BIMESTRALE DELLE IMPRESE DI COSTRUZIONI EDILI, IMPIANTISTICA E PROGETTAZIONE DI CONFINDUSTRIA VICENZA Scuola edile, si avvicina il via ai lavori per la nuova sede l’analisi La ristrutturazione edilizia tra il decreto del fare e il terzo piano casa del Veneto restauro È rinato Palazzo Chiericati, il Museo della città 2014 1 edito da IPI SRL Società unipersonale in questo numero EDITORIALE Quanto ci costa il dissesto in Italia 5 PRIMO PIANO Scuola edile, si avvicina il via ai lavori per la nuova sede 6 ARGOMENTI Prove tecniche non distruttive nelle ristrutturazioni L’ANALISI La ristrutturazione edilizia tra il decreto del fare e il terzo piano casa del Veneto La legge urbanistica regionale non funziona. Occorre un restyling o è meglio una nuova legge? 8 Collaboratori Carlo Casarotti Maurizio Mascarin Simone Sinico 12 24 RESTAURO È rinato Palazzo Chiericati, il Museo della città 48 NOTIZIARIO COSTRUTTORI Direttore responsabile Stefano Tomasoni 56 Progetto Grafico e Stampa Giovanni Nicola Roca UTVI srl - Vicenza Editore IPI Istituto Promozionale per l’Industria SRL Società unipersonale Piazza Castello 3 Vicenza Pubblicità OEPI Peschiera del Garda 37019 Loc. OTTELLA 3/B int. 25 Tel. 045 596036 Anno sessantADUESIMO n. 1 FEBBRAIO 2014 • 1 numero d 5,50 • arretrati d 9,00 • a bbonamento annuo d 30,00 IVA compresa (su c/c postale n. 16288367 intestato a IPI SRL Società unipersonale Vicenza) è nuovo, è bimestrale. Pubblicità non superiore al 50% Registrazione Tribunale di Vicenza n° 58 del 5/3/1953 CANTIERI VICENTINI offre nuove immagini e contenuti marcatamente di “filiera”, ed è rivolto alle imprese vicentine di costruzione edili, di costruzione impianti tecnologici e agli studi di progettazione. È vietata la riproduzione anche parziale di articoli e illustrazioni senza autorizzazione e senza citare la fonte. Gli articoli pubblicati impegnano soltanto la responsabilità degli autori editoriale Quanto ci costa il “Dissesto Italia”? Nello scorso mese di febbraio Ance, Architetti, Geologi e Legambiente si sono riuniti per la presentazione della grande inchiesta multimediale #DissestoItalia, liberamente accessibile sul sito www.ance.it, e per lanciare un appello ai Presidenti della Repubblica e del Consiglio per un’azione immediata contro il dissesto idrogeologico. I dati del dissesto documentati nell’indagine sono impressionanti e descrivono una scia ininterrotta di disastri in tutto il territorio nazionale, da Nord a Sud, dalla madre di tutte le tragedie nazionali, il Vajont, alle sciagure più recenti: le alluvioni di Messina nel 2009, di Vicenza nel novembre del 2010, di Genova nel 2011, della Sardegna nel novembre 2013, per citarne solo alcune. Episodi che testimoniano di un territorio martoriato: l’82% dei Comuni è esposto a rischio idrogeologico, oltre 5 milioni e 700 mila cittadini vivono in un’area di potenziale pericolo. Il numero delle vittime è altissimo e deve far riflettere: in poco più di 100 anni, 12.600 fra morti, dispersi o feriti e più di 700 mila sfollati, tra il 2002 e il 2014 si contano 293 morti, 24 solo nell’anno 2013. I professionisti, gli ambientalisti e le imprese hanno chiesto l’avvio di un grande piano di prevenzione e di messa in sicurezza del territorio, da realizzare a brevissimo, con risorse certe e immediatamente utilizzabili, anche sforando il Patto di stabilità e utilizzando la nuova programmazione dei Fondi Europei. È, oltre tutto, una questione di civiltà, se si considera che i luoghi a più alto rischio sono quelli in cui dovremmo sentirci maggiormente al sicuro, scuole e ospedali: 6.400 edifici scolastici, su 64.800 totali, sorgono in un’area a rischio frana o alluvione e oltre 550 strutture ospedaliere si trovano in zone a rischio. A questo punto, e al di là dell’imprescindibile valore della vita umana e del diritto di tutti a vivere in sicurezza, sorge spontanea una domanda: qual è il prezzo del “DissestoItalia”? Si stima che il costo complessivo dei danni provocati in Italia da terremoti, frane e alluvioni, dal 1944 ad oggi. è pari a 242,5 miliardi di euro, circa 3,5 miliardi all’anno! Numeri e cifre che spiegano perché anche il nuovo Governo Renzi abbia indicato tra le sue priorità i provvedimenti in materia di edilizia scolastica e dissesto idrogeologico, purché, anche questa volta, non si tratti dell’ennesimo annuncio destinato a cadere sotto la scure delle mancate coperture. A proposito delle coperture non si può non affermare che una buona gestione della spesa non può prescindere dalla messa in sicurezza del territorio: quante vite umane avremmo salvato e quanti di quei 242,5 miliardi di euro avremmo risparmiato se avessimo utilizzato una piccola parte di quelle immense risorse in prevenzione? La logica tutta italiana, in questi decenni, invece, è stata: “per le emergenze le coperture si trovano...”. Sì, ma a che prezzo? 5 Maurizio Mascarin Scuola edile, si avvicina il via ai lavori per la nuova sede A gennaio la Cassa Edile ha reso pubblico l’avviso di gara per la realizzazione del nuovo polo dell’edilizia, che sorgerà in viale Cricoli (zona Astichello) a Vicenza e darà sede alla Scuola edile “Andrea Palladio” e al Comitato Paritetico Territoriale. A pre più prossimo. Rispetto all’idea originaria l’edificio non prevede più la sede della Cassa edile. Come mai? “Si è preso atto del contesto generale del settore, che negli ultimi quattro anni ha denunciato una riduzione dell’attività edile del 30 per cento. Da qui la decisione di dare il via alla realizzazione del nuovo edificio per rispondere quanto prima alle esigenze logistiche della Scuola edile, che oggi si trova sostanzialmente decentrata in tre punti: sede, amministrazione e aule in viale Torino; un percorso formativo dislocato presso l’istituto Canova; un laboratorio-pratica in Via Rossini. Si comprende l’esigenza della Scuola edile, non più rinviabile, di unificarsi in un unico complesso moderno e funzionale. Il progetto approvato, ora messo in gara, risponde in via prioritaria a questa forte e doverosa esigenza di ottimizzare la logistica della scuola. E’ possibile che in futuro anche la Cassa Edile si trasferisca presso il nuovo polo dell’edilizia, raggruppando tutti gli istituti-enti del settore”. gennaio la Cassa edile, ente paritetico tra imprenditori- sindacati, ha reso pubblico l’avviso di gara per la realizzazione del nuovo polo dell’edilizia, che sorgerà in viale Cricoli (zona Astichello) a Vicenza. In base al progetto approvato, firmato dallo studio vicentino “S+3 architetti”, degli architetti Smania & Doni, la struttura è destinata ad essere il nuovo contenitore funzionale della Scuola edile “Andrea Palladio” e del CPT, il Comitato paritetico territoriale. “L’importo dell’appalto, scaduto il 19 marzo, è di poco superiore ai 2 milioni 800 mila euro. Ci fa piacere constatare – commenta il presidente della Cassa edile Leonardo Martini – che 35 imprese edili di casa nostra hanno effettuato la presa visione della documentazione di gara. Si tratta di un numero cospicuo di aziende della nostra provincia (così come previsto dall’avviso di gara), per lo più di medie dimensioni, aderenti al sistema che fa capo alla Cassa Edile di Vicenza”. - Dunque, presidente Martini, l’avvio dei lavori è sem- 6 “Si è preso atto del contesto generale del settore, che negli ultimi quattro anni ha denunciato una riduzione dell’attività edile del 30 per cento. Da qui la decisione di dare il via alla realizzazione del nuovo edificio per rispondere quanto prima alle esigenze logistiche della Scuola edile, che oggi si trova sostanzialmente decentrata in tre punti: sede, amministrazione e aule in viale Torino, un percorso formativo dislocato presso l’istituto Canova; e un laboratorio-pratica in Via Rossini”. primopiano Nelle immagini, i rendering dell’edificio dove troveranno sede la Scuola edile, il CPT e la Cassa edile provincia del Veneto a dotarsi di una specifica e unificante struttura per la formazione in edilizia. Questo ci ha permesso di osservare quanto fatto dai colleghi delle altre provincie, valutando quindi le soluzioni più idonee e razionali. Possedere una nuova ed efficiente struttura per l’edilizia non è titolo di soddisfazione solo per tutta la filiera del settore ma per l’intera nostra provincia. La nostra scuola edile, non va dimenticato, è riconosciuta anche fuori regione per le sue specificità, in particolare per quanto riguarda l’insegnamento delle tecniche per il restauro. Con una sede tutta nuova la scuola è destinata a qualificarsi ulteriormente e a darsi nuovi traguardi”. - Quali sono le caratteristiche di questo “edificio dell’edilizia”, che secondo la tempistica sarà pronto per la fine del 2015? “Una volta realizzato, si presenterà come un grande parallelepipedo dotato di una sovrastruttura di copertura in acciaio. Le linee marcate, precise, corrispondono a spazi interni funzionali: 9 aule, un laboratorio di 500 metri quadri, servizi, per un totale di 1200 metri quadrati. Particolarmente interessante il piano terra, dove troverà posto un auditorium di 200 metri quadrati, destinato a incontri tra professori e genitori degli alunni e a riunioni istituzionali. Dal punto di vista impiantistico, la struttura verrà dotata di soluzioni che ottimizzano il risparmio energetico, con la presenza anche di un impianto fotovoltaico. Non va poi dimenticato che il lotto esterno all’edificio, di 6 mila metri quadrati, diventerà uno spazio attrezzato per le esercitazioni di cantiere, con specifiche per addestramento ponteggi, gru, muletti. Mi piace infine ricordare che l’appalto ora in gara potrà essere soggetto a migliorie da parte delle imprese partecipanti. Lo ritengo un fatto importante. Gli eventuali suggerimenti tecnici proposti saranno valutati con attenzione da una apposita commissione di esperti”. - È interessante notare anche il fatto che il polo edile sorgerà in una zona limitrofa all’istituto tecnico per geometri Canova, nonché vicino ad altri complessi scolastici. Per la Scuola edile è un’opportunità per sviluppare ulteriori sinergie... “Non è casuale la scelta di quest’area per l’insediamento della scuola. La presenza in zona di altri plessi scolastici fa si che questa parte di città si stia strutturando come cittadella dello studio tecnico e professionale. La vicinanza del ‘Canova’ con la Scuola Edile non potrà che favorire e rafforzare la già ottima e collaudata collaborazione tra i due istituti. Voglio ricordare che Vicenza è l’ultima 7 Maurizio Mascarin Prove tecniche non distruttive nelle ristrutturazioni Un convegno a Vicenza ha spiegato l’importanza crescente delle “prove non distruttive” sui fabbricati, che permettono una diagnosi non invasiva delle condizioni dell’edificio che s’intende ristrutturare o di quello che si va a progettare. S i è svolto di recente a Vicenza un convegno sulle indagini e prove non distruttive come metodi preventivi per costruzioni, restauri e ristrutturazioni, organizzato dalla Sezione Costruttori edili di Vicenza e da Ance Veneto. I lavori sono stati aperti dall’intervento di Gaetano Marangoni, presidente della Sezione Costruttori Edili di ANCE Vicenza, che ha riaffermato il valore delle Commissioni Tecnologiche, istituite anni fa con la finalità di approfondire le tematiche delle tecniche di costruzione, e nell’occasione ha ribadito l’importanza dello studio e messa a punto di tecniche diagnostiche non distruttive per migliorare e facilitare l’opera delle imprese di costruzioni generali e specialistiche. Al termine del convegno, Luigi Schiavo, presidente di ANCE Veneto, ha riaffermato che la strada da percorrere per il progresso dell’edilizia è la ricerca di innovazioni tecnologiche e la preparazione di tecnici e operatori specializzati in ogni settore. Le relazioni sono state svolte dal prof. Marco Boscolo (docente di Qualità nella pratica del cantiere – Scuola di Ingegneria e Architettura – Università di Bologna), per quanto concerne “I controlli in cantiere: le diagnosi non distruttive”, dall’ing. Marco D’Attoli (dottore di ricerca in geotecnica) che ha trattato la “Diagnostica geofisica e indagini geotecniche finalizzate al consolidamento dei terreni di fondazione” e dal dott. Filippo Bonazzi (Società italiana risk management srl) che ha illustrato “L’audit assicurativo in cantiere: dalla mappatura del rischio al controllo del programma assicurativo” Scienza e tecnica permettono di verificare in anticipo una corretta realizzazione degli interventi edilizi, soprattutto in fase di progettazione. È il messaggio lanciato sul tema del controllo dei fabbricati con metodi preventivi attraverso 8 “Conoscere in anticipo le condizioni di un fabbricato consente di scegliere specifiche tipologie di intervento, col risultato di quantificare con maggior precisione i costi e di mettere al riparo l’impresa da eventuali contestazioni sulle modalità costruttive. Il contenzioso nel restauro e nella ristrutturazione spesso diventa un pretesto Ing. Marco D’Attoli per ritardare i pagamenti o esigere sconti non motivati. Anche sotto questo aspetto, le prove non distruttive costituiscono un valido strumento di prevenzione di fronte a contenziosi legali o assicurativi”. argomenti Nel riquadro piccolo della pagina accanto, Livio Zarantonello Ing. Marco D’Attoli Prof. BOSCOLO sistemi di diagnostica non distruttiva. Livio Zarantonello, coordinatore del gruppo Tecnologico e Innovazione di Ance Veneto e consigliere della sezione costruttori edili di Confindustria Vicenza, promotrice dell’incontro, ha Prof. BOSCOLO introdotto il tema dell’importanza crescente delle “prove non distruttive” sui fabbricati che, affiancate alle verifiche abitualmente eseguite dai professionisti, permettono una diagnosi più precisa e completa delle condizioni dell’edificio che s’intende manutentare o ristrutturare. Con lui abbiamo approfondito il tema del convegno. - Perché avete ritenuto importante invitare al convegno tre relatori che sono specialisti di tematiche differenti, anche se collegate al mondo dell’edilizia? “Perché il progettista e soprattutto l’impresa, nell’esecuzione di una commessa, devono necessariamente considerare risvolti tecnici sull’analisi del fabbricato, tematica svolta dal prof. Boscolo. Devono essere esaminate le problematiche legate ad indagini geotecniche finalizzate alla valutazione del sito ed all’eventuale consolidamento del terreno, argomento trattato dall’ing. Marco D’Attoli e, non ultimo, deve essere attentamente valutato l’aspetto delle responsabilità civili verso terzi, dei danni in corso d’opera, delle controversie contrattuali e delle garanzie postume sempre più spesso richieste dal committente, e della corretta valutazione delle coperture assicurative. Tutto questo è finalizzato alla riduzione del ‘rischio d’impresa’ nell’eventualità di contestazioni e contenziosi legali. Si rileva che spesso vengono pagati premi assicurativi, senza che vi sia una adeguata copertura assicurativa.” - Da dove nasce l’idea di organizzare questo convegno? “Dal fatto che l’esigenza di pianificare un approccio analitico corretto e completo all’edificio edificato o da ristrutturare, è sempre più sentita. Il futuro dell’edilizia 9 Ing. Marco D’Attoli ricerca infiltrazioni di aria con Blower door test argomenti Prof. BOSCOLO Prof. BOSCOLO materiale di isolamento distribito in modo disomogeneo è delle imprese strutturate e proiettate all’innovazione cace, da affiancare alle attuali tipologie di indagine, sia ricerca infiltrazioni di aria dal giunto primario tecnologica. Ne consegue che non c’è edilizia di qua- per l’esame delle caratteristiche tecniche dei materiali, lità senza metodologie avanzate e personale di elevata che per la verifica dello stato degli assetti esistenti. Si tratta di prove non invasive, misurabili e ripetibili, che competenza specialistica. Rispetto a un recente passato, l’innovazione tecnologica offrono un check up completo dell’edificio. In altre parappresenta una componente sempre più elevata nel role, permettono una diagnosi delle condizioni dell’edisettore costruzioni; la recente approvazione della terza ficio che s’intende ristrutturare o di quello già costruito. versione del Piano Casa e l’avvio in Consiglio Regionale Ciascuna prova agisce sui particolari del fabbricato e dei lavori che porteranno all’approvazione della legge una volta sommata alle abituali analisi e valutazioni che sul consumo suolo, ci danno un’indicazione da sempre eseguono i progettisti, permette di avere un materialeregionale di isolamento distribuito in mododel disomogeneo chiara, in quanto il futuro del mercato sarà prevalente- quadro analitico dettagliato e completo. mente indirizzato alla manutenzione e riqualificazione de- Va rilevato che un numero sempre maggiore di profesgli edifici esistenti. In quest’ottica i Progettisti e le imprese sionisti e consulenti tecnici utilizzano per le misurazioni sono chiamate a crescere sotto il profilo della qualità e apparecchiature di ultima generazione; purtroppo non dell’innovazione tecnologica, nonché nella capacità di sempre queste attrezzature sono impiegate in modo progettare ed eseguire interventi sempre più complessi. corretto, come ha osservato il prof. Boscolo nel corso È quindi indispensabile pianificare attentamente le opere del suo intervento, in quanto il loro uso è saltuario, di costruzione, di risanamento e soprattutto controllare ripetuto a distanza di tempi lunghi e gli strumenti tale documentare il rispetto della qualità e dell’efficacia volta non sono tarati. Inoltre il loro utilizzo richiede analisi ultrasonora di un pilastro in calcestruzzo conoscenze e preparazione specifiche per la corretta degli interventi. A partire dagli ultimi anni del secolo scorso, molti labo- interpretazione dei dati. ratori di ricerca dell’industria edile privata e laboratori Da qui l’iniziativa del Gruppo Tecnologico di Ance universitari di scienza delle costruzioni, hanno studiato Veneto di promuovere uno studio per individuare un una serie di ‘prove non distruttive sui materiali da costru- insieme di prove non distruttive, normate e ripetibili, zione’ degli edifici; pratiche che si stanno sempre più catalogate e presentate alle imprese e ai professionisti. Grazie al contributo del prof. Marco Boscolo, docente affermando nel settore industriale e civile. I ‘controlli non distruttivi’ presentano diversi vantaggi: poter di ingegneria dei cantieri, e al suo team di esperti, operare all’interno e all’esterno degli edifici, limitando al sono state presentate una quarantina di prove non diminimo i disagi per gli abitanti; la possibilità di eseguire struttive (prova di resistenza del calcestruzzo, di rottura, misurazioni prima e dopo gli interventi per controllare apparecchi termografici, analisi dello stato tensionale l’incremento o il miglioramento delle caratteristiche presta- di una muratura, verifica dell’aderenza degli intonaci, zionali, ad esempio l’isolamento termico per il risparmio misurazione del grado di umidità delle murature ecc.) affiancate ad un uso corretto degli specifici strumenti; energetico e isolamento acustico”. - Ciò premesso, ci spiega cosa sono concettualmente le si è osservato infatti l’impiego di strumenti non idonei al controllo, come nel caso degli sclerometri non tarati “prove non distruttive”? “Sono tecnologie che costituiscono uno strumento effi- e dei misuratori di umidità per le murature”. 