infiammazione - Ateneonline

Elementi di Microbiologia e Microbiologia clinica - Paola Cipriani, Giordano Dicuonzo
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INFIAMMAZIONE
GENERALITÀ
L’infiammazione o flogosi è la risposta dei tessuti vascolarizzati a un insulto tessutale. Obiettivo dell’infiammazione è circoscrivere il distretto danneggiato, combattere la causa del danno, eliminarla, rimuovere le componenti tessutali irreversibilmente danneggiate e dare avvio alla riparazione per ripristinare la condizione normale. È pertanto un processo fondamentale per la conservazione dell’integrità biologica.
È necessario ricordare che questo processo, che ha finalità protettiva e riparativa, può talora essere causa di grave danno e, addirittura, di morte. Ecco
perché abbondano i farmaci antinfiammatori! Infatti un’inappropriata attivazione del processo infiammatorio può produrre una marcata distruzione tessutale con conseguente perdita funzionale; è quanto si osserva, per esempio, in
alcune malattie autoimmuni. L’infiammazione, inoltre, ha un importante ruolo
patogenetico nell’aterosclerosi e nelle reazioni di ipersensibilità a farmaci e punture di insetti, e contribuisce alla crescita e metastatizzazione dei tumori. In alcuni casi la flogosi può anche amplificare i danni dell’agente eziologico, come
accade nelle meningiti: l’infezione delle leptomeningi da parte di batteri induce
una risposta infiammatoria acuta. Anche se i batteri sono poco patogeni e causano un danno modesto, l’attivazione del processo infiammatorio promuove la
trombosi dei vasi locali che riduce l’irrorazione cerebrale con grave danno al
tessuto.
Tutte le malattie su base infiammatoria vengono indicate con il nome dell’organo o del tessuto interessato seguito dal suffisso ite (polmonite, artrite, epatite, encefalite, nefrite). L’infiammazione è un fenomeno prevalentemente locale
che può, a volte, acquisire caratteristiche sistemiche.
INFIAMMAZIONE
Cause
Tutti gli stimoli endogeni ed esogeni che comportano un danno tessutale causano infiammazione. In particolare essa è attivata:
•
•
•
dalla necrosi indotta da qualsiasi causa;
da microrganismi patogeni (virus, batteri e loro tossine, funghi, protozoi);
da reazioni immunitarie tra cui quelle autoimmuni;
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PARTE II • Patologia generale
•
•
da traumi meccanici;
dall’esposizione ad agenti chimici (sostanze tossiche, acidi o basi) e fisici (radiazioni ionizzanti, raggi ultravioletti [UV], calore).
Lo stimolo lesivo provoca danni tessutali di vario genere ed entità che devono essere riparati una volta eliminata la causa del danno. Il processo di riparazione è, pertanto, strettamente connesso al fenomeno infiammatorio.
Segni e sintomi classici
I segni e i sintomi locali dell’infiammazione, descritti da Celso nel I secolo d.C.,
mantengono tuttora un’assoluta validità:
•
•
•
•
rubor (arrossamento);
calor (aumento locale della temperatura);
tumor (gonfiore);
dolor (dolore).
A questi va aggiunto la functio laesa, sintomo introdotto da Galeno nel II secolo d.C. per indicare la ridotta funzionalità del tessuto o dell’organo infiammato.
Cellule dell’infiammazione
L’infiammazione è una reazione locale dei tessuti che coinvolge vari tipi di cellule (Fig. 4.1).
I protagonisti dell’infiammazione acuta sono i granulociti neutrofili, cellule
a vita breve, caratterizzate da un nucleo plurilobato e dalla presenza di granuli
che contengono varie sostanze: proteine battericide (per esempio, il lisozima) e
una varietà di enzimi (tra cui la mieloperossidasi, la fosfolipasi e la collagenasi).
macrofagi
fibroblasti
mastociti
membrana basale
endotelio
granulociti neutrofili
Figura 4.1
linfociti
monociti
vaso
sanguigno
cellule muscolari
lisce
Le cellule dell’infiammazione.
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Infiammazione • CAPITOLO 4
Queste cellule vengono reclutate dal sangue nel sito dell’infiammazione con l’obiettivo di eliminare la causa del danno.
I monociti circolanti, una volta migrati nei tessuti, si trasformano in macrofagi, principali responsabili dell’infiammazione cronica. Sono cellule longeve, a
elevata attività fagocitica e capaci di sintetizzare una miriade di mediatori dell’infiammazione, citochine e fattori di crescita. Facilitano la rimozione dei detriti
cellulari e guidano il processo di guarigione. Possono essere presenti nella sede
di una flogosi acuta in una fase più tardiva rispetto ai neutrofili.
Nei tessuti, in prossimità dei vasi, si trovano i mastociti, cellule ricche di granuli contenenti istamina e altri mediatori infiammatori, tra cui il fattore di attivazione piastrinica (platelet activating factor, PAF) e diverse citochine. I mastociti
possiedono sulla superficie recettori per le IgE, cruciali nelle allergie (v. Cap. 1).
In risposta a particolari stimoli (traumi, freddo, reazioni immunitarie IgE mediate, componenti del complemento ecc.), i mastociti liberano nell’ambiente extracellulare il contenuto dei loro granuli.
