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CONFIMI
Rassegna Stampa del 25/09/2014
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INDICE
CONFIMI
25/09/2014 La Voce di Mantova
Lo sfogo di Ferrari (Api): "L'Italia è un Paese che affonda"
12
25/09/2014 La Voce di Mantova
L'Italia a picco, ma bisogna tentare ancora
13
25/09/2014 La Voce di Mantova
Cinque proposte di riforma per rilanciare il sistema
15
CONFIMI WEB
24/09/2014 www.corriere.it 19:21
Lavoro: Agnelli (Confimi), basta strumentalizzare art. 18
18
24/09/2014 www.milanofinanza.it_DowJones 19:21
Lavoro: Agnelli (Confimi), basta strumentalizzare art. 18
19
24/09/2014 agenparl.com 16:06
ART.18: AGNELLI (CONFIMI), BASTA STRUMENTALIZZAZIONE CONTRO IMPRESE E
LAVORATORI
20
24/09/2014 impresamia.com 16:07
LAVORO - Riforma: Agnelli (Confimi), basta strumentalizzazione sull'art. 18 contro
imprese e lavoratori
21
SCENARIO ECONOMIA
25/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale
La questione italiana, governance debole e alta mortalità
23
25/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Pisauro-Padoan, i conti (pubblici) non tornano
24
25/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Ntv, il negoziato con gli istituti e l'aumento di 70 milioni
25
25/09/2014 Il Sole 24 Ore
«Sotto pressione la Russia si ricompatta»
26
25/09/2014 Il Sole 24 Ore
Sale la pressione su Merkel e Bce
29
25/09/2014 Il Sole 24 Ore
Sull'articolo 18 lasciamo spazio alla contrattazione fra le parti
31
25/09/2014 Il Sole 24 Ore
«Più flessibilità in uscita e meno contratti d'ingresso»
33
25/09/2014 La Repubblica - Nazionale
Draghi: "Per la ripresa il credito non basta servono più fiducia e investimenti
pubblici"
34
25/09/2014 La Repubblica - Nazionale
"Impuniti molti illeciti gravi, testo da cambiare"
36
25/09/2014 La Repubblica - Nazionale
Sotto mille euro quasi la metà dei pensionati e gli adeguamenti arrivano in ritardo
37
25/09/2014 La Repubblica - Nazionale
Telecom verso una cessione a termine dell'Argentina a Fintech
38
25/09/2014 La Stampa - Nazionale
NON È UN PAESE PER GIOVANI
39
25/09/2014 La Stampa - Nazionale
"La disoccupazione è il nemico dell'Europa"
40
25/09/2014 MF - Nazionale
Poste, allarme su conti e ipo
41
25/09/2014 MF - Nazionale
I tedeschi perdono fi ducia E l'euro scende sotto 1,28 contro dollaro
42
25/09/2014 MF - Nazionale
Contratto dei bancari, si accende lo scontro sulla busta paga
44
25/09/2014 MF - Nazionale
CCIGMall, l'Italia prima tappa
45
25/09/2014 MF - Nazionale
Clarich: nuovo corso per gli Enti
46
25/09/2014 Panorama
Centomila posti di lavoro. E non scherziamo
47
25/09/2014 Panorama
Con l'illegalità non si fa il Pil
49
25/09/2014 Panorama
Sindacati &privilegiati
50
SCENARIO PMI
Il capitolo non contiene articoli
CONFIMI
articoli
25/09/2014
La Voce di Mantova
Pag. 1
Il presidente di Apindustria Francesco Ferrari scrive ai colleghi per dire che così non è più possibile andare
avanti perchè il paese sta affondando. In una lettera l'attacco alla politica che non è all'altezza dei compiti a
cui è chiamata. Un'ultima esortazione a tentare ancora e Ferrari avanza cinque proposte di riforma per
evitare, che la galea Italia venga abbandonata da chi ha perso la voglia di impegnarsi e non crede più nel
futuro del Paese. «Siamo in una situazione di bonaccia e la galea Italia non riesce ad intercettare la lieve
brezza della ripresa utilizzando solo le vele. Occorre remare». Questo in sintesi è quanto scrive Francesco Fe
r r a r i , presidente di Api Mantova, in una lettera aperta a tutte le aziende associate. Pagina 12
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Lo sfogo di Ferrari ( Api ): "L'Italia è un Paese che affonda"
25/09/2014
La Voce di Mantova
Pag. 12
L'Italia a picco, ma bisogna tentare ancora
Uno sfogo contro la politica che non è all'altezza del compito a cui è chiamata
Il presidente di Apindustria Francesco Ferrari scrive ai colleghi per dire che così non è più possibile andare
avanti perchè il paese sta affondando. In una lettera l'attacco alla politica che non all'altezza dei compiti a cui
è chiamata. Un'ultima esortazione a tentare ancora e Ferrari avanza cinque proposte di riforma per evitare,
che la galea Italia venga abbandonata da chi ha perso la voglia di impegnarsi e non crede più nel futuro del
Paese. «Siamo in una situazione di bonaccia e la galea Italia non riesce ad intercettare la lieve brezza della
ripresa utilizzando solo le vele. Occorre remare». Questo in sintesi è quanto scrive Francesco Ferrari ,
presidente di Api Mantova, in una lettera aperta a tutte le aziende associate. Non è più tempo di
contrapposizioni, di rendite di posizione, di inefficienza della macchina pubblica e di spese fuori controllo.
Questo è il tempo in cui ognuno deve fare la sua parte per il bene del Paese. Non è nuovo Francesco Ferrari
a lettere di questo tipo. Una richiesta inviata direttamente al Capo dello Stato in occasione della festività del
primo maggio ha avuto l'onore di essere citata espressamente da Giorgio Napolitano durante il suo discorso
sul lavoro. «Ho deciso di scrivere ai colleghi imprenditori per un confronto - racconta il presidente Ferrari - e
per condividere alcune considerazioni su questo nostro Paese che sembra aver smarrito la rotta per uscire da
questa situazione di degrado economico e morale». Inizialmente la lettera parte come uno sfogo per un
Paese che ha perso i punti di riferimento e sembra fornire tutela e coperture a chiunque tranne che alle
persone serie, a quelli che si vogliono impegnare e sacrificare, agli imprenditori seri e ai loro dipendenti che
vogliono lavorare. «Scrivo per un confronto e per condividere alcune considerazioni su questo nostro Paese
che sembra aver smarrito la rotta per uscire da questa situazione di degrado economico e morale - esordisce
nella lettera il Presidente di Apindustria - purtroppo non serve essere degli economisti per accorgersi di alcuni
segnali sempre più preoccupanti come ad esempio il fatto che il mancato pagamento di una fattura sia
diventato un'abi tudine e che non ci siano strumenti per ottenere il rispetto dei propri diritti». Francesco Ferrari
non risparmia critiche anche alla politica. In un altro passaggio si legge: «Senza dimenticare anche uno dei
guai più grossi del Paese: una pubblica amministrazione e una politica non all'altezza dei compiti che è
chiamata a svolgere. Per la politica basti pensare al fatto che dopo ve n t 'anni da tangentopoli ci ritroviamo
con i casi Mose e Expo che sono degli schiaffi per le persone oneste e una pubblicità negativa per tutto il
Paese e soprattutto per chi volesse venire ad investire in Italia». Ma dopo le critiche e lo sfogo arriva il
momento dell'impe gno e dell'esortazione a fare qualcosa. «Se questa è la situazione cosa bisogna fare per
provare ad avere l'ultima possibilità di invertire la rotta prima della definitiva rovina? Forse c'è ancora
qualcosa da tentare prima di abbandonare la nave per salire sopra una scialuppa che sul fianco ha scritto
"emi grazione" e che vede moltissime imprese e giovani cercare il proprio futuro all'estero dove, in alcuni
paesi, esiste ancora un po' di meritocrazia - aggiunge il presidente di Apindustria - Io dico che dobbiamo
smettere di garantire tutto a tutti, occorre guardare ai problemi e risolverli, è il momento di tagliare e ridurre le
spese all'insegna di quello che dicevano i nostri nonni: "Se se pol mia se fa sensa"». E da queste
considerazioni Francesco Ferrari fa scaturire cinque riforme coraggiose per evitare che la galea Italia sia
abLe imprese in questo stato di precarietà economica non posso assumere personale a tempo indeterminato
bandonata da chi ha perso la voglia di impegnarsi e non crede più nel futuro del Paese. Come primo passo si
propone una repubblica presidenziale per consentire a chi abbia vinto le elezioni di governare, di proporre
progetti e obiettivi e di essere valutato alla successiva tornata elettorale con la rielezione o meno. "È ora di
finirla con le poltrone adesive" s c r ive con verve polemica Ferrari. In secondo luogo riduzione delle tasse sì,
ma da subito abolizione dell'Irap: una tassa ingiusta e controproducente. «Più creo occupazione e lavoro e
più lo stato mi penalizza» sbotta il presidente di Apindustria. A seguire Ferrari invita ad una revisione delle
Regioni e delle autonomie che sono servite solo ad aumentare la burocrazia e a moltiplicare le spese e gli
sprechi. «Occorre avere il coraggio di tornare ad un coordinamento centrale per mettere fine al moltiplicarsi di
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Il presidente di Api Mantova scrive agli imprenditori che il paese è ormai una barca che affonda
25/09/2014
La Voce di Mantova
Pag. 12
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
leggi, leggine e decreti diversi da regione a regione, da provincia a provincia, da comune a comune con il
risultato di sfrondare una giungla burocratica ormai ingestibile» rileva ancora il presidente. Al quarto posto la
burocrazia che quando è efficiente serve ed è utile ma che invece nel nostro Paese serve solo ad intralciare,
creando problemi ad hoc solo per il gusto di risolverli, naturalmente in tempi biblici. «La privacy è un esempio
di legge assurda - aggiunge Ferrari - in Italia funziona al contrario: impone adempimenti inutili alle imprese e
impedisce agli imprenditori seri di avere informazioni chiare e credibili sui propri interlocutori». La proposta
più importante è l'ultima e riguarda il lavoro ma quello vero, fatto di impegno, sacrificio e servizio, quello citato
dalla Costituzione e non quello che si è smarrito tra discipline assurde e articolo 18. «Non è più tempo di
contrapposizioni impresa-lavoratore afferma Ferrari - non serve molto a capire che l'imprendi tore non può
fare a meno del dipendente e che tanto più l'azienda è in salute ed ha prospettive tanto più assume. Non c'è
più spazio per chi non ha voglia di lavorare o non s'im medesima negli obiettivi aziendali e non c'è più spazio
anche per le coperture che, soprattutto in passato, queste persone riuscivano a ottenere all'insegna del
principio sindacale che tutti sono uguali». Un testo forte e ricco di spunti questo di Francesco Ferrari, un
imprenditore e presidente di un'associazione di categoria che ha voluto uscire allo scoperto e lanciare delle
proposte chiare e realizzabili. Il tutto sta a capire se adesso qualcuno coglierà la sfida o se invece, come
spesso accade in questo Paese, l'indifferenza sterilizza qualsiasi tipo di stimolo. «Sicuramente una cosa è
certa - conclude nella sua lettera il Presidente di Apindustria dobbiamo remare forte, tutti insieme, alla svelta
e nella stessa direzione. Lo dobbiamo al nostro Paese che tanto amiamo, ai nostri figli e nipoti e soprattutto lo
dobbiamo a noi stessi».
25/09/2014
La Voce di Mantova
Pag. 12
Nella sua lettera agli imprenditori il presidente di Apindustria Francesco Ferrari avanza cinque proposte di
riforma. Una politica che decide Un paese si deve prima di tutto poter governare. Mi viene in mente
l'immagine dell'automobile con cinque persone a bordo che tuttavia è guidata da un solo conducente che ne
decide il percorso per giungere alla meta e soprattutto può evitare il burrone senza procedere prima ad una
discussione con doppie e triple votazioni. Per fare questo serve una repubblica presidenziale dove chi è
eletto nel suo mandato temporale ha possibilità di scegliersi una squadra per portare a termine un
programma in tempi brevi riducendo al minimo il mercato dei compromessi. Il tempo è essenziale: quello che
serve oggi domani potrebbe essere inutile. Occorre finirla con "le poltrone adesive": la forza della democrazia
sta nel fatto che a fine mandato il presidente sarà giudicato per quanto fatto e se il lavoro sarà positivo avrà la
possibilità di un altro giro, ma poi si cambi. Via le tasse assurde Per far ripartire le imprese poi e renderle
competitive bisogna ridurre la fiscalizzazione. È una cosa talmente evidente che non capisco come non sia
già stata realizzata magari anche solo con l'abolizione dell'Irap: una tassa ingiusta e controproducente. Più
creo occupazione e lavoro e più lo stato mi penalizza. Basta il buonsenso per capire che dovrebbe essere il
contrario: solitamente se acquisto più merce, il mercato mi fa lo sconto o quantomeno mi agevola. È evidente
che sarei un cittadino sconsiderato se pensassi di non pagare le tasse in quanto il debito pubblico purtroppo
non si paga da solo. No al disordine istituzionale Forse è il momento di ripensare lo strumento Regione. In
linea di principio autonomia e premialità sono cose sacrosante. Ma allo stato dei fatti le regioni hanno portato
solo aumento di burocrazia, assunzione indiscriminata di personale con il fatto che aumenta il bilancio ma in
modo autoreferenziale e solo per pagare il personale a fronte di servizi pochi e mal gestiti. Allora occorre
avere il coraggio di un ritorno ad un coordinamento centrale che riduce la corruzione ed i costi e consente di
parificare i territori in un contesto di Europa. In tal modo si metterebbe anche fine al moltiplicarsi di leggi,
leggine e decreti diversi da regione a regione, da provincia a provincia, da comune a comune con il risultato
di sfrondare una giungla burocratica ormai ingestibile. Burocrazia efficiente La burocrazia buona ed efficace
serve, basta pensare a quanto è durato l'impero romano. Ma la burocrazia che abbiamo oggi è lì solo per
giustificare sé stessa e in altre parole crea problemi per poi poterli risolvere, naturalmente con tempi biblici.