10 argomenti - Dallo studio della fessura con sensori a onde magnetiche, alla termografia, fino alle sonde per calcolare i carichi delle volumetrie: l’utilizzo corretto di strumenti e pratiche di misurazione, sia a livello di progettazione che di realizzazione, consente di misurare l’efficacia degli interventi eseguiti. Un grande vantaggio, quindi. “Conoscere in anticipo le condizioni di un fabbricato consente di progettare e quindi di scegliere le tipologie di intervento più efficaci e pertanto di quantificare con maggiore precisione i costi dell’intervento, ma anche di mettere al riparo il professionista e l’impresa dalle eventuali contestazioni sulle modalità costruttive. Il contenzioso nel restauro e nella ristrutturazione è un rischio sempre presente; spesso diventa un pretesto per ritardare i pagamenti o per esigere sconti non motivati; sotto questo aspetto, le prove non distruttive costituiscono un valido strumento di prevenzione di fronte a contenziosi legali o assicurativi. Per queste ragioni l’utilizzo di sistemi di diagnostica non distruttiva sta assumendo una rilevanza sempre maggiore e costituirà un elemento discriminante nella valutazione della competitività dell’impresa che dispone di progetti e capitolati puntuali e dettagliati nelle soluzioni e nei materiali da impiegare”. - Dunque, favorendo la cultura della diagnostica, si progetta meglio e si costruisce meglio. È così? “Non c’è dubbio. La diagnostica è un plus che permette di agire su tre livelli: esame del fabbricato, esame del sito, prevenzione da eventuali contenziosi. Possedendo una panoramica completa e quantificabile, lavorando su capitolati, l’aspetto di identificazione dei costi è preciso e dettagliato. Si evitano, in sostanza, le problematiche relative alle varianti in corso d’opera e il cantiere opera in un ambito che coniuga progettazione e costruzione di sicura qualità”. - Strumenti e pratiche di misurazione non invasive come nuova frontiera del costruire o del riqualificare: sta qui il futuro dell’edilizia? “Sono convinto di sì. Ecco allora la necessità di formare qualificati professionisti della diagnostica. L’input lanciato da Ance Vicenza e Ance Veneto è chiaro e va in questa direzione; perciò continueremo a promuovere incontri in tutte le provincie del Veneto, favorendo anche e soprattutto la formazione specialistica e l’aggiornamento dei professionisti e dei costruttori. L’innovazione va sostenuta, di questo siamo tutti consapevoli; favorisce la qualità finale dell’opera e facilita l’integrazione tra progettista, impresa e committente”. 11 Dionisio Vianello Presidente onorario AUDIS e CeNSU La legge urbanistica regionale non funziona. Occorre un restyling o è meglio una nuova legge? Qualsiasi nuova legge, o modifica di quelle esistenti, deve essere ancorata ad un principio fondamentale, l’unitarietà territorio-ambiente-paesaggio. Quelle che fino a poco tempo fa venivano chiamate le “pianificazioni separate” devono trovare un assetto condiviso il cui recapito finale è il piano urbanistico. Q ualche mese fa su questa rivista è apparso un mio articolo dal titolo “Dieci anni dopo: la legge 11 funziona ancora o è già da buttare?” Nell’articolo cercavo di illustrare le molte cose che non funzionano nella attuale legge urbanistica della Regione Veneto. Concludendo che le disfunzioni erano davvero troppe, per cui – almeno secondo me – la legge era proprio da buttare. Anche se il censore, forse allarmato da tanta brutalità, ritenne opportuno mettere un meno caustico “rifare” al posto di “buttare”. Niente da dire, sono cose che succedono. Non è poi che sia solo il Veneto ad avere una cattiva legge. Le critiche possono essere tranquillamente estese a tutte le leggi approvate a cavallo del secondo millennio, negli anni che vanno dal 1995 (legge Toscana) al 2005 (legge Lombardia), specialmente quelle con il doppio regime di piano comunale. Tanto che diverse regioni stanno ripensando la materia, e lo stesso INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) che pure era stato l’alfiere di quel modello, nel recente congresso di Salerno lo ha sottoposto a severa critica ritenendo inevitabile una profonda revisione. Da quel primo ad un secondo articolo il passo era breve. Alla fine infatti prendevo l’impegno con il lettore di avanzare qualche idea su come dovrebbe essere fatta una nuova legge. C’è però da dire che il ripensa- 12 “Da tempo è entrato in crisi il concetto del piano come strumento che prefigura un disegno complessivo e definitivo della città e del territorio. È il residuo di una concezione (risalente ancora alla legge del 1942) che faceva riferimento a un sistema sociale ed economico statico se non immobile, mentre oggi tutto si muove con ritmi veloci. Contrasto insostenibile che non poteva non avere conseguenze pesanti sull’assetto della pianificazione, che negli ultimi decenni non si è basata sui piani ma praticamente solo sulle varianti, e più di recente ancora sull’approvazione di grandi progetti edilizi attraverso i nuovi strumenti della partnership pubblicoprivata, programmi integrati, conferenze di servizio, accordi di programma”. l’analisi Non più pianificazioni separate: l’unità territorio-ambiente-paesaggio Qualsiasi nuova legge, o modifica di quelle esistenti, deve essere ancorata ad un principio fondamentale, l’unitarietà territorio-ambiente-paesaggio. Quelle che fino a poco tempo fa venivano chiamate le “pianificazioni separate” devono trovare un assetto condiviso il cui recapito finale è il piano urbanistico. Il primo elaborato è quindi una mappa dove sono riportati tutti i comandi, cosa si deve o non si deve fare, come si può fare; si chiami “Statuto del territorio”, “Carta delle invarianti” o come meglio vi piace. Questo ci porta automaticamente al tema della VAS, già introdotta da molte regioni (compreso il Veneto) a corredo dei piani strutturali, anche in applicazione della normativa comunitaria. Dove sembra opportuno segnalare alcune incongruenze che si riscontrano di frequente. Primo, la VAS deve essere redatta da professionisti terzi rispetto ai pianificatori in modo da costituire effettivamente una valutazione super partes delle previsioni di piano. Secondo, in questo compito comprendiamo anche la “compatibilizzazione” degli interventi più importanti, in particolare quelli infrastrutturali; che pur essendo sottoposti successivamente alla procedura di VIA possono essere recepiti nei piani e programmi solo in caso di esito positivo della VAS. mento nasce non tanto da un ragionamento interno agli addetti ai lavori quanto piuttosto da motivi di carattere generale. La crisi epocale che ci sta distruggendo ha cambiato radicalmente i paradigmi del nostro modo di vivere costringendo tutti a rivedere radicalmente gli schemi tradizionali. In particolare le politiche del territorio, che non erano mai state messe in discussione in quanto il mito dello sviluppo sembrava inattaccabile. Ora invece alle prese con i tanti disastri combinati nel passato si cerca disperatamente di cambiare rotta, ed è proprio da questa constatazione che bisogna partire per costruire un percorso nuovo. Sinteticamente (forse troppo) ecco alcuni punti che consideriamo essenziali. 13 l’analisi Assetto istituzionale e continuità della pianificazione Sembra che finalmente vada avanti il riordino istituzionale secondo le linee del DDL approvato dalla Camera nel dicembre scorso; ultimamente si è aggiunta anche la proposta di modifica al Titolo V della Costituzione, con la soppressione delle province e probabili riduzioni delle competenze regionali. Modifiche che tutti si augurano drastiche ed incisive per affrontare alla radice alcuni nodi istituzionali finora irrisolti. La costituzione delle città metropolitane, la soppressione (totale o parziale) delle province, la fusione e/o il consorzio dei piccoli comuni, sono i fondamenti del nuovo assetto organizzativo del nostro paese. Un quadro in evoluzione che non può non ripercuotersi anche sul sistema di pianificazione. Avvertenza importante, la continuità della pianificazione. Una nuova legge, per quanto auspicabile, non deve sconvolgere per l’ennesima volta l’attività dei comuni, ma deve partire dall’assetto esistente per introdurre elementi di razionalità, flessibilità ed innovazione. Ormai quasi tutti i comuni sono dotati di un piano, sia aggiornato secondo le ultime leggi regionali ma spesso ancora un vecchio PRG. Le innovazioni portate da una nuova legge non devono sopprimere traumaticamente il quadro preesistente (come troppo spesso si è fatto) ma piuttosto prevedere le modalità di adeguamento dei piani in vigore indicando un percorso per tappe successive che solo alla fine li porterà a regime. Le proposte di legge sul consumo di suolo Dopo decenni di presunta neutralità dei sistemi di pianificazione finalmente stato e regioni si accorgono che per governare il territorio prima delle tecniche bisogna pensare agli obiettivi, e su questi poi costruire un idoneo sistema di pianificazione. Si spiega così il fiorire di iniziative e proposte di legge – prima del governo ma poi di diverse regioni, tra cui il Veneto - aventi lo scopo di sanzionare i contenuti (e non solo le metodiche) della pianificazione. Primo fra tutti la riduzione del consumo di suolo, questione strettamente legata agli altri capitoli che riguardano la città, quali la rigenerazione urbana, la riqualificazione delle periferie, il rinnovo del patrimonio edilizio, il riutilizzo del patrimonio pubblico. Non siamo d’accordo con la posizione del decreto ministeriale di fissare una quantità massima di suolo edificabile e distribuirla poi alle regioni, e da queste ai comuni; procedimento troppo generico e tecnicamente inapplicabile. La legge nazionale deve essere in forma di vision (come ad esempio ha fatto la Germania) fissando una linea che poi le regioni dovranno dettagliare ed applicare, e prevedendo altresì le necessarie misure sostitutive in caso di inadempienza. A livello regionale – nel Veneto i due Pdl 309/2013 della giunta regionale e 393/2013 dell’opposizione - è meglio definire una percentuale massima di nuovo suolo occupabile in relazione al totale delle aree già edificate, in linea indicativa non più del 10%. Il che significa anche perseguire un percorso di riduzione delle espansioni già previste dai piani vigenti. Ipotesi in altri momenti difficilissima da applicare ma che in periodi di crisi può suscitare minori opposizioni, anche per motivi molto concreti di non pagare l’IMU. Rigenerazione urbana, riqualificazione delle periferie, rinnovo edilizio Non basta certo una legge per far ripartire i progetti di rigenerazione urbana, da tempo bloccati dalla crisi ma anche dai costi eccessivi. Gli appelli dei benpensanti sono destinati a rimanere parole vuote se non si riuscirà a ridurre il differenziale di procedure, tempi e costi tra costruire ex novo e recuperare il vecchio. Molte le proposte, in questa sede ci si limita a sottolineare quelle che riteniamo più incisive. Anzitutto la volontà di ribadire l’interesse pubblico degli interventi di rigenerazione, che trova peraltro riscontro anche nei progetti di legge già presentati. Nei piani va quindi riaffermata la centralità della rigenerazione individuando le aree strategiche riguardanti gli interventi più significativi ma anche quelli dove la proprietà è assente (i francesi li chiamano “les sites orphelins”, i siti orfanelli. Queste aree vanno classificate di interesse pubblico ai sensi delle leggi vigenti; ciò consente alle amministrazioni di avviare un percorso per il recupero mediante l’intervento di soggetti terzi (fondi di investimento, developers, ecc.) su aree con proprietà assenteista mettendo in gara progetti di recupero che prevedano anche l’acquisizione dell’area mediante esproprio. Rimane comunque il diritto di prelazione per i proprietari originari. Il monitoraggio e l’analisi critica delle migliori pratiche già attuate consentono ormai di definire un panel di parametri urbanistici che può essere applicato nella grandissima maggioranza dei casi. Le regioni con proprio atto amministrativo possono indicare i parametri standard – il mantenimento del volume o SLP esistente 14 l’analisi nel caso di edifici civili (caserme, ospedali, manifatture tabacchi, ecc, mentre invece i volumi industriali troppo massicci necessitano di correzioni in diminuzione), la liberalizzazione delle destinazioni d’uso compreso il commercio, gli standard da inserire, ecc. – rispettando i quali un operatore privato può avere la certezza che il progetto verrà approvato. Rimane insoluta la questione degli extra-oneri che si rendono quasi sempre necessari soprattutto per coprire i costi di demolizioni e bonifiche e per l’adeguamento della rete infrastrutturale. Problema certo di non facile soluzione, ma che in situazioni critiche come l’attuale deve ricercare una soluzione forse non del tutto soddisfacente sotto il profilo tecnico-teorico ma accettabile sia dal pubblico che dal mercato. Soluzione che si può trovare nell’ancoraggio agli oneri di urbanizzazione, con un limite massimo (al momento non più del raddoppio) per non mettere fuori mercato l’operazione. Altrimenti non c’è scampo: se gli extra-oneri così calcolati non sono sufficienti alla bisogna, per cui si richiede un consistente intervento pubblico di sostegno per il quale normalmente il comune non ha le risorse, allora l’area deve rimanere ferma in attesa di tempi migliori. Normalmente i piccoli – ma anche i medi e financo i grandi comuni – non hanno la capacità politico-amministrativa ma soprattutto non possiedono strutture tecniche adeguate per affrontare problemi complessi come i grandi progetti di rigenerazione; tanto più in contrasto con le potenti squadre messe in campo dai privati. Sarebbe quindi utile che le regioni costituissero delle task forces a sostegno dei comuni nel valutare i progetti più complessi. La riqualificazione delle periferie passa attraverso il discorso degli standard urbanistici. Tutti sono d’accordo nel passare da criteri quantitativi a procedure di tipo qualitativo, almeno quando sono state già raggiunte dotazioni sufficienti. Il social housing è già considerato standard da molte regioni, e rappresenta inoltre la domanda reale più consistente. Così dicasi per la qualità degli spazi pubblici in particolare per la riqualificazione delle periferie urbane, dove va privilegiata la realizzazione di sistemi di percorsi verdi, pedonali e ciclabili, al fine di ricollegare le parti di città e sostenere la mobilità leggera. I regolamenti per la città consolidata devono favorire il rinnovo del patrimonio edilizio esistente, anche mediante la concessione di premialità come già previsto in alcuni Piani Casa regionali. Ovviamente tutto questo ha dei limiti: il criterio della densificazione, pure accettabile in linea teorica, si scontra con l’esigenza di non superare carichi volumetrici non sopportabili; in tali situazioni può essere utile il ricorso a criteri perequativi con trasferimenti di volume in altre aree. Molti enti - regioni e comuni – ritengono di somma im- 17 l’analisi portanza perseguire ed incentivare una maggior qualità dei progetti; diverse