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N. 00863/2014REG.PROV.COLL.
N. 03128/2013 REG.RIC.
R E P U B B L I C A
I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso
numero
di
registro
generale
3128
del
2013,
proposto
dalla:
società Sda Express Courier Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e
difeso dagli avvocati Angelo Vallefuoco e Valerio Vallefuoco, con domicilio eletto presso lo studio
del primo in Roma, viale Regina Margherita, 294;
contro
Inps - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentato e difeso dagli avvocati Antonino Sgroi, Lelio Maritato, Carla D'Aloisio ed Emanuele
De Rose, con i quali domicilia in Roma, via Cesare Beccaria 29; Ministero del lavoro, della salute e
delle politiche sociali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Ditta Servizi 2011, Consorzio Ilc, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, non
costituiti nella presente fase di giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE III n. 743/2013, resa tra le parti;
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Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’ Inps - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale e del
Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2014 il Consigliere Claudio Boccia e uditi
per le parti gli avvocati Filippo Loria per delega degli avvocati Angelo Vallefuoco e Valerio
Vallefuoco, l’avvocato Carlo D'Aloisio e l’avvocato dello Stato Daniela Giacobbe;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso n. 7503 del 2012, proposto al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, la
società SDA Express Courier s.p.a. chiedeva l'accesso a tutti gli atti ed i documenti contenuti nel
fascicolo del procedimento concluso con il “verbale di obbligazione solidale” del 9 maggio 2012,
redatto nei confronti della ditta Servizi 2011 e del Consorzio ILC, entrambi legati alla società
istante da un contratto di appalto di servizi.
La medesima società chiedeva, inoltre, l'annullamento del diniego espresso dall'Inps il 3 giugno
2012, comunicatole il successivo 2 luglio, sull'istanza di accesso agli atti presentata dalla società
stessa il 22 maggio 2012, previo - ove necessario - annullamento ovvero disapplicazione in parte
qua della normativa di natura regolamentare emanata dall'Inps in materia di accesso agli atti.
2. Con la sentenza n. 743 del 2013, il Tar per il Lazio accoglieva il predetto ricorso, annullando il
diniego di accesso di cui alla nota del 3 giugno 2012, riconoscendo alla società istante il diritto di
accedere alla documentazione richiesta e compensando le spese del giudizio in ragione
dell'“oscillazione giurisprudenziale” in materia.
3. Avverso detta sentenza la società SDA Express Courier s.p.a. ha proposto appello (ricorso n.
3128 del 2013) lamentandone l'erroneità, limitatamente al profilo relativo alla statuizione sulla
compensazione delle spese di giudizio, in quanto non vi sarebbe stata alcuna “oscillazione
giurisprudenziale” nella materia di cui è causa al momento della presentazione del ricorso di primo
grado, con la conseguenza che la compensazione delle spese legali sarebbe irragionevole e
violerebbe quanto previsto dagli artt. 91 e 92, comma 2, c.p.c. e dall’art. 26, comma 1 c.p.a.
3.1. In data 10 maggio 2013 si costituiva in giudizio l'Inps.
3.2. In data 31 maggio 2013 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con un unico atto,
presentava una memoria di costituzione in giudizio nella quale rilevava l’infondatezza della censura
proposta dalla società appellante - in merito alla decisione del giudice sulla compensazione delle
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spese di giudizio - ed un appello incidentale avverso l'impugnata sentenza del Tar per il Lazio, in
base ai seguenti motivi di diritto:
- erroneità della sentenza del giudice di prime cure nella parte in cui ha respinto l’eccezione di
difetto di legittimazione passiva del Ministero, in ragione del fatto che la società appellante non
avrebbe impugnato “né le determinazioni, né il silenzio serbato dal Ministero in ordine alla richiesta
di accesso agli atti presentata” dalla società SDA Express Courier;
- erroneità dell'impugnata sentenza nella parte in cui non ha dichiarato il ricorso di primo grado
irricevibile per tardività, in ragione della circostanza che il termine per la proposizione del ricorso
avverso il silenzio serbato dal Ministero sarebbe scaduto, ai sensi dell'art. 116, comma 1 c.p.a., il 31
luglio 2012 e, quindi, prima della notificazione del ricorso di primo grado, avvenuta il 14 settembre
2012;
- erroneità dell'impugnata sentenza per non aver dichiarato la nullità del ricorso n. 7503 del 2012 in
ragione dell’“incertezza assoluta sull'oggetto della domanda ai sensi dell'art. 44, comma 1 c.p.a.”;
- erroneità dell'impugnata sentenza nella parte in cui ha accolto il ricorso della società appellante, in
quanto il giudice di prime cure avrebbe dovuto ritenere prevalenti le tutele costituzionali poste a
difesa dei lavoratori (artt. 4, 32 e 36 Cost.) rispetto alla tutela del diritto alla difesa della predetta
società SDA Express Courier.
