coprirne il volto
con un velo. Per far fronte ai rigori invernali il bambino, che di norma riceveva il
battesimo pochi giorni dopo la nascita, veniva posto in un arca di legno e vetri,
“solitamente di proprietà della levatrice” (A. NICOLOSO CICERI 1982, p. 93).
Questa antica tradizione locale viene ripresa anche da Giancarlo Menis in un
articolo a commento della novella di Caterina Percoto intitolata La femine di Buje
(G.C. MENIS, La femine di Buje, in “Buje pore nuje!”, n. 8, a. 1989, p. 13-14, dove,
per altro, è pubblicata l’arca battesimale della collezione Ciceri contrassegnata dal
numero d’inventario 140). La novella, ambientata a Buia nel 1857, racconta la
storia di uno strano battesimo che ha come protagonista un bambino
accompagnato in chiesa dal consueto corteo proprio all’interno di un’arca qui
definita urne. Presso il Museo di Arti e Tradizioni Popolari di Tolmezzo si
conserva un’arca per due bambini proveniente dalla val Pesarina (GORTANI 1965,
p. 103) e il Museo Friulano delle Arti e Tradizioni Popolari di Udine ne possiede
ben tre esemplari ottocenteschi.
L’arca della Collezione Ciceri contrassegnata dal numero d’inventario 890 si
imposta su piedi zoomorfi riproducenti grossi pesci, forse dei delfini. Il coperchio
è costituito da otto finestrelle di vetro e due aperture, poste sopra le maniglie di
ferro sui lati brevi, schermate da decori lignei a motivi vegetali. Le superfici sono
caratterizzate da incisioni dorate che si dispiegano con grande rigore simmetrico
in particolare sul coperchio, dove racemi fioriti e disegni geometrici convergono
verso l’agnello scolpito che sormonta l’arca. Gli interni sono foderati da carta di
colore blu con piccole girandole a stella di colore nero. I vetri originariamente
erano coperti da tendine color porpora bordate da canottiglia dorata. Un
materassino con imbottiture laterali costituiva il morbido giaciglio per il
battezzando.
Lo stato conservativo è discreto a causa della diffusa tarlatura e delle condizioni
degli interni, dove si conservano solo brandelli della stoffa che schermava i vetri.
Non vi sono notizie documentarie sull’urna in esame, che pare essere un
manufatto locale della prima metà dell’Ottocento.
Vittorio Madrisotti (Bertiolo), 1883
Arca battesimale (arcje)
Legno, vetro ottone e stoffa/ 38x74x32cm./Inv. 140
Bibliografia: MENIS 1989, p. 14.
Iscrizioni: Vittorio Madrisotti fece il compimento del lavoro il 21 dicembre nel 1883 Bertiolo.
21/12. ANNO 1883.
L’arca è costituita da cassa lignea su otto piedini e con eleganti maniglie d’ottone
inciso sui lati brevi. Alle maniglie è cucito un lungo nastro di stoffa color porpora.
Il coperchio a finestrelle di vetro culmina con una cornice rialzata e intagliata a
volute vegetali che risaltano sul fondo di tela rossa. Su tale cornice trovano
collocazione due pomelli di ottone necessari per il sollevamento del coperchio
stesso. L’interno presenta un rivestimento di carta verde su cui si notano vasti
aloni dovuti all’umidità.
L’oggetto, che si conserva in discrete condizioni con cadute delle vernici sulle
superfici lignee e piccole crepe sui fianchi, presenta un’iscrizione manoscritta
sotto la base: Vittorio Madrisotti fece il compimento del lavoro il 21 dicembre nel 1883
Bertiolo. All’interno del coperchio un’altra iscrizione tracciata a lapis ribadisce la
data d’esecuzione del manufatto: 21/12. ANNO 1883.
