Cantieri Vicentini 2014_1

BIMESTRALE DELLE IMPRESE DI COSTRUZIONI EDILI, IMPIANTISTICA E PROGETTAZIONE DI CONFINDUSTRIA VICENZA
Scuola edile,
si avvicina il via
ai lavori per la
nuova sede
l’analisi
La ristrutturazione
edilizia tra il decreto
del fare e il terzo
piano casa
del Veneto
restauro
È rinato Palazzo
Chiericati, il Museo
della città
2014
1
edito da IPI SRL Società unipersonale
in questo numero
EDITORIALE
Quanto ci costa il dissesto in Italia
5
PRIMO PIANO
Scuola edile, si avvicina il via ai lavori
per la nuova sede
6
ARGOMENTI
Prove tecniche non distruttive
nelle ristrutturazioni
L’ANALISI
La ristrutturazione edilizia tra il decreto del
fare e il terzo piano casa del Veneto
La legge urbanistica regionale non funziona.
Occorre un restyling o è meglio una
nuova legge?
8
Collaboratori
Carlo Casarotti
Maurizio Mascarin
Simone Sinico
12
24
RESTAURO
È rinato Palazzo Chiericati, il Museo della città 48
NOTIZIARIO COSTRUTTORI
Direttore responsabile
Stefano Tomasoni
56
Progetto Grafico e Stampa
Giovanni Nicola Roca
UTVI srl - Vicenza
Editore
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per l’Industria SRL
Società unipersonale
Piazza Castello 3 Vicenza
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Loc. OTTELLA 3/B int. 25
Tel. 045 596036
Anno sessantADUESIMO n. 1
FEBBRAIO 2014
• 1 numero d 5,50
• arretrati d 9,00
• a bbonamento annuo d 30,00
IVA compresa (su c/c postale
n. 16288367 intestato a IPI SRL
Società unipersonale Vicenza)
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CANTIERI VICENTINI offre nuove immagini e
contenuti marcatamente di “filiera”, ed è rivolto alle
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editoriale
Quanto ci costa
il “Dissesto Italia”?
Nello scorso mese di febbraio Ance, Architetti, Geologi e Legambiente
si sono riuniti per la presentazione della grande inchiesta multimediale
#DissestoItalia, liberamente accessibile sul sito www.ance.it, e per
lanciare un appello ai Presidenti della Repubblica e del Consiglio per
un’azione immediata contro il dissesto idrogeologico.
I dati del dissesto documentati nell’indagine sono impressionanti e
descrivono una scia ininterrotta di disastri in tutto il territorio nazionale,
da Nord a Sud, dalla madre di tutte le tragedie nazionali, il Vajont, alle
sciagure più recenti: le alluvioni di Messina nel 2009, di Vicenza nel
novembre del 2010, di Genova nel 2011, della Sardegna nel novembre
2013, per citarne solo alcune.
Episodi che testimoniano di un territorio martoriato: l’82% dei Comuni
è esposto a rischio idrogeologico, oltre 5 milioni e 700 mila cittadini
vivono in un’area di potenziale pericolo. Il numero delle vittime è
altissimo e deve far riflettere: in poco più di 100 anni, 12.600 fra morti,
dispersi o feriti e più di 700 mila sfollati, tra il 2002 e il 2014 si contano
293 morti, 24 solo nell’anno 2013.
I professionisti, gli ambientalisti e le imprese hanno chiesto l’avvio di
un grande piano di prevenzione e di messa in sicurezza del territorio,
da realizzare a brevissimo, con risorse certe e immediatamente
utilizzabili, anche sforando il Patto di stabilità e utilizzando la nuova
programmazione dei Fondi Europei. È, oltre tutto, una questione di
civiltà, se si considera che i luoghi a più alto rischio sono quelli in cui
dovremmo sentirci maggiormente al sicuro, scuole e ospedali: 6.400
edifici scolastici, su 64.800 totali, sorgono in un’area a rischio frana o
alluvione e oltre 550 strutture ospedaliere si trovano in zone a rischio.
A questo punto, e al di là dell’imprescindibile valore della vita umana e
del diritto di tutti a vivere in sicurezza, sorge spontanea una domanda:
qual è il prezzo del “DissestoItalia”? Si stima che il costo complessivo
dei danni provocati in Italia da terremoti, frane e alluvioni, dal 1944 ad
oggi. è pari a 242,5 miliardi di euro, circa 3,5 miliardi all’anno!
Numeri e cifre che spiegano perché anche il nuovo Governo Renzi
abbia indicato tra le sue priorità i provvedimenti in materia di edilizia
scolastica e dissesto idrogeologico, purché, anche questa volta, non
si tratti dell’ennesimo annuncio destinato a cadere sotto la scure
delle mancate coperture. A proposito delle coperture non si può non
affermare che una buona gestione della spesa non può prescindere
dalla messa in sicurezza del territorio: quante vite umane avremmo
salvato e quanti di quei 242,5 miliardi di euro avremmo risparmiato
se avessimo utilizzato una piccola parte di quelle immense risorse in
prevenzione? La logica tutta italiana, in questi decenni, invece, è stata:
“per le emergenze le coperture si trovano...”. Sì, ma a che prezzo?
5
Maurizio Mascarin
Scuola edile, si avvicina il via
ai lavori per la nuova sede
A gennaio la Cassa Edile ha reso pubblico l’avviso di gara per la realizzazione del nuovo
polo dell’edilizia, che sorgerà in viale Cricoli (zona Astichello) a Vicenza e darà sede alla
Scuola edile “Andrea Palladio” e al Comitato Paritetico Territoriale.
A
pre più prossimo. Rispetto all’idea originaria l’edificio
non prevede più la sede della Cassa edile. Come mai?
“Si è preso atto del contesto generale del settore, che
negli ultimi quattro anni ha denunciato una riduzione
dell’attività edile del 30 per cento. Da qui la decisione
di dare il via alla realizzazione del nuovo edificio per
rispondere quanto prima alle esigenze logistiche della
Scuola edile, che oggi si trova sostanzialmente decentrata in tre punti: sede, amministrazione e aule in
viale Torino; un percorso formativo dislocato presso
l’istituto Canova; un laboratorio-pratica in Via Rossini.
Si comprende l’esigenza della Scuola edile, non più
rinviabile, di unificarsi in un unico complesso moderno
e funzionale. Il progetto approvato, ora messo in gara,
risponde in via prioritaria a questa forte e doverosa
esigenza di ottimizzare la logistica della scuola. E’
possibile che in futuro anche la Cassa Edile si trasferisca
presso il nuovo polo dell’edilizia, raggruppando tutti gli
istituti-enti del settore”.
gennaio la Cassa edile, ente paritetico tra imprenditori- sindacati, ha reso pubblico l’avviso
di gara per la realizzazione del nuovo polo
dell’edilizia, che sorgerà in viale Cricoli (zona Astichello)
a Vicenza. In base al progetto approvato, firmato dallo
studio vicentino “S+3 architetti”, degli architetti Smania
& Doni, la struttura è destinata ad essere il nuovo contenitore funzionale della Scuola edile “Andrea Palladio”
e del CPT, il Comitato paritetico territoriale.
“L’importo dell’appalto, scaduto il 19 marzo, è di poco
superiore ai 2 milioni 800 mila euro. Ci fa piacere
constatare – commenta il presidente della Cassa edile
Leonardo Martini – che 35 imprese edili di casa nostra
hanno effettuato la presa visione della documentazione
di gara. Si tratta di un numero cospicuo di aziende della
nostra provincia (così come previsto dall’avviso di gara),
per lo più di medie dimensioni, aderenti al sistema che
fa capo alla Cassa Edile di Vicenza”.
- Dunque, presidente Martini, l’avvio dei lavori è sem-
6
“Si è preso atto del
contesto generale del
settore, che negli ultimi
quattro anni ha denunciato
una riduzione dell’attività
edile del 30 per cento.
Da qui la decisione di dare
il via alla realizzazione
del nuovo edificio per
rispondere quanto prima
alle esigenze logistiche
della Scuola edile, che oggi
si trova sostanzialmente
decentrata in tre punti:
sede, amministrazione e
aule in viale Torino, un
percorso formativo dislocato
presso l’istituto Canova;
e un laboratorio-pratica
in Via Rossini”.
primopiano
Nelle immagini, i rendering dell’edificio
dove troveranno sede la Scuola edile,
il CPT e la Cassa edile
provincia del Veneto a dotarsi di una specifica e unificante struttura per la formazione in edilizia. Questo ci
ha permesso di osservare quanto fatto dai colleghi delle
altre provincie, valutando quindi le soluzioni più idonee
e razionali. Possedere una nuova ed efficiente struttura
per l’edilizia non è titolo di soddisfazione solo per tutta
la filiera del settore ma per l’intera nostra provincia. La
nostra scuola edile, non va dimenticato, è riconosciuta
anche fuori regione per le sue specificità, in particolare
per quanto riguarda l’insegnamento delle tecniche per il
restauro. Con una sede tutta nuova la scuola è destinata
a qualificarsi ulteriormente e a darsi nuovi traguardi”.
- Quali sono le caratteristiche di questo “edificio dell’edilizia”, che secondo la tempistica sarà pronto per la
fine del 2015?
“Una volta realizzato, si presenterà come un grande
parallelepipedo dotato di una sovrastruttura di copertura
in acciaio. Le linee marcate, precise, corrispondono
a spazi interni funzionali: 9 aule, un laboratorio di
500 metri quadri, servizi, per un totale di 1200 metri quadrati. Particolarmente interessante il piano terra,
dove troverà posto un auditorium di 200 metri quadrati,
destinato a incontri tra professori e genitori degli alunni
e a riunioni istituzionali. Dal punto di vista impiantistico,
la struttura verrà dotata di soluzioni che ottimizzano
il risparmio energetico, con la presenza anche di un
impianto fotovoltaico. Non va poi dimenticato che il
lotto esterno all’edificio, di 6 mila metri quadrati, diventerà uno spazio attrezzato per le esercitazioni di
cantiere, con specifiche per addestramento ponteggi,
gru, muletti. Mi piace infine ricordare che l’appalto ora
in gara potrà essere soggetto a migliorie da parte delle
imprese partecipanti. Lo ritengo un fatto importante. Gli
eventuali suggerimenti tecnici proposti saranno valutati
con attenzione da una apposita commissione di esperti”.
- È interessante notare anche il fatto che il polo edile
sorgerà in una zona limitrofa all’istituto tecnico per geometri Canova, nonché vicino ad altri complessi scolastici.
Per la Scuola edile è un’opportunità per sviluppare
ulteriori sinergie...
“Non è casuale la scelta di quest’area per l’insediamento
della scuola. La presenza in zona di altri plessi scolastici
fa si che questa parte di città si stia strutturando come cittadella dello studio tecnico e professionale. La vicinanza
del ‘Canova’ con la Scuola Edile non potrà che favorire
e rafforzare la già ottima e collaudata collaborazione
tra i due istituti. Voglio ricordare che Vicenza è l’ultima
7
Maurizio Mascarin
Prove tecniche non distruttive
nelle ristrutturazioni
Un convegno a Vicenza ha spiegato l’importanza crescente delle “prove non distruttive”
sui fabbricati, che permettono una diagnosi non invasiva delle condizioni dell’edificio che
s’intende ristrutturare o di quello che si va a progettare.
S
i è svolto di recente a Vicenza un convegno sulle
indagini e prove non distruttive come metodi preventivi per costruzioni, restauri e ristrutturazioni,
organizzato dalla Sezione Costruttori edili di Vicenza
e da Ance Veneto.
I lavori sono stati aperti dall’intervento di Gaetano Marangoni, presidente della Sezione Costruttori Edili di
ANCE Vicenza, che ha riaffermato il valore delle Commissioni Tecnologiche, istituite anni fa con la finalità di
approfondire le tematiche delle tecniche di costruzione,
e nell’occasione ha ribadito l’importanza dello studio e
messa a punto di tecniche diagnostiche non distruttive
per migliorare e facilitare l’opera delle imprese di costruzioni generali e specialistiche.
Al termine del convegno, Luigi Schiavo, presidente di
ANCE Veneto, ha riaffermato che la strada da percorrere
per il progresso dell’edilizia è la ricerca di innovazioni
tecnologiche e la preparazione di tecnici e operatori
specializzati in ogni settore.
Le relazioni sono state svolte dal prof. Marco Boscolo
(docente di Qualità nella pratica del cantiere – Scuola
di Ingegneria e Architettura – Università di Bologna), per
quanto concerne “I controlli in cantiere: le diagnosi non
distruttive”, dall’ing. Marco D’Attoli (dottore di ricerca in
geotecnica) che ha trattato la “Diagnostica geofisica e
indagini geotecniche finalizzate al consolidamento dei
terreni di fondazione” e dal dott. Filippo Bonazzi (Società
italiana risk management srl) che ha illustrato “L’audit
assicurativo in cantiere: dalla mappatura del rischio al
controllo del programma assicurativo”
Scienza e tecnica permettono di verificare in anticipo una
corretta realizzazione degli interventi edilizi, soprattutto in
fase di progettazione. È il messaggio lanciato sul tema
del controllo dei fabbricati con metodi preventivi attraverso
8
“Conoscere in anticipo
le condizioni di un
fabbricato consente
di scegliere specifiche
tipologie di intervento,
col risultato di quantificare
con maggior precisione
i costi e di mettere
al riparo l’impresa da
eventuali contestazioni
sulle modalità costruttive.
Il contenzioso nel restauro
e nella ristrutturazione
spesso
diventa un pretesto
Ing. Marco
D’Attoli
per ritardare i pagamenti
o esigere sconti non
motivati. Anche sotto
questo aspetto, le prove
non distruttive
costituiscono un valido
strumento di prevenzione
di fronte a contenziosi
legali o assicurativi”.
argomenti
Nel riquadro piccolo della pagina accanto,
Livio Zarantonello
Ing. Marco D’Attoli
Prof. BOSCOLO
sistemi di diagnostica non distruttiva. Livio Zarantonello,
coordinatore del gruppo Tecnologico e Innovazione di
Ance Veneto e consigliere della sezione costruttori edili
di Confindustria
Vicenza, promotrice dell’incontro, ha
Prof.
BOSCOLO
introdotto il tema dell’importanza crescente delle “prove
non distruttive” sui fabbricati che, affiancate alle verifiche
abitualmente eseguite dai professionisti, permettono una
diagnosi più precisa e completa delle condizioni dell’edificio che s’intende manutentare o ristrutturare. Con lui
abbiamo approfondito il tema del convegno.
- Perché avete ritenuto importante invitare al convegno
tre relatori che sono specialisti di tematiche differenti,
anche se collegate al mondo dell’edilizia?
“Perché il progettista e soprattutto l’impresa, nell’esecuzione di una commessa, devono necessariamente considerare risvolti tecnici sull’analisi del fabbricato, tematica
svolta dal prof. Boscolo. Devono essere esaminate le
problematiche legate ad indagini geotecniche finalizzate
alla valutazione del sito ed all’eventuale consolidamento
del terreno, argomento trattato dall’ing. Marco D’Attoli
e, non ultimo, deve essere attentamente valutato l’aspetto
delle responsabilità civili verso terzi, dei danni in corso
d’opera, delle controversie contrattuali e delle garanzie
postume sempre più spesso richieste dal committente,
e della corretta valutazione delle coperture assicurative. Tutto questo è finalizzato alla riduzione del ‘rischio
d’impresa’ nell’eventualità di contestazioni e contenziosi
legali. Si rileva che spesso vengono pagati premi assicurativi, senza che vi sia una adeguata copertura
assicurativa.”
- Da dove nasce l’idea di organizzare questo convegno?
“Dal fatto che l’esigenza di pianificare un approccio
analitico corretto e completo all’edificio edificato o da
ristrutturare, è sempre più sentita. Il futuro dell’edilizia
9
Ing. Marco D’Attoli
ricerca infiltrazioni di aria con Blower door test
argomenti
Prof. BOSCOLO
Prof. BOSCOLO
materiale di isolamento distribito in modo disomogeneo
è delle imprese strutturate e proiettate all’innovazione cace, da affiancare alle attuali tipologie di indagine, sia
ricerca infiltrazioni di aria dal giunto primario
tecnologica. Ne consegue che non c’è edilizia di qua- per l’esame delle caratteristiche tecniche dei materiali,
lità senza metodologie avanzate e personale di elevata che per la verifica dello stato degli assetti esistenti. Si
tratta di prove non invasive, misurabili e ripetibili, che
competenza specialistica.
Rispetto a un recente passato, l’innovazione tecnologica offrono un check up completo dell’edificio. In altre parappresenta una componente sempre più elevata nel role, permettono una diagnosi delle condizioni dell’edisettore costruzioni; la recente approvazione della terza ficio che s’intende ristrutturare o di quello già costruito.
versione del Piano Casa e l’avvio in Consiglio Regionale Ciascuna prova agisce sui particolari del fabbricato e
dei lavori che porteranno all’approvazione della legge una volta sommata alle abituali analisi e valutazioni che
sul consumo
suolo, ci danno un’indicazione da sempre eseguono i progettisti, permette di avere un
materialeregionale
di isolamento distribuito
in mododel
disomogeneo
chiara, in quanto il futuro del mercato sarà prevalente- quadro analitico dettagliato e completo.
mente indirizzato alla manutenzione e riqualificazione de- Va rilevato che un numero sempre maggiore di profesgli edifici esistenti. In quest’ottica i Progettisti e le imprese sionisti e consulenti tecnici utilizzano per le misurazioni
sono chiamate a crescere sotto il profilo della qualità e apparecchiature di ultima generazione; purtroppo non
dell’innovazione tecnologica, nonché nella capacità di sempre queste attrezzature sono impiegate in modo
progettare ed eseguire interventi sempre più complessi. corretto, come ha osservato il prof. Boscolo nel corso
È quindi indispensabile pianificare attentamente le opere del suo intervento, in quanto il loro uso è saltuario,
di costruzione, di risanamento e soprattutto controllare ripetuto a distanza di tempi lunghi e gli strumenti tale documentare il rispetto della qualità e dell’efficacia volta non sono tarati. Inoltre il loro utilizzo richiede
analisi ultrasonora
di un pilastro in calcestruzzo
conoscenze e preparazione specifiche per la corretta
degli interventi.
