SUPPELLETTILI ECCLESIASTICHE E MANUFATTI DEVOZIONALI Altarietabernacoli Schede a cura di Dania Nobile Manifattura friulana (bottega dei Comuzzo?), sec. XVII Ancona Legno scolpito e dipinto 55,5x29x8,3 cm/ Inv. 144 Iscrizioni: sul fondo del basamento “CICERI TRICESIMO”; sul dorso “63” Bibliografia: Religiosità popolare…1980, p. X.97. L’oggetto in esame può essere descritto come una piccola ancona “a portale” a base mistilinea definita da quattro alti plinti ornati, su ciascun lato, da formelle con motivi fitomorfi e cherubini. Su questi piedistalli sono collocate quattro colonne, due per lato, poste in avancorpo rispetto al piano dell’ancona. In esso si trova la consueta apertura, situata nel centro e atta a incorniciare le sculture o le pale d’altare, caratterizzata da un mascherone. Questa ideale finestra poggia su una mensola modanata ed è affiancata da due lesene decorate con incisioni ornamentali e contraddistinte da un capitello composito. Quest’ultimo caratterizza anche le colonne, dal fusto adorno di viticci a spirale, poste a sostegno di una elaborata trabeazione in cui ai consueti elementi decorativi si affiancano dei pregevoli intagli a giorno situati tra il capitello e la trabeazione. Su quest’ultima si erge la cresta composta da un elemento rettangolare profilato lateralmente da due motivi a volute e sormontato da un timpano classico. A completare la decorazione concorrono due singolari paraste che, con un imponente decoro a foglia, affiancano un oculo centrale. Il manufatto si presenta in pessimo stato di conservazione con una diffusa formazione fungina di colore biancastro. La piccola ancona è segnata da diverse cadute delle parti decorative che, comunque, essendo state meticolosamente raccolte potranno essere facilmente reintegrate nella struttura originaria. Risulta inoltre evidente come tale problema abbia interessato questo oggetto già molto tempo prima del suo ingresso all’interno delle collezioni museali. Diverse parti dell’ancona sono state infatti puntualmente ricostruite con un intaglio che suggerisce l’intervento di un artigiano colto e soprattutto perfettamente consapevole della correttezza filologica che si adopera in questo tipo di restauro. Egli, infatti, si è limitato a riproporre con le medesime fattezze le porzioni mancanti, senza però intervenire con colore o altro materiale che ne avrebbe alterato l’aspetto equiparandolo, erroneamente, al manufatto originale. Questo indica una certa sensibilità che appartiene a un restauro moderno a cui va riferito questa opera di integrazione. Questo singolare oggetto ricalca dunque le fattezze proprie di una alzata d’altare risolta, però, in piccole dimensioni. Tale motivo consente di ipotizzare che il manufatto sia un modello per la realizzazione di una più complessa opera a carattere monumentale. Inoltre la presenza sul dorso del numero “63”, manoscritto sia sull’oggetto che su un’etichetta ad esso applicata, permette di avvicinare tale modello a quello presentato in occasione della mostra sulla religiosità popolare in Friuli tenutasi a Pordenone nel 1980. Nessun supporto fotografico concorre, purtroppo, ad avvalorare tale ipotesi che trova come unico elemento a sostegno la corrispondenza numerica (63) tra questa ancona e il manufatto esposto che viene segnalato come “modellino di altare cinquecentesco” (cfr. Religiosità popolare…p. X.97). Pur non condividendo la datazione proposta in quella sede si ritiene ragionevole identificare il pezzo esposto a Pordenone con quello qui presentato. Se così fosse si potrebbe, anche in virtù degli elementi già vagliati, considerare il restauro come intervento compiuto in occasione di quella esposizione. Probabilmente prodotto locale, questo piccolo modello si lega alla fortunata tradizione artigianale di scultori friulani, che vanno dal noto gemonese Gerolamo Comuzzo (Gemona 1589/1591 – post 1670) fino a Giovanni Saidero di Venzone (Venzone 1611 - ?), dei quali il nostro anonimo intagliatore può forse considerarsi un allievo. Nella raffinatezza dell’intaglio e nel vasto repertorio decorativo sembra infatti di poter leggere, in questo modello, concreti rimandi alle botteghe di quei artisti che tra Carnia e Cadore arricchirono le chiese con sontuosi altari lignei. In modo particolare il modello della collezione Ciceri, con le caratteristiche testine decorative poste sui plinti delle colonne e i motivi fitomorfi sulle stesse, sembra una trascrizione di qualche altare comuzziano dalla cui consueta tipologia si differenzia soltanto per la mancanza dei tipici fastigi laterali e per la presenza del coronamento superiore con oculo centrale, motivo alquanto desueto nella produzione comuzziana. Il repertorio iconografico che caratterizza questo modello, se pur ricorrente nell’altaristica seicentesca, lo affianca ad altari come quello nella parrocchiale di Collina di Gerolamo Comuzzo o a quelli nella chiesa della Madonna in Monte di Raveo e nella Pieve di San Martino a Clauzetto attribuiti da Giuseppina Perusini (G. PERUSINI 1985(a), p. 62) a Francesco Comuzzo (Gemona 1629 – vivente nel 1666). Quest’ultimo, insieme al fratello Giovan Vincenzo, frequentò fino alla prima metà del ‘600 la bottega del padre Gerolamo dal quale apprese i segreti dell’intaglio e di quel particolare stile e carattere che fecero la storia dell’altaristica lignea del Seicento friulano. Si può dunque avanzare l’alettante ipotesi che il manufatto in esame sia il modello preparatorio se non proprio per gli altari di Collina e di Raveo senza dubbio per qualche lavoro molto simile. Legato dunque all’importante tradizione scultorea friulana questa piccola ancona potrebbe trovare una ragionevole collocazione nella bottega comuzziana della seconda metà del XVII secolo. Manifattura locale, sec. XIX - XX Ancona Legno scolpito e dipinto/ 58x53x9,5 cm/ Inv. 888 Questa ancona presenta una struttura pressoché rettangolare su cui sono apposti i tipici elementi propri dell’architettura. Due semplici lesene e una cresta ornamentale sono collocate su tre diversi registri così da conferire spessore all’oggetto e suggerirne una certa profondità di campo. Le colonne composte da un fusto liscio, caratterizzato dall’entasi, base e capitello grossolanamente intagliati con motivi geometrici, sono poste quale immaginario sostegno della copertura. Su quest’ultima sono fissate, nella parte frontale, delle applicazioni con decoro a treccia che divide una pittura a singolari strisce alterne di colore giallo e nero. In secondo piano sono apposte altre guarnizioni rifinite con un semplice intaglio che propone un motivo a volute. Ciò che resta della decorazione del timpano è un piccolo elemento triangolare, anch’esso applicato alla intelaiatura dell’ancona, caratterizzato da una greca. Altri ornamenti completano l’addobbo del basamento: ai lati, al di sotto delle colonne, due cherubini fanno da cornice a un fregio in cui sono descritti due ramoscelli fioriti le cui estremità s’intrecciano al centro. La cornice interna è invece priva di significativi decori e si distingue solamente per le tonalità neutre adottate. Dai resti di juta visibili sul retro dell’oggetto si può facilmente dedurre che esso contenesse una piccola tela, ove era probabilmente raffigurato il santo a cui l’altare era dedicato. Le diverse applicazioni che si riscontrano fanno supporre che esse non siano nate quali decori per questo manufatto, ma siano state ad esso adattate. Il frammento visibile nel timpano, in particolare, sembra provenire da uno scarto di qualche cornice; comunque ciò che oggi rimane è soltanto una parte di questa decorazione che, con ogni probabilità, si estendeva a coprire tutto il timpano così da rivestire le parti che attualmente rimangono visibili e che, come ad esempio il gancio metallico, di certo non dovevano essere scoperte. Il manufatto non si presenta in buono stato di conservazione, si rilevano infatti alcuni segni di tarlatura e diverse cadute del colore che, in modo particolare nelle colonne, hanno permesso di riconoscere l’originale decoro che simulava le venature del legno. La lavorazione artigianale e a brani piuttosto ingenua inserisce tale oggetto all’interno di una manifattura locale di modesta fortuna, probabilmente nemmeno riferibile a qualche bottega. Sembra infatti plausibile l’ipotesi che si tratti di un prodotto confezionato da un fedele e non da un esperto e qualificato intagliatore. Le dimensioni dell’ancona consentono poi di immaginare una sua ubicazione in qualche chiesa campestre locale. La fattura dell’oggetto e la natura delle applicazioni ad esso apposte portano a supporre una collocazione cronologica tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo. Manifattura locale, sec. XIX - XX Ancona Legno scolpito e dipinto/ 118x93 cm/ Inv. 891 Ancona lignea a frontale architettonico con base ad andamento mistilineo su cui poggiano quattro colonne, due per lato, con fusto ad entasi e a superficie liscia, e basamento e capitello delle medesime fattezze. Le colonne consentono di raccordare la parte inferiore con quella superiore, la quale ricalca puntualmente la sagoma della struttura di base. Sopra la trabeazione è applicato un frontone a profilo rettangolare anch’esso caratterizzato da due piccole colonne, simili a quelle collocate nel registro inferiore, poste su due alti plinti e atte a sorreggere la decorazione apicale contrassegnata da due motivi a “S” scanalati. A completare l’ornato dell’ancona concorrono dei fregi, a semplici volute, applicati ai lati sia del registro inferiore sia di quello superiore. Il frontone è a sua volta fiancheggiato da due elementi trapezoidali, ricavati col medesimo intaglio visibile in altre parti del manufatto, ed inoltre è fornito di oculo decorativo. Quest’ultimo costituiva in origine la cornice di un quadro collocato sul retro e tale funzione può essere ragionevolmente conferita anche alla sottostante apertura arcuata posta nel centro dell’ancona. Su queste finestre si affacciavano dunque dei dipinti realizzati probabilmente su tavola se si considerano alcune tracce significative, come i fori lasciati dai chiodi e le sagome sbiadite, che avvalorano l’ipotesi dell’utilizzo di un supporto pittorico ligneo. Da rilevare che, sempre sul dorso del manufatto, sono applicate due robuste tavole di legno poste come rinforzo laterale dell’ancona. Queste bande, oltre a consolidare la struttura dell’oggetto, sollevano anche delle perplessità circa la presenza di un dipinto su tavola anche all’interno della finestra centrale. Infatti uno dei due rinforzi presenta delle singolari scanalature che evocano un gioco ad incastro, in cui l’altra parte poteva essere rappresentata da un telaio con le due assi minori sporgenti, così da incastonarsi perfettamente alla cornice. L’aspetto pittorico dell’ancona è orchestrato sui diversi toni dei bruni ai quali si affiancano il rosso e il blu pavone riservati ad alcune parti dell’oggetto. L’unica caratterizzazione cromatica è rappresentata dal fondo, risolto con un effetto marmorizzato, che circonda l’ovale del frontone. Lo stato di conservazione in cui versa il manufatto è piuttosto scadente: alle considerevoli cadute di colore si affiancano degli interventi di risanamento della struttura del tutto arbitrari e condotti in modo piuttosto approssimativo e inesperto. Senza ponderare con attenzione i danni che un simile atto provoca alla superficie lignea molte delle parti disgiunte sono state fissate con un’applicazione di silicone. Questo dato evidenzia senza dubbio la natura artigianale di questo intervento che, considerando il materiale utilizzato, non può che ritenersi recente. L’aspetto industriale che contraddistingue l’opera la inserisce nell’ambito di una manifattura di periferia della fine del XIX secolo. Infatti le formule architettoniche proposte in questa ancona perdono quella grazia e cura artigianale con le quali analoghi manufatti erano stati realizzati nei secoli in cui la scultura lignea toccò il suo apice. Manifattura locale, sec. XIX – XX Tabernacolo Legno scolpito, dipinto e dorato, ferro/ 60x65x39 cm/ Inv. 895 Su una base a parallelepipedo con frontale modanato si erge questo tabernacolo a tempietto mancante della copertura. Il prospetto è costituito da una parte centrale, di forma rettangolare, arricchita ai lati da due fregi realizzati disponendo su una base bianca degli elementi vegetali, volute e motivi ad ovulo ricoperti da uno strato di porporina. Quest’ultimo caratterizza anche i tre decori posti sul basamento, dipinto a imitazione del marmo nero antico, e la cornice che divide la specchiatura, anch’essa marmorizzata, dal riquadro centrale nel quale si inserisce lo sportello centinato in ferro dorato. I due fregi, posti ai lati del prospetto, celano dei preziosi decori che adornano i fianchi del ciborio. Le figure della Vergine in preghiera e, nella parete opposta, dell’Arcangelo Gabriele chiariscono senza dubbio l’iconografia. La presenza dell’Annunciazione desta meraviglia se si considera che solitamente i decori per questo particolare oggetto erano attinti dagli eventi e dai simboli della Passione di Cristo. Il tratto semplice, ma nel contempo raffinato, delinea queste due figure le cui fisionomie sono del tutto conformi ai canoni classici e non rilevano particolari tipizzazioni locali. La porticina del Santissimo è costituita da un doppio sportello, quello interno costituito da ferro grezzo non presenta alcun tipo di decoro, mentre quello esterno reca una lavorazione a sbalzo. In quest’ultima sono proposti i simboli eucaristici riconoscibili nel tralcio di vite, da cui germogliano un rigoglioso grappolo d’uva e l’ostia raggiata con Cristogramma centrale, su cui s’intrecciano due spighe di frumento. L’interno dei tabernacoli era solitamente foderato con del tessuto così da preservare le Sacre Specie dall’umidità. Aprendo la porta del nostro ciborio si può osservare solo ciò che resta del rivestimento e della cortina in seta bianca rifinita con ricami in filo viola che ricalcano eleganti arabeschi floreali. La scelta cromatica del tessuto e del filato della decorazione è riconducibile al significato simbolico che nella tradizione eucaristica si consacra a questi due colori: il bianco inteso quale emblema di purezza e il viola come simbolo di penitenza. Questo decoro va dunque a impreziosire quello che è un accessorio molto importante per il ciborio in quanto accentua la sacralità e la venerazione verso ciò che esso contiene. L’aspetto conservativo non è ottimale se si considerano le parti mancanti e le notevoli e significative cadute di colore. Lo sportello presenta una diffusa copertura di ossido di ferro, mentre il prezioso tessuto ricamato che si trova all’interno è seriamente danneggiato da abrasioni di diversa natura. Le due tavole dipinte si mostrano, nel complesso, in discreto stato di conservazione mantenendo inalterata la superficie pittorica su cui sono ravvisabili solo alcune cadute di colore e lievi fratture del supporto, elementi che comunque non disturbano la corretta lettura dell’immagine. L’essenzialità del decoro, la morfologia delle figure, la natura dei pigmenti e il modo col quale essi sono stati utilizzati fanno propendere verso una manifattura della fine del XIX secolo. Considerando il materiale utilizzato si può ragionevolmente ipotizzare che tale tabernacolo trovasse una sua originaria collocazione all’interno di qualche contesto religioso locale, probabilmente carnico, in cui la realizzazione in legno di questo genere di manufatto perdura al crescente gusto verso gli analoghi elaborati lapidei o marmorei. Manifattura locale, sec. XVIII - XIX Tabernacolo Legno scolpito, dipinto e dorato/ 78x61x43,5 cm / Inv. 896 Iscrizioni: sul dorso dello sportello: “ Marie bon (?)/ mère (?) : Proteges mon marì / et faites qui il revienne / bientōt [bientôt]_ A.B. le 15.10.39” Tabernacolo a tempietto con base mistilinea caratterizzata da quattro prominenze angolari decorate con delle volute. I due plinti in primo piano sostengono delle colonne a fusto tortile e capitello corinzio, mentre quelli posteriori reggono due paraste antropomorfe. La trabeazione presenta un’essenziale cornice ornata con delle gocce, mentre la copertura del tabernacolo è risolta con una semplice lastra lignea profilata seguendo i contorni del ciborio. Sui fianchi di quest’ultimo si possono osservare due interessanti nicchie arcuate, delimitate da pilastri fitomorfi e dotate di un pregevole fondo dorato. Di questa doratura rimane soltanto una parte che circonda una sagoma dai contorni indefiniti. Questo elemento è comune alle tre nicchie compresa quella che funge da sportello le cui fattezze, considerando il pessimo stato di conservazione, sono comprensibili solo comparandole con quelle delle edicole laterali. Il tabernacolo in esame si presenta in pessime condizioni conservative e a risentirne non è solo la cromia, ma anche l’intera struttura architettonica del manufatto, seriamente compromessa da gravi fratture. La raschiatura visibile sulla superficie dorata delle tre nicchie porta a supporre che sia la conseguenza di un distacco intenzionale di una piccola scultura lignea o di un bassorilievo, in origine applicati sulla parete dell’edicola stessa. Non si spiegherebbe altrimenti il tipo di doratura; essa è infatti stesa esclusivamente su alcune porzioni della superficie che, evidentemente, dovevano rimanere scoperte. Valutando le dimensioni della base semicircolare della nicchia, qualunque siano state le sculture presenti in questi spazi è certo che esse dovevano occupare il minimo ingombro. La porticina del Santissimo reca sul dorso una particolare iscrizione in francese con cui una donna chiede protezione e grazia per il marito lontano. Tale invocazione, realizzata con pennino e inchiostro blu, riporta anche una data utile per collocare cronologicamente questo intervento che può essere, infatti, portato al novecento considerando il metodo assolutamente moderno col quale viene siglato l’anno. L’unico dubbio sulla datazione scaturisce dall’utilizzo del pennino, forse più usuale nel XVIII secolo. Alcuni elementi decorativi che abbelliscono questo tabernacolo lo inseriscono a pieno titolo entro un artigianato di gusto ancora settecentesco, mentre l’intaglio piuttosto ingenuo, riferibile a una realtà di periferia, lo colloca in un contesto locale, probabilmente collinare, tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo. Manifattura locale, sec. XVIII Cupola di tabernacolo Legno scolpito, dipinto e dorato/ 28,5x55,5x25 cm / Inv. 887 L’oggetto a base semipoligonale è contraddistinto da un intaglio a fasce che con il loro andamento ne sottolineano la tipica forma a cipolla. Ai quattro angoli vi sono delle eleganti foglie d’acanto, unico elemento decorativo di questa cupola al cui vertice è situato un motivo apicale. Esso costituisce la base d’appoggio per quegli elementi – croce d’altare o tronetto per l’esposizione eucaristica – che solitamente venivano adagiati sulla copertura dei tabernacoli al fine di accentuarne maggiormente la loro funzione sacra. L’aspetto cromatico del manufatto è giocato prevalentemente sull’azzurro che trova una calibrata alternanza con l’oro utilizzato nella fascia mediana e nel decoro posto al vertice. Dai pochi residui presenti sulla superficie si evince che le foglie d’acanto erano in origine ricoperte da una stesura pittorica che comprendeva colori quali il rosso e il verde, rilevati in particolare in prossimità delle venature, che si affiancavano alla doratura di cui rimangono solo delle lievi tracce. L’opera in esame non si presenta in buono stato di conservazione soprattutto per quanto concerne la stesura pittorica che presenta diverse e diffuse cadute della pellicola. La parte prettamente decorativa è interessata da alcune crepe che disturbano la lettura delle venature delle foglie. Sul retro dell’oggetto sono ben visibili i solchi lasciati dalle sgorbie di questo anonimo artigiano locale. Con tale accorgimento egli ha conferito leggerezza al manufatto, indicandoci anche la sua collocazione che rientrava nel contesto di un tabernacolo probabilmente incastonato all’interno di un’alzata d’altare. Si presume, infatti, che la forma semipoligonale e la lavorazione ad intaglio della cupola siano stati adottati in ragione di una visione esclusivamente frontale dell’oggetto. La tipologia dei decori, il linguaggio attardato che caratterizza alcune zone montane e il profondo legame che le genti di quei luoghi mantiene con le tradizioni locali dell’intaglio del legno, collocano questo oggetto alla fine del XVIII secolo. Apparatiprocessionali Schede a cura di Dania Nobile Manifattura alpina, sec. XVIII Tintinnabolo Legno intagliato/ 176x52 cm / Inv. 893 Strumento processionale in legno costituito da una targa triangolare e da un’asta formata da diversi elementi a sezioni poliedriche. Il fusto è caratterizzato da un nodo cubico, decorato con due bugne a punta di diamante, sopra cui è collocata una ghirlanda di foglie che, ricalcando l’aspetto quadrangolare della struttura, conduce ad un altro corpo geometrico, dalle forme sinuosamente arrotondate nella parte inferiore, intervallato da un anello modanato che lo divide dall’elemento apicale su cui è fissata la targa. Quest’ultima presenta un raffinato intaglio a motivi vegetali e volute due delle quali, proseguendo con dei decori floreali, delineano la sagoma del tintinnabulo e consentono di raccordare visivamente le due parti che lo compongono. La parte centrale della targa è contraddistinta da un’apertura arcuata, d’ispirazione architettonica e poggiante su una fascia a decori geometrici, caratterizzata da due colonne ioniche poste ai lati. La chiave di volta dell’arco a tutto sesto è sormontata da una croce sotto cui sono collocati i tre sacri chiodi che alludono agli episodi della Passione. Il fondo della targa è singolarmente rifinito con un intaglio a mattonelle che, unito alla forma stessa dell’insegna, sembra voler simulare il caratteristico tetto delle chiese alpine. All’apice del tintinnabolo, inserita entro un cilindro ligneo, si nota una punta metallica su cui veniva probabilmente infilato un crocifisso o, più semplicemente, un pomello ornamentale. Il gancio metallico, posto immediatamente sotto la chiave di volta, serviva a reggere la campanella il cui suono fungeva sia da richiamo durante le processioni, sia da fattore utile a dare il giusto ritmo all’andatura del corteo. A supportare l’ipotesi dell’originaria presenza di questo strumento musicale concorre una significativa raschiatura nel verso della targa, dovuta sicuramente allo sfregamento della corda della campana con la superficie lignea. Lo stato conservativo dell’oggetto è ottimo considerando che mancano completamente segni di tarlatura o abrasioni varie che possano deturpare l’aspetto complessivo dell’opera. Il pezzo della collezione Ciceri sembra dunque trovare una legittima collocazione entro la categoria dei tintinnaboli (o tintinnabuli), oggetti ecclesiastici che aprivano le processioni precedendo il padiglione e la croce. Questi strumenti potevano sorreggere fino a tre campanelle oppure, come nel nostro caso, soltanto una posta nel centro. L’intaglio, se pur ricercato, presenta una grammatica piuttosto rigida forse dovuta all’utilizzo di un’essenza difficilmente modellabile. L’aspetto globale del manufatto lo colloca in un ambiente alpino della fine del XVIII secolo. Manifattura locale, sec. XVII-XVIII Mazza processionale Legno intagliato dipinto e dorato/ h. 211,5 cm/ Inv. 1376 Asta processionale lignea formata da un bastone disadorno a cui è applicata una parte decorativa proteiforme. Il primo registro è costituito da un pomello ovoidale, ornato con motivi vegetali, sormontato da una ghirlanda formata da quattro testine chine alternate ad altrettante foglie dorate. L’intaglio prosegue con una fascia a foglie d’acanto, un elemento che viene riproposto anche nella corona che introduce al motivo centrale dell’asta. Il fulcro della decorazione è infatti rappresentato da una figura scolpita, forse un angelo, che in origine faceva parte di una sorta di giostra di piccole statue. Il solo elemento scultoreo rimasto, infatti, ci consente di immaginare la disposizione delle figure che, poste sopra dei piedistalli, sorreggevano l’ornato superiore. Quest’ultimo risulta essere perfettamente speculare all’elemento decorativo del registro inferiore, fatta eccezione per la serie di testine che mantengono lo sguardo verso il basso. Sopra di esse il pomello ovoidale viene riproposto quale parte terminale dell’asta al cui apice era probabilmente collocato un elemento ornamentale oggi mancante. Lo stato di conservazione del manufatto è piuttosto precario con rilevanti cadute di colore e doratura, e diverse parti mancanti in più punti dell’ornato. Questo particolare bastone va dunque identificato come una delle aste che accompagnavano il corteo dei fedeli durante le processioni. Questi apparati potevano essere caratterizzati da parti apicali che ne sottolineavano l’appartenenza ad un certo ordine religioso, o ad una determinata confraternita oppure, più semplicemente, potevano recare l’effigie del santo o della santa ai quali si porgeva omaggio mediante quella processione. Considerando l’altezza dell’asta è altresì possibile che essa sia il fusto di un candelabro portatile a cui andrebbe dunque aggiunto il bocciolo con annesso piattello e puntale. L’intaglio, curato ma piuttosto semplice, inserisce il manufatto nell’ambiente delle botteghe locale collocandolo cronologicamente tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII. Acquasantiere Schede a cura di Dania Nobile Le acquasantiere pensili rientrano fra gli oggetti di devozione privata atti a custodire cose consacrate o a manifestare e professare il credo religioso. I contenitori per l’acqua benedetta trovavano collocazione sia nelle case che nelle cappelle private. Le si poteva ammirare, quale dono di nozze, sulle pareti delle camere da letto degli sposi, oppure figuravano all’ingresso di oratori nobiliari, di qualche piccola chiesa di campagna o nella sacrestia della stessa. L’elemento che caratterizza questa tipologia di acquasantiera è in primis la dimensione. Il piccolo formato consentiva, infatti, di poterle appendere alla parete e utilizzarne quotidianamente l’acqua benedetta per bagnare la fronte con il segno della croce. Questo cerimoniale cristiano, simbolicamente riconducibile al rito del battesimo, era solitamente praticato al mattino al risveglio, e alla sera prima di coricarsi. Nate quali semplici secchielli in metallo le acquasantiere si arricchirono ben presto di decori legati al culto dei santi, della Madonna o dell’immagine del Cristo ai quali si aggiunsero, nelle diverse epoche, altre figure come gli angeli utilizzati di frequente nelle acquasantiere per i bambini. L’acquasantiera pensile, di forme e materiali diversi (vetro, ceramica e metallo), è solitamente costituita da una piccola conca per raccogliere l’acqua e da una targa entro cui possiamo trovare l’effigie sacra. Manifattura veneta, sec. XVIII Acquasantiera pensile Vetro soffiato e pinzettato/ 23x9,3x6,6 cm/ Inv. 17 La coppa a forma piramidale presenta una gola accentuata e una larga tesa al cui bordo si legano due elementi tortili, con decori a pinza, che collegano la conca alla palmetta anch’essa pinzettata. Al centro troviamo un motivo a cordone, con venatura color blu. La targa a palma, sfornita del gancio utile per appendere l’acquasantiera alla parete è invece dotata di un laccio in tessuto annodato tra gli spazi dell’intreccio centrale. Il vetro della conca si caratterizza per la leggerezza e l’esiguo spessore che tende ad aumentare solamente nella parte finale, in prossimità del pomello. La lavorazione “à la façon de Venise” permette di collocare questo prezioso oggetto nell’ambito della manifattura muranese della metà del Settecento. All’interno delle collezioni dei Musei Civici di Modena si possono ammirare interessanti esemplari che, per tipologia e lavorazione, ben si affiancano a quelli presenti nella collezione Ciceri (inv. 17, 67 – 67b e 1185 - 1185b). Alcune acquasantiere della raccolta modenese sono collocate all’interno della manifattura boema in quanto meno raffinata e ricca rispetto a quella veneziana (Canova 1993, p. 55). Per alcuni esemplari custoditi nelle collezioni londinesi del Victoria and Albert Museum si ipotizza l’Olanda quale luogo di provenienza (M. Cecchelli - L. Samoggia, 1999, p. 34 Manifattura friulana veneta, sec. XVIII Acquasantiera pensile Lamina in lega bronzea, sbalzata a stampo/ 25,1x10,3x4 cm/ Inv. 20 Bibliografia: RIBEZZI 2005, p. 114 Esposizioni: Udine 2005. L’acquasantiera presenta una targa lavorata a giorno con volute, foglie d’acanto e piccole nature morte. Una serie di narcisi, convergenti al vertice in una croce raggiata, incorniciano un decoro in cui emergono due spighe di frumento e due graziosi cherubini. Al centro della placca, incastonata all’interno di una cornice bombata, è collocata una medaglia in cui figura la Madonna con il Bambino e San Giovannino. Seduta su un trono di nubi Maria sostiene Gesù che riceve il saluto dal piccolo Giovanni. L’estremità inferiore della targa è saldata ad una conca a orlo espanso e corpo bombato con decorazione a baccellature, e termina in una goccia a cherubino. Sul retro dell’acquasantiera, nella parte superiore, è visibile il gancio ricavato da una sottile striscia di rame chiusa a “laccetto”. Vistose fioriture di ossido interessano la parte anteriore della placca in prossimità della coppa e all’interno della stessa. La fine lavorazione a sbalzo del medaglione centrale denota una certa padronanza della tecnica e del materiale, e suggerisce l’intervento di un artista estraneo alla produzione in serie che sembra invece caratterizzare le restanti parti dell’oggetto. Manifattura veneta, sec. XVIII Coppia di acquasantiere pensili Vetro soffiato e pinzettato/ 23,4x9,8x8 cm (Inv. 67); 29,5x10,3x8,2 cm (Inv. 67b)/ Inv. 67; 67b La stretta coppa a bulbo a doppia ansa presenta un orlo piuttosto pronunciato su cui poggiano due motivi a nastro pinzettato che collegano la conca alla placca a palmetta. Questa è decorata a pinza zigrinata e arricchita da un cordone centrale impreziosito da un filo vitreo blu posto al suo interno. I due oggetti si differenziano soltanto nelle dimensioni giustificate dalla diversa funzione: l’acquasantiera fusiforme (Inv. 67b) era probabilmente destinata al marito, mentre l’altra (Inv. 67), più piccola e tondeggiante, era riservata alla moglie. Nella struttura della targa a palma manca completamente il gancio per l’affissione. Questo porta a supporre che i due manufatti fossero in origine adagiati su un supporto, forse ovoidale e di velluto blu, in modo da creare un piacevole contrasto e richiamare nel contempo il colore del nodo centrale. Il vetro della coppa, lavorato a soffiature a stampo, presenta al suo interno delle piccole bolle d’aria. La coppia di acquasantiere proviene, dunque, dalla bottega di uno dei maestri vetrai muranesi che, grazie alla loro abilità, riuscirono a creare degli oggetti che accolsero subito il gusto del pubblico. Manifattura veneta, sec. XVIII Acquasantiera pensile Vetro soffiato e pinzettato/ 16,3x9,6x0,6 cm; 13x7,4x7,5 cm/ Inv. 1185 – 1185b Il vetro cristallino dà forma a questa particolare acquasantiera, purtroppo divisa in due parti da una frattura che non sembra sanabile. Il calice a tulipano con orlo espanso e bombato termina in un pomello leggermente schiacciato. Lo spessore consistente del materiale non impedisce di intervenire sulla superficie con decori a pinza, che ornano la cornice della palmetta e la base della stessa rimasta saldata al bordo della coppa. Il vetro che costituisce la conca presenta al suo interno vistose bolle d’aria che suggeriscono l’uso della soffiatura, in questo caso a stampo, per la realizzazione del pezzo. Il torciglione che decora la targa a palma è spezzato in modo che le due parti risultano leggermente svasate. Questa frattura non è dunque imputabile ad un trauma, ma a un probabile difetto di fabbrica. La situazione in cui versa il manufatto non pregiudica, tuttavia, la lettura delle forme, profondamente simili a quelle riscontrate nelle altre acquasantiere della collezione (Inv. 17 - 67 - 67b). Per tale ragione l’oggetto può essere collocato nell’ambito veneziano della metà del XVIII secolo. Manifattura veneziana, sec. XIX Coppia di acquasantiere pensili Vetro lattimo, specchio, legno, tempera e acquarello su carta/ 19,5x8,4x5,7 cm/ Inv. 16 – 16b Iscrizioni: sul retro della targa (Inv. 16) “ih a. ie”; sotto «S.MO.; nella parte inferiore è applicata un’etichetta su cui è stampato “S. Dorothea”; sul resto della superficie altre scritte a matita, non decifrabili. Bibliografia: RIBEZZI 2005, p.114 Esposizioni: Udine 2005. La targa di vetro sagomato e molato è applicata ad un foglio di carta e a un supporto ligneo che seguono la medesima profilatura. Lo specchio è decorato con motivi geometrici e floreali, bruniti sulla superficie, che incorniciano un ovale centrale su cui è effigiata una figura femminile a mezzo busto. Secondo quanto riportato sul retro di una delle due acquasantiere (Inv. 16) l’immagine ritrarrebbe S. Dorotea. La presenza della santa appare particolarmente significativa in questo contesto, a ragione della sua funzione di protettorato dei giovani sposi, ma non sembra trovare un valido riscontro nell’iconografia. Questa presenta infatti una giovane donna, in abito rosso e col capo coperto da un velo verde, che pare accogliere tra le mani una spada di cui si vede soltanto una parte della lancia. Tale attributo non appartiene certo a S. Dorotea, ritratta solitamente con dei fiori nella veste o all’interno di cesti, ma sembra piuttosto riferirsi ad altre sante per le quali la presenza di quell’oggetto è più comune (si veda S. Eufemia o S. Caterina d’Alessandria). La corretta lettura dell’immagine è però compromessa dalla sua stessa esecuzione: realizzata a stampa e rifinita a tempera e acquarello la figura è infatti risolta con un tocco pittorico artigianale, privo di sostanziali rifiniture, che non consente di individuare i particolari. Le due coppe a tulipano decorate a baccellature, se pur simili, non sembrano appartenere alla medesima serie. A differenziarle concorrono alcuni elementi significativi: lo spessore del materiale, la forma della goccia e i decori rosa, ormai sbiaditi, che ornano soltanto una delle due coppe (Inv. 16b.). Queste ultime sono unite alle placche con un piccolo bullone metallico che permette alla conca di ruotare sopra la targa, occupando in tal modo il minimo ingombro. La superficie metallica dello specchio risulta graffiata in più parti lasciando così intravedere il foglio di carta su cui è stampata l’immagine sacra. La tesa presenta tracce di doratura che lasciano intuire la ricchezza della rifinitura dell’orlo delle due coppe. Per la tipologia del materiale e della tecnica utilizzati la coppia di acquasantiere sembra appartenere alla manifattura veneziana dell’Ottocento Manifattura friulana, sec. XIX Coppia di acquasantiere Piombo lavorato a fusione/ 16,4x7,4x4,7 cm/ Inv. 18; 18b Iscrizioni: sul fondo del piede delle conche si trova in rilievo il numero di serie: “ÎΛ83CO”. Bibliografia: RIBEZZI 2005, p. 114 Esposizioni: Udine 2005. Rispetto alle altre acquasantiere pensili della collezione Ciceri questa coppia si contraddistingue per l’opportunità, resa possibile dal piede poligonale della conca, di divenire anche un oggetto da tavolo. La vaschetta a sezione ottagonale sostiene una targa a profilo polilobato ornata al centro con il Cristo crocifisso. L’immagine emerge da un fondo arricchito, in modo singolare, da minuscoli decori semisferici che distribuendosi su tutta la superficie e seguendo in particolare il contorno della targa e il profilo della figura di Cristo ne esaltano i volumi. Nella parte posteriore di una delle due acquasantiere (Inv. 18) si nota un’incisione, a linee spezzate intrecciate, sul metallo utilizzato per saldare la placca alla vaschetta. Il modo piuttosto grossolano col quale sono state unite le due parti permette di ipotizzare un intervento recente, suggerito anche dall’aspetto del materiale impiegato. La tecnica a fusione senza motivi a sbalzo e le rigide linee della composizione propongono una datazione intorno agli inizi del secolo XIX. Manifattura veneto-friulana, sec. XIX Acquasantiere pensile Vetro lattimo, legno, carta/ 22,7x9,6x5 cm/ Inv. 19 Iscrizioni: sul retro della targa (a matita): “u 72” “P. 40[?]614”. Bibliografia: RIBEZZI 2005, p. 114. Esposizioni: Udine 2005 Sulla targa in legno sagomato con cornice mistilinea è applicato un foglio di carta sul quale, in origine, era collocata una stampa di cui oggi rimane soltanto un frammento che non consente di decifrarne il soggetto. La coppa a tronco di cono con pomello finale è realizzata in vetro lattimo, e dipinta a mano con graziosi motivi floreali impreziositi da un decoro con cristogramma, croce raggiata e cuore coi tre sacri chiodi, chiaro riferimento agli eventi della Passione. Sul retro della placca lignea si trovano alcune iscrizioni sotto cui compare un’ulteriore scritta a penna, probabilmente posteriore e di difficile