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Approfondimenti
La designazione del RSPP aziendale: profili sanzionatori
di Pierguido Soprani ........................................................................................
329
Schede di sicurezza: la nuova linea guida dell’Agenzia Europea
di Giuseppina Paolantonio .................................................................................
335
Inserto
Nuove norme europee sulla radioprotezione
di Sandro Sandri
VDR in pratica
Il piu` grande disastro industriale di sempre e l’analisi dei rischi
di Marzio Marigo ............................................................................................
344
Materie plastiche
di Alessandro Bordin ........................................................................................
353
Giurisprudenza
Rassegna della Cassazione penale
a cura di Raffaele Guariniello
Restituzione della somma pagata a titolo di oblazione
Cass. Pen., sez. III, 17 aprile 2014, n. 17012 ........................................................
363
Committente, progettista-direttore dei lavori, coordinatori
Cass. Pen., sez. IV, 5 maggio 2014, n. 18459 ........................................................
363
Cass. Pen., sez. IV, 5 maggio 2014, n. 18515
Cass. Pen., sez. IV, 5 maggio 2014, n. 18436 ........................................................
365
Atti vessatori sul luogo di lavoro
Cass. Pen., sez. VI, 7 maggio 2014, n. 18832
Cass. Pen., sez. VI, 23 aprile 2014, n. 17689 .........................................................
366
Visite mediche sui minori
Cass. Pen., sez. III, 15 maggio 2014, n. 20249
Cass. Pen., sez. III, 14 maggio 2014, n. 19848 ......................................................
367
La nomina del RSPP come atto di responsabilita` del datore di lavoro
Cass. Pen., sez. III, 21 maggio 2014, n. 20682 ......................................................
369
Formazione del lavoratore esperto e socializzazione delle prassi di lavoro
Cass. Pen., sez. IV, 26 maggio 2014, n. 21242 ......................................................
370
Interpelli
Rassegna interpelli
a cura di Pierluigi Rausei
Autoferrotranvieri
Ministero del Lavoro, 27 marzo 2014, n. 4 ...........................................................
372
Medico competente
Ministero del Lavoro, 27 marzo 2014, n. 5 ...........................................................
373
Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco
Ministero del Lavoro, 27 marzo 2014, n. 6 ...........................................................
374
Casi e Questioni
ISL risponde ..................................................................................................
Sommario
Coordinatore non informato della ripresa del lavoro o dell’ingresso di nuova impresa
376
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
327
Finanziamenti
Finanziamenti per la sicurezza
a cura di Bruno Pagamici .................................................................................
378
Norme UNI
Aprile - Maggio 2014 ......................................................................................
REDAZIONE
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a contributi, articoli ed argomenti trattati
382
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Cass. pen., sez. III, 21 maggio 2014, n. 20682
La designazione
del RSPP aziendale:
profili sanzionatori
Premessa
Non si puo` dimenticare che
con sentenza 15 novembre
2001, in causa n. C-49/00, in
accoglimento delle conformi
conclusioni presentate dall’avvocato generale, la Corte di
Giustizia delle Comunita` europee (ora Unione Europea) ebbe a censurare la normativa
italiana di recepimento della
Direttiva quadro in materia di
tutela della sicurezza e della
salute dei lavoratori, la 89/
391/CEE, sia in tema di valutazione dei rischi professionali
esistenti sul luogo e durante il
lavoro, sia in tema di servizio
di prevenzione e protezione
dai rischi professionali in ambiente di lavoro.
Con specifico riguardo a questo secondo aspetto, la contestazione rifluita nella decisione dei Giudici europei era
che il Legislatore italiano non
aveva definito in modo giuridicamente vincolante le «capacita` e attitudini di cui devono
essere in possesso le persone
responsabili delle attivita` di
protezione e delle attivita` di
prevenzione dei rischi professionali per la salute e la sicurezza dei lavoratori».
Infatti l’attribuzione al datore
di lavoro della responsabilita`
di determinare i criteri che
consentono di valutare l’effettiva esistenza delle capacita` e
attitudini necessarie ad esercitare l’attivita` di componente
o di responsabile del servizio
di prevenzione e protezione
dai
rischi
professionali
(RSPP), non soddisfaceva la
previsione dell’art. 7 della Direttiva quadro 89/391/CEE, il
quale pone invece a carico degli Stati membri - a titolo ob-
bligatorio - la definizione delle
capacita` e delle attitudini di tali soggetti, al contrario rimesse
dalla normativa italiana (art. 8
del D.Lgs. n. 626/1994) alla
discrezionale valutazione del
datore di lavoro. In secondo
luogo la prerogativa de qua,
riconosciuta autonomamente
a ciascun datore di lavoro,
non assicurava condizioni
omogenee di qualificazione
professionale degli addetti e
del responsabile (interno o
esterno) del SPP.