4. Con le memorie del 7 giugno e dell’11 giugno 2013, la società appellante articolava
ulteriormente le proprie difese, lamentando in particolare l’inammissibilità dell’appello incidentale
proposto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
4.1. Con la memoria del 14 giugno 2013 l’Amministrazione contestava la fondatezza dell’eccezione
sollevata dalla società SDA Express Courier in merito all’ammissibilità dell’appello incidentale
proposto dall’Amministrazione stessa.
5. All’udienza del 25 giugno 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
5.1. Dopo il passaggio in decisione della causa, con l'ordinanza n. 4165 del 2013, il Collegio ha
rilevato la possibile mancata integrazione del contraddittorio in primo grado, in quanto il ricorso
non risultava notificato ad alcuno dei controinteressati (ovvero i lavoratori di cui al verbale di
obbligazione solidale del 9 maggio 2012), ed ha assegnato alle parti un termine di quindici giorni decorrenti dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della succitata ordinanza - per
presentare memorie vertenti su quest'unica questione.
5.2 Nelle more della decisione, con nota dell’11 settembre 2013, il Consigliere Antonio Malaschini,
componente del Collegio decidente, ha rassegnato le proprie dimissioni da Consigliere di Stato: si è
reso pertanto necessario, non essendo possibile riconvocare il Collegio decidente nella sua
originaria composizione, fissare una nuova udienza camerale per la trattazione del ricorso.
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All’udienza camerale fissata, con il decreto del Presidente della Sezione VI n. 9 del 7 gennaio 2014,
per il 28 gennaio 2014, il Collegio ha confermato la statuizione di trattenere la causa in decisione.
6. Preliminarmente il Collegio, preso atto di un’ulteriore memoria depositata per il tramite
dell’Avvocatura di Stato il 24 gennaio 2014 dal Ministero appellante, rileva che le parti in causa
hanno adempiuto a quanto richiesto con la citata ordinanza di questo Consiglio di Stato n. 4165 del
2013.
Con memoria del 23 settembre 2013, infatti, la società SDA Express Courier ha rilevato, in punto di
fatto, che in assenza del previo accesso ai documenti sarebbe stata nell’impossibilità di procedere
all’integrazione del contraddittorio in favore di lavoratori dalla medesima non dipendenti, visto che
nel verbale sono riportati solo il nome ed il cognome dei singoli lavoratori e che l’eccezione relativa
alla mancata notifica ai controinteressati del ricorso di primo grado non risulta essere stata
riproposta dall’Amministrazione con la memoria di costituzione e l’appello incidentale del 23
settembre 2013.
A quanto precede ha aggiunto, in punto di diritto, che proprio in ragione della posizione rivestita dai
citati lavoratori ad essi non si sarebbe potuto attribuire - come statuito dal giudice di primo grado la qualifica di controinteressati nel presente giudizio, in cui rileva la sola posizione di obbligato
solidale pecuniario dell’appellante, in relazione al comportamento tenuto sotto il profilo
previdenziale dal Consorzio ILC e dalla ditta Servizi 2011 e non quella - in realtà non sussistente di “datore di lavoro dei lavoratori coinvolti, ai fini di eventuali esigenze di riservatezza, per evitare
ritorsioni o comportamenti discriminatori”.
Ne deriverebbe, a giudizio della società appellante, che il contraddittorio in primo grado
risulterebbe correttamente costituito anche in assenza della notifica del ricorso di primo grado ai
lavoratori dipendenti dal Consorzio ILC e dalla ditta Servizi 2011 e che, conseguentemente,
l’appello dalla medesima proposto dovrebbe essere accolto con contestuale rigetto dell’appello
incidentale presentato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
La società SDA Express Courier ha, infine, chiesto di rimettere la presente causa, ai sensi dell’art.