comprensione a causa della sbavatura dell’inchiostro lungo la venatura del legno. L’utilizzo del vetro lattimo induce a considerare questa e le analoghe acquasantiere della collezione (Inv. 16-16b.) quali simboliche eredi della fornace muranese “Miotti” che, nel XVIII secolo, inventò il vetro lattimo poi largamente utilizzato come valido sostituto della porcellana. Il decoro della conca ricalca i motivi tradizionali della cultura veneto - friulana riconoscibili nei caratteristici colori dei fiori. Manifattura locale, sec. XIX Acquasantiera pensile Lamina ottonata, sbalzata a stampo/ 25,3x15x3,8 cm/ Inv. 21 Bibliografia: RIBEZZI 2005, p. 114. Esposizioni: Udine 2005 La larga placca, di forma pressoché romboidale, è profilata da volute e, al vertice, da un elemento a ventaglio su cui è stato ricavato un foro per l’affissione dell’acquasantiera. L’interno della targa è caratterizzato da un motivo a cordone e da una semplice linea sbalzata che, chiusi a ricciolo impreziosito da una foglia palmata discendente, delineano uno spazio centrale privo di decoro. All’estremità della placca è applicata la conca a calice su cui sono incisi fregi ornamentali che, seguendo la linea della coppa, terminano in un pomello deformato. L’esecuzione sommaria di alcune parti dell’acquasantiera induce a riferirne la realizzazione alle maestranze locali, eredi di un artigianato che poggia sicuramente su discreti modelli di gusto veneto risolti però in modo piuttosto ingenuo. Manifattura locale, metà sec. XIX Acquasantiera pensile Peltro sbalzato a stampo/ 19x7,4x3,3 cm/ Inv. 22 Bibliografia: RIBEZZI 2005, p. 114. Esposizioni: Udine 2005 La conca scampanata presenta un semplice ornato a stampo in cui si distinguono tre diversi motivi decorativi. Essa è saldata ad una targa sagomata raffigurante Maria con il Bambino circondata da angeli i quali sorreggono una corona sopra il capo della Vergine e inginocchiati ai suoi piedi le porgono omaggio. A queste figure angeliche si aggiunge la consueta goccia a cherubino che termina il decoro della placca e impreziosisce nel contempo l’essenziale vaschetta. La classica eleganza e la sobrietà della vaschetta accentuano il decoro della placca lavorata su un discreto modello plastico, ma rifinita nei particolari in modo piuttosto approssimativo. La rigorosa definizione del volto della Vergine si sovrappone, infatti, all’immagine sommaria degli angeli. Si tratta dunque di un’acquasantiera che rientra nella tipologia degli oggetti in serie, in crescente diffusione a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Manifattura veneta, sec. XIX Acquasantiera pensile Argento sbalzato a stampo, vetro/ 15x9,2x3,7 cm/ Inv. 23 Bibliografia: RIBEZZI 2005, p. 114. Esposizioni: Udine 2005 L’oggetto è costituito da una targa ovoidale, sagomata e decorata a sbalzo con eleganti volute e motivi floreali che incorniciano un ovale posto al centro e su cui un tempo era probabilmente fissata una placca in ceramica dipinta. Di quest’ultima non rimane più traccia, ma i resti di colla presenti sulla superficie avvalorano l’ipotesi. La piccola conca di vetro, semicircolare e leggermente bombata, è legata alla targa da un sottile anello in ottone cesellato. L’acquasantiera è montata su un supporto di cartone pressato rivestito da un foglio di velluto blu, e nella parte superiore è posto un gancio circolare su cui è legato il nastro che serviva per appendere l’oggetto alla parete. La patina bruna che ricopre la superficie della targa e le evidenti fioriture di ossido di rame, presenti sia accanto alla conca che sul retro dell’acquasantiera, suggeriscono l’utilizzo di una lega di scarsa qualità Manifattura locale (carnica ?), sec. XIX Acquasantiera pensile Ceramica maiolicata, ingobbiata e invetriata/ 19,4x9,7x4 cm./ Inv. 25 La targa ovale presenta un decoro marmorizzato di colore verde che corre lungo tutta la cornice bombata. La parte centrale comprende la raffigurazione delle Tre Croci (il Golgota) abbozzate con semplici pennellate color marrone e rifinite con guizzanti tocchi neri che sottolineano l’aspetto del tutto artigianale della decorazione. Questa acquasantiera può essere inserita nell’ambito della manifattura locale, probabilmente carnica, dell’Ottocento un secolo che segnò il trionfo di questo genere di oggettistica sacra ad uso domestico. Manifattura friulana, sec. XIX Acquasantiera pensile (frammento) Ceramica maiolicata, ingobbiata e invetriata/ 12,3x8,7x4,6 cm.; 6,1x5,6x0,7 cm. ; 4x2,7x0,7 cm./ Inv. 933; 933b; 933c I tre frammenti che costituiscono il manufatto forniscono una vaga idea dell’aspetto originale che doveva avere l’oggetto. La conca (inv. 933), modellata a conchiglia con pomello finale, è l’unica parte integra di un’acquasantiera la cui targa (inv. 933b-933c) era probabilmente di forma circolare, con al centro il Cristogramma attorniato da una serie di cerchi concentrici e da un’aureola di stelle. Sul bordo della conca e del frammento di targa, ad essa legata (nv. 933), si notano pennellature verdi. La compendiosità della forma e del decoro e la presenza di un biscotto in argilla rossa fanno propendere per una collocazione intorno alla metà dell’Ottocento. Manifattura friulana, sec. XIX Serie di tre acquasantiere a secchiello (secjèl) Piombo lavorato a fusione/ 13,5x Ø4,3 (base) cm. (Inv. 1026); 13,5xØ 4,6 cm. (Inv. 1049 - 1050)/Inv. 1026; 1049; 1050 Iscrizioni: sul fondo del piede della conca (nv. 1026) si trova in rilievo la sigla: “ΛC” Serie di acquasantiere da parete con la tipica e più antica forma a secchiello. Questa tipologia, chiamata nella lingua friulana secjèl, presenta la classica forma di un piccolo secchio tanto da “…parere un giocattolo” (GORTANI 2000, p. 322). In questi oggetti si riscontrano diverse analogie: il piede a base circolare e orlo liscio, collo tozzo, coppa con un ridotto diametro, manico a volute e anello apicale piuttosto piccolo. Si possono tuttavia osservare alcune interessanti dissomiglianze che riguardano in special modo il decoro a incisione della coppa. Esso, infatti, si limita a semplici scanalature nel secchiello (inv. 1026) e nelle altre acquasantiere (inv. 1049 – 1050) è descritto con una appena accennata baccellatura nel registro inferiore e un motivo a piccoli ovuli sulla tesa. In tale contesto è facilmente intuibile come il secchiello (inv. 1049) crei una naturale coppia col suo simile (inv. 1050). Diverso è invece il caso dell’altro secjèl (Inv. 1026) che presenta una morfologia della vaschetta del tutto differente rispetto alla coppia alla quale viene affiancato per ragioni stilistiche. Leggere varianti, forse dovute alla malleabilità della materia, si notano anche nella forma del manico (cempli), mentre le orecchie, in cui sono inserite le estremità del cempli stesso, sono risolte con il medesimo motivo a palmetta. Lo stato di conservazione solleva i consueti problemi che si riscontrano negli oggetti in piombo. La duttilità del materiale rende gli oggetti soggetti a deformazioni che ne mutano l’originale aspetto. In questo caso, tuttavia, a esclusione delle malformazioni già segnalate, non si avvertono particolari danni se non qualche leggera ammaccatura sui bordi. Sul fondo del secjèl (Inv. 1026) si nota la presenza di un rilievo, un elemento tutt’altro che inusuale per questo genere di materiale, come dimostrano altri esemplari della collezione Ciceri (Inv. 18 – 18b). Per la caratteristica forma a piccolo secchio e per la lavorazione del materiale si può supporre che tali manufatti appartengano ad un artigianato locale di periferia, che utilizza delle forme antiche per riproporle, in chiave moderna, all’interno di un contesto ottocentesco. Manifattura friulana, sec. XIX Acquasantiera pensile (frammento) Ceramica maiolicata, ingobbiata e invetriata/ 10x10,2x2,8 cm.; 4,5x7x1,1 cm./ Inv. 1047; 1047b Il frammento della targa (inv. 1047) suggerisce una cornice a semplici volute decorate a pennello alternando il colore giallo al blu. Quest’ultimo viene ripreso anche nella raffigurazione centrale in cui compare una croce con due dei segni canonici della Passione di Cristo, e il simbolo della Fontana zampillante che sgorga ai piedi della croce divenendo così emblema di nuova vita generata dal Martirio. Il frammento della conca (Inv. 1047b) non fornisce alcun elemento utile per ipotizzarne una forma specifica che, tuttavia, potrebbe essere avvicinata a quella delle analoghe acquasantiere della collezione Ciceri (Inv. 15-15b). Tale confronto permette dunque di collocare l’oggetto entro la manifattura locale del XIX secolo. Manifattura friulana, sec. XIX Coppia di acquasantiere a secchiello (secjèl); Acquasantiera a secchiello (secjèl) Rame e ferro/6,8xØ 4,5 (base)cm.; 11,5x Ø 5 (base) cm. / Inv. 1187; 1190 Peltro/ 14,5xØ5,3 (base)/ Inv. 1186 Coppia di acquasantiere in rame (inv. 1187-1190) con la caratteristica forma a secchiello rifinita da una essenziale incisione che ne sottolinea il piede e il corpo in prossimità della gola superiore. Il cempli, presente in una sola delle due acquasantiere (inv. 1190), è composto da una rudimentale asta in ferro priva di decori o di una qualsiasi ricercatezza nelle forme. Diversa è invece la tipologia del secchiello in peltro (inv. 1186) dalla capiente coppa e dalla ampia tesa. Il manico a semplici volute è costituito da un sottile filo di ferro, peraltro di manifattura recente. Accostando questi oggetti agli analoghi esemplari della collezione Ciceri (Inv. 1026-1049-1050) si può ipotizzare una loro collocazione entro l’ambiente locale del XIX secolo. Manifattura veneta, metà sec. XIX Acquasantiera pensile Ottone sbalzato a stampo e cesellato/ 35,4x14,7x11,5 cm/ Inv. 53 La caratteristica primaria che contraddistingue questa dalle altre acquasantiere della collezione Ciceri è il suo uso; le dimensioni e alcuni accorgimenti fanno infatti supporre che si tratti di un manufatto destinato a qualche oratorio o cappella privati. Entro un’edicola ornata da festoni, elementi vegetali e architettonici, si trova l’immagine di Cristo con la mano destra verso l’alto, in segno di benedizione, e la sinistra a sostenere uno stendardo su cui è apposto il monogramma IHS. Alla sommità della targa, in linea con la figura centrale, si trova una croce gigliata che chiude la cornice mistilinea. L’imponente effigie del Redentore è risolta a pieno campo, lasciando così il minimo spazio al paesaggio circostante descritto in forme essenziali. Nell’insieme della rappresentazione le mani del Cristo hanno uno straordinario impatto visivo grazie alla loro forma accentuata che ne sottolinea l’aspetto simbolico essendo, con i segni che portano, testimoni della crocifissione. Il corpo della conca è strutturato a vaso doppio, decorato con motivi classici e terminante in un pomello tornito. La coppa, inoltre, ha al suo interno una vaschetta semisferica ed estraibile atta a raccogliere l’acqua benedetta. Sul retro della targa si notano due piastre metalliche, collocate tra placca e conca come rinforzo, e diverse tracce di saldature che interessano anche il pomello della coppa. Uno spesso strato calcareo ricopre l’incavo della vaschetta emisferica, mentre la superficie interna della conca presenta alcune macchie di ossido di ferro e diffuse fioriture di ossido di rame che si estendono anche sulla targa. Da segnalare, infine, il parziale distacco della croce gigliata posta sull’apice dell’acquasantiera e trattenuta alla targa con un mezzo provvisorio. Siamo dunque in presenza di un manufatto ecclesiastico di uso privato e realizzato probabilmente intorno alla metà dell’Ottocento, come lascerebbe supporre la linearità della forma e dei decori. Manifattura friulana, fine sec. XIX – inizi sec. XX Coppia di acquasantiere pensili Terraglia, ingobbiata e invetriata/20,3x10,4x5,8 cm.; 19,9x10,4x4,5 cm./ Inv. 14; 14b La capiente conca a bulbo costolato e la targa, con cornice mistilinea, danno forma ad una tipologia di acquasantiere ben rappresentata all’interno della collezione. I motivi ornamentali della placca, sviluppati nelle tonalità del rosso e del blu, incorniciano un Croce costituita da elementi vegetali che ne delineano le quattro braccia, e da un motivo floreale posto nel centro e i cui colori riprendono quelli della cornice. Un richiamo a tale iconografia è poi riprodotto lungo la coppa dove tali soggetti sono accompagnati da liberi grafismi a pennello che sottolineano la lavorazione a baccellature. Una delle acquasantiere (inv. 14b) si differenzia dalla sua simile per il biscotto più sottile e per la presenza di una particolare vernice stesa su tutta la superficie con l’intenzione, forse, di “invecchiare” il manufatto. Tale proposito potrebbe essere anche all’origine del craquelure sulla conca. Gli oggetti sono stati invetriati solo nella parte anteriore lasciando così visibile l’ingobbio nella parte posteriore. Avvicinabile ad altri esempi dell’arte friulana (Inv. 15-15b) questa coppia di acquasantiere può essere collocata all’interno della fine del XIX e gli inizi del XX secolo. Manifattura friulana, fine sec. XIX – inizi sec. XX Coppia di acquasantiere pensili Terraglia, ingobbiata e invetriata/19,7x10,3x4,8 cm; 19,7x10,2x5,6 cm/ Inv. 15; 15b La coppia di acquasantiere presenta la medesima forma della targa, a cornice mistilinea, e della conca a bulbo decorata a baccellature. L’ornato, risolto quasi esclusivamente sulle tonalità del blu e del giallo, sottolinea il disegno della sagoma e del rilievo del manufatto. Al centro della placca, entro un’edicola arcuata, sono raffigurati i simboli cristologici affiancati dagli strumenti della Passione. Nella decorazione dell’acquasantiera (inv. 15b) si notano alcune imperfezioni soprattutto nella definizione del monogramma che mostra delle vistose sbavature del colore. L’invetriatura ha interessato soltanto la parte anteriore, mentre nel dorso è visibile solo l’ingobbio. Comparando questi oggetti con altri analoghi esposti in mostra a Pordenone (La Ceramica Galvani…2004, p. 58) possiamo ipotizzare che tali manufatti provengano dalla rinomata industria di Andrea Galvani. In assenza, però, dei consueti e immancabili timbri o marchi di fabbrica è possibile pensare, anche, che tali opere appartengano alla non meno importante bottega dei Pezzetta di Buja (CARTA 2000, p. 36). È certo, comunque, che queste acquasantiere, nella tipologia e negli accostamenti cromatici utilizzati, sono il mirabile frutto della più antica tradizione ceramista delle manifatture friulane. Manifattura friulana, fine sec. XIX inizi sec. XX Coppia di acquasantiere pensili Maiolica ingobbiata e smaltata/ 20x10x4,8 cm.; 20x9,5x4,3 cm./Inv. 24; 24b Questa coppia di acquasantiere, unico esempio della collezione Ciceri di maiolica smaltata, si distingue per l’inconfondibile aspetto laccato. La targa ellittica, ornata nella parte superiore da una cresta e, nella parte inferiore, da una conca a tulipano con raffinati decori, è caratterizzata da un motivo a rilievo con due figure angeliche speculari e ritratte con i simboli della Passione. L’angelo volto a sinistra (inv. 24b.) con calice in mano e indice puntato verso l’alto è un chiaro riferimento all’Orazione nell’orto. I simboli della Crocifissione sono invece tenuti dall’altro angelo (Inv. 24) il quale, volgendosi a destra verso l’altra figura celeste, conferisce una sorta di continuità al racconto evangelico. Il candore dello smalto che ricopre in modo uniforme il manufatto consente di apprezzare la sobrietà e l’eleganza dei decori. La maestria con cui è stata condotta la smaltatura della coppia di acquasantiere indica l’intervento di una pregiata manifattura friulana attiva intorno alla fine dell’Ottocento, periodo in cui si intensifica il culto verso gli angeli visti quali intermediari della grazia divina. Bassorilievi Schede a cura di Antonella Ortogalli Scultore veneto-friulano Bassorilievo con Adorazione dei pastori Sec. XVII – XVIII/ Gesso e legno/ 23x16cm (con cornice 32,8x25,5x 6,7cm)/ Inv. 687 Bassorilievo di forma ovale entro cornice lignea aggettante e verniciata di nero. Il primo piano è riservato all’umile culla del Bambino, poggiante su un rilievo roccioso, raffigurato a sezione, coperto da un letto erboso. Intorno a Gesù si raccolgono in adorazione i pastori, recanti i loro doni rustici, fra i quali spicca, ai piedi della culla, l’agnello, prefigurazione del sacrificio di Cristo. Maria e Giuseppe, affiancati da un angelo che stringe al petto una coppia di colombi, contemplano il Figlio in preghiera, mentre alle loro spalle, in lontananza fra i colli digradanti sullo sfondo, altri pastori e una canefora [donna che porta sul capo un cesto] si avvicinano al gruppo sacro. La composizione è chiusa sulla destra dalla mangiatoia mentre in cielo un angelo sorvola la scena affiancando la stella cometa fra leggere e impalpabili nuvole. Discreto lo stato conservativo con i rilievi coperti da coltre polverosa e cornice con vistose crepe. Buona la resa formale del bassorilievo caratterizzato da scoperto naturalismo e intensità espressiva che conferiscono immediatezza narrativa all’opera. La costruzione dello spazio è condotta con sicurezza grazie alla progressiva gradualità del rilievo che passa dal primo piano a tutto tondo allo sfondo appena accennato dal linearismo dei segni. Difficile stabilire se si tratti di un bozzetto preparatorio per un lavoro di più ampio respiro, cosa che escluderei visto l’alto livello di finitezza, o piuttosto un bassorilievo di alta manifattura, forse parte di un ciclo tematico sulla Natività. La tipologia del rilievo, definito da calibrato luminismo che si dispiega sulle superfici e fra i panneggi delle vesti dimostrando una maturità linguistica che ha le sue radici in un’antica tradizione e un’evidente sensibilità coloristica, pare orientare verso un maestro di area veneta attivo in epoca barocca. Bassorilievo con Crocifissione Sec. XVIII/ Gesso e legno/ 27,7x20,8cm (con cornice 36x28,4x 5,3 cm)/ Inv. 718 Al centro della scena campeggia la figura di Cristo con capo sollevato al cielo in un’ultima invocazione a Dio. Lo fiancheggiano i due ladroni, dai corpi contorti e tormentati in un accentuato espressivismo. Ai piedi della croce si addensa un drappello di persone fra le quali si riconoscono la Vergine, nella consueta posizione speculare rispetto a san Giovanni, la Maddalena nell’atto di abbracciare il legno della croce, una donna velata con bambino in braccio secondo la più nota iconografia che raffigura la Madonna con Bambino e, dalla parte opposta, il centurione su un cavallo che si impenna imbizzarrito, probabilmente nell’atto di ferire Cristo al costato con la lancia che per la posizione delle mani si può intuire esistesse in origine o comunque fosse prevista. La parte inferiore della scena è occupata dall’immagine del teschio ai piedi della croce e da una figura che pare emergere dal terreno, esplicito riferimento alle anime del purgatorio. Discreto lo stato di conservazione con circoscritte parti del rilievo mancanti, e vistose crepe sulla cornice lignea dorata che racchiude l’opera nella sua forma ovale. Il ritmo della composizione è sostenuto e spezzato da un senso del movimento brusco e rapido che informa i personaggi posti intorno a Cristo. Tutti sono raffigurati in una sospensione delle azioni quasi a voler immortalare l’attimo di maggior intensità espressiva e l’acmè del dolore, all’insegna di un’interpretazione scopertamente teatrale del soggetto. L’affastellarsi delle figure in primo piano, lasciando spazio sullo sfondo al turbinio delle nubi e ad uno scorcio di città, conferiscono al rilievo la sensazione dell’horror vaqui, sensazione accentuata dalla scelta cromatica del monocromo giocato su tonalità giallo-brune. Il codice comunicativo dell’opera sembra basarsi sul nervosismo della condotta lineare e sull’insistito panneggio con improvvisi passaggi chiaroscurali dimostrando così una sensibilità linguistica rintracciabile nel gusto settecentesco. Visto il tema rappresentato non è da escludere l’ipotesi che si tratti di un bassorilievo facente parte di un ciclo dedicato alla Via Crucis e destinato ad una cappella privata. Bassorilievo con Madonna con Bambino Sec. XIX – XX/ Pasta di gesso e paglia su supporto di legno/ 30,7x33cm./ Inv. 1135 Rilievo realizzato a stampo che raffigura, entro sagoma quadrilatera, l’immagine a mezzo busto della Madonna con Bambino. Il gruppo sacro è inserito entro una cornice di contorno a rilievo caratterizzata da cartigli e motivi vegetali stilizzati. La Vergine e il Bambino hanno i volti accostati e sono uniti da un caldo abbraccio. Aureole percorse da motivi decorativi coronano le teste di entrambi. Il manufatto è montato su un supporto di legno costituito dalla rudimentale unione, mediante filo di ferro, di due tavolette dalle superfici non levigate. L’oggetto versa in cattivo stato: il materiale, costituito da un rustico impasto a base di gesso e paglia mostra cedimenti e parti ormai irrimediabilmente sgretolate. L’immagine della Madonna con Bambino è improntata ad un sentimento di tenerezza domestica di sapore ottocentesco. Per l’impiego di materiali poveri e di colori a tempera stesi in maniera uniforme ed ingenua, giocando su una gamma di tonalità pastello, si può affermare che il bassorilievo in esame è un prodotto di artigianato locale adatto alla devozione privata. Cartaglorie Schede a cura di Dania Nobile Il termine cartagloria, e le sue varianti cartaglorie, carteglorie, cantagloria o cartella delle segrete, indica ognuna delle tre tabelle che contenevano i testi canonici riferiti alla liturgia della messa. Per questo motivo esse trovavano una consueta collocazione sulla mensa dell’altare: la cartagloria principale, di dimensioni maggiori, era situata nel centro, mentre le restanti erano poste ai lati, da cui il nome “carteglorie laterali”. Entrate nell’uso comune dopo la Controriforma divennero un accessorio indispensabile e obbligatorio per l’arredo dell’altare. Inizialmente la prescrizione riguardava soltanto la cantagloria centrale che originariamente conteneva il Gloria in excelsis, da cui l’origine del nome. Al Gloria si aggiunsero poi altre preghiere e alcune formule che venivano recitate sottovoce (da cui il termine “cartelle delle segrete”). All’interno di queste cornici potevano comparire anche altri testi la cui complessità rendeva piuttosto arduo un semplice impegno mnemonico, per tale motivo si ricorreva a queste cartelle che consentivano, al celebrante, di leggere tranquillamente le preghiere del rito che stava officiando. Se l’origine della cartagloria centrale è antica non è così per quelle laterali che fecero il loro ingresso nell’arredo liturgico solo a partire dal XVII secolo. La coppia si divide in cartagloria in cornu Epistolae, contenente il testo del Lavabo (Lavabo inter innocentes) con relativa formula per la benedizione dell’acqua (Deus qui humanae substantiae), e cartagloria in cornu Evangelii con l’inizio del Vangelo secondo Giovanni da leggersi al termine della funzione religiosa. Le carteglorie utilizzate durante le solenni celebrazione si differenziavano da quelle di uso quotidiano per il materiale delle cornici (argento o legno) e per la cura e le rifiniture del cartiglio che esse custodivano. Tra l’ottocento e il novecento le suppellettili assunsero dimensioni sempre maggiori tanto da coprire, nonostante le norme lo vietassero severamente, anche il tabernacolo. Si tenga comunque presente che l’adozione di messali e nuovi testi liturgici, e l’orientamento dell’altare verso i fedeli portarono a un sensibile calo dell’utilizzo di questi arredi liturgici che trovano anche oggi una rara collocazione sugli altari maggiori e solo in particolari occasioni, perdendo comunque quella che era la loro funzione primaria e divenendo mero apparato decorativo. Manifattura veneta, sec. XVIII Serie di tre carteglorie Legno intagliato e dorato/ 42,7x54,7 cm. (Inv. 1414); 40x28,5 cm. (Inv. 1413); 40x30 cm. (Inv. 1413b) Le tre carteglorie presentano un fine decoro ad intaglio con motivi vegetali e volute che incorniciano una specchiatura ovale entro cui si trovava la cartella, un semplice foglio di carta stampato e incollato sulla superficie come lasciano supporre i pochi frammenti rimasti. Le cornici, simili nella foggia, si differenziano in alcuni particolari decorativi come, ad esempio, la ricca cresta a motivi vegetali che orna soltanto la sommità delle carteglorie laterali (Inv.1413 – 1413b). L’elaborato intaglio colloca questa serie all’interno della manifattura veneta della fine del Settecento. Manifattura veneta, sec. XVIII Serie di tre carteglorie Legno intagliato e dorato/ 40,5x58,5 cm. (Inv. 1424); 36,6x33,5 cm. (Inv. 1418); 36,4x33 cm. (Inv. 1418b) Bibliografia: L. CICERI 1955, (ill. inv. 1424) La serie è composta da una cartagloria centrale (inv. 1424) e da due laterali (inv. 1418 - 1418b) in legno intagliato e dorato. Quella principale è costituita da una profilatura a volute vegetali inframmezzate da quattro rose poste agli angoli come decoro della cornice che delinea la specchiatura ovale. L’asimmetricità di gusto rococò, che contraddistingue questo manufatto, si ritrova anche nell’elaborazione delle carteglorie laterali, tra loro speculari, in cui vengono ripresi i medesimi motivi vegetali esasperati nella sinuosità delle forme. Nella parte inferiore della cornice compare una rosa di foggia simile a quella che caratterizza il decoro della cantagloria centrale. Prive di cartella, le tre carteglorie poggiano su due piedini lignei semplici e leggermente schiacciati. Il discreto intaglio e la buona doratura permettono di inquadrare le “cartelle delle segrete” entro l’ambiente colto della manifattura veneta del Settecento. Carlo Zorzi (bottega) Serie di tre carteglorie Inizi sec. XIX/ Lamina d’argento e legno/ 40x47,5 cm. (Inv. 1338); 27,3x26 cm. (Inv. 1599); 27,3x25,3 cm. (Inv. 1599b) Le tre carteglorie sono costituite da cornici in argento applicate su un supporto ligneo che ne segue la sagoma trapezoidale. I manufatti sono impreziositi da quattro piccole foglie argentee collocate sugli angoli per celare i segni di giuntura della lamina. In tali punti è visibile il punzone delle bottega di Carlo Zorzi (17361814) caratterizzato dalle iniziali con al centro lo stemma della città di Udine, segno di riconoscimento del prestigio goduto dal celebre “toccador all’argento”. Nella cantagloria centrale (Inv. 1338) lo spazio tradizionalmente riservato alla cartella è invece occupato da un prezioso tessuto probabilmente ricavato da qualche paramento ecclesiastico. La serie proviene dunque dalla rinomata bottega del Zorzi, uno dei più importanti orafi in Udine tra la fine del Settecento e il primo decennio dell’Ottocento, periodo al quale vanno dunque riferite queste carteglorie in argento. Manifattura friulana, sec. XIX Serie di tre carteglorie Legno intagliato e dorato/ 32,3x36,1 cm. (Inv. 1426); 26x19,3 cm. (Inv. 1427); 26,2x19,5 cm. (Inv. 1427b) Il servizio consta di due carteglorie laterali (Inv. 1427 - 1427b) di forma rettangolare e di eguale dimensione, e di una centrale (Inv. 1426) della medesima figura geometrica sviluppata però in senso longitudinale. La cornice ha un intaglio con motivo a cartiglio, rifinito con alcuni particolari floreali che ingentiliscono gli angoli, e presenta nella parte superiore un ornamento a conchiglia. Sulla superficie si notano i segni della doratura che un tempo ricopriva interamente le canteglorie e che oggi si rivela nella sua bellezza solo nelle poche parti rimaste integre. Il tentativo di recuperarne l’originario splendore ha forse portato i proprietari a dipingere con della porporina la conchiglia della cornice centrale (Inv. 1426). Un cartiglio apposto sul retro della cartagloria principale riporta la seguente iscrizione dattiloscritta: “FABB. DI M…BARDI IN UDINE”, a cui si affianca il segno “II” scritto a matita sia sul dorso, scritta che si trova anche sui due altri due pezzi di dimensioni minori. CeroplasticaDevozionale Schede a cura di Antonella Ortogalli Manifattura locale, sec. XVIII Madonna Addolorata Cera dipinta, stoffa, carta, legno e vetro/ teca lignea 64x52x24,5cm./ Inv. 139 Iscrizioni: Ego nullam horam habui/ fine tribulatione cordis transfixi./ Birgit Revel. Dolor Filii mei erat dolor meus,/ quia cor ejus erat cor meum./ Birgit. Revel Ad pedes dolentis Matris nostre,/ vivere volumus, et mori cupimus Martyr/ Martyrum Regina/ Martyrum. Bibliografia: RIBEZZI 2002, pp.1-2. Un particolare aspetto della devozione è rappresentato dalla produzione ceroplastica che si diffuse in Italia a partire dal XVIII secolo, anche se sono documentati esempi molto più antichi. Si tratta della riproduzione di immagini legate a culti devozionali o alla tradizione del presepio, nata per assecondare la crescente esigenza di meditazione personale, nell’ambito delle mura conventuali o domestiche, sulla vita della Vergine, di Cristo o dei Santi. Furono proprio i conventi a divenire luoghi di produzione di tali manufatti, la cui evoluzione mostra la ricerca costante di un sempre maggiore realismo quale mezzo di propagazione dei fondamenti teologici. In Italia meridionale si registra un’antica tradizione in questo campo. In particolare la Sicilia vanta numerosi artigiani (i cirari) che, favoriti dalla fiorente apicoltura tutt’ora praticata, assecondarono sapientemente la versatilità della cera fino a modellare con abilità artistiche figure sacre, bambinelli ed ex-voto specializzandosi poi nei presepi, destinati non solo ad una committenza ecclesiastica, ma bensì a devoti della nobiltà e dell’alta borghesia locale. Il Museo Bellomo di Siracusa raccoglie numerosi simulacri devozionali di cera racchiusi entro teche chiamate localmente scaffarate. Tale produzione, nata già in epoca medievale, conobbe la massima fioritura durante il Settecento spegnendosi all’inizio del secolo scorso (www.brunoleopardi.it/natale2.htm). La teca lignea, che in gergo tecnico si chiama scarabattola, entro cui si conserva l’immagine della Madonna Addolorata, è chiusa su tre lati ed è dotata di vetrina frontale. Si imposta su basso zoccolo modanato ed è definita, nella parte superiore, da una cornice lievemente aggettante che segue una sagoma curvilinea. All’interno, immersa in una fitta vegetazione, siede la Vergine con viso, mani e piedi di cera, mentre, con tutta probabilità, il corpo è imbottito. Maria è vestita di un abito di raso color avorio tendente all’oro. Dello stesso tessuto è il manto che le copre il capo già velato da pizzo raffinato, ma, purtroppo, in pessimo stato conservativo. I suoi piedi sono calzati da sandali di cuoio alla francescana che spuntano sotto l’orlo della veste. Il capo, chino verso la spalla destra, è rivolto al cielo e le mani si avvicinano al petto, trafitto da una sola spada. Tutt’intorno un giardino ricco di fiori di carta e di stoffa, fra i quali emergono, concentrati sul lato sinistro della teca, i simboli della Passione di Cristo: la tonaca color porpora, i dadi, la scala su cui poggiano la lancia, la canna con la spugna imbevuta di aceto e gli attrezzi che servirono alla deposizione. A destra, invece, una balaustra alla quale è appuntata una sottile corda, che divide trasversalmente lo spazio di questa parte del giardino, può forse essere riferita alla simbologia mariana dell’Hortus conclusus. Ai piedi di Maria sono poi riunite minuscole riproduzioni in cera di agnellini a rappresentare i fedeli. Alle pareti laterali della teca sono addossate viti cariche d’uva come chiaro rimando al sacrificio del Figlio di Dio. Sul fondo campeggia un crocifisso ligneo caratterizzato da vistosi chiodi e corona di spine. La croce sormonta un’altura suggerita dalla stesura pittorica che gioca sul contrasto fra il bianco della parte inferiore e l’azzurro del cielo nella parte superiore, dove trovano collocazione angioletti che sorreggono una corona fra testine cherubiche e festoni. Entro la teca piccoli cartigli custodiscono iscrizioni. A sinistra della Vergine si legge: Ego nullam horam habui/ fine tribulatione cordis transfixi./ Birgit Revel. A destra: Dolor Filii mei erat dolor meus,/ quia cor ejus erat cor meum./ Birgit. Revel. Ai suoi piedi: Ad pedes dolentis Matris nostre,/ vivere volumus, et mori cupimus. Infine, due angioletti recano rispettivamente le seguenti scritte: Martyr/ Martyrum e Regina/ Martyrum. Il soggetto della Madonna addolorata, adottato per il manufatto in cera di cui si scrive, rappresenta una sorta di semplificazione adatta alla devozione popolare del tema colto dei sette dolori della Vergine. Nell’iconografia tradizionale Maria è raffigurata con il petto trafitto da sette spade secondo l’interpretazione della profezia di Simeone il quale preannunciò alla madre di Cristo che la sua anima sarebbe stata trafitta da una spada (Luca, 2, 34-35), questo il primo dei sette dolori a lei svelati. Inoltre, questa particolare accezione tematica del culto mariano unita alla contemplazione dei simboli della passione, cosa che si riscontra nell’oggetto in esame, ebbe una fortunata diffusione a partire dalla Controriforma nell’arte sacra spagnola con il nome di Vergine della Solitudine (La Soledad). Il particolare trattamento della cera modellata con l’intento di forgiare tratti delicati appena definiti da tracce di colore stese in punta di pennello sugli occhi e sulle labbra, la grazia della caratterizzazione dei costumi e del contesto ambientale sui quali domina un’assoluta sobrietà sembrano indirizzare verso la produzione ceroplastica locale. Una produzione soprattutto conventuale di cui oggi rimane pregevole testimonianza nel presepe del Monastero Maggiore di Cividale, definito da Andreina Nicoloso Ciceri come “il presepe più antico, più bello e prestigioso, che il Friuli possa vantare” (Feste tradizionali….1987, p. 38). Manifattura del Friuli orientale, sec. XVIII Madonna con Bambino Cera dipinta, stoffa, carta, legno e vetro/ teca lignea 57,5x33,5x24,3cm./ Inv. 143 Bibliografia: CICERI 1980, n. 6 p.X.95; RIBEZZI 2002 , pp. 1-2 Esposizioni: Pordenone 1980. La scarabattola lignea di foggia semplice e forma parallelepipeda, poggiante su piedini, presenta tre lati vetrati e solo il fondale chiuso da pannello. Il vetro incorniciato posto sulla fronte è asportabile grazie al sistema dei due ganci che ne assicurano la stabilità. La Vergine è raffigurata stante con in Bambino fra le braccia. Soltanto i loro volti e le mani sono modellati con la cera a differenza del corpo costituito da imbottiture. Entrambe le figure indossano vesti sobrie realizzate in raso color celeste bordate da canottiglia dorata. Il velo, posto sul capo della Vergine, è rifinito con pizzo mentre Gesù è rappresentato con il capo coronato. Il collo e i polsi della Madre e del Figlio sono decorati da sottili fili di minuscole perline di vetro. Maria ha anche lobi impreziositi da orecchini a fiore e intorno al suo busto è stata posta una corona del rosario. I personaggi sono immersi in una ricca profusione di fiori sparsi sul piedistallo e organizzati in pesanti ghirlande che incorniciano l’apertura frontale. Interessante la parete di fondo dove trovano collocazione ex-voto, brevi devozionali di varia foggia, medaglie con immagini sacre e mariane, gioielli come un orecchino a pendente con pietra rossa e un filo di perle. In particolare si segnalano due brevi devozionali entro i quali si conservano carte manoscritte sagomate come i loro contenitori. Il primo è un sacchettino di stoffa di colore verde a forma di cuore e presenta al suo interno un foglio piegato in quattro parti che aprendosi assume la forma di un quadrifoglio. Su di esso si legge: Ama tanto Iddio i nostri prossimi, che è giunto a dare per essi la propria vita; e gode che per far bene a loro, noi lasciamo lui medesimo. Quanto dunque si può credere che gli sian grati tutti i servigi che le referiamo? Ah! Che se intendessimo bene quanto [ ] questa virtù dell’amore del prossimo, non ci dovremmo ad altro [ ], che a questo. La carità fraterna è un contrapegno della predestinazione. Poiché ci fa riconoscere per veri discepoli di Cristo, mentre questa divina virtù fu quella che lo mosse a far vita povera, e a morir ignudo su d’una croce. E però quando ci troviam nelle occasioni di patire per la carità, ne dobbiamo benedire Dio. San Vincenzo da Paola. L’altro breve devozionale, realizzato in una stoffa di color avorio con applicazioni di perline e canottiglia intorno alla raffigurazione centrale con la Vergine, il Bambino e un agnello ai loro piedi, custodisce la seguente iscrizione dedicatoria: Se tu sai tacere e soffrire vedrai senza dubbio il soccorso del Signore sopra di te. Egli conosce il tempo e il modo di liberarti. Abbi la coscienza netta e Dio ti saprà ben difendere. Perciochè la malvagità di chi che sia non potrà nuocere a colui che Dio vorrà aiutare. Sul retro poi continua così: Di non separarmi mai da te/ Tu mi priverai degli amori di questo mondo/ mami/ mami. Le condizioni della figura di cera possono essere giudicate discrete. Si registra la mutilazione delle dita in entrambe le mani.. Manifattura del Friuli orientale, sec. XVIII Gesù Bambino Cera dipinta, stoffa, legno, vetro e carta/ 35,5x52,5x27,2cm./ Inv. 685 Bibliografia: CICERI 1980, p. 80 Esposizioni: Pordenone 1980. La raffinata scarabattola si apre al fedele attraverso