La decisione della Corte di
Giustizia era ineccepibile: accogliendo le osservazioni della
Commissione europea, la
CGCE ebbe a valutare che
l’impiego di personale qualificato per lo svolgimento dei
compiti che spettano al servizio di prevenzione e protezione dai rischi professionali in
ambiente di lavoro assume
grande importanza, in un contesto rivolto in via prioritaria
al miglioramento della tutela
contro gli infortuni sul lavoro
e le malattie professionali, atteso che persone prive di sufficienti capacita` e attitudini al riguardo potrebbero rappresentare un pericolo per la sicurezza e la salute dei lavoratori tutelati.
La tesi sostenuta dal Governo
italiano di aver conferito delega in materia al datore di lavoro, cosı` intenzionalmente rinunciando ad una definizione
legislativa generale (atteso
che la valutazione delle attitudini e capacita` necessarie sarebbe di volta in volta diversa
a seconda delle esigenze della
tutela dei lavoratori nei diversi
stabilimenti e imprese, e pertanto la decisione dovrebbe es-
sere presa ragionevolmente nel
singolo caso da ciascun datore
di lavoro), si e` rivelata debole
e non convincente.
E` stato cosı` che il Governo, al
fine di adeguare la legislazione
italiana ai princı`pi e criteri affermati dalla citata sentenza
della Corte di Giustizia, in attuazione della delega conferita
dall’art. 21 della legge 1º marzo 2002, n. 39 (Comunitaria
2001) ebbe ad emanare il
D.Lgs. 23 giugno 2003, n.
195, con il quale fu inserito
l’art. 8-bis al D.Lgs. n. 626/
1994 e furono individuati le
capacita` e i requisiti professionali richiesti agli addetti e ai
responsabili dei servizi di prevenzione e protezione dei lavoratori in azienda.
L’ultimo atto di adeguamento
della legislazione italiana ai
princı`pi e criteri affermati dalla sentenza CGCE 15 novembre 2001 e` avvenuto con l’Accordo sancito in data 26 gennaio 2006 (1) dalla Conferenza permanente Stato-Regioni,
di individuazione degli indirizzi e dei requisiti minimi dei
corsi di formazione professionale per RSPP e ASPP, nonche´ dei c.d. ‘‘soggetti formatori’’, deputati agli aspetti istitutivi, di attivazione concreta e
di organizzazione.
Aspetti sanzionatori
della nomina
di RSPP
Non vi e` dubbio che tanto le
capacita`, quanto i requisiti
Nota:
Approfondimenti
Pierguido Soprani - Avvocato
(1) G.U. 14 febbraio 2006, n. 37.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
329
Approfondimenti
professionali dei responsabili
e degli addetti ai servizi di
prevenzione e protezione interni o esterni, devono essere
«adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attivita` lavorative»: sicche´ la designazione di un RSPP o di un
ASPP che abbia frequentato
un corso per un macrosettore
ATECO diverso da quello
dell’azienda di riferimento e`
una designazione giuridicamente inefficace.
330
Invero la designazione non
puo` ridursi ad un atto formale, bensı` essa deve corrispondere a contenuti sostanziali aderenti alla normativa.
Peraltro sul piano formale,
mentre l’art. 4, comma 4, lett.
a) del D.Lgs. n. 626/1994
conteneva l’esplicito riferimento alle regole di designazione del RSPP contenute
nel successivo art. 8 del decreto legislativo (i cui commi
2 e 8 facevano esplicito riferimento all’art. 8-bis, di fissazione delle «capacita`» e dei
«requisiti professionali» di
RSPP e ASPP), l’attuale art.
17, comma 1, lett. b) del
D.Lgs. n. 81/2008 non contiene piu` tale riferimento.
Di qui l’ipotesi che una designazione non aderente alle
previsioni dell’attuale art. 32
del D.Lgs. n. 81/2008 e/o ai
requisiti del citato Accordo
Stato-Regioni del 26 gennaio
2006 non sia ex se sanzionabile (in ossequio ai principi, costituzionalmente rilevanti, di
legalita` e di tassativita` operanti
nel settore penale), per difetto
di esplicita previsione normativa.
Insomma, una designazione
non «conforme» (compiuta,
dunque non omessa) sarebbe
bensı` giuridicamente inefficace, ma la condotta di riferimento, in quanto non (piu`)
contenuta nel precetto delle
norme, nel passaggio dal
D.Lgs. n. 626/1994 al D.Lgs.
n. 81/2008, risulterebbe ora
penalmente non (piu`) sanzionabile (v. Tabella 1).