Basta pensare alla legge sulla privacy che oltre a complicare tutto e ad aumentare il disboscamento
dell'Amazzonia per la sua sete inesauribile di carta è una legge di tutela al contrario. Infatti mentre io
imprenditore devo compilare e inviare moduli su moduli per dire semplicemente che tutelo i dati in mio
possesso (quando basterebbe pensare che se non sono scemo non diffonderei mai i riferimenti dei miei
dipendenti, clienti e fornitori migliori) non esistono sistemi per proteggermi da chi pretende o chiede credito
per truffare il prossimo. Perché non è possibile che chiunque suoni al campanello della mia impresa debba
presentarsi con le dovute credenziali, magari anche avvalorate da una certificazione che ne stabilisca
ufficialmente il merito creditizio? Non sarebbe auspicabile (e oggigiorno tecnicamente possibile) pubblicare su
un registro digitale consultabile on-line con le dovute cautele chi è insolvente o ha praticato operazioni a
vuoto? È il momento di finirla con chi non rispetta i codici etici e commerciali creando difficoltà a chi è serio. È
ora di stabilire chi è onesto e chi non lo è senza se e senza ma. L'incertezza boccia l'art. 18 Da ultimo, ma
non meno importante, il tema del lavoro. La nostra Costituzione dice che l'Italia è una Repubblica fondata sul
lavoro e non sull'as senteismo, la svogliatezza e tantomeno sullo stipendio, che è un dovere del datore di
lavoro e un diritto del lavoratore a fronte dell'impegno, del sacrificio e del lavoro svolto. È assurdo continuare
a fare modifiche in tutte le direzioni sui contratti a tempo determinato! Lo si vuole capire che l'im presa è
costretta a utilizzare questa possibilità per almeno due ragioni. La prima è che in una situazione economica
precaria come quella che stiamo vivendo le commesse sono un grosso punto di domanda. L'imprenditore
pertanto deve far i conti con il personale da utilizzare e non può permettersi di assumere a tempo
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Cinque proposte di riforma per rilanciare il sistema
25/09/2014
La Voce di Mantova
Pag. 12
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indeterminato con il rischio di avere poi troppi dipendenti per il lavoro che c'è da fare. Poi in questo caso
l'azienda chiude e l'occupazione non ci sarebbe più per nessuno. La seconda è che nel caso del contratto a
tempo indeterminato per l'im presa diventa difficile gestire un dipendente che abbia una scarsa propensione
al lavoro e all'impegno o alla crescita professionale. Non è più tempo di contrapposizioni impresa-lavoratore:
non serve molto a capire che l'imprenditore non può fare a meno del dipendente e che tanto più l'azienda è in
salute ed ha prospettive tanto più assume. Non c'è più spazio per chi non ha voglia di lavorare o non
s'immedesima negli obiettivi aziendali e non c'è più spazio anche per le coperture che, soprattutto in passato,
queste persone riuscivano a ottenere all'insegna del principio sindacale che tutti sono uguali. Il presidente di
Api Mantova Francesco Ferrari
CONFIMI WEB
4 articoli
24/09/2014
19:21
www.corriere.it
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19:21 ROMA (MF-DJ)--"L'art. 18 e' strumentalizzato per fini politici, elettorali e clientelari". Bisogna riadattare
"l'intero Statuto dei lavoratori" alle "esigenze dei cambiamenti avvenuti negli ultimi 40 anni", e non solo "l'art.
18". Lo ha dichiarato Paolo Agnelli, presidente di Confimi impresa. "E' avvenuto un grande cambiamento
della professionalita', della cultura, della scolarizzazione degli operai che ormai andrebbero definiti tecnici
specializzati aperti ad un mondo globale", ha aggiunto. "Occorre che cambino i corpi intermedi, a partire dalle
associazioni datoriali e sindacali, allo scopo di mettere in prima linea i lavoratori e le imprese superando le
sovrastrutture all'interno delle organizzazioni di rappresentanza che troppo spesso filtrano interessi, risorse e
pensieri dei rispettivi rappresentati", ha concluso Agnelli. com/fen (fine) MF-DJ NEWS 2419:21 set 2014
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 25/09/2014
18
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Lavoro: Agnelli (Confimi), basta strumentalizzare art. 18
24/09/2014
19:21
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Lavoro: Agnelli (Confimi), basta strumentalizzare art. 18
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ROMA (MF-DJ)--"L'art. 18 e' strumentalizzato per fini politici,
elettorali e clientelari". Bisogna riadattare "l'intero Statuto dei
lavoratori" alle "esigenze dei cambiamenti avvenuti negli ultimi 40 anni",
e non solo "l'art. 18".
Lo ha dichiarato Paolo Agnelli, presidente di Confimi impresa. "E'
avvenuto un grande cambiamento della professionalita', della cultura,
della scolarizzazione degli operai che ormai andrebbero definiti tecnici
specializzati aperti ad un mondo globale", ha aggiunto.
"Occorre che cambino i corpi intermedi, a partire dalle associazioni
datoriali e sindacali, allo scopo di mettere in prima linea i lavoratori e
le imprese superando le sovrastrutture all'interno delle organizzazioni di
rappresentanza che troppo spesso filtrano interessi, risorse e pensieri
dei rispettivi rappresentati", ha concluso Agnelli.
com/fen
(fine)
MF-DJ NEWS
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 25/09/2014
19
24/09/2014
16:06
agenparl.com
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(AGENPARL) - Roma, 24 set - L'art. 18 è strumentalizzato per fini politici, elettorali e clientelari, mentre non
solo l'art. 18 ma l'intero Statuto dei lavoratori va riadattato alle esigenze dei cambiamenti avvenuti negli ultimi
40 anni", questo il commento del Presidente di Confimi Impresa Paolo Agnelli.
"Sono cambiati i mercati, l'assetto geopolitico ed economico dell'Europa stessa, è caduto il muro di Berlino, il
comunismo ha fallito, non c'è più la lira con le sue svalutazioni competitive, l'Italia non ha più la propria
sovranità;" - prosegue Paolo Agnelli - "oggi abbiamo l'Europa con i suoi obblighi, c'è l'euro, la moneta più
forte del mondo, e abbiamo aperto le frontiere ad una globalizzazione spesso selvaggia".
"Inoltre è avvenuto un grande cambiamento della professionalità, della cultura, della scolarizzazione degli
operai che ormai andrebbero definiti tecnici specializzati aperti ad un mondo globale. Il lavoro non è più su
base muscolare e sull'operatività manuale, ma è un lavoro legato a touch screen, plc, meccatronica, digitale e
non più a falce, badile e martello, in un Paese da cui la manifattura semplice si è spostata totalmente nei
paesi emergenti il cui costo del lavoro è irrisorio"
"Di fronte a questi cambiamenti - continua il Presidente Paolo Agnelli - pensare di usare un vecchio strumento
come lo Statuto dei lavoratori sarebbe come correre il gran Premio di F1 con una macchina d'epoca".
"Siamo sicuri di fare l'interesse di questi tecnici specializzati incentivando una cultura monoaziendale e con
un reddito basso a vita dilapidato dallo Stato? Non sarebbe meglio premiare la crescita, il merito e la mobilità
superando questi concetti di false sicurezze?"
Conclude Agnelli: "occorre che cambino i corpi intermedi a partire dalle associazioni datoriali e sindacali, allo
scopo di mettere in prima linea i lavoratori e le imprese superando le sovrastrutture all'interno delle
organizzazioni di rappresentanza che troppo spesso filtrano interessi, risorse e pensieri dei rispettivi
rappresentati".
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CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 25/09/2014
20
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ART.18: AGNELLI (CONFIMI), BASTA STRUMENTALIZZAZIONE CONTRO
IMPRESE E LAVORATORI
24/09/2014
16:07
impresamia.com
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L'art. 18 è strumentalizzato per fini politici, elettorali e clientelari, mentre non solo l'art. 18 ma l'intero Statuto
dei lavoratori va riadattato alle esigenze dei cambiamenti avvenuti negli ultimi 40 anni", questo il commento
del presidente di Confimi Impresa Paolo Agnelli.
"Sono cambiati i mercati, l'assetto geopolitico ed economico dell'Europa stessa, è caduto il muro di Berlino, il
comunismo ha fallito, non c'è più la lira con le sue svalutazioni competitive, l'Italia non ha più la propria
sovranità - prosegue Agnelli - oggi abbiamo l'Europa con i suoi obblighi, c'è l'euro, la moneta più forte del
mondo, e abbiamo aperto le frontiere ad una globalizzazione spesso selvaggia".
"Inoltre è avvenuto un grande cambiamento della professionalità, della cultura, della scolarizzazione degli
operai che ormai andrebbero definiti tecnici specializzati aperti ad un mondo globale. Il lavoro non è più su
base muscolare e sull'operatività manuale, ma è un lavoro legato a touch screen, plc, meccatronica, digitale e
non più a falce, badile e martello, in un Paese da cui la manifattura semplice si è spostata totalmente nei
paesi emergenti il cui costo del lavoro è irrisorio".
"Di fronte a questi cambiamenti - continua Agnelli - pensare di usare un vecchio strumento come lo Statuto
dei lavoratori sarebbe come correre il gran Premio di F1 con una macchina d'epoca".
"Siamo sicuri di fare l'interesse di questi tecnici specializzati incentivando una cultura monoaziendale e con
un reddito basso a vita dilapidato dallo Stato? Non sarebbe meglio premiare la crescita, il merito e la mobilità
superando questi concetti di false sicurezze?"
Conclude Agnelli: "occorre che cambino i corpi intermedi a partire dalle associazioni datoriali e sindacali, allo
scopo di mettere in prima linea i lavoratori e le imprese superando le sovrastrutture all'interno delle
organizzazioni di rappresentanza che troppo spesso filtrano interessi, risorse e pensieri dei rispettivi
rappresentati".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 25/09/2014
21
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
LAVORO - Riforma: Agnelli (Confimi), basta strumentalizzazione sull'art.
18 contro imprese e lavoratori
SCENARIO ECONOMIA
21 articoli
25/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 29
(diffusione:619980, tiratura:779916)
La questione italiana, governance debole e alta mortalità
di JACQUES ATTALI*
Il modello di economia positiva è un modello in cui tutte le decisioni, private, pubbliche, aziendali vengono
prese tenendo in considerazione l'interesse per le generazioni future, con i nostri bambini che in alcuni casi
vivranno fino al 2100. La misurazione dell'economia positiva si basa su una serie di indici, che considerano le
nazioni Ocse, ma non ancora aziende e città, su cui stiamo lavorando.
Questa classifica è stilata tenendo in considerazione una serie di parametri quali tasso di mortalità,
scolarizzazione, governance, sostenibilità dei modelli di sviluppo, rispetto dell'ambiente, indici demografici.
Tutti parametri di lungo periodo.
L'Italia si è classificata molto male nell'ultima misurazione, occupando la terz'ultima posizione, a causa della
governance , del tasso di mortalità, delle infrastrutture. Fortunatamente il posizionamento sta migliorando nel
2014 e l'Italia recupererà 7-8 posizioni grazie all'aumento del numero di donne in Parlamento, ma anche
perché sfortunatamente altre nazioni stanno peggiorando.
Le maggiori debolezze dell'Italia rimangono comunque la governance , gli indici demografici e l'elevatissimo
tasso di mortalità. A tal proposito sarebbe opportuno prendere come benchmark le politiche francesi sulla
demografia, quelle dei Paesi del nord Europa sulla gestione del tasso di mortalità e sull'ecologia.
Siamo stati molto felici che il primo evento del movimento per l'economia positiva fuori dalla Francia si sia
svolto in Italia, a San Patrignano, un segnale molto positivo.
Adesso lanceremo altri eventi dello stesso tipo a New York, in Cina, in Brasile e in tante altre nazioni, ma
l'Italia, con la sfida di migliorare il suo posizionamento, è un importante punto di partenza per la
globalizzazione del movimento per l'economia positiva.
L'innovazione è ovunque: nelle tecnologie, nei comportamenti sociali e in tantissimi altri aspetti. La
competizione è la chiave per raccogliere la sfida di puntare sull'innovazione, ma non dobbiamo solo
promuovere l'innovazione per ridurre i costi, dobbiamo guardare all'innovazione per migliorare la qualità della
vita e avere prodotti più duraturi, e per tenere a mente che il fine ultimo della produzione è quello di migliorare
la qualità della vita e del nostro tempo, compreso il tempo lavorativo.
* fondatore del movimento Economia positiva
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 25/09/2014
23
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Il commento
25/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 35
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Pisauro-Padoan, i conti (pubblici) non tornano
di Mario Sensini
L'Ufficio parlamentare di Bilancio, la nuova autorità indipendente sui conti pubblici, prevista dalle norme Ue
ed appena creata, ha già fatto i primi appunti al ministero dell'Economia. Nel mirino le previsioni
macroeconomiche tendenziali che il governo sta elaborando in vista della Nota di aggiornamento del Def,
attesa il primo ottobre. L'Ufficio di Bilancio deve «validare» le stime dell'esecutivo prima del varo dei
documenti ufficiali, ma lunedì scorso la nuova autorità guidata da Giuseppe Pisauro ha trasmesso al Mef i
suoi «rilievi» sul quadro macro, ancora provvisorio, che il governo gli aveva sottoposto due settimane fa. E lo
stesso Pisauro, ascoltato ieri in Parlamento, ha avvertito che la mancata approvazione delle stime
«implicherebbe valutazioni negative da parte della Ue». Tra oggi e domani il Tesoro dovrebbe inviare all'Upb
il quadro delle previsioni aggiornato. Il via libera dell'Ufficio, con una lettera formale, deve avvenire entro il 29
settembre. La Nota di aggiornamento, quest'anno, conterrà per la prima volta anche le stime
«programmatiche», che tengono conto dell'impatto delle riforme in cantiere, e che saranno delineate nel
Documento programmatico di Bilancio che arriverà, insieme alla legge di Stabilità, subito dopo, entro il 15
ottobre. Anche il quadro macro «programmatico», in ogni caso, dovrà essere «bollinato» dall'Ufficio
parlamentare prima della sua trasmissione a Bruxelles.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 25/09/2014
24
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Il commento
25/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 39
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Ntv, il negoziato con gli istituti e l'aumento di 70 milioni
(f.mas. ) Dovrebbe essere di circa 70 milioni - dunque un po' meno dei 100 inizialmente ipotizzati - l'aumento
di capitale cui i soci di Ntv saranno chiamati per rimettere in piedi il gruppo concorrente a Trenitalia nell'Alta
Velocità con i treni Italo. La cifra finale della ristrutturazione - cui lavora l'advisor Lazard - dovrà essere
concordata con le banche (a cominciare da Intesa Sanpaolo, che è anche azionista al 20%), alle quali sarà
richiesta una partecipazione sotto forma di rinegoziazione dei debiti, stralcio o conversione in azioni. Intanto
dal punto di vista industriale il gruppo taglia dal 15 dicembre la tratta sperimentale adriatica (Rimini, Pesaro e
Ancona), causa l'alto costo del pedaggio, per ampliare le tratte su Napoli da Venezia e raddoppiare a 12 i
treni no-stop Roma-Milano, più redditizie. Resta il nodo della regolamentazione: Ntv aspetta ancora una
risposta dell'authority sui Trasporti all'esposto presentato mesi fa sulla determinazione dei criteri del costo dei
pedaggi e sulla loro determinazione, che Ntv vorrebbe fossro riscritti con una decisione definitiva e non con
provvedimenti provvisori.
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Kairos Julius Bär
diventa banca
(d.pol .) È pronta a trasformarsi in banca nel 2015 la Kairos Julius Bär sim, l'istituto di gestione patrimoniale di
Kairos. La domanda a Bankitalia sarà inoltrata a gennaio e la banca sarà operativa entro il 2015 per
completare i servizi per la clientela e aprire così l'attività di prestito. Paolo Basilico (foto ), fondatore e
presidente di Kairos ha presentato ieri conti e prospettive della sua azienda che ha festeggiato i 15 anni di
vita. La società che due anni fa ha dato vita un'alleanza nel wealth management con Julius Bär, socia con il
20%, gestisce 6,4 miliardi e ha registrato una crescita di oltre il 50% nell'ultimo anno e mezzo. Da gennaio hanno spiegato Basilico e il direttore generale Fabio Bariletti - la raccolta netta ha toccato un miliardo e
potrebbe raggiungere gli 1,2 miliardi a fine anno. In questa fase è un mestiere sfidante quello del gestore, con
clienti alla ricerca di rendimenti più alti ma non disposti ad assumere rischi e margini più bassi per l'azienda.