vetri posti su tre lati e fissati su struttura lignea dotata di piedini. All’interno si conserva il simulacro di Gesù Bambino in porte-enfant a fasce orizzontali in tinte pastello scandite da pizzi di colore bianco e dorato. Il corpo è costituito da imbottitura mentre il capo è forgiato nella cera ed è caratterizzato da biondi capelli ricci. Un doppio filo di piccole perline colorate di vetro ne cinge il collo. L’infante è adagiato su un giaciglio di colore rosa mentre il cuscino di raso è verde. Al petto sono appuntate una spilla e una croce gioiello, entrambe con rubini incastonati. Intorno si dispiega la consueta abbondanza di fiori di stoffa che lasciano a malapena emergere un gruppo di piccole statuine lignee disposte sul fondo all’angolo destro della teca: esse riproducono alcuni personaggi del presepio come la Vergine inginocchiata in adorazione, un personaggio maschile che potrebbe essere un pastore, il bue e il Bambino, quest’ultimo di dimensioni maggiori rispetto alle altre figure e avvolto nuovamente in un parte-enfant. Sulla parete di fondo, dipinta di blu, è addossata l’immagine di Maria in preghiera, affiancata da reliquiari, sei brevi devozionali a forma di cuore o di croce in tessuti colorati e decorati, immagini sacre (San Luigi Gonzaga definito “Angelo di Innocenza”) e corone di fiori. L’insieme si conserva in buono stato mostrando integre le diverse parti di cui si compone. La tipologia dei Bambini in fasce ha origine nel XVIII secolo e può essere riferita ad artigianato monastico. La cura rivolta alla scelta dei tessuti, delle ricche decorazioni spesso con aggiunte di corone o gioielli aveva la precisa funzione di sottolineare la “regalità” dei personaggi rappresentati. Oltre la più tradizionale iconografia di Gesù Bambino si incontra spesso anche quella di Maria Bambina, per l’origine della quale “si è soliti fare riferimento alla francescana Chiara Isabella Fornari da Todi, che tra il 1720 e il 1730 avrebbe modellato nella cera delle figure di Maria Bambina; alcune di queste sarebbero poi giunte presso i Cappuccini di Santa Maria degli Angeli. Il prototipo si trova attualmente nella casa madre dell’Ordine dal 1876” (BASTA 2002). Il manufatto, come ci rende noto Luigi Ciceri, è frutto della perizia artigianale monastica del Friuli Orientale (in Religiosità popolare in Friuli, 1980, p. 80). Sec. XVIII-XIX Chierichetto Cera dipinta e stoffa/ 48cm./ Inv. 470 Bibliografia: CICERI 1980, p.73; n.12 p. X.95; VILLOTTA 2001, p. 129 Esposizioni: Pordenone 1980 Figura isolata di giovane chierichetto dal corpo imbottito e con testa e mani di cera. Le braccia, più rigide rispetto al corpo, sono piegate e protese in avanti. Il volto è caratterizzato da un modellato di grande delicatezza con definizione coloristica di bocca, occhi e capelli. L’abbigliamento è costituito da veste talare nera con lunga e fitta abbottonatura frontale, cotta di lino bianco fittamente plissettata e rifinita da pizzi, sulla quale, ad altezza del collo, sono cuciti dei nastri di raso color rosa. Completa il tutto la berretta clericale a quattro canti. Al centro della schiena sporge una rudimentale asola in filo di ferro. Il manufatto è conservato in discrete condizioni. Si registrano la mutilazione delle dita delle mani e lo stato della veste, il cui tessuto di lana è guastato dalle tarme. Nella chiesa di San Vincenzo Martire a Tualis si conserva un simulacro del tutto analogo al nostro che è stato identificato come San Filippo Neri ed è posto stante entro una “modesta urna di vetro fra due alberelli di carta crespa” (VILLOTTA 2001, p. 129). Non ritenendo calzante l’identificazione di San Filippo Neri con la tipologia del personaggio in esame, che potrebbe essere anche una riproduzione di San Luigi Gonzaga, stando all’analogia iconografica dei due santi, sembra opportuno seguire la didascalia pubblicata da Luigi Ciceri nel catalogo della mostra di Pordenone del 1980 e definirlo genericamente chierichetto (CICERI 1980, p.73, n. 12, p. X.95). Manifattura locale, sec. XIX-XX Gesù Bambino Cera dipinta, stoffa cartone e vetro/ teca 10x18x13,5cm./ Inv. 149 Bibliografia: RIBEZZI 2002, p. 1 La teca è costruita come una semplice scatola di forma parallelepipeda con fondo in cartoncino pressato sul quale si impostano pareti di vetro decorato agli angoli con grappoli di fiori bianchi a smalto. I bordi di congiunzione fra i vetri sono ricoperti da fettucce di raso arricciate. All’interno, su giaciglio lievemente imbottito e foderato da raso bianco con motivo floreale tinta su tinta, è adagiato il simulacro di Gesù bambino abbigliato con corta veste bianca dal bordino nero che ne lascia scoperte le gambe fino al ginocchio e le braccia fino al gomito. Il neonato è rappresentato con le braccia aperte e il palmo delle mani in vista. Sul suo volto, caratterizzato da guance rosate e capelli scuri dipinti, si nota un’espressione serena: gli occhi sono aperti e si intuisce un sorriso. La figura in esame rappresenta uno dei temi più frequentemente proposti dall’arte della ceroplastica e dunque ben codificato nelle diverse tipologie. I primi esemplari documentati risalgono al Cinquecento e facevano parte del corredo delle giovani spose quale augurio per la maternità, o venivano donati alle novizie in procinto di prendere i voti monacali quale consolazione per la maternità mancata. Manifattura locale, sec. XIX-XX Gesù Bambino Cera dipinta, stoffa, cartone e vetro/ teca 16,4x21,4x12,5cm./ Inv. 150 Iscrizioni: Oh Dio accendimi del tuo amor e tutta rendimi cara al tuo cuor Manifattura locale, sec. XIX-XX Gesù Bambino Cera dipinta, stoffa, cartone e vetro/ teca 16x21x11,5cm./ Inv. 1605 Iscrizioni: Il Dio immenso di gloria cinto tra fasce avvinto Bambin vagisce Bibliografia: I due manufatti sono accomunati dalle medesime caratteristiche. Infatti, entrambi presentano una rudimentale teca costituita da base e parete di fondo in cartone che sostengono un vetro posizionato a scivolo. All’interno Gesù Bambino è posto a giacere su un fitto manto erboso simulato da sottili filati di diverse gradazioni di verde, dove spiccano qua e là fiori di stoffa. Il Santo Bambino è rappresentato nudo con le braccia aperte e protese, le gambe leggermente sollevate e il volto incorniciato da pochi capelli biondi e ricci. Il capo poggia su un cuscino di raso bianco rifinito da canottiglia dorata. Intorno a lui sono sistemati anche piccoli agnelli di cera e cartigli (due per ciascun manufatto) che recano le seguenti iscrizioni: Oh Dio accendimi del tuo amor e tutta rendimi cara al tuo cuor (Inv. 150) e Il Dio immenso di gloria cinto tra fasce avvinto Bambin vagisce (Inv. 1605). Sulla parete di fondo, foderata di carta bianca, sono affisse tre testine cherubiche in cera poste intorno alla croce che spicca al centro di una mandorla raggiata ritagliata su un semplice foglio di carta leggero e poi incollata. Lo stato di conservazione risulta molto diverso per i due manufatti: il n. 150 è stato oggetto di un recente restauro che ha ricomposto la teca e incollato al corpicino di Gesù il braccio destro. Il n. 1605 invece versa in un pessimo stato: il Bambino è mutilo della gamba e del braccio sinistri e il vetro della teca è mobile e privo di alcun sostegno. L’immagine del Bambino immerso in un ambiente naturale, fra rigogliosa vegetazione e animali di piccole dimensioni, si lega strettamente al tema della Passione, cui nel nostro caso fa esplicito riferimento anche la croce che sovrasta il corpo di Gesù. Il giardino, dunque, rappresenta il Paradiso, dove, secondo tradizione, sono destinati gli uomini giusti a conclusione del loro viaggio terreno: la bellezza dell’ambiente simboleggia il concetto di Salvezza eterna cui ognuno deve mirare. La nudità di Gesù poi non deve risultare strana in quanto, come scrive Chiara Basta, “è uno degli elementi che, per contrasto, doveva accendere la pietà nei fedeli, suggerendo riflessioni sia rispetto alla necessità di coprire con le pie pratiche (preghiere, sacrifici, promesse) la statua, sia rispetto alla regalità di questo Bambino ignudo e al contempo divino” (C. BASTA 2002, Nudità e vestizione). Si ritiene che i due identici manufatti siano di produzione conventuale, come per altro suggerirebbero anche le iscrizioni invocative contenute entro gli scarabattoli di modestissima fattura. Non escluderei la possibilità che si trattasse di un monastero della nostra regione, magari proprio quello delle orsoline a Cividale già ricordato per il presepe (scheda inv. 139). Alcuni particolari, primo fra tutti il trattamento della cera con intenti di realismo ingenuo e la povertà dei materiali impiegati accomunano i due Bambini in esame al Crocifisso di cera inventariato con il n. 686, permettendo così di ipotizzare un medesimo luogo di realizzazione e una datazione piuttosto tarda intorno al sorgere del XX secolo. Manifattura locale, sec. XIX-XX Crocifisso Cera dipinta carta e cartoncino/ 38x24,5x6cm./ Inv. 686 Iscrizioni: Creator, Redemptor et Judex meus,/ per Nativitatem Deus meus,/ Vitam, Mortem, et Resurectionem tuam,/ Virgine intercedente ….Beata Maria sempre/ supplex te deprecor Imaginem tuam ne despicias/ opus manuum tuarum ne perdas peccatori tuo indulgeas/ … sisque vita mea, refugium meum/ in secula seculorum et salus mea Bibliografia: RIBEZZI 2003, p. 296 Entro una teca a forma di capanna con struttura in materiale cartaceo e vetro frontale è collocata l’immagine in cera del Cristo crocifisso. La struttura è foderata da carta decorata con motivo geometrico a scacchiera rossa su fondo bianco; dello stesso materiale è realizzata la croce latina con titolo affisso alla parete di fondo. Su di essa trova collocazione il corpo scarno del Christus patiens percorso da vistose tracce di sangue dipinte sulla cera, come altrettanto dipinto di color bruno è il perizoma che ne cinge i fianchi. Il capo, chino sulla spalla destra, è coronato da spine di rosa seccate. La croce sorge sul colle del Golgota, simulato dalla disposizione dei materiali tessili utilizzati per ricreare la vegetazione, fra la quale si scorge un piccolo agnellino a simboleggiare il sacrificio di Cristo. Ai lati del crocifisso si leggono, entro piccoli cartigli disposti simmetricamente, i versi della seguente invocazione: Creator, Redemptor et Judex meus,/ per Nativitatem Deus meus,/ Vitam, Mortem, et Resurectionem tuam,/ Virgine intercedente Beata Maria semper/ supplex te deprecor Imaginem tuam ne despicias/ opus manuum tuarum ne perdas peccatori tuo indulgeas/ sisque vita mea, refugium meum/ in secula seculorum et salus mea. Discreto lo stato di conservazione: l’immagine di Cristo presenta le gambe spezzate all’altezza delle ginocchia e la mano sinistra rotta a livello del polso. La parete di fondo della teca, dove per altro si registra una corda con terminazione a nappa che consentiva l’affissione a muro dell’oggetto, è interessata da vasti aloni provocati da umidità. Si deve proprio a questo fattore l’emersione sulla superficie cartacea di iscrizioni manoscritte che accertano il reimpiego di documenti come lettere private per la realizzazione di tali manufatti. Si conferma così l’origine modesta, probabilmente fra le mura di qualche monastero femminile, di molte delle cere conservate in collezione. In particolare, il crocifisso in esame mostra stringenti punti in comune con le due teche contenenti Gesù Bambino contrassegnate in inventario dai numeri 150 e 1605: identico l’uso di materiali umili e la semplicità della fattura come l’utilizzo di filati nelle diverse gradazioni di verde a simulare la vegetazione e, per finire, risulta identica anche la tipologia dei cartigli per le invocazioni. Croci Schede a cura di Antonella Ortogalli Oreficeria veneziana, fine sec. XVII Croce astile a doppio dritto Argento sbalzato e cesellato/ 62x29,8cm./ Inv. 290 La croce astile costituisce il naturale sviluppo della cosiddetta croce portatile o processionale adottata fin dalle origini del cristianesimo con la funzione di precedere e dunque aprire il corteo liturgico. Inizialmente tali croci erano dotate di impugnature o semplicemente erano caratterizzate da un prolungamento del braccio verticale che ne facilitasse la presa per il trasporto, ma già a partire dall’VIII secolo sono documentate croci dotate d’innesto così da permettere l’inserimento delle stesse in una lunga asta che le rendesse visibili a tutti i fedeli impegnati nel rito processionale. La caratterizzazione di entrambe le facce attraverso immagini figurative comparve intorno al IX secolo e fu una scelta dettata dalla particolare natura di tali croci che, essendo portatili, dovevano mostrare indifferentemente il recto e il verso. Dapprima l’attenzione fu concentrata esclusivamente sulla figura del Cristo dolente, al quale si affiancarono ben presto, a partire dal XII secolo, la Vergine in coppia con San Giovanni entro le terminazioni del braccio orizzontale e Dio Padre, posto all’apice. Da un punto di vista iconografico e di ricchezza formale le croci figurate conobbero il massimo sviluppo nel corso del Rinascimento con l’impiego di smalti e pietre preziose entro strutture dai contorni mistilinei con terminazioni di grande inventiva a creare manufatti preziosi per gli arredi ecclesiastici. Appartiene al sontuoso stile barocco la croce astile d’argento contrassegnata dal numero d’inventario 290. Essa presenta innesto tubolare terminante con nodo a cipolla, sulle cui superfici si dispiegano motivi decorativi a cartigli e volute incisi, mentre solo nella parte inferiore sono visibili graziose testine di cherubini. La croce, caratterizzata da terminazioni polilobe, è arricchita da raffinati decori floreali traforati, sagomati e inseriti lungo l’orlo seguendo uno schema elegantemente simmetrico: ai lati del montante e su ciascun lobo delle terminazioni. Sul recto campeggia la figura a tutto tondo del Christus patiens con capo chino sulla spalla destra e busto lievemente scostato dalla semplice croce latina cui è affisso. Essa è realizzata in lamina d’argento con raggiera lanceolata all’incrocio dei bracci. La terminazione destra ospita la figura a mezzo busto di San Giovanni dolente, mentre quella sinistra la Maddalena penitente dai lunghi capelli. Entrambe le figure sono in lamina d’argento sbalzata e applicata al corpo della croce. La terminazione inferiore è riservata a Maria e quella superiore, al di sopra del titolo, all’Eterno Padre in atto benedicente e recante il globo terrestre. Il verso presenta al centro la figura stante della Vergine col Bambino sostenuta da teste di cherubini e circondata dai simboli dei quattro evangelisti, raffigurati entro le terminazioni. Le superfici del montante e della traversa sono percorse da motivi vegetali stilizzati e incisi su entrambi i lati. Lo stato conservativo del prezioso manufatto può essere giudicato buono nonostante i segni del passare del tempo e dell’usura siano riconoscibili nella mancanza di alcuni fregi fusi e cesellati che decorano i lobi e nelle superfici deformate qua e là da ammaccature. Una ricca profusione di punzoni, leggibili sulle superfici, indirizza l’indagine conoscitiva dell’oggetto verso una bottega d’argentiere veneziano grazie ai numerosi leoni “in moleca” visibili accanto alle cifre GB sormontate da due stelline entro sagoma a quadrilobo. Si tratta di un punzone riscontrato in analoghi lavori d’argenteria sul finire del XVII secolo e agli inizi del secolo successivo. Rappresenta una delle varianti del contrassegno del Sazador Gasparo Balbi documentato alla Zecca tra il 1660 e il 1693. Il segno di un altro punzone è poi riscontrabile solo sul recto: la lettera B è seguita da un’altra lettera difficile da identificare, forse una S. Sul verso, invece, compare un contrassegno di bottega documentato a cavallo fra il XVII e il XVIII secolo che rappresenta, entro una forma vagamente ovale, la figura di un animale acquatico con ali spiegate: una specie di cigno. L’opera, ispirata a modelli in uso ormai da qualche secolo, appartiene, dunque, all’epoca tardo - barocca come confermano la ricchezza e la tipologia della decorazione, che identificano la croce in esame come lavoro di pregio grazie anche alla cura per il dettaglio e alla grande attenzione rivolta all’aspetto narrativo delle presenze figurative, rese con intensità espressiva e mimica gestualità. A tal proposito, emerge, come prova di abilità formale, la plastica costruzione del corpo di Cristo, frutto di attento studio del disegno anatomico, ma, soprattutto, funzionale al coinvolgimento emotivo del fedele grazie al gioco di forze contrastanti che suggerisce la tensione muscolare di braccia e gambe contro il completo abbandono del capo sulla spalla destra. Manifattura friulana, sec. XVII (?) Crocifisso ligneo Legno scolpito e dipinto/ 122x61cm./ Inv. 1411 Bibliografia: CICERI 1980, n. 2 p. X. 95 Esposizioni: Pordenone 1980 Una possente croce latina presenta la figura del Christus patiens con testa di grandi dimensioni coronata di spine, dalle quali si dipartono fiotti di sangue che ne irrorano il busto. Il volto, abbandonato, è lievemente proteso in avanti. Il torace è caratterizzato da una struttura ossea a semicerchi concentrici che hanno origine sullo sterno: evidente l’ingenuità compositiva che concorre ad individuare in una bottega artigiana di ambiente attardato il luogo di provenienza dell’opera. Il corpo, sproporzionato rispetto la testa, grava su gambe molto flesse e parallele tanto che anche i piedi, di norma sovrapposti, in questo caso sono solo accostati ed è il piede destro ad essere trafitto dal chiodo. Il perizoma, annodato al fianco sinistro, è trattenuto da un doppio giro di corda. Buono lo stato conservativo: un recente e non documentato intervento ha provveduto a rinforzare il montante della croce mediante l’aggiunta di un nuovo asse. La figura di Cristo presenta la mutilazione di alcune dita della mano sinistra e cadute di colore. Il crudo realismo espressivo ottenuto anche attraverso l’uso del colore atto a sottolineare la valenza drammatica del soggetto, con abbondante profusione di pennellate di vernice rossa su tutto il corpo, e la sommaria attenzione verso la costruzione anatomica sono aspetti di un linguaggio basato su un’ingenuità arcaicizzante che sopravvisse lungo i secoli, in veste di genuina adesione alla tradizione locale, in molti prodotti scultorei realizzati per le piccole pievi della zona carnica. Il crocifisso, esposto alla mostra di Pordenone del 1980, viene indicato da Luigi Ciceri come opera del XVII secolo di manifattura carnica. Manifattura friulana, sec. XVIII Frammento di crocifisso ligneo Legno scolpito e dipinto/ 72x35cm./ Inv. 154 Il frammento di crocifisso in esame è costituito esclusivamente da una parte mutila del corpo di Cristo, privo delle braccia, del piede sinistro e di buona parte della gamba destra, integra fino al ginocchio. Raffigurato secondo la tipologia iconografica del Christus patiens, presenta volto chino sulla spalla destra con occhi chiusi, labbra scostate e incorniciate da barba e baffi. Sui lunghi capelli spicca la corona di spine. Dalla fronte rivi di sangue scendono a lambire il viso e il costato. Il corpo è asciutto e il busto, allungato senza rispetto delle proporzioni, grava su gambe particolarmente sottili. Pessimo lo stato conservativo non solo per la condizione mutila che lo caratterizza, ma anche per il generale sollevamento delle vernici che ha già prodotto estese cadute della pellicola pittorica, aggravate dalle numerose scalfitture e dalla diffusa tarlatura. Non facile, dunque, esprime un giudizio stilistico sull’opera, che, tuttavia, pare risentire, almeno nella costruzione del corpo, di tipologie iconografiche di antica discendenza mostrando caratteri in comune con tanta parte della scultura lignea carnica prodotta nel Settecento. Croce da tavolo Sec. XVIII/ Avorio e legno/ 66x13,5x21,6cm./ Inv. 397 La croce divenne parte integrante dell’arredo ecclesiastico solo nel IV secolo come conseguenza della diffusione del culto della vera croce che si generò dopo il rinvenimento ad opera di Sant’Elena. In origine le croci erano caratterizzate da aniconismo. Sulle superfici, però, erano incastonate pietre preziose e smalti variopinti. L’immagine del Christus patiens, la più comune, comparve a partire dal IX secolo. La croce d’altare si sviluppa dal modello processionale e fece la sua comparsa in Occidente piuttosto tardi, intorno al X secolo. Quest’ultima, infatti, permetteva, vista la sua natura scomponibile rispetto l’asta sulla quale veniva eretta, di essere adattata ad una base posta sull’altere. Spesso la parte inferiore assumeva, grazie al valore decorativo di cui veniva investita, un significato simbolico e allusivo al luogo della crocifissione rappresentando il Golgota stesso. La presenza del crocifisso sull’altare durante la messa fu istituzionalizzata dal Messale di papa Pio V nel XIV. La collezione Ciceri annovera alcuni interessanti esemplari di crocifissi dotati di base d’appoggio e adatti a sacrestie o ad ambienti domestici e quindi al culto privato sia per i materiali di cui si compongono, che per le dimensioni contenute e la tipologia che li caratterizza. Per tale motivo pare più opportuno definirli generalmente crocifissi da tavolo. Si tratta di manufatti settecenteschi fra i quali spicca il crocifisso in legno e avorio contrassegnato dal numero 397. Lo zoccolo modanato ha sezione dal profilo mistilineo con due bracci laterali sporgenti e divergenti. Su di essi poggiano elementi di raccordo a voluta arricchiti da intarsi floreali eburnei. Tra tali decori si apre un piccolo cassetto che presenta sulla fronte un pomello metallico posto al centro. Al di sopra della copertura a cupolino s’innalza la croce latina con profilature lineari giocate sul contrasto cromatico del legno e dell’avorio. Il montante termina con una decorazione a foggia di giglio stilizzato e realizzato in avorio. Dallo stesso materiale è stato ricavato anche il corpo di Cristo, plasticamente reso a tutto tondo. Il disegno anatomico è curato nel dettaglio con chiaro intento patetico in modo da far risaltare l’ossatura resa visibile sotto la sottile epidermide, tesa fino al punto di aderire alla cassa toracica aperta ed espansa. Il volto, indirizzato verso la spalla destra, ha occhi ribassati e labbra schiuse in un espressione di dolore. La testa, coronata di spine, presenta lunghi capelli mossi e scomposti con ciocche che lambiscono le spalle. Il manufatto è giunto in Museo in cattivo stato di conservazione con parti mancanti o staccate per quanto riguarda la struttura lignea di base, intaccata anche da tarli. Non è pervenuto il titulus, la cui originaria esistenza è testimoniata, oltre che da ovvie ragioni iconografiche, dalle tracce che ne indicano la sede sopra il capo di Cristo. Quest’ultimo è mutilo della mano sinistra, privo di aureola e le sue superfici sono scurite da coltre polverosa. Nonostante ciò risulta evidente l’elevata qualità del crocifisso realizzato sicuramente per una committenza importante. Settecentesche risultano le scelte formali e la tipologia decorativa impostata sul contrasto cromatico fra il candore di volute ed elementi floreali, tratti da un repertorio diffuso e comune nel corso del secolo, e la scura vernice con cui il legno è stato trattato. Oreficeria veneziana, sec. XVIII Croce da tavolo Argento dorato e brunito, legno/ 84x12x31cm./ Inv. 1012; 1340 Su base con zoccolo modanato si imposta il cassettino dotato di piccolo pomello inserito in una placca metallica foggiata a mascherone antropomorfo. La struttura si completa con copertura sporgente e a sua volta modanata che si collega alla base mediante due ali laterali a voluta. All’interno del cassettino sono stati rinvenuti i piedini d’appoggio realizzati in argento brunito. Al di sopra della base si erge la snella croce latina con terminazioni ad innesto raffiguranti coppie di cherubini in argento fuso. All’incrocio dei bracci sono inserite quattro sottili lamelle lanceolate a raggiera. Di intensa drammaticità la figura del Cristo vivo che campeggia al centro, raffigurato nell’atto di rivolgere il capo al cielo ad invocare il Padre prima di spirare. La tensione si percepisce nella muscolatura e nel reticolo venoso in evidenza su braccia e spalle, il dolore nell’espressione del volto e nello sforzo, tragicamente ultimo, di sollevare la testa, che inevitabilmente cede verso la spalla destra. Le mani presentano l’indice e il medio in segno benedicente. La croce lignea presenta una netta recisione proprio sotto i piedi di Cristo. Sotto i piedini d’argento, ottenuti per fusione, si leggono le lettere TRO e FEO sistemate su due file sovrapposte entro sagoma rettangolare. Le stesse si riscontrano reiterate sui quattro elementi lamellari che compongono la raggiera e sul cartiglio del titolo. Sulle terminazioni che riproducono teste cherubiche si vede la sigla MP su leone “in moleca”, punzone riscontrato su manufatti del XVIII secolo. In fine, sul perizoma si riconosce il marchio di Zecca veneziana col leone vicino a iniziali di non facile identificazione, forse Z:C. La scelta di un linguaggio espressivo di grande impatto emotivo caratterizza un’opera di buona fattura dove ogni singolo dettaglio è trattato con grande cura: si noti ad esempio la superficie scabra del perizoma, fermo e ben panneggiato, essa certamente è funzionale a intenti luministici, aspetto certo in origine di grande effetto vista la scelta di brunire alcune parti e dorarne altre puntando così su suggestioni cromatiche modulate a contrasto con la vernice nera delle parti lignee. Manifattura veneto-friulana, sec. XVIII Basamento di croce da tavolo Legno e ottone/ 12,3x17,5x9,5cm./ Inv. 1015 Base di sezione semi-ottagonale con zoccolo modanato e decorato da piccoli fiori, di cui ne sopravvive uno soltanto su tre previsti in origine, in lamina di ottone sbalzata. Al di sopra, una piccola struttura a podio presenta la parte centrale cubica con mascherina riproducente una testina di cherubino, ottenuta per fusione. Le due parti laterali, più basse e disposte secondo uno schema simmetrico, sono sormontate da un piccolo puntale e hanno decori floreali in ottone al centro della fronte e del fianco esterno. Sul gradino centrale si può ipotizzare che in origine si ergesse il crocifisso purtroppo non pervenuto in Museo. Tutt’altro che buone le condizioni in cui si conserva questo frammento di croce da tavolo di fattura settecentesca e di area veneta visto lo stringente confronto con gli altri analoghi oggetti religiosi della collezione Ciceri. Estese tarlature ne hanno intaccato le superfici lignee e le applicazioni floreali in lamina metallica purtroppo sono giunte in numero ridotto come testimoniano le tracce lasciate sul legno. Oreficeria veneziana, sec. XVIII Croce astile Argento sbalzato e cesellato/ 44x16,8cm./ Inv. 1018 Una semplice croce latina con profilature incise da disegno lineare e con terminazioni caratterizzate da teste di cherubini si imposta su nodo a vaso concluso da cupolino, il più diffuso nel Settecento, mediante foglie d’acanto dorate che fanno da elemento di raccordo. Il nodo, posto al di sopra di un semplice innesto cilindrico, presenta superfici consunte sulle quali si scorgono comunque decori a foglie stilizzate incise e a sbalzo, mentre il collarino è caratterizzato da bacellature ovoidali impercettibilmente sbalzate. La figura del Cristo, nell’eccezione del Christus patiens, è lavorata a tutto tondo e presenta corpo asciutto con visibile ferita al costato e perizoma appena mosso. Le lunghe mani affusolate e i piedi sovrapposti sono trapassati da chiodi di grandi dimensioni con capocchia appuntita. All’incrocio del montante con la traversa s’innestano quattro sottili lamine foggiate a raggiera che incorniciano il titulus. Il verso della croce non presenta figurazioni o elementi decorativi, ma è lasciato in uno stato grezzo. Lo stato di conservazione è buono e permette la lettura dei punzoni che con la presenza del leone “in moleca” indicano la manifattura veneziana. Essa è confermata dalla sigla ZP inframmezzata dalla stilizzazione di un cigno, contrassegno del Pubblico sazador Zuanne Premuda, documentato in Zecca a partire dal 1695 e morto nel 1749. Tale marchio di controllo, riscontrato anche sulla grande croce processionale custodita nel Palazzo Arcivescovile di Gorizia (BERGAMINI 1992, p. 327) e in quella della chiesa di San Giorgio Martire a Premuda (VILLOTTA 2001, p. 186), consentirebbe dunque di datare la pregevole croce astile all’inizio del XVIII secolo. Va rilevata la raffinatezza dell’oggetto che si caratterizza per assoluta sobrietà da un punto di vista decorativo e per l’elevata fattura della figura a tutto tondo di Cristo. Manifattura friulana, sec. XVIII (?) Frammento di crocifisso ligneo Legno scolpito e dipinto/ 12,5cm./ Inv. 1552 Il frammento superstite attesta un crocifisso di piccole dimensioni scolpito nel legno. Purtroppo rimane davvero ben poco per poter operare un’analisi di stile sull’oggetto in quanto il corpo di Cristo, privo della croce, si conserva mutilo di entrambe le braccia con totale sollevamento della pellicola pittorica che ne ha gia determinato la caduta in vaste zone. Il volto consunto non permette di leggerne l’espressione, ma la posizione del capo, abbandonato sulla spalla destra, lascia intuire la tipologia del Cristo dolente. Per quel che è possibile rilevare dall’intaglio e dall’approssimativa definizione anatomica, pare trattarsi di un prodotto artigianale di probabile provenienza carnica, adatto al culto privato in considerazione delle ridottissime dimensioni. Crocifisso ligneo Sec. XIX/ Legno scolpito e dipinto/ 53,5x30,6cm./ Inv. 148 Su croce latina campeggia la figura di Cristo dai tratti somatici visibilmente mediorientali: lunghi capelli e folta barba nero corvino incorniciano il volto caratterizzato dal naso largo e schiacciato. Il capo è incassato nel busto e il corpo non prevede alcun accenno alla caratterizzazione anatomica risultando complessivamente goffo e approssimativo. Il perizoma rigido e statico cinge i fianchi ed è annodato a destra. La vernice impiegata per dare colore alle superfici simula una carnagione olivastra. La croce è pervenuta priva del titolo che in origine sovrastava il capo coronato di spine di Cristo. Lo stato conservativo risulta compromesso dalla mutilazione della mano destra e dalle cadute di colore diffuse sul corpo. La figura di Cristo è definita solo nella sua parte frontale lasciando quella posteriore in uno stato volutamente incompiuto e scabro. Questo, unitamente ad alcuni particolari, come la mancata definizione delle dita di piedi e mani o l’assoluta mancanza di disegno anatomico, collocano l’opera come frutto di un artigianato minore e di provincia, senza pretesa di dignità artistica. Inoltre le ridotte dimensioni del crocifisso fanno pensare ad un uso domestico, adatto alla devozione privata. Frammento di crocifisso Sec. XX/ Ottone fuso/ 23x11,5cm./ Inv. 291 Il corpo di Cristo, realizzato a tutto tondo mediante fusione, è rappresentato con capo chino sulla spalla destra. Il volto è incorniciato da barba e capelli, la cui consistenza è suggerita mediante disegno lineare ondulato. Definiti da analoghe stilizzazioni, in questo caso da linee geometriche tagliate di netto, sono anche il naso affilato e gli occhi socchiusi. Manca l’attenzione di matrice classica per le anatomie e sul torace, dove non si percepiscono particolari tensioni muscolari, spicca una vistosa ferita che si apre a rombo. Le superfici si caratterizzano per il diverso impatto della luce che scivola sul corpo liscio, s’insinua fra i linearismi del volto e viene intrappolata dal fitto e minuto tratteggio del perizoma. La figura del Cristo è pervenuta in museo entro una cornice lignea con fondo foderato di velluto rosso al quale è rudimentalmente affissa. L’opera è mutila del braccio destro, della mano sinistra e delle dita dei piedi, trapassati da un vistoso foro. Una visibile integrazione del metallo si nota nella parte posteriore del braccio sinistro oltre a scalfitture e ossidazioni piuttosto diffuse. Il linguaggio stilistico dell’opera, per quel che è possibile giudicare dal frammento in questione, porta a riconoscerla come lavoro di epoca contemporanea, databile al secolo scorso. Ulteriori indizi si sarebbero potuti ricavare dall’analisi della croce che purtroppo non ci è pervenuta. Decorazionisacre Schede a cura di Dania Nobile Manifattura friulana, sec. XVIII Decorazione apicale Legno intagliato e dorato/ 19,5x12 cm./ Inv. 967 Pomello decorativo in legno dorato scolpito con delle semplici incavature nel fusto, e con dei motivi vegetali nella cui parte inferiore compare un elemento semisferico. Sulla sommità alcune foglie, dalle linee semplici e raffinate, si chiudono a bocciolo facendo così da corona alla sfera apicale. Lo stato di conservazione della doratura è, nel complesso, buono. Si rilevano alcune rotture della superficie con relative cadute di parti delle foglie ornamentali. Il pomello può essere considerato quale terminale di asta di baldacchino per le processioni, o come decoro delle mazze che venivano portate dinnanzi ai cortei sacri. Manifattura friulana, sec. XVIII Decorazione apicale a corona Legno intagliato e dorato/ 13x9,5 cm./ Inv. 1239 Decoro a forma di corona in legno dorato e scolpito con motivi vegetali e pennacchio a pomello. Diverse cadute della doratura interessano la superficie del manufatto lasciando così in evidenza il legno. L’oggetto trova una sua consona collocazione quale decoro apicale di una mazza processionale, o come terminale di aste di baldacchino. Manifattura friulana, sec. XVIII Decoro ornamentale Legno intagliato e dorato/ 13,5x12,5 cm./ Inv. 1430 Decoro ligneo a croce gigliata ornata nel centro con un motivo floreale i cui petali coprono le quattro braccia della croce e gli spazi tra esse, così da creare un effetto a raggiera. Sono evidenti i segni della tarlatura che copre la superficie dell’oggetto la cui doratura è compromessa e ormai completamente perduta in alcune parti. Il manufatto, in origine, faceva probabilmente parte di una croce di consacrazione (vedi Inv. 1432) di cui rappresentava il decoro centrale. Manifattura friulana, sec. XVIII Decoro ornamentale Legno intagliato, dorato e dipinto/ Ø11,5 cm./ Inv. 1431 Decorazione lignea intagliata a motivo floreale i cui quattro petali, chiusi a raggiera, formano altrettanti fori di forma ovoidale. La parte centrale è costituita da un elemento circolare a doppio raggio segnato da una profonda scanalatura decorativa. Diverse e significative cadute della doratura interessano l’oggetto nel suo complesso. Tale manufatto può trovare una corretta collocazione come parte decorativa di qualche mobilio o altare. Manifattura friulana, sec. XVIII Croce di consacrazione Legno intagliato e dorato/ Ø 33 cm./ Inv. 1432 Questo manufatto a forma circolare presenta una decorazione in legno dorato composta da quattro foglie disposte in modo da suggerire le linee di una croce gigliata. In diversi punti si notano alcune significative fratture e conseguenti cadute del supporto ligneo e della doratura. La parte centrale è priva del decoro originale che va però ricondotto, per forma e tipologia, agli esemplari (Inv. 1430 e 1431) della collezione Ciceri. Essi, infatti, pur non essendo dichiaratamente collegabili a questa croce di consacrazione riflettono quella che poteva essere la loro originale collocazione. In particolare uno di questi decori (Inv. 1431) presenta il medesimo elemento floreale del nostro ovale differendo, però, nella doratura eseguita in modo del tutto dissimile. Il manufatto va dunque certamente identificato come una delle dodici croci che, fissate alle pareti della chiesa, costituiscono, insieme ai “candelieri di consacrazione” che le accompagnano, una delle tappe fondamentali nella consacrazione vescovile dell’edificio sacro. Manifattura friulana, sec. XVIII-XIX Vaso ornamentale Legno scolpito, smaltato e dorato/ 43,5x13,5 cm./ Inv. 1264 Un possente zoccolo cubico sostiene questo vaso ligneo che è composto da un piede a base circolare e da un piccolo nodo inferiore, a sezione sferica, da cui si diramano delle foglie che convergono nel rigoglio a disco. L’intaglio prosegue con un motivo a gola pronunciata terminante in un elemento circolare, leggermente schiacciato, sul quale poggia un imponente pennacchio floreale. Le diverse varietà che costituiscono il bouquet creano un raffinato gioco di forme che prevede un’accurata disposizione di ogni singola parte, in modo da conferire al decoro un gradevole slancio verso l’alto. L’oggetto è ricoperto da una stesura di smalto bianco che lascia scoperte soltanto la scanalatura del basamento e la parte centrale dei fiori. Il manufatto è percorso da diverse abrasioni e da alcune fratture del legno, ma la presenza della vernice lo ha probabilmente preservato dall’attacco dei tarli, che non sembrano aver lasciato i caratteristici segni del loro passaggio. Da un attento esame della cromia si è visto che la smaltatura copre nel vaso il supporto ligneo neutro, mentre nel mazzo di fiori riveste una precedente doratura che, secondo i dati rilevati dall’analisi, non interessava soltanto le parti attualmente visibili, ma si estendeva a tutto