Contribuiscono all’infiammazione anche le cellule endoteliali, che rivestono
la parete interna dei vasi. In condizioni normali, l’endotelio svolge la cruciale
funzione di barriera fisica tra il sangue e i tessuti limitrofi, regola il calibro dei
vasi, mantiene la fluidità del sangue. Nell’infiammazione, stimolate da citochine
o da altre molecole, le cellule endoteliali vengono attivate rapidamente iniziano
a produrre mediatori e, nell’arco di poche ore, cominciano a esprimere molecole
di adesione per i leucociti e a produrre citochine infiammatorie.
Infine, i fibroblasti sono le cellule del tessuto connettivo implicate nei fenomeni di riparazione tessutale necessari una volta rimosso l’agente lesivo.
Tipi di infiammazione
Sulla base della durata nel tempo, si distinguono due tipi di infiammazione:
•
•
l’infiammazione acuta (o angioflogosi), che ha un’insorgenza rapida e un
decorso breve (ore o giorni). È associata a intensi fenomeni vascolari con
movimento di fluidi e di cellule, soprattutto neutrofili, dal sangue ai tessuti
extravascolari. Una volta rimossa la causa del danno, si assiste alla riparazione del tessuto danneggiato;
l’infiammazione cronica (o istoflogosi), che è di lunga durata (settimane o
mesi), è caratterizzata dal fatto che distruzione e riparazione tessutale avvengono simultaneamente. La cellula protagonista dell’infiammazione cronica è il monocito-macrofago, ma possono essere presenti anche cellule dell’immunità specifica, i linfociti.
INFIAMMAZIONE ACUTA
L’infiammazione acuta è caratterizzata da diverse fasi successive che scandiscono la sua evoluzione:
•
•
•
•
innesco;
fase vascolare: vasodilatazione, aumento della permeabilità capillare e attivazione endoteliale;
fase cellulare: diapedesi, chemotassi e fagocitosi;
risoluzione o cronicizzazione.
Le fasi vascolare e cellulare concorrono alla formazione dell’essudato.
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PARTE II • Patologia generale
Innesco
Come già riportato, l’infiammazione è una reazione di difesa dell’organismo a
un danno tessutale provocato da cause diverse. L’infiammazione viene quindi
scatenata da segnali che indicano la presenza di un danno o di molecole estranee all’organismo potenzialmente pericolose.
Quando una cellula muore per necrosi, le sue membrane si degradano e le
componenti cellulari si riversano nell’interstizio generando inequivocabili segnali di danno cellulare. Altri segnali in grado di attivare la risposta infiammatoria sono i frammenti di degradazione delle componenti strutturali di microrganismi patogeni come il lipopolisaccaride batterico (LPS), il mannosio e la formil-metionina. Le cellule dell’immunità innata, e in particolare i neutrofili e i monociti-macrofagi, possiedono recettori che riconoscono questi segnali e attivano
una complessa serie di eventi intracellulari che culminano con la trascrizione di
numerosi geni coinvolti nell’infiammazione. Per esempio, i recettori della famiglia Toll (Toll like receptors, TLR) sono in grado di riconoscere segnali molto
diversi, tra cui LPS, proteine batteriche (flagellina), RNA a doppia elica (presente
nei retrovirus) e proteine cellulari espresse in condizioni di sofferenza (proteine
da stress). I TLR sono espressi da vari tipi di cellule: macrofagi, neutrofili, cellule
endoteliali ed epiteliali. L’attivazione di questi recettori stimola la produzione e
la secrezione nell’interstizio di proteine importanti in quanto componenti dell’immunità naturale. Tra queste si ricordano le citochine con azione pro-infiammatoria che innescano, regolano e amplificano il processo infiammatorio
fino al termine della riparazione tessutale.
Fase vascolare: vasodilatazione e aumento della permeabilità
Una volta attivata la risposta infiammatoria, si assiste al rilascio di mediatori chimici che rapidamente inducono alterazioni a carico del microcircolo, cioè dei
vasi interposti tra le piccole arterie e le piccole vene: arteriole, capillari e venule.
Ha così inizio la fase vascolare dell’infiammazione, caratterizzata da vasodilatazione e aumento della permeabilità.
È l’istamina secreta dai mastociti a orchestrare gli eventi vascolari nelle fasi
iniziali dell’infiammazione acuta. L’istamina interagisce con recettori specifici
localizzati sulla membrana delle cellule muscolari lisce delle arteriole e ne determina il rilassamento con conseguente vasodilatazione, ovvero aumento del
diametro vasale, cui si accompagna un rallentamento del flusso sanguigno fino
alla stasi. La vasodilatazione ha come obiettivo quello di aumentare l’apporto
ematico nella zona interessata, favorendo l’arrivo dei leucociti e dei mediatori
dell’infiammazione. L’istamina ha un’emivita breve, ma la vasodilatazione può
persistere più a lungo per la neosintesi di altri mediatori (prostaglandine, ossido
nitrico) che mantengono rilassate le cellule muscolari lisce. L’aumentato volume
di sangue in sede locale è la causa di due segni cardine dell’infiammazione: calor e rubor.