Il caso giudiziario
La quaestio iuris ora esposta e`
stata gia` prospettata per la prima volta innanzi alla Corte di
Cassazione, ed e` stata decisa
con la recente pronuncia di
Cass. pen., sez. III, 21 maggio
2014, n. 20682.
Il datore di lavoro era stato
sottoposto a contravvenzione
e condannato per violazione
dell’art. 17, comma 1, lett. b)
del D.Lgs. n. 81/2008, per
avere designato una persona
priva dei requisiti professionali richiesti dall’art. 32 del
D.Lgs. n. 81/2008.
Secondo la tesi difensiva la
norma assoggetta a sanzione
(solo) la condotta di mancata
designazione del RSPP, non
anche la diversa condotta di
designazione di una persona
priva dei requisiti professionali richiesti. Cio` si ricaverebbe
inequivocabilmente
proprio
dal mancato richiamo, nel testo del citato art. 17 del TUSIC, delle «regole» di designazione che erano invece esplicitamente richiamate dal previgente art. 4, comma 4, lett. a)
del D.Lgs. n. 626/1994.
Vi e` da dire che la Suprema
Corte ha ritenuto tale questione
giuridico-interpretativa
non peregrina (nel senso di
non «manifestamente infondata»), tant’e` che ha diffusamente motivato sul tema.
Secondo i Giudici di legittimita`, non vi e` dubbio che il
D.Lgs. n. 81/2008 si esprima
in maniera diversa dal D.Lgs.
n. 626/1994, nel senso che esso effettivamente non richiama, nel precetto dell’art. 17,
il rispetto delle «regole di designazione» del RSPP, ma solo
l’obbligo di procedere tout
court alla sua designazione.
Sicche´ a prima vista la condotta sanzionabile avrebbe una
caratterizzazione solo omissiva, non anche commissiva; andrebbe quindi - in ipotesi esente da pena il datore di lavoro in ogni caso e soltanto
per il fatto di avere proceduto
alla designazione del RSPP,
quand’anche la designazione
sia avvenuta in violazione dell’art. 32 del D.Lgs. n. 81/2008.
Tuttavia, nella decisione men-
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
zionata, la Cassazione ha optato per una interpretazione sistematica della portata dell’obbligo di designazione del
RSPP penalmente sanzionato.
Le valutazioni
della Corte
di Cassazione
Dopo avere ripercorso, anche
nella sua proiezione normativa
europea, l’obbligo di designazione del RSPP nel suo excursus storico, i Giudici hanno
valutato in primis che una designazione, da parte del datore
di lavoro, non aderente ai dettami dell’art. 32 del D.Lgs. n.
81/2008 e` di per se stessa
una designazione giuridicamente «inefficace», poiche´
l’assenza dei requisiti soggettivi necessari non e` in grado di
assicurare tutela agli interessi
protetti, interessi che coinvolgono il diritto del lavoratore
alla salubrita` e alla sicurezza
sul luogo e durante il lavoro.
Quanto al mancato richiamo
all’art. 32 nella attuale previsione dell’art. 55, comma 1,
lett. b) del D.Lgs. n. 81/2008,
dopo avere premesso che non
sussistono «dubbi circa il significato complessivo della disposizione», i giudici di legittimita`, a supporto di tale conclusione, hanno fatto leva sul
generale contesto definitorio
dell’art. 2, comma 1, lett. f) e
lett. l) del TUSIC: norme che
definiscono la prima il RSPP
e la seconda il servizio di prevenzione e protezione dai rischi, e che contengono la precisazione che il RSPP (e anche
l’ASPP) deve necessariamente
essere una «persona in possesso delle capacita` e dei requisiti
professionali di cui all’articolo
32 designata dal datore di lavoro». Di qui, secondo la Suprema Corte, la conclusione
necessitata per l’interprete di
ritenere che «l’unico modo
per il datore di lavoro di rispettare l’obbligo ex art. 17,
comma 1, lett. b), e` quello di
incaricare una persona in possesso dei requisiti previsti dagli artt. 2 e 32 della medesima
legge, con la conseguenza che
la nomina di persona inidonea
D.Lgs. n. 626/1994
D.Lgs. n. 81/2008
Art. 2 - Definizioni
1. Agli effetti delle disposizioni di cui al presente
decreto si intendono per:
(omissis)
c) servizio di prevenzione e protezione dai rischi:
insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda finalizzati all’attivita` di prevenzione
e protezione dai rischi professionali nell’azienda,
ovvero unita` produttiva;
(omissis)
e) responsabile del servizio di prevenzione e protezione: persona designata dal datore di lavoro in
possesso delle capacita` e dei requisiti professionali
di cui all’articolo 8-bis.