l’elemento floreale. Considerando la foggia questo vaso potrebbe trovare una consona collocazione come elemento ornamentale da porre sulla cimasa di qualche organo oppure su qualche frontale architettonico d’altare. Si può dunque immaginare che tale manufatto sia stato, un tempo, parte integrante del decoro del frontone o di qualche parasta d’altare ligneo. La presenza dello smalto bianco, pur non essendo particolarmente determinante, può ugualmente suggerire un intervento dovuto a un cambiamento della moda e del gusto del tempo. In quel contesto gli altari di marmo sostituirono gradatamente quelli lignei che rimasero una realtà limitata a qualche centro di periferia dove, non potendo introdurre nuovi arredi, si decise di sopperire a tale mancanza semplicemente imitando il marmo. Questi motivi porterebbero a collocare l’oggetto entro una bottega artigianale locale della fine del settecento, inizi ottocento. Manifattura friulana, sec. XIX Coppia di decori ornamentali Legno intagliato e dorato/ Ø10 cm. (Inv. 333), Ø6 cm. (Inv. 333b)/ Inv. 333, 333b Applicazioni lignee floreali quadripetali con stame sopraelevato e a doppio registro (Inv. 333), o semplicemente in rilievo (Inv. 333b). La rosa più piccola si differenzia dall’altra sia per le forme, sia per l’intaglio, molto più ingenuo e grossolano. Nella rosellina (Inv. 333b) la presenza di due fori posti sulla corolla suggerisce un’applicazione dell’oggetto per mezzo di piccoli chiodi, mentre l’assenza di questo particolare nell’altra rosa (Inv. 333) dichiara l’uso di un collante. Nella doratura, eseguita su fondo rosso, si rilevano alcune screpolature con conseguente distacco (in particolare si veda Inv. 333b). Questa coppia non presenta particolari affinità stilistiche tali da considerarle quali serie di un unico apparato decorativo; questo, tuttavia, non esclude l’ipotesi che esse siano parte integrante dell’ornato di qualche mobilio. La presenza, sul retro della rosa (Inv. 333), di un’etichetta artigianale con scritto “L/2.500” permette di ipotizzare che l’acquisto dell’oggetto sia avvenuto presso qualche mercatino d’antiquariato. Manifattura friulana, sec. XIX Vaso ornamentale Legno (noce?) scolpito/ 31x11,5 cm./ Inv. 1157 L’essenziale piede a base circolare sostiene questo vaso ligneo ad anfora semplice, sulla cui sommità si trova un mazzo di fiori e frutti. La gola è decorata con filiformi foglie d’acanto, che dalla parte terminale del collo del piede proseguono fino alla base del rigoglio. Quest’ultimo è ornato da motivi a palmetta che corrono lungo tutto il perimetro superiore. La spalla, composta da un sottile disco e da un cilindro, sembra voler idealmente dividere il vaso dal suo contenuto. L’oggetto presenta alcuni segni di tarlatura diffusi in particolar modo sul rigoglio superiore. La peculiarità delle forme e l’uso del legno neutro, senza particolari aggiunte cromatiche, permettono di inserire questo vaso ornamentale nel contesto dei decori posti, di norma, in cima ai confessionali o sulle trabeazioni superiori ai dossali del coro. Tale oggetto trovava dunque una sua probabile collocazione alle estremità del dossale o al centro dello stesso, forse attorniato da angeli reggi ghirlande. Il materiale e l’intaglio utilizzati suggeriscono l’intervento di una discreta bottega di scultori locali degli inizi dell’ottocento. Exvoto Schede a cura di Claudio Moretti Tra l’eterogeneo e ricco materiale della collezione Ciceri, un rilievo particolare assume il corposo gruppo degli ex voto (quasi una cinquantina) costituito da dipinti e targhette. La pratica votiva, sia essa un ringraziamento per l’intervento divino già manifestatosi o un pegno per una grazia che deve ancora compiersi, fa parte da sempre del linguaggio spirituale dell’uomo e con esso si evolve pur mantenendo le proprie funzioni originarie. Le tipologie dell’offerta mutano a seconda delle disponibilità del devoto o in proporzione all’entità dell’intervento richiesto. Confraternite, ordini religioso-militari e Comunità commissionano chiese votive, l’erezione di altari e dipinti; il singolo devoto di condizioni modeste dedica oggetti personali o realizzati allo scopo, offerti in occasione del pellegrinaggio al Santuario. Gli ex voto esprimono un atto di devozione e sono testimonianze del contesto culturale e religioso, dei valori e dei costumi appartenenti ad un particolare momento storico; da qui l’articolato e crescente interesse del loro studio, prezioso anche per salvaguardarne la memoria spesso dispersa dai numerosi furti e dalla perdita degli esemplari più antichi. La donazione Ciceri offre un’articolata campionatura, soprattutto per le tavolette dipinte. Si tratta infatti di manifatture diverse, più o meno attente e in grado di aderire alla realtà e coglierne i particolari, secondo un arco cronologico fra XVII e XX secolo. Di grande interesse sono le raffigurazioni delle immagini mariane: la Madonna del Carmelo o dello scapolare, la Vergine del Rosario legata alla diffusione della pratica devozionale specifica, la Madonna della Cintura, legata anche a culti popolari locali. Tre tavolette riportano la Madonna del Giglio simbolo di candore (provenienti dalla omonima chiesetta di Aprato in val del Torre). Per quanto riguarda l’iconografia dei santi, frequente è san Antonio da Padova, il cui culto è ampiamente diffuso. Strettamente connesso al “rito” dell’ex voto è il luogo sacro ove è pubblicamente manifestata e rimane visibile il segno del pactum tra uomo e divino. Diversi sono i santuari noti e frequentati in Friuli Castelmonte, S.Osvaldo a Sauris, S.Antonio a Gemona, Madonna delle Grazie a Udine ma molti altri luoghi che non posseggono ufficialmente lo status giuridico di santuario erano percepiti come tali dalle popolazioni e quindi oggetto di particolare devozione. Una donna invoca la Vergine per la guarigione di una fanciulla Sec. XVII/Olio su tavola/ 30,5x32 cm/ Inv. 230 Madonna del Rosario/ Infermità, malattia Bibliografia: RIBEZZI 2005, p. 95 La patologia di cui soffre l’inferma che riposa a letto è rappresentata dalla gamba posta sopra l’ammalata in cui è sommariamente descritta una tumefazione. Per la sua guarigione forse la madre, inginocchiata e di profilo, implora la Vergine con il Bambino assisa in alto al centro di una nuvola. L’ignoto pittore descrive fedelmente sia l’interno (semplice letto a cavalletti) che l’abbigliamento. Un angelo addita alla Vergine il viandante implorante Sec. XVII/Olio su tavola/ 26x26,5 cm./ Inv. 232 Madonna del Buon Consiglio, angelo/ Voto segreto, preghiera Iscrizioni: “EX VOTO Antonio Qm Pietro BeLina Perifit adì 26 giugno 1600” Un viandante in abiti borghesi, forse un boscaiolo come lasciano supporre il bagaglio e gli attrezzi a terra (un’ascia ed una roncola), si rivolge a mani giunte alla Madonna presso la quale intercede un angelo. Il tenero atteggiamento della Vergine verso il Bambino suggerisce l’iconografia della Mater Boni Consili (sacra icona del santuario di Genazzano, dove la leggenda vuole che l’immagine nel XV secolo sia apparsa portata in volo dagli angeli da Scutari in Albania per sfuggire alle persecuzioni) preposta a tutelare i fedeli e sorreggere i pellegrini sulla retta via. La Vergine intercede per un uomo aggredito da soldati Sec. XVII/Olio su tavola/ 22,4x24,8 cm./ Inv. 234 da Aprato, chiesetta Madonna del Giglio Madonna con Bambino/ Aggressione armata Bibliografia: MORO 1971, p. 163; RIBEZZI 2005, p. 95 La scena è ambientata in aperta campagna ove, sulla sinistra, un uomo è trattenuto da due soldati armati di sciabola e archibugio (forse turchi, ausiliari austriaci di etnia serbo/croata, tra cui va ricordato il reggimento di frontiera della Slavonia “Gradisca” che aveva in dotazione divise rosse non dissimili da quelle qui rappresentate). In alto, entro una nuvola, è assisa la Vergine, segno della protezione ricevuta. Un devoto in preghiera Sec. XVII/Olio su tavola/ 27x31 cm/Inv. 237 Madonna con Bambino, sant’Antonio da Padova/ Voto segreto, implorazione Bibliografia: RIBEZZI 2005, p. 96 L’atteggiamento dell’orante, inginocchiato e a mani giunte, mancando altri riscontri, forse esprime una generica offerta di devozione o un voto che non si è voluto esplicitare. La Vergine con il Bambino è affiancata da S. Antonio posto più in basso ed entrambi occupano gran parte della scena. Due uomini implorano per la salvezza di una donna caduta da cavallo Sec. XVII/Olio su tavola/ 27x25,4 cm./ Inv. 239 Madonna con Bambino, santo francescano, santa martire/ incidente, caduta Bibliografia: SGUBIN 1994, p. 77 Una donna caduta da cavallo corre il pericolo di esserne travolta e due gentiluomini in ginocchio implorano l’assistenza divina impersonata dalla Vergine, da un santo francescano e da una santa martire (forse santa Agnese tradizionalmente protettrice delle giovani vergini o santa Barbara invocata in caso di pericolo di morte improvvisa). Accurata e fedele la descrizione dell’abbigliamento secondo le fogge del terzo quarto del XVII secolo. Una famiglia si rivolge alla Vergine per il congiunto infermo Sec. XVII/Olio su tavola/ 25,4x33,7 cm./ Inv. 243 Madonna con Bambino, san Antonio da Padova/ malattia infantile Iscrizioni: “X.V.” Bibliografia: SGUBIN 1994, p. 91 I genitori con quattro figli in fila secondo l’età sono inginocchiati e additano il familiare (presumibilmente un altro figlio) che giace a letto ammalato; in alto a sinistra la Vergine con il Bambino è affiancata da san Antonio da Padova, protettore dei fanciulli. Una scritta, scarsamente leggibile sul retro, in cui si accenna alla Madonna del Giglio, suggerisce la provenienza da una chiesetta omonima. Un uomo è trattenuto da due aggressori Sec. XVII/Olio su metallo/ 29 x42 cm./Inv. 254 Madonna con Bambino, Santi/ aggressione da Aprato, chiesetta della Madonna del Giglio Bibliografia: MORO 1972, p. 164 In precarie condizioni conservative, il quadretto raffigura una scena articolata. Di notte un gentiluomo è stato trascinato in camicia fuori casa; in ginocchio sembra implorare due uomini, uno dei quali gli indica la strada, mentre dal terrazzino di casa una donna sta assistendo alla scena. Oltre il muro di cinta figurano le anime purganti mentre il Sacro è rappresentato dalla Vergine e due Santi, di cui la figura con croce suggerisce Maria Maddalena, dal XIII secolo figura tutelare della “Buona Morte”. Una donna implora la Vergine per il congiunto infortunato Sec. XVIII/Olio su tavola/ 23x34,3 cm./ Inv. 226 Madonna del Carmine/ incidente, caduta Bibliografia: SGUBIN 1994, p. 179, RIBEZZI 2005, p. 93 La cronologia degli eventi è narrativamente descritta: un giovane uomo seduto con una gamba ferita si è infortunato (l’antefatto è illustrato in alto, in secondo piano) tentando di scavalcare un muro e la donna, forse la madre, inginocchiata, supplica la Vergine. Una donna con bambino cade da un muro Sec. XVIII/Olio su tavola/ 29x31 cm./ Inv.227 Madonna del Carmine/ incidente, caduta In un paesaggio campestre, una donna con in braccio un bambino cade da un muretto. In alto nella consueta nuvoletta la Madonna con il Bambino. Una donna si rivolge alla Vergine per il congiunto infortunato Sec. XVIII/Olio su tavola/ 21,8x29 cm./ Inv. 228 Madonna del Rosario/ Infortunio, malore Iscrizioni: EX VOTO Lungo una strada compaiono due figure: l’uomo è disteso, forse colto da malore, la donna inginocchiata sembra sostenerlo e innalza il braccio al Cielo. La Vergine e il Bambino, splendenti dalla nuvola, trattengono in mano due rose rosse che alludono al sangue del martirio e ai misteri dolorosi. Un contadino è investito da un carro Sec. XVIII/Olio su tela/ 27x52 cm./ Inv. 235 Da Aprato, chiesetta della Madonna del Giglio Madonna con Bambino, san Antonio/ incidente Iscrizioni: “PIETRO T. EX DEVOne 1771” Bibliografia: MORO 1971, p. 167; MONTINA 1992, p. 127 La scena ambientata in aperta campagna raffigura un uomo investito dalle ruote di un carro carico di un tino e, trainato da un cavallo e due coppie di buoi. All’incidente assiste un compagno. La Vergine e il Santo figurano in alto, entro nuvoletta, ma separati dalla scena. Un’ammalata si rivolge alla Vergine Sec. XVIII/Olio su tavola/ 27,9x28,1 cm./ Inv. 236 Madonna della cintura, san Valentino?/ malattia Una donna seduta a letto e con le braccia aperte, cui è appesa una cintura, si rivolge implorante alla Vergine accompagnata da un santo, forse san Valentino, la cui presenza suggerisce una possibile patologia dell’offerente (forse epilessia). Familiari pregano per un’ammalata Sec. XVIII/Olio su tela/ 30,3 x 36 cm./ Inv. 244 Cristo in croce/ malattia Bibliografia: CICERI 1969, p. 43; SGUBIN 1994, p. 113 Accanto al letto dove un’ammalata cerca di sollevarsi con due cordicelle, tre donne elegantemente vestite pregano davanti al crocifisso che incombe sulla sinistra. Due donne e un ammalato si rivolgono alla Vergine Sec. XVIII/Olio su tavola/ 20,4x28,4 cm./ Inv. 245 Madonna incoronata da angeli/ malattia Iscrizioni “P.N.F. O.N.D” “AGOSTO – SETTEMBRE XIX” [SUL RETRO DELLA TAVOLETTA] Un infermo giace a letto e con le braccia congiunte si rivolge alla Vergine, come le due donne inginocchiate presso il capezzale. La Madonna con Bambino è accompagnata da due angioletti che le sorreggono la corona sopra il capo. Due donne pregano la Vergine per la salute di un bambino Sec. XVIII/Olio su tela/ 29x42cm./ Inv. 248 da Aprato, chiesetta di Madonna del Giglio Madonna con Bambino/ malattia infantile Iscrizioni: “EX VOTO 1701” Bibliografia: MORO 1972, p. 163; MONTINA 1992, p. 88; SGUBIN 1994, p. 99; RIBEZZI 2005, p. 95 In un interno signorile una donna elegantemente vestita, inginocchiata su un cuscino presso una culla e affiancata da un’ altra figura femminile, prega la Vergine per la salvezza del bambino. Un uomo è aggredito da due banditi Sec. XVIII/Olio su tela/ 49,3x61,5 cm./ Inv. 250 Madonna con Bambino, san Antonio/ aggressione armata Bibliografia: SGUBIN 1994, p. 139; RIBEZZI 2005, p. 94 San Antonio, inginocchiato, si rivolge alla Vergine additandole la scena che si svolge lungo una strada campestre con sullo sfondo vedute di borghi paesani abbarbicati lungo le pendici dei monti. Un uomo, presso il carretto trainato da due buoi è fermato e colpito dalla sciabola di uno dei due aggressori armati, forse per derubarlo. Un’ammalata si rivolge alla Vergine Sec. XVIII/Olio su tela/ 22,3x32,3 cm./ Inv. 256 Madonna con Bambino, san Antonio/ malattia Iscrizioni: “…TO”, stemma partito giallo e azzurro, con figura geometrica azzurra e due stelle gialle Bibliografia: MORO 1995, pp. 247 - 264 In un semplice letto che poggia su eleganti cavalletti intagliati, è seduta un’ammalata in atteggiamento implorante verso il Sacro, ove la Madonna è affiancata da san Antonio. Una giovane prega la Vergine per la madre ammalata Sec. XVIII/Olio su tela/ 35x38 cm./ Inv. 258 Madonna con Bambino/ malattia In precarie condizioni, l’ex voto è ambientato in un interno. Una giovane inginocchiata prega la Madonna per la madre che giace inferma, a letto, confortata da un sacerdote. San Leonardo Sec. XVIII/Olio su tela/ 55x40 cm./ Inv. 507 Iscrizioni: “LEONHARTA PITT FECE FARE ANNO 1754” Bibliografia: Nicoloso Ciceri 1997, p. 145, RIBEZZI 2005, p. 135 La figura del Santo, protettore di carcerati e puerpere, riconoscibile dagli attributi (un lucchetto, una catena con alle estremità un ceppo e il pastorale) si erge sullo sfondo di un paesaggio campestre e boscoso con nubi rosate che si levano dalle cime delle montagne. Dal centro di una nuvola in alto si diffonde una luce che circonda il capo di Leonardo mentre i cherubini si affacciano a guardarlo. Dall’iscrizione sappiamo che il quadretto è stato commissionato da Donna Leonarda moglie di Pietro e madre del medico Giorgio Pietro Pitt di Cercivento. San Antonio da Padova con il Bambino Sec. XVIII/Olio su tavola/ 55x40 cm./ Inv. 508 Iscrizioni: “GION BATISTA JCALLA. EX VOTO AO:1741” Bibliografia: NICOLOSO CICERI 1997, pp.103-183, p.145 Il frate sorregge amorevolmente fra le braccia il Santo Bambino; sulla sinistra, sopra un tavolino, sono posati un libro e i gigli bianchi, attributo del santo. A destra, da una finestra, si scorge una veduta con alcuni alberi e case, sotto la quale entro cartiglio compare l’iscrizione. Placche ex voto (serie di tre pezzi) Metallo argentato sbalzato e inciso/ 24x15 cm.ca./ Inv. 1595 Iscrizioni: a) Giacomo Treleano F F; b) S MARIA S AGNESE S ANDONI; c) Anno 1707 Tre placche di metallo di uguale forma e dimensioni che circondano un ovale recante incise scritte dedicatorie e decorazioni floreali. Un uomo cade dal calesse Sec. XVIII/Olio su tavola/9x30 cm./ Inv. 1820 Frammento di tavoletta in cui è raffigurato un uomo impigliato nelle briglie dei cavalli del suo calesse. Un uomo cade da una rupe sul Natisone Sec. XIX/Olio su tavola/ 34,5x25,7 cm./ Inv. 225 Vergine Immacolata/ Incidente, caduta Iscrizioni: “ P.G.R. IL 5 GENNAJO 1888” Bibliografia: RIBEZZI 2005, p. 93 Su uno sperone roccioso lungo le sponde del Natisone alcuni giovani stanno accendendo un fuoco epifanico; uno di loro, forse a causa della perdita di una scarpa, scivola capovolgendosi dalla rupe. L’ambientazione è meticolosa e suggestiva, un quadretto di vita, con le figurette femminili in atto di lavare i panni o portare i secchi d’acqua appesi all’arconcello e dove il Sacro (la Vergine Immacolata) è relegato in alto, distaccato dalla scena. Come si evince da fotografie di fine 800, l’ alto muro di cinta con all’angolo un pinnacolo appartiene al Monastero delle Orsoline; nel corso del XX secolo è stato abbattuto. Una donna prega san Bartolomeo Sec. XIX/Olio su tavola/ 22x33,4 cm./ Inv. 229 Santo/ voto segreto, implorazione Iscrizioni: “EX VOTO” In un modesto interno, che presenta come unico ornamento un quadretto con effige mariana sulla parete, una donna è inginocchiata in preghiera e si rivolge al santo, riconoscibile nell’apostolo Bartolomeo, con il coltello, strumento del martirio e libro delle sacre scritture. La scena non suggerisce il motivo del voto, che va forse individuata nel patronato. Una donna con bambino prega la Vergine Sec. XIX /Olio su tavola/ 24,4x30,9 cm./ Inv. 231 Madonna del Carmine/ infermità infantile Iscrizioni: “G.R. 1882” A fianco di una culla una donna tiene in braccio un bambino e si rivolge alla Madonna con il Bambino, entrambi con scapolare in mano. Due genitori implorano san Nicola Sec. XIX/Olio su cartone/ 29,9x24 cm./ Inv. 233 Iscrizioni: “P.G.R. 22.N.e 1894”. San Nicola/ infermità infantile Al capezzale di un bambino i genitori pregano inginocchiati. La madre a braccia aperte implora san Nicola, protettore dei fanciulli, mentre effigi religiose (della Madonna e un Crocifisso) sono appese al muro della modesta stanza. Il quadretto potrebbe provenire da una chiesetta intitolata al Santo, forse San Nicolò a Vuezzis in Carnia. Un uomo è circondato da soldati Sec. XIX/Olio su tavola/ 33,3 x 35,1 cm./Inv. 238 da Montenars, Chiesa di San Daniele Madonna del Carmine/ aggressione Bibliografia: MORO 1971, p. 163; CICERI 1976, p. 168; SGUBIN 1994, p. 188; RIBEZZI 2005, p. 94-95 Una pattuglia di quattro soldati austroungarici con zaino e baionetta fermano un civile lungo una strada di montagna. La precisa descrizione delle divise suggerisce una datazione tra la metà degli anni ‘30 e la fine degli anni ’40. Il motivo dell’ex voto non appare molto chiaro: un fermo di un renitente alla leva, un estorsione da parte della pattuglia, o un arresto legato a moti risorgimentali. Due bambini sono investiti da un carro Sec. XIX/Olio su tavola/ 25,7x33,3 cm./ Inv. 241 Madonna con Bambino/ incidente, investimento Iscrizioni:”P.G.R.”, “1882”; “BOTTENICCO” [sul retro] In un rustico cortile due ragazzini finiscono sotto le ruote di un carretto trainato da due mucche guidate da un contadino con la frusta in mano. In alto la Madonna con un giglio in mano. La Vergine interviene a intercedere per una famiglia minacciata dall’incendio della casa Sec. XIX/Olio su tavola/ 25,8x33,5 cm./ Inv. 242 Madonna del Carmine/ Incendio Iscrizioni: V.F.G.R. 1887 Le fiamme si alzano dai tetti di alcuni caseggiati; nel pericolo incombente un uomo insieme ai familiari indica alla Vergine l’accaduto. La Vergine del Rosario interviene in favore di un minatore caduto in una cava Sec. XIX/Olio su tela/ 25,5x36,6 cm./ Inv. 246 Madonna del Rosario/ incidente, caduta da Aprato, chiesa di Madonna del Giglio, Iscrizioni: “Giuseppe Toffoletto detto Guban 1842 P.G.R” Bibliografia: MORO 1971, p. 169; MONTINA 1992, p. 135 In una cava di pietra lavorano tre uomini, uno dei quali precipita. La scena è sommariamente descritta, anche la Vergine compare in cielo, appena accennata. Una famiglia prega per il parente ammalato Sec. XIX/Olio su tela/ 51,9 x 43,1 cm./ Inv. 247 Madonna/ Malattia Iscrizioni: “Antonio Plazzareano detto gnes. 1864” Bibliografia: Ribezzi 2005, p. 95 Minuziosa è la descrizione di questa modesta camera dove un anziano giace a letto. Al suo capezzale si inginocchia un uomo, con a fianco la figlioletta, sull’altro lato la moglie, in piedi. Su un tavolo sono riprodotte alcune suppellettili e a fianco del letto gli oggetti sacri: l’acquasantiera, il crocifisso. Le immagini religiose con le divinità taumaturgiche (San Giorgio e il drago e una Madonna a mani giunte) figurano come quadri. Una famiglia in preghiera Sec. XIX/Olio su tela/ 32x45 cm./ Inv. 249 Madonna con Bambino, san Giuseppe, santa Lucia/ voto segreto, atto di preghiera Iscrizioni: “V.F.G.R. 1868” Una donna, un uomo e una bambina inginocchiati si rivolgono in preghiera alla Vergine e ai santi. La giovane con velo indossa un abito cerimoniale, da comunione, forse da suora, oppure una veste tipica delle persone “votate”, oppure potrebbe essere una novizia che si accinge a prendere i voti. La santa con in mano la palma del martirio è stata individuata in Santa Lucia in quanto porta al petto una spilla che le ferma il manto rappresentante due occhi. Nonostante le passio non facciano cenno all’estirpazione degli occhi durante il martirio, dopo l’XI secolo si diffonde la leggenda dell’accecamento di Lucia che conseguentemente viene invocata in difesa della vista. Il culto assume tali dimensioni che alla figura della santa sono legati ex voto specifici. Tuttavia il legame tra la santa e la tutela degli organi oculari sarebbe molto più antico e legato invece al nome (dal latino lux) luce intesa come vista interiore che allontana le tenebre del male e disvela la verità. La figura di Lucia ha antichi richiami nella Lucina latina, ricordata da Ovidio, dea della luce e delle partorienti (portava i neonati alla luce). Un uomo è schiacciato da un carro Sec. XIX/Olio su tela/ 43x46,8 cm./ Inv. 251 Santo (indefinibile) o Madonna?/ incidente Iscrizioni: “LI 18 FEB.JO 1858 P. G. R.” Bibliografia: SGUBIN 1994, p. 216, RIBEZZI 2005, p. 95 Contrasta la meticolosità con cui è tratteggiata l’animata scena rispetto alla descrizione del Sacro, la cui figura è indefinibile. In un ambiente montano, invernale, sullo sfondo alcuni operai lavorano con il piccone mentre lungo la via un uomo è travolto dalle ruote di un pesante carretto carico di pietre. In prossimità dell’incidente vi sono adulti e bambini uno dei quali tiene fermo il carro mentre gli altri, distesi a terra, cercano di aiutare l’infortunato. Donne implorano la Vergine per la salute di un infermo Sec. XIX/Olio su cartone/42,4 x36 cm./ Inv. 252 Madonna con Bambino, santo vescovo/ malattia Iscrizioni: “P.G.R. 1897” Al capezzale di un uomo ammalato una donna si dispera mentre un’altra figura femminile, seduta, piange coprendosi il volto con le mani. Il Santo con il pastorale è separato dalla Madonna, presso la quale intercede. Un giovane rischia di annegare in un fiume Sec. XIX/Olio su metallo/ 41,5 x35 cm./ Inv. 253 Madonna addolorata/ incidente, annegamento Iscrizioni: “GRAZIA RICEVUTA” Bibliografia: RIBEZZI 2005, p. 93 Un giovane rischia di annegare travolto dalle acque di un torrente, dalla sponda un uomo getta una corda, altri osservano la scena mentre una figura femminile inginocchiata implora la Vergine addolorata con cherubino raffigurata in un’incombente Pietà. Apparizione della Vergine a un uomo che rischia di annegare Sec. XIX/Olio su metallo/ 60 x40 cm./ Inv. 255 Madonna, santi/ incidente, annegamento Iscrizioni: “Pregate o voi che passate per l’anima di Simeone Tavella che qui precipitò dell’anno 1884” Le cattive condizioni conservative lasciano appena intravedere il dipinto. La Madre di Dio regge uno scettro e un rosario ed è affiancata da due santi. Si percepiscono inferiormente profili di montagne a formare una gola. L’iconografia della Vergine può essere confrontata con il paliotto d’altare della chiesa di S. Lorenzo a Clavais di Ovaro dove la Vergine impugna uno scettro le cui forme richiamano la rocca delle filatrici (Moro 2004). Un giovane rischia di cade da un albero Sec. XIX/Olio su tela/ 51x71,6 cm./ Inv. 257 Angelo/ incidente, caduta da Aprato, chiesa di Madonna del Giglio Bibliografia: MORO 1971, p. 171; MONTINA 1992, p. 136 La scena è ambientata alle pendici di una radura alberata ove, durante i lavori di disboscamento, un albero rischia di cadere all’improvviso mentre un uomo si trova ancora sui rami più alti. In basso il boscaiolo ha sospeso il lavoro con il piccone mentre il bambino che lo affianca indica la scena; un altro operaio che con una fune al piede dovrebbe rallentare l’abbattimento, assiste impaurito alla scena, togliendosi il cappello e coprendosi il volto. Il Sacro è rappresentato forse da un piccolo angelo appena leggibile in alto sulla destra. La Vergine del Giglio interviene per favorire la salvezza di una famiglia durante un incidente in carrozza Sec. XIX/Olio su tavola/ 33,3x35,1 cm./ Inv. 259 Madonna con bambino/ incidente Iscrizioni: P.G.R. Bibliografia: MORO 1971, p. 170 In un paesaggio prealpino, in primo piano una carrozza con una famiglia rischia di precipitare in un ruscello, con la zampe anteriori del cavallo già nel vuoto. Sullo sfondo si delinea nitido il castello di Prampero (Artegna). Modellini di navi Sec. XIX/Legno/ 62,5x75,4x19 cm./ Inv. 598 Sec. XIX/ Legno/ 12x63x18 ca cm./ Inv. 614 Chiesetta di S.Maria delle Grazie a Sabbionera Bibliografia: Ciceri 1976, pp. 13-23, Fantin 1996, Ribezzi 2005, p. 99 Si tratta di due ex voto a modellino navale provenienti dalla chiesetta di Santa Maria delle Grazie a Sabbionera sorta vicino ad uno scalo sussidiario del porto fluviale di Latisana sul Tagliamento. Il culto della Madonna di Sabbionara si diffuse presto a tutte le popolazioni rivierasche, tanto da giustificare nel 1638 l’erezione di un convento francescano poi distrutto da un incendio nel XVIII secolo. Il primo modellino rappresenta una goletta a palo in legno, a due alberi: si tratta di una nave da trasporto. Sulla prora una catena in metallo e a poppa, sul ponte riproduzione in scala del timone. Il secondo è una barca fluviale detto "passetto"; natante lagunare e fluviale che solcava le acque del Tagliamento e accompagnava i “burci” veneziani (imbarcazione lunga fino a 30 metri, originariamente armata con due alberi, smontabili per passare sotto eventuali ponti, che veniva spesso condotta a traino) che frequentavano lo scalo di Latisana. Al suo interno resti del sartiame e di remi. Piastrella devozionale Terracotta dipinta/ 9x8 cm./ Inv. 1042 Legata al culto della Madonna delle Pianelle di Nimis, la piastrella potrebbe essere un ex voto. La riproduzione della chiesa appare tuttavia troppo stilizzata e sintetica per un confronto esaustivo con l’edificio del santuario di Nimis. La tipologia dell’oggetto in terracotta riconduce tuttavia a tale territorio, infatti presso il santuario esisteva un antica fornace e tutta la zona era nota per la produzione di tegole e mattoni. Ex voto Sec. XIX/Olio su tavola/ 10x36,5 cm./ Inv. 1819 Iscrizioni: “1804 Bat a BOSCXETI. Sul retro: Ex voto Giovanni Bat. Boschetti” 13? Aprile 1804.... L’estrema frammentarietà dell’oggetto non permette ulteriori indicazioni. (cm) Ex voto dell’alpino Sec. XX/Olio su metallo/ 28x38 cm./ Inv. 240 Vergine Lactans, santo/ Voto segreto, preghiera Iscrizioni: “V.F.G.R. 1918” Bibliografia: CICERI 1980, fig. 87, sch.4; RIBEZZI 2005, p.96 Una donna inginocchiata si rivolge alla Madonna che le porge uno scapolare e al Santo: prega per il parente (marito o figlio) pure lui inginocchiato in divisa d’alpino. L’offerente porterebbe a identificare il santo in San Maurizio, patrono degli alpini, tuttavia non si ritrovano i suoi attributi usuali: la caratteristica croce mauritana rossa e l’aspetto barbuto da moresco. Inoltre Maurizio diventa patrono degli alpini solo nel 1941. La panoplia militare suggerisce invece il nome di quel San Pancrazio, (IV secolo) appartenente alla legione Tebea comandata da S. Maurizio, il cui culto, molto antico nelle regioni tirolesi, nelle Alpi occidentali si sovrappone a quello dell’omonimo santo di Roma. Di grande interesse appare il confronto con una serie di ex voto piemontesi da Vaglio Serra – Alessandria risalenti alla grande Guerra dove soldati italiani ringraziano S. Pancrazio; si veda la banca dati in rete su gli ex voto pittorici piemontesi curata da Renato Grimaldi e Roberto Trinchero. Occhi a mascherina Secc. XIX – XX/ Argento inciso e sbalzato/ 9x12,5 cm./ Inv. 136 Bibliografia: Ciceri 1980, p. x .96, sch.27 Esposizioni: Pordenone 1980; Udine 2005 Argento inciso e sbalzato/ 4x12,3 cm./ Inv. 137 Bibliografia: Ciceri 1980, p. x 96, sch. 27; Ribezzi 2005, p. 99 Esposizioni: Pordenone 1980, Udine 2005 All’interno di una cornice a motivi vegetali con fitta decorazione, figura una mascherina con occhi stilizzati. Tale tipologia di ex voto è di larga diffusione e variamente foggiato, soprattutto nell’ornamentazione che lo profila. La pratica di dedicazione di ex voto in forma anatomica è molto antica e si riscontra con costante frequenza in molte civiltà attestata da numerose testimonianze archeologiche e letterarie. La dedicazione dell’ex voto riproducente un organo umano o la figura intera, generalmente sculture in terracotta, serviva a stornare il male, frutto dell’ira della divinità, dall’organo ammalato all’imago manufatta. La tipologia di questo rapporto tra umano e divino pagano (quest’ultimo dalla duplice natura che contemporaneamente era talvolta benefica e talvolta ostile), muta con l’affermarsi del cristianesimo dove il fedele si affida con fiducia alla sfera celeste ora benigna tramite uno scambio tra dono-salvezza del corpo. Fra gli ex voto di tipo anatomico ricorrente è la tipologia della mascherina che riproduce due occhi. Oltre che alla vista, organo essenziale, il dono può avere una valenza simbolica: ricorda gli “occhi della divinità” e dell’anima, e allontana dal pericolo del buio o in valore apotropaico storna gli sguardi cattivi. Sacro Cuore Sec. XIX/ Rame sbalzato/ h 40 ca.x31,5 ca. cm./ Inv. 116 Bibliografia: Ciceri 1980, p. x.96, sch.26 Esposizioni: Pordenone 1980 Cuore con i simboli della passione Sec. XIXI/Argento sbalzato/ 36,6x26 cm./ Inv. 117 Bibliografia: Ciceri 1980, p. x.96 sch.25; Ribezzi 2005, p. 99 Esposizioni: Pordenone 1980, Udine 2005 Piccolo cuore metallico fiammeggiante Sec. XIXI/Argento sbalzato/ 8,4x6cm./ Inv. 119 Bibliografia: Ciceri 1980, p. x.96 sch.24; Ribezzi 2005, p. 99 Esposizioni: Pordenone 1980, Udine 2005 La placche foggiate a cuore fiammeggiante sono variamente ornate da fregi vegetali e testine di angelo, dai simboli della Passione o con l’iscrizione “P.G.R.”. Il Sacro Cuore è dono votivo universale e ricorrente. L’ex voto a forma di cuore occupa un posto privilegiato nel repertorio degli omaggi votivi, per l’ampia diffusione dovuta all’economicità del prodotto, le varietà morfologiche e di manifattura e il valore simbolico decorativo. L’omaggio esprime l’atteggiamento reverenziale del devoto che donando il cuore, centro dell’affettività, dei sentimenti, stabilisce un legame con la divinità. Gli esemplari più pregiati di manifattura artigianale possono essere riccamente decorati, inseriti in cornici fogliacee e traforate anche con le iniziali dell’offerente, una data, le sigle P.G.R.., ma diffusissimi sono i modelli realizzati a stampo sempre più stereotipati e che orientativamente ricordano l’iconografia del Sacro Cuore di Gesù (con croce, corona di spine, a vaso da cui fuoriesce una fiamma) o della Madonna (con coroncina di rose, trafitto da spade o con il monogramma bernardiniano “WM”) e il calvario della Passione. L’iconografia del Sacro Cuore si diffonde dal secolo XVII, nelle aree di lingua tedesca, nelle regioni alpine, e francesi ove il santuario di Paray-le-Monial, ricorda le apparizioni seicentesche del Cuore di Gesù a santa Marguerite-Marie Alacoque. La devozione viene ufficialmente riconosciuta nel 1765 da papa Clemente XIII che concede alla Polonia ed alla Arciconfraternita della Chiesa del Gesù a Roma la festa del Sacro cuore; quasi un secolo dopo la Congregazione dei Riti estende la celebrazione alla chiesa intera. Accanto ai richiami evangelici (la ferita al costato di Gesù, il cuore trafitto della Vergine), il successo di tale iconografia è anche confortato dalla simbologia dell’organo cardiaco, per tradizione sede della dimensione etica dell’uomo e non dovettero essere estranee neanche metafore più profonde e ancestrali favorite dalla particolare forma del cuore: la punta simile ad una picca assume una valenza difensiva e apotropaica (come testimoniano le numerose tipizzazioni di amuleti e oggetti difensivi in tale foggia), le forme morbide della parte superiore suggeriscono sentimenti di accoglienza e dolcezza. Targhette Sec. XIX/Argento inciso e sbalzato/ 8,7x11,2 cm./ Inv. 134 Bibliografia: Ciceri 1980, p. x .96, sc. 27; Esposizioni: Pordenone 1980 Sec. XIX/Argento inciso e sbalzato/ 5,7x7,2 cm/ Inv. 135 Bibliografia: Ciceri 1980, p. x .96 sch. 27 ; Ribezzi 2005, p. 98 Esposizioni: Pordenone 1980; Udine 2005 La prima è una schematica rappresentazione di una donna inginocchiata che si rivolge in preghiera a Cristo in croce tra nembi. Analoga, ma molto più curata, la raffigurazione della seconda. Madonna con Bambino Sec. XIX/Lega metallica sbalzata/ h. 13 cm.ca/ Inv. 641 Bibliografia: Ribezzi 2005, p. 98 Esposizioni: Udine 2005 La targhetta presenta la Vergine con il Bambino. Oggettisticasacravaria Schede a cura di Dania Nobile Manifattura friulana, sec. XIX Stendardo (frammento) Seta dipinta e dorata/ 38x28 cm./ Inv. 1379 Il frammento di questo stendardo, dal tipico colore rosso carminio, è contraddistinto da una pittura, di pregevole mano, che ne decora sia il verso che il recto. Il motivo prescelto è pressoché identico: su uno sfarzoso trono goticheggiante seggono due angeli diversificati da minime varianti nel colore degli abiti, nella posizione delle mani e di ciò che esse contengono. Una delle due figure celesti regge con la mano destra una spada, mentre l’altro soggetto tiene nella sinistra una palma. Questo brandello, se pur rovinato in più punti, ci consente di immaginare la forma originale del gonfalone che, come di tradizione, doveva essere pressoché rettangolare con bordi rifiniti da preziose passamanerie e orlo inferiore, a volte sagomato, completato da frange o altri motivi dorati. L’aspetto conservativo del manufatto è, nel complesso, abbastanza buono se lo si considera come oggetto a sé stante. Diversamente, se viene valutato quale frammento di uno stendardo processionale, il suo aspetto non può che essere giudicato sfavorevolmente a fronte, anche, delle ragioni che possono aver portato a ritagliare questo brandello dal suo contesto originario. Si rileva una apertura del tessuto, parzialmente risanata con un rammendo artigianale, e una toppa posta lungo il bordo esterno del manufatto. La superficie pittorica presenta delle cadute di colore che interessano in modo particolare gli abiti e le ali degli angeli, lasciando invece indenni i delicati volti e i sontuosi troni sui quali seggono le due figure. La tradizionale usanza che vuole nel recto l’immagine principale e nel verso particolari figurazioni simboliche, o una semplice scritta, non ci aiuta nella comprensione del corretto orientamento del manufatto. Possiamo infatti soltanto supporre che lo sguardo dei due angeli sia rivolto al soggetto principale di tale decorazione da identificare nella tradizionale figura della Madonna oppure di qualche santo a cui i fedeli si rivolgevano in qualità di patrono della chiesa. Nel complesso questo oggetto può essere sicuramente collocato all’interno di un ambito locale dell’ottocento. Era consuetudine, infatti, assegnare questo genere di manufatti minori ad artisti locali. Manifattura artigianale, sec. XIX Impugnatura di bastone Legno scolpito/ h. 21,5 cm./ Inv. 1005 Iscrizioni: “Il frate Bossi al padre spirituale T…. Salvini Avana 1874” L’oggetto si presenta mutilo dell’asta del bastone di cui rimane soltanto il pomo che rappresenta la testa di un monaco incappucciato caratterizzato da una folta barba e da un’accentuata espressività del volto. A definire in modo del tutto particolare la fisionomia del frate sono la singolare apertura della bocca e lo sguardo crucciato che marca il viso con delle profonde rughe, esasperando così i lineamenti di un volto segnato dal tempo. In alcuni esemplari queste cavità non sono altro che i fori di particolari fischietti che divenivano parte integrante del bastone andando a costituirne la singolare impugnatura (S. CORADESCHI – A. LAMBERTI 1989). Lo stato di conservazione è nel complesso buono se si considera tale manufatto a sé stante. Il taglio netto che si nota all’estremità fa supporre, infatti, una discutibile manomissione e quindi un deturpamento a favore dell’oggetto originale. All’interno della pregevole collezione Garzolini di Trieste si trova un esemplare di Bastone con testa di monaco (Inv. n. 5312 bis) la cui impugnatura trova delle notevoli analogia con quella della collezione Ciceri. Fiorenza De Vecchi sottolinea come “la fantasiosa realizzazione di questo bastone, su cui la natura stessa del ramo ha giocato un ruolo principale, fa ritenere il prodotto opera di buon artigianato ottocentesco” (cfr. F. DE VECCHI Schede in “La collezione Garzolini…”, 1986, p. 200). L’ipotesi della studiosa trova conferma dal raffronto col nostro esemplare che reca sul retro un’iscrizione dalla quale si desume la data di realizzazione, ossia il 1874. L’incisione porta anche il nome dell’autore, perlomeno dello scritto, un certo frate Bossi il quale dedica tale oggetto a un non ben identificato “T. Salvini”. Proprio tale iscrizione e la natura spirituale della stessa hanno indotto a collocare questo manufatto all’interno dell’oggettistica sacra. Illuminazionesacra Schede a cura di Antonella Ottogalli Coppia di candelabri da terra Sec. XVII, manifattura/ Bronzo dorato/ 62,5cm./ Inv. 879a, 879b Coppia di candelabri da altare Sec. XVII, manifattura italiana/ Ottone/ 25,4cm.; 8cm. (da piedino a piedino)/ Inv. 1119a, 1119b Vista l’importanza della simbologia legata alla luce nel culto cristiano, fin dalle origini è documentato l’uso di candelabri e lampadari di imponenti dimensioni intorno all’altare, di norma posizionati a terra. La loro presenza sul ripiano della mensa sacra si diffonde dal XV secolo e questo nuovo utilizzo ha comportato ridimensionamento senza intaccare la tradizionale forma a stelo. Queste due coppie di candelabri, l’una in bronzo da altare e l’altra in ottone da terra, potrebbero appartenere, data la comunanza di caratteristiche stilistiche e formali, ad un medesimo corredo liturgico per quanto documentino una tipologia assai comune all’epoca come testimoniano gli antichi arredi ecclesiastici, che ancora si conservano, o le botteghe di antiquari, presso i quali non è raro incontrare esemplari del tutto simili a quelli in esame, spesso realizzati in legno. I manufatti sono costituiti da base a pianta triangolare con profili mistilinei che congiungono volute angolari a riccio come introduzione ai tre piedini. Su una cornice poligonale lievemente aggettante si innesta il fusto tornito a nodi sfaccettati che termina in piattelli esagonali, definiti da coroncina decorativa nel caso dei due candelabri di dimensioni maggiori. Coppia di angeli ceroferari Sec. XVII, manifattura friulana/ Legno scolpito e dipinto/ 76x31x31cm. (base 21x17cm.)