sono le iniziative già attivate. A tale scopo può essere utile l’adozione – in forma di atti amministrativi – di linee guida o protocolli di qualità di cui sono ricche le esperienze straniere per la redazione ed approvazione di progetti strategici; si veda il Protocollo di qualità AUDIS per gli interventi del Comune di Roma, elaborato congiuntamente dalle strutture comunali e da grandi operatori privati. Piano e progetto, pubblico e privato Da tempo è entrato in crisi il concetto del piano come strumento che prefigura un disegno complessivo e definitivo (e praticamente immodificabile) della città e del territorio. È il residuo di una concezione (risalente ancora alla legge del 1942) che faceva riferimento ad un sistema sociale ed economico statico se non immobile, mentre oggi tutto si muove con ritmi veloci ed in continua mutazione. Contrasto insostenibile che non poteva non avere conseguenze pesanti sull’assetto della pianificazione, che negli ultimi decenni non si è basata sui piani ma praticamente solo sulle varianti, e più di recente ancora sull’approvazione di grandi progetti edilizi attraverso i nuovi strumenti della partnership pubblico-privata, programmi integrati, conferenze di servizio, accordi di programma. Una tendenza che va senza dubbio perseguita e sviluppata anche se meglio regolamentata, nel senso che il piano deve essere flessibile non sui principi ma sull’attuazione, e deve quindi contenere le regole per la governance che permettano di adeguarlo rapidamente a nuove evenienze non prevedibili. Pianificazione territoriale ed intercomunalità Vale il principio che sopra il comune deve esserci un solo livello di pianificazione, e non due o ancora di più, come succede in molte regioni con la sovrapposizione di piani di area vasta, programmi d’intervento, pianificazioni separate. Piano regionale o piano provinciale, a chi tocca scomparire? Ovviamente al livello provinciale, visto che si vogliono abolire le province. Ma la cosa non è così semplice, le situazioni nel nostro paese sono varie e diverse. Dobbiamo distinguere le grandi dalle piccole regioni. Nelle regioni più grandi è sufficiente un piano regionale molto semplificato – in altri tempi si parlava di Piano Regionale di Sviluppo (PRS) con proiezioni territoriali - che contenga essenzialmente due cose: una carta delle invarianti – con le cose che non si possono toccare – ed una tavola con gli interventi di livello regionale, essenzialmente infrastrutture e grandi servizi. Il piano regionale dovrebbe però individuare anche le aree per le quali si ritiene necessario un piano di area vasta; piani a geometria variabile che non devono necessariamente interessare tutto il territorio regionale, ma solo le aree dove esistono forti interrelazioni insediative come ad esempio le aree metropolitane o quelle ad urbanizzazione diffusa. In negativo rimangono le aree dove questi fenomeni non si verificano, e dove quindi il compito della pianificazione può passare direttamente dalla regione ai singoli comuni. Un sistema come quello descritto non può essere realizzato che in regime di copianificazione, in collaborazione tra regione e comuni. Con l’avvertenza di piantare dei paletti molto rigidi per rimuovere i contrasti e le opposizioni, soprattutto da parte dei comuni minori, che in Italia hanno sempre bloccato anche ogni minimo tentativo di pianificazione intercomunale. A tale scopo può soccorrere un ricordo del passato: non certo la tentazione di imporre dall’alto i piani che porta solo allo scontro frontale, ma piuttosto il suggerimento di 18 l’analisi riesumare una norma capestro (termine politicamente scorretto ma in pratica utilissimo) che in passato ha dimostrato di funzionare molto bene in situazioni di diffusa resistenza. Ci riferiamo al famoso art. 17 della legge ponte 765/1972, che limitava l’edificazione nei comuni renitenti all’obbligo di fare il PRG, marchingegno che ha funzionato benissimo, tanto che in pochi anni quasi tutti i comuni si sono dotati di un piano. Il livello comunale: piani diversi per grandi e piccoli comuni Quello comunale rimane il livello centrale dove si realizza al meglio anche il concetto di partecipazione. Non si può però imporre un modello unico di pianificazione uguale per tutti i comuni, dalla grande città al piccolo paesello di montagna: è uno spreco incredibile. Come saggiamente prevedeva la gloriosa legge 1150/1942, occorrono almeno due modelli, uno che chiameremo generale, applicabile a tutti i comuni, ed un secondo più semplificato che può essere adottato dai piccoli comuni privi di significative interrelazioni. Il modello generale Una valutazione critica delle esperienze degli ultimi decenni ci conferma che va semplificato l’assetto della pianificazione, in particolare il doppio sistema del piano strutturale e piano operativo, che comporta un iter inutilmente complesso e tempi troppo lunghi. Normalmente nelle leggi attuali il piano strutturale non è conformativo, tanto vale quindi ricorrere ad un più semplice documento programmatico (DP) sul tipo delle legge lombarda, che espliciti le linee di politica urbanistica dell’amministrazione. La normativa urbanistica è rinviata a strumenti successivi (o contestuali) tipo piani di area (come sono i Piani degli interventi della legge veneta) o di settore come nella legge lombarda; o anche tutte due insieme. Il primo elaborato deve essere comunque una carta delle invarianti con le misure di tutela per ambiente, territorio, paesaggio. Nelle città maggiori – mediamente oltre i 300.000 abitanti, limite rivedibile a discrezione secondo le diverse situazioni – data la numerosità e complessità delle problematiche, occorre probabilmente un quadro di riferimento più stabile e pervasivo di un semplice DP, che potrebbe assumere la forma di un piano strategico con esplicitazione delle principali scelte urbanistiche. Le regioni dovrebbero definire con appositi atti anche le direttive d’intervento per le diverse parti della città e del territorio esterno. Non sembra che occorrano modifiche sostanziali rispetto agli schemi già in uso da tempo: regolamento urbanistico edilizio per i centri storici e la città consolidata, regole per le trasformazioni urbane, piani attuativi per le zone di espansione. Un programma di fabbricazione per i piccoli comuni Infine, un ritorno all’antico. Per i piccoli comuni con scarsa interrelazione con altre realtà urbane – i casi sono numerosissimi nella realtà italiana – può essere adottato un piano semplificato sul modello del programma di fabbricazione della legge 1150/1942 opportunamente rivisitato. In questi casi si ritiene sufficiente individuare il perimetro limite dell’edificazione e precisare le regole morfo-tipologiche (maglia stradale, tipologie edilizie, ecc.) che devono presiedere all’edificazione. Gli esempi, soprattutto stranieri (francesi, belgi ed olandesi sopra tutti), sono preziosi ed illuminanti, con risultati di grande eccellenza che garantiscono il rispetto delle preesistenze storico-ambientali e del paesaggio. Regime dei suoli, perequazione, fiscalità urbana Il Centro Nazionale Studi Urbanistici (CeNSU) ha lavorato per anni sul tema del regime dei suoli, producendo insieme a CNA, CNI, ANCE ed altre associazioni un apposito progetto di legge, ivi inclusa la perequazione. Procedura questa già entrata da tempo nel bagaglio delle amministrazioni, ma le poche esperienze finora realizzate ci dicono che non sono da attendersi risultati mirabolanti. È uno strumento che può essere utilmente usato per le compensazioni (acquisizioni di aree pubbliche, eliminazione e/o mitigazione di impatti negativi sull’ambiente e sul paesaggio, ecc.) o per le premialità al fine di incentivare comportamenti virtuosi. Quello che non può essere accettato è la volatilità assoluta dei diritti edificatori nel senso che possano atterrare dovunque nelle zone di piano. Vanno quindi individuate anche le aree di atterraggio, non necessariamente in corrispondenza diretta con quelle di generazione dei diritti edificatori, ma almeno per parti di città. Così come è condizione decisiva che alcune di queste vengano gestite dal pubblico per superare i contrasti che insorgono fra gli operatori privati in particolare sul valore da attribuire ai diritti edificatori (ma non solo) che alla 21 l’analisi fine spesso bloccano di fatto queste operazioni. Tuttavia si tratta pur sempre di procedure che si basano sull’accordo bonario tra pubblico e privato. L’unico strumento che può dare garanzia assoluta di equità ed imparzialità verso le proprietà private è pur sempre quello fiscale, ed in particolare l’uso propulsivo dell’IMU. Argomento da sempre studiato dagli ingegneri, che lo hanno proposto come manovra determinante per l’azione delle amministrazioni nell’abbattere la rendita fondiaria. In conclusione, restyling o nuova legge? Spero che il lettore non si sia stancato prima ed arrivi a leggere la conclusione. Mi metto anche nei panni degli addetti ai lavori – specialmente gli amministratori regionali ai quali prima degli altri è diretta questa mia - che di fronte a una tale mole di proposte potrebbero essere presi dal panico finendo col scegliere, come spesso succede, la soluzione più facile e meno impegnativa di lasciare tutto come sta. Certo, la conclusione migliore sarebbe una nuova legge, ma questa non è l’unica strada. Si può benissimo procedere per gradi inserendo le cose più urgenti in provvedimenti che sono già allo studio o in cantiere. Ad esempio per il Veneto nei PDL sul consumo di suolo e rigenerazione urbana attualmente all’esame del Consiglio Regionale per l’approvazione. Proposte che, oltre ad essere fuse insieme perché il tema è di interesse generale, potrebbero essere implementate introducendo alcuni punti correlati a consumo di suolo e rigenerazione urbana scelti tra quelli proposti in questa sede. È questa la linea più semplice e praticabile in tempi brevi che ci sentiamo di suggerire, un’occasione assolutamente da non perdere. Peraltro la stessa che stiamo portando avanti a livello nazionale con il Centro Nazionale Studi Urbanistici e l’Associazione aree urbane dismesse-AUDIS in sede di discussione sul DL governativo sul consumo di suolo. 22 Roberto Travaglini La ristrutturazione edilizia tra il decreto del fare e il terzo piano casa del Veneto L’art. 11 della legge regionale 32/2013 interviene, con alcune significative modifiche e integrazioni, sull’art. 10 della l.r. 14/2009, che era rimasto inalterato nel passaggio dal primo al secondo “Piano casa”. Il rinnovato interesse del legislatore regionale sull’articolo da sempre dedicato alla ristrutturazione edilizia, risiede nelle recenti modifiche apportate alla disciplina di tale intervento edilizio nell’ordinamento statale. L ’art. 11 della legge regionale n. 32/2013 interviene, apportandovi alcune significative modifiche e integrazioni, sull’art. 10 della l.r. n. 14/2009, che invece era rimasto inalterato nel passaggio dal primo al secondo “Piano casa”, quest’ultimo delineato dalla legge regionale 13/2011, anch’essa intervenuta sull’originario telaio costituito dalla l.r. n. 14/2009. È del tutto evidente che il rinnovato interesse del legislatore regionale sull’articolo da sempre dedicato alla ristrutturazione edilizia risiede nelle recenti modifiche apportate alla disciplina di tale intervento edilizio nell’ordinamento statale (art. 30 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 – c.d. “decreto del fare” – convertito, con modificazioni, peraltro assenti con specifico riguardo alla materia di cui qui ci si occupa, con legge 9 agosto 2013, n. 98). Appaiono opportune, innanzi tutto, alcune brevi riflessioni sul perché della ormai “consolidata” presenza – all’interno della legge regionale dedicata al c.d. “Piano casa”, caratterizzato da misure volte ad incentivare, attraverso il riconoscimento di incrementi volumetrici o superficiari, interventi di ampliamento di edifici esistenti, oppure la loro demolizione e ricostruzione – di una norma dichiaratamente finalizzata a delineare alcuni 24 l’analisi elementi disciplinari della ristrutturazione edilizia. Sin dal primo commento all’originario art. 10 si ebbe modo di sottolineare come tale disposizione fosse stata configurata quale norma “a regime”1, ovvero applicabile senza i limiti temporali del c.d. Piano casa, ancorché “nelle more dell’approvazione della nuova disciplina regionale sull’edilizia”2. Nonostante la finalità dichiarata, il suo inserimento nel provvedimento regionale sul “Piano casa” sembra essere stato motivato dall’intenzione del legislatore di fornire elementi disciplinari di “supporto” agli interventi di integrale demolizione e ricostruzione con ampliamento del volume (per gli edifici residenziali) e/o della superficie (per gli edifici ad uso diverso), di cui si occupa l’art. 3 della l.r. n. 14/2009, così come da ultimo modificato dalla l.r. n. 32/2013, al cui commento si rinvia. Del resto, la norma in rubrica - nello specificare il proprio obiettivo con l’espressione “ai fini delle procedure autorizzative relative alle ristrutturazioni edilizie ai sensi del D.P.R. n. 380/2001” – classifica gli interventi di ristrutturazione edilizia con ampliamento, “qualora realizzati mediante integrale demolizione e ricostruzione dell’edificio esistente”, tra quelli contemplati all’art. 10, comma 1, lettera c), del Testo unico dell’edilizia, mentre, com’è noto, quest’ultimo provvedimento si 1. C osì anche TAR Veneto, Sez. II, 12 agosto 2011, n. 1359 e la circolare della Regione Veneto 29 settembre 2009, n. 4, approvata con d.G.R. n. 2797, del 22 settembre 2009, d’interpretazione della l.r. n. 14/2009, alla quale rinvia anche la circolare 8 novembre 2011, n. 1, approvata con d.G.R. n. 1782, dell’8 novembre 2011, riguardante la l.r. n. 13/2011. 2. Si rammenta che a norma dell’art. 13 l.r. 1° agosto 2003, n. 16 (rubricato “Disciplina transitoria dell’attività edilizia”) “Fino all’entrata in vigore della legge regionale di riordino della disciplina edilizia trovano applicazione le disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia” e successive modificazioni, nonché le disposizioni della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61 “Norme per l’assetto e l’uso del territorio” e successive modificazioni, che regolano la materia dell’edilizia in maniera differente dal testo unico e non siano in contrasto con i principi fondamentali desumibili dal testo unico medesimo”. Lasciamo al lettore ogni commento sulla circostanza che dal 2003 (quando già si prefigurava l’intervento del legislatore veneto per il riordino dell’attività edilizia) al 2009 (quando si ribadiva l’aspettativa di una nuova disciplina regionale sull’edilizia) per finire, ad oggi, fine 2013, di tale preannunciato provvedimento legislativo regionale non vi è traccia tangibile. Vista l’espressione adoperata dalla norma in commento – “nelle more dell’approvazione …” – verrebbe da fare il verso ad un film che ebbe un certo successo di botteghino nei primi anni ottanta, mantenendone l’approccio “ortofrutticolo”. Il sequel urbanistico-edilizio potrebbe intitolarsi “Il tempo delle more”! 25 l’analisi occupa della demolizione e ricostruzione, qualificandola ristrutturazione edilizia, nell’art. 3, comma 1, lettera d). Anche relativamente al titolo edilizio richiesto per realizzare gli interventi di demolizione e ricostruzione con ampliamento non vi è coincidenza tra la disposizione statale e quella regionale. Infatti, mentre l’art. 10 del Testo unico si occupa degli interventi subordinati a permesso di costruire, l’art. 6 della l.r. n. 14/2009 sottopone anche gli interventi di cui al relativo art. 3 - ovvero, proprio gli interventi di demolizione e ricostruzione, anche parziale3, degli edifici esistenti al 31 ottobre 2013 - alla denuncia di inizio attività (d.i.a.), con le sole eccezioni introdotte dalla l.r. n. 32/2013.4 Come si cercherà di evidenziare nel paragrafo dedicato al commento alla lettera b) dell’art. 10 della l.r. n. 14/2009, quanto sopra sembra confermare che l’effettiva finalità della disposizione sia quella di disciplinare il rapporto tra gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici (seppur accompagnati da un ampliamento dimensionale) e le norme sulle distanze dai confini e dai fabbricati (unitamente agli altri parametri dimensionali) presenti nella strumentazione urbanistica comunale. Del resto, dovendosi privilegiare un’interpretazione costituzionalmente coerente della disposizione regionale in commento, è doveroso escludere che la stessa abbia voluto offrire una definizione autonoma ed originale della “ristrutturazione edilizia”5, atteso che le definizioni degli interventi edilizi contenute nell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 sono pacificamente riconosciute quale principio della materia, come tale vincolante per il legislatore regionale, operando in un ambito disciplinare – qual è il “governo del territorio” – attribuito dall’art. 117, terzo comma, della Costituzione alla potestà legislativa concorrente dello Stato (per la determinazione dei principi fondamentali) e delle Regioni (per la conseguente e coerente disciplina di dettaglio).6 Le novità del “decreto del fare” in tema di ristrutturazione edilizia Come sottolineato nel precedente paragrafo, le innovazioni introdotte nell’originario art. 10 della l.r. 14/2009 sono il frutto del recente intervento operato dal decretatore d’urgenza (d.l. 69/2013) e dal legislatore (legge 98/2013) che ne ha convertito le norme più 3. C ome ampiamente illustrato nel commento all’art. 3 della l.r. n. 14/2009, quale risultato dalle modifiche apportatevi dalla l.r. n. 13/2011, originariamente la disposizione si riferiva ai soli “interventi di integrale demolizione e ricostruzione”, mentre la base di computo del bonus volumetrico o superficiario era rappresentata dal volume o dalla superficie coperta “esistente”. 