Manifattura locale, 1772
Targa dedicatoria
Legno intagliato e dipinto/ 71x92 cm/ Inv. 1420
Iscrizioni: DOM/ DEDTIO HUIUS ECCLESIE DE DIE 7MA/MO JULY AD
DMCAM PMAM D MENSIS/ TRASLATA FUIT AB EXELEMO ; ET / RMO
DNO DNO : JO HIERM GRADENICO ARCHPO UTINENSI: DIE 16
JUNY 1772. CONSECRACIO HUIUS ECCLESIAE SMI REDEMPTORIS AC
SS. ROCHI & SEBASTIANI FACTA FUIT AB ILL.MO & R.MO DNO
EUSEBIO CAIM° UTINENSI EPISCOPO G MONIENSI SUFFRAGANEO
& VICAO : GENALI PATRIARLIS ECCX ACQIS ANNO DNI 1624 DIE VERO
SEPTIMA MENSIS IULY .
La targa dedicatoria, al pari di una targa devozionale che veniva affissa
esternamente alla chiesa per comunicare importanti annunci o devozioni
particolari, è una tavola di legno sagomato, a volte anche di cuoio o metallo, che
veniva dipinto e decorato.
La targa in esame presenta, entro cartiglio dal profilo mistilineo circondato da
volute e foglie d’acanto interrotte da una testina cherubica, la seguente iscrizione:
DOM/ DEDTIO HUIUS ECCLESIE DE DIE 7MA/MO JULY AD DMCAM
PMAM D MENSIS/ TRASLATA FUIT AB EXELEMO ; ET / RMO DNO DNO
: JO HIERM GRADENICO ARCHPO UTINENSI: DIE 16 JUNY 1772. Il
tutto è giocato su tonalità celesti e giallo ocra stese sulla tavola a pennellate veloci
e ampie. Sul retro, oltre alla presenza di un anello per l’affissione a muro, si rileva
una targa metallica con un’altra iscrizione:
CONSECRACIO HUIUS ECCLESIAE SMI REDEMPTORIS AC SS. ROCHI
& SEBASTIANI FACTA FUIT AB ILL.MO & R.MO DNO EUSEBIO CAIM°
UTINENSI EPISCOPO G MONIENSI SUFFRAGANEO & VICAO :
GENALI PATRIARLIS ECCX ACQIS ANNO DNI 1624 DIE VERO SEPTIMA
MENSIS IULY.
L’iscrizione dipinta fa riferimento a Gian Gerolamo Gradenigo (Venezia 1708 –
Udine 1786), arcivescovo di Udine dal 1766. A lui si deve la versione in friulano
del catechismo che uscì a Udine nel 1772 (anno esplicitamente menzionato sulla
targa) e nel 1779. A partire dal 1782 si dedicò alla costruzione dell’ospedale di
Santa Maria della Misericordia.
Manifattura di area friulana, sec. XIX
Presepe girevole
Legno/ 54x44x42,6 cm/ Inv. 141
Iscrizioni:“SIA LODATO/GESU’ CRISTO”
Bibliografia: DELUISA-DELUISA1978; NICOLOSO CICERI 1982.
Presepe girevole proveniente da Strassoldo, che risale alla fine del XIX secolo,
opera del falegname Venceslao Dri (NICOLOSO CICERI1982, p.585). Le
statuine sono collocate su una piattaforma circolare fatta girare grazie ad una
manovella posta sul retro della “cassetta- armadietto”(DELUISA- 1978, p.14) che
contiene il presepe, chiusa da due ante su cui, internamente, sono apposte le
scritte: “SIA LODATO” (anta di sinistra), e GESU’ CRISTO (anta di destra). In
corrispondenza di ciascuna anta è collocata una candela. L’interno della cassetta è
tappezzato con carta blu stellata, carta che riveste anche il cono che gira sul perno
attorno al quale avviene la rotazione, su cui è addossata la capanna della Natività.