/ Inv. 892a, 892b Questa tipologia scultorea raffigurante figure angeliche con funzione di sostegno per candelabri iniziò a diffondersi in epoca medievale trovando collocazione nella zona chiesastica riservata all’altare o comunque nella zona presbiteriale. Su semplici piedistalli di sezione rettangolare si impostano i due angeli stanti e disposti in modo speculare, particolare che li rende adatti ad una collocazione chiesastica ai lati dell’altare. Infatti, un angelo sorregge il candelabro, terminante con piattello salvacera coronato da un elemento decorativo in lamina di ferro, con la mano sinistra accostando la destra al petto, mentre l’altro utilizza esattamente le braccia opposte nel compiere il medesimo gesto. Entrambi indossano una lunga veste gialla e rossa che lambisce i piedi e lascia scoperto un ginocchio. Sopra la l’abito una corta tunica di colore blu oltremare è legata in vita da fusciacca giallo ocra. Il movimento suggerito dai bordi svolazzanti introduce al particolare delle belle ali spiegate a mostrare una gamma variopinta di colori che vanno dal rosso al verde e dal giallo al blu. Sui volti delle due figure angeliche, caratterizzate da alte fronti libere dai lunghi e mossi capelli castani, si legge un espressione di stupore comunicata dalle bocche lievemente schiuse e dai grandi occhi indagatori. Le due statue necessiterebbero di un intervento di consolidamento del supporto ligneo e di fissaggio delle vernici, stese in modo uniforme e a tinte pure. Va segnalato, inoltre, il rifacimento recente del volto e di due dita della mano destra nell’angelo contrassegnato dal numero d’inventario 892b. La costruzione anatomica delle figure risulta semplice ed efficace grazie a linee di intaglio pulite in grado di interpretare l’intensità espressiva dei volti e dei gesti oltre al senso del movimento racchiuso nelle pieghe delle vesti e nel loro morbido gonfiarsi lungo i bordi. La stesura cromatica pecca d’ingenuità nella scelta di colori saturi a campiture larghe e omogenee che suggeriscono una successiva ridipintura. Il linguaggio scultoreo pare quello di una bottega artigiana minore attiva nella nostra regione durante il XVII secolo. Coppia di candelabri da altare Sec. XVII, manifattura italiana/ Bronzo dorato/ 41cm.; 8cm. (da piedino a piedino)/ Inv. 955a, 955b Coppia di candelabri da altare Sec. XVII, manifattura italiana/ Bronzo dorato/ 36cm.; 14cm. (da piedino a piedino)/ Inv. 956a, 956b Le due coppie di candelabri con le stesse caratteristiche strutturali e poche variazioni sul piano decorativo sono databili al XVII secolo. Si impostano su piede a base triangolare con profili mistilinei e tre piedini, leonini nel caso della coppia contrassegnata dal n. 956. Il fusto a balaustro si sviluppa attraverso modanature e nodi di varie fogge: a vaso o semisferici. La coppia n. 955 presenta la particolarità di una cornice a sezione triangolare, su cui si imposta il fusto, movibile intorno ad un perno centrale. Il bocciolo si articola in piattelli con puntali al centro per fissare il portacero o figgervi direttamente la candela. Lampada pensile Sec. XVII, oreficeria veneziana/ Argento dorato sbalzato e inciso/ 23,5cm. (totale: 56cm.); Ø 16,5cm.; Ø bocca 7,5cm./ Inv. 1021 Bibliografia: BERGAMINI 1992, p. 136 Fin dalle origini del cristianesimo è documentato l’uso di lampade pensili a olio o a cera per scopi meramente funzionali o più prettamente devozionali. Le lampade, sospese mediante catenelle, venivano posizionate lungo le navate centrali o sopra gli altari dedicati al culto di santi martiri. Si registrano varie fogge, ma a partire dal XVI secolo si stabilizza la caratteristica forma a vaso che tuttora risulta la più diffusa nelle nostre chiese. Non dissimile da una lampada pensile è la “lampada del sacramento” posta sull’altare dove si conserva l’eucarestia per ardere giorno e notte secondo le antiche prescrizioni dettate durante il Sinodo di Worcester del 1240. Essa presenta, all’interno della coppa, un contenitore di vetro, generalmente rosso, per l’olio d’oliva misto a cera d’api da cui si alimenta la fiamma. La presente lampada è caratterizzata da coppa a forma di doppio vaso a piani sovrapposti. Ogni piano è decorato con grosse bugne lavorate a sbalzo e percorse da motivi fitomorfi, cartigli e volute secondo il repertorio più tipico del tardo barocco. L’accentuata strozzatura del collo che introduce all’imboccatura presenta foglie stilizzate finemente incise. Tre testine angeliche in argento fuso, saldate sulla parte centrale, reggono le catenelle di sospensione che si congiungono al piattello dalla foggia a cupolino. Quest’ultimo elemento riprende i motivi decorativi visibili all’imboccatura della lampada e termina con foglie stilizzate e anello apicale. Vista la rozza semplicità dell’orlo all’imboccatura della lampada si può immaginare la presenza in origine di un coronamento non più esistente. Per la fattura e l’evidente diversità di materiali impiegati, le tre testine di cherubini reggi catenelle e l’appendice a pigna della lampada risultano frutto di un rifacimento posteriore. A un’attenta osservazione è possibile rilevare un elevato numero di punzoni mimetizzati fra le decorazioni. Riconoscibili il leone “in moleca”, indice di manifattura veneziana, la sigla A torre coronata C, bollo di bottega attiva dalla fine del XVII secolo all’inizio del XVIII, e le iniziali LC. Per le caratteristiche formali e la presenza del punzone con A torre coronata C l’oggetto in questione può essere confrontato con la lampada del Tesoro della Cattedrale metropolitana di Gorizia che Sergio Tavano identifica come la lampada realizzata nel 1685 per la basilica di Aquileia (BERGAMINI 1992, p. 136). Ne risulta una possibile datazione entro l’ultimo ventennio del Seicento. Lampada pensile Sec. XVII – XVIII/ Lega di bronzo e argento dorato traforati e incisi/ 14cm. (totale: 54cm); Ø 11,5cm.; Ø bocca 7,4cm./ Inv. 900 Lampada costituita da coppa a doppio vaso: quello superiore ha forma sferica lievemente schiacciata, mentre quello inferiore, che si congiunge mediante la parte terminale dei tre manici, segue un andamento digradante a due balze concludendosi con anello terminale. Le superfici dei due elementi di cui si compone il corpo della lampada sono traforate e incise a motivi fitomorfi e cartigli di gusto rococò. I tre manici, da cui si dipartono le catenelle di sospensione, sono sagomati a forma di foglie stilizzate e poi incise. Il piattello di raccordo delle catene presenta un motivo decorativo a raggiera lavorata a sbalzo e termina con anello apicale. La qualità non particolarmente raffinata dell’intaglio e l’uso del bronzo, materiale certo meno prezioso del consueto argento che si rileva solo nella manifattura del cupolino, inducono a ritenere la lampada un prodotto di artigianato locale adatto a un luogo di culto non centrale come una cappella votiva di campagna. Inoltre, le scelte decorative, che attingono largamente al più tipico repertorio tardo secentesco con un’ interpretazione semplice e a tratti rozza, potrebbero essere indizio per una possibile datazione ai primi decenni del XVIII secolo, tenendo presente un ambiente periferico e ritardatario come area d’esecuzione. Coppia di candelabri da terra Sec. XVII – XVIII, manifattura italiana/ Ottone/ 69,2cm. (totale con portacero 74,3cm.)/ Inv. 1592a, 1592b Coppia di candelabri di grandi dimensioni solitamente posta a terra ai lati dell’altare. Va sottolineata la grande raffinatezza formale dei manufatti in esame, costituiti da base a sezione triangolare a smussi poggiante su piedi leonini, al di sopra della quale si eleva il fusto a balaustro con nodo semisferico seguito da nodo a vaso. Sul largo piattello salvacera con labbro rialzato ed espanso il puntale sostiene i portaceri realizzati nel medesimo materiale, l’ottone. Sulla base di entrambi i candelabri si legge la sigla SD, incisa a caratteri cubitali, attraverso un tratto puntiforme. Coppia di candelabri da altare Sec. XVIII, manifattura friulana/ Legno scolpito, dipinto e dorato/ 20,2cm. (totale con portaceri 32,8); Ø base 7,8cm. / Inv. 979a, 979b Coppia di candelabri in legno intagliato e dipinto di colore bianco con tracce di decorazioni dorate. Sulla base circolare si imposta un fusto a vaso sfaccettato che termina, al di sopra della strozzatura del collarino, con un semplice piattello dotato di puntale, supporto per i due portaceri in legno dipinti di rosso. Su ogni faccia sopravvivono ancora parti dell’originaria decorazione dorata a motivi geometrici che riprendeva, nel colore, le profilature dei candelabri. Entrambi i manufatti versano in cattivo stato di conservazione con diffusissime tarlature e vaste cadute delle vernici tanto da non poter valutare obiettivamente l’originaria pigmentazione che si suppone bianca e stesa su uno strato verde pallido di preparazione. Candelabro da altare Sec. XVIII, manifattura italiana/ Ottone/ 21,5cm.; 10,8cm. (da piedino a piedino)/ Inv. 996 Su base modanata a sezione triangolare con piedini agli angoli si innesta il breve fusto a balaustro. Il candelabro termina con piattello dal bordo espanso e puntale. La linea strutturale elegante e la grande pulizia formale suggeriscono un periodo d’esecuzione ancora influenzato dal gusto decorativo sei-settecentesco che informa gli altri candelabri della collezione. Coppia di angeli ceroferari Sec. XVIII, manifattura friulana/ Legno scolpito e dipinto/ 12,3cm.x Ø 5ca. cm. base/ Inv. 1105a, 1105b Coppia di statuette in legno scolpito riproducenti angeli reggicandela in posizione speculare. I busti, in torsione secondo linee direttive opposte, si inarcano a sorreggere, aiutandosi con entrambe le mani, i portaceri originariamente di color oro. Le figure angeliche indossano lunghe tuniche dorate dai bordi rossi svolazzanti con terminazione a punta che si adagia sul piedistallo forgiato a roccia. Quest’ultimo particolare funge anche da supporto per entrambe le figure che vi poggiano il ginocchio sinistro. I volti conservano ancora traccia della cromia dell’incarnato con il rossore su gote e bocca e tratteggi neri ad abbozzare gli occhi. Nonostante la resa cromatica, per quanto alterata dal tempo, risulti di buona qualità, è altresì evidente che la fattura dell’intaglio e l’attenzione alla costruzione anatomica siano approssimative e piuttosto grossolane lasciando trapelare quella cruda concezione naturalistica tipica di un provinciale e attardato artigianato minore. Piattello portacero per candelabro Sec. XVIII/ Lamina di ottone e ferro/ 10cm.x Ø 11,7cm. / Inv. 1134 Parte terminale di un candelabro costituita da piattello salvacera dotato di semplice bocciolo cilindrico ed elegantemente decorato da un bordo rialzato forgiato a corona. Il fastigio della corona presenta elementi fitomorfi a doppia voluta reiterati lungo il cerchio. La minuzia formale riservata alle decorazioni suggeriscono l’appartenenza dell’oggetto ad un imponente candelabro di uso ecclesiastico o, considerando la particolare struttura ad innesto cilindrico, potrebbe trattarsi di piattello adattabile ad un’asta portacero da processione. Lampada pensile Sec. XVIII, manifattura di area alpina/ Lega di rame sbalzata e incisa/ 15,4cm. (totale: 37,5cm.); Ø 10cm.; Ø bocca 6,5cm./ Inv. 1159 Motivi a grossi ovuli sbalzati ed accentuati da linearismi incisi caratterizzano la coppa di questa lampada sagomata a doppio vaso. Un anello costituisce l’appendice terminale del vaso inferiore dalla forma allungata e digradante in tre balze di cui quella centrale, percorsa da bugne, risulta la più sporgente. Il vaso superiore, invece, ha la caratteristica forma sferica schiacciata con imboccatura particolarmente alta e movibile per facilitare le operazioni di accensione o spegnimento della lampada stessa. Lunghe foglie stilizzate incise su lamina di rame uniscono il corpo del manufatto alle catenelle dalle maglie vistose sagomate a esse sovrapposte e affrontate. Il piattello di raccordo ha superfici lisce e si conclude con semplice anello apicale. Nonostante le superfici siano ricoperte da una patina scura dovuta al fumo sprigionato dal lume, l’originaria cromia, con la tipica tonalità calda del rame, ci viene restituita sull’imboccatura da piccole incisioni a zig zag. Viste le dimensioni contenute del manufatto e l’utilizzo di materiale non pregiato come il rame, questa lampada pensile può essere considerata parte dell’arredo di una cappella votiva. Lume votivo Sec. XVIII – XIX, manifattura tedesca/ Ottone sbalzato e inciso, vetro/ 11,5x8,7x2,5cm./ Inv. 1114 Iscrizione: DER GLAU[B]E. Originale lume adatto alla devozione privata costituito da lamine di ottone che compongono una sorta di piccolo libro. Sul recto e sul verso vi è raffigurata a sbalzo una figura femminile stante vestita con una lunga tunica. Ella tiene un crocifisso con la mano destra e accosta la sinistra al petto. Si tratta della personificazione della Fede come conferma l’iscrizione tedesca posta ai suoi piedi: DER GLAU[B]E. Un piccolo pomello facilita l’apertura del libricino ed internamente vi sono un vetro con cornice incernierata ad un lato della copertina e a due lamine di forma triangolare decorate a traforo. Aprendo il tutto e lasciandosi guidare da due piccole feritoie poste sul dorso è possibile comporre il lume, dotato anche di piccola candela tortile di cera bianca da inserire nell’apposito bocciolo. Due lamelle esterne con un rudimentale sistema di incastro ad asola costituiscono poi la maniglia per l’impugnatura. Sulla maniglia la presenza del punzone dichiara, entro la forma stilizzata di una sciabola il nome dell’artigiano costruttore: certo CONRAD LAWBER o TAWNEL. Bossoli portaceri Sec. XVIII – XIX/ Ottone/ 7,2cm.x1,8cm. Ø bocca; 8,3cm.x2cm. Ø bocca; 9,4cm.x2,3cm. Ø bocca / Inv. 1118a, 1118c, 1118b, 1118b, 1118d Bossoli portaceri Sec. XVIII – XIX/ Legno/ 16,7cm.x6,7cm. Ø base/15,7cm.x6cm. Ø base/ 22,2cm.x7,2cm. Ø base/21,3cm.x7cm. Ø base/11,9cm.x3,9cm. Ø base/14,2cm.x4,3cm. Ø base/12,5cm.x3,2cm. Ø base/Inv. dal 1136 al 1509; 1527 La collezione Ciceri conserva diverse serie o esemplari a sé stanti di portaceri che venivano inseriti nei puntali posti al centro dei piattelli dei candelabri. Più comuni sono quelli realizzati in legno, torniti a nodi decorativi e dipinti di colore rosso, verde o oro. Di dimensioni ridotte sono poi quelli in ottone, di norma realizzati nello stesso materiale del candelabro Lampada pensile Ec. XVIII – XIX, manifattura di area alpina/ Lamina di ottone dipinto e balzato, ferro/ 15cm. (totale: 48cm.); Ø bocca 6,4cm./ Inv. 1822 La coppa della lampada, sagomata a vaso, prende forma grazie ad un’ossatura costituita da fasce di ferro battuto larghe circa un centimetro che si dipartono dall’imboccatura circolare. Tale struttura è dipinta di un colore verde scuro, lo stesso riscontrabile sui manici. Tre lamine d’ottone, disposte a creare pareti concave, sono saldate alla struttura portante e su di esse si dispiega un repertorio decorativo di chiara impronta rococò con volute e girali lavorati a sbalzo e accentuati dall’uso del colore rosso, che spicca sulla generale tonalità bruno – nerastra della lampada. Fresco il motivo delle catenelle di sospensione con maglie che riproducono la lettera esse alternate a cuori dipinti di rosso. Il piccolo piattello a cupolino presenta decorazioni lievemente sbalzate. La tipologia del manufatto, con le relative scelte cromatiche e decorative, induce a ritenerlo opera di artigianato di area alpina. Inoltre, l’oggetto in esame è giunto in museo unitamente ad un’insegna processionale lignea di chiara provenienza alpina (Inv. 893) quasi fosse un tutto unitario. Solo ad un’attenta osservazione si è potuto stabilire l’assoluta indipendenza dei due pezzi. Lampada pensile Sec. XIX, manifattura friulana/ Lega di rame argentata; 24cm. (totale: 72cm.)/ Ø 22cm.; Ø bocca 7,5cm./ Inv. 1014 Terminazione con elemento a forma di ghianda per questa lampada caratterizzata dalla consueta forma a vaso doppio con parte inferiore percorsa da scanalature verticali e parte superiore, dalle dimensioni nettamente maggiori, con superfici lisce e strozzatura del collo che introduce ad un’imboccatura fortemente rialzata. Raffinati manici a volute vegetali sporgono in corrispondenza di tre placche di forma triangolare, decorate con motivi floreali a sbalzo e inserite lungo il bordo del corpo centrale. Le maglie delle catenelle di sospensione hanno foggia a cuore e sono congiunte da piccoli e sottili anellini. Il piattello a cupolino è piuttosto semplice, in linea con la parte superiore della lampada, e termina con anello apicale. La cura dei dettagli e la sobrietà delle decorazioni che paiono rivisitare con sensibilità neoclassica antichi modelli induce a giudicare il manufatto come lavoro di buona qualità e a datarlo intorno al sorgere dell’Ottocento. Lampada pensile Sec. XIX, manifattura friulana/ Peltro e ferro/ 9cm. (totale: 34cm.); Ø 8cm.; Ø bocca 5,4cm./ Inv. 1197 Piccola lampada pensile con coppa a doppio vaso ansato e appendice piriforme con anellino terminale. Sulle superfici del corpo superiore sono incise tre testine di cherubini che reggono festoni mentre lungo il bordo dell’imboccatura si riconosce l’intreccio della corona di spine della Passione di Cristo. Dalle tre sinuose anse si dipartono le catenelle che si ricongiungono al piattello del tutto privo di elementi decorativi. Una delle catenelle risulta spezzata. Le minute dimensioni unitamente alla raffinatezza della forma e alla ricercatezza della decorazione a tratti di valore scopertamente simbolico connotano la lampada come oggetto di uso devozionale forse. Coppa di lampada pensile Sec. XX, manifattura italiana/ Ottone/ 7,5cm.; Ø bocca 6,3cm./ Inv. 1198 Linee semplici per questa piccola lampada pensile di cui rimane soltanto la coppa a vaso digradante verso il basso con due balze percorse da sottili scanalature e larga bocca sul bordo della quale tre anellini introducono alle catenelle tronche. Si può ipotizzare anche per questa lampada, come per quella inventariata con il n. 1197, un uso legato al culto funerario: ciò si deduce dalle piccole dimensioni e dall’assenza di particolari decorativi. Oggettidevozionali Schede a cura di Silvia De Marco, Claudio Moretti, Tiziana Ribezzi Il carattere di intima spiritualità prende forma in una serie di oggetti caratteristici delle espressione di preghiera e di intima meditazione che vengono personalmente conservati in ambito domestico. Si tratta di manufatti oggetti di dono, segno di un pellegrinaggio e quindi di un atteggiamento votivo, di una particolare devozione a un santo e a un luogo consacrato. Nell’ambito della venerazione, spesso piccoli oggetti di esiguo valore, quali semplici immaginette, vengono resi preziosi dal lavoro privato che si traduce in abbellimenti quali incorniciature dipinte a mano o ricamate. Tuttavia, nella consapevolezza popolare possedere questi piccoli oggetti benedetti, costituisce anche una forma di consolatoria protezione in una dimensione apotropaica nella certezza che il contatto aiuti a scongiurare o allontanare i mali della vita. Oltre alle croci legate alla celebrazione eucaristica o astili innalzate su aste ad aprire il cammino processionale, larga diffusione hanno anche le croci utilizzate in ambito non liturgico, privato e devozionale. La manifattura presenta articolate tipologie, si va dalle piccole crocette ornamentali da usare come pendenti da collo e trattate come oggetto di oreficeria o appese a un rosario, a quelle da muro e da tavolo, poste in un angolo privato legato alla preghiera e quindi atte a essere collocate su un ripiano, su un inginocchiatoio o un cassettone. In questo caso, di medie dimensioni, poggiano su uno zoccolo piramidale con frequenti rimandi al monte Calvario o a simbologia della Passione e possono presentare incrostazioni madreperlacee, molto in voga dal XVII secolo. I piccoli crocifissi hanno una funzione propedeutica alla contemplazione dell’estremo sacrificio del Salvatore e alla meditazione penitenziale. Il carattere dell’immagine, pur variando da epoca a epoca, negli esemplari ad uso privato ne riflette la funzione: i manufatti più preziosi e rigogliosi per l’apparato decorativo si prestano a una collocazione ornamentale presso capezzali e pareti domestiche, croci più modeste anche con altri oggetti devozionali (nelle edicole campestri, in uno spazio appartato) suggeriscono un atto di intima pietà religiosa, come il crocifisso di legno posto fra le mani del defunto all’atto dell’ultima vestizione ed esposizione. I presenti esemplari sono crocifissi portatili, iconici. L’iconografia si può limitare al corpo del Christus patiens sofferente e spirante con il capo reclinato verso la spalla destra e circondato da solare raggiera secondo l’essenzialità ascetica di ispirazione bizantina, i piedi generalmente sovrapposti e trafitti da un unico chiodo. In alto il cartiglio con l’iscrizione Jesus Nazarenss Rex Judaeorum (abbreviato INRI), mentre ai piedi figura il teschio del progenitore Adamo con le tibie incrociate, simbolo dell’opera redentrice del sacrificio operato da Cristo, tema diffuso a partire dall’età altomedievale. Il legno fregiato dai diversi simboli e strumenti della Passione sottolinea la sofferenza del Calvario e viene maggiormente utilizzato durante i riti della Settimana Santa e penitenziali, in particolare nell’adorazione del Venerdi santo. Manifattura area friulana-veneta (‘), sec. XVIII Croce astile lignea con simbologia della passione o croce dei misteri Legno intagliato/ 33,4x10,6 cm./ Inv. 30 Bibliografia: CICERI 1980, fig.34, p. x.95, sch. 14; RIBEZZI 2005, p.85 Esposizioni: Pordenone, 1980; Udine 2005 Sul recto, il corpo di Cristo giace tra le braccia del Padre dotato di aureola triangolare. Ai piedi la colomba dello Spirito Santo a completare la Trinità. La base è ornata dalla figura della Vergine addolorata, trafitta dalla spada di uno dei sette dolori (la crocifissione).Sul verso, intagliata un’altra figura della Vergine che tra le mani tiene un teschio e un crocifisso. Sopra il suo capo, un cuore fiammeggiante cinto della corona di spine, sottostante vi è raffigurazione dei piedi mozzi con i segni dei chiodi e sui bracci della croce quella delle mani. [In prossimità dell’incrocio dei bracci del crocifisso, al di sopra della figura di Maria, vi è rappresentato un cuore fiammeggiante sotto al quale sono posti due piedi segnati dai fori dei chiodi e da due mani in prossimità dei bracci.] Ai piedi della Madonna, le anime del Purgatorio tra le fiamme. L’oggetto è mutilo del braccio sinistro. Manifattura friulana, sec. XVIII Piccolo crocifisso Legno e rame/ 21,1x10,1 cm./ Inv. 33 Su una crocetta di legno è applicata una lamina di rame lavorato a sbalzo e fuso, raffigurante Cristo e alcuni strumenti della passione. Si riconoscono dal basso: la colonna con alla sommità il gallo di san Pietro e un teschio con due tibie incrociate. Ai fianchi di Gesù, a destra, i dadi e il flagello, a sinistra il calice mentre ai lati delle braccia sono raffigurati le tenaglie e il martello. Sulla testa della croce la corona di spine e sopra il cartiglio con la scritta INRI. Il crocifisso veniva probabilmente appeso come testimonia l’appicagnolo alla sommità. Manifattura spagnola-sud Germania, sec. XVIII Croce amuleto di San Zacharia contro la peste Bronzo/ 11,5x6,4 cm./ Inv. 93 Bibliografia: CICERI 1980, fig. 13, p. x.96, sch.40; WAGNER 1981; GAITHER 1996 Esposizioni: Pordenone 1980; Udine 2005 Di grande interesse iconografico, questa croce metallica decorata a incisione con decorazioni floreali e terminazioni dei bracci polilobate a “fiore di cardo”. Sul braccio sinistro un cristogramma e la sigla col nome di Maria. Alla sommità un appicagnolo. Questa tipologia di oggetto è conosciuta come croce di Zacharia legata alla pestilenza esplosa in Spagna nel 1547, a sua volta deriva dal prototipo della cosiddetta croce di Caravaca (presso Mursia) che è molto venerata in Spagna e che viene fatta risalire ai tempi della quianta crociata. Si diffonde poi nei paesi di lingua spagnola e nelle zone del Sud della Germania a partire dall’inizio del XVII secolo, grazie all’opera di Cappuccini e Francescani, come potente amuleto contro le pestilenze. Conosciuta nel Piemonte con il termine di “breve” ebbe la massima diffusione in concomitanza con le due epidemie di peste del 1598 e del 1630, per poi avere una ripresa nel 1835 quando si diffuse il cosiddetto colera asiatico. Non è un caso se le terminazioni della croce sono a “fiore di cardo”, il cardo è infatti simbolicamente un fiore con forti caratteristiche di protezione e che dunque rafforza i poteri difensivi della croce. Queste croci venivano affisse agli ingressi delle chiese; il rituale prevedeva che il fedele bagnasse le dita della mano destra nella pila dell’acqua benedetta, e poi seguendo i due bracci del crocifisso lo accarezzasse, ripetendo su se stesso il medesimo segno. Sul recto una scritta centrale recante la formula della benedizione di San Benedetto: "VRSNS MVSMQLIVB" (Vade retro Satana; Numquam Suade Mihi Vana Sunt Mala Quae Libas Ipse Venena Bibas) e sottostanti “CSSML”(Crux Sancta Sit Mihi Lux) e “NDSMD” (Non Draco Sit Mihi Dux). Sul verso, nel corpo centrale, la giaculatoria di San Zacharia: "+Z+DIA+BIZ +SAB+Z+HG" alla base: “F + B” e “FRS”. La formula viene utilizzata nei paesi di lingua spagnola come generico scongiuro contro altri mali e demoni vari. Frutto di numerose discussioni tra studiosi, la formula è stata variamente interpretata nel passato, tuttavia Herbert Wagner, nel 1981, grazie ad un manoscritto datato al 1834 e recante il letterale scioglimento delle iniziali, ha potuto definitivamente risolvere le diatribe. La traduzione della formula, (che si ispira, rielaborandoli, ad alcuni passi dell’Antico e del Nuovo Testamento) è la seguente: + = Crux Christi salva nos, Z = Zelus domus tuae liberet me (Salmo 69, 10), + = Crux vincit, crux regnat, crux imperat, per signum crucis libera me, Domine, ab hac peste, D = Deus, Deus meus, explelle pestem a me et a loco isto et libera me(Salmo 22, 2), I = in manus tuas, Domine, commendo spiritum, cor et corpus meum (Salmo 31 ,6), A = Ante coelum (et terram) Deus erat, et Deus potens est liberare me ab ista peste, + = Crux Christi potens est ad expellen-dam pestem ab hoc loco et a corpore meo, B = Bonunn est praestolari auxilium Dei cum silentio, ut expellat pestem a me (Lamentazioni 3, 26), l = Inclinabo cor meum ad faciendas iustificationes tuas, ut non confundar, quoniam invocavi te (Salmo 119, 112), Z Ze/aw super iniquos pacem peccatorum videns et speravi in te (Salmo73, 2), + = Crux Christi fuget daemones, aeram corruptum et pestem expellat, S = Salus tua ego sum, dicit Domi-nus; clama ad me et ego exaudiam te et liberabo te ab ista peste (Salmo 35, 3), A = Abyssus abyssum invocat et voce tua expulisti daemones, libera me ab hac peste (Salmo 42, 8), B = Beatus vir, qui sperat in domino et non respexit in vanitates et insanias falsas (Salmo 40, 5), + = Crux Cristi, quae antea fuit in opprobrium et con-tumeliam et nunc in gloriam et nobilitatem, sit mini in salutem et expellat a loco isto diabolum et aerem corruptum et pestem a corpore meo, Z = Zelus honoris Dei convertat me antequam moriar, et in nomine tuo salva me ab ista peste, + Crucis signum liberet populum Dei et a peste eos, qui confidunt in eo (Salmo 119, 112), H = Haeccine reddis Domino, popule stulte? Redde vota tua offerens sacrificium laudis et fide illi, quia potens est istum locum et me ab hac peste libera-re, quoniam, qui confidunt in eo, non confuden-tur (Deuteronomio 32, 6), G = Guttun meo et faucibus meis adhaereat lingua mea, si non benedixero tibi, libera sperantes in te, in te confido, libera me (Salmo 137, 6 ), F = Factae sunt tenebrae super universam terram in morte tua; Domine, Deus meus, fiat lubrica et tenebrosa diaboli potestas, quia ad hoc venisti, fili Dei vivi, ut dissolvas opera diaboli, expelle tua potentia a loco isto et a me, servo tuo, pestem istam, discedat aer corruptus a me in tenebras exteriores (Matteo 27, 45), + = Crux Christi, defende nos et expelle a loco isto pestem et servum tuum libera a peste ista, quia benignus es et miseri-cors et multae misericordiae et verax (Salmo 103, 8), B = Beatus, qui non respexit in vanitates et insanias, in die mala liberabit eum Dominus. Domine, in te speravi, libera me ab hac peste (Salmo 40, 5), F =Factus est Deus in refugium mihi, quia in te speravi, libera me ab hac peste (Salmo 94, 22), R = Respice in me Domine, Deus meus Adonai, in sede sancta maiestatis tuae et miserere mei et propter misericordiam tuam ab hac peste libera me (Salmo 25, 16), S = Salus mea tu es, sana me et sanabor, salvum me fac et salvus ero (Geremia 17, 14). La formula si ritrova in un grimorio di pergamena (libro di formule magiche) presso il Museo Nazionale Bavarese di Monaco, nel cosiddetto grimorio di papa Honorio e (pur con minime varianti) in due anelli e un bracciale ritrovati all’interno di un galeone spagnolo affondato nel 1715 in Florida ora conservato presso il State of Florida’s Division of Historical Resources ed è invece diffusa nei paesi di lingua spagnola dove si ritrova frequentemente in medagliette devozionali di S.Benedetto. Di notevole interesse un confronto con analogo pezzo proveniente da Ahrhütte presso Hillesheim (la cui datazione oscilla tra XVII e XVIII secolo) di proprietà privata; si tratta di una croce di Lorena con incise le medesime formule del pezzo della Collezione Ciceri. La croce udinese è priva del secondo braccio, tuttavia forma, lavorazione, materiale e stile appaiono i medesimi del modello tedesco, anche se in quest’ultimo, le lettere incise appaiono realizzate in modo più compendiarlo e corsivo rispetto alle più regolari ed eleganti della croce Ciceri. A testimoniare ulteriormente la presenza anche nella nostra regione di questa tipologia di croce vi è l’esemplare proveniente da Venzone datato al XVIII secolo, di dimensioni e qualità ancora più modeste esposto nella mostra Medagliette e crocifissi presso la chiesa di sant’Antonio a Udine nell’autunno del 2005. Analogamente di stretta pertinenza è anche il rimando a un pieghevole di santuario di provenienza austriaca costituito da nove santini (cfr. CICERI, 1980, p.66 m.38): la stampina centrale raffigura i SS. Sebastiano e Giovanni ai lati di una croce di Lorena recante la formula succitata, questi oggetti venivano venduti presso i santuari proprio come protezioni contro le malattie. Manifattura conventuale della Terra Santa, sec. XVIII-XIX Crocifisso, sec.XVIII Sec. XX,/ Legno e madreperla/ 22,5 x 11,1 cm./ Inv. 274 Crocifisso in legno con intarsi in madreperla raffiguranti Cristo, una testa di putto e all’apice due braccia che si incrociano con i segni delle stimmate nei palmi delle mani. Ai piedi del Cristo, sotto il teschio di Adamo, la Vergine trafitta da uno dei sette dolori. Intarsi con motivi vegetali e geometrici identici al pezzo n. 273, mentre il motivo dei fiori romboidali, alcuni dei quali riconoscibili come gigli, simbolo di purezza e verginità è identico a quello del reliquiario n. 66. Il cartiglio recante la scritta INRI è in avorio. Questa tipologia di oggetto, con le incrostazioni in madreperla e la figurazione realizzata con un segno nero che richiama la tecnica della xilografia, si diffonde a partire dal sec. XVII, opera di artigianato francescano o cappuccino proveniente dalla Terra Santa. Analoghe realizzazioni si ritrovano nelle croci provenienti dal santuario della Madonna a Cordovado (ora conservato al Museo Diocesano di Pordenone), dal duomo di Maniago, dal santuario di Barbana e dalla parrocchiale di Solimbergo, esemplari che attestano la loro diffusione in regione. Ancora più interessante appare il confronto con due crocifissi dei Civici Musei del Castello di Udine che presentano i medesimi consueti motivi floreali e geometrici. Manifattura friulana, sec. XIX Piccolo Crocifisso con appicagnolo Legno e rame/ 14x7,1 cm./ Inv. 710 Crocifisso ligneo con inserzioni di borchie in rame alle terminazione dei bracci della croce. Il Cristo è realizzato con una placchetta in rame a fusione, sopra il cartiglio recante la scritta INRI e ai piedi del Salvatore, un teschio con tibie. Sul dorso segni di un sigillo in lacca rossa. Manifattura italiana, sec. XX Crocifisso Rame/ 12,7x9,6 cm./ Inv. 716 Crocifisso in lamina con applicata la figura di Cristo dal corpo fortemente allungato e dagli arti stilizzati. I bracci della croce terminano con dei lobi a picca; quello posto nella parte superiore presenta un foro per l’affissione. Manifattura italiana, sec. XX Crocifisso Metallo argentato e legno/ 27x15 cm./ Inv.1596 Crocifisso ligneo con il Cristo e un teschio realizzati in metallo argentato a fusione. La testa del Redentore è adorna di un’aureola raggiata. Le terminazioni delle braccia della croce sono ornate da placchette di metallo. Croce, sec.XIX Tessuto, passamanerie/ 17 x 9,4 cm/ Inv. 86 Esposizioni: Udine 2005 Crocifisso in stoffa, imbottito da un'anima rigida. Decorato con nastri di raso rosa e fili dorati intrecciati e attorcigliati; il fondo è costituito da stoffa di colore rosa antico. Di manifattura raffinata è presumibilmente espressione di lavoro monastico utilizzata come oggetto-dono. Rosari La corona del rosario è uno strumento di preghiera con ampia diffusione popolare legato alla devozione mariana, alle espressioni penitenziali e un tempo immancabile fra i beni domestici e personali. Le anziane la conservavano nelle tasche del grembiule per sgranarne le preghiere nelle pause del giorno o trattenendola fra le mani durante le funzioni religiose; in casa era appesa sopra l’immagine sacra o presso l’acquasantiera per le orazioni comuni e private. L’etimologia latina rosarium ricorda il serto di rose in onore della Vergine e infatti la lunga filza di grani è unita da una cordicella circolare che si fa scorrere fra le dita per numerare i Pater noster, Ave Maria e Gloria ed elencare i Misteri, con un filo pendente provvisto di una croce terminale o un portareliquie, una sacra immaginetta entro teca o smaltata e soprattutto medaglie religiose, segni di un pellegrinaggio o di individuale devozione a un santo. I grani sono realizzati con i materiali più svariati, da quelli poveri (semi d’albero, tondini di legno anche intagliati mentre il cedro e l’olivo della Terrasanta godono di una particolare osservanza) o essenze e pietre preziose (avorio, agata, ametista, granati, corniole, coralli e madreperla dalla forte valenza simbolica che nella tradizione popolare sono considerate un mezzo di protezione dal male) nonché vetro e metalli anche finemente lavorati ( vaghi filigranati o maglie d’argento per la filza). La lunghezza varia. Oltre alla forma più comune ( che consta di 50 grani più piccoli e 5 più grandi o poste intercalati ai dieci dei misteri) un tempo usata dalle donne anche come gioiello da indossare, esistono corde più corte o di media lunghezza ma anche più lunghe (di 100 0 150 grani chiamate anche salteri per corrispondere al numero dei salmi) e l’anello a dischetto. L’oggetto diventa così anche un vero monile, spesso prezioso oggetto di dono, elargito dai pontefici o fra omaggi regali; assume altresì un valore di protezione personale e nella fede popolare quando viene posato nelle mani del defunto ne protegge l’anima dalla dannazione e dal purgatorio. L’uso del rosario è antico e conosciuto in diverse civiltà, propagato in Occidente dai Domenicani, in quanto la leggenda vuole che san Domenico l’abbia ricevuto direttamente dalla Madonna con la raccomandazione a divulgarne la preghiera per la conversione dei non credenti e dei peccatori. La pratica di preghiera che in precedenza si configurava nella recita dei “rosari del Padre Nostro” si accentua in epoca controriformista per diffondersi con l’apporto delle confraternite intitolate e dalla festa inserita nel calendario liturgico (7 ottobre) per ricordare la vittoria cristiana contro i turchi nella battaglia di Lepanto quando Pio V chiese alla cristianità di pregare con il rosario contro la minaccia musulmana; La preghiera, a partire dal tardo medioevo si è evoluta nel tempo. Dall’ultima riforma (Giovanni Paolo II, 2002, lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae) che ne ha rivalutato l’aspetto meditativo, i misteri luminosi (Il battesimo di Gesù, lle nozze di Cana, l’annuncio del regno di Dio, La Trasfigurazione di Gesù, L’istituzione dell’Eucarestia) si sono aggiunti a quelli gaudiosi (Annuncio a Maria, Visita a Elisabetta, Nascita di Gesù a Betlemme, Presentazione al tempio, Il ritrovamento di Gesù fra i dottori), dolorosi (L’agonia nell’uliveto, La flagellazione, L’incoronazione di spine, Gesù è caricato dalla croce, La morte sulla croce) e gloriosi (la Resurrezione, L ’Ascensione al cielo, la Pentecoste, l’Assunzione di Maria, l’Incoronazione della Vergine), ciascuno costituito da cinque diversi temi di riflessione intorno ai momenti della vita di Gesù e Maria, sua madre. Manifattura friulana, sec. XIX Rosario a perle arancioni Paste vitree/ lunghezza 30 cm ca/ Inv. 94 Esposizioni: Pordenone 1980 Bibliografia: CICERI 1980, p. x.97, sch.53. Un rosario costituito da perle in pasta vitrea arancione a forma di lampone. Quattro perle sono in color bianco. Rosario ad anello Sec. XIX/ Lega in argento/ Ø 2,4 cm. ca. / Inv. 94 b Bibliografia: CICERI 1980, p. x.97, sch.53 Esposizioni: Pordenone 1980 Rosario ad anello costituito da una serie di 10 borchie a forma di fiore chiuso, al centro una borchia di dimensioni maggiori. Rosario ad anello Sec. XIX/ Lega in argento/ Ø 3,1 cm. ca./ Inv. 94 c Bibliografia: Ciceri 1980, p. x .97, sch. 53 Esposizioni: Pordenone 1980, Udine 2005 Rosario ad anello a due facce. Sul recto, come cimiero, una testa della Vergine di profilo orante e lungo la circonferenza, una serie di 10 borchie a forma di rosa. Sul Verso, sul cimiero, un piccolo crocifisso e sulla circonferenza 10 borchie con impresse delle lettere a formare la scritta: + AVE+MARIA. Manifattura veneta, sec. XIX Corona di rosario in ametista Ametista e metallo/ lunghezza 40 cm./ Inv. 270 Corona di rosario con grani in ametista sfaccettati, una placchetta metallica con motivi vegetali chiude la collana. Il crocifisso presenta le terminazioni della croce lavorate a forma di picca. Manifattura friulana, sec. XVII-XVIII Rosario di San Michele Legno e lega in ottone e rame/ lunghezza 35,5 cm. Ø medaglietta 2,5 cm./ Inv. 95 Iscrizioni: S.MI CHA. A Bibliografia: CICERI 1980, p.x.97 sch. 49 Esposizioni: Pordenone 1980 Rosario di perle lignee con annessa una medaglietta scaccia - demoni. Sul verso, la raffigurazione di San Michele arcangelo con scudo e spada fiammeggiante mentre calpesta il drago. Sul recto, due cuori raggiati e fiammeggianti sormontati, uno da un crocifisso e l’altro da una spada di foggia seicentesca. Manifattura friulana, sec. XIX Rosario con crocifisso smaltato blu Legno, argento e paste vitree/ lunghezza 82 cm. ca./ Inv. 1351 Esposizioni: Udine 2005 Rosario costituito da perle lignee terminante con una croce smaltata sul cui recto vi è rappresentato Cristo e sul verso decorata da smalti blu, gialli e rossi. Le croci sono incastonate in una cornice costituita da un’ornamentazione a filigrana in argento con girali di tipo fitomorfo. Manifattura italiana, sec. XX Corona di rosario Legno (?), osso (?)