99, commi 1 e 2 c.p.a., all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, qualora il Collegio ritenesse di
discostarsi dai precedenti univoci nella materia de qua del giudice di primo grado e di quello
d’appello.
6.1. Con le memorie del 21 agosto 2013 e del 24 gennaio 2014 il Ministero del lavoro e delle
politiche sociali ha chiesto l'annullamento dell'impugnata sentenza del Tar per il Lazio, oltre che per
le ragioni già prospettate nella memoria di costituzione ed appello incidentale del 31 maggio 2013,
anche per la carenza di contraddittorio inficiante il giudizio di prime cure, dal momento che il
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ricorso di primo grado non è stato notificato ad alcuno dei lavoratori di cui al verbale
d’obbligazione solidale del 9 maggio 2012 di cui è pacifica la qualifica di controinteressati.
6.2. Osserva il Collegio che, come rilevato dalla società SDA Courier Express, la questione relativa
all'errata formazione del contraddittorio ed alla natura di controinteressati in senso tecnico dei
lavoratori di cui al “verbale di obbligazione solidale” del 9 maggio 2012, è stata sollevata
dall'Amministrazione dinanzi al giudice di prime cure, che ha respinto la relativa istanza, ma non è
stata riproposta con l'appello incidentale promosso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Non si è dunque avuto, nel caso di specie, l'effetto devolutivo tipico dell'appello, con la
conseguenza che sul relativo capo della sentenza impugnata - con cui il giudice di prime cure ha
stabilito che ai citati lavoratori non si può attribuire la qualifica di controinteressati nel presente
giudizio - si è formato il giudicato che preclude l’esame della succitata questione nel corso del
presente giudizio d'appello.
6.3. Ciò posto il Collegio ritiene di esaminare le eccezioni di rito sollevate dalla società appellante
con la memoria dell'11 giugno 2013.
In primo luogo non può essere condiviso l’assunto secondo cui nel rito dell’accesso non sarebbe
configurabile l’appello incidentale, in ragione del particolare oggetto del giudizio, con la
conseguenza che sarebbe inammissibile l’appello incidentale presentato dall’Amministrazione.
Osserva, infatti, il Collegio che la tesi della società appellante non trova riscontro nelle disposizioni
di cui all’art. 116 c.p.a. né in alcun altra disposizione del c.p.a. dove viceversa viene stabilito (art.
97) che “può intervenire nel giudizio d’impugnazione…. chi vi ha interesse”.
In secondo luogo non può essere condivisa la censura, presentata dalla società appellante, secondo
cui l’appello incidentale presentato dall’Amministrazione sarebbe configurabile come “appello
sostanzialmente autonomo”, con la conseguenza che il medesimo - soggiacendo ai termini ordinari
di impugnazione previsti dall’art. 92, comma 1 c.p.a. - sarebbe inammissibile in quanto tardivo.
Osserva il Collegio che ai sensi dell’art. 96, comma 5, c.p.a. “l’impugnazione incidentale di cui
all’art. 334 del codice di procedura civile deve essere proposta dalla parte entro sessanta giorni dalla
data in cui si è perfezionata nei suoi confronti la notificazione dell’impugnazione principale…” e
che ai sensi dell’art. 87 comma 3, c.p.a. nei giudizi in materia di accesso ai documenti
amministrativi i termini per la presentazione dell’appello sono dimezzati, risultando pari a trenta
giorni.
Da quanto esposto deriva, dunque, che l’appello incidentale proposto dall’Amministrazione doveva
essere notificato nel termine di cui all’art. 96 c.p.a. ma dimezzato ai sensi dell’art. 87, comma 3
c.p.a., ovvero entro 30 giorni dall’avvenuta notificazione dell’appello principale.
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Orbene, nel caso di specie, l’appello principale è stato notificato all’Amministrazione in data 23
aprile 2013: risulta, dunque, in termini l’appello incidentale presentato dal Ministero, in quanto
notificato alla società appellante in data 23 maggio 2013.
7. Il Collegio ritiene che, definite le questioni di rito nei termini che precedono, si possa passare
all’esame
del
merito
della
controversia,
iniziando
dall’appello
incidentale
proposto
dall’Amministrazione, in ragione del fatto che quest’ultimo contiene una questione sostanziale di
carattere dirimente da cui dipende la definizione della causa in oggetto.