Kairos punta a mandati di peso di clienti istituzionali, come quello esclusiva con Norges. E vuole arruolare
figure di banchieri, indispensabili per la consulenza. È il caso di Beatrice Tamburi, arrivata da Pictet, e
Claudio Bartesaghi da Credit Suisse.
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Sabaf, quel balzo in Borsa dopo il dividendo straordinario
(f.mas. ) Non è usuale trovare di questi tempi un titolo che renda l'8%. Da ieri a Piazza Affari c'è Sabaf,
produttore di bruciatori e altri accessori per le cucine a gas e il lavaggio controllato da sempre dalla famiglia
Saleri. Da ieri i Saleri saranno più ricchi grazie al dividendo straordinario di 1 euro per azione deciso dal
consiglio. Il dividendo, 11,5 milioni totali, corrisponde appunto a un dividend yield dell'8%. Il titolo, che già
aveva corso parecchio in Borsa, ieri ha segnato un rialzo del 4,59% a quasi 13 euro, nonostante il gruppo come ricordano gli analisti di Equita sim - debba ricorrere all'indebitamento per finanziare l'esborso.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 25/09/2014
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Sussurri & Grida
25/09/2014
Il Sole 24 Ore
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«Sotto pressione la Russia si ricompatta»
Antonella Scott
«Non posso più andare in Australia, vorrà dire che i canguri li dovrò vedere allo zoo». Vladimir Yakunin (foto)
è beffardo mentre racconta le sanzioni contro la Russia dal punto di vista di chi le subisce. E lo diventa
ancora di più quando spiega che anche l'America si sta affannando a dare la caccia ai suoi asset, da
congelare come quelli di Arkadij Rotenberg in Italia anche se il nome di Yakunin, il potente capo delle
Ferrovie russe, appare solo nella lista nera di Usa e Australia, non in quella europea. «Non hanno trovato
nulla - ironizza - ma cercano ancora».
Antonella Scott
BERLINO. Dal nostro inviato
Ai suoi occhi, tutto questo è assurdo: «Mi hanno posto sotto sanzioni perché sono un "personaggio
pubblico": ma non sono un funzionario dello Stato, non faccio parte del governo, non sono un politico. Però
conosco molte persone. Conosco Putin, ma anche Angela Merkel!».
Il cancelliere tedesco, però, tiene le distanze. E malgrado Yakunin si trovi a Berlino - in occasione di
InnoTrans 2014, la fiera internazionale dell'industria ferroviaria - lui stesso confessa che, «in queste
circostanze», è difficile che ci sia «qualche politico ansioso di incontrarmi». Nella Germania legata a filo
doppio all'economia russa il crescendo delle sanzioni ha reso sempre più difficile ai partner tradizionali di
Yakunin, come Deutsche Bahn o Siemens, manifestare apertamente la propria vicinanza, l'interesse verso
progetti che luccicavano fino a pochi mesi fa, come la costruzione dell'alta velocità tra Mosca e Kazan (sede
dei Mondiali 2018). Così il messaggio che lo zar dei treni russi trasmette da Berlino a un gruppo di giornalisti
europei è questo: «Le sanzioni mirano ad allontanare la Russia dai mercati europei verso quelli asiatici.
Laggiù potremo trovare ogni cosa».
Ma non sembra lo scenario preferito da Yakunin, e presumibilmente non lo è neppure per il presidente russo
con cui il capo di Rzd (l'acronimo delle Ferrovie russe) spiega con orgoglio di discutere varie questioni,
«quando richiesto». Al timone dal 2005, e riconfermato presidente fino al 2017, Yakunin (66 anni) ha salito la
scala del potere accanto a Putin: a Leningrado, all'interno del Kgb, al governo, ministero dei Trasporti. Ma
soprattutto, dal 1996, all'interno della cosiddetta "cooperativa del lago", un'associazione in cui si fa rientrare la
cerchia più stretta del presidente e che Yakunin ha descritto una volta come «piccolo gruppo di persone leali
al nostro Paese». Questa è la chiave: la Russia, priorità assoluta per il presidente e per i suoi uomini più
fedeli. Sempre più uniti ora che, a causa della crisi ucraina, il Paese è percepito sotto attacco. Convinto
sostenitore della preminenza dello Stato nell'economia, Yakunin sembra ora interpretare alla perfezione la
direzione imboccata dal presidente: serrare i ranghi e rafforzare ancora di più il controllo dei "falchi".
All'apparenza, almeno, le sanzioni non stanno spaccando l'élite russa. Mentre l'opinione pubblica, ricorda
Yakunin, affida a Putin un tasso di popolarità all'84%: «Non per nazionalismo. È il richiamo della storia». Che
insegna che «quando la Russia è sotto pressione, si ricompatta».
Stiamo tornando a uno scontro di civiltà? Con il modello americano probabilmente sì, risponde il capo di Rzd,
non tra la civiltà russa e quella europea. Nella sua visione è centrale l'integrazione del continente
euroasiatico: «Ho sempre sostenuto - spiega Yakunin - la necessità di una maggiore collaborazione tra
Russia ed Europa, il futuro è qui. Immaginate: noi abbiamo le risorse, gli spazi, e abbiamo bisogno della
tecnologia europea. Mettiamo insieme una popolazione di più di 500 milioni di persone, imprese di alto livello,
enormi possibilità di investimenti».
La ferrovia sarebbe il simbolo migliore di questa integrazione, Yakunin l'ha posta tra gli obiettivi strategici
della propria compagnia. Del resto, per Rzd il supporto degli investimenti europei è cruciale. Yakunin parla
della modernizzazione della Transiberiana, di alta velocità tra Pechino e Londra, di una nuova Via della Seta
su treno (piuttosto che su nave) cara alla Cina; invoca l'armonizzazione degli scartamenti per facilitare gli
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LO ZAR DELLE FERROVIE DI MOSCA
25/09/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 25/09/2014
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scambi. Progetti che la crisi ucraina costringe a rinviare: «In questa situazione - dice Yakunin - il budget russo
non può permettersi neppure di investire 20 miliardi di euro nel progetto dell'alta velocità Mosca-Kazan».
Un'idea che Yakunin considera lo strumento giusto per dare un impulso all'intera economia russa. Ma ora le
priorità sono altre: non potendo più raccogliere capitali sui mercati europei o americani, le grandi compagnie
di Stato stanno bussando una dopo l'altra alle porte del governo, chiedendo svariati miliardi: Rosneft,
Transneft, Gazpromneft. Sanno che la risposta sarà positiva. E anche Yakunin, come ha scritto nei giorni
scorsi l'agenzia Interfax, avrebbe fatto presente al premier Dmitrij Medvedev che senza un "aiuto" di 45
miliardi di rubli (900), e senza un'indicizzazione delle tariffe, le Ferrovie rischiano perdite per 60 miliardi, e una
massiccia riduzione del personale. Loro che sono il primo datore di lavoro in Russia.
A differenza di Yakunin, nella "lista nera" americana a titolo personale, le Ferrovie non appaiono nella lista
europea ma le sanzioni le riguardano in quanto compagnia di Stato, che non può effettuare emissioni
obbligazionarie nella Ue. «Questo potrebbe avere un impatto», ammette Yakunin, dopo aver affermato però
che per quest'anno la situazione è sotto controllo. Avendo previsto il rischio di stagnazione per la Russia
anche prima dello scoppio della crisi ucraina, la compagnia ha messo a punto un piano anti-crisi: tagli alle
spese del 10% e riduzione dell'orario di lavoro, mentre la raccolta di finanziamenti programmata per i mercati
europei si è conclusa nel primo trimestre. «E il prossimo anno, chissà cosa sarà successo! Dipende dai
politici», sospira Yakunin.
Tiene a marcare la differenza tra il loro mondo e quello del business. «Il business - insiste -, gli industriali, la
gente dell'economia reale, delle ferrovie, sono ancora interessati a sviluppare relazioni con la Russia, non
vogliono un deterioramento. Nessuno ha congelato i contatti con noi, credetemi».
Più che direttamente dalle sanzioni, il danno per le Ferrovie russe è venuto dalla guerra. Il transito attraverso
l'Ucraina verso l'Europa non si è mai fermato del tutto, ma il volume del traffico passeggeri si è ridotto del
44% mentre, per i collegamenti diretti tra Russia e Ucraina, il calo per il periodo gennaio-agosto è del 62%
rispetto allo scorso anno. Yakunin torna a recitare la lettura ufficiale russa della crisi mentre rimprovera
all'Europa «di non aver visto la rinascita del fascismo proprio alle porte di casa», ma è attento a non includere
il presidente ucraino Petro Poroshenko nella sua condanna: Poroshenko però «è molto instabile», dovrà
trovare la forza di proseguire sulla linea del compromesso concordato con Putin e con i leader occidentali. Ma
ora che il diavolo (del fascismo, ndr) è uscito dalla scatola, avverte Yakunin, «sarà molto difficile riportarlo
indietro».
Nel buio delle sue parole c'è uno spiraglio, proprio quando il presidente di Rzd attacca l'iniziativa dell'Ucraina
di costruire un muro che la difenda dalla Russia. «Un'idea folle - afferma - ma credetemi, faranno dei buchi
nel muro, ci apriranno dei passaggi. Perché anche loro sono interessati a sviluppare l'economia e, senza una
ferrovia, la collaborazione tra due Paesi non è possibile».
© RIPRODUZIONE RISERVATAIn percentuale Il tasso di popolarità di cui gode il presidente Putin in Russia
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LO ZAR E LA «COOPERATIVA DEL LAGO» Un presidente controverso
Vladimir Yakunin, 66 anni, è al timone delle Ferrovie russe dal 2005. E malgrado lo scorso anno fossero
circolate voci di dimissioni, in agosto la sua presidenza è stata riconfermata fino al 2017. Come Vladimir
Putin, Yakunin viene da Leningrado, oggi Pietroburgo, e come Putin ha lavorato nei servizi segreti. Fa parte
della cosiddetta "cooperativa del lago", un gruppo di persone rimaste vicine al presidente, la sua cerchia
ristretta. Yakunin è anche legato alla gerarchia ortodossa conservatrice. Nel 2013 Aleksej Navalnyj, il blogger
anticorruzione, ha legato Yakunin e le Ferrovie russe a un'intricata mappa di società offshore. In maggio
un'inchiesta Reuters ha denunciato una rete di subappalti sospetti.
In treno nel Paese più grande al mondo
Con una rete autostradale ben lontana dal poter servire un'economia moderna, nel Paese più esteso al
mondo il treno ha un ruolo strategico. La crisi ucraina e la difficoltà di trovare finanziamenti e proseguire la
collaborazione con i partner stranieri hanno frenato i progetti del potente monopolio: l'ampliamento e la
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Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 25/09/2014
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modernizzazione di una rete di 87mila km, la seconda al mondo per lunghezza dopo quella degli Stati Uniti. Il
numero dei passeggeri trasportati in un anno è di un miliardo, e le Ferrovie russe sono il principale datore di
lavoro in Russia. A causa della crisi ucraina, il traffico passeggeri in transito dalla Russia all'Europa è calato
del 44% tra gennaio e agosto rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.
Foto: In viaggio. Vladimir Yakunin (a sinistra), capo di Russian Railways, in treno con il presidente Putin
25/09/2014
Il Sole 24 Ore
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Sale la pressione su Merkel e Bce
Alessandro Merli
Continua la frenata dell'economia tedesca, secondo le indicazioni dei sondaggi fra le imprese, e solleva
nuove discussioni sulla possibilità che il governo possa ricorrere a un'azione di stimolo fiscale, finora sempre
respinta.
Alessandro Merli
FRANCOFORTE. Dal nostro corrispondente
E si discute se la debolezza della maggiore economia dell'Eurozona possa indurre la Banca centrale
europea ad acquisti di titoli di Stato.
L'indice Ifo, uno dei più seguiti indicatori dell'andamento dell'economia tedesca, ha segnato a settembre il
quinto calo mensile consecutivo, scendendo da 106,3 a 104,7, oltre le aspettative dei mercati finanziari. È il
più basso livello da un anno e mezzo a questa parte e il calo è esteso a tutti i settori. L'indice viene elaborato
dal centro studi bavarese Ifo sulla base di un sondaggio fra circa 7mila imprese.
«L'economia tedesca - ha detto il presidente dell'Ifo, Hans-Werner Sinn - non marcia più senza scosse». L'Ifo
nota che la crescita riceverà una spinta pressoché nulla dalle esportazioni, tradizionale punto di forza della
Germania. Fra i fattori di debolezza frequentemente citati, ci sono le ripercussioni della crisi ucraina con le
sanzioni alla Russia, le difficoltà degli altri due più grandi mercati dell'area euro, Francia e Italia, e il
rallentamento della Cina.
Il consenso sulle previsioni di crescita per quest'anno è attorno a 1,5% (contro una stima ufficiale del
Governo dell'1,8%), ma anche questo potrebbe essere a rischio, a parere di Joerg Kraemer, capo
economista di Commerzbank. Secondo Jonathan Loynes, di Capital Economics, il livello attuale dell'Ifo è
coerente una crescita dell'1%, mentre a primavera era al 3. Le aspettative delle imprese sono particolarmente
negative: per la prima volta dal gennaio 2013 il numero dei pessimisti supera quello degli ottimisti. Il dato
dell'Ifo conferma l'indice Pmi pubblicato martedì, anch'esso dopo un sondaggio fra le imprese, che si è
nettamente indebolito e, per quanto riguarda il settore manifatturiero, è appena al di sopra della soglia che
divide espansione da contrazione.
Nel suo bollettino mensile, pubblicato questa settimana, la Bundesbank ha rilevato che alcuni dei dati
positivi, come la produzione industriale di luglio, sono dovuti a fattori una tantum. La banca centrale ritiene
tuttavia che si siano dissolti i timori di una brusca fine della ripresa. Il mercato del lavoro, inoltre, resta
positivo, osserva la Bundesbank.
«Ci sono preoccupazioni per la crescita alla fine del terzo trimestre e rischi per il quarto», sostiene in una
nota Thomas Harjes, di Barclays Capital. È troppo presto tuttavia per dire che anche il 2015 andrà male,
secondo Andreas Rees, di Unicredit, che vede un quarto trimestre a crescita zero: l'anno prossimo, secondo
l'economista della sede di Francoforte della banca italiana, la ripresa sarà aiutata dalla svalutazione dell'euro
e dall'espansione degli Stati Uniti.
La scarsa performance dell'economia tedesca, che nel secondo trimestre aveva accusato una contrazione
dello 0,2%, sta già rinfocolando le discussioni sulle possibili misure di politica economica. Il governo finora ha
respinto ogni sollecitazione a un'azione di stimolo di bilancio con maggiori investimenti pubblici e un taglio al
cuneo fiscale, chiesta tra l'altro da uno dei suoi componenti, il sottosegretario al Lavoro, Joerg Asmussen, in
una lettera aperta firmata insieme al suo ex collega nel comitato esecutivo della Bce, Benoit Coeuré.