A partire dagli ultimi anni del secolo scorso, molti labo- interpretazione dei dati.
ratori di ricerca dell’industria edile privata e laboratori Da qui l’iniziativa del Gruppo Tecnologico di Ance
universitari di scienza delle costruzioni, hanno studiato Veneto di promuovere uno studio per individuare un
una serie di ‘prove non distruttive sui materiali da costru- insieme di prove non distruttive, normate e ripetibili,
zione’ degli edifici; pratiche che si stanno sempre più catalogate e presentate alle imprese e ai professionisti.
Grazie al contributo del prof. Marco Boscolo, docente
affermando nel settore industriale e civile.
I ‘controlli non distruttivi’ presentano diversi vantaggi: poter di ingegneria dei cantieri, e al suo team di esperti,
operare all’interno e all’esterno degli edifici, limitando al sono state presentate una quarantina di prove non diminimo i disagi per gli abitanti; la possibilità di eseguire struttive (prova di resistenza del calcestruzzo, di rottura,
misurazioni prima e dopo gli interventi per controllare apparecchi termografici, analisi dello stato tensionale
l’incremento o il miglioramento delle caratteristiche presta- di una muratura, verifica dell’aderenza degli intonaci,
zionali, ad esempio l’isolamento termico per il risparmio misurazione del grado di umidità delle murature ecc.)
affiancate ad un uso corretto degli specifici strumenti;
energetico e isolamento acustico”.
- Ciò premesso, ci spiega cosa sono concettualmente le si è osservato infatti l’impiego di strumenti non idonei
al controllo, come nel caso degli sclerometri non tarati
“prove non distruttive”?
“Sono tecnologie che costituiscono uno strumento effi- e dei misuratori di umidità per le murature”.
10
argomenti
- Dallo studio della fessura con sensori a onde magnetiche, alla termografia, fino alle sonde per calcolare i
carichi delle volumetrie: l’utilizzo corretto di strumenti e
pratiche di misurazione, sia a livello di progettazione
che di realizzazione, consente di misurare l’efficacia
degli interventi eseguiti. Un grande vantaggio, quindi.
“Conoscere in anticipo le condizioni di un fabbricato
consente di progettare e quindi di scegliere le tipologie
di intervento più efficaci e pertanto di quantificare con
maggiore precisione i costi dell’intervento, ma anche di
mettere al riparo il professionista e l’impresa dalle eventuali
contestazioni sulle modalità costruttive.
Il contenzioso nel restauro e nella ristrutturazione è un
rischio sempre presente; spesso diventa un pretesto per
ritardare i pagamenti o per esigere sconti non motivati;
sotto questo aspetto, le prove non distruttive costituiscono
un valido strumento di prevenzione di fronte a contenziosi
legali o assicurativi.
Per queste ragioni l’utilizzo di sistemi di diagnostica non
distruttiva sta assumendo una rilevanza sempre maggiore
e costituirà un elemento discriminante nella valutazione
della competitività dell’impresa che dispone di progetti
e capitolati puntuali e dettagliati nelle soluzioni e nei
materiali da impiegare”.
- Dunque, favorendo la cultura della diagnostica, si
progetta meglio e si costruisce meglio. È così?
“Non c’è dubbio. La diagnostica è un plus che permette
di agire su tre livelli: esame del fabbricato, esame del
sito, prevenzione da eventuali contenziosi. Possedendo
una panoramica completa e quantificabile, lavorando su
capitolati, l’aspetto di identificazione dei costi è preciso
e dettagliato. Si evitano, in sostanza, le problematiche
relative alle varianti in corso d’opera e il cantiere opera
in un ambito che coniuga progettazione e costruzione
di sicura qualità”.
- Strumenti e pratiche di misurazione non invasive come
nuova frontiera del costruire o del riqualificare: sta qui
il futuro dell’edilizia?
“Sono convinto di sì. Ecco allora la necessità di formare
qualificati professionisti della diagnostica. L’input lanciato
da Ance Vicenza e Ance Veneto è chiaro e va in questa
direzione; perciò continueremo a promuovere incontri in
tutte le provincie del Veneto, favorendo anche e soprattutto la formazione specialistica e l’aggiornamento dei
professionisti e dei costruttori. L’innovazione va sostenuta,
di questo siamo tutti consapevoli; favorisce la qualità
finale dell’opera e facilita l’integrazione tra progettista,
impresa e committente”.
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Dionisio Vianello
Presidente onorario AUDIS e CeNSU
La legge urbanistica regionale non
funziona. Occorre un restyling
o è meglio una nuova legge?
Qualsiasi nuova legge, o modifica di quelle esistenti, deve essere ancorata ad un principio
fondamentale, l’unitarietà territorio-ambiente-paesaggio. Quelle che fino a poco tempo fa
venivano chiamate le “pianificazioni separate” devono trovare un assetto condiviso il cui
recapito finale è il piano urbanistico.
Q
ualche mese fa su questa rivista è apparso un
mio articolo dal titolo “Dieci anni dopo: la
legge 11 funziona ancora o è già da buttare?”
Nell’articolo cercavo di illustrare le molte cose che non
funzionano nella attuale legge urbanistica della Regione
Veneto. Concludendo che le disfunzioni erano davvero
troppe, per cui – almeno secondo me – la legge era
proprio da buttare. Anche se il censore, forse allarmato
da tanta brutalità, ritenne opportuno mettere un meno
caustico “rifare” al posto di “buttare”. Niente da dire,
sono cose che succedono.
Non è poi che sia solo il Veneto ad avere una cattiva
legge. Le critiche possono essere tranquillamente estese
a tutte le leggi approvate a cavallo del secondo millennio, negli anni che vanno dal 1995 (legge Toscana)
al 2005 (legge Lombardia), specialmente quelle con il
doppio regime di piano comunale. Tanto che diverse
regioni stanno ripensando la materia, e lo stesso INU
(Istituto Nazionale di Urbanistica) che pure era stato
l’alfiere di quel modello, nel recente congresso di
Salerno lo ha sottoposto a severa critica ritenendo
inevitabile una profonda revisione.
Da quel primo ad un secondo articolo il passo era
breve. Alla fine infatti prendevo l’impegno con il lettore
di avanzare qualche idea su come dovrebbe essere
fatta una nuova legge. C’è però da dire che il ripensa-
12
“Da tempo è entrato in crisi
il concetto del piano come
strumento che prefigura
un disegno complessivo e
definitivo della città e del
territorio. È il residuo di
una concezione (risalente
ancora alla legge del 1942)
che faceva riferimento a un
sistema sociale ed economico
statico se non immobile,
mentre oggi tutto si muove
con ritmi veloci. Contrasto
insostenibile che non poteva
non avere conseguenze
pesanti sull’assetto della
pianificazione, che negli
ultimi decenni non si
è basata sui piani ma
praticamente solo sulle
varianti, e più di recente
ancora sull’approvazione
di grandi progetti edilizi
attraverso i nuovi strumenti
della partnership pubblicoprivata, programmi integrati,
conferenze di servizio,
accordi di programma”.
l’analisi
Non più pianificazioni separate: l’unità territorio-ambiente-paesaggio
Qualsiasi nuova legge, o modifica di quelle esistenti,
deve essere ancorata ad un principio fondamentale,
l’unitarietà territorio-ambiente-paesaggio. Quelle che
fino a poco tempo fa venivano chiamate le “pianificazioni separate” devono trovare un assetto condiviso
il cui recapito finale è il piano urbanistico. Il primo
elaborato è quindi una mappa dove sono riportati tutti
i comandi, cosa si deve o non si deve fare, come si
può fare; si chiami “Statuto del territorio”, “Carta delle
invarianti” o come meglio vi piace.
Questo ci porta automaticamente al tema della VAS,
già introdotta da molte regioni (compreso il Veneto)
a corredo dei piani strutturali, anche in applicazione
della normativa comunitaria. Dove sembra opportuno
segnalare alcune incongruenze che si riscontrano di
frequente. Primo, la VAS deve essere redatta da professionisti terzi rispetto ai pianificatori in modo da
costituire effettivamente una valutazione super partes
delle previsioni di piano. Secondo, in questo compito
comprendiamo anche la “compatibilizzazione” degli
interventi più importanti, in particolare quelli infrastrutturali; che pur essendo sottoposti successivamente alla
procedura di VIA possono essere recepiti nei piani e
programmi solo in caso di esito positivo della VAS.
mento nasce non tanto da un ragionamento interno agli
addetti ai lavori quanto piuttosto da motivi di carattere
generale. La crisi epocale che ci sta distruggendo ha
cambiato radicalmente i paradigmi del nostro modo
di vivere costringendo tutti a rivedere radicalmente gli
schemi tradizionali. In particolare le politiche del territorio, che non erano mai state messe in discussione in
quanto il mito dello sviluppo sembrava inattaccabile.
Ora invece alle prese con i tanti disastri combinati nel
passato si cerca disperatamente di cambiare rotta, ed
è proprio da questa constatazione che bisogna partire
per costruire un percorso nuovo. Sinteticamente (forse
troppo) ecco alcuni punti che consideriamo essenziali.
13
l’analisi
Assetto istituzionale e continuità della pianificazione
Sembra che finalmente vada avanti il riordino istituzionale secondo le linee del DDL approvato dalla Camera
nel dicembre scorso; ultimamente si è aggiunta anche la
proposta di modifica al Titolo V della Costituzione, con
la soppressione delle province e probabili riduzioni delle
competenze regionali. Modifiche che tutti si augurano
drastiche ed incisive per affrontare alla radice alcuni
nodi istituzionali finora irrisolti. La costituzione delle città
metropolitane, la soppressione (totale o parziale) delle
province, la fusione e/o il consorzio dei piccoli comuni,
sono i fondamenti del nuovo assetto organizzativo del
nostro paese. Un quadro in evoluzione che non può
non ripercuotersi anche sul sistema di pianificazione.
Avvertenza importante, la continuità della pianificazione.
Una nuova legge, per quanto auspicabile, non deve
sconvolgere per l’ennesima volta l’attività dei comuni, ma
deve partire dall’assetto esistente per introdurre elementi
di razionalità, flessibilità ed innovazione. Ormai quasi
tutti i comuni sono dotati di un piano, sia aggiornato
secondo le ultime leggi regionali ma spesso ancora
un vecchio PRG. Le innovazioni portate da una nuova
legge non devono sopprimere traumaticamente il quadro
preesistente (come troppo spesso si è fatto) ma piuttosto
prevedere le modalità di adeguamento dei piani in
vigore indicando un percorso per tappe successive che
solo alla fine li porterà a regime.
Le proposte di legge sul consumo di suolo
Dopo decenni di presunta neutralità dei sistemi di pianificazione finalmente stato e regioni si accorgono che
per governare il territorio prima delle tecniche bisogna
pensare agli obiettivi, e su questi poi costruire un idoneo
sistema di pianificazione. Si spiega così il fiorire di iniziative e proposte di legge – prima del governo ma poi
di diverse regioni, tra cui il Veneto - aventi lo scopo di
sanzionare i contenuti (e non solo le metodiche) della
pianificazione. Primo fra tutti la riduzione del consumo
di suolo, questione strettamente legata agli altri capitoli
che riguardano la città, quali la rigenerazione urbana, la
riqualificazione delle periferie, il rinnovo del patrimonio
edilizio, il riutilizzo del patrimonio pubblico.
Non siamo d’accordo con la posizione del decreto
ministeriale di fissare una quantità massima di suolo
edificabile e distribuirla poi alle regioni, e da queste ai
comuni; procedimento troppo generico e tecnicamente
inapplicabile. La legge nazionale deve essere in forma
di vision (come ad esempio ha fatto la Germania) fissando una linea che poi le regioni dovranno dettagliare
ed applicare, e prevedendo altresì le necessarie misure
sostitutive in caso di inadempienza. A livello regionale
– nel Veneto i due Pdl 309/2013 della giunta regionale e 393/2013 dell’opposizione - è meglio definire
una percentuale massima di nuovo suolo occupabile in
relazione al totale delle aree già edificate, in linea indicativa non più del 10%. Il che significa anche perseguire
un percorso di riduzione delle espansioni già previste
dai piani vigenti. Ipotesi in altri momenti difficilissima
da applicare ma che in periodi di crisi può suscitare
minori opposizioni, anche per motivi molto concreti di
non pagare l’IMU.
Rigenerazione urbana, riqualificazione delle
periferie, rinnovo edilizio
Non basta certo una legge per far ripartire i progetti
di rigenerazione urbana, da tempo bloccati dalla crisi
ma anche dai costi eccessivi. Gli appelli dei benpensanti sono destinati a rimanere parole vuote se non si
riuscirà a ridurre il differenziale di procedure, tempi e
costi tra costruire ex novo e recuperare il vecchio. Molte
le proposte, in questa sede ci si limita a sottolineare
quelle che riteniamo più incisive. Anzitutto la volontà di
ribadire l’interesse pubblico degli interventi di rigenerazione, che trova peraltro riscontro anche nei progetti
di legge già presentati. Nei piani va quindi riaffermata
la centralità della rigenerazione individuando le aree
strategiche riguardanti gli interventi più significativi ma
anche quelli dove la proprietà è assente (i francesi li
chiamano “les sites orphelins”, i siti orfanelli. Queste
aree vanno classificate di interesse pubblico ai sensi
delle leggi vigenti; ciò consente alle amministrazioni di
avviare un percorso per il recupero mediante l’intervento
di soggetti terzi (fondi di investimento, developers, ecc.)
su aree con proprietà assenteista mettendo in gara progetti di recupero che prevedano anche l’acquisizione
dell’area mediante esproprio. Rimane comunque il diritto
di prelazione per i proprietari originari.
Il monitoraggio e l’analisi critica delle migliori pratiche
già attuate consentono ormai di definire un panel di
parametri urbanistici che può essere applicato nella
grandissima maggioranza dei casi. Le regioni con proprio atto amministrativo possono indicare i parametri
standard – il mantenimento del volume o SLP esistente
14
l’analisi
nel caso di edifici civili (caserme, ospedali, manifatture
tabacchi, ecc, mentre invece i volumi industriali troppo
massicci necessitano di correzioni in diminuzione), la
liberalizzazione delle destinazioni d’uso compreso il
commercio, gli standard da inserire, ecc. – rispettando
i quali un operatore privato può avere la certezza che
il progetto verrà approvato.
Rimane insoluta la questione degli extra-oneri che si
rendono quasi sempre necessari soprattutto per coprire
i costi di demolizioni e bonifiche e per l’adeguamento
della rete infrastrutturale. Problema certo di non facile
soluzione, ma che in situazioni critiche come l’attuale
deve ricercare una soluzione forse non del tutto soddisfacente sotto il profilo tecnico-teorico ma accettabile
sia dal pubblico che dal mercato. Soluzione che si può
trovare nell’ancoraggio agli oneri di urbanizzazione, con
un limite massimo (al momento non più del raddoppio)
per non mettere fuori mercato l’operazione. Altrimenti non
c’è scampo: se gli extra-oneri così calcolati non sono
sufficienti alla bisogna, per cui si richiede un consistente
intervento pubblico di sostegno per il quale normalmente
il comune non ha le risorse, allora l’area deve rimanere
ferma in attesa di tempi migliori.
Normalmente i piccoli – ma anche i medi e financo i
grandi comuni – non hanno la capacità politico-amministrativa ma soprattutto non possiedono strutture tecniche
adeguate per affrontare problemi complessi come i
grandi progetti di rigenerazione; tanto più in contrasto
con le potenti squadre messe in campo dai privati.
Sarebbe quindi utile che le regioni costituissero delle
task forces a sostegno dei comuni nel valutare i progetti
più complessi.
La riqualificazione delle periferie passa attraverso il
discorso degli standard urbanistici. Tutti sono d’accordo
nel passare da criteri quantitativi a procedure di tipo
qualitativo, almeno quando sono state già raggiunte
dotazioni sufficienti. Il social housing è già considerato standard da molte regioni, e rappresenta inoltre
la domanda reale più consistente. Così dicasi per la
qualità degli spazi pubblici in particolare per la riqualificazione delle periferie urbane, dove va privilegiata
la realizzazione di sistemi di percorsi verdi, pedonali e
ciclabili, al fine di ricollegare le parti di città e sostenere
la mobilità leggera.
I regolamenti per la città consolidata devono favorire il
rinnovo del patrimonio edilizio esistente, anche mediante
la concessione di premialità come già previsto in alcuni
Piani Casa regionali. Ovviamente tutto questo ha dei
limiti: il criterio della densificazione, pure accettabile in
linea teorica, si scontra con l’esigenza di non superare
carichi volumetrici non sopportabili; in tali situazioni
può essere utile il ricorso a criteri perequativi con trasferimenti di volume in altre aree.
Molti enti - regioni e comuni – ritengono di somma im-
17
l’analisi
portanza perseguire ed incentivare una maggior qualità
dei progetti; diverse sono le iniziative già attivate. A
tale scopo può essere utile l’adozione – in forma di atti
amministrativi – di linee guida o protocolli di qualità di
cui sono ricche le esperienze straniere per la redazione
ed approvazione di progetti strategici; si veda il Protocollo di qualità AUDIS per gli interventi del Comune di
Roma, elaborato congiuntamente dalle strutture comunali
e da grandi operatori privati.