/ lunghezza 25 cm./ Inv. 1547 Rosario costituito da vaghi di legno bianco terminante con una croce stilizzata composta con gli stessi elementi sferici. Frammento di rosario con medaglietta della Vergine Sec. XIX/ Legno e metallo; lunghezza 14 cm ca./ Inv. 1551 Iscrizioni: O Marie concuensans peche friezp..pour nons qui avons recours a vous Frammento di corona con perle di legno scuro. Alla all’estremità una medaglietta con impressa l’immagine della Vergine circondata da due scritte concentriche parzialmente leggibili, sul verso entro un cerchio di stelle il monogramma di Maria sovrasta due cuoricini di cui uno è trafitto. Bottiglievotive Bottiglie votive con crocifisso e simboli della Passione Vetro, legno, lamina in metallo dipinta, carta/ 24 x base 12 x prof. 7,3 cm./ Inv. 138 Vetro, legno, stampa su carta/ 24 x base 12 x prof. 7,3 cm./ Inv. 395 Bibliografia: CICERI 1980 fig. 12, p.X 95, Segni della devozione 2005, p. 118 Le due bottiglie, l’ una quadrangolare e l’altra ottagonale, probabilmente non della medesima fattura ma ascrivibile all’area alpina come suggeriscono iconografia e confronti ( Religions et traditions populaires 1979, p.55) presentano all’interno scene in miniatura ispirate al Calvario. Nella prima Cristo in croce con i simboli della Passione si erge sull’altare decorato da festoni e con diversi ceri sulla mensa, nell’altra il Crocifisso si innalza da terra con ai piedi raffigurazioni su carta stampata allusive all’apostolato di Gesù. Questi oggetti sono esempi di un artigianato minuzioso legato a particolari professioni (quali i marinai che realizzavano navi entro bottiglie o i soldati nelle pause dai campi di combattimento durante la Grande Guerra) e a particolari ricorrenze dell’anno. Vista l’iconografia, possono essere state in uso anche in qualche Confraternita ad esempio per uso processionale (in particolare la Confraternita dei Passionisti dedita al culto e a promuovere la devozione del Cristo crocifisso), destinate successivamente a rimanere esposte in cappelle ed edicole, quali immagini e memorie di meditazione. Cuscinetti Nella devozione popolare frequente è la consuetudine di confezionare, conservare e utilizzare oggetti poi fatti benedire dal sacerdote. A questi piccoli manufatti dalle forme diverse vengono affidate proprietà protettive, considerati quindi come amuleti per preservare la persona e la sua salute da influssi negativi. Nel circuito dello scambio spesso sono oggetto di dono in circostanze particolari, come segno di una devozione, se portati da un pellegrinaggio, nella consapevolezza che “per trasferimento” l’oggetto protegge chi l’ha donato e chi lo riceve. La terminologia cambia, come la manifattura a seconda della condizione e del ceto sociale. Sono piccoli cuori realizzati in materiali diversi (cartone rivestito e decorato, in tessuto impreziosito da perline) e cuscinetti sempre a cuore o a stella o come sacchettini con cucite immaginette o santini raffiguranti soggetti devozionali quali il Sacro Cuore, un’icona mariana, l’immagine di un Santo patrono. La forma stessa ha un valore simbolico. Ciceri dice che “hanno un corrispondente nei sacchetti che preparavano le streghe, i quali contenevano cose sconsacrate: ostie oltraggiate, immagini sacre sforacchiate, pezzetti di corda di campane o di impiccati. (Nicoloso Ciceri 1982, p.572). Manifattura di area carnica?, sec. XIX Cuscinetto devozionale a forma di cuore Cotone e applicazione di perline/ 11,5 x 7 cm./ Inv.87 Cuscinetto a forma di cuore, in stoffa rossa, al centro, una fila di perline. Ai bordi, piccoli dischi metallici con perlina. Sulla sommità un anello in corda e nella parte inferiore una sfera in corda. Stato di conservazione: discreto. Artigianato carnico, sec. XIX Cuscinetto a forma di cuore con raffigurazione di Cristo Tessuto imbottito/ 10 x10 cm./ Inv.88 Scapolare, in stoffa, a forma di cuore. Al centro, entro un cerchio, incorniciato da un filo metallico arricciato, una piccola stampa raffigurante Cristo reggente in mano il Sacro Cuore, l’aureola del capo è dipinta con smalto dorato. La decorazione dipinta che adornava il tondo è quasi completamente scomparsa. Un filo di perline arancione incornicia l'oggetto. Stato di conservazione: mediocre. Manifattura di area carnica, sec. XIX Cuscinetto con raffigurazione della Vergine e il Bambino Tessuto imbottito/ 7,5 x 7,5 cm./Inv. 89 Esposizioni:Pordenone 1980 Bibliografia: Religiosità popolare in Friuli, 1980, p. x.96, sch..47. Scapolare a forma di stella a quattro punte, color carne, al centro dentro un cerchio, una stampa raffigurante la Vergine con Bimbo ambedue incoronati. Il tondo è incorniciato da fili a forma di stella di David. Il verso è costituito da un tessuto di raso rosa scuro. Stato di conservazione: discreto. Manifattura di area carnica, sec. XIX Cuscinetto con raffigurazione di Sant’Antonio e il Bambino Cotone ricamato e stampa applicata/ 7 x 7 cm./Inv. 90 Stato di conservazione: discreto Molto simile al n. 89 sia per identici materiali e decorazioni che per analoga tecnica, forma e stile. Al centro un tondo con una stampa raffigurante S.Antonio con in mano un giglio e in braccio il Bambino. Sul verso una stoffa a fiori rossi. Manifattura di area friulana, sec. XIX Cuscinetto con fiore cruciforme Cotone con applicazioni di passamaneria/ 7,4 x 5,8 cm./ Inv. 96 Un cuscinetto di forma rettangolare con cornice costituita da un filo intrecciato ad un nastro dorato. Al centro entro un rombo un fiore cruciforme a quattro petali costituito da una canutiglia intrecciata. Stato di conservazione: discreto. Cuscinetto devozionale sec. XIX / Cartone e cera/ 25 x 17 cm./ Inv. 34 Bibliografia: Segni della devozione 2005, p.137-138 Scapolari Lo scapolare originariamente è un elemento distintivo dell’abito di alcuni ordini religiosi (Carmelitani, Servi di Maria, Trinitari, Mercedari, Teatini) e consiste in un tessuto, talvolta provvisto di cappuccio che copre le spalle e si distende anteriormente e posteriormente lungo la tunica talare. Con un corrispettivo valore simbolico lo scapolare si diffonde anche tra i laici con l’istituzione del Terz’ordine carmelitano e della Confraternita del Carmine ed è confezionato nella forma di due quadratini di tessuto uniti tramite due nastri da portare l’uno sul petto e l’altro sulle scapole (da cui il nome). L’origine leggendaria del manufatto riporta alla visione di S. Simone Stock, carmelitano inglese vissuto nel XVIII secolo, cui la Vergine del Carmelo (monte biblico in cui avrebbe avuto origine l’ordine) lo consegna quale protezione speciale. Al santo è legato il “Privilegio sabatino”, ovvero la promessa che la Madonna libererà dal Purgatorio, il primo sabato dopo la morte, i confratelli del Carmine morti piamente con lo scapolare. Si diffonde pertanto l’iconografia della Vergine del Carmelo, in cui lo scapolare è ostentato come il rosario o la cintura mentre il diffondersi di pratiche devozionali popolari e la propaganda ne favoriscono l’uso quale oggetto protettivo dispensato dai religiosi e acquisito in occasioni particolari soprattutto i pellegrinaggi Lo scapolare benedetto, chiamato anche “pazienza”, “abitino” o “breve” indossato come i filatteri, è inserito fra le fasce del neonato, appeso al collo o appuntato con una spilla fra la biancheria intima,. In questo caso può essere confezionato anche come un “sacchettino” e contiene oggetti benedetti (chicchi di grano e di sale o di incenso, foglie benedette o di ulivo consacrato, la cera triangule della Candelora o della Settimana Santa, cotone imbevuto di oli sacri accanto a medagliette, piccole immagini spirituali, preghiere scritte su un foglietto ripiegato) e accompagna il bambino non solo nella fase puerile, più minacciata da malocchio e invidia, ma durante tutta la vita, soprattutto nelle occasioni significative. Scapolari benedetti venivano donati ai soldati in partenza verso il fronte durante la prima Guerra mondiale. Gli esemplari della presente raccolta presentano piccole immaginette cucite o direttamente stampate sulla tela della Madonna del Carmelo con santi devoti e iscrizioni di preghiera in italiano, francese, spagnolo, inglese, raffigurazioni della Pietà, l’Addolorata, Maria Hilf;. Alcuni invece sono ricamati a filo dorato con simbologia cristologica (monogramma, Sacro Cuore) ed eucaristica; ma anche l’associazione dei colori ha un suo significato (marrone/nero per la Madonna del Carmelo, nero per la Madonna dei dolori dei Serviti, rosso per la croce dei Trinitari, azzurro per l’Immacolata dei Teatini). Manifattura di area carnica (?), sec. XIX Coppia di scapolari Seta ricamata/ 6 x 5 cm./Inv. 120 Scapolari in stoffa color carne con motivo cucito a zig zag in filo rosa, uniti da un nastro azzurro: il pezzo a) raffigura il sacro calice con spighe. Il pezzo b), entro un sole raggiato, un cristogramma. Stato di conservazione: buono Manifattura di area francese, sec. XIX Coppia di scapolari della Vergine del Monte Carmelo Lana con stampa applicata/ 5,5 x 4 cm./Inv. 122 Iscrizioni: a) N.D Du MONT CARMEL priez pour nous b) Souvenez vous o treès pieuse Vierge Marie Stampati su un tessuto bianco cucito su un velluto marrone raffigurazioni: a) della Madonna del Monte Carmelo e il Bambino reggente due scapolari, b) della Vergine che dona due scapolari ad un santo in veste dominicana (S.Simone stock?). Stato di conservazione: buono. Manifattura di area friulana (?), sec. XIX Coppia di scapolari della Vergine del Monte Carmelo Canapa stampata/4 x 2,9 cm./Inv. 123 Iscrizioni: a) N.S. DEL MONTE CARMELO, Tiened piedad de nonsotros, abbiate pietà di noi. b) OUR LADY OF CARMELO N.S. del Carmen Soccorred nos_ Be our aid Bibliografia: Tradizioni popolari in Friuli, 1992, p.367. Stampati su tessuto raffigurazioni: a) della Vergine incoronata e il Bambino che dona degli scapolari a dei fedeli supplicanti, b) della Madonna che tiene in braccio Gesù bambino donante degli scapolari ad un giovinetto. Stato di conservazione: buono. Manifattura di area friulana (?), sec. XIX Coppia di scapolari della Vergine del Monte Carmelo Canapa stampata /4 x 2,9 cm./Inv. 124 Iscrizioni: a)Pregate per noi b) Abbiate pietà di noi. Bibliografia: Tradizioni popolari in Friuli, 1992, p.367. Identiche raffigurazioni della n. 123 ma in dimensioni maggiori. Le stampine sono cucite con filo arancione. Stato di conservazione: buono. Manifattura di area friulana (?), sec. XIX Cotone stampato/ 5,1 x 3,5 cm./ Inv. 126 Iscrizioni: Pray for us Bibliografia: Tradizioni popolari in Friuli, 1992, p. 367. Stampati su tessuto raffigurazioni: a) della Madonna del Carmelo con il Bambino reggenti degli scapolari, b) della Vergine che dona degli scapolari a S.Simone Stock. Stato di conservazione: buono. Manifattura di area friulana (?), sec. XIX Coppia di scapolari della Vergine con Bambino Cotone stampato/ 6,5 x 5 cm./Inv. 127 Bibliografia: Tradizioni popolari in Friuli, 1992, p.367. Una stampa su tessuto raffigurante la Vergine con manto che le copre la testa, corona e aureola. In braccio tiene il Bambino e nella mano destra uno scapolare. A incorniciare l’immagine decorazioni acquerellate geometriche in azzurro. L’iscrizione alla base appare abrasa, inoltre è andata perduta l’immagine del secondo scapolare. Stato di conservazione: discreto. Manifattura di area friulana (Valli del Natisone), sec. XIX Scapolare quadrato della Vergine Stampa su stoffa/ 8,1 x 7,9 cm./ Inv. 128 Esposizioni:Pordenone 1980 Bibliografia: Religiosità popolare in Friuli, 1980 fig. 68, x.96, sch..28. Su un tessuto in raso ecrù, Una piccola stampina ovale della Madonna con Bambino; il capo è coperto dal manto e adorno dalla corona. Cucite attorno alla sacra figurazione, dei fiori azzurri e rosa e delle foglie. Piccoli dischetti dorati decorano gli angoli. Un nastro azzurro regge lo scapolare. Stato di conservazione: discreto. Manifattura di area carnica, sec. XIX Scapolare della Vergine incoronata Lana con stampa applicata/ 8 x 6,5 cm./ Inv. 129 Iscrizioni: AVE MARIA Bibliografia: Tradizioni popolari in Friuli, 1992, p. 367. Entro un ovale raffigurazione della Vergine con aureola e corona, e il Bambino circondati da una corona di stelle. Maria indossa un collare che forma la scritta rosario. Ai suoi piedi S. Caterina da Siena e S.Filippo Neri che ricevono dei rosari. Stato di conservazione: discreto. Manifattura di area alpina, sec. XIX Coppia di scapolari di Maria Hilf Cotone con stampa applicata/ 8,1 x 6,4 cm./ Inv. 130 Iscrizioni: S.Maria hilf Esposizioni:Pordenone 1980 Bibliografia: Religiosità popolare in Friuli, 1980 fig. 68, x.96, sch. 28. Collegate da un nastro nero, due raffigurazioni entro una cornicetta di nastro rosa: a) Maria Hilf e il Bambino circondati da una ghirlanda di fiori. b) un grande cuore fiammeggiante con all’interno le figure della Madonna e Cristo che espongono il loro sacri cuori. Alla base i due monogrammi cristologici e mariologici. Stato di conservazione: buono. Manifattura di area carnica (Cercivento), sec. XIX Coppia di scapolari Canapa con stampa applicata/ 7,8 x 6,2 cm./ Inv. 131 Esposizioni:Pordenone 1980 Bibliografia: Religiosità popolare in Friuli, 1980 fig. 68, x. 96, sch. 28. Coppia di scapolari uniti da un nastro rosso scuro, raffiguranti il primo la Vergine dei sette dolori reggente Cristo deposto e il secondo La Madonna incoronata con il Bambino. Nella mano sinistra la Madre porge una coppia di scapolari. Nella parte inferiore sono rappresentate le anime del purgatorio. Stato di conservazione: discreto. Manifattura di area carnica, sec. XIX Coppia di scapolari Lana con applicazioni (stampa e crocifisso metallico)/ a) 6 x 5,4 b) 7 x 6,7cm./ Inv. 132 Bibliografia: Tradizioni popolari in Friuli, 1992, p. 367; Segni della devozione 2005, p. 136-137. Coppia di scapolari di dimensioni diseguali, in stoffa rossa scura e una cornice di nastro beige. Il pezzo a) presenta cucita una crocetta in materiale argentato e il corpo del Cristo in metallo dorato. Lo scapolare b) porta al centro una stampa su tessuto raffigurante la Vergine col Bambino che donano degli scapolari a San Simone Stilita. Stato di conservazione: discreto. Manifattura di area friulana, sec. XIX Scapolare raffigurante un cuore Stampa e tessuto; 15x8 cm. ca/Inv. 720 Entro una cornice costituita da canutiglie dorate, una stampa colorata raffigurante un cuore rosso fiammeggiante. Stato di conservazione: pessimo. Medagliettereligiose–sec.XVIII‐XIX Medaglie religiose bronzee o di metallo argentato di diverso formato e misura sono diffuse con continuità fin dai primi secoli del cristianesimo, attestando spesso la memoria del martirio di un santo, una figura particolare fino ai giorni attuali quando la piccola medaglietta ricorda un evento particolare, costituisce un dono tradizionale in particolari riti di passaggio (battesimo, prima comunione), un omaggio alle persone care come ricordo di un pellegrinaggio o espressione di un culto specifico. Coniata con immagini su un lato o usualmente sia al recto che al verso, è munita di appicagnolo per usarla come pendente, cucita o appesa a un nastro per portarla al collo come gioiello (similmente alla moneta a indicare uno status anche giuridico o quale talismano), o appuntarla con un fermaglio alle vesti, soprattutto ai bavaglini del neonato con funzione oltre che devozionale di amuleto protettivo in un periodo particolarmente delicato della vita. Funzione analoga hanno i medaglioni battesimali, regalati in occasione della cerimonia, inseriti in cornici d’argento anche finemente filigranate e con raffigurazioni di santi protettori dell’infanzia (frequente S. Antonio da Padova) o del battesimo di Gesù. Le medaglie commemorative di un evento (ricordo giubilare, medaglia miracolosa), di culti mariani, di santuari, di un pellegrinaggio costituiscono l’emblema di un atteggiamento devoto o penitenziale, l’osservanza di un voto, pertanto sono preziosamente custodite, spesso appese ai rosari con fini protettivi, ai santini di S. Antonio sulle porte delle stalle o custodite anche con valore affettivo insieme alle sacre immagini, Con analoga funzione apotropaica è testimoniato l’uso di porre medagliette su bastoni ai confini dei campi per propiziare il raccolto o lasciate “sui terreni che venivano definiti dei “pagans” o dei “muarz” per tenere buone le anime dei defunti affinché non Intralciassero il buon esito del raccolto nei campi (Candussio – Rossi 2005, p.14). La larga presenza di medaglie appuntate ai cuscini votivi ne evidenzia poi l’uso fra i doni alle sacre immagini a costituire gli accessori preziosi per indorare l’effigie mariana durante le occasioni solenni (Ori e tesori d’Europa 1992, p.462). I soggetti rappresentati sui due lati delle medagliette possono essere in correlazione (l’intitolazione mariana/l’immagine del santuario, leggende di fondazione), attingono agli eventi cristologici, alle solennità del culto mariano a insegne di confraternite o di ordini e associazioni religiose e alla vasta agiografia dei santi taumaturghi Per la maggior parte si tratta di medagliette di produzione seriale distribuite presso i santuari e di valore economico modesto, atte quindi a un acquisto diffuso tuttavia possono essere benedette secondo il Rituale romano con una formula che ne dichiara l’uso, diretto ad ottenere da Dio una grazia spirituale o temporale pe i meriti e l’intercessione del rappresentato. Ma spesso artigiani su commissione si sono dedicati alla sottile cesellatura (un esempio i medaglioni battesimali o elargiti dal devoto come ex voto) o a realizzare medagliette smaltate e istoriate appositamente create per l’ornamentazione femminile. Bibliografia: Religiosità popolare in Friuli, 1980, p. x.97, sch.54. R. Madonna del Buon Consiglio/V. Cristo crocifisso Rame/3x2 cm./Inv. 110 R. Madonna rappresentata come divina pastora (culto diffuso in Spagna e celebrato il quarto sabato di Pasqua o l’8 settembre) / V. san Pietro da Alcantara, in veste da dominicano, inginocchiato davanti ad una croce. Rame/3,4 x 2,1 cm./ Inv. 111 Iscrizioni: recto: LAD·PASTORA 8 ·OTT verso: S·PETRUS DE ALCANTARA R. Maria an Luggau / V. Crocifisso di Sirolo Rame/ 3,8 x 2,8 cm./ Inv. 112 R. Tobiolo e l’angelo/ V. L’Annunciazione Argento/ 5,5 x 4 cm./ Inv. 113 Bibliografia: Religiosità popolare in Friuli, 1980, p. x.97, sch.54. R. Ultima Cena/ V. Madonna con Bambino Argento/ 4,6 x 3,1 cm./ Inv. 114 R. Battesimo di Gesù/ V. San Venanzio, protettore della città di Camerino dove subisce il martirio nel III secolo d.C i Bronzo / 2,5 cm./ Inv. 1360 Iscrizioni: sul recto, FIL • ME • D, sul verso, S • VEN R. Sant’Antonio da Padova/ V. Due angeli reggono effigie della Vergine incoronata Argento sbalzato/ 5 x 4,8 cm./ Inv. 115 Iscrizioni b) S M. OBTHING: PATRONA B. Bibliografia: Religiosità popolare in Friuli, 1980, p. x.97, sch.54. Due pendenti a forma di cuore Argento/ a) 2, 4 x 1,9 b) 2x 1,7 cm./Inv. 719 Placchetta devozionale Rame sbalzato/ 10,5 x 7,5 cm./ Inv. 475 Entro volute e forme vegetali, un medaglione rotondo con raffigurazione di Cristo di profilo. In alto la colomba dello Spirito Santo, nella parte inferiore una testa d’angelo. Occhi di Santa Lucia Opercoli della conchiglia di Bolma Rugosa/ Diametro medio di 2,5 cm/ Inv. 1539 Bibliografia: PERUSINI 1988; NICOLOSO CICERI 1982; Segni della devozione 2005 Con Occhi di Santa Lucia s’intendono comunemente gli opercoli delle conchiglia di Bolma Rugosa, un gasteropode diffuso nel Mediterraneo, che alcune fonti indicano anche con il nome scientifico di Astraea Rugosa. Fin dalla preistoria gli opercoli di questa conchiglia sono stati ritenuti efficaci amuleti per la protezione della vista. La denominazione popolare che li lega a Santa Lucia deriverebbe dunque dalla cristianizzazione di questi amuleti, che sono stati avvicinati proprio alla Santa venerata come patrona della vista. La Santa siracusana deve probabilmente il suo patronato proprio al nome che porta, che deriva dal latino Lux, lucis, “luce”, nome che ricorda quello di una divinità pagana, Lucina, che per gli antichi guariva e preservava dalle malattie degli occhi. Un’altra spiegazione riguarderebbe invece la frase che Santa Lucia pronunciò prima di essere martirizzata, così riportata dalla passio: “Così farò vedere ai credenti in Cristo la virtù del martirio e ai non credenti toglierò l'accecamento della loro superbia”. In questo senso, il patronato sulla vista sarebbe un’estensione in senso fisico di ciò che la Santa avrebbe profetizzato riferendosi alla cecità spirituale dei pagani. In ogni caso sarebbe da escludersi l’ipotesi di un martirio per accecamento, anche perché è soltanto dal XIV secolo che Lucia è raffigurata con gli occhi posati sul piattino, e la passio narra di un martirio per decapitazione, sorte che le spettava in quanto nobile. Questi amuleti erano considerati anche propiziatori della fertilità, per l’antichissima associazione tra la conchiglia e la fecondità femminile e potevano essere incastonati in anelli, orecchini, ciondoli d’oro, d’argento o in metallo, indossati dalle donne contro la sterilità o per favorire una gravidanza senza complicazioni. Perusini, che attribuisce erroneamente gli opercoli al Trochus, riporta: “sono adoperati come propiziatori della fecondità, probabilmente perché aprono la conchiglia, ed anche contro le malattie degli occhi per la loro forma che ricorda un occhio arrossato”(PERUSINI, 1988), citando, a riprova della diffusione di amuleti in cui venivano incastonati gli opercoli della Bolma rugosa, una placca in metallo del XIX secolo proveniente da Zagabria, un ciondolo laziale in oro, e un ciondolo viennese del XVIII secolo, in oro con sei opercoli, tramandato di generazione in generazione alle donne di una famiglia di Vienna, che se ne servivano per propiziarsi una gravidanza serena. Gli Occhi di Santa Lucia possono essere a pieno titolo inseriti tra gli amuleti di derivazione animale, che devono il proprio potere apotropaico proprio al fatto di provenire da esseri animati; si pensi alle unghie, ai becchi, ai denti, alle corna, alle zampe di animali, tradizionalmente usati come portafortuna. In più, nel caso degli opercoli della Bolma rugosa vi è da sommare la fascinazione esercitata dall’ “occhio”, che “vigila e minaccia”, ed è in grado sia di proteggere dal malocchio che di lanciarlo: nell’Antico Egitto, l’occhio di Horus, figlio di Iside e Osiride, è l’occhio che “tutto vede” e veniva impresso all’ingresso delle case, sui sarcofagi e sulle tombe, per contrastare il maligno o per proteggere il viaggio del defunto verso l’aldilà; nella mitologia greca, l’occhio di Gorgone immobilizza e pietrifica, e raffigurazioni di occhi sono un motivo frequente a decorazione delle anfore greche; in età Medievale, i mascheroni di pietra che sovrastano porte e finestre vegliano a protezione della casa e dei suoi abitanti. Medaglione di Santa Teresa d’Avila Madreperla/ 10 x 6,5 cm./ Inv. 92 Al centro dell’ovale santa Teresa d’Avila è incorniciata entro un motivo polilobato con foglia di vite e grappoli d’uva allusivi al sangue versato nel sacrificio divino. La madre carmelitana (Teresa de Cepeda y Ahumada, Avila 1515- Alba de Tormes 1582) che si dedicò alla riforma dell’ordine spagnolo secondo le severe regole delle origini anche tramite la collaborazione dell’amico e confessore S. Giovanni della Croce, con i suoi scritti imperniati sull’imitazione di Cristo e sul cammino verso la perfezione influenza notevolmente il pensiero spirituale del suo tempo annoverandola come una delle più alte personalità della teologia mistica L’iconografia classica riporta alle sue visioni che durante la vita provarono il suo fisico, minacciato fin da giovane età da una salute precaria. La freccia dell’amore divino con cui un angelo la colpisce al cuore (transverberazione) nell’esperienza di dolore ed estasi è frequente attributo iconografico: viene pertanto invocata in caso di malattie cardiache, per la liberazione delle anime dal Purgatorio, per le quali intercedeva nelle sue invocazioni ed è protettrice degli scrittori cattolici. Il tondo è provvisto di appicagnolo, forse per utilizzarlo come pendente: proviene, presumibilmente da qualche luogo di devozione, quale pregevole ricordo di pellegrinaggio Tabacchiera con effigie devozionale Latta incisa/ 8,1x6,5x2,4 cm./ Inv. 85 Iscrizioni: sul recto: “25-XII-43”, “SANTA TERESA”, sul verso:“MAMMA TORNERÒ”, “PPM 17.4.44” La piccola scatola di latta, incernierata su un lato, probabilmente una tabacchiera, è stata incisa molto semplicemente sui due lati. Sul coperchio figura la Santa carmelitana con l’attributo floreale, i gigli; sul verso è tratteggiata una basilica (forse la chiesa di S. Antonio di Padova) e sotto la scritta “mamma tornerò”. Si tratta, quindi, di un oggetto realizzato da un soldato in guerra anche con intenzioni votive, che, nell’incertezza del ritorno a casa, si rivolge alla protezione della santa venerata in ambito familiare. L’oggetto può essere inserito nella caratteristica produzione “di guerra” quando i soldati per ingannare l’attesa si dedicavano al recupero e alla decorazione di oggetti nella speranza di poter inviare ai familiari n ricordo. Rametto di corallo, sec. XIX/ Gesso dipinto/ lunghezza 11,5 ca./ Inv. 1515 La pasta gessosa è stata modellata a forma di rametto di corallo e dipinta di rosso, forse con l’intenzione di farne o di imitare un amuleto. Il valore apotropaico del corallo, legato sia al mondo marino che dei minerali è antichissimo; al vivifico carattere simbolico del colore purpureo, collegato al sangue e dunque al concetto di vitalità, si ricorda l’impiego terapeutico ai fini della fertilità femminile e di protezione dell’infanzia. In questo caso la forme stessa, acuminata, appesa al collo dei bambini ancora in fasce, ne aumentava l’efficacia per allontanare il malocchio e forze negative ed era considerato un rimedio o un mezzo preventivo eccezionalmente efficace contro le convulsioni, la tosse canina, i dolori della dentizione. Il Bambin Gesù viene quindi spesso raffigurato con una collanina e un rametto di corallo appeso al collo, tali ornamento vengono donati anche alle statuette dei santi bambinelli e in Sicilia era frequente l’uso di donare fasce battesimali decorate da rossi coralli (L’arte del corallo …1986, passim); per tale ragione “protettiva” erano spesso confezionati in corallo anche i paternoster dei rosari. E’ ricordato anche l’utilizzo terapeutico: nei tempi antichi polvere di corallo macinato in Egitto era versata sui campi per preservarli da calamità; se ne ricorda anche l’utilizzo medicinale. La polvere mescolata con acqua era considerata un rimedio contro le malattie interne mentre bruciato e mescolato con grassi serviva come unguento per ferite e ascessi. Quadretticonraffigurazionidevozionali Madonna con Bambino, Hecce Homo, Carta, raso e tessuto, vetro/ 12x9,5 cm; 12x9,3 cm; 9,9x8,2 cm/ Inv. 35, 83 Due stampine oleografiche e colorate raffiguranti la Maternità di Maria e il Cristo incoronato di spine di Klagenfurt cono state impreziosite da decori floreali con fili argentati e dorati, perline e incollate sul fondo di una piccola scatola protetta da vetro. L’esito è un quadretto devozionale con l’immagine infiorata e abbellita, tipica produzione di ambito monastico dedita alla predisposizione di oggetti dono e/souvenir graditi ai pellegrini. San Antonio da Padova Metallo dipinto/ 8x5,3 cm/ Inv. 108 Su fondo nero entro una cornicetta con quattro stelline agli angoli, il santo è raffigurato a figura eretta in abito francescano con alcuni dei suoi diversi attributi, rami di gigli simbolo di purezza d’animo nel braccio sinistro e il Bambin Gesù (in ricordo dell’apparizione in visione) che si protende ad abbracciarlo, assiso sul libro aperto posato nella mano sinistra dalla quale pende anche un rosario. Intorno all’aureola il nome “S. Antonio Padova”. Il semplice dipinto presenta un foro per l’affissione a muro ed è un manufatto di modesta fattura adatto alla larga diffusione come immagine ricordo per la devozione dei numerosi pellegrini ai luoghi di culto. Universale, infatti, è la venerazione del santo patavino, cui contribuirono i sermoni di san Bernardino, patrono di diverse città (fra cui Lisbona ove nacque e Padova ove si fermò a predicare morendovi ancor giovane), invocato a protezione dei fanciulli, nelle condizioni di povertà, in caso di smarrimento di oggetti, dalle donne in difficoltà, in situazioni di pericolo come testimoniano i molti luoghi a lui dedicati anche in Friuli quali il santuario gemonese, le numerose chiesette votive nonché gli affreschi con l’effigie del santo taumaturgo solo o in Sacre Conversazioni in edicole e cappelle rurali dai monti al piano. La festa si celebra il 13 giugno (giorno della morte, 13 giugno 1231). L’Addolorata/Ecce Homo Cianotipie entro cornice in metallo/ 17x12,3 cm/ Inv. 717 Il presente quadretto è stato realizzato con due stampine oleografiche atte a presentare una meditazione sulla divina sofferenza: da un lato è raffigurata la Vergine in atto benedicente con il cuore serrato dalla coroncina di rose e trafitto dalla spada; sull’altro il Cristo sofferente secondo l’iconografia del Cristo incoronato di Klagenfurt Santuari mariani Litografie entro cornice/ 10x6 cm/ Inv. 699, 711, 1526 Dopo il cammino verso un luogo santo, il pellegrino reca con sé oggetti ricordo in memoria del gesto votivo o da regalare alle persone care e molto spesso si tratta della semplice immaginetta spirituale che riproduce il luogo e l’effigie cara alla devozione. I fogli vengono poi conservati fra le pagine dei messali o vengono elaborate in ambito domestico, incorniciati più o meno preziosamente, decorati anche manualmente, infiorate e affissi sulle mura di casa come protezione e invito alla meditazione. Proprio il gesto di lavorare, maneggiare l’immagine santa esprime oltre a una prassi di mimesi a una forma di preghiera Nei quadretti della collezione Ciceri si ripete l’icona di Maria Zell, dal santuario ubicato nella valle del Bürgeralpe in Stiria frequentatissima meta di pellegrini nel cuore della Mitteleuropea. L’effigie della Magna Mater Austriae, Madre Regina incoronata con lo scettro in mano e avvolta in un grande manto con il Bambino benedicente è conservata nella cappella delle Grazie e sulle piccole stampe è riprodotta in alto dominante sul verde del paesaggio campestre o sul santuario. Il culto, anche per opera di emigranti si diffonde al di qua delle Alpi nelle vallate montane ove diventa figura taumaturgica di valore allargato. Portapalmeevasid’altare Schede a cura di Dania Nobile Le prime testimonianze riguardanti l’usanza di abbellire, con rami fioriti e altre varie composizioni floreali, gli altari si trovano nel Caeremoniale Episcoporum del 1600. All’interno della collezione Ciceri si possono ammirare alcuni caratteristici esemplari di vasi portapalme e una semplice serie di vasi d’altare in metallo. Questi ultimi erano solitamente disposti sulla mensa dell’altare alternandoli ai candelieri. Essendo degli apparati secondari dell’arredo liturgico i vasi non seguono delle regole prestabilite circa la tipologia da adottare, ma, generalmente, nel corso dei vari secoli si predilesse materiali e forme simili a quelle dei comuni vasi domestici. Da questi ultimi i vasi sacri si differenziano soltanto per la peculiarità di certe decorazioni o iscrizioni. L’utilizzo dei fiori, proibito in certe fasi del calendario liturgico, diventava dunque parte essenziale dell’addobbo della mensa. Nel periodo compreso tra la Domenica delle Palme e il Mercoledì Santo sull’altare, accanto ai candelabri, venivano disposti i vasi portapalme, ossia dei particolari vasi d’altare che avevano la funzione di sorreggere ramoscelli d’ulivo o, più frequentemente, delle palme. Queste ultime sono essenzialmente delle composizioni floreali di seta, perline o, come nel caso degli esemplari della collezione Ciceri, ferro e legno. Per il culto cristiano la palma è, per eccellenza, l’emblema della vittoria, del trionfo di Cristo sulla morte e simbolo del martirio. È dunque con tale significato che esse venivano devotamente collocate sull’altare maggiore. Manifattura locale (carnica?), sec. XVIII Coppia di portapalme Legno scolpito, dipinto e