Con il precitato atto l’Amministrazione ha, infatti, lamentato l'erroneità dell'impugnata sentenza del
Tar per il Lazio nella parte in cui ha accolto il ricorso della società appellante, in quanto il giudice
di prime cure avrebbe dovuto ritenere prevalenti le tutele costituzionali poste a difesa dei lavoratori
(artt. 4, 32 e 36 Cost.) rispetto alla tutela del diritto alla difesa della predetta società SDA Express
Courier.
7.1. In proposito va rilevato che - sulla questione di merito relativa al diritto d’accesso agli atti
ispettivi, contenenti dati riservati o quantomeno sensibili, da parte di società non collegate da un
rapporto di lavoro diretto con i lavoratori che tali dichiarazioni hanno reso, nonché sulla questione,
strettamente connessa alla precedente, relativa al corretto bilanciamento fra i contrapposti diritti
costituzionalmente garantiti alla tutela dei propri interessi giuridici (art. 24 Cost. nonché art. 6
CEDU, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) ed
alla riservatezza dei lavoratori e delle dichiarazioni da loro rese in sede ispettiva (artt. 4, 32 e 36
Cost. nonché art. 8 CEDU) - si rinviene un orientamento giurisprudenziale della Sezione che ritenendo prioritarie le necessità difensive delle società istanti, tutelate dall’art. 24 della
Costituzione e dal disposto dell’art. 24, comma 7 della legge n. 241 del 1990, nella parte in cui
dispone che l’accesso sia garantito “comunque” a chi debba acquisire determinati atti per la cura dei
propri interessi giuridicamente protetti - ha concesso alle società istanti di accedere alle
dichiarazioni rese in sede ispettiva da lavoratori non direttamente impiegati presso le società
medesime (Cons. di Stato, Sez. VI, 26 marzo 2013, n. 1684; 12 dicembre 2012, n. 6380; 9 maggio
2011, n. 2747; 16 dicembre 2010, nn. 9102 e 9103).
Ciò anche in ragione dell'assunto - peraltro logicamente subordinato rispetto alla valutazione
precedentemente citata - secondo cui in assenza di un rapporto lavorativo diretto fra lavoratori e
società istanti non sarebbe applicabile la normativa regolamentare che non consente l'accesso agli
atti contenenti le dichiarazioni rese agli ispettori del lavoro, qualora dalle medesime possano
derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni a carico dei lavoratori, ed in particolare il
decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 757 del 4 novembre 1994.
Parallelamente a detto orientamento la giurisprudenza della Sezione, benché con indirizzo non
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univoco, si è anche orientata nel senso di non consentire l’accesso alle dichiarazioni rese dai
lavoratori ai succitati ispettori del lavoro nell’ipotesi in cui il predetto accesso sia stato chiesto dalle
società che hanno un rapporto lavorativo diretto con i medesimi lavoratori e ciò in ragione del fatto
che - anche sulla base di una valutazione effettuata in merito alle singole fattispecie di causa - nel
bilanciamento dei contrapposti interessi doveva ritenersi prevalente quello alla tutela della
riservatezza delle dichiarazioni rese dai lavoratori al fine di proteggerli da eventuali ritorsioni o
indebite pressioni che il datore di lavoro, con cui avevano un rapporto di diretta dipendenza,
avrebbe potuto svolgere nei loro confronti (Cons. di Stato, Sez. VI, 7 dicembre 2009, n. 7678; 9
febbraio 2009, n. 736; 22 aprile 2008, n. 1842; 27 gennaio 1999 n. 65; 4 luglio 1997, n. 1066; 19
novembre 1996, n. 1604).
In una recentissima sentenza della Sezione, infine, il tema del corretto bilanciamento fra i precitati
diritti costituzionalmente garantiti è stato affrontato, pur senza decidere nel merito della questione,
rilevando come - anche nella materia dell’accesso da parte di società non datrici di lavoro dei
soggetti che hanno reso le dichiarazioni ispettive così come in caso di accesso “diretto” da parte dei
datori di lavoro - si potrebbe procedere ad una valutazione “caso per caso” delle richieste di accesso
agli atti, in modo che si possa tener conto degli elementi di fatto e di diritto concretamente posti a
fondamento delle richieste medesime, in quanto non potrebbe “affermarsi in modo aprioristico una
generalizzata recessività dell’interesse pubblico all’acquisizione di ogni possibile informazione, per
finalità di controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro (a cui sono connessi valori, a loro
volta, costituzionalmente garantiti), rispetto al diritto di difesa” (Cons. di Stato, Sez. VI, 11 luglio
2013, n. 4035).