4. Il permesso di costruire è necessario - a norma del nuovo art. 3, comma 3, della l.r. n. 14/2009, come sostituito dall’art. 4, comma 3, della l.r. n. 32/2013 - per gli interventi di demolizione e ricostruzione caratterizzati da “una ricomposizione planovolumetrica che comporti una modifica sostanziale con la ricostruzione del nuovo edificio su un’area di sedime completamente diversa”, fattispecie che, per quanto si dirà oltre nel testo, non può essere né identificata, né comunque ricondotta alla ristrutturazione edilizia. A sua volta, l’art. 9, comma 2 ter, della l.r. n. 14/2009, come sostituito dall’art. 10, comma 8, della l.r. n. 32/2013, assoggetta a permesso di costruire gli interventi con ad oggetto “edifici dismessi o in via di dismissione, situati in zone territoriali omogenee diverse dalla zona agricola”, per i quali “è consentito il mutamento della destinazione d’uso con il recupero dell’intera volumetria esistente, qualora l’intervento sia finalizzato alla rigenerazione o riqualificazione dell’edificio, fermo restando che la nuova destinazione deve essere consentita dalla disciplina edilizia di zona”. 26 l’analisi direttamente inerenti le fattispecie classificate dal Testo unico dell’edilizia quali interventi di ristrutturazione edilizia. Pur con l’inevitabile sinteticità conseguente alle caratteristiche del presente lavoro, sembra opportuno rammentare che il d.P.R. n. 380/2001 delinea due distinte tipologie di ristrutturazione edilizia, l’una che si estrinseca in un “intervento conservativo” dell’edificio, l’altra che, al contrario, consegue ad un “intervento ricostruttivo” del fabbricato.7 La prima figura, caratterizzata dall’assenza della previa totale demolizione dell’edificio, può dar luogo anche a modifiche di volumetria – nel qual caso si ricorre all’espressione “ristrutturazione pesante”, disciplinata dall’art. 10, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 380/2001 - il che ne rende problematica la distinzione con il diverso fenomeno della “nuova costruzione”, che a norma dell’art. 3, comma 1, lettera e.1) del d.P.R. n. 380/2001, si ha in caso di ampliamento dell’edificio esistente all’esterno della sagoma esistente. Sul punto, anche recentemente la giurisprudenza amministrativa ha sottolineato che gli interventi di ristrutturazione “pesante”, disciplinati dall’art. 10, comma 1, lettera c), del Testo unico possono comportare integrazioni funzionali e strutturali dell’edificio preesistente, “con incrementi di superficie e di volume <limitati> e tali da non configurare apprezzabili aumenti di volumetria, poiché, diversamente, un sostanziale ampliamento dell’edificio verrebbe a configurarsi non più come <ristrutturazione edilizia>, bensì <nuova costruzione>”, precisando, altresì, che tali “limitati” aumenti volumetrici non sono incompatibili con la categoria della ristrutturazione edilizia “solo nel caso in cui non si proceda a demolizione e ricostruzione dell’immobile”, 5. Tesi già prospettata nelle precedenti edizioni del presente Commentario e fatta propria dal TAR Veneto, Sez. II, 12 agosto 2011, n. 1359. 6. Fondamentale, a tale riguardo, la pronuncia della Corte costituzionale, 23 novembre 2011, n. 309, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo e 103 della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, in quanto dotati di un’inammissibile portata modificatrice, tale da comportare la disapplicazione della disciplina del Testo unico dell’edilizia avente ad oggetto gli elementi costitutivi della “ristrutturazione edilizia”. Si veda anche Cons. Stato, Sez. IV, 25 giugno 2013, n. 3456, con riferimento alle norme della l.r. Umbria 16 settembre 2011, n. 8. 7. Tra le più recenti, TAR Abruzzo, Pescara, Sez. I, 15 novembre 2013, n. 556; TAR Piemonte, Sez. I, 8 novembre 2013, n. 1177; Cons. Stato, Sez. IV, 25 giugno 2013, n. 3456; TAR Abruzzo, l’Aquila, Sez. I, 8 giugno 2013, n. 543; TAR Lazio, Roma,Sez. I, 11 gennaio 2013, n. 253. 27 l’analisi per la quale ultima fattispecie, invece, l’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380/2001, dedicata alla c.d. ristrutturazione “leggera”, richiede l’identità della volumetria (e richiedeva, ante d.l. n. 69/2013, anche l’identità della sagoma).8 L’art. 10 del Testo unico assoggetta la ristrutturazione pesante al permesso di costruire, in luogo della segnalazione certificata di inizio attività (s.c.i.a.)9 prevista per la c.d. “ristrutturazione lieve” in sostituzione della d.i.a. originariamente disciplinata dall’art. 22 del Testo unico, norma, quest’ultima, avente ad oggetto “gli interventi non riconducibili all’elenco di cui all’articolo 10 (ndr.: interventi subordinati a permesso di costruire) e all’articolo 6 (ndr.: attività edilizia libera)”. La “ristrutturazione lieve” è a sua volta definita all’art. 3, comma 1, lett. d), terzo periodo, del d.P.R. n. 380/2001, secondo il quale “nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”. La formulazione da ultimo riprodotta consegue alle modifiche apportate all’originario art. 3 del D.P.R. n. 380/2001: dall’art. 1 del d.lgs. 27 dicembre 2002, n. 301, che ha soppresso i precedenti riferimenti all’area di sedime ed alle caratteristiche dei materiali impiegati nella ricostruzione, oltre all’aggettivo “fedele” che originariamente accompagnava il sostantivo “ricostruzione”; dall’art. 30, comma 1, lett. a), del d.l. 69/2013, convertito con modificazioni dalla legge 98/2013, che ha soppresso anche il riferimento alla “sagoma”, ad eccezione degli immobili sottoposti ai vincoli di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004 (Codice dei Beni culturali e del Paesaggio)10, in relazione ai quali “gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente”11. Sempre il “decreto del fare” ha ricompreso nella categoria degli interventi di ristrutturazione edilizia, assimilandoli a quelli di demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria 8. Le parti virgolettate sono tratte da TAR Abruzzo, Pescara, Sez. I, 15 novembre 2013, n. 556. Secondo la Cass. pen., Sez. III, 17.02.2010, n. 16393, “Dal combinato disposto degli art. 10 comma 1 lett. c) e 22 comma 3 lett. a) d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 deriva che sono realizzabili in seguito a <permesso di costruire> ovvero (a scelta dell’interessato) previa <denuncia di inizio attività> (d.i.a.) interventi di <ristrutturazione edilizia> che comportino integrazioni funzionali e strutturali dell’edificio preesistente, pure con incrementi di superficie e di volume, purché si tratti di incrementi <limitati>, ossia tali da non configurare apprezzabili aumenti di volumetria, poiché, qualora si ammettesse la possibilità di un sostanziale ampliamento dell’edificio, verrebbe meno la linea di distinzione tra <ristrutturazione edilizia> e <nuova costruzione>. Ciò comunque è consentito solo nel caso in cui non si proceda a demolizione e ricostruzione dell’immobile: infatti, in tal caso, l’art. 3 comma 1 lett. d) d.P.R. n. 380 del 2001, nell’estendere la nozione di <ristrutturazione edilizia> sì da ricomprendervi pure gli interventi ricostruttivi consistenti nella demolizione e ricostruzione, condiziona tale estensione al fatto che <volumetria> e <sagoma> debbano rimanere identiche. In altri termini, volumetria e sagoma, mentre non si pongono come limiti per gli interventi di ristrutturazione che non comportino la previa demolizione, devono invece rimanere identiche nei casi di ristrutturazione attuata attraverso demolizione e ricostruzione (in tal caso, quindi, non basta la denuncia di inizio attività, ma occorre il permesso di costruire)”. Sul punto anche TAR Veneto, Sez. II, 12 agosto 2011, n. 1359, recante interessanti considerazioni in ordine alla disciplina regionale sul Piano casa ed al suo rapporto con le norme statali che definiscono gli interventi edilizi sull’esistente. 9. Si ricorda che l’art. 5, comma 2, lett. c), del d.l. 13 marzo 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, ha precisato che le disposizioni di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (nel testo da ultimo sostituito dall’art. 49, comma 4-bis, del d.l. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 122/2010, rubricato “Segnalazione certificata di inizio attività – Scia”), si interpretano nel senso che le stesse “si applicano alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire (v. ad es. l’art. 22, comma 3, d.P.R. n. 380/2001, che consente “in alternativa al permesso di costruire”, di realizzare “mediante denuncia di inizio attività … gli interventi di ristrutturazione di cui all’articolo 10, comma 1, lettera c)” – n.d.r.). 28 l’analisi dell’edificio preesistente, anche gli interventi “volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”. Per quanto attiene al requisito dell’identità dell’area di sedime, seppur letteralmente espunto dal testo della norma che definisce gli elementi caratterizzanti gli interventi di ristrutturazione edilizia, per darsi luogo a quest’ultima, parte significativa della giurisprudenza richiede egualmente che “il fabbricato occupi la stessa area e sorga sulla stessa superficie utilizzata dal precedente senza compromettere un territorio diverso, coerentemente con la ratio di recupero del patrimonio esistente”.12 Una posizione più coerente con l’innovazione introdotta a fine 2002 relativamente al requisito dell’area di sedime è, invece, quella espressa dal Ministero delle infrastrutture e trasporti con la circolare del 7 agosto 2003, n. 4174. Vi si legge, infatti, che “il mancato richiamo – nella nuova definizione voluta dal legislatore della n. 443/2001 – al parametro dei “materiali edilizi” non pone alcun particolare problema, mentre, per quanto riguarda <l’area di sedime>, non si ritiene che l’esclusione di tale riferimento possa consentire la ricostruzione dell’edificio in altro sito, ovvero posizionarlo all’interno dello stesso lotto in maniera del tutto discrezionale. La prima ipotesi è esclusa dal fatto che, comunque, si tratta di un intervento incluso nelle categorie del recupero, per cui la localizzazione in altro ambito risulterebbe in palese contrasto con tale obiettivo; quanto alla seconda ipotesi si ritiene che debbano considerarsi ammissibili, in sede di ristrutturazione edilizia, solo modifiche di collocazione rispetto alla precedente area di sedime, sempreché rientrino nelle varianti non essenziali, ed a questo fine il riferimento è nelle definizioni stabilite dalle leggi regionali in attuazione dell’articolo 32 del testo unico. Resta in ogni caso possibile, nel diverso posizionamento dell’edificio, adeguarsi alle disposizioni contenute nella strumentazione urbanistica vigente per quanto attiene allineamenti, distanze e distacchi”. Come si vedrà in seguito, a tale circolare sembra essersi ispirato il legislatore veneto del Piano casa nella formulazione della nuova lettera b bis) dell’art. 10 della l.r. n. 14/2009. Non sembra, invece, potersi in alcun modo leggere come chiarificatrice e/o innovatrice della disciplina del “sedime” nella ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione, la disposizione contenuta nell’art. 5, comma 9, del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 (c.d. “decreto sviluppo”), laddove, tra gli interventi 10. N on si può fare a meno di rilevare che il generico riferimento agli “immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42” coinvolge sia le fattispecie disciplinate dalla Parte seconda del c.d. Codice Urbani” (ovvero i beni culturali, storicamente oggetto della legge n. 1089/1939), sia quelle disciplinate dalla Parte terza (ovvero i beni paesaggistici, storicamente oggetto della legge n. 1497/1939 e, in epoca più recente, della legge n. 431/1985 c.d. “legge Galasso”). 11. Il che dovrebbe comportare la conseguente qualificazione come “nuova costruzione” degli interventi di demolizione e ricostruzione, così come degli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti, qualora riferiti ad edifici sottoposti ai vincoli di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004 ed implicanti anche la modifica della sagoma. 12. L’espressione virgolettata è tratta da Cons. Stato, Sez. IV, 30 maggio 2013, n. 2972. Conformi, tra gli altri, Cass. civ., Sez. II, 13 giugno 2013, n. 14902; Cons. Stato, Sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 365; TAR Lazio, Roma, Sez. I, 6 luglio 2012, n. 6176; Cass. pen., Sez. III, 17 febbraio 2010, n. 13492.13 31 l’analisi di demolizione e ricostruzione finalizzati ad “incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente nonché di promuovere e agevolare la riqualificazione delle aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche della necessità di favorire lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili”, menziona anche “la delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse”, trattandosi, a tutta evidenza, del ben diverso fenomeno che la legge urbanistica veneta (l.r. n.11/2004) disciplina all’art. 36, rubricato “Riqualificazione ambientale e credito edilizio”.13 Per quanto, invece, attiene al requisito dell’identità della sagoma dell’edificio oggetto di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, la sua eliminazione dalla fattispecie disciplinata dall’art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380/2001 è, come già detto, da ricondursi all’art. 30 del “decreto del fare”. La giurisprudenza ha definito come sagoma dell’edificio la “conformazione planovolumetrica della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti”.14 L’eliminazione dal Testo unico del vincolo del mantenimento della sagoma originaria del fabbricato tradizionalmente considerato tra gli elementi costitutivi della ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione dell’edificio – ripropone su scala nazionale l’esperienza normativa maturata nella Regione Lombardia, che con l’art. 22 della l.r. n. 7/2010 aveva sancito che “Nella disposizione di cui all’articolo 27, comma 1, lett. d), ultimo periodo, della legge regionale 11 marzo 2005, 12 (Legge per il governo del territorio) la ricostruzione dell’edificio è da intendersi senza vincolo di sagoma”. Tale disposizione, peraltro, così come quelle della l.r. n. 12/2005 cui essa faceva riferimento, sono state dichiarate costituzionalmente illegittime dalla Corte costituzionale, con la sentenza 23 novembre 2011, n. 309, proprio perché modificavano la definizione degli interventi di ristrutturazione edilizia, definizione di competenza esclusiva del legislatore statale, che l’ha per l’appunto esercitata con il più volte richiamato art. 30 del “decreto del fare”. Quanto alla rammentata riconduzione alla categoria della ristrutturazione edilizia degli interventi “volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”, non si può non evidenziare come tale novità, anch’essa introdotta dall’art. 30 del d.l. n. 69/2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 98/2013, sovverta il tradizionale arresto giurisprudenziale secondo il quale perché si abbia ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione è necessaria la preesistenza (rispetto all’intervento) di un fabbricato dotato quanto 13. S econdo Cons. Stato, Sez. IV, 25 giugno 2013, n. 3456, “L’art. 5, commi 9 e ss., del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70 …, nel regolare interventi di demolizione e ricostruzione con ampliamenti di volumetria e di sagoma (nonché, come s’è visto, con l’eventuale rilocalizzazione dell’edificio), non ha qualificato tali interventi come ristrutturazione edilizia, né ha modificato la disciplina dettata al riguardo dall’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001”. Per quanto attiene alle iniziative legislative della Regione Veneto, finalizzate all’attuazione delle previsioni del “decreto sviluppo” in materia edilizia, si segnalano il progetto di legge n. 270 (licenziato dalla Giunta regionale con d.G.R. 8/ DDL del 15 maggio 2012) ed il progetto di legge n. 390 (licenziato dalla Giunta regionale con d.G.R. 20/DDL del 17 settembre 2013), quest’ultimo rubricato “Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo, la rigenerazione urbana e il miglioramento della qualità insediativa”. 14. Così Cons. Stato, Sez. VI, 15 marzo 2013, n. 1564. Conformi, tra gli altri, Corte costituzionale, 23 novembre 2011, n. 309; Cons. Stato, Sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 365; TAR Campania, Napoli, Sez. II, 26 ottobre 2012, n. 4288; TAR Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, 29 giugno 2012, n. 463; Cons. Stato, Sez. I, 9 maggio 2012, n. 380. 