Art. 2 - Definizioni
1. Ai fini ed agli effetti delle disposizioni di cui al
presente decreto legislativo si intende per:
(omissis)
f) responsabile del servizio di prevenzione e protezione: persona in possesso delle capacita e dei requisiti professionali di cui all’articolo 32 designata
dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare
il servizio di prevenzione e protezione dai rischi;
(omissis)
l) servizio di prevenzione e protezione dai rischi: insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda finalizzati all’attivita` di prevenzione e
protezione dai rischi professionali per i lavoratori;
Art. 4 - Obblighi del datore di lavoro, del dirigente
e del preposto
(omissis)
4. Il datore di lavoro:
a) designa il responsabile del servizio di prevenzione e protezione interno o esterno all’azienda secondo le regole di cui all’art. 8;
Art. 17 - Obblighi del datore di lavoro non delegabili
1. Il datore di lavoro non puo` delegare le seguenti
attivita`:
(omissis)
b) la designazione del responsabile del servizio di
prevenzione e protezione dai rischi.
Art. 8 - Servizio di prevenzione e protezione
(omissis)
2. Il datore di lavoro designa all’interno dell’azienda
ovvero dell’unita` produttiva, una o piu` persone da
lui dipendenti per l’espletamento dei compiti di cui
all’articolo 9, tra cui il responsabile del servizio in
possesso delle capacita` e dei requisiti professionali
di cui all’articolo 8-bis, previa consultazione del
rappresentante per la sicurezza.
(omissis)
8. Il responsabile del servizio esterno deve possedere le capacita` e i requisiti professionali di cui all’articolo 8-bis.
Art. 31 - Servizio di prevenzione e protezione
(omissis)
2. Gli addetti e i responsabili dei servizi, interni o
esterni, di cui al comma 1, devono possedere le capacita e i requisiti professionali di cui all’articolo
32, devono essere in numero sufficiente rispetto
alle caratteristiche dell’azienda e disporre di mezzi
e di tempo adeguati per lo svolgimento dei compiti
loro assegnati. Essi non possono subire pregiudizio
a causa della attivita` svolta nell’espletamento del
proprio incarico.
Art. 89 - Contravvenzioni commesse dai datori di
lavoro e dai dirigenti
1. Il datore di lavoro e` punito con l’arresto da tre a
sei mesi o con l’ammenda da euro 1.549 a euro
4.131 per la violazione degli articoli 4, commi 2,
4, lettera a), 6, 7 e 11, primo periodo; 49-quinquies, commi 1 e 6; 49-sexiesdecies, commi 1 e
6; 59-quinquies, commi 1 e 3; 63, commi 1, 4 e
5; 69, comma 5, lettera a); 78, commi 3 e 5; 86,
comma 2-ter.
Art. 55 - Sanzioni per il datore di lavoro e il dirigente
1. E` punito con l’arresto da tre a sei mesi o con
l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro il datore di lavoro:
(omissis)
b) che non provvede alla nomina del responsabile
del servizio di prevenzione e protezione ai sensi
dell’articolo 17, comma 1, lettera b), o per la violazione dell’articolo 34, comma 2.
comporta in radice la violazione dell’obbligo»; detta condotta deve pertanto essere considerata non solo «inefficace»,
ma essa altresı` «assume rilevanza ai fini dell’applicazione
dell’art. 55 sopra ricordato».
Secondo la Cassazione, inoltre, solo una siffatta interpretazione delle norme si presenta
rispettosa della disciplina contenuta nella direttiva quadro
89/391/CEE e della sua interpretazione che, con efficacia
vincolante, ha dato la Corte
di Giustizia nella sentenza del
15 novembre 2001. Per i giudici della Suprema Corte ne
consegue che l’art. 55 del
D.Lgs. n. 81/2008 si pone in
«continuita` normativa» con la
previsione degli artt. 4 e 8-bis
e dell’art. 89 del D.Lgs. n.
626/1994. La notazione finale
e` pero` che i giudici di merito
devono essere cauti e prudenti
nel valutare l’ipotetica «inadeguatezza» dei requisiti della
persona incaricata della sicurezza aziendale, senza adottare
criteri valutativi «opinabili»
che rendano incerta l’applicazione della legge in una materia complessa come quella della formazione e della professionalita` del RSPP.