La vasodilatazione è rapidamente seguita dalla vaso-permeabilizzazione
che favorisce il passaggio di liquidi e proteine plasmatiche dal vaso ai tessuti circostanti. Sono stati proposti diversi meccanismi per spiegare l’alterazione della
permeabilità capillare. In una prima fase, l’istamina, legato il suo recettore sull’endotelio, induce la contrazione del citoscheletro delle cellule endoteliali che
si distanziano una dall’altra. In una fase successiva, altri mediatori chimici agiscono sulle giunzioni cellula-cellula che normalmente regolano il passaggio di
fluidi tra l’interno del vaso e l’interstizio. Queste giunzioni sono composte da diversi tipi di proteine transmembrana che interagiscono omotipicamente attraverso il dominio extracellulare formando delle cerniere che mantengono sepa-
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Infiammazione • CAPITOLO 4
rati il sangue e i tessuti circostanti. Alcuni mediatori dell’infiammazione inducono il rilassamento delle proteine giunzionali.
L’aumento della permeabilità endoteliale associato all’aumento della pressione idrostatica dovuto alla vasodilatazione provoca edema, cioè l’accumulo di
liquido nell’interstizio (v. Cap. 10): è questo il motivo del caratteristico gonfiore
della regione infiammata (tumor). Sotto il profilo quantitativo, l’edema è proporzionale all’aumento di permeabilità vascolare e all’entità dello stimolo infiammatorio iniziale.
La pressione esercitata dall’edema e l’effetto diretto di alcuni mediatori infiammatori sulle terminazioni nervose causano dolore (dolor).
Fase cellulare: adesione, diapedesi, chemotassi e fagocitosi
Le cellule dell’immunità innata, principalmente i neutrofili e più tardivamente i
monociti-macrofagi, vengono richiamate nel sito della lesione per eliminare
eventuali fattori patogeni, rimuovere i detriti cellulari e dare inizio alla riparazione dei danni tessutali (Fig. 4.2). Per accumularsi nella sede dell’infiammazione, i leucociti circolanti devono poter interagire con l’endotelio. Questo è possibile perché le cellule endoteliali, attivate dai prodotti del danno locale e dalle
citochine, espongono sulla superficie luminale una serie di molecole di adesione (ICAM-1 e selectine) che, in condizioni normali, non sono presenti. I ligandi naturali di questi recettori, chiamati integrine e glicoproteina sialil-Lewis
1
2
3
MARGINAZIONE
ROTOLAMENTO
ADESIONE
granulociti neutrofili
integrine
ICAM-1
endotelio
glicoproteina
sialil X
selectine
citochine
4
DIAPEDESI
macrofagi
chemochine
LESIONE
TESSUTALE
CHEMOTASSI
5
Fase cellulare dell’infiammazione acuta.
Figura 4.2
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PARTE II • Patologia generale
X-modificata, si trovano sulla superficie dei fagociti che transitano nel sangue.
Il rallentamento locale del circolo conseguente agli eventi vascolari dell’infiammazione fa in modo che i fagociti vengano in contatto con la parete interna dei
vasi in prossimità del sito del danno tessutale: questo evento è denominato marginazione. Queste cellule perfezionano il riconoscimento ligando-recettore attraverso il fenomeno del rotolamento sulla superficie endoteliale (mediato dalle
selectine) seguito dall’adesione vera e propria (mediata dall’interazione tra integrine e ICAM).
I leucociti adesi sono in grado di aprirsi un varco attraverso le giunzioni endoteliali estendendo uno pseudopodo. Quindi elaborano proteasi per superare
la membrana basale e trasferirsi nel comparto extravascolare. Il passaggio dei
leucociti attraverso l’endotelio è chiamato diapedesi. I leucociti extravasati migrano all’interno del tessuto seguendo una “pista” formata da un gradiente di
concentrazione generato dai prodotti batterici, dai prodotti di degradazione della
matrice extracellulare e dai vari mediatori infiammatori, tra cui le chemochine,
citochine ad attività chemotattica prodotte nel sito di innesco del fenomeno infiammatorio. La sintesi delle chemochine da parte dei macrofagi tessutali e dell’endotelio è stimolata da IL-1 e TNFa nel sito del danno. Il cocktail di chemochine presenti in un tessuto determina il tipo di leucociti attirati nella sede del
processo infiammatorio. I primi a essere reclutati sono i neutrofili, che si accumulano nel sito infiammato tra le 4 e le 24 ore dopo il danno: essi rappresentano la prima difesa cellulare dell’organismo contro l’agente lesivo. Dopo 24-48
ore iniziano ad arrivare i monociti-macrofagi, che persistono per un tempo più
lungo.
Attraverso questo fenomeno di migrazione direzionale, energia-dipendente,
detto chemotassi, i leucociti si accumulano in gran quantità contribuendo alla
formazione dell’essudato.
Funzione primaria dei leucociti è fagocitare con elevata efficienza microrganismi o detriti cellulari. La fagocitosi è un processo complesso, che inizia con
il riconoscimento dell’agente patogeno da parte del neutrofilo. La fagocitosi può
essere facilitata dall’opsonizzazione, ovvero dall’interazione tra il complemento
e alcune componenti strutturali del microrganismo patogeno. Recettori specifici
del fagocita riconoscono il complemento attivato sulla superficie del patogeno
e stimolano la fagocitosi.