15. Così, ad esempio, TAR Liguria, Sez. I, 17 gennaio 2011, n. 322; TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 23 dicembre 2010, n. 28002; TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 9 dicembre 2010, n. 4808; TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 19 luglio 2010, n. 3108; Cass., Sez. II, 27 ottobre 2009, n. 22688; Cass. pen., Sez. III, 21 ottobre 2008, n. 42521; TAR Veneto, Sez. II, 5 giugno 2008, n. 1667. 32 l’analisi meno di murature perimetrali, di strutture orizzontali e di copertura, tali da assolvere alle loro essenziali funzioni di delimitazione, sostegno e protezione dell’edificio15, e che “la demolizione del preesistente e la successiva ricostruzione devono essere contemplati dal titolo come due momenti di un singolo intervento, mentre non è possibile <ristrutturare> un edificio che già più non esiste per cause del tutto diverse dalla ristrutturazione in programma”16 Sempre per quanto attiene alle novità contenute nel “decreto del fare” in tema di ristrutturazione edilizia, va infine ricordato l’art. 23-bis (Autorizzazioni preliminari alla segnalazione certificata di inizio attività e alla comunicazione dell’inizio dei lavori), introdotto nel Testo unico dell’edilizia dall’art. 30, comma 1, lettera f), del d.l. n. 69/2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 98/2013. Tale disposizione stabilisce al comma 4 che “All’interno delle zone omogenee A) di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e in quelle equipollenti secondo l’eventuale diversa denominazione adottata dalle leggi regionali, i comuni devono individuare con propria deliberazione, da adottare entro il 30 giugno 2014, le aree nelle quali non è applicabile la segnalazione certificata di inizio attività per interventi di demolizione e ricostruzione, o per varianti a permessi di costruire, comportanti modifiche della sagoma”. Viene altresì precisato che: “Nelle restanti aree interne alle zone omogenee A) e a quelle equipollenti di cui al primo periodo, gli interventi cui è applicabile la segnalazione certificata di inizio attività non possono in ogni caso avere inizio prima che siano decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della segnalazione. Nelle more dell’adozione della deliberazione di cui al primo periodo e comunque in sua assenza, non trova applicazione per le predette zone omogenee A) la segnalazione certificata di inizio attività con modifica della sagoma”. Quest’ultima disposizione andrà indubbiamente raccordata con la nuova versione della l.r. n. 14/2009, che come più volte sottolineato individua nella denuncia di inizio attività il titolo abilitante la quasi totalità degli interventi dalla stessa legge disciplinati anche all’interno della zona territoriale omogenea “A”. Gli interventi di cui alla lettera a) della norma regionale La disposizione regionale in rubrica, nel testo risultante dalle modifiche apportatevi dall’art. 11 della l.r. n. 32/2013, precisa che nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia contemplati dall’articolo 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380/2001, devono farsi rientrare anche quelli che comportano integrale demolizione e ricostruzione “con il medesimo volume o con un volume inferiore”, innovando rispetto alla formulazione originaria, che riportava l’ulteriore condizione, ora soppressa, in base al quale l’intervento ricostruttivo doveva comunque esaurirsi “all’interno della sagoma del fabbricato precedente”. Sulla coerenza della norma regionale originaria rispetto alla norma statale di doverosa osservanza17 all’epoca della sua promulgazione non è più il caso d’insistere, limitandoci a rilevare che una cosa è l’identità della sagoma, requisito richiesto dalla disposizione statale fino 16. C osì TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 13 aprile 2011, n. 552. Conformi: Cass. Sez. II, 27 ottobre 2009, n. 22688; TAR Campania, Salerno, Sez. II, 7 ottobre 2009, n. 5578; TAR Veneto, Sez. II, 31 ottobre 2007, n. 3493. 17. C orte costituzionale, 23 novembre 2011, n. 309. 35 l’analisi al fabbricato oggetto di ricostruzione, non sembra tanto riferirsi ai suoi elementi strutturali, certamente realizzati ex novo, quanto alle dimensioni e, più in particolare, al volume dell’edificio, che può essere innovato/modificato nella misura in cui ciò sia coerente con l’adeguamento alla normativa antisismica. Peraltro, non si ravvisano ragioni ostative a qualificare come ristrutturazione edilizia un intervento di demolizione e ricostruzione di un edificio che ne mantenga la volumetria, salve le eccedenze strettamente connesse all’impiego di tecnologie finalizzate al risparmio energetico, che per altro verso il legislatore statale ha già fatto oggetto di misure di semplificazione e di agevolazione anche sotto il profilo della normativa urbanistico-edilizia.18 al 21 giugno 2013, altra cosa è una sagoma compresa all’interno di un’altra, ammettendosi, pertanto, che la prima possa essere d’ingombro planovolumetrico inferiore e, comunque, diversa rispetto a quella di riferimento. Quanto alla precisazione, riportata nella disposizione in rubrica, della finalizzazione degli interventi ivi previsti anche all’utilizzo di nuove tecniche costruttive, la stessa appare più ampia di quella esplicitata nel modello statale di riferimento, ove si menziona esclusivamente l’adeguamento alla normativa antisismica. Va, peraltro sottolineato che la norma statale, associando l’adeguamento antisismico alle “innovazioni” apportate Gli interventi di cui alla lettera b) della norma regionale Anche la lettera b) dell’art. 10, comma 1, della l.r. 14/2009 è stata modificata dall’art. 11 della l.r. n. 32/2013 esclusivamente per eliminarvi qualsiasi riferimento alla sagoma, e questo in evidente collegamento con analoga modifica apportata dal “decreto del fare” nella definizione della fattispecie di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione del fabbricato preesistente, contenuta all’art. 10, lettera c) del d.P.R. n. 380/2001, che assoggetta la ristrutturazione “pesante” a permesso di costruire. La disposizione in rubrica conserva, peraltro, quell’alone di “ambiguità” che l’ha contraddistinta sin dalla sua originaria previsione all’interno del provvedimento legislativo dedicato al Piano casa, ed al quale si è già fatto cenno già nel paragrafo introduttivo del presente commento. Infatti, la portata dichiaratamente generale della norma, peraltro incidentalmente riconosciuta da 18. C i si riferisce, in particolare, all’art. 11, comma 2, del d.lgs. 30 maggio 2008, n. 115, come modificato dall’art. 5, comma 2, del d.lgs. 29 marzo 2010, n. 56, in base al quale “Nel caso di interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti che comportino maggiori spessori delle murature esterne e degli elementi di copertura necessari ad ottenere una riduzione minima del 10 per cento dei limiti di trasmittanza previsti dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, e successive modificazioni, certificata con le modalità di cui al medesimo decreto legislativo, è permesso derogare, nell’ambito delle pertinenti procedure di rilascio dei titoli abitativi di cui al titolo II del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, a quanto previsto dalle normative nazionali, regionali o dai regolamenti edilizi comunali, in merito alle distanze minime tra edifici, alle distanze minime dai confini di proprietà e alle distanze minime di protezione del nastro stradale, nella misura massima di 20 centimetri per il maggiore spessore delle pareti verticali esterne, nonché alle altezze massime degli edifici, nella misura massima di 25 centimetri, per il maggior spessore degli elementi di copertura. La deroga può essere esercitata nella misura massima da entrambi gli edifici confinanti”. 36 l’analisi taluna giurisprudenza che se ne è occupata19, stride con l’alternativa delineata dalla normativa statale tra la ristrutturazione che si realizza attraverso un intervento ricostruttivo – ricompresa nella più ampia categoria della ristrutturazione “lieve” di cui all’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380/2001 – e la ristrutturazione attuata mediante un intervento conservativo – che può dar luogo anche ad una ristrutturazione “pesante” – disciplinata dal successivo art. 10, lettera c) e che consente modifiche al volume, ai prospetti ed alle superfici dell’edificio, ma non ne contempla la previa demolizione e successiva ricostruzione. Il legislatore regionale ha, invece, espressamente circoscritto la fattispecie che ha inteso disciplinare con l’art. 10, lettera b), della l.r. 14/2009 agli interventi di ristrutturazione con ampliamento (che secondo il Testo unico dell’edilizia è, al più, riconducibile alla ristrutturazione “conservativa”/“pesante”), ammettendone nel contempo la realizzazione mediante integrale demolizione e ricostruzione dell’edificio (intervento, invece, che il Testo unico riconduce alla ristrutturazione “ricostruttiva”/“lieve”, caratterizzata dal mantenimento della volumetria originaria). Trova, pertanto, conferma la considerazione anticipata nel paragrafo di apertura del presente commento, ovvero che una lettura costituzionalmente orientata della disposizione regionale non possa attribuirle il velleitario, oltre che illegittimo, obiettivo di riscrivere su scala regionale il perimetro e gli elementi costitutivi della fattispecie ristrutturazione edilizia - che restano quelli delineati dalla competente normativa statale quanto, piuttosto, quello di disciplinare alcuni profili critici connessi agli interventi di “sostituzione edilizia”. È questo, nella sostanza, il ragionamento sviluppato dal TAR Veneto nella più volte richiamata sentenza n. 1359/2011, ove – con riferimento all’art. 10, lettera b), della l.r. 14/2009 - afferma che “La disposizione … non contiene una diversa qualificazione giuridica dell’intervento, emergendo, ad un’attenta interpretazione, che ove la demolizione e ricostruzione avvenga con modifiche del volume e della sagoma l’intervento è, comunque, assoggettato a permesso di costruire. Con tale disposizione, infatti, il legislatore regionale ha inteso chiarire che, in tutti quei casi in cui sia possibile individuare, in esito ad un intervento di demolizione e ricostruzione, un corpo di fabbrica avente la medesima volumetria e sagoma di quello preesistente demolito al quale si aggiunge un ulteriore corpo di fabbrica che determina l’ampliamento contestuale dell’immobile, ai soli fini delle prescrizioni in materia di indici di edificabilità e di ogni ulteriore parametro di carattere quantitativo, il corpo di fabbrica riproduttivo del preesistente anche nella sagoma e nel volume viene assoggettato alla disciplina propria della ristrutturazione edilizia mentre quello ulteriore, integrante l’ampliamento, è valutato anche ai suddetti fini quale nuova costruzione.” Lo stesso approccio è riscontrabile nella pronuncia del TAR Liguria, Sez. I, 21 novembre 2013, n. 1406, che prende in esame un intervento di demolizione di un edificio con sua ricostruzione con volumetria aumentata (oltre che diversa sagoma), per il quale era stata invocata la disciplina del Piano casa della Regione Liguria. In tale sentenza si sottolinea che “un intervento edilizio, anche se assentito ai sensi dell’art. 6, l. n. 49 del 200920 (cd. Piano casa), consistente nella demolizione e successiva ricostruzione con diversa sagoma e diversa volumetria, integra gli estremi della nuova 19. TAR Veneto, Sez. II, 12 agosto 2011, n. 1359. 20. L.r. Liguria, 3 novembre 2009, n. 49 – art. 6 (Demolizione e ricostruzione con incremento volumetrico di edifici a destinazione residenziale). “1. I singoli edifici prevalentemente residenziali, o ad essi assimilabili quali residenze collettive, esistenti alla data del 30 giugno 2009 aventi una volumetria non superiore a 2.500 metri cubi e che necessitano di interventi di riqualificazione urbanistica, architettonica e/o ambientale, ai sensi dell’articolo 2, comma 1), lettera c), numeri 1) o 2) possono essere demoliti e ricostruiti con incremento fino al 35 per cento del volume esistente. Per gli edifici aventi volumetria superiore a 2000 metri cubi l’incremento massimo ammissibile non può superare i 700 metri cubi.” … omissis … Il successivo art. 7 è rubricato “Demolizione e ricostruzione con incremento volumetrico di edifici a destinazione diversa da quella residenziale”. 39 l’analisi costruzione e non della ristrutturazione mediante demolizione e successiva ricostruzione, e ciò a prescindere dall’espressa qualificazione normativa in termini di sostituzione edilizia21”. La questione interpretativa di maggiore criticità riguardante la norma in rubrica consiste, pertanto, nell’individuazione della corretta portata da attribuire all’espressione “sono considerati, ai fini delle prescrizioni in materia di indici di edificabilità e di ogni ulteriore parametro di carattere quantitativo, ristrutturazione edilizia”, riferita agli interventi di demolizione e ricostruzione degli edifici “per la parte in cui mantengono i volumi esistenti”, fattispecie contrapposta a quella costituita dalla “sola parte relativa all’ampliamento che rimane soggetta alle normative previste per tale fattispecie”. La circolare regionale n. 1/2011 - nel commentare l’art. 10, lettera b), della l.r. 11/2009 e riproponendo quanto già contenuto nella circolare n. 4/2009 - afferma sul punto che “La parte di edificio demolita e ricostruita con lo stesso volume e all’interno della sagoma originaria, mantiene una condizione privilegiata (per esempio, la possibilità di mantenere le distanze preesistenti) propria del fabbricato nella sua conformazione originaria, mentre l’ampliamento viene assoggettato alle eventuali più restrittive disposizioni pianificatorie vigenti”, attribuendo ampia portata all’espressione “parametro di carattere quantitativo” tanto da ricomprendervi anche il tema delle distanze. A tali conclusioni si è già pervenuti nelle precedenti edizioni del commentario alle leggi sul Piano casa del Veneto, sottolineando come la novità più rilevante apportata dalla norma in commento stia proprio nell’avere nettamente distinto due profili che spesso sono stati confusi tra loro ed hanno creato incertezza ed equivoci nella prassi: quello della qualificazione giuridica dell’intervento e quello dei riflessi dell’intervento sul piano dei diritti di vicinato e in genere del mantenimento della precedente condizione civilistica del bene. Viene, perciò, ridimensionata quella che in precedenza appariva una drastica alternativa tra ristrutturazione edilizia, intesa come recupero di un edificio esistente, e costruzione totalmente nuova. Ora un intervento consistente nella demolizione e ricostruzione con aumento volumetrico e/o conseguente modifica della sagoma - seppur qualificabile nel suo complesso come nuova costruzione ex art. 3, comma 1, lett. e.1), del D.P.R. n. 380/2001 - consente alla parte dell’edificio ricostruito con stesso volume e sagoma rispetto al preesistente di mantenere l’eventuale condizione privilegiata (per esempio, la deroga alle distanze minime) propria del volume originario, nella sua conformazione originaria, mentre per la parte che vi eccede (il vero e proprio “ampliamento”) lo assoggetta alle eventuali più restrittive disposizioni pianificatorie sopravvenute22. Secondo questa ricostruzione interpretativa, la dispo- 21.A norma dell’art. 8 (Sostituzione edilizia) della l.r. Liguria 6 giugno 2008, n. 16, sostituito dalla l.r. 5 aprile 2012, n. 9. “1. Si definiscono interventi di sostituzione edilizia quelli consistenti nella demolizione e successiva ricostruzione di edifici esistenti che necessitano di riqualificazione sotto il profilo urbanistico, paesistico, architettonico ed ambientale, non riconducibili nei limiti di cui all’ articolo 10, comma 2, lettera e) , e comportanti eventuale incremento della volumetria originaria. 2. Tali interventi: a) sono disciplinati dallo strumento urbanistico generale alla stregua degli interventi di nuova costruzione, fatta eccezione per l’indice di fabbricabilità o di utilizzazione insediativa, previa definizione dei parametri urbanistico-edilizi e dell’entità dell’eventuale incremento della volumetria esistente ammissibile entro soglie percentuali predeterminate dallo strumento urbanistico generale nei limiti di cui all’ articolo 10, comma 2, lettera f) , delle modalità di attuazione e delle prestazioni di opere di urbanizzazione da osservare nella ricostruzione. La ricostruzione può essere prevista nello stesso lotto di proprietà, ovvero nella zona o ambito omogeneo in cui è localizzato l’immobile originario, o in altra specifica zona o ambito individuati come idonei dallo strumento urbanistico e comunque in conformità alle indicazioni del vigente PTCP; b) devono rispettare le normative in materia igienico-sanitaria, di risparmio energetico, di stabilità e di sicurezza degli edifici e ogni altra normativa di settore prescritta per gli interventi di nuova costruzione”. 