Piano e progetto, pubblico e privato
Da tempo è entrato in crisi il concetto del piano come
strumento che prefigura un disegno complessivo e definitivo
(e praticamente immodificabile) della città e del territorio.
È il residuo di una concezione (risalente ancora alla legge
del 1942) che faceva riferimento ad un sistema sociale ed
economico statico se non immobile, mentre oggi tutto si
muove con ritmi veloci ed in continua mutazione. Contrasto insostenibile che non poteva non avere conseguenze
pesanti sull’assetto della pianificazione, che negli ultimi
decenni non si è basata sui piani ma praticamente solo
sulle varianti, e più di recente ancora sull’approvazione
di grandi progetti edilizi attraverso i nuovi strumenti della
partnership pubblico-privata, programmi integrati, conferenze di servizio, accordi di programma. Una tendenza
che va senza dubbio perseguita e sviluppata anche se
meglio regolamentata, nel senso che il piano deve essere
flessibile non sui principi ma sull’attuazione, e deve quindi
contenere le regole per la governance che permettano di
adeguarlo rapidamente a nuove evenienze non prevedibili.
Pianificazione territoriale ed intercomunalità
Vale il principio che sopra il comune deve esserci un
solo livello di pianificazione, e non due o ancora di
più, come succede in molte regioni con la sovrapposizione di piani di area vasta, programmi d’intervento,
pianificazioni separate. Piano regionale o piano provinciale, a chi tocca scomparire? Ovviamente al livello
provinciale, visto che si vogliono abolire le province.
Ma la cosa non è così semplice, le situazioni nel nostro
paese sono varie e diverse. Dobbiamo distinguere le
grandi dalle piccole regioni. Nelle regioni più grandi
è sufficiente un piano regionale molto semplificato – in
altri tempi si parlava di Piano Regionale di Sviluppo
(PRS) con proiezioni territoriali - che contenga essenzialmente due cose: una carta delle invarianti – con
le cose che non si possono toccare – ed una tavola
con gli interventi di livello regionale, essenzialmente
infrastrutture e grandi servizi.
Il piano regionale dovrebbe però individuare anche le
aree per le quali si ritiene necessario un piano di area
vasta; piani a geometria variabile che non devono necessariamente interessare tutto il territorio regionale, ma
solo le aree dove esistono forti interrelazioni insediative
come ad esempio le aree metropolitane o quelle ad
urbanizzazione diffusa. In negativo rimangono le aree
dove questi fenomeni non si verificano, e dove quindi il
compito della pianificazione può passare direttamente
dalla regione ai singoli comuni.
Un sistema come quello descritto non può essere realizzato che in regime di copianificazione, in collaborazione tra regione e comuni. Con l’avvertenza di
piantare dei paletti molto rigidi per rimuovere i contrasti
e le opposizioni, soprattutto da parte dei comuni minori,
che in Italia hanno sempre bloccato anche ogni minimo
tentativo di pianificazione intercomunale. A tale scopo
può soccorrere un ricordo del passato: non certo la
tentazione di imporre dall’alto i piani che porta solo
allo scontro frontale, ma piuttosto il suggerimento di
18
l’analisi
riesumare una norma capestro (termine politicamente
scorretto ma in pratica utilissimo) che in passato ha
dimostrato di funzionare molto bene in situazioni di
diffusa resistenza. Ci riferiamo al famoso art. 17 della
legge ponte 765/1972, che limitava l’edificazione nei
comuni renitenti all’obbligo di fare il PRG, marchingegno
che ha funzionato benissimo, tanto che in pochi anni
quasi tutti i comuni si sono dotati di un piano.
Il livello comunale: piani diversi per grandi
e piccoli comuni
Quello comunale rimane il livello centrale dove si realizza al meglio anche il concetto di partecipazione. Non
si può però imporre un modello unico di pianificazione
uguale per tutti i comuni, dalla grande città al piccolo
paesello di montagna: è uno spreco incredibile. Come
saggiamente prevedeva la gloriosa legge 1150/1942,
occorrono almeno due modelli, uno che chiameremo
generale, applicabile a tutti i comuni, ed un secondo
più semplificato che può essere adottato dai piccoli
comuni privi di significative interrelazioni.
Il modello generale
Una valutazione critica delle esperienze degli ultimi
decenni ci conferma che va semplificato l’assetto della
pianificazione, in particolare il doppio sistema del piano
strutturale e piano operativo, che comporta un iter inutilmente complesso e tempi troppo lunghi. Normalmente
nelle leggi attuali il piano strutturale non è conformativo,
tanto vale quindi ricorrere ad un più semplice documento
programmatico (DP) sul tipo delle legge lombarda, che
espliciti le linee di politica urbanistica dell’amministrazione. La normativa urbanistica è rinviata a strumenti
successivi (o contestuali) tipo piani di area (come sono
i Piani degli interventi della legge veneta) o di settore
come nella legge lombarda; o anche tutte due insieme.
Il primo elaborato deve essere comunque una carta
delle invarianti con le misure di tutela per ambiente,
territorio, paesaggio.
Nelle città maggiori – mediamente oltre i 300.000
abitanti, limite rivedibile a discrezione secondo le diverse situazioni – data la numerosità e complessità
delle problematiche, occorre probabilmente un quadro
di riferimento più stabile e pervasivo di un semplice DP,
che potrebbe assumere la forma di un piano strategico
con esplicitazione delle principali scelte urbanistiche.
Le regioni dovrebbero definire con appositi atti anche le
direttive d’intervento per le diverse parti della città e del
territorio esterno. Non sembra che occorrano modifiche
sostanziali rispetto agli schemi già in uso da tempo:
regolamento urbanistico edilizio per i centri storici e la
città consolidata, regole per le trasformazioni urbane,
piani attuativi per le zone di espansione.
Un programma di fabbricazione per i piccoli
comuni
Infine, un ritorno all’antico. Per i piccoli comuni con
scarsa interrelazione con altre realtà urbane – i casi sono
numerosissimi nella realtà italiana – può essere adottato
un piano semplificato sul modello del programma di
fabbricazione della legge 1150/1942 opportunamente
rivisitato. In questi casi si ritiene sufficiente individuare il
perimetro limite dell’edificazione e precisare le regole
morfo-tipologiche (maglia stradale, tipologie edilizie,
ecc.) che devono presiedere all’edificazione. Gli esempi,
soprattutto stranieri (francesi, belgi ed olandesi sopra
tutti), sono preziosi ed illuminanti, con risultati di grande
eccellenza che garantiscono il rispetto delle preesistenze
storico-ambientali e del paesaggio.
Regime dei suoli, perequazione, fiscalità
urbana
Il Centro Nazionale Studi Urbanistici (CeNSU) ha lavorato per anni sul tema del regime dei suoli, producendo
insieme a CNA, CNI, ANCE ed altre associazioni un
apposito progetto di legge, ivi inclusa la perequazione.
Procedura questa già entrata da tempo nel bagaglio
delle amministrazioni, ma le poche esperienze finora
realizzate ci dicono che non sono da attendersi risultati
mirabolanti. È uno strumento che può essere utilmente
usato per le compensazioni (acquisizioni di aree pubbliche, eliminazione e/o mitigazione di impatti negativi
sull’ambiente e sul paesaggio, ecc.) o per le premialità
al fine di incentivare comportamenti virtuosi. Quello
che non può essere accettato è la volatilità assoluta
dei diritti edificatori nel senso che possano atterrare
dovunque nelle zone di piano. Vanno quindi individuate
anche le aree di atterraggio, non necessariamente in
corrispondenza diretta con quelle di generazione dei
diritti edificatori, ma almeno per parti di città. Così come
è condizione decisiva che alcune di queste vengano
gestite dal pubblico per superare i contrasti che insorgono fra gli operatori privati in particolare sul valore
da attribuire ai diritti edificatori (ma non solo) che alla
21
l’analisi
fine spesso bloccano di fatto queste operazioni.
Tuttavia si tratta pur sempre di procedure che si basano
sull’accordo bonario tra pubblico e privato. L’unico strumento che può dare garanzia assoluta di equità ed
imparzialità verso le proprietà private è pur sempre
quello fiscale, ed in particolare l’uso propulsivo dell’IMU.
Argomento da sempre studiato dagli ingegneri, che lo
hanno proposto come manovra determinante per l’azione
delle amministrazioni nell’abbattere la rendita fondiaria.
In conclusione, restyling o nuova legge?
Spero che il lettore non si sia stancato prima ed arrivi a
leggere la conclusione. Mi metto anche nei panni degli
addetti ai lavori – specialmente gli amministratori regionali ai quali prima degli altri è diretta questa mia - che
di fronte a una tale mole di proposte potrebbero essere
presi dal panico finendo col scegliere, come spesso
succede, la soluzione più facile e meno impegnativa
di lasciare tutto come sta.
Certo, la conclusione migliore sarebbe una nuova
legge, ma questa non è l’unica strada. Si può benissimo
procedere per gradi inserendo le cose più urgenti in
provvedimenti che sono già allo studio o in cantiere.
Ad esempio per il Veneto nei PDL sul consumo di
suolo e rigenerazione urbana attualmente all’esame
del Consiglio Regionale per l’approvazione. Proposte
che, oltre ad essere fuse insieme perché il tema è di
interesse generale, potrebbero essere implementate
introducendo alcuni punti correlati a consumo di suolo
e rigenerazione urbana scelti tra quelli proposti in
questa sede.
È questa la linea più semplice e praticabile in tempi
brevi che ci sentiamo di suggerire, un’occasione assolutamente da non perdere. Peraltro la stessa che
stiamo portando avanti a livello nazionale con il Centro Nazionale Studi Urbanistici e l’Associazione aree
urbane dismesse-AUDIS in sede di discussione sul DL
governativo sul consumo di suolo.
22
Roberto Travaglini
La ristrutturazione edilizia
tra il decreto del fare
e il terzo piano casa del Veneto
L’art. 11 della legge regionale 32/2013 interviene, con alcune significative modifiche e
integrazioni, sull’art. 10 della l.r. 14/2009, che era rimasto inalterato nel passaggio dal
primo al secondo “Piano casa”. Il rinnovato interesse del legislatore regionale sull’articolo
da sempre dedicato alla ristrutturazione edilizia, risiede nelle recenti modifiche apportate
alla disciplina di tale intervento edilizio nell’ordinamento statale.
L
’art. 11 della legge regionale n. 32/2013 interviene,
apportandovi alcune significative modifiche e
integrazioni, sull’art. 10 della l.r. n. 14/2009, che
invece era rimasto inalterato nel passaggio dal primo al
secondo “Piano casa”, quest’ultimo delineato dalla legge
regionale 13/2011, anch’essa intervenuta sull’originario
telaio costituito dalla l.r. n. 14/2009.
È del tutto evidente che il rinnovato interesse del
legislatore regionale sull’articolo da sempre dedicato
alla ristrutturazione edilizia risiede nelle recenti modifiche
apportate alla disciplina di tale intervento edilizio
nell’ordinamento statale (art. 30 del decreto legge 21
giugno 2013, n. 69 – c.d. “decreto del fare” – convertito,
con modificazioni, peraltro assenti con specifico riguardo
alla materia di cui qui ci si occupa, con legge 9 agosto
2013, n. 98).
Appaiono opportune, innanzi tutto, alcune brevi
riflessioni sul perché della ormai “consolidata” presenza
– all’interno della legge regionale dedicata al c.d. “Piano
casa”, caratterizzato da misure volte ad incentivare,
attraverso il riconoscimento di incrementi volumetrici o
superficiari, interventi di ampliamento di edifici esistenti,
oppure la loro demolizione e ricostruzione – di una
norma dichiaratamente finalizzata a delineare alcuni
24
l’analisi
elementi disciplinari della ristrutturazione edilizia.
Sin dal primo commento all’originario art. 10 si ebbe
modo di sottolineare come tale disposizione fosse stata
configurata quale norma “a regime”1, ovvero applicabile
senza i limiti temporali del c.d. Piano casa, ancorché “nelle
more dell’approvazione della nuova disciplina regionale
sull’edilizia”2. Nonostante la finalità dichiarata, il suo
inserimento nel provvedimento regionale sul “Piano casa”
sembra essere stato motivato dall’intenzione del legislatore
di fornire elementi disciplinari di “supporto” agli interventi
di integrale demolizione e ricostruzione con ampliamento
del volume (per gli edifici residenziali) e/o della superficie
(per gli edifici ad uso diverso), di cui si occupa l’art. 3
della l.r. n. 14/2009, così come da ultimo modificato
dalla l.r. n. 32/2013, al cui commento si rinvia.
Del resto, la norma in rubrica - nello specificare il proprio
obiettivo con l’espressione “ai fini delle procedure
autorizzative relative alle ristrutturazioni edilizie ai sensi
del D.P.R. n. 380/2001” – classifica gli interventi di
ristrutturazione edilizia con ampliamento, “qualora
realizzati mediante integrale demolizione e ricostruzione
dell’edificio esistente”, tra quelli contemplati all’art.
10, comma 1, lettera c), del Testo unico dell’edilizia,
mentre, com’è noto, quest’ultimo provvedimento si
1. C
osì anche TAR Veneto, Sez. II, 12 agosto 2011, n. 1359 e la circolare della Regione Veneto 29 settembre 2009, n.
4, approvata con d.G.R. n. 2797, del 22 settembre 2009, d’interpretazione della l.r. n. 14/2009, alla quale rinvia
anche la circolare 8 novembre 2011, n. 1, approvata con d.G.R. n. 1782, dell’8 novembre 2011, riguardante la l.r.
n. 13/2011.
2. Si rammenta che a norma dell’art. 13 l.r. 1° agosto 2003, n. 16 (rubricato “Disciplina transitoria dell’attività edilizia”) “Fino
all’entrata in vigore della legge regionale di riordino della disciplina edilizia trovano applicazione le disposizioni di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia di edilizia” e successive modificazioni, nonché le disposizioni della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61
“Norme per l’assetto e l’uso del territorio” e successive modificazioni, che regolano la materia dell’edilizia in maniera differente dal testo unico e non siano in contrasto con i principi fondamentali desumibili dal testo unico medesimo”. Lasciamo
al lettore ogni commento sulla circostanza che dal 2003 (quando già si prefigurava l’intervento del legislatore veneto per
il riordino dell’attività edilizia) al 2009 (quando si ribadiva l’aspettativa di una nuova disciplina regionale sull’edilizia)
per finire, ad oggi, fine 2013, di tale preannunciato provvedimento legislativo regionale non vi è traccia tangibile. Vista
l’espressione adoperata dalla norma in commento – “nelle more dell’approvazione …” – verrebbe da fare il verso ad un
film che ebbe un certo successo di botteghino nei primi anni ottanta, mantenendone l’approccio “ortofrutticolo”. Il sequel
urbanistico-edilizio potrebbe intitolarsi “Il tempo delle more”!
25
l’analisi
occupa della demolizione e ricostruzione, qualificandola
ristrutturazione edilizia, nell’art. 3, comma 1, lettera d).
Anche relativamente al titolo edilizio richiesto per
realizzare gli interventi di demolizione e ricostruzione con
ampliamento non vi è coincidenza tra la disposizione
statale e quella regionale. Infatti, mentre l’art. 10 del Testo
unico si occupa degli interventi subordinati a permesso di
costruire, l’art. 6 della l.r. n. 14/2009 sottopone anche
gli interventi di cui al relativo art. 3 - ovvero, proprio gli
interventi di demolizione e ricostruzione, anche parziale3,
degli edifici esistenti al 31 ottobre 2013 - alla denuncia
di inizio attività (d.i.a.), con le sole eccezioni introdotte
dalla l.r. n. 32/2013.4
Come si cercherà di evidenziare nel paragrafo
dedicato al commento alla lettera b) dell’art. 10 della
l.r. n. 14/2009, quanto sopra sembra confermare
che l’effettiva finalità della disposizione sia quella di
disciplinare il rapporto tra gli interventi di demolizione
e ricostruzione di edifici (seppur accompagnati da un
ampliamento dimensionale) e le norme sulle distanze dai
confini e dai fabbricati (unitamente agli altri parametri
dimensionali) presenti nella strumentazione urbanistica
comunale.
Del resto, dovendosi privilegiare un’interpretazione
costituzionalmente coerente della disposizione regionale
in commento, è doveroso escludere che la stessa abbia
voluto offrire una definizione autonoma ed originale
della “ristrutturazione edilizia”5, atteso che le definizioni
degli interventi edilizi contenute nell’art. 3 del d.P.R.
n. 380/2001 sono pacificamente riconosciute quale
principio della materia, come tale vincolante per il
legislatore regionale, operando in un ambito disciplinare
– qual è il “governo del territorio” – attribuito dall’art.
117, terzo comma, della Costituzione alla potestà
legislativa concorrente dello Stato (per la determinazione
dei principi fondamentali) e delle Regioni (per la
conseguente e coerente disciplina di dettaglio).6
Le novità del “decreto del fare” in tema di
ristrutturazione edilizia
Come sottolineato nel precedente paragrafo, le
innovazioni introdotte nell’originario art. 10 della l.r.
14/2009 sono il frutto del recente intervento operato dal
decretatore d’urgenza (d.l. 69/2013) e dal legislatore
(legge 98/2013) che ne ha convertito le norme più
3. C
ome ampiamente illustrato nel commento all’art. 3 della l.r. n. 14/2009, quale risultato dalle modifiche apportatevi dalla
l.r. n. 13/2011, originariamente la disposizione si riferiva ai soli “interventi di integrale demolizione e ricostruzione”, mentre
la base di computo del bonus volumetrico o superficiario era rappresentata dal volume o dalla superficie coperta “esistente”.