Una volta individuato cosa deve essere distrutto, si verificano modificazioni
del citoscheletro con l’emissione di pseudopodi che circondano e inglobano il
patogeno. Il fagosoma, vescicola citoplasmatica che racchiude il materiale ingerito, si fonde con i lisosomi a formare il fagolisosoma. I lisosomi contengono
enzimi litici che digeriscono quanto è stato fagocitato. Gli enzimi lisosomiali possono anche essere liberati all’esterno della cellula e agire direttamente sul patogeno. L’esocitosi avviene quando la membrana del lisosoma si fonde con la
membrana plasmatica.
La produzione di radicali liberi nel fagolisosoma è importante nella difesa
antibatterica. Il processo che porta alla formazione dei radicali liberi nel fagolisosoma si chiama “esplosione respiratoria” ed è caratterizzato da un brusco aumento del consumo di ossigeno (Fig. 4.3).
Come evolve il processo infiammatorio acuto:
risoluzione o cronicizzazione
L’ infiammazione acuta conclude il suo corso con la risoluzione, la riparazione
o la cronicizzazione.
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Infiammazione • CAPITOLO 4
patogeno
ADESIONE
complemento
INTERNALIZZAZIONE
recettore per il complemento
lisosoma
macrofagi
e
neutrofili
pseudopodo
fagosoma
enzimi litici
e radicali liberi
fagolisosoma
ESOCITOSI
LISI DEL PATOGENO
Fasi della fagocitosi.
Figura 4.3
La risoluzione si verifica quando il danno tessutale prodotto dall’agente
eziologico e la risposta infiammatoria successiva sono di entità limitata e avviene in tessuti le cui cellule sono dotate di capacità replicativa. Si ricordi che
la risoluzione non è un evento passivo che pone fine all’infiammazione, ma un
processo attivo sotto il profilo biochimico e metabolico. I macrofagi infatti secernono molecole antinfiammatorie come il fattore trasformante beta (TGFb)
che antagonizza gran parte degli effetti delle citochine infiammatorie. L’essudato viene riassorbito, i parametri vascolari tornano nella norma e le cellule
danneggiate vengono sostituite da nuove cellule. L’esito è favorevole perché
conduce al ripristino morfo-funzionale completo del tessuto. Un esempio di risoluzione è quello della polmonite lobare: l’essudato fibrinoso che riempie gli
alveoli viene completamente riassorbito con il ripristino della funzione alveolare (v. Cap. 12).
Se l’agente eziologico non è stato eliminato, l’infiammazione si trasforma da
acuta a cronica.
Come si presenta l’infiammazione acuta: l’essudato
L’essudato è composto da liquido contenente elettroliti e proteine plasmatiche,
mediatori infiammatori, detriti cellulari derivanti dal danno tessutale, neutrofili
ed eventualmente macrofagi e, talora, microrganismi patogeni. Ha l’obiettivo di
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PARTE II • Patologia generale
tenere a stretto contatto il patogeno, i mediatori infiammatori e i fagociti. La
composizione e l’aspetto dell’essudato dipendono dalla natura dell’agente flogogeno, dal tipo di tessuto danneggiato, dall’intensità e dalla durata del processo
infiammatorio. Si distinguono, pertanto, vari tipi di essudato:
•
•
•
•
•
essudato sieroso: ha un colore giallo paglierino ed è limpido. È relativamente povero di proteine e di componente cellulare. Un esempio tipico è l’essudato delle bolle sierose che compaiono negli strati superficiali della cute
dopo lievi ustioni;
essudato fibrinoso: ha un aspetto torbido. È molto ricco di fibrina e povero
di cellule. È espressione di intense alterazioni della permeabilità vascolare
che portano al passaggio del fibrinogeno dal sangue nell’interstizio, dove
viene convertito in fibrina. È tipico delle infiammazioni che interessano le
meningi, la pleura, il pericardio e il peritoneo;
essudato emorragico: ha un colore rossastro, è ricco di globuli rossi, emoglobina e suoi prodotti catabolici. Si osserva quando lo stimolo infiammatorio causa importanti alterazioni della parete dei vasi del microcircolo tali da
consentire il passaggio dei globuli rossi nell’interstizio. Frequentemente è
associato a necrosi del tessuto conseguente sia all’azione dell’agente eziologico sia ai disordini del circolo locale. Infiammazioni necrotico-emorragiche sono causate da batteri, tra cui Bacillus anthracis, agente eziologico del
carbonchio, e Yersinia pestis, che provoca la peste. Queste lesioni sono per lo
più dovute all’azione delle tossine elaborate da questi batteri;
essudato catarrale: ha un aspetto viscoso perché è ricco di muco. Tipicamente l’infiammazione interessa mucose ricche di ghiandole secernenti muco
che si accumula nell’essudato. È tipico di raffreddori e bronchiti;
essudato purulento: è il pus, caratterizzato da un aspetto cremoso, colore
giallastro e spesso alta viscosità. Il pus è ricchissimo di neutrofili e contiene
detriti derivanti dalla necrosi del tessuto operata dagli enzimi lisosomiali. La
necrosi tessutale può portare alla formazione di cavità in cui il pus si raccoglie, separato dal tessuto circostante da una membrana piogenica dapprima
costituita da fibrina e cellule infiammatorie e poi da connettivo fibroso: è l’ascesso. In altri casi, l’essudato purulento non rimane circoscritto e tende a
diffondersi nel tessuto: in questo caso si parla di flemmone. Se il pus si raccoglie in cavità preformate, quali il cavo peritoneale o articolare, si parla di
empiema. L’infiammazione purulenta è comune ed è causata da batteri piogeni (produttori di pus) tra cui alcuni ceppi di Staphylococcus, Pseudomonas
e Streptococcus. Infiammazioni purulente possono essere anche indotte da
alcune sostanze chimiche.