Il rallentamento della Germania potrebbe costituire inoltre una buona argomentazione per quella parte del
consiglio della Bce che vuole altri interventi, come l'acquisto di titoli pubblici (Qe), sostiene Kraemer, di
Commerzbank, secondo cui le previsioni dell'Eurotower di una crescita dell'1,6% nel 2015 sono troppo
ottimiste.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 25/09/2014
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BERLINO, L'EUROTOWER E IL RILANCIO DELL'ECONOMIA
25/09/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 25/09/2014
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25/09/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 6
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Sull'articolo 18 lasciamo spazio alla contrattazione fra le parti
di Giampaolo Galli Forse c'è un modo per riformare il nostro codice del lavoro, evitando scontri all'arma
bianca che rischiano di bloccare tutto. L'idea è la seguente. La legge definisce una nuova tipologia di
contratto a tempo indeterminato in cui, nel caso di licenziamento giudicato illegittimo, la sanzione è non più la
reintegra ma un indennizzo monetario crescente con l'anzianità di servizio come sembra essere nelle
intenzioni del governo. Per qualche tempo, questo nuovo contratto convive con il contratto a tempo
indeterminato oggi in vigore. A seguito della riforma, le imprese potrebbero quindi assumere con uno dei due
contratti. Se assumono con il contratto senza reintegra dovranno però pagare di più. Quanto di più? La legge
potrebbe affidare il compito di fissare il quantum alla contrattazione collettiva, nazionale o aziendale, salvo
definire, nelle more, una maggiorazione standard ad esempio del 5%. La contrattazione avrebbe il vantaggio
di obbligare tutte le parti a rivelare le loro vere preferenze. Se i sindacati ritengono che l'abolizione della
reintegra sia davvero un vulnus grave ai diritti non si accontenteranno del 5% fissato per legge e chiederanno
il 10 o il 15%. Le imprese accetteranno questa maggiorazione se pensano che l'abolizione della reintegra
valga davvero questo aggravio di costo. Una volta definito il quadro normativo e contrattuale, impresa e
lavoratore sono liberi di incontrarsi scegliendo l'uno o l'altro contratto. Un'impresa può decidere che in
generale o per certe mansioni la maggiorazione definita dal contratto è eccessiva e quindi continuerà a offrire
solo contratti tradizionali. Simmetricamente un lavoratore può decidere che, laddove venga offerto, è meglio
accettare un contratto che paga di più, ma è meno sicuro. Data l'attuale grave situazione della
disoccupazione, è ben possibile che un lavoratore non abbia in pratica la possibilità di scegliere e sia
costretto ad accettare l'unico contratto, con o senza reintegra, che gli viene proposto. Questo non dovrebbe
essere un problema perché comunque è tutelato dall'accordo sindacale che ha fissato a monte la
maggiorazione.
Possono verificarsi due casi estremi. Il primo è quello in cui nessuna azienda propone i nuovi contratti. In
questo caso avremo capito che per le aziende l'abolizione della reintegra non vale molto e la faccenda si
chiude lì, a meno che i lavoratori non facciano pressione sul sindacato per avere comunque l'opzione di una
maggiorazione anche se meno generosa. L'altro estremo è quello in cui le imprese offrono solo contratti
senza reintegra. In questo caso si capirebbe che per le imprese la flessibilità vale di più della maggiorazione
fissata nel contratto e questa circostanza darà ai sindacati la forza contrattuale per chiederne una revisione al
rialzo.
Si potrebbe obiettare che oggi i costi delle imprese vanno ridotti non certo aumentati e che un meccanismo
di contrattazione in cui non sono rappresentati giovani e disoccupati non porta al risultato ottimale. Questo è
vero e dunque il governo dovrebbe svolgere un ruolo di moral suasion, in nome degli esclusi, ad esempio
fissando la maggiorazione iniziale non al 5%, ma ad un livello più basso ed esentandola da tasse e contributi.
Un altro rimedio a questa possibile distorsione è quello di offrire non solo ai nuovi assunti, ma a tutti i
lavoratori la possibilità di passare al nuovo contratto, salvo consenso dell'azienda. In questo modo una parte
degli insiders farà pressione affinché la maggiorazione non sia troppo alta e tale da scoraggiare le imprese
dall'accettare i nuovi contratti. Sul piano politico il costo della maggiorazione va confrontato con le
contropartite che potrebbero risultare necessarie per trovare un accordo in Parlamento. A quanto ammonterà
l'indennizzo monetario che sostituirà la reintegra? Posto che il nuovo contratto viene da molti definito "unico",
cosa ne sarà dei contratti che oggi garantiscono la flessibilità in entrata? E quanto costerà alle imprese il
nuovo ammortizzatore universale? Anche al governo conviene un approccio graduale affidato alla libera
contrattazione perché esso non si può permettere una riforma del lavoro che sia giudicata negativamente
dalle imprese, come accadde per la legge Fornero.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 25/09/2014
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INTERVENTO
25/09/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 25/09/2014
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Un'obiezione di segno opposto lamenta che questo è un meccanismo di autoselezione che discrimina i
lavoratori collocandoli in due categorie: quelli bravi che chiederanno il nuovo contratto e i "fannulloni" che
vorranno tenere le vecchie tutele. Non pare una discriminazione di cui preoccuparsi. Anzi, il meccanismo è
virtuoso perché tanti fannulloni si rimboccheranno le maniche e diventeranno più produttivi per migliorare la
busta paga. Ne guadagneranno la produttività del sistema e il reddito delle persone.
Deputato Pd
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25/09/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 7
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«Più flessibilità in uscita e meno contratti d'ingresso»
«Ma dopo questa riforma l'Italia ha bisogno di regole stabili per sei o sette anni»
Davide Colombo
ROMA
«Abbiamo scelto Roma per due ragioni: perché è una città bellissima e perché l'Italia è il Paese dove siamo
cresciuti del 18% nel secondo trimestre». Patrick De Maeseneire, amministratore delegato di Adecco Sa,
leader mondiale nella gestione delle risorse umane, ha aperto così la due giorni romana dell'investor days
2014. Nonostante l'incertezza che ancora pesa sull'Europa l'obiettivo di performance per il 2015 resta un
ambizioso Ebitda margin sopra il 5,5% nel 2015 (4,4 per cento il dato atteso per quest'anno). «All'Italia serve
una nuova riforma del mercato del lavoro dopo gli interventi messi in campo due anni fa dal governo Monti spiega De Maeseneire in questa intervista con Il Sole24Ore -. Le nuove regole devono garantire un ambiente
legale più favorevole per le imprese impegnate a recuperare in competitività e la maggiore flessibilità sui
licenziamenti deve essere controbilanciata con un riordino dei contratti d'ingresso».
Nel nostro Paese in 20 mesi avete assunto 3mila persone a tempo indeterminato che lavorano con contratti
di somministrazione o di staff leasing. E l'anno scorso avete fatto assumere 150mila persone a 18mila
imprese. Che cosa vi aspettate dal Jobs Act del Governo Renzi?
Le nuove regole devono realizzare un ambiente di full flexibility, garantire certezze per chi deve fare scelte di
investimento. Gli Stati Uniti, che sono il Paese con il mercato del lavoro più flessibile, in sei anni sono tornati
a livelli di occupazione pre-crisi, temo che in Europa non sarà possibile prima del 2020. Per l'Italia ora
servono 6 o 7 trimestri di buona crescita economica, stabilità politica e regole fisse perché le imprese tornino
ad assumere con fiducia. Io vivo in Svizzera, un Paese dove grazie a regole stabili sui contratti il tasso di
disoccupazione è al 3%.
La scommessa del Governo è aumentare le assunzioni a tempo indeterminato dopo aver liberalizzato i
contratti a termine.
In anni favorevoli il 60% dei nostri contratti sono diventati a tempo indeterminato. Occorre abbassare le
barriere d'ingresso e dare garanzie sui costi di licenziamento. Ma per i contratti d'ingresso, quelli con le minori
tutele, va assicurata una retribuzione pari o maggiore rispetto ai contratti standard.
L'idea del compenso orario minimo va in questa direzione?
Sì, potrebbe essere una sperimentazione positiva. Nel bilanciamento tra flessibilità e stabilità vedremmo
anche con favore un superamento dei contratti a progetto o delle partite Iva in monocommittenza.
Sul fronte delle politiche attive il Jobs Act prevede anche una maggior collaborazione tra pubblico e privato e
la costituzione di un'Agenzia nazionale per l'occupazione.
È una scelta giusta. Adecco Italia ha realizzato ottime esperienze sul fronte dell'occupabilità dei giovani
partecipando a diversi programmi in Lombardia. Crediamo molto anche nell'idea del voucher versato
all'agenzia solo a obiettivo di ricollocamento o di formazione raggiunto. Anzi il voucher dovrebbe essere
collegato a un indice di occupabilità dell'individuo che si rivolge all'agenzia, per cui più sono basse le sue
chance di impiego più elevato è il voucher.
Questa riforma deve essere l'ultima riforma?
Il mercato del lavoro è il più complesso dei mercati. Soggetti e regole devono adattarsi continuamente in un
contesto di elevata competitività e volatilità finanziaria. Detto questo per l'Italia il nuovo set regolatorio
adottato deve essere stabile per almeno sei o sette anni, che è il tempo cui guarda un'impresa quando deve
investire in capitale umano.
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Foto: Patrick De Maeseneire
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 25/09/2014
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INTERVISTAPatrick De MaeseneireAmministratore delegato Adecco Sa
25/09/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 15
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Draghi: "Per la ripresa il credito non basta servono più fiducia e
investimenti pubblici"
JEAN-PIERRE ELKABBACH
PRESIDENTE DRAGHI, L' EUROPA E la Francia possono dare un nuovo impulso alla crescita. Si dirà che lei
lo ha già fatto a giugno e a settembre. Se la disoccupazione continuasse a crescere, la Bce ha modo di
stimolare ulteriormente l'economia? «La politica monetaria resterà accomodante per un periodo di tempo
relativamente lungo. Il consiglio dei governatori si è unanimemente impegnato a ricorrere a tutti gli strumenti
a sua disposizione nel quadro del proprio mandato per fare in modo che l'inflazione torni a un livello inferiore
al due per cento. I tassi di interesse resteranno al livello attuale, perché non possono scendere ancora di
molto, per un periodo prolungato».
In Europa, con un'inflazione così bassa, c'è il rischio di deflazione o addirittura di recessione? «Per la zona
euro non vediamo il rischio di deflazione, ma il rischio di un'inflazione troppo debole per troppo tempo. Inoltre,
la ripresa è modesta, debole, ineguale e fragile. Ma non si tratta di recessione».
Avete molta liquidità alla Bce? «Sì, naturalmente. D'altronde lo abbiamo dimostrato». E potete dimostrarlo di
nuovo? «Certo. Come ho già avuto occasione di dire, siamo pronti ad utilizzare tutti gli strumenti a nostra
disposizione nel quadro del nostro mandato». Per ottenere delle percentuali di crescita maggiori cosa occorre
fare? «La politica monetaria da sola non può produrre crescita. Occorre che vi siano altre componenti,a
cominciare dalle riforme strutturali. Possiamo offrire tutto il credi"to possibile al settore privato, ma in certi
Paesi ci vogliono mesi e mesi prima che un giovane imprenditore possa ottenere il permesso di aprire una
società».
Abbasso la burocrazia? «Assolutamente.E se poi questo giovane imprenditore desidera aprire un negozioo
una societàe alla fine ottiene il permesso ma poi viene schiacciato dalla tasse, allora non chiederà alcun
prestito. Il credito quindiè una condizione necessaria ma non sufficiente per la crescita». Nella zona euro le
previsioni sulla crescita sono scoraggianti, si parla dell'1-1,5%; l'Italia di Matteo Renziè in recessione, la
Francia è attorno allo 0,4%. Cosa vuole dire ai cittadini francesi preoccupati per il loro futuro? «Posso dire
loro che la Bce continuerà a mantenere per un periodo prolungato una politica monetaria espansionistica,
sino a quando non vedremo un tasso di inflazione che si avvicina al due per cento.
Inoltre direi loro che possono contare su di noi».
Verrà un giorno il momento in cui gli europei rivedranno i vecchi criteri di Maastricht che li stanno
strangolando? «Non spetta a me discutere dei cambiamenti al Trattato. Per la Bce è importante ricordare che
le regole esistono per essere applicate, e ciò è la base stessa della fiducia tra gli Stati. In passato queste
regole sono già state violate, e il risultato non è stato eccezionale».
Qual è il principale nemico di tutta l'Europa? «La disoccupazione. Tuttavia ciò è collegato a un sentimento
più ampio: la mancanza di fiducia nel futuro ma anche tra gli Stati membri. Noi dobbiamo combatterla».
"Noi" chi? Voi o noi? «Tutti».
Ci sono quattro o cinque parole che simbolizzano la vostra ambizione per l'Europa? «Innanzitutto
"investimento".
Gli investimenti privati, ma anche quelli pubblici».
Lo avete detto ad Angela Merkel? «Gliel'ho detto. L'ho detto a Jackson Hole, non a lei ma a tutti i Paesi.
L'altra cosa da fare è ripristinare la fiducia. Gli investitori e gli imprenditori devono ritrovare la fiducia nel futuro
e nella capacità di resistenza dell'Europa».
Ci sono persone che si domandano se la sopravvivenza dell'euro è assicurata.
«Quale risposta si aspetta da una persona che ha detto che farà tutto il possibile nel quadro del proprio
mandato per preservare l'euro? L'euro è irreversibile e nel quadro del nostro mandato faremo tutto il
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 25/09/2014
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INTERVISTA Il presidente della Banca centrale europea L'intervista. promette una politica monetaria
accomodante e sprona i governi ad attuare le misure strutturali anche se non hanno il consenso di
tutti
25/09/2014
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Pag. 15
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necessario per garantirlo».
A proposito di riforme strutturali, occorre farle anche se ci sono persone che non sono d'accordo? «Sì, il
rischio di fare troppo poco è maggiore del rischio di fare troppo. Nella maggioranza dei Paesi europei
esistono delle riforme che sono state pianificate da anni, ed è arrivato il momento di passare ai fatti. Ogni
Paese ha una propria agenda». I partiti anti-europei stanno prendendo piede. Qual è la migliore risposta da
dare? «La migliore risposta da dare a questi partiti è mettere in atto quelle riforme. La politica monetaria farà
la sua parte».
Quindi più Europa, più Europa, più Europa? «Più Europa, più Europa, più Europa!». copyright Europe1
traduzione di Marzia Porta I PERSONAGGI ANGELA MERKEL Il cancelliere tedesco chiede una ripresa
senza aiuti MATTEO RENZI Il governo italiano è sotto pressione sulle riforme FRANCOIS HOLLANDE Più
investimenti pubblici è la ricetta proposta dalla Bce INFLAZIONE BASSA La Bce ricorrererà a tutti gli
strumenti, nel quadro del proprio mandato, per avvicinare l'inflazione al due per cento TASSE E
BUROCRAZIA Possiamo offrire tutto il credito necessario ma se poi burocrazia e tasse ci schiacciano allora
la ripresa non arriverà PIÙ INVESTIMENTI Ho detto alla Merkel e a tutti i Paesi: la disoccupazione si batte
anche con investimenti pubblici "MARIO DRAGHI PRESIDENTE DELLA BCE PER SAPERNE DI PIÙ
www.ecb.europa.eu www.imf.org
Foto: BANCHIERE Mario Draghi (Bce)
25/09/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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"Impuniti molti illeciti gravi, testo da cambiare"
ESTENDERE I REATI L'auto riciclaggio va sanzionato anche nei reati con pena inferiore ai 5 anni
l.mi.
ROMA. Ha storto il naso appena l'ha letto. Perché l'autoriciclaggio in versione Orlando «rischia di lasciar fuori
comportamenti gravi che resterebbero impuniti». Così lo stronca il presidente dell'Anm Rodolfo Maria Sabelli.