Conclusioni
La Cassazione non ha considerato che anche nel contesto del
D.Lgs. n. 626/1994 il RSPP
era definito in premessa (art.
2) quale «persona designata
dal datore di lavoro in posses-
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Approfondimenti
Tabella 1
331
Approfondimenti
332
so delle capacita` e dei requisiti
professionali di cui all’articolo
8-bis», al pari di quanto ha recepito poi, nel 2008, il Testo
Unico della sicurezza sul lavoro: desumere da questo solo
elemento di «sistema» - piuttosto che direttamente dal precetto della norma incriminatrice dell’art. 17 del D.Lgs. n.
81/2008 - la sussistenza di un
principio di «continuita` normativa», appare in un certo
qual modo azzardato.
D’altro canto, a ritenere che
l’attuale combinato disposto
degli artt. 17 e 55 del D.Lgs.
n. 81/2008 assoggetti alla sanzione penale solo la condotta
(pura e semplice) di omessa
designazione del RSPP, ne risulterebbe svilita e frustrata
negli obiettivi di fondo la ratio
dell’articolata disciplina vigente (Accordo Stato-Regioni
del 26 gennaio 2006), oltre
che lo ‘‘spirito’’ della Direttiva-quadro 89/391/CEE.
Una cosa e` certa: il precetto dell’art. 17 del D.Lgs. n.
81/2008 risulta ‘‘monco’’
rispetto a quello dell’art. 4
del D.Lgs. n. 626/1994. Ma
piuttosto che investire la
Corte di Giustizia con una
ulteriore questione involgente il fedele recepimento
della normativa europea, i
Giudici hanno in un certo
senso ‘‘sorvolato’’ in ordine
alla verifica del rispetto rigoroso, da parte del Giudice di merito, dei principi di
legalita` e di tassativita` che
presiedono alla sanzionabilita` penale delle condotte
umane secondo la Costituzione italiana.
A chi scrive la decisione appare giusta nella sostanza, ma discutibile quanto al ‘‘metodo’’
adottato: non a caso, in tema
di documento di valutazione
dei rischi (DVR) e di piano
operativo di sicurezza (POS),
la condotta di omessa redazione e` stata espressamente distinta da quella di redazione
con contenuti insufficienti
(art. 55. comma 3 e art. 159,
comma 1, ultimo periodo del
D.Lgs. n. 81/2008); inoltre le
sanzioni sono state, di conseguenza (e opportunamente),
graduate dal legislatore.
Forse qualche volta anche in
Cassazione il fine ‘‘giustifica’’
i mezzi.
Cass. pen., sez. III, 21 maggio 2014, n. 20682
(omissis)
sul ricorso proposto da
G. E.A., nato a .................. il .........
avverso la sentenza del 24 giugno 2013 del Tribunale di Milano, che lo ha condannato, quale legale rappresentante della «XXX S.r.l.», alla pena di 5.000,00 giuro di ammenda in relazione a plurime violazioni
del D.Lgs. 9 aprile 2008, n 81 accertate in data 8 giugno 2009;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, M. F., che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il sig. G., quale legale rappresentante della «XXX S.r.l.», e` stato tratto a giudizio in ordine alle seguenti
violazioni, accertate in data 8 giugno 2009:
a) art. 17, comma 1, lett. b), per avere designato quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione una persona priva dei requisiti richiesti dall’art. 32 della medesima legge;
b) art. 45, comma 1, per avere omesso di classificare l’azienda e di avviare alla specifica formazione i lavoratori designati a compiti di primo soccorso;
c) art. 71, comma 1, per avere messo a disposizione un macchinario non conforme ai requisiti di sicurezza perche´ privo di griglia di protezione.
2. Con sentenza del 24 giugno 2013 il Tribunale di Milano ha mandato assolto il sig. G.i dall’ipotesi contestata al capo c) e lo ha condanno per le restanti violazioni alla pena di 5.000,00 euro di ammenda.