4. Il permesso di costruire è necessario - a norma del nuovo art. 3, comma 3, della l.r. n. 14/2009, come sostituito dall’art.
4, comma 3, della l.r. n. 32/2013 - per gli interventi di demolizione e ricostruzione caratterizzati da “una ricomposizione planovolumetrica che comporti una modifica sostanziale con la ricostruzione del nuovo edificio su un’area di sedime
completamente diversa”, fattispecie che, per quanto si dirà oltre nel testo, non può essere né identificata, né comunque
ricondotta alla ristrutturazione edilizia.
A sua volta, l’art. 9, comma 2 ter, della l.r. n. 14/2009, come sostituito dall’art. 10, comma 8, della l.r. n. 32/2013,
assoggetta a permesso di costruire gli interventi con ad oggetto “edifici dismessi o in via di dismissione, situati in zone
territoriali omogenee diverse dalla zona agricola”, per i quali “è consentito il mutamento della destinazione d’uso con il
recupero dell’intera volumetria esistente, qualora l’intervento sia finalizzato alla rigenerazione o riqualificazione dell’edificio,
fermo restando che la nuova destinazione deve essere consentita dalla disciplina edilizia di zona”.
26
l’analisi
direttamente inerenti le fattispecie classificate dal Testo
unico dell’edilizia quali interventi di ristrutturazione
edilizia.
Pur con l’inevitabile sinteticità conseguente alle
caratteristiche del presente lavoro, sembra opportuno
rammentare che il d.P.R. n. 380/2001 delinea due
distinte tipologie di ristrutturazione edilizia, l’una che si
estrinseca in un “intervento conservativo” dell’edificio,
l’altra che, al contrario, consegue ad un “intervento
ricostruttivo” del fabbricato.7
La prima figura, caratterizzata dall’assenza della previa
totale demolizione dell’edificio, può dar luogo anche
a modifiche di volumetria – nel qual caso si ricorre
all’espressione “ristrutturazione pesante”, disciplinata
dall’art. 10, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 380/2001
- il che ne rende problematica la distinzione con il diverso
fenomeno della “nuova costruzione”, che a norma dell’art.
3, comma 1, lettera e.1) del d.P.R. n. 380/2001, si ha
in caso di ampliamento dell’edificio esistente all’esterno
della sagoma esistente.
Sul punto, anche recentemente la giurisprudenza
amministrativa ha sottolineato che gli interventi di
ristrutturazione “pesante”, disciplinati dall’art. 10,
comma 1, lettera c), del Testo unico possono comportare
integrazioni funzionali e strutturali dell’edificio preesistente,
“con incrementi di superficie e di volume <limitati> e tali
da non configurare apprezzabili aumenti di volumetria,
poiché, diversamente, un sostanziale ampliamento
dell’edificio verrebbe a configurarsi non più come
<ristrutturazione edilizia>, bensì <nuova costruzione>”,
precisando, altresì, che tali “limitati” aumenti volumetrici
non sono incompatibili con la categoria della
ristrutturazione edilizia “solo nel caso in cui non si
proceda a demolizione e ricostruzione dell’immobile”,
5. Tesi già prospettata nelle precedenti edizioni del presente Commentario e fatta propria dal TAR Veneto, Sez. II, 12 agosto
2011, n. 1359.
6. Fondamentale, a tale riguardo, la pronuncia della Corte costituzionale, 23 novembre 2011, n. 309, che ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale degli articoli 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo e 103 della legge della Regione Lombardia
11 marzo 2005, n. 12, in quanto dotati di un’inammissibile portata modificatrice, tale da comportare la disapplicazione
della disciplina del Testo unico dell’edilizia avente ad oggetto gli elementi costitutivi della “ristrutturazione edilizia”. Si
veda anche Cons. Stato, Sez. IV, 25 giugno 2013, n. 3456, con riferimento alle norme della l.r. Umbria 16 settembre
2011, n. 8.
7. Tra le più recenti, TAR Abruzzo, Pescara, Sez. I, 15 novembre 2013, n. 556; TAR Piemonte, Sez. I, 8 novembre 2013,
n. 1177; Cons. Stato, Sez. IV, 25 giugno 2013, n. 3456; TAR Abruzzo, l’Aquila, Sez. I, 8 giugno 2013, n. 543; TAR
Lazio, Roma,Sez. I, 11 gennaio 2013, n. 253.
27
l’analisi
per la quale ultima fattispecie, invece, l’art. 3, comma
1, lettera d), del d.P.R. n. 380/2001, dedicata alla
c.d. ristrutturazione “leggera”, richiede l’identità della
volumetria (e richiedeva, ante d.l. n. 69/2013, anche
l’identità della sagoma).8 L’art. 10 del Testo unico
assoggetta la ristrutturazione pesante al permesso di
costruire, in luogo della segnalazione certificata di inizio
attività (s.c.i.a.)9 prevista per la c.d. “ristrutturazione lieve”
in sostituzione della d.i.a. originariamente disciplinata
dall’art. 22 del Testo unico, norma, quest’ultima, avente
ad oggetto “gli interventi non riconducibili all’elenco di
cui all’articolo 10 (ndr.: interventi subordinati a permesso
di costruire) e all’articolo 6 (ndr.: attività edilizia libera)”.
La “ristrutturazione lieve” è a sua volta definita all’art.
3, comma 1, lett. d), terzo periodo, del d.P.R. n.
380/2001, secondo il quale “nell’ambito degli
interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi
anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione
con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve
le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla
normativa antisismica”.
La formulazione da ultimo riprodotta consegue alle
modifiche apportate all’originario art. 3 del D.P.R. n.
380/2001:
dall’art. 1 del d.lgs. 27 dicembre 2002, n. 301, che ha
soppresso i precedenti riferimenti all’area di sedime ed alle
caratteristiche dei materiali impiegati nella ricostruzione,
oltre all’aggettivo “fedele” che originariamente
accompagnava il sostantivo “ricostruzione”;
dall’art. 30, comma 1, lett. a), del d.l. 69/2013,
convertito con modificazioni dalla legge 98/2013,
che ha soppresso anche il riferimento alla “sagoma”, ad
eccezione degli immobili sottoposti ai vincoli di cui al
d.lgs. 22 gennaio 2004 (Codice dei Beni culturali e
del Paesaggio)10, in relazione ai quali “gli interventi di
demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino
di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di
ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la
medesima sagoma dell’edificio preesistente”11. Sempre
il “decreto del fare” ha ricompreso nella categoria degli
interventi di ristrutturazione edilizia, assimilandoli a quelli
di demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria
8. Le parti virgolettate sono tratte da TAR Abruzzo, Pescara, Sez. I, 15 novembre 2013, n. 556. Secondo la Cass. pen.,
Sez. III, 17.02.2010, n. 16393, “Dal combinato disposto degli art. 10 comma 1 lett. c) e 22 comma 3 lett. a) d.P.R.
6 giugno 2001 n. 380 deriva che sono realizzabili in seguito a <permesso di costruire> ovvero (a scelta dell’interessato)
previa <denuncia di inizio attività> (d.i.a.) interventi di <ristrutturazione edilizia> che comportino integrazioni funzionali e
strutturali dell’edificio preesistente, pure con incrementi di superficie e di volume, purché si tratti di incrementi <limitati>, ossia
tali da non configurare apprezzabili aumenti di volumetria, poiché, qualora si ammettesse la possibilità di un sostanziale
ampliamento dell’edificio, verrebbe meno la linea di distinzione tra <ristrutturazione edilizia> e <nuova costruzione>. Ciò
comunque è consentito solo nel caso in cui non si proceda a demolizione e ricostruzione dell’immobile: infatti, in tal caso,
l’art. 3 comma 1 lett. d) d.P.R. n. 380 del 2001, nell’estendere la nozione di <ristrutturazione edilizia> sì da ricomprendervi pure gli interventi ricostruttivi consistenti nella demolizione e ricostruzione, condiziona tale estensione al fatto che
<volumetria> e <sagoma> debbano rimanere identiche. In altri termini, volumetria e sagoma, mentre non si pongono come
limiti per gli interventi di ristrutturazione che non comportino la previa demolizione, devono invece rimanere identiche nei
casi di ristrutturazione attuata attraverso demolizione e ricostruzione (in tal caso, quindi, non basta la denuncia di inizio
attività, ma occorre il permesso di costruire)”. Sul punto anche TAR Veneto, Sez. II, 12 agosto 2011, n. 1359, recante
interessanti considerazioni in ordine alla disciplina regionale sul Piano casa ed al suo rapporto con le norme statali che
definiscono gli interventi edilizi sull’esistente.
9. Si ricorda che l’art. 5, comma 2, lett. c), del d.l. 13 marzo 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12
luglio 2011, n. 106, ha precisato che le disposizioni di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (nel testo
da ultimo sostituito dall’art. 49, comma 4-bis, del d.l. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 122/2010,
rubricato “Segnalazione certificata di inizio attività – Scia”), si interpretano nel senso che le stesse “si applicano alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380,
con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive
del permesso di costruire (v. ad es. l’art. 22, comma 3, d.P.R. n. 380/2001, che consente “in alternativa al permesso
di costruire”, di realizzare “mediante denuncia di inizio attività … gli interventi di ristrutturazione di cui all’articolo 10,
comma 1, lettera c)” – n.d.r.).
28
l’analisi
dell’edificio preesistente, anche gli interventi “volti al
ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati
o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia
possibile accertarne la preesistente consistenza”.
Per quanto attiene al requisito dell’identità dell’area di
sedime, seppur letteralmente espunto dal testo della norma
che definisce gli elementi caratterizzanti gli interventi di
ristrutturazione edilizia, per darsi luogo a quest’ultima, parte
significativa della giurisprudenza richiede egualmente che
“il fabbricato occupi la stessa area e sorga sulla stessa
superficie utilizzata dal precedente senza compromettere
un territorio diverso, coerentemente con la ratio di recupero
del patrimonio esistente”.12
Una posizione più coerente con l’innovazione introdotta
a fine 2002 relativamente al requisito dell’area di sedime
è, invece, quella espressa dal Ministero delle infrastrutture
e trasporti con la circolare del 7 agosto 2003, n. 4174.
Vi si legge, infatti, che “il mancato richiamo – nella nuova
definizione voluta dal legislatore della n. 443/2001
– al parametro dei “materiali edilizi” non pone alcun
particolare problema, mentre, per quanto riguarda
<l’area di sedime>, non si ritiene che l’esclusione di tale
riferimento possa consentire la ricostruzione dell’edificio
in altro sito, ovvero posizionarlo all’interno dello stesso
lotto in maniera del tutto discrezionale. La prima ipotesi
è esclusa dal fatto che, comunque, si tratta di un
intervento incluso nelle categorie del recupero, per cui
la localizzazione in altro ambito risulterebbe in palese
contrasto con tale obiettivo; quanto alla seconda ipotesi
si ritiene che debbano considerarsi ammissibili, in sede
di ristrutturazione edilizia, solo modifiche di collocazione
rispetto alla precedente area di sedime, sempreché
rientrino nelle varianti non essenziali, ed a questo fine
il riferimento è nelle definizioni stabilite dalle leggi
regionali in attuazione dell’articolo 32 del testo unico.
Resta in ogni caso possibile, nel diverso posizionamento
dell’edificio, adeguarsi alle disposizioni contenute nella
strumentazione urbanistica vigente per quanto attiene
allineamenti, distanze e distacchi”. Come si vedrà
in seguito, a tale circolare sembra essersi ispirato il
legislatore veneto del Piano casa nella formulazione della
nuova lettera b bis) dell’art. 10 della l.r. n. 14/2009.
Non sembra, invece, potersi in alcun modo leggere
come chiarificatrice e/o innovatrice della disciplina
del “sedime” nella ristrutturazione edilizia mediante
demolizione e ricostruzione, la disposizione contenuta
nell’art. 5, comma 9, del d.l. 13 maggio 2011, n. 70,
convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011,
n. 106 (c.d. “decreto sviluppo”), laddove, tra gli interventi
10. N
on si può fare a meno di rilevare che il generico riferimento agli “immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42” coinvolge sia le fattispecie disciplinate dalla Parte seconda del c.d. Codice Urbani” (ovvero i beni culturali, storicamente oggetto della legge n. 1089/1939), sia quelle disciplinate dalla Parte terza
(ovvero i beni paesaggistici, storicamente oggetto della legge n. 1497/1939 e, in epoca più recente, della legge n.
431/1985 c.d. “legge Galasso”).
11. Il che dovrebbe comportare la conseguente qualificazione come “nuova costruzione” degli interventi di demolizione e
ricostruzione, così come degli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti, qualora riferiti ad edifici sottoposti ai
vincoli di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004 ed implicanti anche la modifica della sagoma.
12. L’espressione virgolettata è tratta da Cons. Stato, Sez. IV, 30 maggio 2013, n. 2972. Conformi, tra gli altri, Cass. civ.,
Sez. II, 13 giugno 2013, n. 14902; Cons. Stato, Sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 365; TAR Lazio, Roma, Sez. I, 6 luglio
2012, n. 6176; Cass. pen., Sez. III, 17 febbraio 2010, n. 13492.13
31
l’analisi
di demolizione e ricostruzione finalizzati ad “incentivare la
razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente nonché
di promuovere e agevolare la riqualificazione delle aree
urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee
e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici
a destinazione non residenziale dismessi o in via di
dismissione ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche
della necessità di favorire lo sviluppo dell’efficienza
energetica e delle fonti rinnovabili”, menziona anche “la
delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree
diverse”, trattandosi, a tutta evidenza, del ben diverso
fenomeno che la legge urbanistica veneta (l.r. n.11/2004)
disciplina all’art. 36, rubricato “Riqualificazione ambientale
e credito edilizio”.13
Per quanto, invece, attiene al requisito dell’identità della
sagoma dell’edificio oggetto di ristrutturazione mediante
demolizione e ricostruzione, la sua eliminazione dalla
fattispecie disciplinata dall’art. 3, comma 1, lett. d), del
d.P.R. n. 380/2001 è, come già detto, da ricondursi
all’art. 30 del “decreto del fare”.
La giurisprudenza ha definito come sagoma dell’edificio
la “conformazione planovolumetrica della costruzione
ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed
orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere
l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli
aggetti e gli sporti”.14
L’eliminazione dal Testo unico del vincolo del
mantenimento della sagoma originaria del fabbricato tradizionalmente considerato tra gli elementi costitutivi
della ristrutturazione edilizia mediante demolizione
e ricostruzione dell’edificio – ripropone su scala
nazionale l’esperienza normativa maturata nella Regione
Lombardia, che con l’art. 22 della l.r. n. 7/2010 aveva
sancito che “Nella disposizione di cui all’articolo 27,
comma 1, lett. d), ultimo periodo, della legge regionale
11 marzo 2005, 12 (Legge per il governo del territorio)
la ricostruzione dell’edificio è da intendersi senza vincolo
di sagoma”. Tale disposizione, peraltro, così come quelle
della l.r. n. 12/2005 cui essa faceva riferimento, sono
state dichiarate costituzionalmente illegittime dalla Corte
costituzionale, con la sentenza 23 novembre 2011,
n. 309, proprio perché modificavano la definizione
degli interventi di ristrutturazione edilizia, definizione di
competenza esclusiva del legislatore statale, che l’ha per
l’appunto esercitata con il più volte richiamato art. 30 del
“decreto del fare”.
Quanto alla rammentata riconduzione alla categoria
della ristrutturazione edilizia degli interventi “volti al
ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati
o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia
possibile accertarne la preesistente consistenza”, non
si può non evidenziare come tale novità, anch’essa
introdotta dall’art. 30 del d.l. n. 69/2013, convertito
con modificazioni dalla legge n. 98/2013, sovverta
il tradizionale arresto giurisprudenziale secondo il
quale perché si abbia ristrutturazione edilizia mediante
demolizione e ricostruzione è necessaria la preesistenza
(rispetto all’intervento) di un fabbricato dotato quanto
13. S
econdo Cons. Stato, Sez. IV, 25 giugno 2013, n. 3456, “L’art. 5, commi 9 e ss., del decreto legge 13 maggio 2011,
n. 70 …, nel regolare interventi di demolizione e ricostruzione con ampliamenti di volumetria e di sagoma (nonché, come
s’è visto, con l’eventuale rilocalizzazione dell’edificio), non ha qualificato tali interventi come ristrutturazione edilizia, né
ha modificato la disciplina dettata al riguardo dall’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001”.
Per quanto attiene alle iniziative legislative della Regione Veneto, finalizzate all’attuazione delle previsioni del “decreto
sviluppo” in materia edilizia, si segnalano il progetto di legge n. 270 (licenziato dalla Giunta regionale con d.G.R. 8/
DDL del 15 maggio 2012) ed il progetto di legge n. 390 (licenziato dalla Giunta regionale con d.G.R. 20/DDL del 17
settembre 2013), quest’ultimo rubricato “Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo, la rigenerazione urbana
e il miglioramento della qualità insediativa”.
14. Così Cons. Stato, Sez. VI, 15 marzo 2013, n. 1564. Conformi, tra gli altri, Corte costituzionale, 23 novembre 2011,
n. 309; Cons. Stato, Sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 365; TAR Campania, Napoli, Sez. II, 26 ottobre 2012, n. 4288;
TAR Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, 29 giugno 2012, n. 463; Cons. Stato, Sez. I, 9 maggio 2012, n. 380.