Cosa c'è che non va? «Voglio essere chiaro, non abbiamo mai chiesto un'indiscriminata criminalizzazione di
condotte minimali, per evitare che si ripeta l'errore di punire a titolo di riciclaggio pure il taroccamento dei
motorini. Però stabilire che l'autoriciclaggio non si applica ai reati con pena massima inferiorea5 anniè
sbagliato, perché esclude delitti con incidenza rilevante nel settore economico e finanziario». Quali sono i
reati e che succede a escluderli? «La truffa, l'appropriazione indebita, il traffico di influenze, la cosiddetta
corruzione privata prevista dal codice civile, il finanziamento illecito dei partiti politici. In materia fiscale la
dichiarazione infedele e l'omessa dichiarazione. Cioè tutti reati che hanno una pena massima inferiore ai 5
anni».
Delitti pesanti. Perché ignorarli? Non è un modo per favorire gli evasori e chi manda capitali all'estero? «Io
non faccio dietrologia. Capisco la volontà di evitare una criminalizzazione indiscriminata, ma è un errore fare
riferimento alla pena massima, addirittura di 5 anni, che giudico troppo alta».
Il reato diventa inutile? «È chiaro che ne limita l'efficacia». Si fa un favore a chi delinque e sfrutta i proventi
ripulendoli da solo? «Mi fermo all'analisi della norma. Così com'è stato scritto, il reato non consentirà di
colpire chi autoricicla i proventi dei reati esclusi, alcuni molto frequenti. Si pensi alla truffa, all'appropriazione e
ai reati di evasione».
Che senso ha decidere che l'uso personale di un capitale illecito è consentito? «Ha un senso escludere la
punizione del semplice uso personale e diretto dei beni ottenuti con un reato che ha già in sé la sua sanzione.
Il problema è che la norma aprirà dei varchi pericolosi in tutti i casi in cui il soggetto, prima di fare uso
personale del bene che si è procurato con un reato, si dà da fare per nascondere la provenienza illecita di
quel bene».
È un rompicapo. Ci fa un esempio? «Immaginiamo che un funzionario corrotto o un evasore trasferisca il
denaro delle tan4genti o dell'evasione su vari conti esteri di copertura per nasconderne l'origine. E che alla
fine di questi giri utilizzi il denaro per acquistare una villa lussuosa in cui va a vivere. Immaginiamo poi che il
reato di corruzione o di evasione fiscale si prescriva: non si potrà confiscare la villa, da un lato perché
corruzione o evasione sono prescritte, dall'altro perché l'autoriciclaggio non è punibile». Come se ne esce?
«Abbassando la soglia dei 5 anni e con soluzioni che evitino, per le condotte non gravi, un'indiscriminata e
inutile criminalizzazione».
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L'INTERVISTA/ IL PRESIDENTE DELL'ANM RODOLFO SABELLI
25/09/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 28
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Sotto mille euro quasi la metà dei pensionati e gli adeguamenti arrivano in
ritardo
Studio Cer-Cupla: le donne più penalizzate. E il fisco mangia il 4 per cento dell'assegno
ROSARIA AMATO
NON sono tutte pensioni d'oro, e neanche d'argento. Il 44 per cento dei pensionati vive in condizioni di
semipovertà, con una pensione inferiore a 1000 euro al mese. Una situazione che negli anni si è aggravata,
spiega uno studio realizzato dal Cupla (Comitato unitario pensionati lavoro autonomo) con il Cer (Centro
Europa ricerche) «a causa della pressione fiscale e dell'insufficiente adeguamento delle pensioni al costo
della vita».
In realtà, le pensioni italiane non erano un granché neanche prima, dice Sergio Ginebri, professore associato
di Economia Politica presso l'Università degli Studi Roma Tre, tra gli autori dello studio: «Soprattutto per le
donne spesso si tratta di carriere brevi, con pochi anni di contributi, e le pensioni sono inadeguate». Su
queste pensioni già inadeguate si è abbattuto un fisco impietoso: in particolare, dal 2009, «le pensioni basse
e medio-basse hanno registrato, al netto del prelievo fiscale, una perdita del potere di acquisto di oltre il
quattro per cento».
L'indicizzazione, che avrebbe dovuto garantirne la tenuta, non funziona intanto perché viene effettuata con
«un ritardo medio di sei mesi» rispetto alla variazione dell'indice. Il recupero dell'inflazione inoltre non è pieno,
tranne che per le pensioni molto basse: per esempio una pensione di 17.000 euro annui «ha goduto di
indicizzazione piena solo in 5 anni su 17», stabilisce lo studio, analizzando gli anni a partire dal 1995. Infine,
anche se l'indicizzazione fosse stata piena, il "paniere" Istat, il vecchio indice "operai e impiegati", valuta il
Cer, «riflette poco l'andamento dei beni maggiormente consumati dai pensionati poveri». Meglio sarebbe,
suggerisce l'istituto, utilizzare i nuovi indici dei prezzi per classi di spesa delle famiglie, elaborati dall'Istat già
da qualche anno, ma finora rimasti solo sulla carta. Siccome la quasi metà dei pensionati rientra pienamente
nel "quintile" più povero, il relativo indice andrebbe benissimo, garantendo almeno un recupero effettivo
dell'inflazione.
Foto: Manifestazione pro-pensioni
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IL PUNTO
25/09/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 30
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Telecom verso una cessione a termine dell'Argentina a Fintech
s.b.
MILANO. I vertici di Telecom Italia restano convinti che, con o senza Telefonica nell'azionariato, l'Argentina
non è un paese strategico per il gruppo.
Di qui la volontà di andare avanti nelle trattative con il finanziere David Martinez Guzman, ma di fissare
anche una penale nel caso in cui l'operazione saltasse per motivi indipendenti dalle due controparti, e dovuti
all'opposizione delle autorità di Buenos Aires. Il prezzo pattuito resta fermo a 960 milioni di dollari, ma il
gestore di Fintech avrà fino a due anni e mezzo di tempo per liquidare le sue attività televisive in Argentina e
ottemperare ai desiderata del premier Cristina Kirchner, e così rilevare Telecom Argentina. In alternativa il
finanziere messicano si impegna a risarcire Telecom con un congruo e significativo conguaglio in denaro. La
trattativa che è stata definita con i vertici del gruppo guidato da Marco Patuano permetterà alla società
italiana di assicurarsi una penale certa, a riprova della volontà di entrambe le parti di andare avanti
nell'operazione. Comunque la decisione dovrà essere discussa e condivisa da tutto il cda di Telecom che, per
motivi di agenda, è stato rimandato a domani.
Foto: Marco Patuano
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 25/09/2014
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L'ACCORDO
25/09/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:309253, tiratura:418328)
ELISABETTA GUALMINI
L'Italia non riesce a fare cose per i giovani. È un paese vecchio, fatto per i vecchi, e si compiace di esserlo. Il
surreale dibattito sull'articolo 18 che si presenta puntuale ad ogni cambio di governo ne è l'ennesima
dimostrazione. Sì certo, l'articolo 18 è già stato modificato due anni fa, e non saranno né la sua
conservazione né il suo superamento (da soli) a spingere magicamente verso l'alto il tasso di occupazione
italiano. Ma se la sua rimodulazione avviene dentro a una più ampia ipotesi di riforma che aumenti le
probabilità di nuove assunzioni e ampli le tutele per la galassia da anni in espansione dei lavoratori precari, in
gran parte giovani, non ci si può limitare a dire che i problemi sono «ben altri» o storcere il naso. Non si
capisce perché dovremmo appassionarci vedendo erigere le solite barricate, da parte di chi protegge i già
protetti. Le riforme si fanno spesso grazie a compromessi tra le parti interessate. Il contratto a tutele crescenti
che prevede maggiore flessibilità all'inizio della vita lavorativa (la sospensione dell'art. 18, esattamente come
in Danimarca) in cambio di tutele che crescono nel tempo è una buona mediazione tra esigenze dei lavoratori
e dell'impresa. PAGINA Dovrebbe sostituire la lotteria delle controversie davanti ai giudici con vincoli
stringenti ad assumere con contratti a tempo indeterminato, disincentivi economici a licenziare per gli
imprenditori, risorse a vantaggio del lavoratore per l'eventuale ricerca di una nuova occupazione. S e questo
compromesso serve a dimostrare all'Europa e agli investitori che le riforme si fanno, che il paese non è
bloccato, che non è in mano ai conservatorismi, se serve a dare qualche garanzia in più a chi veleggia
angosciato tra contratti intermittenti che ammazzano qualsiasi prospettiva di futuro, è bene andare avanti.
Come ha peraltro suggerito - unico «giovane» tra vecchi e giovani-vecchi - il Capo dello Stato. Non c'è dubbio
che i giovani abbiano pagato più di tutti per la crisi degli ultimi 10 anni. Tra loro il tasso di disoccupazione è
più che raddoppiato (dal 17% nel 2004 al 45% del 2014). I giovani e le molte donne senza un'occupazione
stabile non sanno nemmeno cosa sia l'articolo 18, né gli passa per la mente di iscriversi al sindacato.
Presumo assistano comprensibilmente disillusi all'arzigogolata discussione tra legulei sulle conseguenze e le
virtù di uno «Statuto» pensato alla fine degli Anni Sessanta con l'intenzione di trasferire nel settore privato il
modello (di allora) del «posto fisso» nel settore pubblico. Per loro sono discorsi che arrivano da un'altra
epoca, scritti in caratteri sconosciuti. Indecifrabili. Insomma, di cosa stiamo parlando? Della nostalgia per un
mondo che non c'è più? Una riforma per i nuovi-assunti può essere una risposta se tuttavia si verificano due
condizioni. Primo se si vuole andare fino in fondo il contratto a tutele crescenti dovrebbe assorbire un bel po'
di contratti atipici, in modo da vincolare gli imprenditori ad assumere con il nuovo contratto a tempo
indeterminato abbandonando via via tutte le forme di maggiore precarizzazione (false collaborazioni e partite
Iva, lavoro accessorio, etc.). La sfida più grossa infatti nel nostro paese è quella di stabilizzare le carriere
lavorative, essendo ampiamente dimostrato che chi entra nel mercato del lavoro con il piede sbagliato, e cioè
con contratti non standard, ha davanti a sé un percorso di lavoro decisamente accidentato, da cui è difficile
divincolarsi. Secondo, occorre giocare a carte scoperte sul tema delle risorse. A quali categorie verranno
estesi gli ammortizzatori, al posto di quali indennità e con quali costi? Questo va chiarito prima e non dopo la
riforma. L'erogazione universale dei sussi di non sembra verosimile in un contesto di risorse scarse. Non si
può sentir dire dentro allo stesso partito che la riforma costa 2 miliardi, poi 10 e poi 20. La vaghezza con cui
si parla della sostenibilità tecnica della riforma è sconcertante. E soprattutto da dove verranno le risorse? Chi
se ne occupa e ce lo spiega? Aspettiamo risposte robuste. Gli slogan, le stilettate e gli attacchi alle tartine
hanno francamente stufato. E se poi si riesce a rendere l'ambiente del mercato del lavoro meno ingessato e a
offrire qualche brandello di protezione in più a chi non ne ha, è già molto. Per evitare che l'Italia continui a
essere un bellissimo paese. Ma solo per i vecchi. twitter@gualminielisa
Foto: Illustrazione di Irene Bedino
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NON È UN PAESE PER GIOVANI
25/09/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 22
(diffusione:309253, tiratura:418328)
"La disoccupazione è il nemico dell'Europa"
Draghi: non c'è un rischio di deflazione nell'Ue, i tassi d'interesse resteranno bassi a lungo L'Eurotower: la
Francia ed altri Paesi non devono abbandonare il sentiero delle riforme
TONIA MASTROBUONI INVIATA A BERLINO
La politica monetaria resterà «accomodante» per «molto tempo» e il consiglio direttivo della Bce «è unanime
nell'impegno a usare gli strumenti a disposizione per riportare l'inflazione attorno al 2 per cento». Infine, i tassi
di interesse, tagliati nel mese scorso ai minimi storici dello 0,05, «rimarranno bassi perché non possono
diventare molto più bassi». In effetti. Nel giorno in cui l'Ifo, l'istituto tedesco che misura il clima delle imprese
tedesche, è caduto per il quinto mese consecutivo ai minimi da aprile del 2013, Mario Draghi ha rinnovato,
durante un'intervista con France 1, l'impegno a mantenere l'Eurotower pronta a usare qualsiasi mezzo per
scongiurare scenari giapponesi, di deflazione, ma anche di stagnazione prolungata. Un'intervento che è
servito a risollevare l'umore dei mercati per mezza giornata perché sembra confermare l'ipotesi di
un'imminente azione di quantitative easing, di acquisto in massa di titoli pubblici e privati. E anche se Draghi
ha smentito per l'ennesima volta che ci sia un rischio di deflazione, i dati continuano a mostrare una tendenza
opposta. L'inflazione nell'eurozona è scivolata ad agosto 0,4%, lontanissima dall'obiettivo statutario del 2%.
Draghi però ha ribadito che «il principale nemico dell'Europa è la disoccupazione», promettendo di dare
battaglia all'emorragia di posti di lavoro. Al riguardo un altro punto nevralgico per l'Europa è che «la prima
priorità sono gli investimenti. Privati, ma anche pubblici». Lo stesso principio, nuovo per gli austeri guardiani
dell'euro, già espresso ad agosto durante il discorso di Jackson Hole. Draghi ha fatto notare che
evidentemente nell'area della moneta unica non c'è più soltanto un problema di offerta - il flop della prima
asta di prestiti a lungo termine tltro reso noto dei giorni scorsi non fa che confermare questa ipotesi - e che
bisogna che i governi utilizzino ogni strumento a disposizione per stimolare la crescita. Tuttavia, alla radio il
presidente della Bce ha sottolineato che la Francia e altri Paesi non devono abbandonare il sentiero delle
riforme. «Il rischio di fare troppo poco è più alto di quello di fare troppo. Queste riforme erano programmate
da anni, ora vanno attuate». Un messaggio indiretto Draghi lo ha voluto anche mandare ai tedeschi. Nei
giorni scorsi il ministro delle Finanze tedesco Schaeuble aveva espresso critiche alla possibilità che
l'Eurotower intervenga esplicitamente sui cambi. Un'apparente risposta, anch'essa indiretta, alle parole del
presidente della Banca di Francia Christian Noyer che la settimana scorsa aveva ammesso che gli interventi
della Bce - com'è ovvio - mirano anche a indebolire l'euro. «Le dinamiche dei cambi ha scandito Draghi riflettono le scelte differenti delle politiche monetarie dell'Europa nel paragone con quelle di altri importanti
Paesi». Il fatto che Fed si stia muovendo, grazie al miglioramento del ciclo economico negli Stati Uniti, verso
una fase più restrittiva di politica monetaria e un aumento dei tassi, sta rafforzando il dollaro. Per la Bce è una
buona notizia, e Draghi ricorda giustamente che sarebbe ipocrita negare che le banche centrali influiscano
sui cambi. Uno degli obiettivi principali dei recenti tagli dei tassi, a giugno e settembre, è stato ovviamente
quello di indebolire l'euro. Per rafforzare le esportazioni, motore della ripresa europea, e riavviare l'inflazione.
Ma non ditelo ai tedeschi.