22 Sembra in questa sede opportuno rammentare che la regola “tradizionale” - per la quale nel caso di “fedele” ricostruzione può essere conservata la condizione di favore costituita dalla ricostruzione alla distanza, inferiore a quella minima, che già caratterizzava il fabbricato demolito – soffre un’esplicita deroga per quanto attiene alla distanza dalle strade. Infatti, l’art. 26, comma 3, del d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 (Regolamento del nuovo Codice della strada), relativo alle 40 l’analisi sizione regionale in commento si allinea alla più accreditata ed autorevole giurisprudenza della Corte di cassazione, per la quale, nel caso di ricostruzione di edificio demolito, con aumento della relativa volumetria e delle superfici occupate rispetto all’originaria sagoma d’ingombro, “si verte in ipotesi di <nuova costruzione>, da considerare tale, ai fini del computo delle distanze rispetto agli edifici contigui come previste dagli strumenti urbanistici locali, nel suo complesso, ove lo strumento urbanistico rechi una norma espressa con la quale le prescrizioni sulle maggiori distanze previste per le nuove costruzioni siano estese anche alle ricostruzioni, ovvero, ove una siffatta norma non esista, solo nelle parti eccedenti le dimensioni dell’edificio originario”23. È, peraltro, corretto segnalare che altra giurisprudenza sostiene che “la semplice ristrutturazione si verifica ove gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano e, all’esito degli stessi, rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura, mentre è ravvisabile la ricostruzione allorché dell’edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti, e l’intervento si traduce nell’esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio, e, in particolare, senza aumenti della volumetria né delle superfici occupate in relazione alla originaria sagoma di ingombro; in presenza di tali aumenti, si verte, invece, in ipotesi di nuova costruzione, da considerare tale, ai fini del computo delle distanze rispetto agli edifici contigui come previste dagli strumenti urbanistici locali, nel suo complesso”.24 Personalmente si propende per la prima soluzione interpretativa – oltre tutto fatta propria dalla stesse circolari regionali volte a fornire indirizzi applicativi della specifica norma in commento – capace di offrire un evidente, quanto significativo, incentivo alle operazioni di “sostituzione” del patrimonio edilizio esistente, configurando, altresì, una deroga alle eventuali previsioni di piano recanti disposizioni di tenore contrario. La nuova previsione contenuta nella lettera b-bis) della norma regionale È, questa, una disposizione formalmente del tutto nuova, in virtù della quale “negli interventi di ristrutturazione edilizia la ricostruzione a seguito della demolizione può avvenire anche su area di sedime parzialmente diversa, purché ciò non comporti una modifica sostanziale della localizzazione dell’edificio nell’ambito del lotto di pertinenza. In caso di interventi ubicati nelle zone di protezione delle strade e nelle zone vincolate come inedificabili dagli strumenti urbanistici generali, la ricostruzione è consentita anche in area adiacente, purché al di fuori della fascia di rispetto o dell’area inedificabile”. Come si può agevolmente constatare, la norma si occupa dell’area di sedime nella quale può avere luogo fasce di rispetto fuori dai centri abitati, e l’art. 28, comma 1, per le medesime fasce di rispetto all’interno dei centri abitati, precisano che le distanze minime fissate da tali norme con riferimento alle diverse tipologie stradali devono essere rispettate “nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni integrali e conseguenti ricostruzioni o negli ampliamenti fronteggianti le strade”. 23 Così Cass. civ., Sez. Unite, 19 ottobre 2011, n. 21578; Cass. civ., Sez. II, 27 aprile 2006, n. 9637; Id. 15 luglio 2003, n. 11027; Id. 26 ottobre 2000, n. 14128. 24 Così Cons. Stato, Sez. V, 11 giugno 2013, n. 3221; Cons. Stato, Sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 844. 41 l’analisi la ricostruzione dell’edificio demolito nell’esecuzione di un intervento di ristrutturazione edilizia, argomento che trovava un’espressa trattazione nell’originaria formulazione dell’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380/2001 – che prescriveva l’identità dell’area di sedime del fabbricato ante demolizione rispetto a quella del fabbricato post ricostruzione – ma che successivamente veniva ignorato dal diritto positivo a seguito della modifica apportata alla citata disposizione del Testo unico dell’edilizia ad opera dell’art. 1 del d.lgs. 27 dicembre 2002, n. 301. Si è già dato conto, nel paragrafo 2 del presente commento, dell’autorevole orientamento giurisprudenziale caratterizzato dalla sostanziale conferma del requisito dell’identità dell’area di sedime, così come della più elastica posizione interpretativa assunta dal Ministero delle infrastrutture e trasporti con la circolare del 7 agosto 2003, n. 4174. È qui il caso di segnalare che nella circolare n. 4/2009 – d’interpretazione del primo Piano casa del Veneto – la Regione, nel commento all’art. 3 del- la l.r. 14/2009, afferma che “Per quanto concerne la localizzazione dell’edificio ricostruito si evidenzia che esso, fatte salve le variazioni conseguenti all’ampliamento, deve mantenere un rapporto con la sua localizzazione originaria, con esclusione quindi della possibilità di ricomporre il volume in altra posizione, quantunque nella stessa area di proprietà”. Nella successiva circolare n. 1/2011 – d’interpretazione del secondo Piano casa del Veneto – la stessa Regione, sempre a commento dell’art. 3 della l.r. 14/2009, come modificato dalla l.r. 13/2011, impiega un’espressione più sfumata sostenendo che “Per quanto poi concerne la localizzazione dell’edificio ricostruito, ove integralmente demolito, si evidenzia che esso, fatte salve le variazioni conseguenti all’ampliamento, deve mantenere un rapporto con la sua localizzazione originaria, utilizzando almeno parzialmente il vecchio sedime”, sostituendo la necessaria, totale, identità dell’area di sedime con la sufficienza di un’identità anche soltanto parziale.25 La nuova disposizione regionale sembra riprendere l’indirizzo interpretativo espresso dal TAR Veneto nella sentenza 8 novembre 2012, n. 1362, laddove si legge che “Risulta ammissibile anche la <traslazione> operata in sede di ricostruzione, nello stesso lotto, del manufatto di cui si tratta e, ciò, considerando come la Circolare n. 4174/2003 del Ministero delle Infrastrutture ha espressamente ammesso la legittimità della traslazione dell’immobile, proprio all’interno di uno stesso lotto e, ciò, nella parte in cui si è affermato che per quanto attiene l’interpretazione della nozione della stessa <area di sedime> deve ritenersi che il Legislatore abbia voluto impedire che il posizionamento dell’immobile all’interno di uno stesso lotto (eventualità legittima) avvenga in maniera del tutto <discrezionale>”. Conseguentemente, l’espressione adoperata dal legislatore regionale, laddove consente la ricostruzione dell’edificio “anche su area di sedime parzialmente diversa, purché ciò non comporti una modifica sostanziale della localizzazione dell’edificio nell’ambito del 25 R ichiama espressamente le due circolari regionali di cui sopra Cons. Stato, Sez. IV, 8 luglio 2013, n. 3596, che trae argomento per concludere che “perché l’operazione complessiva (demolizione e ricostruzione) possa essere giudicata conforme a legge, il nuovo sedime debba serbare una relazione effettiva e concreta rispetto a quello precedente”. 42 l’analisi lotto di pertinenza”, va interpretata in modo coerente con le indicazioni contenute nella ricordata circolare ministeriale n. 4174/2003, ritenendo compatibili con la figura della ristrutturazione edilizia le “modifiche di collocazione rispetto alla precedente area di sedime, sempreché rientrino nelle varianti non essenziali”. Nel Veneto, l’individuazione delle varianti essenziali (e, quindi, per differenza, di quelle non essenziali) al titolo edilizio è ancora contenuta nell’art. 92 della l.r. 27 giugno 1985, n. 61, che al terzo comma, lettera c), qualifica come tali gli interventi “che comportino l’alterazione della sagoma della costruzione o la sua localizzazione nell’area di pertinenza, in modo da violare i limiti di distanza, anche a diversi livelli di altezza, recando sensibile pregiudizio alle esigenze della zona sotto il profilo igienico-sanitario, degli allineamenti previsti e dell’ordinata distribuzione dei volumi”. Si ricorda che, come segnalato nella nota 2 del presente commento, la l.r. n. 16/2003 ha confermato la vigenza e l’applicabilità delle disposizioni contenute nel Titolo V della l.r. n. 61/1985, qualora non in contrasto con i principi fondamentali desumibili dal Testo unico dell’edilizia, mentre l’art. 49, comma 1, lettera e) della l.r. 11/2004, ha espressamente sottratto all’abrogazione, tra gli altri, proprio gli articoli della l.r. n. 61/1985 dedicati alla disciplina dell’attività edilizia, tra i quali vi è anche l’art. 92, relativo alle variazioni essenziali. Ne consegue che potranno ritenersi coerenti con la categoria della ristrutturazione edilizia le ricostruzioni di edifici demoliti ancorché ne venga parzialmente modificata l’area di sedime, purché la mutata localizzazione insista pur sempre nella medesima area di pertinenza (da intendersi quale unicità del lotto), senza violare le distanze minime rispetto ai confini ed alle eventuali costruzioni limitrofe e purché non venga arrecato “pregiudizio alle esigenze della zona sotto il profilo igienico-sanitario, degli allineamenti previsti e dell’ordinata distribuzione dei volumi”. L’interpretazione testé illustrata sembra, del resto, trovare indiretta conferma anche da quanto stabilito nel nuovo comma 3 dell’art. 3 della l.r. n. 14/2009, in base al quale “Gli interventi di cui al comma 2 (ndr.: rinnovamento del patrimonio edilizio mediante demolizione e ricostruzione degli edifici, c.d. “sostituzione edilizia”), qualora comportino una ricomposizione planivolumetrica che comporti una modifica sostanziale con la ricostruzione del nuovo edificio su un’area di sedime completamente diversa, sono assentiti, in deroga all’articolo 6, mediante rilascio del permesso di costruire ...”. In tale ipotesi, nella quale non ricorre il fenomeno della ristrutturazione edilizia, la ricostruzione dell’edificio è consentita anche “su un’area di sedime completamente diversa”, dove l’avverbio completamente si contrappone al parzialmente adoperato nell’art. 10, comma 1, lett. b-bis), dedicato alla demolizione e ricostruzione ascrivibile pur sempre alla categoria d’intervento ristrutturazione edilizia. Le condizioni sopra riassunte mutano qualora il fabbricato oggetto di ristrutturazione edilizia mediante sua demolizione e ricostruzione sia collocato nelle zone di protezione delle strade e/o nelle zone vincolate come inedificabili dagli strumenti urbanistici generali, nel qual caso l’ultima parte della nuova lettera b-bis) stabilisce che “la ricostruzione è consentita anche in area adiacente, purché al di fuori della fascia di rispetto o dell’area inedificabile”. Mentre il riferimento alle zone di protezione delle strade sembra identificarsi con le fasce di rispetto stradale di cui agli artt. 16, 17 e 18 del Codice della Strada (d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 e s.m.) ed agli art. 26, 27 e 28 del Regolamento del Codice della Strada (d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 e s.m.), più problematico e generico appare il richiamo alle zone 45 l’analisi vincolate come inedificabili dagli strumenti urbanistici generali. In attesa di chiarimenti autorevoli sul punto, ci si limita ad osservare che: relativamente alle zone agricole, l’art. 48, comma 7-ter, lettera e), della l.r. n. 11/2004, stabilisce che “per le costruzioni non oggetto di tutela da parte del vigente piano regolatore generale ubicate nelle zone di protezione delle strade di cui al DM 1° aprile 1968, n. 1404 e in quelle di rispetto al nastro stradale e alle zone umide vincolate come inedificabili dagli strumenti urbanistici generali, sono consentiti gli interventi di cui alla lettera d) del comma 1 dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, compresa la demolizione e la ricostruzione in loco oppure in area agricola adiacente, sempre che non comportino l’avanzamento dell’edificio esistente sul fronte stradale o sul bene da tutelare”26; l’art. 13, comma 1, lettera h), della l.r. n. 11/2004 demanda al Piano di assetto del territorio (PAT) la disciplina, tra l’altro, anche delle zone di tutela e della fasce di rispetto in conformità all’art. 41 della stessa legge regionale; l’art. 17, comma 1, lettera j), della l.r. n. 11/2004, denotando un’evidente mancanza di coordinamento con la disposizione appena menzionata, demanda la stessa disciplina (anche) al Piano degli interventi (PI). l’art. 41 della l.r. 11/2004 individua le zone di tutela, elencate nel comma 1, mentre rinvia alle “specifiche disposizioni vigenti in materia” per quanto attiene alla definizione e regolamentazione delle fasce di rispetto finalizzate alla tutela dei beni, infrastrutture e servizi. 26 Disposizione sostanzialmente ripetitiva di quella collocata nell’art. 7 della l.r. 5 marzo 1985, n. 24. 46 Fiorenza Conti È rinato Palazzo Chiericati, il Museo della città Palazzo Chiericati ha riaperto al pubblico, dopo un restauro durato tre anni. È stato completato il restauro della parte principale del complesso museale, edificio della prima maturità di Palladio, mentre proseguono invece i lavori nelle due restanti ali della sede della pinacoteca. I l Museo, sospeso tra storia e cultura, è l’opera di architettura in cui una città dovrebbe identificarsi. Indubbiamente ora, ancor più di prima, Vicenza può essere fiera di identificarsi e di essere rappresentata del suo museo, dal quale esce un’immagine prestigiosa, aulica, imponente. Un altro restauro dunque riconsegna un edificio palladiano a cittadini e turisti ancor più bello: più illuminato, più leggibile, più completo, più vivibile, più innovativo. È anche più accogliente, Palazzo Chiericati (sede del museo civico dal 1855), ora che, dopo tre anni, ha riaperto al pubblico il 22 dicembre scorso. Il restauro implica ovviamente anche un adeguamento fun- zionale e il riallestimento espositivo dell’intera pinacoteca. Questa “villa suburbana”, progettata nel 1550 per la Famiglia Chiericati, permeata di aria e di luce, ricca di valori atmosferici e cromatici, si presenta al tempo stesso come maestoso fronte urbano che riecheggia, nel doppio ordine di logge, le ali porticate di un antico foro romano. Nella sua sezione palladiana, il visitatore potrà godere delle opere dei secoli XVI e XVII, coeve alla realizzazione dell’edificio, secondo un progetto museografico che ha voluto legare contenuto e contenitore in modo storicamente plausibile. Nella stessa logica rientra il recupero, anche dal punto di vista filologico, dei seminterrati cinque- 48 Un altro restauro dunque riconsegna un edificio palladiano a cittadini e turisti ancor più bello: più illuminato, più leggibile, più completo, più vivibile, più innovativo. È anche più accogliente, Palazzo Chiericati (sede del museo civico dal 1855), ora che, dopo tre anni, ha riaperto al pubblico. restauro In apertura, Palazzo Chiericati, sede del Museo Civico, dopo il restauro. Qui sotto, la cerimonia inaugurale avvenuta lo scorso 22 dicembre. In basso il piano nobile, con il salone centrale visto da sud verso nord. Alle pareti la quadreria riordinata; parte è patrimonio dell’edificio, parte proviene da altri palazzi cittadini seicenteschi, ovvero cucina, cantine, pozzo, che, oltre a dotare il museo di nuovi spazi, consentono la lettura della fase genetica della costruzione e offrono un’inedita storia del palazzo. Per la parte scientifica e museografica, il progetto è stato curato da Maria Elisa Avagnina, già direttrice dei musei civici, per la parte architettonica dall’architetto Emilio Alberti, per l’allestimento dallo scenografo Mauro Zocchetta. A livello costruttivo, da luglio, avevano preso in consegna i lavori l’Associazione temporanea di imprese Coima e So.Ge.Di.Co. Il costo complessivo sarà di circa 8,5 milioni di euro, di cui circa 3,7 milioni per l’ala monumentale, 2,3 milioni per l’ala ottocentesca e 2,5 milioni per l’ala novecentesca. Per il progetto complessivo sono già stati concessi contributi dalla Fondazione Cariverona per 4,3 milioni di euro, dalla Società Autostrada Brescia-Padova per 620 mila euro e dai Fondi europei (Por) erogati tramite la Regione Veneto per 1,2 milioni di euro. La Pinacoteca e il percorso È stato completato dunque il restauro della parte principale del complesso museale, edificio della prima maturità di Palladio, mentre proseguono invece i lavori nelle due restanti ali della sede della pinacoteca. Al piano terreno, in attesa della conclusione dei lavori, il visitatore ammirerà una selezione di capolavori delle raccolte civiche: Paolo Veneziano, Memling, Montagna, Fogolino, Sansovino, Veronese, Tintoretto, Maffei e Pittoni. Al piano nobile, invece, nelle prime due sale del percorso sono collocati i ritratti degli aristocratici vicentini del ‘500: Porto, Valmarana, Gualdo. Segue la sala dedicata alla Memoria dell’Antico, una sorta di Wunderkammer. Segue il salone d’onore, allestito come una quadreria di palazzo, che espone dipinti di Carpioni, Giordano, 