3. Avverso tale decisione il sig. G. propone ricorso in sintesi lamentando:
a) errata applicazione di legge ex art. 606, lett. b) cod. proc. pen. con riferimento all’art. 55 del D.Lgs. 9
aprile 2008, n.81, fattispecie che punisce la mancata individuazione del responsabile del servizio e non la
individuazione di persona priva dei requisiti previsti dall’art. 32 della medesima legge. L’art. 4, lett. b), del
D.Lgs. n.626 dei 1994, che indicava fra gli obblighi del datore di lavoro la individuazione di un responsabile
«secondo le regole di cui all’art. 8», e fissava cosı` una regola soggetta a sanzione ex art. 89 in caso d’inosservanza. Tale impostazione, che veniva rafforzata dalla previsione dell’art. 8-bis, introdotto dal D.Lgs. n.195
del 2003, e` stata invece abbandonata dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, espressamente rinunciando a introdurre
nell’art. 55 il richiamo all’art. 32, che fissa i requisiti del responsabile, e limitando il rinvio al solo art. 17;
b) vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606, lett. e) cod. proc. pen. con riferimento al capo b) della rubrica per avere il Tribunale immotivatamente ritenuto non adeguati i corsi di formazione frequentati dai
due lavoratori individuati come responsabili del primo soccorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La Corte ritiene necessario muovere dall’esame del primo motivo di ricorso, che pone una questione
interpretativa delle norme che fondano la contestazione e risulta potenzialmente decisiva.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Cosı` e` deciso il 6 maggio 2014
Depositata in Cancelleria il 21 maggio 2014.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Approfondimenti
2. La censura avanzata dal ricorrente con argomentazione articolate e meritevoli di attenzione risulta
infondata.
E` ben vero che la disciplina introdotta con il D.Lgs. n. 81 del 2008 agli artt. 55 e 17 presenta una formulazione diversa rispetto a quella contenuta nel D.Lgs. n. 686 del 1994 e tale differenza viene invocata
dal ricorrente per escludere che la condotta di cui al capo a) conservi natura di illecito penale; tuttavia,
l’esame sistematico della disciplina in vigore impone di giungere a un risultato diverso.
3. L’esame della fattispecie di reato che ha ad oggetto la mancata (o, come si dira`, del tutto inefficace)
nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi puo` prendere le mosse dalla
circostanza che il testo contenuto nell’art. 8, comma 3, del D.Lgs. 626/1994, prevedendo condizioni soggettive assolutamente generali, si poneva in contrasto con gli obblighi di specificita` dei requisiti della persona incaricata contenuti nel paragrafo 8 dell’art. 7 della Direttiva n. 89/391/CEE del 12 giugno 1989; tale
norma, infatti, invitava gli Stati membri a precisare le capacita` e le attitudini della persona incaricata della
sicurezza e fu seguita dalla decisione con cui la Corte di Giustizia CE (sentenza 15 novembre 2001, causa
C-49/00) condanno` lo Stato italiano per essere inadempiente. Con il D.Lgs. 23 giugno 2003, n.195, venne
introdotto nel D.Lgs. n. 626 del 1994 l’art. 8-bis, richiamato dal ricorrente, che poneva rimedio al deficit
normativo sanzionato dalla Corte di Giustizia.
4. In continuita` con tale sviluppo legislativo, l’art. 32 del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (la cui rubrica reca
«Capacita` e requisiti professionali degli addetti e responsabili dei servizi di prevenzione e protezione interni ed esterni») fissa al comma 2 quali sono gli specifici requisiti necessari «per lo svolgimento delle
funzioni da parte dei soggetti di cui al comma 1». Risulta cosı` inequivoco quali siano le condizioni soggettive richieste alla persona nominata come responsabile, condizioni che la legge ritiene necessarie «per
lo svolgimento» delle funzioni oggetto dell’incarico. Con il che si puo` affermare che l’assenza dei requisiti
soggettivi necessari rende la designazione inefficace perche´ incapace di offrire la necessaria e richiesta
tutela agli interessi protetti, interessi che coinvolgono il diritto dei lavoratore alla salubrita` e sicurezza
del lavoro e, in ultima istanza, il suo diritto alla salute.
5. Venendo alla disciplina sanzionatoria, gli artt. 55 e seguenti del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 sostituiscono
gli artt. 89-94 del 626/1994 secondo una struttura di fattispecie che la dottrina non ha esitato a definire
«disarticolata e carente di un ordine preciso». Nonostante tali limiti, puo` osservarsi che il mancato richiamo all’art. 32 nella previsione dell’art. 55, comma 1, lett. b), non lascia dubbi circa il significato complessivo della fattispecie.
L’art. 55, comma 1, lett. b), infatti, sanziona l’ipotesi che il datore di lavoro non provveda ai sensi dell’art.
17, comma 1, lett. b). Tale ultima disposizione prevede la non delegabilita` dell’atto di designazione del
responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi.
6. Si tratta di obbligo il cui rispetto deve essere valutato in relazione alle definizioni contenute nell’art. 2,
comma 1, lett. g) e lett. l) della medesima legge. Se la lett. l) definisce il «servizio di prevenzione e protezione dai rischi» come «l’insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interno all’azienda finalizzati»
alla tutela dei lavoratori dai rischi, la lett. e) chiarisce che l’addetto a tale servizio e` «persona in possesso
delle capacita` e dei requisiti professionali di cui all’art. 32».