Foto: LAPRESSE
Foto: Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 25/09/2014
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IL PRESIDENTE DELLA BCE: EURO PIÙ DEBOLE DOPO LE SCELTE DI POLITICA MONETARIA
NELL'EUROZONA
25/09/2014
MF - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:104189, tiratura:173386)
Poste, allarme su conti e ipo
Anna Messia
L'ad Caio chiede al governo regole certe per arrestare le perdite derivanti dal servizio universale e avviare
così l'iter per la quotazione. Già svalutati completamente i 75 milioni investiti in Alitalia ( a pag. 7)
L'avvertimento non è indirizzato direttamente al governo, ma il messaggio dell'amministratore delegato di
Poste Italiane Francesco Caio per l'esecutivo guidato da Matteo Renzi è chiaro: se non verranno risolte
questioni come la definizione del servizio universale per garantirne la sostenibilità, le Poste Italiane
continueranno a registrare risultati in contrazione, complicando l'operazione di privatizzazione che punta a
collocare sul mercato fino al 40% delle azioni della società, oggi detenuta interamente dal ministero
dell'Economia. Con ricadute negative che potrebbero colpire anche le ricche cedole pagate negli anni scorsi
dalle Poste Italiane all'azionista Tesoro. Tutto è messo nero su bianco nella relazione semestrale appena
pubblicata dal gruppo, dove si legge che i risultati di Poste Italiane «attesi per il secondo semestre 2014
saranno inferiori a quanto realizzato nell'analogo periodo del 2013, conseguentemente la redditività del 2014
si attesterà su livelli inferiori a quelli conseguiti negli ultimi esercizi». Le ragioni di questa frenata vengono
spiegate qualche riga sopra, dove la società afferma che lo scenario economico che ha caratterizzato la
prima parte dell'anno (con pil e inflazione in calo) avrà effetti anche sulla gestione del secondo semestre del
gruppo Poste Italiane, «che continua peraltro a essere penalizzato dalla progressiva contrazione dei volumi e
dei ricavi della corrispondenza tradizionale». Il dialogo con il governo proprio su questo tema del resto è già
stato avviato e Caio, che da maggio scorso è stato chiamato alla guida l'azienda, ha ribadito in più occasioni
che la definizione di «un quadro di regole certe e prevedibili è una condizione necessaria per finalizzare il
piano aziendale di medio periodo e definire le prospettive economico-finanziarie dell'azienda nel percorso di
privatizzazione». In ballo c'è il servizio universale, ma anche alcune partite creditorie di Poste nei confronti
dello Stato italiano, che ammonterebbero a circa 1 miliardo di euro, oltre al rinnovo contrattuale
dell'importante rapporto commerciale con Cassa Depositi e Prestiti per la raccolta del risparmio postale, con
una bozza non ancora firmata. Partite che vanno tutte sistemate prima della quotazione. In occasione di
audizioni alla Camera poco prima dell'estate Caio era stato anche più esplicito dichiarando che il gruppo non
può permettersi di presentarsi al mercato per la quotazione avendo rami di attività strutturalmente in perdita,
come avviene per il servizio di recapito, il cui rosso viene sistematicamente colmato dai risultati raggiunti dai
servizi finanziari o, più in particolare, dalla compagnia assicurativa Vita. Esattamente quanto avvenuto nel
bilancio del primo semestre di quest'anno, che si è chiuso con un utile di 222 milioni contro i 362 milioni dello
stesso periodo dello scorso anno e con un roe del 6,9% contro il 12,2% di un anno prima o addirittura il 25%
di giugno 2012. Nei primi sei mesi del 2014, mentre i servizi finanziari hanno chiuso con un risultato operativo
in crescita da 284 milioni (di giugno 2013) a 315 milioni, così come per i servizi assicurativi (da 204 a 220
milioni), quelli postali e commerciali hanno perso 36 milioni, in netto peggioramento rispetto ai +154 milioni di
giugno 2013. C'è stato poi un altro elemento che ha pesato sul bilancio semestrale: Caio ha deciso di
svalutare completamente l'intera quota di 75 milioni di euro investita a novembre scorso in Alitalia-Cai. A capo
del governo all'epoca c'era Enrico Letta e alla guida di Poste c'era Massimo Sarmi. Sta di fatto che dopo aver
contribuito a rimettere in pista la compagnia aerea di bandiera le Poste Italiane chiedono ora al governo
Renzi almeno di sistemare almeno il quadro regolatorio dei servizi postali. (riproduzione riservata)
Foto: Francesco Caio Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/poste
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PRIVATIZZAZIONI IL GRUPPO PREVEDE UN 2014 IN CONTRAZIONE A CAUSA DEL CALO DELLA
CORRISPONDENZA
25/09/2014
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(diffusione:104189, tiratura:173386)
I tedeschi perdono fi ducia E l'euro scende sotto 1,28 contro dollaro
Marcello Bussi
(a pag. 2) La fiducia degli imprenditori tedeschi, misurata dall'indice Ifo, scende ai minimi dall'aprile 2013 e
l'euro va sotto quota 1,28 dollari, ai livelli più bassi dal luglio dell'anno scorso. L'indebolimento dell'euro è una
buona notizia, visto che sono soprattutto le imprese votate all'export ad accusare un calo di fiducia. Allo
stesso tempo, la discesa dell'Ifo aumenta le pressioni sulla Bce affinché si decida finalmente a varare un vero
Quantitative easing (Qe), ovvero un massiccio piano d'acquisto di titoli di Stato. Ipotesi che è però vista come
il fumo negli occhi dal presidente della Bundesbank Jens Weidmann e da vasti settori della politica tedesca. Il
quadro europeo è quindi sempre più complicato, soprattutto perché il malessere si sta estendendo alla
Germania. Una situazione che dovrebbe portare a ulteriori indebolimenti dell'euro, la cui discesa da maggio,
quando sfiorava quota 1,40 dollari, è stata rapidissima (-8,3%). «Siamo assolutamente ribassisti sull'euro»,
ha detto Jennifer Vail di US Bank Wealth Management. «Un tempo la Germania era una stella brillante, ma
ormai non è più così». L'indice Ifo dunque è sceso a settembre per il quinto mese consecutivo, a 104,7 punti
da 106,3, risultando inferiore anche al consenso posto a 105 punti. Lo spaccato è altrettanto deludente, visto
che la valutazione sulle aspettative a sei mesi è scesa ai minimi da dicembre 2012 a 99,3 punti da 101,7,
mentre quella sulle condizioni attuali è passata da 111,1 a 110,5 punti. «L'economia tedesca è divisa in due»,
ha osservato Carsten Brzeski, economista di Ing, sottolineando che a «una forte attività domestica» fa da
contrappeso quella diretta all'esterno «stagnante». Questo perché «l'incremento delle tensioni geopolitiche e
l'indebolimento dei mercati emergenti, inclusa la Cina, gettano ombre sull'export». Inoltre, il rallentamento
della domanda estera sta cominciando a impattare su quella interna. Secondo Brzeski, quindi, la fiducia delle
imprese tedesche evidenzia che «la maggiore economia dell'Eurozona ha raggiunto una fase» in cui rischia
di cadere nella stagnazione. Dello stesso avviso è Andreas Rees, economista di Unicredit, per il quale
l'attività della Germania «si fletterà fortemente nel quarto trimestre» con una crescita virtuale pari a zero,
anche se poi non calerà ulteriormente in modo brusco nel 2015. Detto questo, secondo Rees «l'euro più
debole e la ripresa degli Usa forniranno una rete di sicurezza per le imprese tedesche nel medio periodo».
Filippo Diodovich, strategist di Ig, ha invece osservato che il Consiglio direttivo della Bce si riunirà giovedì
della prossima settimana e potrebbe esserci tensione fra i suoi membri, visto che il meeting «arriverà in un
momento di dati macroeconomici deludenti e subito dopo la prima asta Tltro», che non ha soddisfatto i
mercati. Tuttavia, nonostante il momento difficile che sta attraversando l'economia di Eurolandia, per
Diodovich i falchi tedeschi della Bce «continueranno a ostacolare» nuove misure espansive della Bce. Di
parere contrario Brzeski: «Almeno per la Bce l'Ifo è una buona notizia», ha osservato, in quanto «dovrebbe
zittire le proteste tedesche contro l'ultimo programma di acquisti e il possibile QE futuro». Secondo Joerg
Kraemer, economista di Commerzbank, la lettura dei dati è invece «particolarmente problematica per la Bce.
La delusione va a sostegno degli esponenti del consiglio direttivo che non vogliono acquistare solo abs e
covered bond, ma anche titoli governativi su larga scala». Per Kraemer, «alla fine la Bce probabilmente
acquisterà titoli di Stato. La mossa però non aiuterà l'economia, che farà fatica per molti anni». Sempre ieri è
tornato a parlare Mario Draghi, che non ha però fornito indicazioni illuminanti. Il presidente della Bce,
intervistato da radio Europa 1, ha sottolineato che «il peggior nemico per l'Europa è la disoccupazione», che
è causata da una «mancanza di fiducia all'interno dei Paesi e tra i vari Stati, che va combattuta rafforzando
gli investimenti pubblici e privati». Secondo Draghi, in Eurolandia non ci sono «rischi di deflazione ma solo
un'inflazione molto bassa». «Ho detto più volte che la ripresa è modesta, debole, mal distribuita e fragile, ma
non siamo in recessione», ha quindi assicurato. Parole, queste, che non aprono ma nemmeno chiudono la
porta a un futuro lancio di un piano di acquisti di titoli di Stato. Evidentemente, le divisioni all'interno del
consiglio direttivo sono molto profonde. (riproduzione riservata)
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GIÙ L'IFO
25/09/2014
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Contratto dei bancari, si accende lo scontro sulla busta paga
Luca Gualtieri
(a pag. 8) Ruota intorno agli edr, cioè gli aumenti che sarebbero scattati automaticamente alla scadenza, la
serrata trattativa tra sindacati bancari e Abi sul rinnovo del contratto nazionale di lavoro della categoria. Ieri si
è tenuto il secondo incontro di una partita che sembra però destinata a durare mesi, visto che le posizioni
appaiono ancora molto distanti. Da un lato Palazzo Altieri (rappresentato da Alessandro Profumo in qualità di
presidente del Comitato per gli affari sindacali e del lavoro) ha ribadito l'intenzione di prorogare la scadenza
del contratto dal 30 settembre al 28 febbraio 2015 e di trasformare gli elementi distinti di retribuzione (circa
170 euro di aumento automatico previsto alla scadenza naturale del contratto) in retribuzione solo a partire
dal primo marzo. La proposta viene motivata con la necessità di attendere il risultato di asset quality review e
stress test e di fare un contratto completo e innovativo. Ma soprattutto per l'Abi la pressione sui margini delle
banche è ancora troppo elevata per consentire aumenti di retribuzione. Sicché la linea dell'austerity
diventerebbe una strada obbligata. Se sulla proroga del contratto potrebbe esserci un accordo, sugli edr la
contrapposizione resta ancora frontale, tale insomma da impedire la prosecuzione del dibattito. Secondo i
sindacati infatti il trattamento degli edr è disciplinato dal contratto in scadenza e non può dunque essere
rimessa in discussione. Nella suo intervento il leader della Fabi Lando Sileoni ha ricostruito il percorso
contrattuale che ha portato alla definizione degli edr, chiarendo che le conclusioni non possono essere
disattese senza conseguenze per la stessa credibilità del tavolo contrattuale. Il principio del pacta sunt
servanda è stato condiviso anche dagli altri segretari generali Agostino Megale (Fisac), Giulio Romani (Fiba)
e Massimo Masi (Uilca) che hanno così ribadito il principio dell'unità sindacale. Va da sé che lo scontro sugli
edr per il momento paralizza la trattativa e rimanda la discussione su temi quali l'occupazione, la
riclassificazione delle professionalità, la formazione e il destino dei contratti integrativi e della doppia
contrattazione. Non si tratta di tematiche di poco conto visto che, come le due controparti hanno più volte
evidenziato, la posta in gioco per questo rinnovo contrattuale potrebbe essere più alta del solito. In ballo
infatti non ci sono soltanto le retribuzioni dei bancari per i prossimi anni, ma anche l'architettura generale di
una professione alla quale l'evoluzione tecnologica e la crisi finanziaria impongono oggi una profonda, e
probabilmente dolorosa, trasformazione. Si pensi per esempio all'idea, lanciata dall'Abi, di introdurre nuovi
inquadramenti, in cui una parte del salario sia fissa e l'altra legata ai risultati. Seguendo questa strada si
potrebbe andare verso un modello affine a quello dei promotori a provvigione che per il momento incontra
l'assoluta contrarietà dei sindacati. C'è poi il tema del mantenimento o del restringimento dell'area
contrattuale, particolarmente spinoso in caso di esternalizzazioni e delocalizzazioni. Da parte loro, durante la
tregua armata degli ultimi mesi, i sindacati hanno minacciato in più di un'occasione la mobilitazione per
sbloccare la partita. Di certo la trattativa si preannuncia complessa e lunga, come qualcuno aveva ventilato
già prima dell'estate. Mesi di trattative informali e quattro riunioni operative non sono infatti bastate per
superare il muro contro muro su quasi ogni singolo punto. Dopo la fumata nera di ieri, sindacati e Abi hanno
deciso per una proroga tecnica fino al 6 ottobre, quando torneranno a riunirsi. Nei prossimi giorni sono
previsti diversi appuntamenti congressuali (Uilca) e riunioni dei vertici delle organizzazioni sindacali.
(riproduzione riservata)
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AUMENTI
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CCIGMall, l'Italia prima tappa
I prodotti italiani top arriveranno in Cina attraverso un canale di alta qualità. Puntiamo ai marchi 100% tricolori
sconosciuti da noi. Abbiamo scelto Class perché ha solidi rapporti in Cina
Mariangela Pira
Con CCIGMall «abbiamo voluto creare una piattaforma regolare, etica, trasparente» per l'e-commerce. Con
queste parole Madam Guo Hong, chairperson di Century International Group, ha aperto la conferenza
stampa di presentazione di CCIGMall, l'innovativa piattaforma globale di e-commerce di proprietà di Century
Fortunet (gruppo Century International) dedicata alle imprese (B2B) che punta a portare le aziende italiane
alla conquista del mercato online cinese e di cui Class China e-Commerce (gruppo Class) è fornitore
principale per il Food&Beverage e agente principale per moda, accessori, design e prodotti di lusso.
Domanda. Madam, perché è stata creata CCIGMall? Risposta. La Cina, dopo l'ingresso nel Wto, non ha una
bilancia commerciale equilibrata con Paesi come l'Italia o la stessa Ue. E questo non perché i prodotti italiani
non abbiano appeal in Cina. Questa piattaforma consente ai fornitori di incontrare i clienti e garantisce
massima trasparenza. Per questa iniziativa useremo la resistenza della tartaruga e la velocità del cavallo. D.
Perché avete scelto Class Editori come partner? R. Class in Italia è piuttosto influente come gruppo editoriale
e ha creato anche solidi rapporti in Cina. Paolo Panerai in Cina non è certo uno sconosciuto, ha incontrato
nel 1978 Deng Xiaoping. La scelta è stata fatta per entrare nel Paese senza che ci fossero incomprensioni
culturali. D. Quale sarà il ruolo svolto dalla piattaforma? R. È una piattaforma B2B, che mira a collegare i
fornitori che provengono da otto Paesi ai nostri fornitori di servizi di transazione, commercio e logistica. E a
metterli poi in relazione con i retail store. Con China Class e-commerce saremo gestori della piattaforma. D.