15. Così, ad esempio, TAR Liguria, Sez. I, 17 gennaio 2011, n. 322; TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 23 dicembre 2010,
n. 28002; TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 9 dicembre 2010, n. 4808; TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 19 luglio 2010,
n. 3108; Cass., Sez. II, 27 ottobre 2009, n. 22688; Cass. pen., Sez. III, 21 ottobre 2008, n. 42521; TAR Veneto,
Sez. II, 5 giugno 2008, n. 1667.
32
l’analisi
meno di murature perimetrali, di strutture orizzontali e di
copertura, tali da assolvere alle loro essenziali funzioni
di delimitazione, sostegno e protezione dell’edificio15,
e che “la demolizione del preesistente e la successiva
ricostruzione devono essere contemplati dal titolo come
due momenti di un singolo intervento, mentre non è
possibile <ristrutturare> un edificio che già più non
esiste per cause del tutto diverse dalla ristrutturazione in
programma”16
Sempre per quanto attiene alle novità contenute nel
“decreto del fare” in tema di ristrutturazione edilizia, va
infine ricordato l’art. 23-bis (Autorizzazioni preliminari
alla segnalazione certificata di inizio attività e alla
comunicazione dell’inizio dei lavori), introdotto nel
Testo unico dell’edilizia dall’art. 30, comma 1, lettera
f), del d.l. n. 69/2013, convertito con modificazioni
dalla legge n. 98/2013. Tale disposizione stabilisce al
comma 4 che “All’interno delle zone omogenee A) di cui
al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968,
n. 1444, e in quelle equipollenti secondo l’eventuale
diversa denominazione adottata dalle leggi regionali, i
comuni devono individuare con propria deliberazione,
da adottare entro il 30 giugno 2014, le aree nelle quali
non è applicabile la segnalazione certificata di inizio
attività per interventi di demolizione e ricostruzione,
o per varianti a permessi di costruire, comportanti
modifiche della sagoma”. Viene altresì precisato che:
“Nelle restanti aree interne alle zone omogenee A) e a
quelle equipollenti di cui al primo periodo, gli interventi
cui è applicabile la segnalazione certificata di inizio
attività non possono in ogni caso avere inizio prima che
siano decorsi trenta giorni dalla data di presentazione
della segnalazione. Nelle more dell’adozione della
deliberazione di cui al primo periodo e comunque in sua
assenza, non trova applicazione per le predette zone
omogenee A) la segnalazione certificata di inizio attività
con modifica della sagoma”.
Quest’ultima
disposizione
andrà
indubbiamente
raccordata con la nuova versione della l.r. n. 14/2009,
che come più volte sottolineato individua nella denuncia
di inizio attività il titolo abilitante la quasi totalità degli
interventi dalla stessa legge disciplinati anche all’interno
della zona territoriale omogenea “A”.
Gli interventi di cui alla lettera a) della norma
regionale
La disposizione regionale in rubrica, nel testo risultante dalle modifiche apportatevi dall’art. 11 della l.r. n.
32/2013, precisa che nel novero degli interventi di
ristrutturazione edilizia contemplati dall’articolo 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380/2001, devono farsi
rientrare anche quelli che comportano integrale demolizione e ricostruzione “con il medesimo volume o con un
volume inferiore”, innovando rispetto alla formulazione
originaria, che riportava l’ulteriore condizione, ora soppressa, in base al quale l’intervento ricostruttivo doveva
comunque esaurirsi “all’interno della sagoma del fabbricato precedente”.
Sulla coerenza della norma regionale originaria rispetto
alla norma statale di doverosa osservanza17 all’epoca
della sua promulgazione non è più il caso d’insistere,
limitandoci a rilevare che una cosa è l’identità della
sagoma, requisito richiesto dalla disposizione statale fino
16. C
osì TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 13 aprile 2011, n. 552. Conformi: Cass. Sez. II, 27 ottobre 2009, n. 22688;
TAR Campania, Salerno, Sez. II, 7 ottobre 2009, n. 5578; TAR Veneto, Sez. II, 31 ottobre 2007, n. 3493.
17. C
orte costituzionale, 23 novembre 2011, n. 309.
35
l’analisi
al fabbricato oggetto di ricostruzione, non sembra tanto
riferirsi ai suoi elementi strutturali, certamente realizzati
ex novo, quanto alle dimensioni e, più in particolare, al
volume dell’edificio, che può essere innovato/modificato
nella misura in cui ciò sia coerente con l’adeguamento
alla normativa antisismica. Peraltro, non si ravvisano
ragioni ostative a qualificare come ristrutturazione edilizia
un intervento di demolizione e ricostruzione di un edificio
che ne mantenga la volumetria, salve le eccedenze
strettamente connesse all’impiego di tecnologie finalizzate
al risparmio energetico, che per altro verso il legislatore
statale ha già fatto oggetto di misure di semplificazione
e di agevolazione anche sotto il profilo della normativa
urbanistico-edilizia.18
al 21 giugno 2013, altra cosa è una sagoma compresa
all’interno di un’altra, ammettendosi, pertanto, che la
prima possa essere d’ingombro planovolumetrico inferiore
e, comunque, diversa rispetto a quella di riferimento.
Quanto alla precisazione, riportata nella disposizione
in rubrica, della finalizzazione degli interventi ivi previsti
anche all’utilizzo di nuove tecniche costruttive, la stessa
appare più ampia di quella esplicitata nel modello
statale di riferimento, ove si menziona esclusivamente
l’adeguamento alla normativa antisismica.
Va, peraltro sottolineato che la norma statale, associando
l’adeguamento antisismico alle “innovazioni” apportate
Gli interventi di cui alla lettera b) della norma
regionale
Anche la lettera b) dell’art. 10, comma 1, della l.r.
14/2009 è stata modificata dall’art. 11 della l.r.
n. 32/2013 esclusivamente per eliminarvi qualsiasi
riferimento alla sagoma, e questo in evidente collegamento
con analoga modifica apportata dal “decreto del fare”
nella definizione della fattispecie di ristrutturazione edilizia
mediante demolizione e ricostruzione del fabbricato
preesistente, contenuta all’art. 10, lettera c) del d.P.R. n.
380/2001, che assoggetta la ristrutturazione “pesante”
a permesso di costruire.
La disposizione in rubrica conserva, peraltro, quell’alone
di “ambiguità” che l’ha contraddistinta sin dalla sua
originaria previsione all’interno del provvedimento
legislativo dedicato al Piano casa, ed al quale si è già
fatto cenno già nel paragrafo introduttivo del presente
commento. Infatti, la portata dichiaratamente generale
della norma, peraltro incidentalmente riconosciuta da
18. C
i si riferisce, in particolare, all’art. 11, comma 2, del d.lgs. 30 maggio 2008, n. 115, come modificato dall’art. 5,
comma 2, del d.lgs. 29 marzo 2010, n. 56, in base al quale “Nel caso di interventi di riqualificazione energetica di
edifici esistenti che comportino maggiori spessori delle murature esterne e degli elementi di copertura necessari ad ottenere una riduzione minima del 10 per cento dei limiti di trasmittanza previsti dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n.
192, e successive modificazioni, certificata con le modalità di cui al medesimo decreto legislativo, è permesso derogare,
nell’ambito delle pertinenti procedure di rilascio dei titoli abitativi di cui al titolo II del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380,
a quanto previsto dalle normative nazionali, regionali o dai regolamenti edilizi comunali, in merito alle distanze minime
tra edifici, alle distanze minime dai confini di proprietà e alle distanze minime di protezione del nastro stradale, nella
misura massima di 20 centimetri per il maggiore spessore delle pareti verticali esterne, nonché alle altezze massime degli
edifici, nella misura massima di 25 centimetri, per il maggior spessore degli elementi di copertura. La deroga può essere
esercitata nella misura massima da entrambi gli edifici confinanti”.
36
l’analisi
taluna giurisprudenza che se ne è occupata19, stride
con l’alternativa delineata dalla normativa statale tra la
ristrutturazione che si realizza attraverso un intervento
ricostruttivo – ricompresa nella più ampia categoria della
ristrutturazione “lieve” di cui all’art. 3, comma 1, lettera
d), del d.P.R. n. 380/2001 – e la ristrutturazione attuata
mediante un intervento conservativo – che può dar luogo
anche ad una ristrutturazione “pesante” – disciplinata dal
successivo art. 10, lettera c) e che consente modifiche
al volume, ai prospetti ed alle superfici dell’edificio, ma
non ne contempla la previa demolizione e successiva
ricostruzione.
Il legislatore regionale ha, invece, espressamente
circoscritto la fattispecie che ha inteso disciplinare con
l’art. 10, lettera b), della l.r. 14/2009 agli interventi
di ristrutturazione con ampliamento (che secondo il
Testo unico dell’edilizia è, al più, riconducibile alla
ristrutturazione “conservativa”/“pesante”), ammettendone
nel contempo la realizzazione mediante integrale
demolizione e ricostruzione dell’edificio (intervento,
invece, che il Testo unico riconduce alla ristrutturazione
“ricostruttiva”/“lieve”, caratterizzata dal mantenimento
della volumetria originaria).
Trova, pertanto, conferma la considerazione anticipata
nel paragrafo di apertura del presente commento,
ovvero che una lettura costituzionalmente orientata
della disposizione regionale non possa attribuirle il
velleitario, oltre che illegittimo, obiettivo di riscrivere
su scala regionale il perimetro e gli elementi costitutivi
della fattispecie ristrutturazione edilizia - che restano
quelli delineati dalla competente normativa statale quanto, piuttosto, quello di disciplinare alcuni profili
critici connessi agli interventi di “sostituzione edilizia”.
È questo, nella sostanza, il ragionamento sviluppato
dal TAR Veneto nella più volte richiamata sentenza
n. 1359/2011, ove – con riferimento all’art. 10,
lettera b), della l.r. 14/2009 - afferma che “La
disposizione … non contiene una diversa qualificazione
giuridica dell’intervento, emergendo, ad un’attenta
interpretazione, che ove la demolizione e ricostruzione
avvenga con modifiche del volume e della sagoma
l’intervento è, comunque, assoggettato a permesso di
costruire. Con tale disposizione, infatti, il legislatore
regionale ha inteso chiarire che, in tutti quei casi in
cui sia possibile individuare, in esito ad un intervento
di demolizione e ricostruzione, un corpo di fabbrica
avente la medesima volumetria e sagoma di quello
preesistente demolito al quale si aggiunge un ulteriore
corpo di fabbrica che determina l’ampliamento
contestuale dell’immobile, ai soli fini delle prescrizioni
in materia di indici di edificabilità e di ogni ulteriore
parametro di carattere quantitativo, il corpo di fabbrica
riproduttivo del preesistente anche nella sagoma e nel
volume viene assoggettato alla disciplina propria della
ristrutturazione edilizia mentre quello ulteriore, integrante
l’ampliamento, è valutato anche ai suddetti fini quale
nuova costruzione.”
Lo stesso approccio è riscontrabile nella pronuncia del
TAR Liguria, Sez. I, 21 novembre 2013, n. 1406, che
prende in esame un intervento di demolizione di un
edificio con sua ricostruzione con volumetria aumentata (oltre che diversa sagoma), per il quale era stata
invocata la disciplina del Piano casa della Regione
Liguria. In tale sentenza si sottolinea che “un intervento
edilizio, anche se assentito ai sensi dell’art. 6, l. n. 49
del 200920 (cd. Piano casa), consistente nella demolizione e successiva ricostruzione con diversa sagoma
e diversa volumetria, integra gli estremi della nuova
19. TAR Veneto, Sez. II, 12 agosto 2011, n. 1359.
20. L.r. Liguria, 3 novembre 2009, n. 49 – art. 6 (Demolizione e ricostruzione con incremento volumetrico di edifici a destinazione residenziale).
“1. I singoli edifici prevalentemente residenziali, o ad essi assimilabili quali residenze collettive, esistenti alla data del 30
giugno 2009 aventi una volumetria non superiore a 2.500 metri cubi e che necessitano di interventi di riqualificazione
urbanistica, architettonica e/o ambientale, ai sensi dell’articolo 2, comma 1), lettera c), numeri 1) o 2) possono essere
demoliti e ricostruiti con incremento fino al 35 per cento del volume esistente. Per gli edifici aventi volumetria superiore
a 2000 metri cubi l’incremento massimo ammissibile non può superare i 700 metri cubi.”
… omissis …
Il successivo art. 7 è rubricato “Demolizione e ricostruzione con incremento volumetrico di edifici a destinazione diversa
da quella residenziale”.
39
l’analisi
costruzione e non della ristrutturazione mediante demolizione e successiva ricostruzione, e ciò a prescindere dall’espressa qualificazione normativa in termini
di sostituzione edilizia21”.
La questione interpretativa di maggiore criticità riguardante
la norma in rubrica consiste, pertanto, nell’individuazione
della corretta portata da attribuire all’espressione “sono
considerati, ai fini delle prescrizioni in materia di indici
di edificabilità e di ogni ulteriore parametro di carattere
quantitativo, ristrutturazione edilizia”, riferita agli
interventi di demolizione e ricostruzione degli edifici “per
la parte in cui mantengono i volumi esistenti”, fattispecie
contrapposta a quella costituita dalla “sola parte relativa
all’ampliamento che rimane soggetta alle normative
previste per tale fattispecie”.
La circolare regionale n. 1/2011 - nel commentare l’art.
10, lettera b), della l.r. 11/2009 e riproponendo quanto
già contenuto nella circolare n. 4/2009 - afferma sul punto
che “La parte di edificio demolita e ricostruita con lo stesso
volume e all’interno della sagoma originaria, mantiene una
condizione privilegiata (per esempio, la possibilità di mantenere le distanze preesistenti) propria del fabbricato nella
sua conformazione originaria, mentre l’ampliamento viene
assoggettato alle eventuali più restrittive disposizioni pianificatorie vigenti”, attribuendo ampia portata all’espressione
“parametro di carattere quantitativo” tanto da ricomprendervi anche il tema delle distanze.
A tali conclusioni si è già pervenuti nelle precedenti
edizioni del commentario alle leggi sul Piano casa del
Veneto, sottolineando come la novità più rilevante apportata dalla norma in commento stia proprio nell’avere nettamente distinto due profili che spesso sono stati
confusi tra loro ed hanno creato incertezza ed equivoci
nella prassi: quello della qualificazione giuridica dell’intervento e quello dei riflessi dell’intervento sul piano dei
diritti di vicinato e in genere del mantenimento della
precedente condizione civilistica del bene. Viene, perciò, ridimensionata quella che in precedenza appariva
una drastica alternativa tra ristrutturazione edilizia, intesa come recupero di un edificio esistente, e costruzione
totalmente nuova. Ora un intervento consistente nella
demolizione e ricostruzione con aumento volumetrico
e/o conseguente modifica della sagoma - seppur qualificabile nel suo complesso come nuova costruzione ex
art. 3, comma 1, lett. e.1), del D.P.R. n. 380/2001
- consente alla parte dell’edificio ricostruito con stesso
volume e sagoma rispetto al preesistente di mantenere
l’eventuale condizione privilegiata (per esempio, la deroga alle distanze minime) propria del volume originario, nella sua conformazione originaria, mentre per la
parte che vi eccede (il vero e proprio “ampliamento”)
lo assoggetta alle eventuali più restrittive disposizioni
pianificatorie sopravvenute22.
Secondo questa ricostruzione interpretativa, la dispo-
21.A norma dell’art. 8 (Sostituzione edilizia) della l.r. Liguria 6 giugno 2008, n. 16, sostituito dalla l.r. 5 aprile 2012, n. 9.
“1. Si definiscono interventi di sostituzione edilizia quelli consistenti nella demolizione e successiva ricostruzione di edifici
esistenti che necessitano di riqualificazione sotto il profilo urbanistico, paesistico, architettonico ed ambientale, non riconducibili nei limiti di cui all’ articolo 10, comma 2, lettera e) , e comportanti eventuale incremento della volumetria originaria.
2. Tali interventi:
a) sono disciplinati dallo strumento urbanistico generale alla stregua degli interventi di nuova costruzione, fatta eccezione
per l’indice di fabbricabilità o di utilizzazione insediativa, previa definizione dei parametri urbanistico-edilizi e dell’entità
dell’eventuale incremento della volumetria esistente ammissibile entro soglie percentuali predeterminate dallo strumento
urbanistico generale nei limiti di cui all’ articolo 10, comma 2, lettera f) , delle modalità di attuazione e delle prestazioni
di opere di urbanizzazione da osservare nella ricostruzione. La ricostruzione può essere prevista nello stesso lotto di
proprietà, ovvero nella zona o ambito omogeneo in cui è localizzato l’immobile originario, o in altra specifica zona o
ambito individuati come idonei dallo strumento urbanistico e comunque in conformità alle indicazioni del vigente PTCP;
b) devono rispettare le normative in materia igienico-sanitaria, di risparmio energetico, di stabilità e di sicurezza degli
edifici e ogni altra normativa di settore prescritta per gli interventi di nuova costruzione”.
22 Sembra in questa sede opportuno rammentare che la regola “tradizionale” - per la quale nel caso di “fedele” ricostruzione
può essere conservata la condizione di favore costituita dalla ricostruzione alla distanza, inferiore a quella minima, che
già caratterizzava il fabbricato demolito – soffre un’esplicita deroga per quanto attiene alla distanza dalle strade. Infatti,
l’art. 26, comma 3, del d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 (Regolamento del nuovo Codice della strada), relativo alle
40
l’analisi
sizione regionale in commento si allinea alla più accreditata ed autorevole giurisprudenza della Corte di
cassazione, per la quale, nel caso di ricostruzione di
edificio demolito, con aumento della relativa volumetria
e delle superfici occupate rispetto all’originaria sagoma
d’ingombro, “si verte in ipotesi di <nuova costruzione>,
da considerare tale, ai fini del computo delle distanze
rispetto agli edifici contigui come previste dagli strumenti urbanistici locali, nel suo complesso, ove lo strumento urbanistico rechi una norma espressa con la quale
le prescrizioni sulle maggiori distanze previste per le
nuove costruzioni siano estese anche alle ricostruzioni,
ovvero, ove una siffatta norma non esista, solo nelle
parti eccedenti le dimensioni dell’edificio originario”23.