dorato/ 27x23,2 cm (Inv. 174); 27x22,7 cm (Inv. 174b)/ Inv. 174; 174b Il piede a base semicircolare e fusto modanato di questa coppia di portapalme poggia su un piano a forma di parallelepipedo e di colore rosso. Il rigoglio è caratterizzato da sinuose baccellature a goccia che accentuano l’aspetto semiconico della parte superiore dei manufatti. Il collo è definito da evidenti scanalature che terminano con un motivo ondulato che segna l’orlo dell’imboccatura. Dagli estremi di quest’ultima dipartono le due anse laterali costituite da una ampia voluta e da un accurato elemento vegetale. Non essendo scolpiti a tuttotondo questi portapalme necessitano di una parte di sostegno, posta sul retro e quindi nascosta, che dia stabilità all’intera struttura. Sulla superficie dell’imboccatura è ben visibile il foro ove era collocato il ramo che, considerata la tipologia del manufatto, era probabilmente costituito dalla classica palma in ferro. L’oggetto è interamente coperto da un fondo di colore rosso rivestito dalla doratura solo nel corpo del vaso, lasciando così scoperti il basamento, la parte posteriore e quella superiore. L’analisi del manufatto ha permesso di riscontrare delle crepe e cadute del colore e della doratura. Da rilevare anche la presenza di alcune fratture in prossimità dei punti di raccordo tra corpo e ansa (si veda in particolare Inv. 174). L’accurato intaglio e la discreta doratura inducono a ritenere tali manufatti il riuscito prodotto di una colta bottega friulana, forse carnica, attiva intorno alla metà del XVIII secolo. Come ipotizzato per altri portapalme della collezione Ciceri (Inv. 175 – 175b), anche in questo caso alcune caratterizzazioni portano a supporre un loro utilizzo all’interno di qualche villa nobiliare, o comunque nel contesto di una piccola chiesa o di un oratorio. Manifattura veneta?, sec. XVIII Coppia di vasi portapalme Coppia di palme Legno scolpito e dorato/ 22,5x22,4 cm (Inv. 175); 22,3x23 cm (Inv. 175b); 32x13 cm. (Inv. 175c); 32x14,5 cm. (Inv. 175d)/Inv. 175; 175b; 175c; 175d Coppia di vasi portapalme (Inv. 175 – 175b) ad anfora semplice con piede a base semicircolare, e spalla e collo privi di decori. Il corpo è ornato con un motivo a tendaggio nella parte superiore, dalle cui borchie di sostegno scendono le nappine, e in quella inferiore e nell’orlo dell’imboccatura con delle foglie sovrapposte. Le anse laterali che abbracciano le giare ripropongono l’elemento vegetale già presente nel manufatto e terminano con due volute, una delle quali termina sulla base della spalla. Le palme (Inv. 175c – 175d) poggiano su un pennacchio decorato a ovuli e sono scolpite con un differente motivo floreale, attorniato da foglie, che comprende in un caso tre diverse varietà floreali (Inv. 175c) e nell’altro una rosa centrale (Inv. 175d). La coppia di portapalme, intagliata e dorata solo nella parte frontale, presenta certe fratture in prossimità del piede (Inv. 175) e diffusi segni di tarlatura (Inv. 175b). Alcune cadute della doratura riguardano invece le palme il cui cattivo stato di conservazione non è paragonabile a quello dei vasi portapalme. Il diverso processo di doratura o semplicemente la differente essenza possono aver contribuito a tale risultato. Le ridotte dimensioni dei portapalme, la presenza di palme lignee ad intaglio e la ricchezza del manufatto ne suggeriscono un uso domestico, da riferire probabilmente a qualche cappella nobiliare privata. La foggia del manufatto propone dunque una datazione entro la fine del XVIII secolo e un’esecuzione per mano di uno scultore presumibilmente di scuola veneta, considerata la qualità dell’intaglio. Manifattura locale, sec. XVIII Portapalma Legno scolpito, dipinto e dorato/ 27,3x18x14 cm/ Inv. 1337 Bibliografia: A. NICOLOSO CICERI, 1959, p. 45 (ill.). Rose in legno dorato Legno intagliato e dorato, ferro, gesso, juta/ h. media 27,5 cm/ Inv. 1334 (a-g) Bibliografia: A. NICOLOSO CICERI, 1959, p. 45 (ill.). Il corpo dell’oggetto è nettamente articolato in due parti contrassegnate da un’accentuata gola e da un profilo modanato. La cornice mistilinea che caratterizza il manufatto è articolata su motivi lineari e su volute che si chiudono nelle due alette laterali a foggia vegetale. Una semplice ghirlanda di foglie decora la parte superiore, mentre in quella inferiore si nota un elemento decorativo che ricorda un fiore tra alti ciuffi d’erba. La linearità della sagoma del piede, ad andamento curvilineo, si contrappone alla creatività naturalistica dell’imboccatura del portapalma intagliata a foggia floreale. L’aspetto pittorico si esaurisce in una calibrata disposizione del colore rosso per il fondo e dell’oro per le parti aggettanti, o per quelle particolarmente significative per l’armonia della forma dell’oggetto. In una pubblicazione del 1959 l’oggetto in esame venne presentato insieme all’elemento floreale che esso conteneva. Si tratta di una serie composta da sette rose lignee dorate applicate a dei gambi in ferro ricoperti da una protezione, in gesso e juta, che simula l’effetto naturale. I tre boccioli e le quattro rose fiorite formano un apparato decorativo omogeneo in cui compaiono minime varianti, riferite soprattutto alle dimensioni. Il portapalma non presenta una lavorazione a tutto tondo, di conseguenza l’ornato riguarda soltanto la parte frontale, mentre il retro non è contraddistinto da alcun elemento pregevole se non le consuete parti d’appoggio e sostegno del vaso stesso. Il foro per l’inserimento della palma trova, curiosamente, un proseguo anche sul collo. Si rileva una vistosa crepa in prossimità del decoro posto alla base del corpo e si notano alcune cadute di colore sparse sulla superficie. Per quanto riguarda le rose ornamentali lo stato di conservazione della doratura è discreto, mentre si constatano diverse fratture nella parte in gesso. Il discreto, se pur semplice, intaglio e la tipologia del decoro adottato collocano questo vaso portapalma nell’ambito di una bottega locale della metà del Settecento e lo inseriscono nel contesto di qualche piccola chiesa di provincia. Manifattura locale (carnica?), sec. XVIII - XIX Coppia di portapalme Legno scolpito, dipinto e dorato/ 27x19,4 cm (Inv. 1169); 26,5x16 cm (Inv. 1169b)/ Inv. 1169 – 1169b Coppia di portapalme in legno, con fusto modanato a sezione semicircolare e corpo ovoidale, poggianti su uno zoccolo ligneo. Il piede è ornato con delle palmette che vengono riproposte anche superiormente costituendo così l’unico decoro della semplice anfora, il cui stretto collo porta alla piccola imboccatura orlata da motivi a ovulo. Un tocco particolarmente raffinato è dato dalle due alette laterali a foglia che abbelliscono il manufatto, arricchendolo di nuovi elementi dorati che vanno ad aggiungersi alle altre decorazioni e rendono prezioso il semplice fondo bianco. Le sporgenze decorative non appartengono al medesimo intaglio del vaso, ma sono ad esso applicate mediante un sistema ad incastro. Sul retro degli oggetti si nota un rinforzo in legno posto come sostegno alla struttura che è stata intagliata, anche in questo caso, soltanto nella parte frontale. Si rileva altresì un taglio netto nelle anse floreali di uno dei vasi (Inv. 1169b), mentre l’altro (Inv. 1169) mostra una profonda fessura che corre lungo tutta la superficie, dall’imboccatura fino al piede. Diverse e sparse cadute della cromia sono presenti su entrambi, anche se tali difetti interessano in modo particolare la superficie di uno dei portapalme (Inv. 1169). Nell’altro (Inv. 1169b) si può chiaramente constatare l’instabilità di una delle due alette la cui coesione col resto del manufatto sta iniziando a vacillare. La pulizia dell’intaglio e la semplicità dei decori inseriscono questa coppia nel contesto locale, probabilmente carnico, tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento. Manifattura italiana?, sec. XVIII - XIX Portapalma Legno scolpito e dorato/ 37x27 cm/ Inv. 1265 Su un basamento a forma di parallelepipedo è collocato questo portapalma mutilo alle estremità, ma le cui forme sono ugualmente comprensibili grazie alle parti rimaste. Da queste si intuisce che il piede, con orlo decorato da una serie di ovuli e collo segnato da alcune scanalature, era in origine a base semicircolare. Un semplice anello introduce a un raffinato rigoglio baccellato dal quale si sviluppa la sinuosa sagoma del portapalme le cui alette formano un tutt’uno col corpo divenendo, con le loro essenziali volute, parte integrante della spalla e del collo del vaso. Ai lati si notano due eleganti foglie d’acanto che si aprono verso il centro dove è collocato un ovale. Questo decoro ovoidale è impreziosito da una cornice mistilinea che termina con dei motivi fitomorfi i quali, nella parte inferiore, lo collegano al rigoglio baccellato, mentre in quella superiore lo inseriscono nell’ornato del collo. Quest’ultimo presenta delle profonde scanalature che confluiscono in un’imboccatura che, con ogni probabilità, riproduceva una linea ondulata simile a quella che possiamo osservare in altri esemplari della collezione Ciceri (Inv. 174, 174b, 1337). Il portapalme, non essendo scolpito a tutto tondo, presenta il fine intaglio solo nella parte frontale, mentre sul retro è visibile la semplice asta d’appoggio alla cui sommità è posto il foro per l’inserimento della palma. La parte frontale dell’oggetto, in prossimità dell’ovato centrale, è contrassegnata da una vistosa crepa. L’ovulo è poi caratterizzato da un’estesa caduta della doratura che lascia ben visibile la superficie neutra del legno. Il medesimo danno, accompagnato da sparsi segni di tarlatura, interessa altre parti del manufatto. Da rilevare la particolarità dell’alzato del basamento che si diversifica dal resto del portapalme per la scelta del colore, identificabile in un granata metalizzato. La sinuosità delle forme e la presenza di elementi decorativi di gusto settecentesco propongono una datazione tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo. Manifattura locale, sec. XVIII-XIX Coppia di vasi portapalme Legno scolpito, dorato e dipinto/ 48x28 cm (Inv. 1335); 47,5x28,5 cm (Inv. 1335b)/ Inv. 1335, 1335b Su uno zoccolo modanato, decorato con un’incisione a linee spezzate intrecciate, si ergono queste particolari portapalme dalla caratteristica forma a croce. La base di quest’ultima è risolta, come del resto l’intera struttura del manufatto, con una linea rotondeggiante che ne definisce i contorni e, allo stesso tempo, contraddistingue anche l’ornato, in gran parte costituito da motivi vegetali, in cui mancano, infatti, forme acuminate. Esse caratterizzano, invece, i petali del calice floreale, posto sul fusto del portapalme, da cui germoglia un elemento circolare che diviene il fulcro di una serie di foglie che, aprendosi verso l’esterno, suggeriscono i bracci di una croce. Tale forma è poi enfatizzata dalle terminazioni costituite da fiori multicolori attorniati da foglie, che con la loro sagoma completano visivamente le traverse della croce. La parte apicale del portapalme è risolta con un decoro affine a quello che adorna il corpo del manufatto. Sulla sommità del fusto si nota, poi, il tipico foro utile per l’inserimento dell’asta della palma. Le parti dorate si alternano gradevolmente agli elementi floreali dipinti con colori dai singolari riflessi metallizzati, che consentono di confrontarli con gli analoghi soggetti presenti in una palma della collezione Ciceri (Inv. 1261b). Del tutto simile nella lavorazione ad intaglio e nella scelta cromatica delle singole parti, questa coppia di vase à palmes presenta delle affinità anche per quanto riguarda lo stato conservativo. Le fratture che interessano la superficie degli oggetti sono, infatti, poste nei medesimi punti: una profonda fenditura, situata nella parte mediana del corpo, pone in serio pericolo la stabilità del portapalme (Inv. 1335) e segna, rovinandone le forme, il portapalme (Inv. 1335b). Analoghe crepe le riscontriamo anche nella parte inferiore dei due manufatti uno dei quali (Inv. 1335b) si contraddistingue per un pezzo mancante nella decorazione apicale del fusto. La peculiarità di questi portapalme li inserisce in una bottega probabilmente importante considerando le rifiniture risolte con completa fedeltà tanto da creare una coppia del tutto simile, una similitudine che si è rivelata tale anche negli aspetti conservativi. Alla luce delle affinità emerse dal confronto con analoghi oggetti della raccolta Ciceri, si può collocare questa coppia di vasi portapalme tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX. Manifattura locale, sec. XIX Coppia di vasi portapalme Legno scolpito, dipinto e dorato/ 32x15,5 cm. (entrambi)/Inv. 177; 177b Coppia di guarnizione per vasi portapalme Ferro dipinto/48,8x24 cm. (Inv. 177c); 50x22,5 cm. (Inv. 177d)/Inv. 177c; 177d Queste portapalme (Inv. 177; 177b) sono caratterizzate dalla tipica forma ad anfora biansata che ricalca la foggia dei più comuni vasi d’altare. Il piede a base circolare presenta un orlo privo di decori, e un collo baccellato e ornato alternando il bianco all’oro. Un motivo vegetale dorato, di gusto prettamente neoclassico, raccorda l’accentuata strozzatura del piede con il pronunciato rigoglio baccellato. Il collo si apre verso l’ampia imboccatura quasi fosse un fiore appena sbocciato. Le portapalme, infine, poggiano su un basamento quadrato che forma un tutt’uno con la struttura e permette di sopraelevare i vasi. La gradevole alternanza del bianco, del rosso (posto come fondo) e dell’oro garantisce un effetto di assoluta eleganza e sobrietà, pur mantenendo salvi i dovuti elementi che rendono questa coppia di vasi portapalme un apparato decorativo degno delle grandi celebrazioni. L’aspetto conservativo del manufatto è piuttosto buono e si rilevano solo alcune cadute della doratura. Nella parte superiore è ben visibile il foro che serviva per l’introduzione della palma. Le palme in ferro (Inv. 177c; 177d), leggermente curvato, sono dipinte con un decoro comprendente rose, peonie, dalie, margherite, fiordalisi e zinnie. Il taglio a forbice del bordo esterno propone la sagoma delle foglie che incorniciano il mazzo floreale. I fiori sono collocati in modo schematico, ricalcando una simmetricità e una linearità che evidenziano un ordine che manca nelle altre palme della collezione Ciceri. Una diffusa patina di ossido di ferro copre tutta la superficie dell’oggetto e si rilevano alcune cadute di colore. La coppia (Inv. 177c; 177d) in fase di inventariazione è stata affiancata ai vasi portapalme (Inv. 177; 177b). Un’analisi del manufatto ha portato a considerare tale abbinamento non del tutto opportuno, tuttavia, non potendo stabilire con certezza in quale fase del loro utilizzo (sia esso liturgico che privato) tali elementi siano stati messi in relazione, si terrà valido l’accostamento col quale sono pervenuti in museo. Manifattura locale, sec. XIX Coppia di vasi portapalme Legno scolpito, laccato e dorato/ 16,5x13Ø cm (entrambi)/ Inv. 980; 980b Questi vasi portapalme possono essere considerati tra i più piccoli esemplari della collezione Ciceri. La forma ad anfora è contraddistinta da un elegante rigoglio ornato da un decoro a festone dorato, che impreziosisce la parte centrale del vaso e le estremità delle due essenziali anse laterali, poggiandosi su di esse e scendendo lungo i fianchi dell’anfora. Un intaglio piuttosto semplice caratterizza invece il piede, a base circolare con orlo modanato, e il collo ornato con cinque semplici cavità e terminante in una imboccatura circolare orlata con un motivo decorativo. I vasi sono ricoperti da uno strato di lacca color bruno, graffiata in alcune parti così da evidenziare il fondo rossiccio e creare un effetto antichizzante. Tali accorgimenti non sono riproposti sul retro in cui, invece, è stata adottata una stesura in smalto bianco. Queste accortezze nella decorazione suggeriscono il verso corretto del vaso che, come di consueto, non era concepito per essere visibile a tutto tondo. I due manufatti sono contrassegnati da alcuni segni di tarlatura (Inv. 980 in particolare), accompagnati da cadute della cromia sull’ansa destra del vaso (Inv. 908) e sul verso del portapalma (Inv. 980b) il cui decoro a festone è segnato da una evidente fessura. Le dimensioni piuttosto esigue di questa coppia di vase à palmes portano a supporre una loro originale collocazione entro una cappella privata o nel contesto di qualche piccola chiesa di campagna. L’intaglio essenziale e la semplice foggia inseriscono questi oggetti nell’ambito delle botteghe locali della metà del XIX secolo. Manifattura locale, sec. XIX Coppia di vasi d’altare Ottone/ 17,4x9Ø (base) cm (entrambi)/ Inv. 1163; 1163b Iscrizioni: “B ^ V” Coppia di vasi d’altare Ottone/ 17x9,3 Ø (base) cm (Inv. 1164); 16,7x9,1 Ø (base)cm. (Inv. 1164b)/ Inv. 1164-1164b Coppia di vasi d’altare Peltro/ 15x8,9 Ø (base) cm (Inv. 1178); 14,8x8,9 Ø (base)cm (Inv. 1178b)/ Inv. 1178-1178b Questi portafiori d’altare si differenziano per il materiale utilizzato e per alcuni particolari decorativi che li caratterizzano. I quattro vasi in ottone sono costituiti da un piede modanato a sezione circolare e da un corpo sagomato che termina in una larga imboccatura. Li accomuna, inoltre, una semplice incisione che sottolinea la sagoma di questi oggetti. La coppia (Inv. 1163-1163b) si distingue, invece, per la presenza, nella parte inferiore del corpo, del monogramma “B^V”. La struttura dei vasi in peltro è nel complesso piuttosto simile a quella degli ottoni, ma differisce per l’estrema essenzialità delle forme. In alcune parti dei vasi in ottone si notano segni di ossido di ferro, mentre per la coppia in peltro si riscontrano delle significative ammaccature e fratture. Questi contenitori, che venivano utilizzati per disporre i fiori a guarnizione dell’altare, trovano una generica collocazione entro l’apparato ornamentale ecclesiastico. La presenza, però, del monogramma mariano in una delle coppie in ottone permette di inserirla nel contesto di un altare dedicato alla Vergine. Manifattura locale, sec. XIX Coppia di guarnizioni per vaso portapalma Ferro dipinto/ 53x26 cm (Inv. 1419); 58x25,6 cm (Inv. 1419b)/ Inv. 1419; 1419b Coppia di palme in ferro la cui superficie è dipinta con dei fiori dove si possono riconoscere rose, dalie, peonie e alcune margherite. Il tutto è disposto in modo da accentuare la curvatura dell’oggetto messa in risalto ponendo in primo piano i fiori dalle dimensioni maggiori e poi, via via, quelli di grandezza minore. La zigrinatura del bordo delle due palme simula le foglie poste a contorno dell’omaggio floreale. La superficie pittorica si presenta in buono stato di conservazione, mentre il supporto è rivestito, soprattutto nella parte non dipinta, da un considerevole strato di ossido di ferro. Questi oggetti rappresentano la parte fondamentale dei vasi portapalme di cui diventano la principale guarnizione. Alla ricchezza dei vase à palmes si aggiungevano dunque questi decori che adornavano gli altari coi loro raffinati fiori. Manifattura locale?, sec. XIX Portapalme Guarnizione per vaso portapalma Legno scolpito, dorato e dipinto/ 29,5x25 cm (Inv. 1261); 46x26 cm (Inv. 1261b)/ Inv. 1261; 1261b Caratteristico portapalma (Inv. 1261) delineato da due volute che gli conferiscono un aspetto che può essere facilmente confrontabile con quello tipico della lira. Il particolare intaglio “a giorno”, inoltre, non fa altro che avvalorare questo rimando visivo. Vero fulcro della decorazione, le due volute sono impreziosite da altrettante rose dorate poste nella parte inferiore, mentre dal ricciolo superiore discendono dei motivi a grappolo che verranno poi ripresi anche nell’intaglio della palma. Dal punto di giunzione delle due volute sorge un elegante motivo a giglio, da cui germoglia lo stelo centrale del portapalme caratterizzato da un’imboccatura a calice sulla cui sommità si nota il consueto foro per l’asta della palma. La particolare forma a lira di questo portapalme e la gradevole alternanza del colore blu alla doratura autorizzano a considerarlo come uno tra gli esemplari più caratteristici della collezione Ciceri, essendo anche l’unico ad essere provvisto di una palma lignea (Inv. 1261b). Quest’ultima si distingue, infatti, dalle altre palme presenti all’interno della raccolta, proprio perché in legno intagliato e dipinto. I motivi decorativi prescelti rimangono, invece, pressoché invariati: fiori multicolori attorniati da una fitta vegetazione costituita da curiose foglie dalla forma tradizionale, ma dalla cromia alquanto fantasiosa. Lo stato di conservazione dei manufatti è, nel complesso, abbastanza buono; si evidenziano sparsi segni di tarlatura e una lesione nello spigolo destro del portapalme il cui retro è inoltre interessato da alcune cadute della cromia. Da segnalare la presenza di un gancio metallico posto sul dorso della palma che, considerando il notevole peso dell’oggetto, aveva probabilmente la funzione di sostegno. Il sobrio, ma raffinato intaglio e l’accurata doratura collocano questo portapalme all’interno di una colta bottega locale del XIX secolo. Manifattura locale, sec. XIX – XX Coppia di vasi portapalme Legno scolpito e dorato/19,4x6,6Øx9,6 (base) cm./Inv. 178; 178b Coppia di guarnizioni per vaso portapalma Ferro dipinto/35x15,2 cm. (Inv.178c); 33,8x16 cm.(Inv. 178d)/Inv. 178c – d Coppia di portapalme in legno dorato, poggianti su un basamento anch’esso ricoperto interamente dalla doratura. Il piede, a base circolare e collo stretto, sostiene il vaso caratterizzato dalla forma ad anfora semplice impreziosita da un rigoglio baccellato terminante in una singolare goccia appuntita, che contraddistingue questa coppia di vasi e li differenzia dagli altri della collezione Ciceri. L’imboccatura a disco presenta sulla sommità il foro per la collocazione delle palme in ferro (Inv. 178c – 178d), le quali sono caratterizzate da un orlo sagomato la cui zigrinatura suggerisce la forma delle foglie poste a contorno del decoro floreale. Quest’ultimo è composto da fiori multicolori in cui si distinguono i classici elementi che compaiono negli analoghi apparati della collezione. La doratura dei portapalme è in precario stato conservativo, con significative cadute dello strato di foglia d’oro che lasciano così visibile la superficie lignea neutra. Il retro dei vasi è risolto con un approssimativo strato a tempera di colore ocra. Le palme sono segnate da evidenti cadute della policromia e da una patina uniforme di ossido di ferro che ricopre interamente il verso dell’oggetto. La tipologia del legno, la lavorazione al tornio e l’aspetto industriale della rifiniture fanno propendere per una collocazione cronologica tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX. Reliquiari Schede a cura di Claudio Moretti Nella collezione sono ospitati un gruppo cospicuo di reliquiari di probabile provenienza friulana, databili al XVIIIXIX secolo: si tratta di custodie di legno o metallo per lo più di modesta fattura destinate a conservare resti del corpo o oggetti appartenenti ai Santi della Chiesa. Le tipologie formali riflettono categorie correnti quali reliquiari a ostensorio, a capsula, a tabella e a vista, particolarmente atti all’esposizione e alla devozione dei fedeli, che nella venerazione delle reliquie oltre a un esempio di edificazione attraverso la conoscenza della martirologia vedono una forma di intercessione nel favore divino. Il culto delle reliquie si diffonde già dai primi secoli del cristianesimo per onorare la Passione del Salvatore, il nome della Vergine, dei martiri e accrescerne la devozione. Il culto delle anime sante prosegue lumgo i secoli diffondendosi a macchia d’olio nella consapevolezza popolare che “il contatto” con i sacri resti costituisce una forma di salvezza in quanto Dio “opera” per mezzo di essi. I contenitori si differenziano: oltre agli altari sulle tombe, sui sepolcri e sui luoghi sacri, alle teche da conservare nelle mense o da esporre nei mausolei, ai vasi, si aggiungono i reliquiari antropomorfi “topici” o “parlanti” che nella forma rammentano le caratteristiche dei resti conservati e maggiormente si prestano alla spiritualità medievale. Anche la manifattura, sempre più prerogativa di borreghe orafe, si raffina e diventa pregevole per i materiali ricercati e preziosi e l’alta qualità artistica. Le forme si diversificano notevolmente, dagli incolpi cruciformi da indossare sul petto e sulla persona alle forme composite architettoniche e monumentali da portare anche in processione. La diffusione dei reliquari è tale – soprattutto nell’età barocca particolarmente attenta alla sfarzo e alla magniloquenza – che altari e intere cappelle all’interno delle chiese sono dedicate all’esposizione delle reliquie (esemplare è la cappella della Vergine del Santuario della madonna delle Grazie a Udine). Ma possedere reliquie anche in ambito domestico costituisce onore, segno di ricchezza e censo per diverse famiglie notevoli che nelle proprie dimore dedicano spazi privilegiati alla conservazione e all’esposizione. Non si conosce la provenienza dei reliquiari, mancando testimonianze dei carteggi o documentazione allegata ai manufatti. Alcuni recano un sigillo vescovile, come l’esemplare dedicato a S. Aniano martire, che reca impresso il segno di Gian Girolamo Gradenigo. Reliquiario a croce Sec. XVIII/ Legno intagliato/ 29,3x10,9 cm/ Inv. 31 Bibliografia: CICERI 1980, p. 9; Segni della devozione 2005, p. 85 Elegantemente intagliato, il reliquiario presenta sul recto Cristo in croce fra l’Addolorata (inferiormente) e Dio Padre (alla sommità); sul verso i simboli della Passione. All’interno dell’alloggiamento, papirole dorate e con pietrine rosse circondano piccoli frammenti di reliquie con cartigli che fanno riferimento a S. Giusto, S. Giovanni, S. Fruttuoso vescovo spagnolo martire del III secolo, S. Giocondo vescovo di Aosta, VI secolo, SS. Orsola e Flora. Crocifisso reliquiario ligneo Legno/ 25x8 cm./ Inv. 709 Esposizioni: Udine 2005 Copia di dimensioni minori del crocifisso n. 31. Le figure appaiono tuttavia più stilizzate e spigolose. Manca tutto il coperchio che chiudeva la teca porta reliquie della croce e il contenuto. Reliquiario a ostensorio, sec. XVIII/ Peltro/ 17,3x7,5 cm./ Inv. 32 Su una base polilobata sbalzata a volute, il fusto a balaustra regge la teca raccolta entro una ricca mostra. Doppia voluta festonate e traforate, arricchite da elementi fitomorfi sono raccordate dalle figure di sue santi vescovi ai lati. Alla sommità due angeli di profilo reggono la corona poggiante su una scena della Crocifissione con pie donne. Entro la teca è conservata una medaglietta con cristogramma, mentre quattro pietre sono incastonate nella decorazione Coppia di Reliquiari a ostensorio Sec. XVIII/ Legno itagliato e dorato/ 37x 6 cm./ Inv. 176 Un susseguirsi di volute contrapposte profila l’intelaiatura del reliquiario, fungono da basamento, articolano il nodo del fusto e incorniciano il ricettacolo vuoto a luce ovale. Reliquiario a ostensorio Sec. XVIII/ Legno intagliato policromo/ 32,5x base 12,2x8,1 cm/ Inv. 260 Su un basamento circolare a baccellature il fusto presenta due nodi, il primo ovale con cornice a petali, il secondo a conchiglia. Il ricettacolo è sottolineato da una profilatura ovale a perle mentre la mostra termina alla sommità con un motivo a palmetta desinente a rami fogliacei e sormontato da una croce. Reliquiario a ostensorio Sec. XVIII/ Legno intagliato, dorato e dipinto/ Inv. 1262 Una decorazione baroccheggiante a volute, foglie d’acanto, gigli, palmette e corelle arricchisce il profilo del reliquiario che poggia su uno zoccolo. La cornice del ricettacolo è mistilinea. Al verso si scorgono frammenti di quattro sigilli a ceralacca rossa con impressi degli stemmi vescovili ora illeggibili. Reliquiario a foglia Legno/ 13x8,8 cm/ Inv. 36, 712 Bibliografia: CICERI 1980, fig. 33, p.X 96, sch. 18; Segni della devozione 2005, p. 85 (Inv. 712) Esposizioni: Pordenone 1980; Udine 2005 A forma di foglia, la teca centrale presenta reliquie con nastri in cui a penna sono riportati i nomi “Cosimo, Lucilla, Costan” al recto e al verso “Cosimo, Geudenr.., Dogna”; altre 14 teche lungo il bordo contengono cartigli esplicativi, oramai illeggibili. Il secondo presenta una stampina oramai raffigurante il Sacro Cuore ed alcune scritte devozionali relative ad un’indulgenza promulgata da papa Pio IX il 14 luglio 1877. Intorno una corona di 13 teche piccole, circolari con sfondo rosso, contenenti delle reliquie e piccoli cartigli esplicativi. Reliquiario a tabella Sec. XVIII/ Legno intagliato e dipinto/ 25 ca x17cm/ Inv. 59 Su un basamento che assume le sembianze di un altare profilato da volute, poggia la mostra a guisa di tabernacolo con cimasa dove volute ed elementi fogliacei si dipartono da una palmetta centrale. La teca contiene un astuccio a croce circondato da decorazioni con fili d’oro, canutiglie, fiori di carta policroma e cartigli recanti i nomi di S. Constanza, S. Laurenty, S. Polixena e S…inatus martiri. Reliquiario a tabella Sec. XVIII/ Carta, gesso e vetro/ 8,6x8,4 x prof. 1,8 cm./ Inv. 69 Entro la teca con una cornice ornata da corolle alternate a campanule, al centro, profilato da decoro in lamina metallica (rame?) figura il volto virginale di profilo, con una scritta ormai illeggibile. Ai lati cartigli con i nomi dei SS. Julien, Costantii, Primo e Feliciano, questi due ultimi venerati in Carinzia (si veda la chiesa ad essi intitolati presso il paese di Maria Wörth). Negli angoli la lamina è lavorata a formare quattro gigli, raccordati da una cornice quadrata che presenta lungo i lati una foglia di vite. Reliquiario a tabella Sec. XVIII/ Legno, gesso carta e vetro/ 19,7x15 cm/ Inv. 81 Iscrizioni: MTER .SO..PR Reliquiario con raffigurazione in tondo a bassorilievo, in gesso, della Madonna; la scritta che incornicia il profilo è quasi illeggibile. Intorno 5 reliquie dei SS.Clemente, Prospero, Onesto martire di Nimes, Vittoria e Secondo patrono di Asti, conservate in rettangoli rivestiti di tessuto a nastrino azzurro e argento. Il fondo è dipinto in rosso scuro. Diffusa decorazione a nastri e canutiglie argentate. L’oggetto è protetto da vetro e da una graziosa cornice lignea dipinta di verde con decorazione a fiori chiari. Vetro di protezione. Reliquiario a tabella Sec. XVIII/ Tessuto, carta, pergamena e cera/ 32 x 22 cm./ Inv. 118 Iscrizioni: SANCTA MARIA LAVRETANA ORA PRO NOB CLEM ✱ IX ✱ PONT ✱M ✱ Esposizioni: Pordenone 1980. Bibliografia: Ciceri L., 1980, p.X 95, sch. 15. Su un supporto rivestito da passamaneria a fili dorati al centro figura l’ovale in cera con l’effige della madonna lauretana raccolta entro una ricca cornice argentata e filigranata con fiori e pietre. Le reliquie recano cartigli esplicativi: “SS. Perpetua, Giustina, Candida martiri e S. Epigmenio (Pimenio) martire di Roma”. Reliquiario a tabella con capsule Sec. XVIII/ Legno/ 31x21,6x2,8cm./ Inv. 151 Esposizioni: Pordenone 1980. Bibliografia: CICERI 1980, p. 95 Entro una struttura lignea poligonale a forma di edicola, sono stati inseriti due reliquiari a capsula. L’inferiore, di maggiori dimensioni, è sormontato da un decoro mistilineo con mascherone e appicagnolo e presenta alloggiamenti con cartigli esplicativi dedicati a “S.Anna madre della Vergine, S.Antonio da Padova, S.Marina, S.Domenico, S.Vincenzo, S.Teodoro, S. Humiliati?, S.Peregrino, S.Prudente, S. Filippo Neri, S.Felice”. Il secondo reca i seguenti riferimenti “S.Ignazio di Loyola, S. Giuseppe, un brano della Veste di Maria, S.Filippo Neri, S.Gaetano da Thiene, e un frammento dalla colonna della flagellazione di Cristo”. Coppia di reliquiari a tabella su fusto Sec. XVIII/ Legno scolpito e dorato/ h 63,5 cm. x ø base 13 cm./ Inv. 219 Coppia di reliquiari a tabella su fusto scolpito a motivi vegetali, alla base due orecchie a forma di foglia. La teca a forma rettangolare è decorata a motivi vegetali come il cimiero alla sommità. Il ricettacolo per le reliquie appare vuoto e privo anche dell’asse del dorso. Tracce di verniciatura verde nell’interno del ricettacolo. Reliquiario a tabella Sec. XIX/ Legno/ 8x 9,9 cm/ Inv. 409 Tavoletta lignea sulla quale è stato incollato successivamente un cartoncino color bordeaux. Sovrastante, entro una cornicetta mistilinea dorata, una reliquia coperta da frammenti di tessuti di vario genere, con piccolo cartiglio recante la scritta:"PETRUS". Stipetto portareliquie Sec. XVIII/ Legno dorato e dipinto/ 33,3x24,4x3,5 cm/ Inv. 407-408 Iscrizioni: (nel ricettacolo entro il rosone) …Ligno Sup. quo apparuit BVM (inv. 407) Gli stipi, in coppia, sono suddivisi in cellette che contengono calici e coppe coperte con cartigli esplicativi. Nel primo sono annotati i SS. Simone apostolo, Clemente martire, Claudio, Alessio, Canziano, Prospero martire, Liberale, Camillo de Lellis, Cirillo martire, Desiderio martire di Genova e Langres, Bernardo abate, Eugenio martire, Vittoriano martire patrono di Adelfia, Giorgio, Innocenzo martire, Paolo eremita, Pacifico. Nel secondo, i SS. Agata Vergine martire, Stefano Presbitero, Severino martire, Valerio martire, Veneranda Parasceve vergine martire, Lelia martire irlandese detta anche Lidania, Ciriaco martire, Aurelio martire, Orsola, Anastasia martire, Ludovico c. (Ludovico re crociato?), Pietro, Luca evangelista, Fabiano martire e papa, Marcello, Cosma e Damiano,Gaudenzio, Gregorio Nas. (Gregorio di Nissa?), Trifonio monaco, Vittoria martire. Reliquiario a cofanetto, 1831 Stagno/ 3x6,4x 6,3cm./ Inv. 64 Una scatolina contiene reliquie entro sacchettini di raso azzurro e tre frammenti di ambra. Un bigliettino allegato, scritto in latino, ricorda, ad un anno di distanza, la consacrazione da parte del vescovo Emanuele Lodi (17 luglio del 1831) della chiesa della Beata Vergine delle Grazie e di un altare, che conservava il presente reliquiario. Le reliquie apparterebbero ai santissimi martiri Deodato, Basileo e Urbano. Frammenti di un sigillo di ceralacca sul coperchio. Reliquiario a cofanetto Sec. XVII/Legno intarsiato/ 2,5 x10 x 5,2 cm./ Inv. 66 Il coperchio del cofanetto presenta inserti con decorazioni geometriche e floreali in madreperla e al centro un disco ad alloggiamento. L’interno è suddiviso in 17 scomparti contenenti le reliquie, costituite la maggior parte da sassolini e piccoli frammenti lignei. Come illustra il cartiglio esplicativo i cimeli provengono dai luoghi del martirio di Cristo, dal sepolcro di Lazzaro, dalla lapide di Maria di Bethania, dalla casa di S. Giuseppe, dal luogo del martirio di S. Stefano, dal Sacro monte di Sion e dalla piscina probatica. Reliquiario a capsula Sec. XVIII/ Litografia acquerellata, legno/ 8,8 x 7,3 cm./ Inv. 70 La capsula in legno policromo presenta una stampina raffigurante san Antonio che regge nella sinistra un ostensorio e nella destra sopra il libro delle scritture il santo Bambino. Sul verso 6 frammenti di reliquie accompagnate da 5 cartigli dorati indicanti rispettivamente R.Santor, SS. Mart., SS.Vergine e L’Agnus Dei. Le reliquie sono collocate entro dei nastri rossi su un tessuto di fondo dorato. Reliquiario a capsula Sec. XVIII/ Cartone, vetro/ 8x 6,3cm/ Inv. 76 Bibliografia: Religiosità popolare in Friuli, 1980, p. 96 Esposizioni: Pordenone 1980. La teca ovale entro cornice di canutiglie e nastri dorati, presenta una suddivisione polilobata. Figurano otto frammenti di reliquie, con altrettanti cartigli indicativi, di cui si riconoscono i nomi di S. Valentino, S. Costante, S. Barbara, S. Celestino. Reliquiario a capsula Sec. XVIII/ Litografia acquarellata sottovetro, cartone e vetro/ 9x7,8 cm/ Inv. 77, 79 Bibliografia: Segni della devozione 2005 (inv. 79) Esposizioni: Udine 2005 (inv. 79) Le teche ovali contengono due stampine raffiguranti rispettivamente un Gesù adolescente a mezzo busto e il volto della Vergine. Intorno, cartigli esplicativi con riferimento ai SS. Pantaleone, Felice e Marco (nella prima) ed Eustachio, Valentino, Felice, Marco e Pantaleone (nella seconda). Reliquiario a capsula, sec. XVIII-XIX Bronzo/ 2,8 x 2,3cm./ Inv. 100 Argento/ 2,5 x 2 cm./ Inv. 101 Iscrizioni: “EX OSS JOS.CAL". Argento/ ø 2,5 cm./ Inv. 102 Iscrizioni: "EX OSSIBUS S.JULIAE V.M." Peltro/ 3x2,5 cm./ Inv. 103 Peltro/ 3,3 x 2,3cm./ Inv. 104 Metallo/ 3,3 x 3 cm./ Inv. 105 Argento/ 5,8 x 3,5cm./ Inv. 106 Ottone/ 5,8 x 5 cm./ Inv. 107 Metallo/ 6 x 4,8 cm./Inv. 121 Legno/ 15, 8 x 11cm./ Inv. 1193 Vetro, argento, raso/ h.2,5 cm./ Inv. 1361 Bibliografia: CICERI1980, sch. 21. Esposizioni: Pordenone 1980. La serie di reliquiari si presenta nella forma di piccoli medaglioni circolari od ovali con appiccagnolo entro montatura variamente lavorata; forse destinati al culto privato potevano anche essere appesi al collo. Le reliquie, entro la teca rivestita di tessuto, portano cartigli che, quando leggibili, recano riferimenti a “S. Teresa V”, “santa Giulia vergine martire”, “SS. Filippo, Andrea, Francesco”, “SS. Fabiano e Sebastiano”, “SS. Ermacora e Fortunato”, “SS. Giovanni apostolo ed evangelista e Sant’Ermacora”, Santa Eufemia martire aquileiese e un frammento del velo di Maria, “S. Cristoforo”. Nell’esemplare n. 107, sul dorso un sigillo rosso con impresso un galero (cappello cardinalizio) e uno stemma, tripartito da una fascia curva che occupa orizzontalmente il terzo di mezzo dello scudo riconducibile a Pietro Antonio Zorzi vescovo. Reliquiario a capsula Sec. XIX/ Bronzo sbalzato/ 6x4,8 cm. ca / Inv. 713 Esposizioni : Ori e Rituali, Udine, 2008 Medaglione di forma ovale, a due valve; sul verso il monogramma di Maria, con sottostante la raffigurazione del cuore addolorato trafitto, sul recto il cristogramma. L’interno è vuoto. Reliquia di S.Aniano martire Sec. XVIII/ Carta e gesso/ h 16 cm/ Inv. 82 Bibliografia: CICERI 1980, sch. 23. Esposizioni: Pordenone 1980. Reliquia (un frammento osseo?) di S.Aniano diacono martirizzato ad Antiochia assieme a Sant’Eustosio e al vescovo Demetrio nel 260 d.C. , entro contenitore tubulare in gesso. Il contenitore è parzialmente ricoperto da una stoffa in lino chiaro, annesso vi è un cartiglio con scritta esplicativa. Decorazione con fiori rosa e bianchi di carta. Vi è inoltre il sigillo vescovile in ceralacca con impresso uno stemma curvilineo bipartito parzialmente leggibile: sulla sommità una croce a doppi bracci sormontato da un galero; a sinistra sopra tre sfere una croce di Lorena, a destra una fascia sormontata da 5 sfere semiovali. Si tratta dello stemma del vescovo Gian Girolamo Gradenigo che costituisce quindi un prezioso termine cronologico per la datazione dell’oggetto. Reliquiario Sec. XVIII/ Litografia, metallo, cera/ 17,6x14,6 cm/ Inv. 109 Esposizioni: Pordenone 1980. Bibliografia: CICERI 1980, sch. 21. Sul recto sopra una carta decorata a fiori rosa un santino raffigurante Sant’Antonio da Padova. Sul verso delle reliquie con cartigli esplicativi di San Salvatore, Santa Agata e San Donato. Ai quattro angoli delle piastrine di cera impresse; nella parte superiore raffiguranti due profili maschili, nell’inferiore di destra si riconosce un monogramma di Maria, il sinistro è illeggibile. Al centro nella parte superiore una croce di Lorena in stagno, circondata da cartigli: CERA PAPAL RELIQIAE SS.