Ai lati della cassetta, in corrispondenza del coperchio, due maniglie di ferro ne
permettevano il trasporto. Questo presepe, utilizzato a Strassoldo durante i riti
della questua del periodo natalizio, era conosciuto anche come “DORMI,
DORMI”, dall’incipit di una canzone natalizia in italiano infarcito di termini del
dialetto veneto, che veniva cantata nelle chiese del cervignanese durante le Messe
e le funzioni del ciclo natalizio, e di cui si ha notizia già agli inizi dell’800. Il
presepe veniva portato di casa in casa da tre ragazzi, tre come i Re Magi, in
cambio di piccole offerte di cibo o di denaro. Il rito aveva inizio la Vigilia di
Natale, a sera inoltrata, e terminava il giorno di Santo Stefano; si partiva dalle case
del paese situate verso Palmanova, mentre il giorno di Natale si procedeva con le
case di Molin di Ponte, per finire il 26 con quelle di San Gallo, Cisis e Torat.
Prima di entrare in casa, i ragazzi, accompagnati da un piccolo coro formato da
due o tre cantori, i “pastorelli”, chiedevano alla famiglia: “ Seso contenz di ricevi
Gjesù Bambin?”. A risposta affermativa, i questuanti varcavano la soglia,
posavano la cassetta su un tavolo ben in vista, aprivano i due sportelli,
accendevano le candele e davano inizio al canto del DORMI DORMI eseguito a
due voci. Nel frattempo, un ragazzo azionava la manovella, facendo girare la
piattaforma e quindi cambiando di volta in volta la scena del presepe. Di norma in
ogni famiglia venivano eseguite tre sole strofe, ma nel caso di offerte
particolarmente generose, il coro poteva continuare fino ad eseguire tutto il canto.
Seguiva l’augurio di “Bon Nadâl a dute le companîe” e i ragazzi lasciavano la casa
accompagnati dal suono di campanelle. Al termine del percorso, i ragazzi si
rifocillavano con quanto raccolto e il presepe veniva riportato in chiesa dove il
sacrestano provvedeva alla sua manutenzione e alla sostituzione delle statuine
mancanti o usurate, come testimoniato dall’eterogeneità dei pezzi evidentemente
appartenenti ad epoche differenti. La tradizione del “DORMI DORMI” è
continuata fino almeno agli inizi degli anni ’70, per poi limitarsi, in tempi più
recenti, alla sola esecuzione del canto in chiesa.
Le questue erano una pratica diffusa in tutta la regione e riguardavano per lo più il
periodo invernale, dalla festa dei Morti al Carnevale, il periodo in cui granai e
dispense erano riforniti di provviste. Infatti, oltre al valore sacrale e rituale, questi
riti avevano anche un valore sociale, di ridistribuzione dei beni all’interno della
società, punto di partenza per l’inizio di un nuovo ciclo, diventando poi,
rappresentazioni ritualizzate di questi meccanismi di solidarietà alla base della
società tradizionale. Nicoloso Ciceri precisa come questuare non significhi
elemosinare, perché dell’offerta non beneficiano solo gli “attori” del rito, ma
l’intera comunità: il dono è considerato un atto propiziatorio non solo per chi lo
riceve ma anche per chi lo compie e addirittura si considera “pericoloso” non
donare o non ricevere la richiesta di dono. Al rito partecipavano principalmente i
bambini, considerati nella cultura tradizionale “innocenti” e quindi il tramite ideale
con l’ “Ultraterreno”, ai quali era affidato il compito di portare il “sacro” nelle
case attraverso canti, presepi, stelle, in una sorta di dalogo tra spazio interno ed
esterno alle abitazioni. Se nelle zone della Bassa friulana, come del resto dimostra
lo stesso Dormi Dormi, era diffuso l’uso di presepi itineranti per i riti di questua
invernali, nelle zone montane i giovani portavano in questua soprattutto la Stella o
un Gesù Bambino di cera variamente infiocchettato. Le questue molto spesso
erano gestite dalla compagnia dei coscritti ed erano connesse a riti iniziatici come
le Cidulis o l’Albero di maggio.