8. In ragione dell'indubbia rilevanza dei sopracitati diritti costituzionalmente garantiti, la Sezione ha
ritenuto necessario procedere ad un approfondimento della questione di diritto in esame per stabilire
un orientamento uniforme su una tematica oggetto di ampio dibattito.
Ad un più maturo esame, la Sezione ritiene che il punto nodale di tale questione, relativa al corretto
bilanciamento fra i contrapposti diritti costituzionalmente garantiti alla tutela dei propri interessi
giuridici (art. 24 Cost. nonché art. 6 CEDU) ed alla riservatezza dei lavoratori e delle dichiarazioni
da loro rese in sede ispettiva (artt. 4, 32 e 36 Cost. nonché art. 8 CEDU), risulta essere l’ambito di
applicazione dell’art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990 (nella parte in cui dispone che
l’accesso deve “comunque” essere garantito ai soggetti che lo richiedono “per curare o per
difendere i propri interessi giuridici”), rispetto alle esigenze prese in considerazione da altre
disposizioni di legge, applicabili in materia.
Deve sottolinearsi, in proposito, come la predetta tutela - da intendersi come categoria che
ricomprende, senza esaurirlo o assorbirlo, il diritto alla difesa giurisdizionale dei propri interessi ai
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sensi dell’art. 24 della Costituzione - per quanto privilegiata, non risulta di per se stessa garantita
dall’ordinamento in via generale ed assoluta, ma va necessariamente contemperata con la tutela dei
contrapposti interessi che trovano il loro fondamento in norme costituzionali e sub costituzionali,
sia legislative che regolamentari, nell’ottica di un corretto bilanciamento fra tutele d’interessi di
livello normativo quantomeno equiordinato, se non costituzionalmente sovraordinato.
In questo ambito assume una sicura e particolare rilevanza la tutela della riservatezza dei lavoratori
che hanno reso dichiarazioni in sede ispettiva, volta sia a prevenire eventuali ritorsioni o indebite
pressioni da parte del datore di lavoro, sia a preservare, in un contesto più ampio, l’interesse
generale ad un compiuto controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro.
In relazione a questo profilo la Sezione ritiene di dover modificare il proprio orientamento, così
come in precedenza ricordato.
Osserva, infatti, la Sezione che - così come la cura e la difesa degli “interessi giuridici” delle società
che richiedono l'accesso risulta tutelata dall'art. 24, comma 7 della legge n. 241 del 1990 - allo
stesso modo la tutela della riservatezza delle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede ispettiva, quale
controlimite rispetto al precitato diritto alla cura ed alla difesa dei propri interessi giuridici, trova il
suo fondamento - oltre che nella normativa costituzionale ed europea precedentemente ricordata
(artt. 4, 32 e 36 Cost. nonché art. 8 CEDU) - anche nell’art. 8 dello Statuto dei lavoratori (legge n.
300 del 20 maggio 1970), il quale dispone che “è fatto divieto al datore di lavoro, ai fini
dell’assunzione, come nel corso del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di
terzi, sulle opinioni politiche religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai
fini della valutazione dell’attitudine professionale”.
Detta disposizione dello Statuto dei lavoratori - quale “espressione di un principio generale”
dell’ordinamento (Cass. Civ., 12 giugno 1982, n. 3592) - nel precludere la possibilità per il datore di
lavoro di entrare in possesso di informazioni sensibili e non rilevanti ai fini della valutazione
dell’attitudine professionale del lavoratore, fornisce una tutela privilegiata alla riservatezza dei
lavoratori rispetto alle ingerenze nella loro sfera privata.
In questo ambito trova logica collocazione - in ossequio al disposto dell’art. 24, comma 6, lettera d)
della legge n. 241 del 1990 e come specificazione del precitato divieto legislativo - il decreto del
Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 757 del 4 novembre 1994 che, all’art. 2, comma 1,
lettere b) e c), stabilisce che siano sottratti al diritto d’accesso i “documenti contenenti le richieste di
intervento dell’Ispettorato del Lavoro” nonché quelli “contenenti notizie acquisite nel corso delle
attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie o indebite
pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi”.