È, peraltro, corretto segnalare che altra giurisprudenza sostiene che “la semplice ristrutturazione si verifica
ove gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale
sussistano e, all’esito degli stessi, rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le
strutture orizzontali, la copertura, mentre è ravvisabile
la ricostruzione allorché dell’edificio preesistente siano
venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti, e l’intervento si traduce
nell’esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna
variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio, e, in particolare, senza aumenti della volumetria
né delle superfici occupate in relazione alla originaria
sagoma di ingombro; in presenza di tali aumenti, si verte, invece, in ipotesi di nuova costruzione, da considerare tale, ai fini del computo delle distanze rispetto agli
edifici contigui come previste dagli strumenti urbanistici
locali, nel suo complesso”.24
Personalmente si propende per la prima soluzione interpretativa – oltre tutto fatta propria dalla stesse circolari
regionali volte a fornire indirizzi applicativi della specifica norma in commento – capace di offrire un evidente,
quanto significativo, incentivo alle operazioni di “sostituzione” del patrimonio edilizio esistente, configurando,
altresì, una deroga alle eventuali previsioni di piano
recanti disposizioni di tenore contrario.
La nuova previsione contenuta nella lettera
b-bis) della norma regionale
È, questa, una disposizione formalmente del tutto nuova, in virtù della quale “negli interventi di ristrutturazione edilizia la ricostruzione a seguito della demolizione
può avvenire anche su area di sedime parzialmente
diversa, purché ciò non comporti una modifica sostanziale della localizzazione dell’edificio nell’ambito del
lotto di pertinenza. In caso di interventi ubicati nelle
zone di protezione delle strade e nelle zone vincolate
come inedificabili dagli strumenti urbanistici generali,
la ricostruzione è consentita anche in area adiacente,
purché al di fuori della fascia di rispetto o dell’area
inedificabile”.
Come si può agevolmente constatare, la norma si occupa dell’area di sedime nella quale può avere luogo
fasce di rispetto fuori dai centri abitati, e l’art. 28, comma 1, per le medesime fasce di rispetto all’interno dei centri abitati,
precisano che le distanze minime fissate da tali norme con riferimento alle diverse tipologie stradali devono essere rispettate
“nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni integrali e conseguenti ricostruzioni o negli ampliamenti fronteggianti le strade”.
23 Così Cass. civ., Sez. Unite, 19 ottobre 2011, n. 21578; Cass. civ., Sez. II, 27 aprile 2006, n. 9637; Id. 15 luglio
2003, n. 11027; Id. 26 ottobre 2000, n. 14128.
24 Così Cons. Stato, Sez. V, 11 giugno 2013, n. 3221; Cons. Stato, Sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 844.
41
l’analisi
la ricostruzione dell’edificio demolito nell’esecuzione
di un intervento di ristrutturazione edilizia, argomento
che trovava un’espressa trattazione nell’originaria formulazione dell’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R.
n. 380/2001 – che prescriveva l’identità dell’area
di sedime del fabbricato ante demolizione rispetto a
quella del fabbricato post ricostruzione – ma che successivamente veniva ignorato dal diritto positivo a seguito della modifica apportata alla citata disposizione
del Testo unico dell’edilizia ad opera dell’art. 1 del
d.lgs. 27 dicembre 2002, n. 301.
Si è già dato conto, nel paragrafo 2 del presente commento, dell’autorevole orientamento giurisprudenziale
caratterizzato dalla sostanziale conferma del requisito
dell’identità dell’area di sedime, così come della più
elastica posizione interpretativa assunta dal Ministero
delle infrastrutture e trasporti con la circolare del 7
agosto 2003, n. 4174.
È qui il caso di segnalare che nella circolare n.
4/2009 – d’interpretazione del primo Piano casa
del Veneto – la Regione, nel commento all’art. 3 del-
la l.r. 14/2009, afferma che “Per quanto concerne
la localizzazione dell’edificio ricostruito si evidenzia
che esso, fatte salve le variazioni conseguenti all’ampliamento, deve mantenere un rapporto con la sua
localizzazione originaria, con esclusione quindi della
possibilità di ricomporre il volume in altra posizione,
quantunque nella stessa area di proprietà”.
Nella successiva circolare n. 1/2011 – d’interpretazione del secondo Piano casa del Veneto – la stessa Regione, sempre a commento dell’art. 3 della l.r.
14/2009, come modificato dalla l.r. 13/2011, impiega un’espressione più sfumata sostenendo che “Per
quanto poi concerne la localizzazione dell’edificio ricostruito, ove integralmente demolito, si evidenzia che
esso, fatte salve le variazioni conseguenti all’ampliamento, deve mantenere un rapporto con la sua localizzazione originaria, utilizzando almeno parzialmente
il vecchio sedime”, sostituendo la necessaria, totale,
identità dell’area di sedime con la sufficienza di un’identità anche soltanto parziale.25
La nuova disposizione regionale sembra riprendere
l’indirizzo interpretativo espresso dal TAR Veneto nella
sentenza 8 novembre 2012, n. 1362, laddove si
legge che “Risulta ammissibile anche la <traslazione>
operata in sede di ricostruzione, nello stesso lotto,
del manufatto di cui si tratta e, ciò, considerando
come la Circolare n. 4174/2003 del Ministero
delle Infrastrutture ha espressamente ammesso la
legittimità della traslazione dell’immobile, proprio
all’interno di uno stesso lotto e, ciò, nella parte in cui
si è affermato che per quanto attiene l’interpretazione
della nozione della stessa <area di sedime> deve
ritenersi che il Legislatore abbia voluto impedire che il
posizionamento dell’immobile all’interno di uno stesso
lotto (eventualità legittima) avvenga in maniera del
tutto <discrezionale>”.
Conseguentemente, l’espressione adoperata dal legislatore regionale, laddove consente la ricostruzione
dell’edificio “anche su area di sedime parzialmente
diversa, purché ciò non comporti una modifica sostanziale della localizzazione dell’edificio nell’ambito del
25 R ichiama espressamente le due circolari regionali di cui sopra Cons. Stato, Sez. IV, 8 luglio 2013, n. 3596, che trae
argomento per concludere che “perché l’operazione complessiva (demolizione e ricostruzione) possa essere giudicata
conforme a legge, il nuovo sedime debba serbare una relazione effettiva e concreta rispetto a quello precedente”.
42
l’analisi
lotto di pertinenza”, va interpretata in modo coerente
con le indicazioni contenute nella ricordata circolare
ministeriale n. 4174/2003, ritenendo compatibili con
la figura della ristrutturazione edilizia le “modifiche di
collocazione rispetto alla precedente area di sedime,
sempreché rientrino nelle varianti non essenziali”.
Nel Veneto, l’individuazione delle varianti essenziali
(e, quindi, per differenza, di quelle non essenziali) al
titolo edilizio è ancora contenuta nell’art. 92 della l.r.
27 giugno 1985, n. 61, che al terzo comma, lettera
c), qualifica come tali gli interventi “che comportino
l’alterazione della sagoma della costruzione o la sua
localizzazione nell’area di pertinenza, in modo da
violare i limiti di distanza, anche a diversi livelli di altezza, recando sensibile pregiudizio alle esigenze della zona sotto il profilo igienico-sanitario, degli allineamenti previsti e dell’ordinata distribuzione dei volumi”.
Si ricorda che, come segnalato nella nota 2 del presente commento, la l.r. n. 16/2003 ha confermato la
vigenza e l’applicabilità delle disposizioni contenute
nel Titolo V della l.r. n. 61/1985, qualora non in contrasto con i principi fondamentali desumibili dal Testo
unico dell’edilizia, mentre l’art. 49, comma 1, lettera e) della l.r. 11/2004, ha espressamente sottratto
all’abrogazione, tra gli altri, proprio gli articoli della
l.r. n. 61/1985 dedicati alla disciplina dell’attività
edilizia, tra i quali vi è anche l’art. 92, relativo alle
variazioni essenziali.
Ne consegue che potranno ritenersi coerenti con la
categoria della ristrutturazione edilizia le ricostruzioni di edifici demoliti ancorché ne venga parzialmente
modificata l’area di sedime, purché la mutata localizzazione insista pur sempre nella medesima area di
pertinenza (da intendersi quale unicità del lotto), senza
violare le distanze minime rispetto ai confini ed alle
eventuali costruzioni limitrofe e purché non venga arrecato “pregiudizio alle esigenze della zona sotto il
profilo igienico-sanitario, degli allineamenti previsti e
dell’ordinata distribuzione dei volumi”.
L’interpretazione testé illustrata sembra, del resto, trovare indiretta conferma anche da quanto stabilito nel
nuovo comma 3 dell’art. 3 della l.r. n. 14/2009, in
base al quale “Gli interventi di cui al comma 2 (ndr.:
rinnovamento del patrimonio edilizio mediante demolizione e ricostruzione degli edifici, c.d. “sostituzione
edilizia”), qualora comportino una ricomposizione planivolumetrica che comporti una modifica sostanziale
con la ricostruzione del nuovo edificio su un’area di
sedime completamente diversa, sono assentiti, in deroga all’articolo 6, mediante rilascio del permesso di
costruire ...”. In tale ipotesi, nella quale non ricorre
il fenomeno della ristrutturazione edilizia, la ricostruzione dell’edificio è consentita anche “su un’area di
sedime completamente diversa”, dove l’avverbio completamente si contrappone al parzialmente adoperato
nell’art. 10, comma 1, lett. b-bis), dedicato alla demolizione e ricostruzione ascrivibile pur sempre alla
categoria d’intervento ristrutturazione edilizia.
Le condizioni sopra riassunte mutano qualora il fabbricato oggetto di ristrutturazione edilizia mediante sua
demolizione e ricostruzione sia collocato nelle zone
di protezione delle strade e/o nelle zone vincolate
come inedificabili dagli strumenti urbanistici generali,
nel qual caso l’ultima parte della nuova lettera b-bis)
stabilisce che “la ricostruzione è consentita anche in
area adiacente, purché al di fuori della fascia di rispetto o dell’area inedificabile”.
Mentre il riferimento alle zone di protezione delle strade sembra identificarsi con le fasce di rispetto stradale
di cui agli artt. 16, 17 e 18 del Codice della Strada
(d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 e s.m.) ed agli art.
26, 27 e 28 del Regolamento del Codice della Strada (d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 e s.m.), più
problematico e generico appare il richiamo alle zone
45
l’analisi
vincolate come inedificabili dagli strumenti urbanistici
generali. In attesa di chiarimenti autorevoli sul punto,
ci si limita ad osservare che:
relativamente alle zone agricole, l’art. 48, comma
7-ter, lettera e), della l.r. n. 11/2004, stabilisce che
“per le costruzioni non oggetto di tutela da parte del vigente piano regolatore generale ubicate nelle zone di
protezione delle strade di cui al DM 1° aprile 1968,
n. 1404 e in quelle di rispetto al nastro stradale e
alle zone umide vincolate come inedificabili dagli strumenti urbanistici generali, sono consentiti gli interventi
di cui alla lettera d) del comma 1 dell’articolo 3 del
decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del
2001, compresa la demolizione e la ricostruzione in
loco oppure in area agricola adiacente, sempre che
non comportino l’avanzamento dell’edificio esistente
sul fronte stradale o sul bene da tutelare”26;
l’art. 13, comma 1, lettera h), della l.r. n. 11/2004
demanda al Piano di assetto del territorio (PAT) la disciplina, tra l’altro, anche delle zone di tutela e della
fasce di rispetto in conformità all’art. 41 della stessa
legge regionale;
l’art. 17, comma 1, lettera j), della l.r. n. 11/2004,
denotando un’evidente mancanza di coordinamento
con la disposizione appena menzionata, demanda la
stessa disciplina (anche) al Piano degli interventi (PI).
l’art. 41 della l.r. 11/2004 individua le zone di tutela, elencate nel comma 1, mentre rinvia alle “specifiche disposizioni vigenti in materia” per quanto attiene
alla definizione e regolamentazione delle fasce di
rispetto finalizzate alla tutela dei beni, infrastrutture
e servizi.
26 Disposizione sostanzialmente ripetitiva di quella collocata nell’art. 7 della l.r. 5 marzo 1985, n. 24.
46
Fiorenza Conti
È rinato Palazzo Chiericati,
il Museo della città
Palazzo Chiericati ha riaperto al pubblico, dopo un restauro durato tre anni. È stato
completato il restauro della parte principale del complesso museale, edificio della prima
maturità di Palladio, mentre proseguono invece i lavori nelle due restanti ali della sede
della pinacoteca.
I
l Museo, sospeso tra storia e cultura, è l’opera di
architettura in cui una città dovrebbe identificarsi. Indubbiamente ora, ancor più di prima, Vicenza può
essere fiera di identificarsi e di essere rappresentata del
suo museo, dal quale esce un’immagine prestigiosa,
aulica, imponente. Un altro restauro dunque riconsegna
un edificio palladiano a cittadini e turisti ancor più bello:
più illuminato, più leggibile, più completo, più vivibile,
più innovativo. È anche più accogliente, Palazzo Chiericati (sede del museo civico dal 1855), ora che, dopo
tre anni, ha riaperto al pubblico il 22 dicembre scorso.
Il restauro implica ovviamente anche un adeguamento fun-
zionale e il riallestimento espositivo dell’intera pinacoteca.
Questa “villa suburbana”, progettata nel 1550 per la
Famiglia Chiericati, permeata di aria e di luce, ricca di
valori atmosferici e cromatici, si presenta al tempo stesso
come maestoso fronte urbano che riecheggia, nel doppio
ordine di logge, le ali porticate di un antico foro romano.
Nella sua sezione palladiana, il visitatore potrà godere
delle opere dei secoli XVI e XVII, coeve alla realizzazione
dell’edificio, secondo un progetto museografico che ha
voluto legare contenuto e contenitore in modo storicamente plausibile. Nella stessa logica rientra il recupero,
anche dal punto di vista filologico, dei seminterrati cinque-
48
Un altro restauro dunque
riconsegna un edificio
palladiano a cittadini
e turisti ancor più bello:
più illuminato, più leggibile,
più completo, più vivibile,
più innovativo. È anche
più accogliente, Palazzo
Chiericati (sede del museo
civico dal 1855), ora che,
dopo tre anni, ha riaperto
al pubblico.
restauro
In apertura, Palazzo Chiericati, sede del Museo Civico,
dopo il restauro. Qui sotto, la cerimonia inaugurale
avvenuta lo scorso 22 dicembre. In basso il piano nobile,
con il salone centrale visto da sud verso nord. Alle pareti
la quadreria riordinata; parte è patrimonio dell’edificio,
parte proviene da altri palazzi cittadini
seicenteschi, ovvero cucina, cantine, pozzo, che, oltre
a dotare il museo di nuovi spazi, consentono la lettura
della fase genetica della costruzione e offrono un’inedita
storia del palazzo.
Per la parte scientifica e museografica, il progetto è
stato curato da Maria Elisa Avagnina, già direttrice dei
musei civici, per la parte architettonica dall’architetto
Emilio Alberti, per l’allestimento dallo scenografo Mauro
Zocchetta. A livello costruttivo, da luglio, avevano preso
in consegna i lavori l’Associazione temporanea di imprese Coima e So.Ge.Di.Co. Il costo complessivo sarà
di circa 8,5 milioni di euro, di cui circa 3,7 milioni per
l’ala monumentale, 2,3 milioni per l’ala ottocentesca e
2,5 milioni per l’ala novecentesca.
Per il progetto complessivo sono già stati concessi contributi dalla Fondazione Cariverona per 4,3 milioni di
euro, dalla Società Autostrada Brescia-Padova per 620
mila euro e dai Fondi europei (Por) erogati tramite la
Regione Veneto per 1,2 milioni di euro.
La Pinacoteca e il percorso
È stato completato dunque il restauro della parte principale
del complesso museale, edificio della prima maturità di
Palladio, mentre proseguono invece i lavori nelle due
restanti ali della sede della pinacoteca.
Al piano terreno, in attesa della conclusione dei lavori,
il visitatore ammirerà una selezione di capolavori delle
raccolte civiche: Paolo Veneziano, Memling, Montagna,
Fogolino, Sansovino, Veronese, Tintoretto, Maffei e Pittoni.
Al piano nobile, invece, nelle prime due sale del percorso sono collocati i ritratti degli aristocratici vicentini del
‘500: Porto, Valmarana, Gualdo. Segue la sala dedicata
alla Memoria dell’Antico, una sorta di Wunderkammer.
Segue il salone d’onore, allestito come una quadreria
di palazzo, che espone dipinti di Carpioni, Giordano,
51
restauro
In questa pagina i sotterranei, murature e volte portanti
del palazzo restaurate. Qui sono ospitate alcune opere
dello scultore Nereo Quagliato donate di recente alla città
Bellucci, Liberi e Lazzarini a soggetto mitologico e allegorico provenienti da grandi collezioni private donate al
museo nel corso dell’ottocento. Concludono il percorso
le tre stanze affacciate su corso Palladio dedicate alla
pittura barocca di tema religioso e ai generi della natura
morta e del paesaggio.
Nelle tre stanze del sottotetto dell’ala nord, ambientata in
un suggestivo allestimento di “casa-museo”, è collocato il
lascito del marchese Giuseppe Roi costituito da dipinti,
disegni e incisioni dal XV al XX secolo. Al piano interrato
hanno trovato “casa” le sculture della donazione Nereo
Quagliato.