Qual è il suo obiettivo? R. Quello di fare in modo che i prodotti di alta qualità italiana arrivino in Cina con un
canale commerciale di alta qualità. È una grande sfida, lo so; ma se ci allineiamo alla genialità di Marco Polo
possiamo stare tranquilli. Vent'anni fa ho fatto un viaggio per la Via della Seta che ha dato un grande valore
alla mia vita. Ho capito che ci sono persone che perseguendo i loro obiettivi hanno lasciato il segno. Ed è
questo di cui noi abbiamo bisogno. D. Come si pone la vostra piattaforma rispetto ad Alibaba? R. In modo
generico rispetto alle piattaforme tradizionali B2B, B2C è la nostra completa partecipazione, saremo presenti
in tutte le fasi del business, saremo gestori in toto. D. Quanto è stato investito finora? R. L'investimento totale
è stato di un miliardo di euro. D. L'Italia sarà la prima a partire. Quali le caratteristiche dei prodotti italiani? R.
Abbiamo scelto l'Italia come prima tappa perché i prodotti Made in Italy sono molto conosciuti in Cina. Tutti i
prodotti che verranno venduti tramite la piattaforma avranno grande successo. Puntiamo sulle Pmi e il
prodotto deve essere al 100% made in Italy. Ci occuperemo di brand ancora sconosciuti in Cina perché la
nostra piattaforma ha questo vantaggio: poter promuovere questi marchi, aiutarli a farsi pubblicità e a
sfondare sul mercato cinese. (riproduzione riservata) Quotazioni, altre news e analisi su
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INTERVISTA PARLA MADAME GUO HONG GIÀ INVESTITO 1 MLD PER UNA PIATTAFORMA ETICA E
TRASPARENTE
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Clarich: nuovo corso per gli Enti
Ma Palazzo Sansedoni punta a rafforzare la compagine del patto. Necessario il passo indietro dei due
consiglieri Gli stress test? L'aumento appena chiuso è una garanzia
Roberta Benvenuto C
Il nuovo corso delle fondazioni passerà attraverso un progressivo distacco dalle banche, e Palazzo
Sansedoni ha deciso di imboccare proprio questa strada. La dichiarazione di principio però non toglie che
l'Ente stia cercando di rafforzare la presa sulla banca attraverso un allargamento del patto di sindacato con
Fintech e Btg Pactual. Lo ha spiegato a Class Cnbc il nuovo presidente della Fondazione, Marcello Clarich.
Domanda. Professor Clarich, come sta cambiando il ruolo delle fondazioni rispetto alle banche? Risposta.
Stiamo assistendo a un percorso di progressivo distacco, con una maggiore autonomia delle fondazioni
rispetto al mondo delle banche. Negli ultimi anni si è ridotta, se non azzerata, la partecipazione di molte
fondazioni nel capitale di molte banche. C'è anche una consapevolezza crescente da parte delle fondazioni di
poter sviluppare un loro profilo, anche pubblico, più legato all'attività di erogazione, di aiuto e di sostegno al
territorio rispetto al versante bancario. D. Eppure sembra che la Fondazione Mps sia interessata ad
aumentare la presa sulla banca, allargando il patto di sindacato. R. È ancora tutto molto fluido. Nel medio
termine valuteremo se ci saranno possibilitàe opportunità di rafforzare la compagine rispetto anche alle
decisioni degli altri componenti del patto. D. Subito dopo il suo insediamento c'è stata la querelle per ottenere
le dimissioni dei due consiglieri. Che giudizio dà della vicenda? R. Abbiamo fatto tutto quello che potevamo,
nei limiti del consentito, per arrivare al passo indietro di due consiglieri. A costoro va, in ogni caso, la nostra
riconoscenza pubblica perché hanno dimostrato grande sensibilità. Le loro dimissioni non erano un atto
dovuto e loro hanno capito l'importanza della vicenda. Questo ci ha consentito poi di presentarci adempienti
agli occhi dei nostri nuovi pattisti rispetto a una clausola che ritenevano essenziale. Avendo investito quasi
500 milioni nella banca, restare fuori da ogni meccanismo decisionale per quasi un anno sarebbe stato
difficile da giustificare. Grazie anche alle istituzioni locali e alla banca stessa, siamo riusciti ad adempiere a
questo obbligo. D. L'esito di asset quality review e stress test si sta avvicinando. Siete pronti all'eventualità
(per ora puramente teorica) di un nuovo aumento di capitale? R. Si valuterà al momento della pubblicazione
dei risultati derivanti dagli stress test. Recentemente c'è già stato un cospicuo rafforzamento patrimoniale.
Speriamo che non sia necessario un nuovo aumento di capitale. D. Se il peso nelle banche andrà
riducendosi, quali saranno i prossimi obiettivi delle fondazioni? R. Tra i compiti affidati alle fondazioni c'è
quello di sostenere il settore della cultura. Questo perché, nel nostro Paese, i beni culturali sono un elemento
di grande attrattiva per il turismo. Finanziando la cultura si aiuta anche il Paese a presentarsi al meglio sul
mercato internazionale del turismo e delle iniziative collegate. D. Quali sono le iniziative della Fondazione
Mps? R. Per intanto, nella Fondazione abbiamo una figura di rilievo, Giovanna Barni, specializzata
professionalmente nella valorizzazione della cultura. Questo perché siamo intenzionati a sostenere i beni
culturali presenti nel territorio, e non solo quello senese. (riproduzione riservata) Ha collaborato Mariano
Cavataio
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intervista PARLA IL PRESIDENTE DI FONDAZIONE MPS: MENO BANCHE NEGLI INVESTIMENTI FUTURI
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Centomila posti di lavoro. E non scherziamo
La promessa di Adecco può sembrare irrealizzabile. Ma le prime assunzioni sono già state fatte.
(Sandra Riccio)
Creare 100 mila posti di lavoro in pochi mesi. È la scossa che Adecco Italia vuole dare al nostro Paese con il
suo nuovo progetto #diamolavoroalleambizioni. «Il nostro sforzo sarà rivolto in particolare ai più giovani, gli
under 29 che soffrono maggiormente la crisi. Sarà indirizzato a loro il 50 per cento delle nuove opportunità»
racconta Federico Vione, 41 anni, amministratore delegato della società leader in Italia nella ricerca del
personale. Siamo al record di disoccupazione. Davvero c'è spazio per così tanti nuovi posti di lavoro? Certo.
Basta smettere di pensare che non ci sono opportunità. Non è così. Sono le aziende a crearle con le loro
ambizioni e la loro voglia di crescere anche all'estero. L'Italia è un Paese ricco di queste realtà. Noi le
incontriamo tutti i giorni e sappiamo che sono continuamente alla ricerca delle persone giuste per
raggiungere i traguardi che si sono prefissate. Facciamo da «facilitatori». Le aiutiamo a trovare le figure di cui
hanno bisogno. Non solo. Siccome ascoltiamo tutti i giorni le esigenze delle aziende, abbiamo anche un'idea
di quella che è la formazione specifica di cui necessitano. E quindi abbiamo lanciato un piano di formazione e
sviluppo mirato a cui dedichiamo 10 milioni di euro. Nelle nostre 400 sedi formeremo tecnici, informatici
specializzati in settori appena nati ma anche manutentori o amministrativi. A che punto siete arrivati? Siamo
partiti a giugno e oggi contiamo già su 800 aziende che hanno aderito alla nostra iniziativa. Ogni impresa ha
firmato un accordo di 24 mesi specificando con che formula vorrà inserire le figure da impiegare. E a distanza
di otto settimane abbiamo identificato 6 mila opportunità di lavoro e contiamo di arrivare a quota 100 mila in
4-5 mesi. Nelle prossime settimane saremo sul territorio con un road show su Milano (30 settembre), Roma
(14 ottobre) e Padova (7 ottobre). L'obiettivo è di raccontare quali sono gli strumenti che già da oggi siamo in
grado di mettere a disposizione dei nostri clienti non solo per rispondere ai loro bisogni ma soprattutto per
costruire con loro le loro ambizioni. Come hanno reagito le aziende finora? Le abbiamo sentite pronunciare
tanti «finalmente». Il clima che si è creato intorno a questa iniziativa è positivo. C'è chi la interpreta come
un'opportunità e chi la vive come un'occasione di responsabilità sociale. C'è da segnalare una cosa però: per
la prima volta, da quando è iniziata la crisi, le aziende ricominciano ad assumere. In pochi mesi avete messo
in piedi un vostro Jobs Act. Cosa ne pensa di quello di Renzi? L'ho seguito con attenzione e ritengo che ci
siano principi di grande correttezza. Per dire, il superamento della causale è un passaggio molto pragmatico.
Non aveva più motivo di esistere e spaventava le aziende che così evitavano di assumere. Direi che tutto
quel che semplifica la vita alle aziende va nella giusta direzione. Cos'è che non va fatto allora? Non bisogna
cambiare in continuazione le regole in tavola. Altrimenti le aziende si mettono in attesa continua. Aspettano di
capire che novità arriveranno e nel frattempo stanno alla finestra. Un atteggiamento che non fa bene a
nessuno. Negli ultimi cinque anni sono state fatte molte scelte, poi subito annullate dalle decisioni che sono
seguite dopo. Così non si va avanti. Si parla molto di abolire l'articolo 18. A chi mancherà? A nessuno. Gli
imprenditori che ho incontrato, tutto vogliono fare tranne che mettersi a licenziare in massa. In questo
momento, l'articolo 18 non è la priorità numero uno, piuttosto direi che bisogna dare più visione a questo
Paese e ai suoi imprenditori. È necessario allungare lo sguardo alle ambizioni, altrimenti non ne usciamo. HP
SELEZIONA 135 PERSONE PER UN TEAM INTERNAZIONALE Professionisti dell'hardware e del software
per Hp. Con un occhio alle quote rosa. Il colosso Usa dell'informatica è tra le aziende che già sono parte
attiva nel programma #diamolavoroalleambizioni. Per ora sono 135 i nuovi inserimenti cui lavora con Adecco.
Le priorità? «Saper interagire con colleghi a livello internazionale e con esperienze e culture diverse» dice
Sergio Cereda, Hr director Gruppo Hp in Italia . «E più spazio alle donne. Per noi è prioritario che ci sia un
corretto bilanciamento delle assunzioni dal punto di vista del genere».
CON AVANADE 160 NuOVi pOsti iN DuE ANNi: FOCus AL suD il software ad alto livello assume. Avanade,
società internazionale di consulenza informatica, nata nel 2000 dalla collaborazione tra Accenture e
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intervista scenari _economia
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Panorama - N.40 - 1 ottobre 2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 25/09/2014
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Microsoft, ha previsto con il piano Adecco 160 inserimenti nei prossimi due anni, ben 110 saranno a
inserimento diretto. un occhio particolare è rivolto alle regioni a bassa occupazione come la sardegna. «Qui
stiamo assumendo sviluppatori su piattaforma Microsoft ma anche technical architect e team leader» dice
stefano Angilella, Hr Lead Avanade italia.
Foto: Federico Vione, ad Adecco
Foto: #diamo lavoroalle ambizioni è il nome del progetto di Adecco.
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Pag. 32
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Con l'illegalità non si fa il Pil
L'Italia adotta le nuove regole statistiche europee che tengono conto di attività illecite e sommerse. Così
diventiamo tutti più ricchi, il deficit scende dal 3 al 2,8 per cento e il debito dal 132 al 127. Ma c'è poco da
festeggiare. Perché la contabilità nazionale dovrebbe sottrarre e non aggiungere questo «valore».
Pino Aprile giornalista e scrittore
Non sarebbe più corretto che l'economia criminale sia sottratta e non aggiunta al Pil, il Prodotto interno lordo?
Su indicazione di Eurostat, agenzia statistica dell'Unione europea, da questo mese, i proventi di
contrabbando, prostituzione e traffico di droga possono essere contati con quelli delle attività legali, nella
ricchezza prodotta dai paesi (e, per averlo immediatamente fatto, l'Italia ha «vinto» quest'anno il premio
IgNobel per l'economia, che viene assegnato in una cerimonia all'Università di Harvard). La cosa è stata
commentata negativamente da molti, incluso il direttore di questo giornale. Chi la ritiene utile spiega che si
tratta solo di contare quanti soldi girano davvero: un numero come un altro cui non attribuire risvolti morali.
Ma le stime sull'economia criminale sono già note, quel che cambiaè sommarlaa quella legale. Nonè cosa da
niente: cambia la percezione comune di quei soldi, se finiscono tutti sullo stesso conto.E cambia pure il valore
del totale:i soldi sporchi girano, ma nonè vero che generano comunque ricchezza; in molti casi la bruciano.
Che produce la prostituzione? La merce di contrabbando deprime il mercato legale.E se arriva la più grande
partita di cocaina di sempre a Gioia Tauro, 100 tonnellate, equivalentia circa un punto e mezzo di Pil,
sequestriamo e poi alziamo il ticket sulle medicine o lasciamo correre e ci si alza il Pil? È vero, i reati restano
reati e i delinquenti, delinquenti. Ma agli onesti, e soprattutto ai disonesti, sembra quasi una legittimazione
indiretta. Concorrono o no, quei criminali, alla formazione di uno dei dati più importanti, su cui calibrare le
scelte politiche e l'immagine internazionale del Paese? E allora! Con la crisi che c'è, le maggiori banche, le
piazze borsistiche hanno bisogno di soldi come noi di aria, e corteggiano chi ne ha tanti e deve sistemarli
bene, vista la provenienza.I fatturati del crimine sono stimati, dunque ballerini, ma pari a più punti percentuali
di Prodotto interno lordo. E se si spostassero in blocco dalla borsa di Milano a quella di Francoforte? Non
vale solo per l'Italia. Se questi capitali possono ricattare, potrebbero anche pretendere. Prostituzione, droga,
contrabbando: attività non tutte ovunque illegali (in Olanda, donne in vetrina e acquisto lecito di 5 grammi di
marijuana al giorno) e si discute se legalizzarle. Non c'entra con l'indicazione di inserire nel calcolo del Pil i
proventi di tali traffici, ma la coincidenza disturba. Sommare capitali sporchi e puliti, «per sapere quanti ne
circolano davvero», è inutile (si sa già quanti degli uni e degli altri) e dannoso: se la distanza, fra gli uni e gli
altri, si riduce, anche la differenza di valore morale fra fare soldi con il lavoro o con il crimine si accorcia. Al
punto che può essere considerato accettabile fare comunque soldi, e poi farsi perdonare (o far dimenticare) il
come. Vi faccio dei nomi o «lo fate da sé» (De André)? No: i capitali sporchi non vanno aggiunti, ma sottratti
al Pil. Il crimine fa concorrenza sleale all'economia sanae ne inibisce lo sviluppo. Se il Pil legaleè 100e quello
no 5, non basta evitare di fare il totale: 105; né separarli: 100e 5; si deve sottrarre: ottenendo un valore
«legale», 95, persino inferiore a quello vero,a segnalare il maggior inquinamento. In tal modo, c'è più
convenienza a combattere il fatturato criminale, invece di sperare (per assurdo) che magari cresca, non
potendosi permettere di scegliere come salvarsi, se si affoga.