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Ritiene, pertanto, la Sezione che - alla luce del quadro normativo sopra esposto e nell'ottica di un
corretto bilanciamento fra contrapposte esigenze costituzionalmente e legislativamente garantite non può ritenersi sussistente una recessività generalizzata della tutela della riservatezza delle
dichiarazioni rese dai lavoratori in sede ispettiva rispetto alle esigenze di tutela degli interessi
giuridicamente rilevanti delle società che richiedono l'accesso, ma deve al contrario ritenersi in via
generale prevalente, se non assorbente, la tutela apprestata dall'ordinamento alle esigenze di
riservatezza delle suddette dichiarazioni, contenenti dati sensibili la cui divulgazione potrebbe
comportare, nei confronti dei lavoratori, azioni discriminatorie o indebite pressioni.
Ciò, in primo luogo, alla luce della considerazione, rispondente ad esigenze di giustizia sostanziale,
che i lavoratori risultano la “parte debole” del rapporto contrattuale esistente fra loro e le società
istanti: è, infatti, lo stesso art. 24, comma 6, lettera d) della legge n. 241 del 1990 che impone di
prendere atto delle realtà dei singoli settori della vita sociale e di riconoscere rilevanza alle esigenze
di riservatezza delle “persone fisiche”, e ciò a maggior ragione quando le medesime siano
potenzialmente esposte ad un danno o ad un pericolo di danno connesso all’ostensione di dati a loro
riferibili.
In altri termini, i lavoratori devono essere posti in grado di collaborare con le autorità
amministrative e giudiziarie, di presentare esposti e denunce, senza temere possibili ritorsioni
nell’ambiente di lavoro nel quale vivono quotidianamente.
Sotto tale profilo, dunque, la stessa lettera d) del comma 6 del citato art. 24 deve ritenersi riferita, su
un piano sistematico che procede dall’apice delle previsioni costituzionali, alla tutela della
riservatezza di coloro che ragionevolmente risultano “più deboli” nell’ambito del rapporto di lavoro
che, nell’ordine delle priorità costituzionali, sancite dagli stessi artt.1 e 4 Cost., è fatto oggetto di
una tutela fondativa dell’intero sistema dei diritti fondamentali.
A quanto precede deve peraltro aggiungersi che, anche in assenza dell'accesso alle dichiarazioni
rese dai lavoratori, la tutela degli interessi giuridici vantati dalle società medesime risulta
“comunque” pienamente garantita dall'ordinamento.
Infatti, la preclusione dell'accesso alle dichiarazioni ispettive non consente di far ritenere
sostanzialmente “affievolita” la tutela concessa alle società istanti al fine di difendere i propri
interessi, soprattutto con riferimento alla cura ante causam degli stessi: la compiuta conoscenza dei
fatti e delle allegazioni contestate alle società datrici di lavoro, necessaria al fine di non incorrere in
violazioni dell'art. 24, comma 7 della legge n. 241 del 1990, risulta di norma assicurata dal
contenuto del verbale di accertamento relativo alle dichiarazioni de quibus - contenente il puntuale
elenco delle violazioni contestate alle società istanti e dei fatti dai quali sono scaturite, in ossequio
al generale principio dell'obbligo di motivazione delle contestazioni amministrative e/o penali 9
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dalla documentazione che ogni datore di lavoro è tenuto a possedere nonché, in ultima istanza, dalla
possibilità di ottenere accertamenti istruttori in sede giudiziaria.
Alla luce di quanto esposto, dunque, la documentazione a cui si richiede di accedere, contenente
dichiarazioni senza dubbio sensibili, non risulta - come invece richiesto ai sensi dell'art. 24, comma
7 della legge n. 241 del 1990, così come novellato dalla legge n. 15 del 2005 - “strettamente
indispensabile” al fine di curare o difendere gli interessi giuridicamente rilevanti delle società
datrici di lavoro, con la conseguenza che l’ostensione della medesima può essere negata qualora
non ricorrano peculiari e comprovate situazioni, adeguatamente e specificamente motivate dalle
società istanti.
A quanto precede va, peraltro, aggiunto che le predette conclusioni - relative alle istanze di accesso
promosse da società datrici di lavoro dei soggetti che hanno reso le dichiarazioni ispettive - per il
principio di non contraddizione devono ritenersi estensibili anche nei confronti delle richieste di
accesso avanzate da società non datrici di lavoro dei soggetti che hanno reso le citate dichiarazioni,
ma alle medesime legate da un vincolo di coobbligazione solidale.