“Del migliaio di opere del patrimonio del museo – precisa
la dottoressa Avagnina - ne sono esposte circa 150, tra
dipinti, statue e arti applicate. Una volta completato il
restauro di tutto il complesso museale, saranno invece
addirittura circa 500 le opere esposte”.
Il restauro e gli interventi
“Il progetto di restauro, che quanto prima ci auguriamo
di completare, ha già impegnato l’amministrazione per
dieci anni – commenta il vicesindaco e assessore alla
crescita Jacopo Bulgarini d’Elci –, con l’obiettivo ambizioso di voler restituire alla città e al mondo, in tutta
la sua bellezza, uno dei musei più straordinari d’Italia.
Sarà nostro impegno inoltre ridare unitarietà alla piazza,
con la pedonalizzazione dell’area attualmente adibita a
parcheggio, ricreando idealmente il legame originario
fra i due gioielli palladiani, Palazzo Chiericati e Teatro
Olimpico. Il sogno è arrivare un giorno ad avere una
copertura trasparente del cortile interno del palazzo:
un segno di contemporaneità, come già è stato fatto
al British Museum o al Louvre, che possa ampliare gli
spazi funzionali del museo per conferenze, concerti,
appuntamenti culturali in genere. Ma l’idea è ancora
embrionale, tant’è che ancora non ne abbiamo discusso
con la Soprintendenza”.
Gli interni dell’edificio palladiano, dal 2009 oggetto di
intervento, presentavano situazioni differenziate: quelli
adibiti a spazio espositivo erano in condizioni di conservazione sufficienti, ma carenti dal punto di vista impiantistico; mentre interi piani erano completamente degradati
e non utilizzabili, come gli interrati e i sottotetti. Il criterio
ispiratore del progetto, che ha determinato radicali lavori
di recupero e rifunzionalizzazione, ha riportato l’originaria
fisionomia di dimora patrizia, sia attraverso il recupero
di tutti gli spazi interni inutilizzati, aumentando così gli
spazi espositivi, sia ripristinando l’integrità del corpo
architettonico palladiano con l’apertura di due varchi,
uno al piano terra e uno al piano nobile, e con la
costruzione del collegamento “a ponte” creato tra i due
corpi di fabbrica contigui.
Per tutte le finestre dell’edificio sono state realizzate nuove
vetrate a piombo, su disegno d’epoca; inoltre, sono stati
installati un nuovo impianto illuminotecnico e strutture di
allestimento (pannelli didattici e bacheche per i testi già
52
restauro
Una parte del progetto di recupero del palazzo resta da
completare: qui sotto, i rendering del piano terra (sulla
parete di fondo tre statue provenienti dall’oratorio di San
Marcello, ora liceo Pigafetta) e, sotto, il piano ammezzato
predisposti in versione bilingue italiano-inglese), che costituiscono un supporto didattico volutamente sobrio e raffinato.
I lavori hanno interessato anche il giunto di collegamento
tra l’ala palladiana e quella novecentesca. Per rendere
infatti il palazzo accessibile a tutti, era necessario realizzare un ascensore, cui si è trovata sistemazione nel giunto
di collegamento-separazione, che va così a confermare
la funzione di snodo riscontrata anche nell’antico edificio
bombardato e ricostruito nel dopoguerra. Il giunto è stato
progettato pensando ad un elemento contemporaneo,
vera cesura formale e spaziale tra i due fabbricati e
nodo dei percorsi di visita per i tre edifici: palladiano,
novecentesco e ottocentesco. Dal giunto infatti parte un
corpo vetrato di collegamento con l’ala ottocentesca,
che ne garantisce la connessione funzionale e consente
poi l’eliminazione del ponte realizzato nei primi anni del
Novecento (e ampliato negli anni ’50), definito a suo
tempo “vagone ferroviario” dal prof. Renato Cevese.
Nella costruzione del giunto, creato anche per isolare
i due fabbricati in funzione antisismica, i rinvenimenti
archeologici hanno determinato variazioni del progetto
al fine di valorizzare i reperti stessi. Il giunto infine avrà
anche funzioni espositive: sarà infatti integrato al percorso
museale con l’esposizione di tre statue.
Concluso infine l’intervento al deposito delle opere d’arte,
ubicato nei sottotetti del settore sud e allestito con rastrelliere metalliche a compattamento che, ottimizzando lo
spazio disponibile, assicurano una superficie espositiva di
circa 400 mq, rispondono in modo efficace ed efficiente
alle esigenze di corretta conservazione e agevolano
eventualmente la consultazione a richiesta del patrimonio
artistico non esposto.
Nell’ambito del progetto al piano terra è stato anche
ricavato uno spazio polifunzionale a servizio della Direzione Musei, dotato all’occorrenza di accesso indipendente direttamente dalla piazza e dotato di un gruppo
di servizi igienici. Al piano seminterrato hanno trovato
posto i vani tecnici che accoglieranno al loro interno gli
impianti tecnologici di trattamento dell’aria.
“A gennaio inizieranno gli interventi veri e propri dell’ala
novecentesca e dell’ala ottocentesca, entrambi curati dal
Settore Lavori pubblici e grandi opere del Comune, per
il completo rinnovamento del museo – dice l’assessore
alla cura urbana, Cristina Balbi -. L’intervento, che si concluderà entro dicembre 2014, prevede lo svuotamento
dell’edificio per il rifacimento totale dell’articolazione
interna. Il principio che governa la progettazione dell’ala
novecentesca è l’adattamento del ‘contenitore’ ai suoi
‘contenuti’ -, ovvero le opere che costituiscono il patrimonio
storico artistico del museo. L’obiettivo è infatti assicurare
al piano terreno e al piano primo le dimensioni e le caratteristiche per uno spazio espositivo permanente. E la
demolizione dell’edificio esistente, prevista a breve, non
appena saranno stati eseguiti i ponteggi di forza per il
sostegno della facciata, comporterà la ricostruzione dei
volumi nel rispetto della normativa antisismica”.
55
NOTIZIARIO DEI COSTRUTTORI
Appalti pubblici: a partire dal 1° gennaio 2014
rideterminate le soglie di
applicazione della disciplina comunitaria
La Commissione Europea ha modificato le soglie comunitarie per le
gare di lavori, servizi e forniture,
al di sopra delle quali è necessario
applicare la disciplina europea. La
modifica sarà operativa a partire
dal 1° gennaio 2014.
La Commissione Europea, con regolamento 13 dicembre 2013,
n. 1336/2013 (pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale Europea del 14
dicembre 2013, n. L. 335/17), ha
modificato le direttive 2004/18/
CE (riguardanti gli appalti pubblici
di lavori, forniture e servizi nei
“settori ordinari”) e 2004/17/CE
(riguardanti gli appalti pubblici di
lavori, forniture e servizi nei “settori speciali”), attuate attraverso il
Codice dei Contratti Pubblici, relativamente ai valori delle soglie, al
di sopra delle quali è applicabile
la disciplina contenuta nelle medesime, con maggiori obblighi di
pubblicità e regole di competizione
più severe.
Per i lavori la soglia sale a
5.186.000,00 di euro (anziché
5.000.000,00 euro), per i servizi
e le forniture a 207.000,00 euro
(anziché 200.000 euro).
Essendo il regolamento direttamente
cogente per gli Stati membri dell’Unione, a decorrere dal 1° gennaio
2014 le vecchie soglie dovranno ritenersi sostituite dalle nuove, come
disposto dall’art. 4 del citato regolamento. Da tale data i bandi delle
stazioni appaltanti dovranno essere
adeguati ai nuovi valori.
xpo 2015: attivo il CaE
talogo per i Partecipanti
EXPO 2015 SpA ha lanciato il “CATALOGO PER I PARTECIPANTI AD
EXPO 2015”, attraverso il quale le
imprese possono mettersi in contatto
con i Paesi partecipanti ad EXPO
e fornire supporto per la progettazione, costruzione ed allestimento
dei padiglioni. L’investimento complessivo per tali attività è stimato in
circa 1 miliardo di euro.
Il catalogo, alla progettazione del
quale Confindustria ha collaborato
con Expo 2015 Spa, insieme alle
Associazioni di categoria maggiormente coinvolte, è configurato come
una piattaforma telematica per mettere in contatto i Paesi partecipanti
ad EXPO 2015 con le imprese
potenzialmente interessate alla fornitura di lavori, beni e servizi.
In particolare, il Catalogo
• è aperto a tutte le imprese italiane
iscritte al Registro delle imprese;
• incentiva l’aggregazione delle
imprese, secondo le forme previste dalla normativa (consorzi,
reti d’impresa, R.T.I., etc.);
• permette alle imprese di presentarsi ai (Paesi) partecipanti
attraverso sistemi di ricerca (filtri/ricerche per parola) che ne
visualizzano le caratteristiche
distintive;
• sarà realizzato in 3 lingue ufficiali
(italiano, inglese e francese).
Le imprese avranno accesso al
catalogo attraverso il sito web di
Expo 2015 oppure direttamente
attraverso il link: http://fornitori.
expo2015.org.
Categorie merceologiche
Le imprese si presentano per le cate-
56
gorie merceologiche corrispondenti
al loro codice ATECO.
L’implementazione del Catalogo da
parte delle aziende è suddivisa in
due fasi:
1) una prima, già operativa, aperta
a categorie prioritarie*, relative
alla progettazione, costruzione
e preparazione dei padiglioni:
• Progettazione (architettura, ingegneria-strutture, esperti, ingegneria-impianti, ingegneria, mobilità,
verde, cantiere)
• Costruzione (edilizia, impianti)
• Fornitura (materiali da costruzione, allestimenti e arredo,
impianti, verde, prodotti per la
gestione dell’evento)
• Servizi (servizi di progettazione
e costruzione)
* L’elenco completo è disponibile
sulla home page del Catalogo.
2) U
na seconda fase, che sarà
operativa nel corso del 2014,
per le categorie relative alla gestione della presenza all’Evento
(es. servizi di comunicazione,
eventi, viaggi, catering, traduzione, manutenzione, food &
beverage, stampa).
Il Catalogo per i Partecipanti non
è una piattaforma di eProcurement
ma rappresenta un database accessibile ai Paesi Partecipanti attraverso il sistema utilizzato da Expo
2015 Spa per gestire le relazioni
e lo scambio informativo con i Partecipanti Ufficiali (Participant Data
Management System).
Attraverso la piattaforma i Paesi potranno selezionare i propri fornitori
con diversi sistemi di ricerca (categorie/filtri/ricerche per parola) e
le aziende iscritte al catalogo potranno essere contattate dai Paesi,
notiziario
ricevendo richieste tramite il sistema
di messaggistica predisposto.
Sulla piattaforma saranno disponibili ai Paesi anche la Guida dei
Partner di Expo 2015 (le aziende
che hanno siglato partnership
onerose con Expo) e il Catalogo
SIExpo2015 (www.siexpo2015.
it), dedicato a prodotti e materiali
ecosostenibili e innovativi relativi ai
settori di costruzioni e allestimenti,
arredo per interni, arredo urbano,
packaging e complementi fieristici.
Sintesi della procedura di registrazione:
1. Registrazione attraverso il dispositivo di firma digitale, consultando la guida all’iscrizione e
ricevimento e.mail di conferma
dell’avvenuta registrazione.
2. Selezione della fascia di fatturato
dell’azienda.
3. Conferma dei dati anagrafici
caricati automaticamente dal
Registro delle Imprese.
4. Accettazione del Regolamento
di utilizzo.
5. Pagamento di una fee variabile
a seconda del fatturato annuo
aziendale:
- 100 euro per fatturato 0-2 milioni euro (micro impresa)
- 300 euro per fatturato compreso tra 1 e 50 milioni (piccole-medie imprese)
- 500 per fatturato maggiore di
50 milioni (grandi imprese)
6. Completamento del profilo aziendale attraverso l’inserimento di
descrizioni delle caratteristiche
distintive auto dichiarate o prelevate da banche dati (certificazioni, presenza di sistemi di
gestione integrata, esperienze
in grandi eventi, altre Expo in-
ternazionali), link a video e siti
aziendali.
Sul sito di Expo 2015 Spa sono
disponibili:
• La guida all’Iscrizione;
• Il Regolamento;
• L’elenco delle categorie merceologiche.
Si rammenta, inoltre, che per favorire un costante e completo aggiornamento sulle iniziative in corso ed
agevolare un coinvolgimento del
sistema imprenditoriale nella concreta realizzazione di Expo 2015,
Confindustria ha promosso il “Progetto speciale EXPO 2015”, nel cui
ambito è stata di recente attivata
una nuova sezione dedicata, presente sul sito di Confindustria.
A questa sezione si accede tramite
un apposito banner, presente sul
sito confederale ed integrato - per
praticità di utilizzo - nella pagina
principale del portale di Confindustria Vicenza (link), ed è liberamente accessibile da parte delle
imprese associate previa autenticazione con gli stessi username e
password utilizzati per accedere
al sito di Confindustria Vicenza (si
avvisa che la libera navigazione
potrà avvenire soltanto all’interno
dell’area Expo 2015).
La principale attrattiva della piattaforma è rappresentata dalla “Newsletter Appalti Expo 2015”, una
rassegna mensile che fornisce una
serie di informazioni dettagliate sugli affidamenti in corso e in pubblicazione, cui gli interessati possono
abbonarsi gratuitamente.
In tal modo, sarà possibile per le
imprese interessate disporre di un
aggiornamento “in tempo reale”
sulle opportunità di lavoro generate
da Expo 2015.
59
L avori pubblici: sei mesi
per le nuove norme in
materia di categorie specialistiche
Nelle more della revisione del sistema di qualificazione nelle categorie specializzate e superspecializzate
e comunque fino al 30 settembre
2014, l’impresa qualificata nella
categoria prevalente potrà eseguire
direttamente solo le lavorazioni per
le quali è in possesso della relativa
qualificazione.
Il decreto del Presidente della Repubblica 30 ottobre 2013, recependo
il parere del Consiglio di Stato 16
aprile 2013, n. 3014, ha abrogato
gli articoli 109, comma 2 (in relazione all’allegato A e, in particolare,
alla “tabella sintetica allegato A”),
107, comma 2, 85, comma 1, lett.
b, numeri 2 e 3, del d. P. R. 207 del
2010, regolamento di esecuzione
del Codice dei Contratti Pubblici,
con efficacia a partire dal 14 dicembre 2013, cancellando le categorie
“superspecializzate” ed il concetto di
“qualificazione obbligatoria” riguardante talune categorie specialistiche
dell’allegato A, per le quali l’articolo
109, comma 2, prevedeva la non
eseguibilità diretta da parte dell’impresa affidataria se qualificata per
la sola categoria prevalente.
Il recente provvedimento ha aperto
un vuoto legislativo, sul quale è intervenuto l’art. 3, comma 9, del decreto Legge 30 dicembre 2013, n.
151, cd. “salva Roma bis”, ai sensi
del quale, entro sei mesi dall’entrata
in vigore dello stesso (entro, quindi, il
30 giugno 2014), il legislatore deve
riscrivere la disciplina abrogata.
Contestualmente, il comma in commento dispone anche il regime tran-
sitorio, precisando che, “nelle more
dell’adozione delle disposizioni regolamentari sostitutive, continuano
a trovare applicazione, in ogni
caso non oltre la data del 30 settembre 2014, le regole previgenti”.
Il riferimento alle “regole previgenti” non risulta di univoca interpretazione, potendo alternativamente riferirsi sia alle norme del
d. P. R. n. 554 del 1999 (previgenti rispetto a quelle annullate con
il provvedimento del 30 ottobre
2013); sia a quelle del d. P. R.
n. 207 del 2010, coperte da tale
annullamento.
Sul piano sostanziale, peraltro,
solo quest’ultima interpretazione
risulta concretamente percorribile,
con la conseguenza che l’intervento normativo di chiarimento
rende nuovamente applicabili le
disposizioni del d. P. R. n. 207
del 2010, abrogate con il provvedimento dell’ottobre 2013.
Ne consegue che, nelle more della
revisione e comunque fino al 30
settembre 2014, l’impresa qualificata nella categoria prevalente
potrà eseguire direttamente anche le categorie specialistiche e
superspecialistiche unicamente se
in possesso delle relative qualificazioni.
Appalti pubblici: pagamento diretto ai subappaltatori per il completamento dell’opera
Il Decreto “destinazione Italia” ha introdotto alcune modifiche al Codice
dei Contratti pubblici, stabilendo,
in particolare, la possibilità per la
stazione appaltante di disporre il
pagamento diretto in favore dei subappaltatori e dei cottimisti anche
se non espressamente previsto nel
bando di gara. È stato pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale 23 dicembre 2013, n. 300, il decreto Legge
23 dicembre 2013, n. 145, “destinazione Italia”, ad oggi in attesa
di conversione.
Di seguito si evidenziano le principali disposizioni di interesse per il
settore dei lavori pubblici:
CONTRATTI PUBBLICI IN FORMA
ELETTRONICA
L’articolo 6, comma 3, del decreto
legge 18 ottobre 2012, n. 179,
convertito in legge 17 dicembre
2012, n. 221, cd. decreto sviluppo II, ha modificato l’articolo 11,
comma 13, del d. Lgs. 12 aprile
2006, n. 163, Codice dei Contratti
Pubblici, stabilendo che “il contratto
è stipulato, a pena di nullità, con
atto pubblico notarile informatico,
ovvero, in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna
stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura dell’Ufficiale rogante dell’amministrazione
aggiudicatrice o mediante scrittura
privata” (La disposizione è in vigore
dal 1 gennaio 2013).