51 restauro In questa pagina i sotterranei, murature e volte portanti del palazzo restaurate. Qui sono ospitate alcune opere dello scultore Nereo Quagliato donate di recente alla città Bellucci, Liberi e Lazzarini a soggetto mitologico e allegorico provenienti da grandi collezioni private donate al museo nel corso dell’ottocento. Concludono il percorso le tre stanze affacciate su corso Palladio dedicate alla pittura barocca di tema religioso e ai generi della natura morta e del paesaggio. Nelle tre stanze del sottotetto dell’ala nord, ambientata in un suggestivo allestimento di “casa-museo”, è collocato il lascito del marchese Giuseppe Roi costituito da dipinti, disegni e incisioni dal XV al XX secolo. Al piano interrato hanno trovato “casa” le sculture della donazione Nereo Quagliato. “Del migliaio di opere del patrimonio del museo – precisa la dottoressa Avagnina - ne sono esposte circa 150, tra dipinti, statue e arti applicate. Una volta completato il restauro di tutto il complesso museale, saranno invece addirittura circa 500 le opere esposte”. Il restauro e gli interventi “Il progetto di restauro, che quanto prima ci auguriamo di completare, ha già impegnato l’amministrazione per dieci anni – commenta il vicesindaco e assessore alla crescita Jacopo Bulgarini d’Elci –, con l’obiettivo ambizioso di voler restituire alla città e al mondo, in tutta la sua bellezza, uno dei musei più straordinari d’Italia. Sarà nostro impegno inoltre ridare unitarietà alla piazza, con la pedonalizzazione dell’area attualmente adibita a parcheggio, ricreando idealmente il legame originario fra i due gioielli palladiani, Palazzo Chiericati e Teatro Olimpico. Il sogno è arrivare un giorno ad avere una copertura trasparente del cortile interno del palazzo: un segno di contemporaneità, come già è stato fatto al British Museum o al Louvre, che possa ampliare gli spazi funzionali del museo per conferenze, concerti, appuntamenti culturali in genere. Ma l’idea è ancora embrionale, tant’è che ancora non ne abbiamo discusso con la Soprintendenza”. Gli interni dell’edificio palladiano, dal 2009 oggetto di intervento, presentavano situazioni differenziate: quelli adibiti a spazio espositivo erano in condizioni di conservazione sufficienti, ma carenti dal punto di vista impiantistico; mentre interi piani erano completamente degradati e non utilizzabili, come gli interrati e i sottotetti. Il criterio ispiratore del progetto, che ha determinato radicali lavori di recupero e rifunzionalizzazione, ha riportato l’originaria fisionomia di dimora patrizia, sia attraverso il recupero di tutti gli spazi interni inutilizzati, aumentando così gli spazi espositivi, sia ripristinando l’integrità del corpo architettonico palladiano con l’apertura di due varchi, uno al piano terra e uno al piano nobile, e con la costruzione del collegamento “a ponte” creato tra i due corpi di fabbrica contigui. Per tutte le finestre dell’edificio sono state realizzate nuove vetrate a piombo, su disegno d’epoca; inoltre, sono stati installati un nuovo impianto illuminotecnico e strutture di allestimento (pannelli didattici e bacheche per i testi già 52 restauro Una parte del progetto di recupero del palazzo resta da completare: qui sotto, i rendering del piano terra (sulla parete di fondo tre statue provenienti dall’oratorio di San Marcello, ora liceo Pigafetta) e, sotto, il piano ammezzato predisposti in versione bilingue italiano-inglese), che costituiscono un supporto didattico volutamente sobrio e raffinato. I lavori hanno interessato anche il giunto di collegamento tra l’ala palladiana e quella novecentesca. Per rendere infatti il palazzo accessibile a tutti, era necessario realizzare un ascensore, cui si è trovata sistemazione nel giunto di collegamento-separazione, che va così a confermare la funzione di snodo riscontrata anche nell’antico edificio bombardato e ricostruito nel dopoguerra. Il giunto è stato progettato pensando ad un elemento contemporaneo, vera cesura formale e spaziale tra i due fabbricati e nodo dei percorsi di visita per i tre edifici: palladiano, novecentesco e ottocentesco. Dal giunto infatti parte un corpo vetrato di collegamento con l’ala ottocentesca, che ne garantisce la connessione funzionale e consente poi l’eliminazione del ponte realizzato nei primi anni del Novecento (e ampliato negli anni ’50), definito a suo tempo “vagone ferroviario” dal prof. Renato Cevese. Nella costruzione del giunto, creato anche per isolare i due fabbricati in funzione antisismica, i rinvenimenti archeologici hanno determinato variazioni del progetto al fine di valorizzare i reperti stessi. Il giunto infine avrà anche funzioni espositive: sarà infatti integrato al percorso museale con l’esposizione di tre statue. Concluso infine l’intervento al deposito delle opere d’arte, ubicato nei sottotetti del settore sud e allestito con rastrelliere metalliche a compattamento che, ottimizzando lo spazio disponibile, assicurano una superficie espositiva di circa 400 mq, rispondono in modo efficace ed efficiente alle esigenze di corretta conservazione e agevolano eventualmente la consultazione a richiesta del patrimonio artistico non esposto. Nell’ambito del progetto al piano terra è stato anche ricavato uno spazio polifunzionale a servizio della Direzione Musei, dotato all’occorrenza di accesso indipendente direttamente dalla piazza e dotato di un gruppo di servizi igienici. Al piano seminterrato hanno trovato posto i vani tecnici che accoglieranno al loro interno gli impianti tecnologici di trattamento dell’aria. “A gennaio inizieranno gli interventi veri e propri dell’ala novecentesca e dell’ala ottocentesca, entrambi curati dal Settore Lavori pubblici e grandi opere del Comune, per il completo rinnovamento del museo – dice l’assessore alla cura urbana, Cristina Balbi -. L’intervento, che si concluderà entro dicembre 2014, prevede lo svuotamento dell’edificio per il rifacimento totale dell’articolazione interna. Il principio che governa la progettazione dell’ala novecentesca è l’adattamento del ‘contenitore’ ai suoi ‘contenuti’ -, ovvero le opere che costituiscono il patrimonio storico artistico del museo. L’obiettivo è infatti assicurare al piano terreno e al piano primo le dimensioni e le caratteristiche per uno spazio espositivo permanente. E la demolizione dell’edificio esistente, prevista a breve, non appena saranno stati eseguiti i ponteggi di forza per il sostegno della facciata, comporterà la ricostruzione dei volumi nel rispetto della normativa antisismica”. 55 NOTIZIARIO DEI COSTRUTTORI Appalti pubblici: a partire dal 1° gennaio 2014 rideterminate le soglie di applicazione della disciplina comunitaria La Commissione Europea ha modificato le soglie comunitarie per le gare di lavori, servizi e forniture, al di sopra delle quali è necessario applicare la disciplina europea. La modifica sarà operativa a partire dal 1° gennaio 2014. La Commissione Europea, con regolamento 13 dicembre 2013, n. 1336/2013 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Europea del 14 dicembre 2013, n. L. 335/17), ha modificato le direttive 2004/18/ CE (riguardanti gli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi nei “settori ordinari”) e 2004/17/CE (riguardanti gli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi nei “settori speciali”), attuate attraverso il Codice dei Contratti Pubblici, relativamente ai valori delle soglie, al di sopra delle quali è applicabile la disciplina contenuta nelle medesime, con maggiori obblighi di pubblicità e regole di competizione più severe. Per i lavori la soglia sale a 5.186.000,00 di euro (anziché 5.000.000,00 euro), per i servizi e le forniture a 207.000,00 euro (anziché 200.000 euro). Essendo il regolamento direttamente cogente per gli Stati membri dell’Unione, a decorrere dal 1° gennaio 2014 le vecchie soglie dovranno ritenersi sostituite dalle nuove, come disposto dall’art. 4 del citato regolamento. Da tale data i bandi delle stazioni appaltanti dovranno essere adeguati ai nuovi valori. xpo 2015: attivo il CaE talogo per i Partecipanti EXPO 2015 SpA ha lanciato il “CATALOGO PER I PARTECIPANTI AD EXPO 2015”, attraverso il quale le imprese possono mettersi in contatto con i Paesi partecipanti ad EXPO e fornire supporto per la progettazione, costruzione ed allestimento dei padiglioni. L’investimento complessivo per tali attività è stimato in circa 1 miliardo di euro. Il catalogo, alla progettazione del quale Confindustria ha collaborato con Expo 2015 Spa, insieme alle Associazioni di categoria maggiormente coinvolte, è configurato come una piattaforma telematica per mettere in contatto i Paesi partecipanti ad EXPO 2015 con le imprese potenzialmente interessate alla fornitura di lavori, beni e servizi. In particolare, il Catalogo • è aperto a tutte le imprese italiane iscritte al Registro delle imprese; • incentiva l’aggregazione delle imprese, secondo le forme previste dalla normativa (consorzi, reti d’impresa, R.T.I., etc.); • permette alle imprese di presentarsi ai (Paesi) partecipanti attraverso sistemi di ricerca (filtri/ricerche per parola) che ne visualizzano le caratteristiche distintive; • sarà realizzato in 3 lingue ufficiali (italiano, inglese e francese). Le imprese avranno accesso al catalogo attraverso il sito web di Expo 2015 oppure direttamente attraverso il link: http://fornitori. expo2015.org. Categorie merceologiche Le imprese si presentano per le cate- 56 gorie merceologiche corrispondenti al loro codice ATECO. L’implementazione del Catalogo da parte delle aziende è suddivisa in due fasi: 1) una prima, già operativa, aperta a categorie prioritarie*, relative alla progettazione, costruzione e preparazione dei padiglioni: • Progettazione (architettura, ingegneria-strutture, esperti, ingegneria-impianti, ingegneria, mobilità, verde, cantiere) • Costruzione (edilizia, impianti) • Fornitura (materiali da costruzione, allestimenti e arredo, impianti, verde, prodotti per la gestione dell’evento) • Servizi (servizi di progettazione e costruzione) * L’elenco completo è disponibile sulla home page del Catalogo. 2) U na seconda fase, che sarà operativa nel corso del 2014, per le categorie relative alla gestione della presenza all’Evento (es. servizi di comunicazione, eventi, viaggi, catering, traduzione, manutenzione, food & beverage, stampa). Il Catalogo per i Partecipanti non è una piattaforma di eProcurement ma rappresenta un database accessibile ai Paesi Partecipanti attraverso il sistema utilizzato da Expo 2015 Spa per gestire le relazioni e lo scambio informativo con i Partecipanti Ufficiali (Participant Data Management System). Attraverso la piattaforma i Paesi potranno selezionare i propri fornitori con diversi sistemi di ricerca (categorie/filtri/ricerche per parola) e le aziende iscritte al catalogo potranno essere contattate dai Paesi, notiziario ricevendo richieste tramite il sistema di messaggistica predisposto. Sulla piattaforma saranno disponibili ai Paesi anche la Guida dei Partner di Expo 2015 (le aziende che hanno siglato partnership onerose con Expo) e il Catalogo SIExpo2015 (www.siexpo2015. it), dedicato a prodotti e materiali ecosostenibili e innovativi relativi ai settori di costruzioni e allestimenti, arredo per interni, arredo urbano, packaging e complementi fieristici. Sintesi della procedura di registrazione: 1. Registrazione attraverso il dispositivo di firma digitale, consultando la guida all’iscrizione e ricevimento e.mail di conferma dell’avvenuta registrazione. 2. Selezione della fascia di fatturato dell’azienda. 3. Conferma dei dati anagrafici caricati automaticamente dal Registro delle Imprese. 4. Accettazione del Regolamento di utilizzo. 5. Pagamento di una fee variabile a seconda del fatturato annuo aziendale: - 100 euro per fatturato 0-2 milioni euro (micro impresa) - 300 euro per fatturato compreso tra 1 e 50 milioni (piccole-medie imprese) - 500 per fatturato maggiore di 50 milioni (grandi imprese) 6. Completamento del profilo aziendale attraverso l’inserimento di descrizioni delle caratteristiche distintive auto dichiarate o prelevate da banche dati (certificazioni, presenza di sistemi di gestione integrata, esperienze in grandi eventi, altre Expo in- ternazionali), link a video e siti aziendali. Sul sito di Expo 2015 Spa sono disponibili: • La guida all’Iscrizione; • Il Regolamento; • L’elenco delle categorie merceologiche. Si rammenta, inoltre, che per favorire un costante e completo aggiornamento sulle iniziative in corso ed agevolare un coinvolgimento del sistema imprenditoriale nella concreta realizzazione di Expo 2015, Confindustria ha promosso il “Progetto speciale EXPO 2015”, nel cui ambito è stata di recente attivata una nuova sezione dedicata, presente sul sito di Confindustria. A questa sezione si accede tramite un apposito banner, presente sul sito confederale ed integrato - per praticità di utilizzo - nella pagina principale del portale di Confindustria Vicenza (link), ed è liberamente accessibile da parte delle imprese associate previa autenticazione con gli stessi username e password utilizzati per accedere al sito di Confindustria Vicenza (si avvisa che la libera navigazione potrà avvenire soltanto all’interno dell’area Expo 2015). La principale attrattiva della piattaforma è rappresentata dalla “Newsletter Appalti Expo 2015”, una rassegna mensile che fornisce una serie di informazioni dettagliate sugli affidamenti in corso e in pubblicazione, cui gli interessati possono abbonarsi gratuitamente. In tal modo, sarà possibile per le imprese interessate disporre di un aggiornamento “in tempo reale” sulle opportunità di lavoro generate da Expo 2015. 59 L avori pubblici: sei mesi per le nuove norme in materia di categorie specialistiche Nelle more della revisione del sistema di qualificazione nelle categorie specializzate e superspecializzate e comunque fino al 30 settembre 2014, l’impresa qualificata nella categoria prevalente potrà eseguire direttamente solo le lavorazioni per le quali è in possesso della relativa qualificazione. Il decreto del Presidente della Repubblica 30 ottobre 2013, recependo il parere del Consiglio di Stato 16 aprile 2013, n. 3014, ha abrogato gli articoli 109, comma 2 (in relazione all’allegato A e, in particolare, alla “tabella sintetica allegato A”), 107, comma 2, 85, comma 1, lett. b, numeri 2 e 3, del d. P. R. 207 del 2010, regolamento di esecuzione del Codice dei Contratti Pubblici, con efficacia a partire dal 14 dicembre 2013, cancellando le categorie “superspecializzate” ed il concetto di “qualificazione obbligatoria” riguardante talune categorie specialistiche dell’allegato A, per le quali l’articolo 109, comma 2, prevedeva la non eseguibilità diretta da parte dell’impresa affidataria se qualificata per la sola categoria prevalente. Il recente provvedimento ha aperto un vuoto legislativo, sul quale è intervenuto l’art. 3, comma 9, del decreto Legge 30 dicembre 2013, n. 151, cd. “salva Roma bis”, ai sensi del quale, entro sei mesi dall’entrata in vigore dello stesso (entro, quindi, il 30 giugno 2014), il legislatore deve riscrivere la disciplina abrogata. Contestualmente, il comma in commento dispone anche il regime tran- sitorio, precisando che, “nelle more dell’adozione delle disposizioni regolamentari sostitutive, continuano a trovare applicazione, in ogni caso non oltre la data del 30 settembre 2014, le regole previgenti”. Il riferimento alle “regole previgenti” non risulta di univoca interpretazione, potendo alternativamente riferirsi sia alle norme del d. P. R. n. 554 del 1999 (previgenti rispetto a quelle annullate con il provvedimento del 30 ottobre 2013); sia a quelle del d. P. R. n. 207 del 2010, coperte da tale annullamento. Sul piano sostanziale, peraltro, solo quest’ultima interpretazione risulta concretamente percorribile, con la conseguenza che l’intervento normativo di chiarimento rende nuovamente applicabili le disposizioni del d. P. R. n. 207 del 2010, abrogate con il provvedimento dell’ottobre 2013. Ne consegue che, nelle more della revisione e comunque fino al 30 settembre 2014, l’impresa qualificata nella categoria prevalente potrà eseguire direttamente anche le categorie specialistiche e superspecialistiche unicamente se in possesso delle relative qualificazioni. Appalti pubblici: pagamento diretto ai subappaltatori per il completamento dell’opera Il Decreto “destinazione Italia” ha introdotto alcune modifiche al Codice dei Contratti pubblici, stabilendo, in particolare, la possibilità per la stazione appaltante di disporre il pagamento diretto in favore dei subappaltatori e dei cottimisti anche se non espressamente previsto nel bando di gara. È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 23 dicembre 2013, n. 300, il decreto Legge 23 dicembre 2013, n. 145, “destinazione Italia”, ad oggi in attesa di conversione. Di seguito si evidenziano le principali disposizioni di interesse per il settore dei lavori pubblici: CONTRATTI PUBBLICI IN FORMA ELETTRONICA L’articolo 6, comma 3, del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito in legge 17 dicembre 2012, n. 221, cd. decreto sviluppo II, ha modificato l’articolo 11, comma 13, del d. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, Codice dei Contratti Pubblici, stabilendo che “il contratto è stipulato, a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura dell’Ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice o mediante scrittura privata” (La disposizione è in vigore dal 1 gennaio 2013). L’articolo 6, comma 6, del decreto “destinazione Italia”, modifica l’articolo 6, comma 4, del decreto sviluppo, stabilendo che l’obbligo della forma elettronica, a pena di nullità, decorre: • dal 30 giugno 2014 per i contratti stipulati in forma pubblica amministrativa; • dal 1 gennaio 2015 per i contratti stipulati mediante scrittura privata. Si ritiene che la riscrittura della norma non abbia solo una valenza di differimento dell’obbligo della forma elettronica, ma chiarisca l’obbligatorietà della stessa anche per la scrittura privata. L’Autorità di Vigilanza per i Contratti Pubblici aveva precisato, con deter- 60 minazione 13 febbraio 2013, n. 1 (si veda la notizia citata), la legittimità del ricorso alla forma cartacea in luogo di quella elettronica in caso di scrittura privata. Il legislatore, fissando un apposito termine per l’applicazione della forma elettronica ai contratti stipulati mediante scrittura privata, chiarisce in via definitiva l’obbligatorietà della stessa. Si ricorda che l’articolo 334, comma 2, del d. P. R. 5 ottobre 2012, n. 207, regolamento di attuazione del Codice dei Contratti Pubblici, precisa, in materia di servizi e forniture, che il contratto affidato mediante cottimo fiduciario è stipulato “attraverso scrittura privata, che può anche consistere in apposito scambio di lettere con cui la stazione appaltante dispone l’ordinazione dei beni o dei servizi, che riporta i medesimi contenuti previsti dalla lettera di invito”. Si segnala, infine, che l’articolo 6, comma 7, del decreto “destinazione Italia”, fa salvi i contratti stipulati in modalità non elettronica dal 1 gennaio 2013 (data di iniziale vigenza dell’obbligo) fino alle nuove date di obbligatorietà: l’articolo 6, comma 3, sanziona, infatti, i contratti stipulati in violazione dell’obbligo di utilizzo della forma elettronica con la nullità. PAGAMENTO DIRETTO DEL SUB APPALTATORE L’articolo 13, comma 10, lett. a, del decreto “destinazione Italia”, modifica l’articolo 118, comma 3, del Codice dei Contratti Pubblici, stabilendo che “ove ricorrano condizioni di particolare urgenza inerenti al completamento dell’esecuzione del contratto accertate dalla stazione appaltante, per i contratti di appalto in corso può provvedersi, anche in deroga alle previsione del bando di gara, al pagamento diretto al subappaltatore o al cottimista dell’importo dovuto per le prestazioni dagli stessi eseguiti”. L’articolo 118, comma 3, primo periodo, del Codice, fa obbligo all’affidatario di un contratto pubblico di trasmettere, entro 20 giorni dalla data di ciascun pagamento effettuato, copia delle fatture quietanzate relative ai pagamenti da essi effettuati nei confronti dei subappaltatori o dei cottimisti: in difetto, la stazione appaltante sospende il pagamento successivo a favore dell’appaltatore. La modifica apportata dal decreto “destinazione Italia”, riconosce alla stazione appaltante la facoltà, anche laddove il bando di gara non l’abbia inizialmente previsto, di pagare direttamente al subappaltatore o al cottimista le prestazioni eseguite, qualora ciò si renda necessario per rispondere a “condizioni di particolare urgenza inerenti al completamento dell’esecuzione del contratto”. La norma non è di immediata comprensione: il pagamento diretto ad opera della stazione appaltante non si configura quale diritto del subappaltatore e del cottimista, ma come una facoltà che l’amministrazione può esercitare solo qualora accerti la sussistenza di un interesse particolarmente qualificato, la definizione del quale non è, peraltro, di facile individuazione. Si rileva, poi, che il medesimo beneficio non viene espressamente riconosciuto anche a favore degli esecutori di contratti di fornitura: infatti il decreto “destinazione Italia” modifica l’articolo 118 del Codice dei Contratti, mentre la parificazione delle forniture ai subappalti ed ai cottimi, quanto all’obbligo per l’appaltatore principale di trasmettere le fatture quietanziate ricevute per tale subcontratto, è stata operata dall’art. 15 della legge n. 180 deL 2011, statuto delle imprese, poi modificato dall’art. 30 del d. L. n. 69 del 2013, convertito con legge n. 98 del 2013, ai soli effetti del secondo periodo dell’articolo 118, comma 3, del d. Lgs. n. 163 del 2006, riguardante il pagamento dell’appaltatore principale. PAGAMENTI PRESSO IL TRIBUNALE L’articolo 13, comma 10, lett. b, del decreto “destinazione Italia”, aggiunge il comma 3 bis all’articolo 118, riconoscendo la possibilità per la stazione appaltante, anche per i contratti in corso, nella pendenza della procedura di concordato preventivo, di provvedere ai pagamenti dovuti per le prestazioni eseguite dall’affidatario medesimo e dai subappaltatori e dai cottimisti, presso il Tribunale competente per l’ammissione alla procedura. La norma non si presta ad una facile lettura, soprattutto laddove stabilisce che il pagamento avvenga “presso il Tribunale competente”, ancorché secondo le indicazioni impartite dal Tribunale, come riportato nella Relazione di accompagnamento del decreto legge. SVINCOLO DELLA GARANZIA DI BUONA ESECUZIONE L’articolo 237 bis del Codice dei Contratti Pubblici, consente lo svincolo automatico dell’80% della garanzia di buona esecuzione prestata a favore dell’ente aggiudicatore per le opere realizzate nell’ambito dell’appalto nei settori speciali che siano, in tutto o in parte, poste in esercizio prima del collaudo tecnicoamministrativo e qualora l’esercizio sia protratto per oltre un anno. L’articolo 13, comma 11, del decreto “destinazione Italia”, estende le disposizioni di cui all’articolo 237 bis in materia di svincolo delle 61 garanzie di buona esecuzione relative alle opere in esercizio a tutti i contratti di appalto aventi ad oggetto opere pubbliche, anche se stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore del Codice dei Contratti Pubblici. ppalti pubblici: l’AuA torità definisce le linee guida per il controllo sul possesso dei requisiti L’Autorità per la vigilanza sui Contratti Pubblici detta le linee guida per il processo di verifica dei requisiti di capacità economico - finanziaria e tecnico - organizzativa a carico del 10% dei concorrenti ad una procedura di affidamento di un contratto pubblico. L’articolo 48 del d. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, Codice dei Contratti Pubblici, disciplina il procedimento di verifica dei requisiti di capacità economico - finanziaria e tecnico organizzativa (cd. requisiti speciali. Tale procedura non si applica ai requisiti di carattere generale), verifica che va effettuata a carico del 10% degli offerenti (comma 1) e dell’aggiudicatario e del concorrente che segue in graduatoria (comma 2): la mancata presentazione della documentazione a comprova, ovvero la mancata conferma circa il possesso, comportano l’esclusione dalla procedura di selezione, l’escussione della cauzione provvisoria, l’applicazione di una sanzione economica da parte dell’Autorità, oltre alla sospensione della partecipazione alle gare per un periodo da uno a dodici mesi. L’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici, con determinazione 15 gennaio 2014, n. 1, ha dettato le linee guida per l’applicazione dell’articolo 48 del Codice, sostituendo le precedenti linee assunte con la determinazione n. 5 del 2009. Si evidenziano di seguito gli aspetti maggiormente rilevanti della disciplina. OBBLIGATORIETÀ DELLA VERIFICA Nel sottolineare che le verifiche di cui all’articolo 48 sono obbligatorie per tutti i contratti di lavori (con le precisazioni di cui si dirà in seguito), servizi e forniture, a prescindere dalla procedura di affidamento scelta (aperta, ristretta, negoziata), l’Autorità evidenzia come non sia necessario richiamare negli atti di gara tale obbligo, dovendo la stazione appaltante limitarsi ad indicare i mezzi di prova che gli operatori economici sono tenuti a produrre per dimostrare la veridicità di quanto dichiarato, nonché i requisiti minimi di partecipazione ed i criteri per la valutazione degli stessi. Circa l’entità dei requisiti, l’Autorità, richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale che vieta alle stazioni appaltanti di richiedere ai concorrenti requisiti sproporzionati o discriminanti (quali, a titolo di esempio, quelli che impongono limitazioni territoriali ai fini della partecipazione alla gara, ovvero quelli di valore minimo esorbitante l’importo dell’appalto), sottolinea come la verifica debba sempre essere compiuta con esclusivo riguardo ai requisiti minimi prescritti, non potendo essere escluso il concorrente che, avendo dichiarato requisiti superiori rispetto a quelli richiesti, si limiti, poi, a comprovare il possesso del minimo. APPALTI DI LAVORI Nel caso di una procedura per l’affidamento di lavori di importo superiore a 150 mila euro, l’Autorità precisa la non applicabilità della pro- cedura di verifica di cui all’articolo 48 del Codice, poiché l’attestazione SOA costituisce condizione necessaria e sufficiente per la dimostrazione dell’esistenza dei requisiti speciali: la stazione appaltante dovrà limitarsi a verificare il possesso e la validità temporale dell’attestazione in capo ai concorrenti, mediante l’accesso alla Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici. Unica eccezione è rappresentata dai contatti di importo superiore ai 20.358.000 euro: il concorrente, in questo caso, oltre al possesso dell’attestazione SOA in classifica VIII, deve provare il possesso anche di una cifra d’affari non inferiore a 2 volte e mezza l’importo a base di gara (si precisa che l’Autorità nel documento si richiama ad un valore di 3 volte l’importo a base di gara. Tuttavia, l’articolo 61, comma 6, del regolamento di attuazione del Codice, fissa tale valore a 2,5 volte l’importo a base di gara). Sarà tale ultimo requisito ad essere verificato ai sensi dell’articolo 48. Per i lavori di importo pari od inferiore a 150.000 euro, considerato che la partecipazione può avvenire anche da parte di imprese che, non avendo l’attestazione SOA, documentano il possesso dei requisiti speciali, la verifica dovrà essere fatta a carico del 10% delle imprese sorteggiate tra i partecipanti, al netto di quelle in possesso della SOA (per le quali non c’è obbligo di verifica). APPALTI DI PROGETTAZIONE ED ESECUZIONE L’Autorità affronta un aspetto specifico, quello dell’applicazione delle sanzioni previste dall’articolo 48 del Codice al progettista indicato da un’impresa concorrente o partecipante come mandante in un raggruppamento, nel caso 62 lo stesso non riesca a provare il possesso dei requisiti prescritti dal bando: le sanzioni dell’esclusione dalla gara e dell’escussione della cauzione provvisoria, sottolinea l’Autorità, si applicano all’appaltatore a prescindere dalla forma di partecipazione del progettista. Viceversa, le sanzioni economiche applicate direttamente dall’Autorità e quella dell’esclusione dalla partecipazione alle gare, poiché assume rilievo la condotta soggettiva del dichiarante, andranno a gravare direttamente sul progettista sia qualora partecipi al raggruppamento, sia qualora venga solo indicato. AVVALIMENTO Le verifiche di cui all’articolo 48 si estendono anche all’impresa ausiliaria: il concorrente, quindi, dovrà fornire la prova, oltre che dei requisiti posseduti in proprio, di quelli posseduti per il tramite dell’impresa ausiliaria. L’esito negativo della verifica determina l’esclusione dalla gara e l’escussione della cauzione provvisoria, mentre le ulteriori sanzioni di competenza dell’Autorità di Vigilanza (sanzione economica ed esclusione dalla partecipazione alle gare) andranno a gravare anche l’impresa ausiliaria. VERIFICA SULL’AGGIUDICATARIO PROVVISORIO E SUL SECONDO L’articolo 48, comma 2, del Codice, impone la verifica anche a carico dell’aggiudicatario provvisorio e del secondo classificato, qualora gli stessi non siano già stati verificati in seguito al sorteggio, entro 10 giorni dalla conclusione delle operazioni di gara: la mancata prova determina l’applicazione delle sanzioni previste (esclusione, escussione della cauzione, ulteriori sanzioni previste dall’Autorità ed esclusione dalle gare). Circa il momento della verifica, l’Autorità ritiene che la stessa vada avviata successivamente all’aggiudicazione provvisoria, così da consentire la eventuale rideterminazione della soglia di anomalia in caso di esclusione e, quindi, la nuova aggiudicazione in tempi rapidi. L’Autorità segnala, poi, che l’articolo 13, comma 4, della l. 11 novembre 2011, n. 180, statuto delle imprese, esenta l’amministrazione dal compiere le verifiche a carico del secondo classificato qualora lo stesso appartenga alla categoria delle micro, piccole e medie imprese, mantenendo, invece, l’obbligo di compiere tali verifiche qualora lo stesso venga sorteggiato entro il 10% dei concorrenti. SANZIONI IRROGATE DALL’AUTORITÀ DI VIGILANZA L’Autorità chiarisce, infine, i principi che regolano l’irrogazione delle sanzioni di propria competenza: 1. per quanto riguarda l’adozione del provvedimento di tipo pecuniario, lo stesso va graduato in ragione della gravità del comportamento assunto dal concorrente, alla presenza di attenuanti che determinano l’affievolimento dell’entità della stessa sanzione, se non l’archiviazione, in proporzione all’importo dell’appalto; 2. per quanto riguarda la sospensione dalla partecipazione alle gare per un periodo da 1 a 12 mesi, la stessa opera a prescindere dal tipo di procedura (conseguentemente, un operatore escluso non potrà indistintamente partecipare a procedure per l’affidamento di lavori, servizi o forniture) e, oltre agli elementi di valutazione di cui al punto precedente, assume particolare rilevanza l’elemento psicologico dell’operatore economico tenuto alla comprova: non possono essere, infatti, valutati alla stessa stregua comportamenti dolosi e colposi e, all’interno di tale ultima categoria, non può essere riservato lo stesso trattamento alla colpa grave rispetto alla colpa lieve (per la quale non va irrogata la sanzione interdittiva). L’Autorità evidenzia, infine, che la sanzione inibisce la partecipazione alle procedure e non anche la stipula di eventuali altri contratti. Lavori pubblici: l’Autorità fornisce chiarimenti in merito all’utilizzo dei lavori subappaltati ai fini della qualificazione L’Autorità di Vigilanza, a seguito del parere del Consiglio di Stato che ha abrogato alcune norme del regolamento, fornisce alcuni chiarimenti in merito all’utilizzo dei lavori subappaltati ai fini della qualificazione. A seguito del recepimento del parere del Consiglio di Stato 16 aprile 2013, n. 3014 , con il quale lo stesso ha dichiarato l’illegittimità delle norme del regolamento di attuazione del Codice dei Contratti Pubblici limitative della capacità operativa delle imprese in possesso della qualificazione generale, a vantaggio di quelle in possesso della qualificazione specialistica (obbligo di subappalto o di assumere in ATI verticale una serie di lavori), il Governo è intervenuto con il decreto Legge 30 dicembre 2013, n. 151, fissando il termine del 30 settembre 2014 entro il quale adottare le disposizioni regolamentari sostitutive: nelle more continueranno a trovare applicazione le regole previgenti, con la conseguenza che l’impresa 63 qualificata nella categoria prevalente potrà eseguire direttamente anche le lavorazioni appartenenti alle categorie specialistiche o superspecialistiche unicamente se in possesso delle relative qualificazioni. Con il richiamato parere il Consiglio di Stato è intervenuto anche in merito all’utilizzo dei lavori subappaltati, abrogando l’articolo 85, comma 1, lett. b, nn. 2 e 3, del regolamento di attuazione del Codice, nella parte in cui, nell’ipotesi di superamento dei limiti di subappalto del 40 e del 30 per cento (a secondo che la categoria scorporabile sia o meno a qualificazione obbligatoria), lo stesso limita l’utilizzabilità, ai fini della futura qualificazione, dei lavori subappaltati ad una percentuale non superiore al 10% della categoria scorporabile. Il d. L. n. 151 del 2013 non ha dettato alcuna disciplina transitoria nelle more di revisione dell’impianto normativo abrogato. Conseguentemente, l’Autorità di Vigilanza per i Contratti Pubblici, con comunicato del Presidente 29 gennaio 2014, n. 1, al fine di garantire il corretto esercizio dell’attività di qualificazione da parte delle SOA, ha chiarito che l’articolo 85, comma 1, lett. b, nn. 2 e 3 , del regolamento deve intendersi abrogato in parte qua, con la conseguenza che l’impresa affidataria può utilizzare, ai fini della qualificazione nella singola categoria scorporabile, l’intero importo dei lavori dalla stessa direttamente eseguiti in tale categoria, nonché una quota parte dei lavori subappaltabili (pari ad un massimo del 30 o del 40 per cento), avvalendosene in alternativa per la qualificazione nella categoria prevalente, ovvero ripartita tra categoria prevalente e categoria scorporabile.
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