Come già descritto, l’essudato è il risultato di un aumento di permeabilità vascolare che fa in modo che, oltre al liquido, fuoriescano dal vaso anche le proteine plasmatiche. Ecco perché il contenuto proteico dell’essudato è abbastanza
elevato. Vi sono situazioni in cui il liquido si accumula nell’interstizio senza alterazioni delle giunzioni endoteliali, per cui è ostacolato il passaggio delle proteine sieriche nell’ambiente extravascolare. Si parla allora di trasudato, che si
distingue dall’essudato per il basso contenuto proteico (v. Cap. 10).
Una forma particolare di infiammazione è l’ulcera. Si tratta di un’erosione
locale sulla superficie di un organo o di un tessuto, conseguente al desfogliamento del tessuto necrotico. La presenza di ulcere si riscontra comunemente
nelle lesioni necrotiche infiammatorie della mucosa del cavo orale, dello stomaco e dell’intestino.
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Infiammazione • CAPITOLO 4
Basi molecolari dell’infiammazione acuta: i mediatori chimici
Gli eventi vascolari e cellulari dell’infiammazione acuta sono espressione di una
risposta automatica al danno tessutale attivata dai cosiddetti mediatori dell’infiammazione, molecole largamente distribuite nei tessuti (come precursori o sequestrate in granuli) o molecole di nuova formazione sintetizzate nella sede del
processo infiammatorio. La conoscenza di queste molecole, di come sono sintetizzate e regolate, è cruciale per individuare farmaci che ne contrastino gli effetti dannosi salvaguardando la loro attività difensiva.
I mediatori dell’infiammazione sono numerosi. Riassumiamo qui di seguito
le loro caratteristiche generali:
•
•
•
•
•
sono molecole a basso peso molecolare;
hanno attività pleiotropica, in quanto più mediatori possono agire sulla stessa
cellula bersaglio;
un mediatore chimico può avere effetti diversi su cellule diverse: l’esempio
più semplice è quello dell’istamina che, interagendo con il recettore H1 sulle
cellule muscolari lisce delle arteriole, ne induce il rilassamento. Legando lo
stesso recettore sulle cellule muscolari lisce della parete bronchiale o intestinale, ne determina, invece, contrazione;
alcuni mediatori inducono la sintesi di altri mediatori, amplificando così la
risposta;
l’effetto di alcuni mediatori è ridondante.
Si ricorda che i mediatori dell’infiammazione tendono a essere inattivati rapidamente, fatto che consente un’autolimitazione del processo infiammatorio.
Per semplicità, i mediatori chimici sono distinti in mediatori di origine cellulare (preformati o neosintetizzati) o plasmatici (Tabb. 4.1 e 4.2).
I mediatori plasmatici dell’infiammazione fanno capo a tre diversi sistemi
proteici tra loro interdipendenti: il sistema del complemento, il sistema delle chinine e il sistema della coagulazione/fibrinolisi:
•
•
il complemento svolge, oltre all’attività batteriolitica nell’immunità innata
(v. Cap. 1), una funzione pro-infiammatoria in tutte le fasi del processo;
le chinine sono polipeptidi biologicamente attivi che si formano per azione
di enzimi, le callicreine, sul precursore plasmatico chininogeno; la più importante è la bradichinina che induce dilatazione e permeabilizzazione dei
vasi del microcircolo; ha inoltre azione algogena, cioè provoca dolore stimolando le terminazioni nervose;
TABELLA 4.1 MEDIATORI PLASMATICI DELL’INFIAMMAZIONE ACUTA
Mediatori plasmatici
Funzioni biologiche
Sistema del complemento
Aumento della permeabilità vascolare
e vasodilatazione; adesione, chemotassi,
e attivazione dei leucociti; opsonizzazione;
lisi microbica
Aumento della permeabilità vascolare e
vasodilatazione; chemotassi; dolore
Aumento della permeabilità vascolare;
adesione dei leucociti e chemotassi
Sistema delle chinine
Sistema della coagulazione/fibrinolisi
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PARTE II • Patologia generale
TABELLA 4.2 PRINCIPALI MEDIATORI CELLULARI DELL’INFIAMMAZIONE ACUTA
Mediatori
Preformati
Istamina
Enzimi lisosomiali dei leucociti
Neosintetizzati
Prostaglandine
Leucotrieni
PAF
Ossido nitrico
Citochine
•
Funzioni biologiche
Aumento della permeabilità vascolare e vasodilatazione
Degradazione diretta di macromolecole,
amplificazione e rinforzo di altri mediatori
Aumento della permeabilità vascolare, vasodilatazione
e dolore
Aumento della permeabilità e chemotassi
Aumento della permeabilità, adesione leucocitaria
e chemotassi
Aumento della permeabilità e vasodilatazione
Molteplici funzioni biologiche
la permeabilizzazione dei vasi consente il passaggio nell’interstizio di fibrinogeno che, per attivazione del sistema della coagulazione, viene convertito in fibrina. Il sistema fibrinolitico porta alla conversione del plasminogeno in plasmina, enzima che degrada la fibrina.