Ciò, in primo luogo, in quanto la prevalenza del diritto alla riservatezza dei lavoratori che hanno
reso le dichiarazioni rispetto alla tutela garantita dall'art. 24, comma 7 della legge n. 241 del 1990,
come sopra rilevata, risulta un principio di carattere generale che, come tale, opera a prescindere
dalla circostanza che l'istante sia o meno il datore di lavoro dei soggetti che hanno reso le
dichiarazioni stesse.
In secondo luogo, la prevalenza del diritto alla riservatezza, così come sopra rilevata, è volta a
garantire anche “l’interesse pubblico all’acquisizione di ogni possibile informazione, per finalità di
controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro”: tale interesse verrebbe, infatti,
compromesso dalla reticenza dei lavoratori a rendere dichiarazioni ispettive, che potrebbe generarsi
a prescindere dall’esistenza di un rapporto di lavoro diretto fra soggetto che ha reso le dichiarazioni
e società istante.
A quanto precede va, peraltro, aggiunto che consentire l’accesso alle società non datrici di lavoro
accorderebbe a soggetti terzi rispetto al vincolo contrattuale una tutela che non si garantisce agli
stessi datori di lavoro, portatori di un interesse diretto all'acceso: ciò finirebbe per creare delle
illogiche disparità di trattamento, garantendo al soggetto che ha maggior interesse all'accesso (il
datore di lavoro) un tutela inferiore rispetto a quella concessa ai soggetti esterni rispetto al vincolo
contrattuale.
Inoltre, sotto il profilo processuale, deve rilevarsi che in un eventuale giudizio relativo alla mancata
esecuzione del “verbale di coobbligazione solidale” le posizioni delle società, sia di quella datrice di
lavoro che di quella appaltante, risulterebbero in ogni caso sostanzialmente omogenee, stante la
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possibilità per la società appaltante di esperire un intervento ad adiuvandum nei confronti della
società appaltatrice: ciò potrebbe implicare, dunque, che la società non datrice di lavoro dei soggetti
che hanno reso le dichiarazioni ispettive potrebbe produrre in giudizio, a fini difensivi, proprio i
documenti il cui accesso era stato precluso, in ragione di quanto sopra esposto, alla società datrice
di lavoro.
Ne deriverebbe, dunque, una piena ostensione processuale delle identità e delle dichiarazioni dei
dipendenti nei confronti della società datrice di lavoro, con conseguente elusione della prevalenza
del diritto alla riservatezza dei lavoratori medesimi, come sopra evidenziata.
Infine, deve rilevarsi come si assista - peraltro non solo in ambito nazionale - ad una crescente
tendenza all’esternalizzazione dei rapporti di lavoro, attuata tramite la creazione di società satelliti o
comunque con la instaurazione di rapporti con soggetti erogatori di servizi di “manodopera” che
sostituiscono, più o meno strutturalmente, le maestranze della società appaltante: tale tendenza non
può, dunque, che creare forme di solidarietà de facto tra imprese, anche al di fuori di situazioni di
effettivo controllo azionario della società appaltante sulla società appaltatrice.
Anche sotto un profilo meramente fattuale, quindi, consentire l’accesso alle società non datrici di
lavoro, ma fruitrici della “esternalizzazione”, rischierebbe di rendere sostanzialmente inutiliter
datum il divieto di ostensione ai datori di lavoro dei documenti riguardanti dichiarazioni ispettive
dei propri lavoratori, così come in precedenza riconosciuto, in ragione della sempre più probabile
esistenza di contatti e di confluenza di interessi operativi fra società coobbligate.
9.In ragione di quanto precede il motivo all'esame della Sezione risulta fondato.
Pertanto, l'appello incidentale presentato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, assorbito
ogni ulteriore motivo, risulta fondato e va, quindi, accolto e, conseguentemente, va respinto
l'appello principale promosso dalla società SDA Courier Express s.p.a. .
10. Il Collegio ritiene che la complessità delle questioni affrontate ed i particolari profili giuridici
della causa consentono la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando
sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Accoglie l’appello incidentale proposto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del 25 giugno 2013 e 28 gennaio 2014 con
l'intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
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Maurizio Meschino, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
Claudio Boccia, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/02/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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