L’articolo 6, comma 6, del decreto
“destinazione Italia”, modifica l’articolo 6, comma 4, del decreto
sviluppo, stabilendo che l’obbligo
della forma elettronica, a pena di
nullità, decorre:
• dal 30 giugno 2014 per i contratti stipulati in forma pubblica
amministrativa;
• dal 1 gennaio 2015 per i contratti stipulati mediante scrittura
privata.
Si ritiene che la riscrittura della
norma non abbia solo una valenza
di differimento dell’obbligo della
forma elettronica, ma chiarisca l’obbligatorietà della stessa anche per
la scrittura privata.
L’Autorità di Vigilanza per i Contratti
Pubblici aveva precisato, con deter-
60
minazione 13 febbraio 2013, n. 1
(si veda la notizia citata), la legittimità del ricorso alla forma cartacea
in luogo di quella elettronica in caso
di scrittura privata. Il legislatore, fissando un apposito termine per l’applicazione della forma elettronica ai
contratti stipulati mediante scrittura
privata, chiarisce in via definitiva
l’obbligatorietà della stessa.
Si ricorda che l’articolo 334,
comma 2, del d. P. R. 5 ottobre
2012, n. 207, regolamento di attuazione del Codice dei Contratti
Pubblici, precisa, in materia di
servizi e forniture, che il contratto
affidato mediante cottimo fiduciario è stipulato “attraverso scrittura
privata, che può anche consistere
in apposito scambio di lettere con
cui la stazione appaltante dispone
l’ordinazione dei beni o dei servizi,
che riporta i medesimi contenuti previsti dalla lettera di invito”.
Si segnala, infine, che l’articolo
6, comma 7, del decreto “destinazione Italia”, fa salvi i contratti
stipulati in modalità non elettronica dal 1 gennaio 2013 (data di
iniziale vigenza dell’obbligo) fino
alle nuove date di obbligatorietà:
l’articolo 6, comma 3, sanziona, infatti, i contratti stipulati in violazione
dell’obbligo di utilizzo della forma
elettronica con la nullità.
PAGAMENTO DIRETTO DEL SUB
APPALTATORE
L’articolo 13, comma 10, lett. a,
del decreto “destinazione Italia”,
modifica l’articolo 118, comma 3,
del Codice dei Contratti Pubblici,
stabilendo che “ove ricorrano condizioni di particolare urgenza inerenti
al completamento dell’esecuzione
del contratto accertate dalla stazione appaltante, per i contratti di
appalto in corso può provvedersi,
anche in deroga alle previsione
del bando di gara, al pagamento
diretto al subappaltatore o al cottimista dell’importo dovuto per le
prestazioni dagli stessi eseguiti”.
L’articolo 118, comma 3, primo
periodo, del Codice, fa obbligo
all’affidatario di un contratto pubblico di trasmettere, entro 20 giorni
dalla data di ciascun pagamento
effettuato, copia delle fatture quietanzate relative ai pagamenti da
essi effettuati nei confronti dei
subappaltatori o dei cottimisti: in
difetto, la stazione appaltante sospende il pagamento successivo a
favore dell’appaltatore.
La modifica apportata dal decreto “destinazione Italia”, riconosce alla stazione appaltante la
facoltà, anche laddove il bando
di gara non l’abbia inizialmente
previsto, di pagare direttamente
al subappaltatore o al cottimista le
prestazioni eseguite, qualora ciò si
renda necessario per rispondere a
“condizioni di particolare urgenza
inerenti al completamento dell’esecuzione del contratto”.
La norma non è di immediata comprensione: il pagamento diretto ad
opera della stazione appaltante
non si configura quale diritto del
subappaltatore e del cottimista, ma
come una facoltà che l’amministrazione può esercitare solo qualora
accerti la sussistenza di un interesse
particolarmente qualificato, la definizione del quale non è, peraltro,
di facile individuazione.
Si rileva, poi, che il medesimo beneficio non viene espressamente
riconosciuto anche a favore degli
esecutori di contratti di fornitura:
infatti il decreto “destinazione Italia”
modifica l’articolo 118 del Codice
dei Contratti, mentre la parificazione
delle forniture ai subappalti ed ai
cottimi, quanto all’obbligo per l’appaltatore principale di trasmettere
le fatture quietanziate ricevute per
tale subcontratto, è stata operata
dall’art. 15 della legge n. 180 deL
2011, statuto delle imprese, poi
modificato dall’art. 30 del d. L. n.
69 del 2013, convertito con legge
n. 98 del 2013, ai soli effetti del
secondo periodo dell’articolo 118,
comma 3, del d. Lgs. n. 163 del
2006, riguardante il pagamento
dell’appaltatore principale.
PAGAMENTI PRESSO IL TRIBUNALE
L’articolo 13, comma 10, lett. b,
del decreto “destinazione Italia”,
aggiunge il comma 3 bis all’articolo
118, riconoscendo la possibilità
per la stazione appaltante, anche
per i contratti in corso, nella pendenza della procedura di concordato preventivo, di provvedere ai
pagamenti dovuti per le prestazioni
eseguite dall’affidatario medesimo
e dai subappaltatori e dai cottimisti,
presso il Tribunale competente per
l’ammissione alla procedura.
La norma non si presta ad una facile
lettura, soprattutto laddove stabilisce
che il pagamento avvenga “presso
il Tribunale competente”, ancorché
secondo le indicazioni impartite dal
Tribunale, come riportato nella Relazione di accompagnamento del
decreto legge.
SVINCOLO DELLA GARANZIA DI
BUONA ESECUZIONE
L’articolo 237 bis del Codice dei
Contratti Pubblici, consente lo svincolo automatico dell’80% della garanzia di buona esecuzione prestata
a favore dell’ente aggiudicatore
per le opere realizzate nell’ambito
dell’appalto nei settori speciali che
siano, in tutto o in parte, poste in
esercizio prima del collaudo tecnicoamministrativo e qualora l’esercizio
sia protratto per oltre un anno.
L’articolo 13, comma 11, del decreto “destinazione Italia”, estende
le disposizioni di cui all’articolo
237 bis in materia di svincolo delle
61
garanzie di buona esecuzione relative alle opere in esercizio a tutti
i contratti di appalto aventi ad oggetto opere pubbliche, anche se
stipulati anteriormente alla data di
entrata in vigore del Codice dei
Contratti Pubblici. ppalti pubblici: l’AuA
torità definisce le linee
guida per il controllo sul
possesso dei requisiti
L’Autorità per la vigilanza sui Contratti Pubblici detta le linee guida
per il processo di verifica dei requisiti di capacità economico - finanziaria e tecnico - organizzativa
a carico del 10% dei concorrenti
ad una procedura di affidamento
di un contratto pubblico.
L’articolo 48 del d. Lgs. 12 aprile
2006, n. 163, Codice dei Contratti
Pubblici, disciplina il procedimento
di verifica dei requisiti di capacità
economico - finanziaria e tecnico organizzativa (cd. requisiti speciali.
Tale procedura non si applica ai requisiti di carattere generale), verifica
che va effettuata a carico del 10%
degli offerenti (comma 1) e dell’aggiudicatario e del concorrente che
segue in graduatoria (comma 2):
la mancata presentazione della
documentazione a comprova, ovvero la mancata conferma circa il
possesso, comportano l’esclusione
dalla procedura di selezione, l’escussione della cauzione provvisoria, l’applicazione di una sanzione
economica da parte dell’Autorità,
oltre alla sospensione della partecipazione alle gare per un periodo
da uno a dodici mesi.
L’Autorità di Vigilanza sui Contratti
Pubblici, con determinazione 15
gennaio 2014, n. 1, ha dettato
le linee guida per l’applicazione
dell’articolo 48 del Codice, sostituendo le precedenti linee assunte
con la determinazione n. 5 del
2009. Si evidenziano di seguito
gli aspetti maggiormente rilevanti
della disciplina.
OBBLIGATORIETÀ DELLA VERIFICA
Nel sottolineare che le verifiche di
cui all’articolo 48 sono obbligatorie per tutti i contratti di lavori (con
le precisazioni di cui si dirà in seguito), servizi e forniture, a prescindere dalla procedura di affidamento
scelta (aperta, ristretta, negoziata),
l’Autorità evidenzia come non sia necessario richiamare negli atti di gara
tale obbligo, dovendo la stazione
appaltante limitarsi ad indicare i
mezzi di prova che gli operatori
economici sono tenuti a produrre
per dimostrare la veridicità di quanto
dichiarato, nonché i requisiti minimi
di partecipazione ed i criteri per la
valutazione degli stessi.
Circa l’entità dei requisiti, l’Autorità,
richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale che vieta
alle stazioni appaltanti di richiedere
ai concorrenti requisiti sproporzionati o discriminanti (quali, a titolo di
esempio, quelli che impongono limitazioni territoriali ai fini della partecipazione alla gara, ovvero quelli di
valore minimo esorbitante l’importo
dell’appalto), sottolinea come la verifica debba sempre essere compiuta
con esclusivo riguardo ai requisiti
minimi prescritti, non potendo essere
escluso il concorrente che, avendo
dichiarato requisiti superiori rispetto
a quelli richiesti, si limiti, poi, a comprovare il possesso del minimo.
APPALTI DI LAVORI
Nel caso di una procedura per l’affidamento di lavori di importo superiore a 150 mila euro, l’Autorità
precisa la non applicabilità della pro-
cedura di verifica di cui all’articolo
48 del Codice, poiché l’attestazione
SOA costituisce condizione necessaria e sufficiente per la dimostrazione
dell’esistenza dei requisiti speciali: la
stazione appaltante dovrà limitarsi
a verificare il possesso e la validità
temporale dell’attestazione in capo
ai concorrenti, mediante l’accesso
alla Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici.
Unica eccezione è rappresentata
dai contatti di importo superiore ai
20.358.000 euro: il concorrente,
in questo caso, oltre al possesso
dell’attestazione SOA in classifica
VIII, deve provare il possesso anche
di una cifra d’affari non inferiore a
2 volte e mezza l’importo a base
di gara (si precisa che l’Autorità nel
documento si richiama ad un valore
di 3 volte l’importo a base di gara.
Tuttavia, l’articolo 61, comma 6,
del regolamento di attuazione del
Codice, fissa tale valore a 2,5 volte
l’importo a base di gara). Sarà tale
ultimo requisito ad essere verificato
ai sensi dell’articolo 48.
Per i lavori di importo pari od inferiore a 150.000 euro, considerato
che la partecipazione può avvenire
anche da parte di imprese che, non
avendo l’attestazione SOA, documentano il possesso dei requisiti
speciali, la verifica dovrà essere
fatta a carico del 10% delle imprese sorteggiate tra i partecipanti,
al netto di quelle in possesso della
SOA (per le quali non c’è obbligo
di verifica).
APPALTI DI PROGETTAZIONE ED
ESECUZIONE
L’Autorità affronta un aspetto specifico, quello dell’applicazione
delle sanzioni previste dall’articolo
48 del Codice al progettista indicato da un’impresa concorrente
o partecipante come mandante
in un raggruppamento, nel caso
62
lo stesso non riesca a provare il
possesso dei requisiti prescritti dal
bando: le sanzioni dell’esclusione
dalla gara e dell’escussione della
cauzione provvisoria, sottolinea
l’Autorità, si applicano all’appaltatore a prescindere dalla forma
di partecipazione del progettista.
Viceversa, le sanzioni economiche
applicate direttamente dall’Autorità
e quella dell’esclusione dalla partecipazione alle gare, poiché assume
rilievo la condotta soggettiva del
dichiarante, andranno a gravare
direttamente sul progettista sia qualora partecipi al raggruppamento,
sia qualora venga solo indicato.
AVVALIMENTO
Le verifiche di cui all’articolo 48 si
estendono anche all’impresa ausiliaria: il concorrente, quindi, dovrà
fornire la prova, oltre che dei requisiti posseduti in proprio, di quelli
posseduti per il tramite dell’impresa
ausiliaria.
L’esito negativo della verifica determina l’esclusione dalla gara e
l’escussione della cauzione provvisoria, mentre le ulteriori sanzioni
di competenza dell’Autorità di Vigilanza (sanzione economica ed
esclusione dalla partecipazione alle
gare) andranno a gravare anche
l’impresa ausiliaria.
VERIFICA SULL’AGGIUDICATARIO
PROVVISORIO E SUL SECONDO
L’articolo 48, comma 2, del Codice, impone la verifica anche a carico dell’aggiudicatario provvisorio
e del secondo classificato, qualora
gli stessi non siano già stati verificati in seguito al sorteggio, entro
10 giorni dalla conclusione delle
operazioni di gara: la mancata
prova determina l’applicazione
delle sanzioni previste (esclusione,
escussione della cauzione, ulteriori
sanzioni previste dall’Autorità ed
esclusione dalle gare).
Circa il momento della verifica,
l’Autorità ritiene che la stessa vada
avviata successivamente all’aggiudicazione provvisoria, così da consentire la eventuale rideterminazione
della soglia di anomalia in caso di
esclusione e, quindi, la nuova aggiudicazione in tempi rapidi.
L’Autorità segnala, poi, che l’articolo 13, comma 4, della l. 11
novembre 2011, n. 180, statuto
delle imprese, esenta l’amministrazione dal compiere le verifiche
a carico del secondo classificato
qualora lo stesso appartenga alla
categoria delle micro, piccole e medie imprese, mantenendo, invece,
l’obbligo di compiere tali verifiche
qualora lo stesso venga sorteggiato
entro il 10% dei concorrenti.
SANZIONI IRROGATE DALL’AUTORITÀ DI VIGILANZA
L’Autorità chiarisce, infine, i principi
che regolano l’irrogazione delle
sanzioni di propria competenza:
1. per quanto riguarda l’adozione
del provvedimento di tipo pecuniario, lo stesso va graduato in
ragione della gravità del comportamento assunto dal concorrente, alla presenza di attenuanti
che determinano l’affievolimento
dell’entità della stessa sanzione,
se non l’archiviazione, in proporzione all’importo dell’appalto;
2. per quanto riguarda la sospensione
dalla partecipazione alle gare per
un periodo da 1 a 12 mesi, la
stessa opera a prescindere dal
tipo di procedura (conseguentemente, un operatore escluso non
potrà indistintamente partecipare
a procedure per l’affidamento di
lavori, servizi o forniture) e, oltre
agli elementi di valutazione di
cui al punto precedente, assume
particolare rilevanza l’elemento
psicologico dell’operatore economico tenuto alla comprova: non
possono essere, infatti, valutati alla
stessa stregua comportamenti dolosi e colposi e, all’interno di tale
ultima categoria, non può essere
riservato lo stesso trattamento alla
colpa grave rispetto alla colpa
lieve (per la quale non va irrogata
la sanzione interdittiva). L’Autorità
evidenzia, infine, che la sanzione
inibisce la partecipazione alle procedure e non anche la stipula di
eventuali altri contratti.
Lavori pubblici: l’Autorità fornisce chiarimenti
in merito all’utilizzo dei
lavori subappaltati ai
fini della qualificazione
L’Autorità di Vigilanza, a seguito del
parere del Consiglio di Stato che ha
abrogato alcune norme del regolamento, fornisce alcuni chiarimenti in
merito all’utilizzo dei lavori subappaltati ai fini della qualificazione.
A seguito del recepimento del parere del Consiglio di Stato 16 aprile
2013, n. 3014 , con il quale lo
stesso ha dichiarato l’illegittimità
delle norme del regolamento di attuazione del Codice dei Contratti
Pubblici limitative della capacità
operativa delle imprese in possesso
della qualificazione generale, a vantaggio di quelle in possesso della
qualificazione specialistica (obbligo
di subappalto o di assumere in ATI
verticale una serie di lavori), il Governo è intervenuto con il decreto
Legge 30 dicembre 2013, n. 151,
fissando il termine del 30 settembre
2014 entro il quale adottare le disposizioni regolamentari sostitutive:
nelle more continueranno a trovare
applicazione le regole previgenti,
con la conseguenza che l’impresa
63
qualificata nella categoria prevalente potrà eseguire direttamente
anche le lavorazioni appartenenti
alle categorie specialistiche o superspecialistiche unicamente se in
possesso delle relative qualificazioni.
Con il richiamato parere il Consiglio di Stato è intervenuto anche
in merito all’utilizzo dei lavori subappaltati, abrogando l’articolo
85, comma 1, lett. b, nn. 2 e 3,
del regolamento di attuazione del
Codice, nella parte in cui, nell’ipotesi di superamento dei limiti di
subappalto del 40 e del 30 per
cento (a secondo che la categoria
scorporabile sia o meno a qualificazione obbligatoria), lo stesso
limita l’utilizzabilità, ai fini della
futura qualificazione, dei lavori subappaltati ad una percentuale non
superiore al 10% della categoria
scorporabile.
Il d. L. n. 151 del 2013 non ha
dettato alcuna disciplina transitoria
nelle more di revisione dell’impianto
normativo abrogato. Conseguentemente, l’Autorità di Vigilanza per i
Contratti Pubblici, con comunicato
del Presidente 29 gennaio 2014,
n. 1, al fine di garantire il corretto
esercizio dell’attività di qualificazione da parte delle SOA, ha chiarito che l’articolo 85, comma 1, lett.
b, nn. 2 e 3 , del regolamento deve
intendersi abrogato in parte qua,
con la conseguenza che l’impresa
affidataria può utilizzare, ai fini
della qualificazione nella singola
categoria scorporabile, l’intero importo dei lavori dalla stessa direttamente eseguiti in tale categoria,
nonché una quota parte dei lavori
subappaltabili (pari ad un massimo del 30 o del 40 per cento),
avvalendosene in alternativa per
la qualificazione nella categoria
prevalente, ovvero ripartita tra
categoria prevalente e categoria
scorporabile.