…B.V. M.. In basso a sinistra si riconosce un pezzo di cera trafitto da una lancia di Longino in lega metallica malleabile. Reliquiario a fiala Sec. XVIII/ Vetro e ottone/ 21,5x6,5 cm./ Inv. 1011, 1013 Iscrizioni: Ex Palio S. Ioseph; Ex Subucula B.M.V.” Reliquiario a cilindro verticale con all’interno del ricettacolo capsule rispettivamente con un frammento del mantello di S. Giuseppe e della tunica (la subucula) della Vergine, come indicato dal cartiglio. Il verso della capsula conserva un sigillo prelatizio ormai illeggibile. Il piede è circolare con lavorazioni a sbalzo a forma di petalo, il fusto è dotato di un nodo ad anello, la decorazione si ripete nella coppa che sostiene il ricettacolo. Ai lati, delle orecchie intagliate e lavorate a sbalzo di forma vegetale. Il coperchio a forma di campana itera il motivo a petalo e termina con un piccolo globo sormontato a sua volta da una croce. Reliquiario a fiala Sec. XIX/ Vetro/ 10,5x5 cm./ Inv. 1077 Un’ampolla di vetro decorato con un daino e motivi floreali contiene reliquie carie; i cartigli recano riferimento a: “S. Fortunata m. e Innocenzo XI papa e beato”. Reliquiario a tabella con cornicetta quadrangolare Sec. XIX/ Legno intagliato/ 7,7x6,4 cm./ Inv. 1550 Cornicetta intagliata a motivi fitomorfi. Le cattive condizioni non permettono una lettura completa dei cartigli nei 18 piccoli alloggiamenti. Si leggono (sul recto) i piccoli cartigli dei SS. Valentino, Eufemia, Aurelio martire, Cosma e (sul verso) di S. Leone. Contenitore a tabella Sec. XVIII/ Legno dorato/ 15x9,5 cm / Inv. 964 La coppia presenta una cornice mistilinea intagliata a motivi rocaille con volute, fronde a festoni e ricco cimiero. Tabella Sec. XVIII/ Legno, tessuto, fili argentati/ 17,3x13,4 cm / Inv. 715 La cornicetta a tabella lavorata con fili argentati e perline a formare una decorazione floreale presenta un ricettacolo ovale centrale. Contenitore a tabella Sec. XVIII/ Legno dorato/ 61x38 cm./ Inv. 1339 La tabella a timpano triangolare è costituita da 24 celle protette da un vetro. Lo schienale poteva essere chiuso con un lucchetto di cui rimane traccia. Intagliatore di area friulana, sec. XVIII Piccolo trono con padiglione Legno, scolpito, intagliato, dipinto e dorato/ 28x21x15 ca cm / Inv. 1227 Un tronetto con elegante cornice mistilinea a decorazioni vegetali; alla sommità un padiglione anch’esso decorato a motivi fitomorfi. Centralmente un ricettacolo rettangolare decorato all’interno con carta stampata presentante raffinati motivi floreali e vegetali. L’interno era destinato a conservare una reliquia Suppellettiliecclesiastiche Schede a cura di Antonella Ottogalli Oreficeria locale, sec. XVIII Navicella Argento sbalzato e inciso/ 14x15cm., base: Ø 7cm / Inv. 1020 L’uso di contenitori per incenso a forma di piccola nave, da cui deriva il termine comune di navicella, è attestato dai documenti inventariali già a partire dal XIII secolo. La diffusione nei secoli successivi di quest’oggetto di uso liturgico determinerà l’affermarsi di una precisa tipologia che soppianterà i più antichi recipienti per incenso a forma di coppa o di torre, noti con il nome di acerra ad indicare lo stretto legame con la ritualità pagana. La navicella della collezione Ciceri è caratterizzata da coppa a mezzaluna con coperchio a due valve incernierate al centro e terminanti con manici diversi. Questo particolare è indice di un successivo intervento, come dimostra la vistosa saldatura che determina l’inserimento del manico a riccio, profondamente diverso dalla raffinata voluta che lo fronteggia. Un semplice fusto a balaustro coniuga il corpo con il piede lavorato a sbalzo. Le superfici sono ricoperte da motivi fitomorfi incisi. Il generale buono stato di conservazione del manufatto consente di rilevarne la pregevole esecuzione sul piano decorativo. La mancanza di punzoni, però, non permette di identificare l’artefice della navicella, opera di argentiere locale della prima metà del settecento. Oreficeria locale, sec. XVIII Navicella Argento sbalzato e cesellato/ 14x14cm, base: Ø 7,9/ Inv. 1377 La navicella in esame è caratterizzata da un piede a base circolare lavorato a sbalzo, sul quale si innesta il fusto a balaustro. Il corpo a mezzaluna presenta una decorazione a motivi fitomorfi che si estendono anche sulle due valve del coperchio incernierato al centro e dotato di manici a riccio. Per la tipologia e le scelte decorative, organizzate nella parte superiore a costolature, il portaincenso della collezione Ciceri può essere messo a confronto con un analogo oggetto della Pieve Arcipretale di Santa Maria Assunta di Gemona datato fra il secondo e il quarto decennio del XVIII secolo dalla Drusin (in GANZER 1985, p. 80). Dai punzoni rinvenuti sia sul coperchio che sotto l’orlo del piede della navicella Ciceri è possibile avanzare un ipotesi attributiva dell’oggetto. Infatti vi sono incise le iniziali A.C. inframmezzate dallo stemma della città di Udine che si possono riferire all’orefice Carlo De Zorzi documentato dal 1756 al 1816 con bottega in città. Inoltre, la manifattura friulana sarebbe confermata anche dalle tracce di una seconda sigla, F:Z, affiancata alla precedente, ad indicare forse un successivo intervento. Essa potrebbe riferirsi a Francesco De Zorzi argentiere (documentato dal 1756 al 1840), detentore di un esercizio a Udine con il fratello Antonio, e depositario presso il Podestà di un proprio punzone in data 12 maggio 1812. Oreficeria locale, sec. XVIII Navicella Ottone sbalzato e inciso/ 12x15cm , base: Ø 8,4/Inv. 1378 Il corpo baccellato dotato di coperchio incernierato al centro e privo di manici si innesta su un fusto con nodo e termina con un piede a base circolare dal largo bordo liscio. Le decorazioni a volute sbalzate di gusto roccoco si sviluppano sulla modanatura del piede e sulla coppa. Complessivamente lo stato conservativo appare mediocre con i segni dei manici divelti alle estremità delle due valve. La mancanza di punzoni rende difficile indicare con precisione la provenienza della navicella che per la mediocrità del linguaggio decorativo può definirsi di manifattura modesta e provinciale. Oreficeria veneziana, sec. XVIII Turibolo Argento sbalzato e cesellato/ 25,5cm, base: Ø 9cm/ Inv. 1022 Suppellettile di uso liturgico per bruciare l’incenso ed effonderne il fumo profumato, il turibolo assunse fin dall’alto Medioevo un valore altamente simbolico grazie al potere allusivo delle singole parti che lo compongono. Così il suo corpo fu associato a quello di Cristo, le quattro catene di sospensione alle virtù cardinali, il fuoco generato dalla combustione dei grani d’incenso allo Spirito Santo e il fumo odoroso alle preghiere innalzate a Dio. Dalle forme semplici, prevalentemente a sfera dei turiboli più antichi si passò alle complesse strutture di carattere architettonico del periodo gotico per giungere alla più nota tipologia a vaso fiammeggiante del XVII secolo che perdurò nei secoli successivi con crescente attenzione per gli aspetti decorativi. Il turibolo di collezione Ciceri ha forma di vaso poggiante su base circolare decorata a motivi fitomorfi cesellati e organizzati a fasce. La coppa del braciere presenta rigonfiamenti a grossi ovuli alternati a coste e tre testine di cherubini applicate per reggere le catenelle. La cupola è lavorata a giorno ed è legata, grazie alla quarta catenella di sospensione, al cupolino dalle lunghe foglie stilizzate incise sulle superfici. L’oggetto si conserva in ottimo stato in tutte le sue parti e consente di apprezzarne la buona manifattura che si può attribuire ad argentiere di area veneta attivo nel XVIII secolo grazie anche al confronto con il turibolo del tesoro del Duomo di Gemona (Cfr. Drusin in GANZER 1985, p. 78) vicino per forma e stile all’oggetto in esame. Manifattura locale, sec. XVI Mortaio Bronzo/ 16,5xØ 20,5cm/ Inv. 1493 Iscrizioni: DEUS ILLUMINE TUO SALVANE [LA FA] DOMINE. Recipiente per frantumare i grani d’incenso simile agli analoghi utensili di uso domestico da cui si differenzia per le decorazioni di carattere sacro presenti sul corpo dell’oggetto. La coppa del mortaio in esame presenta la tradizionale forma tronco conica munita di anse a foggia di testine cherubiche. Le due facce dell’oggetto sono caratterizzate dalla presenza di medaglioni entro cui si sviluppano tematiche sacre rese con minuta precisione. Su una faccia si riconosce l’iconografia della Resurrezione di Cristo fra le figure di San Filippo e San Pietro mentre sull’altra la lettura dei soggetti si fa più complessa e la sua interpretazione è resa difficile dalle superfici consunte a causa della lunga usura: al centro, entro mandorla tripartita orizzontalmente da aeree architetture ad arco, si vedono tre scene non più leggibili, il cui contenuto sacro è suggerito dalle aureole che coronano le figure. Ai lati della zona centrale, secondo uno schema rigidamente simmetrico, vi sono due ovali con Cristogramma, lungo i bordi dei quali sopravvive parte di un’iscrizione: DEUS ILLUMINE TUO SALVANE [LA FA] DOMINE. Le scheggiature riscontrabili lungo il bordo superiore, le diffuse ossidazioni e lo stato già segnalato delle superfici, caratterizzate da rilievi e incisioni notevolmente compromessi, attestano una condizione conservativa piuttosto mediocre. Nel contempo tali indizi, unitamente all’indagine stilistica del linguaggio iconografico rilevato sull’oggetto, un linguaggio diffuso su manufatti bronzei come piccole campane oltre che mortai, suggeriscono una possibile datazione entro il secolo XVI. Oreficeria veneziana, prima metà sec. XVII Ostensorio Argento sbalzato e cesellato, ottone e vetro/ 36 cm, base: Ø 22 cm, teca: Ø 12,3 cm/ Inv. 1017 Fu in seguito al IV Concilio lateranense del 1215 che si impose l’uso dell’esposizione dell’ostia consacrata, dal quale derivò la necessità di codificare una tipologia di contenitore adatto all’ostensione. In realtà, in un primo momento ci si limitò ad adattare pissidi e soprattutto reliquiari alla nuova necessità, in quanto il corpo di Cristo veniva interpretato come sua reliquia per analogia con le reliquie dei santi. Soltanto nella prima metà del Quattrocento si definirono le forme proprie degli ostensori che vennero suddivisi in quattro categorie a seconda dell’aspetto del ricettacolo: si ricordano, infatti, ostensori a croce, a disco, a torre o con figure dalla cui evoluzione derivarono quelli a coppa, a raggiera o architettonici. Alla categoria di ostensori raggiati appartiene il manufatto di collezione Ciceri costituito da teca rotonda con lunetta, cornice incisa a motivi vegetali e raggiera a punte alternate a fiamme, culminante in una crocetta apicale dalle terminazioni trilobe. Il ricettacolo si innesta a vite nel fusto a balaustro con nodo ad oliva decorato da tre testine di cherubini. Il piede, purtroppo divelto dal gambo, è caratterizzato da frutti tondeggianti fortemente sbalzati fra disegni a cesello. La resa del nodo con teste di cherubini e la tipologia dei motivi decorativi concentrati sul piede appartengono a tanta argenteria veneziana realizzata fra Cinque e Seicento. Conferma ne viene dai due punzoni, leggibili sotto il piede assieme al bollo dell’argentiere (A.C.), che riproducono il leone “in moleca”, controllo usato dalla Zecca della Dominante dalla seconda metà del XVI secolo fino ai primi anni del XIX secolo. Oreficeria locale, prima metà sec. XX Patena Argento/ Ø 15,5 cm/ Inv. 1055 Termine latino per indicare il piatto, la patena serve per posare l’ostia durante la consacrazione. Essa assieme al calice costituisce un esplicito riferimento alle suppellettili domestiche dell’Ultima Cena. Antichissimo è il suo uso, introdotto già prima dell’adozione delle ostie piccole e sottili (sec. X-XI) in luogo del pane del sacrificio che necessitava di patene evidentemente di grande dimensione e spesso dotate di anse o manici. Il materiale con cui venivano realizzate era per lo più lo stesso del calice che le si accompagnava e quindi si prediligevano metalli come l’oro o l’argento. La patena Ciceri è di foggia particolarmente semplice e del tutto priva di decorazioni: di dimensioni piuttosto contenute, essa ha forma circolare ed è dotata di bordo rialzato. Ai piedi del bordo si può notare il piccolo e illeggibile punzone di bottega accanto a quello di titolo (800), il cui obbligo fu introdotto per legge nel 1934 rimanendo in vigore fino al 1968. Manifattura locale, sec. XIX Stampo per ostie Ferro battuto/ 68,5cm./Inv. 880 Ferro battuto/ 78cm./Inv. 1660 Ferro battuto/ 74cm./Inv. 1661 Ferro battuto/ 80cm./Inv. 1671 Ferro battuto/ 74cm./Inv. 1676 La diffusione degli stampi per ostie in ferro battuto è attestata a partire dal XIII secolo soppiantando analoghi strumenti realizzati dapprima in legno e poi, in epoca medievale, in terracotta, pietra e bronzo. Essi presentano due piatti uniti mediante cerniera con le forme delle ostie (di norma due di grande formato inframmezzate da due o quattro impronte per quelle più piccole) incise su una sola faccia. Gli stampi sono poi dotati di lunghi bracci necessari per la cottura sul fuoco. All’inizio del secolo scorso la produzione meccanizzata delle ostie ha condotto al loro graduale abbandono. I cinque esemplari conservati in collezione presentano le stesse caratteristiche strutturali con meccanismo a pinza e lo stesso materiale di realizzazione, il ferro battuto, che inevitabilmente mostra zone intaccate da ossidazione, fenomeno particolarmente vistoso sul n. 880. Sui piatti per lo stampaggio delle ostie si contano da tre a cinque imprimiture di due dimensioni. Esse sono accomunate dal ripetersi delle stesse figurazioni sacre: compare costantemente il cristogramma al quale spesso si affianca la scena della crocifissione, con cura miniaturistica per il dettaglio, e l’immagine del Christus Passus. Alcune delle imprimiture sono caratterizzate da cornici decorative che definiscono la forme circolare dell’ostia con motivi floreali, con il susseguirsi di minute stelle o con profilature polilobate. Tutti i pezzi si conservano in buono stato. Manifattura muranese (?), sec. XVIII-XIX Ampollina Vetro dipinto/ 14x9,3 cm Ø base/ Inv. 476 Vetro/ 11x8,5 cm Ø/ Inv. 1078 Vetro/ 10,5x4,6 cm Ø base/ Inv. 1188 Le ampolline sono piccoli contenitori di diverse forme e materiali atti a contenere l’acqua e il vino non ancora consacrati. Sono, dunque, legate alla ritualità eucaristica e la loro funzione perdura tutt’oggi fin dalle origini del cristianesimo quando si diffuse l’uso comune di aggiungere dell’acqua al vino della consacrazione. Generalmente le ampolline si distinguono a seconda della forma che le caratterizza in tre categorie (BRAUN 1932, p. 422): vi sono contenitori a fiaschetta, a boccale o a brocca. Inizialmente si usarono i materiali più disparati fino ad orientarsi su una ristretta cerchia che prevedeva l’uso del vetro, del peltro, dell’oro e dell’argento seguendo le normative prescritte dal Sinodo di Würzburg del 1298. L’ampollina n. 476 della collezione Ciceri è realizzata in vetro soffiato. La sua forma coniuga alcune caratteristiche della tipologia detta a fiaschetta, in quanto presenta un corpo panciuto dotato di lungo e sottile collo, con altre del tipo più comune a brocca con piede d’appoggio, sinuoso versatoio e manico. L’ampollina è inoltre dotata di piccolo tappo, sempre in vetro, sormontato da una minuta sfera dipinta di nero. Quest’ultimo è anche il colore che ne caratterizza le decorazioni dagli stilizzati motivi vegetali a girali che si dispiegano intorno al monogramma cristologico IHS sormontato da croce. La scelta decorativa palesa un gusto ancora vagamente settecentesco. L’ampollina n. 1078 risulta molto simile tipologicamente alla precedente, dalla quale si differenzia per la mancanza di piede, tappo e decori. Infatti, questo oggetto, come il n. 1188 dalla caratteristica forma a brocca, è costituito da vetro trasparente completamente privo di simboli eucaristici o religiosi. I tre manufatti si conservano in ottimo stato. Produzione locale, sec. XIX Ampollina per il vino Peltro/ 11x6,4 cm Ø base/ Inv. 1170 Peltro/ 11,5x5,6 cm Ø base/ Inv. 1172 Peltro/ 11,7x6,5 cm Ø base/ Inv. 1238 Produzione tedesca, sec. XIX Ampollina per il vino Peltro/ 11,3x6 cm Ø base/ Inv. 1171 I quattro esemplari spaiati di ampolline che si conservano in collezione presentano caratteristiche pressoché identiche: tutti sono stati realizzati in peltro e appartengono alla categoria di ampolline a boccale con piede circolare, struttura bombata, manico a voluta, beccuccio, coperchio incernierato e contrassegnato dalle lettere incise V o A (quest’ultima solo nel caso del n. 1238) ad indicarne il contenuto. Si tratta di ampolline di uso piuttosto comune facenti parte del normale corredo d’altare. Sulle superfici dei piccoli oggetti in questione non si riscontra alcuna cura decorativa: piccole incisioni lineari ad anello si susseguono scandendo le diverse parti di cui si compongono. Le ampolline inventariate con i n. 1171 e 1172 hanno graziose maniglie per sollevare i coperchi sagomate a V, richiamando così la lettera incisa sul coperchio stesso a ribadire il contenuto. Ad eccezione del n. 1170 che si conserva in buono stato, tutti le altre ampolline presentano superfici molto consunte e parti, come piedi e maniglie, piegati o addirittura accartocciati. Degno di nota è il punzone rinvenuto all’interno del n. 1171: esso rappresenta, entro sagoma ovale, una figura angelica stante posta in mezzo alla sigla IZ e con un’iscrizione mutila ai piedi che riporta le seguenti lettere: ENG[ ]ZIN[ ]. Tale punzone è stato riscontrato anche su una coppia di candelieri in peltro della stessa collezione (inv. 971a, 971b) e si tratta di un attestato di qualità tipico dei prodotti di peltro di area tedesca realizzati in serie. Nada Boschian scrive che in tale zona di produzione “era obbligatorio il marchio che ne attestasse la bontà, e già questo poteva venir espresso in vari modi: con le scritte Feinzinn, Edelzinn, Engelzinn (come nel nostro caso), Fin, oppure con segni convenzionali raffiguranti una rosa, una corona, un angelo, due martelli incrociati, una brocca, dei cuori o una papera” (in Il peltro, Milano 1966, p. 128). Piatto Bronzo battuto/ 4,5xØ 45 cm/ Inv. 1440 Piatto a forma di grande bacile che presenta lungo l’orlo della tesa una decorazione a piccoli motivi floreali stilizzati e reiterati, iscrizioni sulla sponda e al centro la raffigurazione sbalzata della Tentazione di Adamo ed Eva. I progenitori sono rappresentati, secondo tradizione, ai lati dell’albero nel giardino dell’Eden dove, sullo sfondo a destra, sorge un edificio di cui si vede un’aerea struttura ad arco. Le due iscrizioni, racchiuse entro giri concentrici rispetto al fondo, recitano invocazioni in carattere gotico. La tipologia del piatto e le scelte decorative che lo informano inducono a ritenere l’opera di manifattura tedesca e di epoca rinascimentale, momento che conobbe l’ampia diffusione di simili esemplari, presenti in gran numero sul territorio italiano: si veda il piatto conservato presso la chiesa di Santa Maria delle Scale a Ragusa (sec. XV) con al centro la Tentazione di Adamo ed Eva, soggetto largamente rappresentato, o quello del Museo napoletano di Capodimonte (sec. XVI), raffigurante il Martirio di San Sebastiano con motivi ornamentali molto vicini a quelli riscontrati sull’oggetto in esame. Non si è ancora accertato l’uso di tali manufatti che, tuttavia, per la forma e le figurazioni di carattere sacro, si possono ritenere piatti per elemosine poi convertiti a scopo puramente ornamentale come spesso accerta, ed è anche il nostro caso, la presenza di un foro al centro della tesa per l’affissione a parete. Manifattura locale, sec. XIX Acquasantiera mobile Rame battuto, modellato e stagnato internamente/ ferro battuto e ottone; 166,5 cm/ Inv. 739 L’acquasantiera mobile deriva dal modello di quella fissa presente all’ingresso delle chiese. Si diffuse un uso domestico già a partire dal X secolo per consentire ai fedeli di compiere i riti della devozione privata con l’acqua benedetta. L’acquasantiera della nostra collezione è costituita da un supporto in ferro battuto, un catino e un secchiello di rame. Il supporto presenta tre piedi convergenti in un solo gambo attorno al quale si dispiegano elementi di decoro a volute disposti a raggiera. Al di sopra il ferro è modellato per accogliere e dare stabilità al catino proseguendo poi in altezza con un unico elemento che presenta un supporto per il secchiello forgiato a testa di serpente e collocato poco prima della terminazione d’ottone con la raffigurazione stilizzata di anime fra le fiamme del purgatorio. Il catino (16,8x36 cm.Øbocca) ha corpo panciuto che si restringe poco sotto il bordo everso con finiture arrotolate. Una fascia, delimitata da elementi a cordino rilevato, è caratterizzata da baccellature a ovuli concavi che impreziosiscono le superfici lisce creando effetti di chiaroscuro. Il secchiello (23x21,3 cm.Øbocca), chiuso da coperchio con pomello d’ottone, ha la base arrotondata con un piccolo rubinetto d’ottone posto al centro. Un manico ad arco, inserito nelle espansioni ad orecchie del bordo superiore del secchiello, consente di sospendere l’oggetto sopra il catino. Per quanto riguarda i manufatti in rame lo stato di conservazione può essere giudicato discreto: le superfici risultano assottigliate e consunte, spaccature e vistose saldature si notano nel catino dove tracce di verderame hanno intaccato gli interni. Buono lo stato del supporto di ferro e di tutte le parti d’ottone. La presenza dell’iconografia delle anime del purgatorio sul pomello d’ottone ci permette di stabilire l’utilizzo in ambito sacro di tale oggetto, molto simile per le caratteristiche formali al più comune lavamani di uso domestico, largamente diffuso in zona carnica. La presenza di acquasantiere mobili è attestata nelle abitazioni private e nelle sacrestie. Manufattidevozionali Schede a cura di Antonella Ortogalli e Silvia De Marco Manifattura locale, sec. XIX Corona Bronzo dorato/ 6,5xØ 7,5cm/ Inv. 981 Le corone votive poste su raffigurazioni e statue di particolare valore da un punto di vista devozionale si registrano nei documenti inventariali già a partire da epoca tardo-medievale conoscendo la massima diffusione lungo il Seicento, quando i repertori decorativi barocchi contribuirono a renderle straordinariamente ricche e preziose. La corona in esame è costituita da cerchio lungo il quale si susseguono pietre colorate, con netta prevalenza di quelle viola, entro castone. Sul cerchio si impostano elementi decorativi a forma di trifoglio che si alternano ad altri di forma sferica. Il fastigio ha fitte volute che convergono al centro in un foro circolare. Buono lo stato conservativo. L’oggetto, privo di valore artistico, pare prodotto da bottega artigiana locale. Oreficeria locale, inizio sec. XIX Corona Argento sbalzato/ 7,5xØ 10cm / Inv. 1019a Corona Argento sbalzato/ 9,2xØ 6cm/ Inv. 1019b Le due corone, accomunate stilisticamente, ma di dimensioni diverse, costituiscono sicuramente il corredo decorativo di un gruppo scultoreo raffigurante la Vergine e il Bambino a noi purtroppo ignoto. Castoni e finte perle a sbalzo caratterizzano il cerchio inferiore di entrambe. Su di esso si impostano motivi decorativi a conchiglia alternati ad altri tratti dal repertorio vegetale, incisi e sbalzati. Il fastigio è costituito da quattro volute a foggia di foglie lanceolate che si inarcano convergendo verso il centro. La corona di dimensioni ridotte, destinata a Gesù Bambino, conserva ancora il globo con crocetta apicale patente al di sopra del fastigio. Gli oggetti si conservano in buono stato. Non si riscontrano tracce di punzoni che ci aiutino ad identificare la paternità dei manufatti, tuttavia sulla croce della corona n. 1019b il marchio di una piccola incudine rappresenta il simbolo che veniva utilizzato per i minuti lavori d’argento di secondo titolo (800) e spesso, se da solo come in questo caso, esso faceva riferimento ad un intervento di restauro. Oreficeria locale, sec. XIX Corona Argento sbalzato e cesellato/ 9,2xØ 6cm./Inv. 1353 La corona presenta elementi decorativi puntiformi e floreali lavorati a sbalzo sulle superfici del cerchio e delle quattro volute che si congiungono all’altezza del globo con croce apicale dalle terminazioni trilobe. Lo stato di conservazione è mediocre con cerchio che ha perso l’originaria saldatura e una voluta spezzata all’altezza del globo. Non si registrano punzoni di alcun tipo. Manifattura locale, inizi sec. XIX Arca battesimale (arcje) Legno, vetro, ferro e stoffa/ 52,5x84,5x36,5 cm/ Inv. 890 Nelle tradizioni popolari il battesimo, inteso non soltanto come rito religioso, rappresentava soprattutto l’occasione per ufficializzare l’ingresso nella comunità d’appartenenza di un nuovo bambino. Ecco dunque che anche il tragitto dalla casa alla chiesa verso la fonte battesimale diveniva momento collettivo: si snodava per le strade del paese la processio ad fontem con un vero corteo costituito dai genitori, i padrini, i parenti, qualche amica e la levatrice. Chi aveva il compito di portare il bambino era una ragazza molto giovane, il simbolo dell’innocenza. Per proteggere il battezzando da sguardi malevoli si usava poi coprirne il volto con un velo. Per far fronte ai rigori invernali il bambino, che di norma riceveva il battesimo pochi giorni dopo la nascita, veniva posto in un arca di legno e vetri, “solitamente di proprietà della levatrice” (A. NICOLOSO CICERI 1982, p. 93). Questa antica tradizione locale viene ripresa anche da Giancarlo Menis in un articolo a commento della novella di Caterina Percoto intitolata La femine di Buje (G.C. MENIS, La femine di Buje, in “Buje pore nuje!”, n. 8, a. 1989, p. 13-14, dove, per altro, è pubblicata l’arca battesimale della collezione Ciceri contrassegnata dal numero d’inventario 140). La novella, ambientata a Buia nel 1857, racconta la storia di uno strano battesimo che ha come protagonista un bambino accompagnato in chiesa dal consueto corteo proprio all’interno di un’arca qui definita urne. Presso il Museo di Arti e Tradizioni Popolari di Tolmezzo si conserva un’arca per due bambini proveniente dalla val Pesarina (GORTANI 1965, p. 103) e il Museo Friulano delle Arti e Tradizioni Popolari di Udine ne possiede ben tre esemplari ottocenteschi. L’arca della Collezione Ciceri contrassegnata dal numero d’inventario 890 si imposta su piedi zoomorfi riproducenti grossi pesci, forse dei delfini. Il coperchio è costituito da otto finestrelle di vetro e due aperture, poste sopra le maniglie di ferro sui lati brevi, schermate da decori lignei a motivi vegetali. Le superfici sono caratterizzate da incisioni dorate che si dispiegano con grande rigore simmetrico in particolare sul coperchio, dove racemi fioriti e disegni geometrici convergono verso l’agnello scolpito che sormonta l’arca. Gli interni sono foderati da carta di colore blu con piccole girandole a stella di colore nero. I vetri originariamente erano coperti da tendine color porpora bordate da canottiglia dorata. Un materassino con imbottiture laterali costituiva il morbido giaciglio per il battezzando. Lo stato conservativo è discreto a causa della diffusa tarlatura e delle condizioni degli interni, dove si conservano solo brandelli della stoffa che schermava i vetri. Non vi sono notizie documentarie sull’urna in esame, che pare essere un manufatto locale della prima metà dell’Ottocento. Vittorio Madrisotti (Bertiolo), 1883 Arca battesimale (arcje) Legno, vetro ottone e stoffa/ 38x74x32cm./Inv. 140 Bibliografia: MENIS 1989, p. 14. Iscrizioni: Vittorio Madrisotti fece il compimento del lavoro il 21 dicembre nel 1883 Bertiolo. 21/12. ANNO 1883. L’arca è costituita da cassa lignea su otto piedini e con eleganti maniglie d’ottone inciso sui lati brevi. Alle maniglie è cucito un lungo nastro di stoffa color porpora. Il coperchio a finestrelle di vetro culmina con una cornice rialzata e intagliata a volute vegetali che risaltano sul fondo di tela rossa. Su tale cornice trovano collocazione due pomelli di ottone necessari per il sollevamento del coperchio stesso. L’interno presenta un rivestimento di carta verde su cui si notano vasti aloni dovuti all’umidità. L’oggetto, che si conserva in discrete condizioni con cadute delle vernici sulle superfici lignee e piccole crepe sui fianchi, presenta un’iscrizione manoscritta sotto la base: Vittorio Madrisotti fece il compimento del lavoro il 21 dicembre nel 1883 Bertiolo. All’interno del coperchio un’altra iscrizione tracciata a lapis ribadisce la data d’esecuzione del manufatto: 21/12. ANNO 1883. Manifattura locale, 1772 Targa dedicatoria Legno intagliato e dipinto/ 71x92 cm/ Inv. 1420 Iscrizioni: DOM/ DEDTIO HUIUS ECCLESIE DE DIE 7MA/MO JULY AD DMCAM PMAM D MENSIS/ TRASLATA FUIT AB EXELEMO ; ET / RMO DNO DNO : JO HIERM GRADENICO ARCHPO UTINENSI: DIE 16 JUNY 1772. CONSECRACIO HUIUS ECCLESIAE SMI REDEMPTORIS AC SS. ROCHI & SEBASTIANI FACTA FUIT AB ILL.MO & R.MO DNO EUSEBIO CAIM° UTINENSI EPISCOPO G MONIENSI SUFFRAGANEO & VICAO : GENALI PATRIARLIS ECCX ACQIS ANNO DNI 1624 DIE VERO SEPTIMA MENSIS IULY . La targa dedicatoria, al pari di una targa devozionale che veniva affissa esternamente alla chiesa per comunicare importanti annunci o devozioni particolari, è una tavola di legno sagomato, a volte anche di cuoio o metallo, che veniva dipinto e decorato. La targa in esame presenta, entro cartiglio dal profilo mistilineo circondato da volute e foglie d’acanto interrotte da una testina cherubica, la seguente iscrizione: DOM/ DEDTIO HUIUS ECCLESIE DE DIE 7MA/MO JULY AD DMCAM PMAM D MENSIS/ TRASLATA FUIT AB EXELEMO ; ET / RMO DNO DNO : JO HIERM GRADENICO ARCHPO UTINENSI: DIE 16 JUNY 1772. Il tutto è giocato su tonalità celesti e giallo ocra stese sulla tavola a pennellate veloci e ampie. Sul retro, oltre alla presenza di un anello per l’affissione a muro, si rileva una targa metallica con un’altra iscrizione: CONSECRACIO HUIUS ECCLESIAE SMI REDEMPTORIS AC SS. ROCHI & SEBASTIANI FACTA FUIT AB ILL.MO & R.MO DNO EUSEBIO CAIM° UTINENSI EPISCOPO G MONIENSI SUFFRAGANEO & VICAO : GENALI PATRIARLIS ECCX ACQIS ANNO DNI 1624 DIE VERO SEPTIMA MENSIS IULY. L’iscrizione dipinta fa riferimento a Gian Gerolamo Gradenigo (Venezia 1708 – Udine 1786), arcivescovo di Udine dal 1766. A lui si deve la versione in friulano del catechismo che uscì a Udine nel 1772 (anno esplicitamente menzionato sulla targa) e nel 1779. A partire dal 1782 si dedicò alla costruzione dell’ospedale di Santa Maria della Misericordia. Manifattura di area friulana, sec. XIX Presepe girevole Legno/ 54x44x42,6 cm/ Inv. 141 Iscrizioni:“SIA LODATO/GESU’ CRISTO” Bibliografia: DELUISA-DELUISA1978; NICOLOSO CICERI 1982. Presepe girevole proveniente da Strassoldo, che risale alla fine del XIX secolo, opera del falegname Venceslao Dri (NICOLOSO CICERI1982, p.585). Le statuine sono collocate su una piattaforma circolare fatta girare grazie ad una manovella posta sul retro della “cassetta- armadietto”(DELUISA- 1978, p.14) che contiene il presepe, chiusa da due ante su cui, internamente, sono apposte le scritte: “SIA LODATO” (anta di sinistra), e GESU’ CRISTO (anta di destra). In corrispondenza di ciascuna anta è collocata una candela. L’interno della cassetta è tappezzato con carta blu stellata, carta che riveste anche il cono che gira sul perno attorno al quale avviene la rotazione, su cui è addossata la capanna della Natività. Ai lati della cassetta, in corrispondenza del coperchio, due maniglie di ferro ne permettevano il trasporto. Questo presepe, utilizzato a Strassoldo durante i riti della questua del periodo natalizio, era conosciuto anche come “DORMI, DORMI”, dall’incipit di una canzone natalizia in italiano infarcito di termini del dialetto veneto, che veniva cantata nelle chiese del cervignanese durante le Messe e le funzioni del ciclo natalizio, e di cui si ha notizia già agli inizi dell’800. Il presepe veniva portato di casa in casa da tre ragazzi, tre come i Re Magi, in cambio di piccole offerte di cibo o di denaro. Il rito aveva inizio la Vigilia di Natale, a sera inoltrata, e terminava il giorno di Santo Stefano; si partiva dalle case del paese situate verso Palmanova, mentre il giorno di Natale si procedeva con le case di Molin di Ponte, per finire il 26 con quelle di San Gallo, Cisis e Torat. Prima di entrare in casa, i ragazzi, accompagnati da un piccolo coro formato da due o tre cantori, i “pastorelli”, chiedevano alla famiglia: “ Seso contenz di ricevi Gjesù Bambin?”. A risposta affermativa, i questuanti varcavano la soglia, posavano la cassetta su un tavolo ben in vista, aprivano i due sportelli, accendevano le candele e davano inizio al canto del DORMI DORMI eseguito a due voci. Nel frattempo, un ragazzo azionava la manovella, facendo girare la piattaforma e quindi cambiando di volta in volta la scena del presepe. Di norma in ogni famiglia venivano eseguite tre sole strofe, ma nel caso di offerte particolarmente generose, il coro poteva continuare fino ad eseguire tutto il canto. Seguiva l’augurio di “Bon Nadâl a dute le companîe” e i ragazzi lasciavano la casa accompagnati dal suono di campanelle. Al termine del percorso, i ragazzi si rifocillavano con quanto raccolto e il presepe veniva riportato in chiesa dove il sacrestano provvedeva alla sua manutenzione e alla sostituzione delle statuine mancanti o usurate, come testimoniato dall’eterogeneità dei pezzi evidentemente appartenenti ad epoche differenti. La tradizione del “DORMI DORMI” è continuata fino almeno agli inizi degli anni ’70, per poi limitarsi, in tempi più recenti, alla sola esecuzione del canto in chiesa. Le questue erano una pratica diffusa in tutta la regione e riguardavano per lo più il periodo invernale, dalla festa dei Morti al Carnevale, il periodo in cui granai e dispense erano riforniti di provviste. Infatti, oltre al valore sacrale e rituale, questi riti avevano anche un valore sociale, di ridistribuzione dei beni all’interno della società, punto di partenza per l’inizio di un nuovo ciclo, diventando poi, rappresentazioni ritualizzate di questi meccanismi di solidarietà alla base della società tradizionale. Nicoloso Ciceri precisa come questuare non significhi elemosinare, perché dell’offerta non beneficiano solo gli “attori” del rito, ma l’intera comunità: il dono è considerato un atto propiziatorio non solo per chi lo riceve ma anche per chi lo compie e addirittura si considera “pericoloso” non donare o non ricevere la richiesta di dono. Al rito partecipavano principalmente i bambini, considerati nella cultura tradizionale “innocenti” e quindi il tramite ideale con l’ “Ultraterreno”, ai quali era affidato il compito di portare il “sacro” nelle case attraverso canti, presepi, stelle, in una sorta di dalogo tra spazio interno ed esterno alle abitazioni. Se nelle zone della Bassa friulana, come del resto dimostra lo stesso Dormi Dormi, era diffuso l’uso di presepi itineranti per i riti di questua invernali, nelle zone montane i giovani portavano in questua soprattutto la Stella o un Gesù Bambino di cera variamente infiocchettato. Le questue molto spesso erano gestite dalla compagnia dei coscritti ed erano connesse a riti iniziatici come le Cidulis o l’Albero di maggio.
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