7. Dall’insieme di queste disposizioni emerge in modo inequivoco che l’unico modo per il datore di lavoro di rispettare l’obbligo ex art.17, comma 1, lett. b), e` quello di incaricare una persona in possesso dei
requisiti previsti dagli artt. 2 e 32 della medesima legge, con la conseguenza che la nomina di persona
inidonea comporta in radice la violazione dell’obbligo e deve essere considerata inefficace. In tali termini
la violazione assume rilevanza ai fini dell’applicazione dell’art. 55 sopra ricordato.
8. Del resto, solo l’interpretazione qui adottata si presenta rispettosa della disciplina contenuta nella Direttiva citata e dell’interpretazione che del regime comunitario ha dato, con efficacia vincolante, la Corte
di Giustizia nella sentenza citata. Il che impone di considerare l’art. 55 del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 in
continuita` con la previsione degli artt. 4 e 8-bis e dell’art. 89 del 626/1994.
9. Cosı` fissato il principio interpretativo che forma oggetto del primo, e infondato, motivo di ricorso, la
Corte rileva che la valutazione in ordine alla inadeguatezza dei requisiti della persona incaricata della sicurezza deve essere particolarmente attenta e non spingersi, in una materia complessa come quella della
formazione e della professionalita` dell’incaricato, fino ad adottare criteri valutativi opinabili che rendano
incerta l’applicazione della legge da parte dei suoi destinatari.
10. La Corte ritiene che nel caso in esame il giudicante non sia incorso in violazione dell’obbligo di prudente apprezzamento ora delineato. L’articolata motivazione sul punto non si palesa ne´ incoerente ne´
palesemente illogica. Il Tribunale, infatti, ha preso in esame i titoli e i requisiti della persona incaricata
e ne ha valutata con specifici argomenti la inadeguatezza rispetto alla previsione di legge, cosı` formulando
un giudizio di merito che non puo` essere oggetto di censura da parte del giudice di legittimita`.
11. Alla luce delle considerazioni fin qui esposte il ricorso deve essere respinto e il ricorrente condannato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
333
Sostanze pericolose
Schede di sicurezza:
la nuova Linea guida
dell’Agenzia Europea
Obiettivi della SDS
nella legislazione
comunitaria
La scheda dei dati di sicurezza
(SDS) costituisce senza dubbio un importante strumento
di prevenzione per il datore
di lavoro laddove si utilizzino
o siano anche solo depositati
prodotti chimici. La SDS e` infatti il primario veicolo di informazioni da utilizzarsi:
– per la valutazione del rischio chimico e l’adozione di
ulteriori interventi a salvaguardia della sicurezza e della salute dei lavoratori;
– per verificare in progress
l’adeguatezza delle misure
preventive e protettive gia` in
uso;
– per la valutazione preliminare del rischio legato all’introduzione del nuovo prodotto
nel proprio ciclo produttivo.
Si tratta di uno strumento informativo introdotto ormai da
molto tempo in ambito europeo (direttiva 1991/155/CEE
e in seguito direttiva 112/
1993/CE che ha istituito il format armonizzato a 16 punti),
in seguito a una riflessione
scaturita dal constatare l’indubbia necessita` di contenere
un diffuso numero di incidenti
dovuti all’utilizzo inadeguato
dei prodotti chimici e, quindi,
alle carenze conoscitive nei diversi ambiti applicativi dei
chemicals.
La SDS e` rimasta sostanzialmente inalterata fino all’emanazione del Regolamento
REACh (1), che ne ha innovato gli obiettivi: infatti, la SDS
diventa sempre piu` vicina alle
specifiche esigenze dell’utilizzatore a valle. Seppure la strut-
tura gia` adottata non risulti
particolarmente
modificata
(Allegato II REACh e successivo Regolamento n. 453/
2010), sono la funzione e i
contenuti minimi previsti che
risultano invece notevolmente
arricchiti e ampliati in misura
direttamente proporzionale alla
disponibilita` di nuove informazioni provenienti in particolare
dal procedimento di registrazione REACh e dall’eventuale
approfondimento ottenuto attraverso la «Valutazione della
Sicurezza Chimica» (Chemical
Safety Assessment - CSA).