Tutti questi sistemi enzimatici sono rigidamente controllati e rapidamente
inattivati.
Tra i mediatori cellulari preformati si ricorda l’istamina che interviene nelle
fasi precoci dell’infiammazione. Tra le molecole di nuova sintesi, un’attenzione
particolare meritano i derivati dell’acido arachidonico e le citochine. L’acido arachidonico, liberato dai fosfolipidi di membrana, può essere metabolizzato da due
enzimi: la cicloossigenasi, che porta alla sintesi delle prostaglandine, e la lipoossigenasi, che media la produzione dei leucotrieni (Fig. 4.4). Si ricorda che
i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) comunemente utilizzati inibiscono la cicloossigenasi. Anche le citochine hanno un ruolo nel regolare il processo infiammatorio e la riparazione cellulare (v. Cap. 1). Quelle più studiate e
maggiormente coinvolte nell’infiammazione sono l’interleuchina 1 (IL-1), il fattore di necrosi tumorale alfa (TNFa) e l’interleuchina 6 (IL-6) (Tab. 4.3). Un gruppo
particolare di citochine sono le chemochine, che stimolano la chemotassi. Ne
sono note più di cinquanta.
Dato che l’infiammazione è un’arma distruttiva sia nei confronti degli agenti
patogeni che nei confronti del tessuto sano, è importante ricordare che ci sono
anche molecole ad azione antinfiammatoria. Oltre al già citato TGFb, l’IL-10 limita la sintesi di altre citochine come IL-1 e TNFa. Vi sono anche mediatori lipidici, le lipossine, con azione antinfiammatoria.
INFIAMMAZIONE CRONICA
L’infiammazione cronica è una risposta infiammatoria di durata prolungata (settimane, mesi o anni) per la mancata eradicazione dello stimolo lesivo. Può svilupparsi:
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Infiammazione • CAPITOLO 4
fosfolipidi di membrana
fosfolipasi A2
acido arachidonico
lipoossigenasi
cicloossigenasi
leucotrieni
prostaglandine
vasodilatazione
aumento permeabilità
dolore
chemotassi
aumento permeabilità
I principali mediatori chimici derivati dal metabolismo dell’acido arachidonico. Mentre i
cortisonici, i più potenti antinfiammatori, bloccano la fosfolipasi prevedendo la sintesi di
acido arachidonico, i FANS (tra cui la classica aspirina) agiscono più a valle, inibendo la
cicloossigenasi e, quindi, la sintesi di prostaglandine.
Figura 4.4
TABELLA 4.3 LE PRINCIPALI CITOCHINE COINVOLTE NELL’INFIAMMAZIONE
Citochine Fonte
Funzioni
IL-1
Macrofagi, endotelio,
cellule dell’epidermide
e altri tipi cellulari
IL-6
Macrofagi, endotelio,
fibroblasti
IL-10
Macrofagi, linfociti,
cellule dell’epidermide
IFN
IFNa e b: leucociti
e fibroblasti
IFNg: linfociti T e NK
Induce la sintesi di molecole di adesione endoteliali;
stimola la produzione di prostaglandine; stimola la
sintesi di altre citochine e di chemochine; causa
febbre
Stimola gli epatociti a sintetizzare le proteine di fase
acuta; induce il differenziamento dei linfociti B in
plasmacellule
Inibisce la sintesi macrofagica di citochine
infiammatorie come IL-1 e TNFa; inibisce
la produzione di alcuni mediatori dell’infiammazione tra cui l’ossido nitrico
Antivirali
TNFa
Macrofagi, linfociti T
Antivirale; potentissimo attivatore dei macrofagi;
aumenta l’espressione di MHC potenziando
la presentazione dell’antigene
Ad alte concentrazioni provoca shock settico
A basse concentrazioni induce la sintesi di molecole
di adesione endoteliali; stimola la produzione di
prostaglandine; stimola la sintesi di altre citochine
e di chemochine; causa febbre; attiva vari tipi di
leucociti
IL, interleuchina; TNF, fattore di necrosi tumorale; IFN, interferone.
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PARTE II • Patologia generale
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come progressione di un’infiammazione acuta o dopo episodi ripetuti di infiammazione acuta; questo accade quando l’agente eziologico non viene distrutto o quando persiste materiale necrotico nel sito infiammato;
in risposta a infezioni persistenti di agenti microbici capaci di resistere o sottrarsi alla fagocitosi che inducono reazioni di ipersensibilità ritardata. È il
caso dei bacilli tubercolare e della lebbra;
dopo prolungata esposizione a sostanze di potenziale bassa tossicità. Si tratta
di sostanze non degradabili e non rimosse dalla fagocitosi; ne sono un esempio particelle di silicio o di carbone inalate, scaglie di legno o vetro a livello
cutaneo;
come conseguenza di una malattia autoimmune. La cronicizzazione del processo è dovuta la fatto che l’autoantigene che attiva il sistema immunitario
non viene mai eliminato perché è normalmente espresso nel nostro organismo. Processi infiammatori cronici su base autoimmune possono essere localizzati in particolari organi, come nel caso della tiroidite, o sistemici, come
nel lupus eritematoso e nell’artrite reumatoide.