3,8
% l'aumento del pil nominale (58 miliardi di euro)
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Sindacati &privilegiati
Oggi minacciano sfracelli contro la riforma dell'art. 18. Eppure proprio loro non devono applicarlo. Ma questo
è soltanto uno dei mille, incredibili vantaggi indebiti di cui godono. Viaggio nella giungla di leggi e leggine che
hanno creato e consolidato il superpotere delle organizzazioni di categoria.
Stefano Caviglia e Laura Maragnani
Oggi minacciano sfracelli contro la riforma dell'art. 18. Eppure proprio loro non devono applicarlo. Ma questo
è soltanto uno dei mille, incredibili vantaggi indebiti di cui godono. Viaggio nella giungla di leggi e leggine che
hanno creato e consolidato il superpotere delle organizzazioni di categoria. omanda: qual è l'unica grande
«ditta» in Italia che può tranquillamente infischiarsene dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori? La risposta
è così paradossale che chi non la conosce in anticipo non ci arriverà mai. È il sindacato. Cgil, Cisl e Uil
insieme hanno circa 20 mila addetti, ma l'obbligo di reintegrare il dipendente licenziato senza giusta causa
non li riguarda. «La norma non trova applicazione nei confronti dei datori di lavoro non imprenditori, che
svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di
culto» dice la legge approvata nel 1990, quando sulla poltrona di ministro del Lavoro era seduto, guarda
caso, l'ex sindacalista Carlo Donat Cattin. È vero che i sindacati non hanno finalità lucrative nei loro statuti.
Però, a differenza di partiti ed enti di culto, guadagnano eccome: svolgendo attività assai ben remunerate
(con i Caf, Centri di assistenza fiscale, e con patronati e centri di formazione) e non di rado in condizioni di
notevole vantaggio sia competitivo che fiscale. Solo che nessuno sa quanto, perché non presentano bilanci
consolidati. Ma questa nonè l'unica perla nel vasto campionario di privilegi di cui godono le confederazioni,
insieme con una quantità di sindacati autonomi che hanno capito l'antifona e si sono messi nella scia della
cosiddetta «Triplice». Di alcuni si avvantaggia il sindacato come organizzazione, altri vanno a beneficio
personale dei sindacalisti. Troppi privilegi, in tempo di crisi, rischiano però di far colare a picco la popolarità di
un soggetto finora considerato intoccabile. Infatti il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, di fronte
all'offensiva del sindacato sulla riforma dell'articolo 18 non ha esitato a partire al contrattacco con un video in
cui, senza peli sulla lingua, accusa il segretario della Cgil, Susanna Camusso, di condurre battaglie
ideologiche di retroguardia, in difesa di pochi privilegiati. E il gesto di Raffaele Bonanni di lasciare in anticipo
la segreteria della Cisl può essere letto nella direzione di una necessità di rinnovamento. Leggi ad castam.
Un altro duro colpo all'immagine del sindacato era arrivato il 17 settembre dall'inchiesta televisiva delle Iene
che ha denunciato i trattamenti pensionistici di favore, uno dei privilegi più odiosi dei sindacalisti. La storia è
quasi incredibile: una professoressa a fine carriera viene assunta per poco più di sei mesi come dirigente dal
sindacato autonomo Snals (dove il marito è già sindacalista) e così facendo si assicura una pensione
nettamente superiore a spese dell'ente previdenziale.E come se non bastasse, nessuno pare averla mai vista
allo Snals! Il bello è che in questa situazione (a parte la presenza fantasma, ovviamente) non c'è nulla di
illegale. La legge 564 del 1996 (varata quando era ministro del Lavoro Tiziano Treu, assai vicino alle
confederazioni) autorizza infattii sindacatia incrementare, in proporzione allo stipendio,i trattamenti
previdenziali dei lavoratori che sono stati distaccati (nel settore pubblico) o si sono messi in aspettativa (nel
privato) per fare i dirigenti sindacali. Il meccanismo è complicato, ma la conseguenza è semplice: se il
sindacato riconosce, anche solo per un anno, una retribuzione molto più elevata della precedente, la
pensione del fortunato neosindacalista spicca il volo, specie se proviene dal pubblico impiego e ha al suo
attivo una lunga anzianità lavorativa. A titolo di esempio, un lavoratore pubblico che nel 1992 aveva 15-18
anni di anzianitàe oggi,a fine carriera, guadagna 2 mila euro al mese di stipendio, se nell'ultimo anno di
servizio fosse distaccato al sindacato con uno stipendio ipotetico di 5 mila euro, vedrebbe aumentare la sua
pensione da 1.800-1.900 finoa 3.500-4.000 euro al mese. Di questo fantastico regalo hanno beneficiato dal
1996 a oggi più di mille sindacalisti italiani di tutte le appartenenze. Un esempio? Lo fa Mario Giordano nel
libro Sanguisughe (Mondadori): l'ex segretario della Cisl Sergio D'Antoni, classe 1946, dal 2001 gode di una
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pensione di oltre 5 mila euro netti al mese per l'attività svolta come docente universitario. Attività
evidentemente marginale, visto che già nel 1977 era impegnato nella Cisl siciliana. Assalto all'Inps. Prima
ancora della Treu c'era stata, nel 1974, la legge Mosca, dal nome dell'ex sindacalista Cgil Gaetano Mosca.
Doveva essere una sanatoria per poche centinaia di persone:i dipendenti di partitie sindacati che dopo la
guerra avevano lavorato in nero nelle rispettive organizzazioni, allora abbastanza squattrinate. Un'occasione
imperdibile, benedetta dal ministro del Lavoro Luigi Bertoldi: socialista e, guarda caso, lui stesso funzionario
di partito. Della legge 252 hanno approfittato tanti sindacalisti. Tra gli altri, gli ex presidenti di Camera e
Senato, Fausto Bertinotti, già leader della sinistra Cgil («Ho sanato un buco contributivo dal 1964 al 1970») e
Franco Marini, già segretario generale della Cisl («Ma non ricordoi dettagli»). Di Ottaviano Del Turco ha
parlato Stefano Livadiotti in L'altra Casta (Bompiani): «In base alla documentazione presentata, l'ex
segretario generale aggiunto della Cgil avrebbe iniziatoa lavorarea tempo pieno per il sindacato alla tenera
età di 14 anni». Spiega un altro ex sindacalista della Cgil, Giuliano Cazzola: «L'intento della legge era
lodevole, ma gli abusi sono stati infiniti: mogli, figli, fidanzate, suocere, centinaia di persone hanno portato a
casa pensioni immeritate». A furia di proroghe si è arrivati a 35.564 pensioni erogate dall'Inps (di cui 12 mila
ancora in pagamento nell'aprile 2014). «La legge Mosca siè rivelata una vera truffa ai danni dello Stato. E
nell'omertà più totale è costata finora all'Inps oltre 12 miliardi» accusa Walter Rizzetto, del Movimento5 stelle,
vicepresidente della commissione Lavoro alla Camerae protagonista di un'accanita battaglia per abrogare la
252e per chiedere la restituzione del maltoltoa chi ha ottenuto la pensione truffando l'Inps. Risultati? Zero.
«Sono rimaste senza risposta anche tutte le mie interrogazioni» lamenta. Compresa l'ultima, presentata il 28
aprile, per sapere se trai beneficiari ci sia anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Distacchi
d'oro. Altro teatro di interminabili battaglie è quello dei permessi e dei distacchi di cui i sindacalisti godono nel
pubblico impiego, naturalmente a spese della collettività. Nel 2011 si scoprì che da anni tutti i sindacati
sforavano largamente il numero di ore di permesso cui avevano diritto, tanto non li controllava nessuno. Per
centinaia di migliaia di ore i sindacalisti avevano lasciato il lavoro senza averne diritto: 217 mila la Cgil, 95
mila la Cisl, 96 mila la Uil. Per un valore totale di quasi 10 milioni di euro. Credete chei sindacati abbiano
restituito soldi alla pubblica amministrazione? Ovvio che no. Hanno preferito un piano di rientro graduale
attraverso la decurtazione delle ore degli anni successivi e ancora oggi si stanno mettendo in regola. Ed è qui
che è intervenuta la riforma del ministro Marianna Madia che all'inizio di settembre ha tagliato (fra le proteste)
il 50 per cento dei 3 mila distacchi sindacali. Come faranno orai sindacatia restituire le ore in eccesso godute
fino al 2011 con una dotazione annuale dimezzata? Facile prevedere che la virtuosa restituzione segnerà il
passo, se non si arresterà del tutto. La regola è che per conquistare il diritto agli agognati permessie
distacchi, che matura insiemea quello di sedersi al tavolo delle trattative, bisogna superare il 5 per cento di
rappresentatività, cosa che riescono a fare all'incirca 45 sindacati. Ma in pista ce ne sono ben di più. Il
numero esatto nessuno lo sa perché nascono, muoiono, si scindono e si aggregano continuamente.
Panorama ha contato quelli risultanti dall'ultima rilevazione dell'Aran, l'Agenzia per la contrattazione nel
pubblico impiego: 495 sigle, senza contare Cgil, Cisl e Uil, che si contendono il superamento di quella mitica
soglia. Più Tasi per tutti. Il 30 settembre scade il termine per le dichiarazioni Tasi e Imu.Toccherà finalmente
anche ai sindacati, stavolta, aprire il portafoglio? In quanto enti non commerciali, infatti, grazie alla legge
istitutiva dell'Ici (anno 1992: ministro del Lavoro il dc Nino Cristofori, ex sindacalista anche lui) hanno
praticamente goduto, come la Chiesa, di una totale esenzione per il loro vasto patrimonio immobiliare. Dopo
l'accordo del 2012 tra Italia e Vaticano, però, anche per le sedi sindacaliè scattato l'obbligo di pagare le tasse
sugli spazi di «natura commerciale» comei Caf e i centri di formazione. Quanto pagheranno? «I dati di gettito
disponibili non consentono di effettuare una stima puntuale» ammettono al ministero dell'Economia. Infatti
non si sa nemmeno quanti immobili abbiano di precisoi vari sindacati,a cominciare da quelli ottenuti con la
legge del 1977 che ha attribuito gratis a Cgil, Cisl, Uil, Cisnal (oggi Ugl, il cui ex segretario generaleè
accusato di appropriazione indebita)e Cida (confederazione dei dirigenti d'azienda) l'eredità delle vecchie
corporazioni fasciste. Ministro del Lavoroe benefattore dei sindacati, che coincidenza, era un'ex sindacalista,
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Panorama - N.40 - 1 ottobre 2014
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(diffusione:446553, tiratura:561533)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 25/09/2014
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la dc Tina Anselmi. Il fondo dei privilegi.E che dire dei cosiddetti enti bilaterali, organismi costituiti da sindacati
dei lavoratori e associazioni datoriali che si finanziano con la trattenuta dello 0,30 per cento sulle buste paga
e con la quota annua versata dalle aziende? Queste risorse dovrebbero essere spese a beneficio dei
lavoratori, ma spesso servono solo a far girare la macchina in cui lavorano i sindacalisti. Un esempio è quello
dell'Ente bilaterale lombardo dell'artigianato (Elba), di cui Panorama ha avuto il rendiconto 2013. Ben 7,8
milioni sono stati impiegati in attività finanziarie, mentre solo poche centinaia di migliaia di euro vanno ad
attività fondamentali come il sostegno al reddito o il mantenimento dell'occupazione.È corretto? «Nonè
illegale» risponde il segretario del sindacato autonomo del settore metalmeccanico Fismic, Roberto Di Maulo,
«ma certamente immorale. Investire in titoli e ingrassare la rendita finanziaria in anni come questi in cui la
crisi imperversa è una cosa indecorosa». © riproduzione riservata
i «distacchi» quei quasi 3 mila statali che non stanno in ufficio. Un esercito di dipendenti pubblici evita ogni
giorno di presentarsi in ufficio. Perché? Sonoi titolari di distacchi sindacali: vengono pagati dai rispettivi enti,
ma sono operativi soltanto per le organizzazioni dei lavoratori. Erano poco meno di3 mila fino all' inizio di
settembre, poi la riforma Madia li ha ridotti quasi della metà. Per godere di questo vantaggio un sindacato
deve raggiungere una rappresentatività (intesa come media fra numero delle tesseree voti alle elezioni) del5
per cento. E proprio la speranza di superare la mitica soglia nella Pa ha fatto proliferare le sigle, ormaia
ridosso delle 500.
la legge 564 sei dirigente sindacale? i contributi schizzano su. Una vecchia legge consente oggi a centinaia
di sindacalisti ed ex sindacalisti di integrare notevolmente la pensione.È la 564 del 1996, con cui l'allora
ministro del Lavoro Tiziano Treu (di area Cisl) stabilì che ogni lavoratore andato in aspettativa per fare il
dirigente sindacale potesse non solo avere i contributi per il lavoro che aveva smesso di svolgere, ma anche
allinearli alla retribuzione riconosciutagli dal sindacato, quasi sempre maggiore di quella precedente. Unica
condizione, che il rapporto di lavoro duri almeno6 mesi. La trasmissione Le Iene (foto sotto) ha appena
sollevato il caso nella puntata del 17 settembre, raccontando la storia di una professoressa che oggi incassa
una pensione integrativa da sindacalista, ma senza avere mai svolto alcuna attività sindacale.
la legge mosca e il sindacalista prende la pensione senza prove. La legge 252 del 1974, meglio nota alle
cronache come «legge Mosca» dal nome del suo ideatore e presentatore, il socialista (ed ex sindacalista
Cgil) Giovanni Mosca, ha offerto ai dipendenti in nero di sindacati (Cgil in prima fila) e partiti (Pci e Dc in
testa) la possibilità di mettersi in regola con i versamenti pensionistici. Non serve nessun controllo, basta una
semplice dichiarazione del datore di lavoro. Così, graziea troppe proroghe, da poche centinaia di domande
previste, nel corso degli anni siè arrivatia un totale di 35.564. Quelli oggi in vita sono circa un terzo.
Marianna Madia, ministro pd della Pubblica amministrazione.
2.228 è il numero totale dei distacchi al quale avevano diritto tutti i sindacati fino al 30 agosto, prima della
riforma Madia che li ha dimezzati. Con il distacco i dipendenti pubblici hanno il permesso di lavorare a tempo
pieno per l'organizzazione di categoria. I sindacati, però, possono dividere tuttii permessi di distacco tra più
persone, per esempio con il distacco parttime. Un distacco equivalea 1.572 ore lavorative. Vanno però
aggiunte altre 562 unità lavorative, date dalla somma dei permessi che vengono comunque concessi ogni
anno ai rappresentanti sindacali nel settore pubblico.
35.564 sono gli italiani che dal 1974 in poi hanno ottenuto il beneficio della legge Mosca. di questi, 26.749
hanno ottenuto la costruzione di una pensione ex novo (nel senso che non ne avrebbero avuta nessuna
senza la legge Mosca)e gli altri hanno invece beneficiato di un'integrazione alla pensione che già avevano.
infine, quelli che godono di una pensione in tuttoo in parte dovuta alla legge Mosca (cioè, quelli che oggi sono
ancora in vita) sono 12.097.
12,5
miliardi di euroè il costo, stimato oggi dal Movimento5 stelle, della legge Mosca del 1974: la norma che ha
permessoa sindacati (e partiti) di regolarizzare la situazione previdenziale dei propri dirigenti e dipendenti con
una semplice dichiarazione.
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Foto: Da sinistra, i tre ex sindacalisti Ottaviano Del Turco, Franco Marini e Fausto Bertinotti: tutti e tre
incassano parte della loro pensione grazie ai benefici della legge Mosca.