Anche difetti che compromettono la fagocitosi (per esempio, deficit di fattori
del complemento) o l’uccisione del patogeno (per esempio, mancata produzione
di intermedi reattivi dell’ossigeno) provocano infiammazione cronica.
È caratterizzata da un abbondante infiltrato cellulare composto da macrofagi, linfociti e plasmacellule. I macrofagi secernono grandi quantità di enzimi
litici inducendo una progressiva distruzione tessutale. Contemporaneamente,
viene attivato un tentativo di riparazione tessutale che porta alla deposizione di
collagene (fibrosi) e alla formazione di nuovi vasi dalla rete vascolare preesistente (angiogenesi) che favoriscono l’apporto di cellule e materiali utili alla riparazione tessutale e facilitano la rimozione dei detriti cellulari derivanti dalla
necrosi.
Come si articola il processo infiammatorio cronico: ruolo del macrofago
Il macrofago è il protagonista dell’infiammazione cronica e compare nel sito del
danno dopo circa 48 ore dall’evento scatenante. L’accumulo di monociti-macrofagi nel focolaio flogistico è favorito dalla produzione di fattori chemotattici
e dall’espressione di molecole di adesione endoteliali che permettono ai monociti di interagire con l’endotelio prima di trasferirsi nei tessuti dove si differenziano in macrofagi. Nell’infiammazione cronica l’accumulo di macrofagi diventa
persistente perché essi vengono reclutati continuamente e immobilizzati nel focolaio infiammatorio a opera di una proteina, il fattore immobilizzante i macrofagi; qui possono sopravvivere per mesi. In qualche caso si osserva proliferazione locale dei macrofagi. Queste cellule possono essere attivate da citochine,
in particolare dall’interferone g (INFg), o da prodotti batterici: questo comporta
un aumento delle dimensioni con notevole arricchimento di organuli cellulari. Il
macrofago attivato, oltre a essere un eccellente fagocita, secerne mediatori infiammatori, radicali liberi dell’ossigeno, enzimi litici, citochine, fattori di crescita
e angiogenici. Inoltre, coopera con i lifociti T e B (v. Cap.1). Tuttavia, alcune delle
molecole secrete possono arrecare danni anche al tessuto sano. Infatti, l’infiammazione cronica determina una progressiva distruzione tessutale. Inoltre,
il macrofago è in grado di produrre fattori che stimolano anche la riparazione
tessutale: fattori di crescita per fibroblasti ed endotelio inducono, rispettivamente,
fibrosi e angiogenesi.
Tutto ciò spiega perché il tentativo di riparazione procede contemporaneamente alla distruzione tessutale.
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Infiammazione • CAPITOLO 4
I macrofagi possono trasformarsi in cellule epitelioidi, poco efficienti come
fagociti, ma dotate di una marcata attività secretoria. Dalla fusione di più macrofagi prendono origine le cellule giganti multinucleate.
Anche i linfociti T e B e le plasmacellule (v. Cap. 1) possono far parte dell’infiltrato nell’infiammazione cronica.
Come si presenta l’infiammazione cronica
I quadri morfologici dell’infiammazione cronica dipendono dall’agente eziologico, dal tipo di cellule che costituiscono l’infiltrato e dall’intensità dei processi
distruttivi/riparativi. In alcuni casi, l’infiltrato infiammatorio di cellule mononucleate è diffuso nel tessuto; è quanto frequentemente accade nella cronicizzazione di processi acuti. Un esempio è l’epatite cronica, in cui si osserva un’infiltrazione degli spazi portali a opera di macrofagi e linfociti.
In altri casi si osserva la formazione di un granuloma, ovvero un nodulo per
lo più costituito da un ammasso centrale di macrofagi, cellule epitelioidi e qualche cellula gigante, circondato da linfociti e fibroblasti. Con il tempo questi ultimi producono collagene che forma una sorta di capsula connettivale che delimita fisicamente il granuloma. Si distinguono, a seconda della patogenesi, due
principali tipi di granuloma:
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granuloma da corpo estraneo: sostanze inerti, scarsamente solubili, o fibre troppo voluminose per essere fagocitate vengono circondate da macrofagi, cellule epitelioidi e giganti. Non si osservano linfociti. Il corpo estraneo
può essere di origine endogena (cristalli di acido urico, osso necrotico) o esogena (talco, punti di sutura, silice);
granuloma di tipo immunologico: alcuni patogeni intracellulari sono resistenti alla degradazione lisosomiale da parte dei macrofagi. Gli antigeni del
microrganismo fagocitato vengono presentati ai linfociti T CD4+ (v. Cap. 1) che
producono citochine che concorrono alla formazione del granuloma (Fig. 4.5).
Un esempio tipico di granuloma immunologico è il tubercolo che si forma in
seguito a infezione da Mycobacterium tuberculosis, agente eziologico della tubercolosi. Il tubercolo è una lesione focale caratterizzata da un nucleo centrale
di necrosi caseosa, contenente micobatteri e residui necrotici dei macrofagi,
circondato da un manicotto di macrofagi attivati, cellule epitelioidi e qualche
cellula gigante. Più esternamente si trova una corona di linfociti, il tutto circondato da fibroblasti (Fig. 4.6). Anche Mycobacterium leprae, agente eziologico della lebbra, e Treponema pallidum, che causa la sifilide, inducono lesioni
granulomatose.
Qualche esempio di patologie associate a infiammazione cronica
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Artrite reumatoide: malattia autoimmune che interessa soprattutto le articolazioni, il cui tessuto cartilagineo viene progressivamente distrutto.
Lupus eritematoso sistemico (LES): è una malattia autoimmune in cui sono
rilevabili in circolo autoanticorpi diretti contro varie strutture cellulari e, in
particolare, contro il nucleo. Si riscontra infiammazione cronica a livello di
vari tessuti tra cui articolazioni, rene, sierose e sistema nervoso centrale.
Aterosclerosi: nella placca ateromasica, i macrofagi si accumulano sotto
l’endotelio delle arterie e secernono citochine, enzimi, fattori di crescita e
vari mediatori infiammatori. Inoltre, i macrofagi fagocitano grandi quantità
di colesterolo, trasformandosi in cellule schiumose che contribuiscono alla
progressione della lesione (v. Cap. 7).
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PARTE II • Patologia generale
agente flogogeno
incapacità a digerirlo
persistenza dell'agente patogeno
risposta cellulo-mediata
sequestro all'interno dei macrofagi
reclutamento di macrofagi con formazione di cellule giganti ed epitelioidi
GRANULOMA
Figura 4.5
Meccanismi di formazione del granuloma di tipo immunologico.
macrofagi attivati
linfociti
necrosi caseosa
fibroblasti
cellule giganti
Figura 4.6
Il granuloma tubercolare o tubercolo.
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Infiammazione • CAPITOLO 4
EFFETTI SISTEMICI DELL’INFIAMMAZIONE
Nonostante l’infiammazione sia un fenomeno prevalentemente locale, vi sono delle
condizioni in cui i suoi effetti si ripercuotono sull’intero organismo. Quando essa
raggiunge notevoli proporzioni per intensità ed estensione, le citochine (IL-1, IL-6
e TNFa) prodotte in gran quantità raggiungono organi molto distanti che possiedono i rispettivi recettori. Tali organi rispondono a questo segnale di allarme promuovendo delle reazioni sistemiche, di seguito brevemente descritte, che hanno
l’obiettivo di potenziare nell’intero organismo la risposta difensiva.
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Leucocitosi. L’aumento del numero dei leucociti nel sangue è causato dall’effetto di alcune citochine che agiscono sui precursori ematopoietici midollari stimolando il loro differenziamento a leucociti. A seconda dell’intensità della stimolazione, il loro numero può passare da 5000 a 20.000/mm3 in
poche ore. Nella maggior parte delle infiammazioni acute tale incremento riguarda i neutrofili: batteri piogeni e necrosi tessutali inducono leucocitosi
neutrofila (o neutrofilia). Nel caso di infezioni virali si ha linfocitosi, mentre
nell’allergia si può osservare eosinofilia.
Proteine di fase acuta. Le citochine, e in particolare l’IL-6, inducono gli epatociti a sintetizzare una serie di proteine chiamate di fase acuta. Tra queste
si ricordano le molecole della famiglia delle pentraxine, tra cui la proteina C
reattiva (PCR) e la proteina precursore dell’amiloide sierica A. Tali proteine
potenziano la risposta immune innata agendo come opsonine, cioè ricoprendo il patogeno e stimolando la fagocitosi, o attivando il complemento.
La concentrazione plasmatica di PCR aumenta marcatamente poche ore dopo
l’inizio del processo infiammatorio per ritornare a livelli basali rapidamente
dopo la rimozione dello stimolo lesivo: ecco perché il dosaggio della PCR è
routinariamente utilizzato per valutare la presenza o la risoluzione di un processo infiammatorio. Un test di laboratorio ancora molto utilizzato è la misurazione della velocità di eritrosedimentazione (VES), che è più elevata nelle
infiammazioni. La VES è indice indiretto dell’aumento della concentrazione
plasmatica di un’altra proteina di fase acuta, il fibrinogeno, che persiste in
circolo a lungo dopo la risoluzione del processo infiammatorio.
Febbre. Si tratta di un innalzamento della temperatura corporea di 1-4 °C
provocato dall’effetto delle citochine circolanti sull’ipotalamo (v. Cap. 9). La
febbre ha un duplice effetto: ritarda la proliferazione dei patogeni, la cui crescita è ottimale a 37 °C, e potenzia le difese immunitarie. L’immunità acquisita, infatti, è più efficiente a temperature più elevate.
Shock settico. Quando un paziente è sottoposto a una grave infezione, soprattutto da batteri Gram-negativi, la concentrazione di citochine infiammatorie in circolo può essere molto elevata e causare shock settico. È l’endotossina batterica a indurre un’enorme produzione di TNFa e di altre citochine che inibiscono la contrattilità del miocardio e provocano vasodilatazione generalizzata a causa della massiccia produzione di ossido nitrico.
Tutto ciò comporta la caduta della pressione arteriosa e il collasso cardiocircolatorio (v. Cap. 15) gravato da un’alta mortalità. Il dosaggio sierico del
TNFa può essere predittivo dell’esito di un’infezione da Gram-negativi.
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