Le SDS cosı` rinnovate devono costituire nelle intenzioni del legislatore un elemento importante della
comunicazione del pericolo e fornire un meccanismo per la trasmissione di
adeguate informazioni sulla
sicurezza di sostanze e miscele che soddisfano i criteri di classificazione secondo la legislazione comunitaria applicabile nonche´ di talune sostanze
e miscele che non soddisfano detti criteri ma possono ugualmente risultare
pericolose in fase di utilizzo - lungo l’intera catena
di approvvigionamento e
col coinvolgimento di tutti
gli utilizzatori a valle.
In diversi casi inoltre, quando
a monte il fabbricante (o l’importatore) abbia fatto la «Valutazione della Sicurezza Chimica», la SDS deve essere integrata attraverso un apposito allegato contenente gli «Scenari
di Esposizione» inerenti gli
utilizzi specifici pertinenti al
proprio caso. Questa previsione riguarda anche le miscele
(o preparati) chimiche, per le
quali a cura del formulatore
dovra` essere redatto uno scenario espositivo derivato dalla
sintesi di tutti gli scenari inerenti i componenti pericolosi
elencati al punto 3 della SDS.
La successiva scelta dell’Unione Europea di armonizzare
al sistema internazionale
GHS (2) sviluppato in ambito
ONU i criteri gia` prima standardizzati di classificazione,
etichettatura e imballaggio, attraverso il cosiddetto Regolamento CLP - Classification,
Labelling and Packaging (3),
ha reso necessaria un’ulteriore
modifica delle disposizioni
normative sulle SDS, conducendo all’emanazione del Regolamento (UE) n. 453 del
20 maggio 2010, che ha rivisto
e adeguato alle novita` occorse
l’Allegato II del REACh in
modo da consentire un pieno
allineamento dei due sistemi,
sia nei contenuti che nelle
tempistiche di attuazione. In
particolare i nuovi elementi
derivanti da classificazione ed
Note:
(1) Regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre
2006, concernente la registrazione, la valutazione,
l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH) e sue successive modifiche ed
integrazioni.
(2) Globally Harmonized System of Classification
and Labelling of Chemicals (http://live.unece.org/
trans/danger/publi/ghs/ghs_welcome_f.html)
(3) Regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 e sue successive modifiche ed integrazioni, in vigore a partire dal 1º giugno 2010 per
le sole sostanze chimiche ed obbligatoriamente
dal 1º giugno 2015 anche per le miscele.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Approfondimenti
Giuseppina Paolantonio - Consulente e formatrice in sicurezza del lavoro e del prodotto
335
Approfondimenti
336
etichettatura sono da introdurre alle sezioni 2 («Identificazione dei pericoli») e 3
(«Composizione/informazioni
sugli ingredienti»); conseguentemente all’adozione del
sistema CLP, puo` quindi risultare necessario aggiornare una
SDS in seguito a una nuova
classificazione delle sostanze
tal quali o in quanto costituenti
di una formulazione.
Quelli qui accennati sono obblighi nuovi e anche innovativi su diversi aspetti, che ad oggi non sempre pero` sono stati
ben compresi e applicati dai
destinatari.
Dunque, l’emanazione di una
Linea Guida (4) aggiornata si
rendeva necessaria, con l’obiettivo dichiarato: «di assistere l’industria nell’individuare
a quali compiti e prescrizioni
debba conformarsi in virtu` degli obblighi derivanti dall’articolo 31 (Prescrizioni relative
alle schede di dati di sicurezza) e dall’Allegato II del Regolamento REACh, modificato in particolare dal Regolamento (UE) n. 453/2010 della
Commissione».
I nuovi contenuti
della SDS
I casi in cui e` prevista la SDS
riguardano:
– sostanze che risultino peri-
colose in base ai criteri di classificazione (CLP);
– (a richiesta) sostanze provviste di valori limite di esposizione UE, qualora non comprese in altri punti;
– miscele che risultino pericolose in base ai criteri di classificazione (Direttiva 1999/45/
CE e, a partire dal 1º giugno
2015, Regolamento CLP);
– (a richiesta) miscele non
classificabili come pericolose
ma contenenti sostanze classificate come pericolose (secondo
il Regolamento CLP) in concentrazione individuale = 1%
p/p (preparati non gassosi) e =
0,2% v/v (preparati gassosi);
– sostanze persistenti-bioaccumulabili-tossiche (PBT) o
molto persistenti e molto
bioaccumulabili (vPvB) in base ai criteri di cui all’Allegato
XIII del REACh;
– (a richiesta) (5) miscele non
classificabili come pericolose
ma contenenti sostanze PBT
o vPvB in concentrazione individuale = 0,1% p/p;
– sostanze incluse nell’elenco
delle sostanze soggette o candidate ad autorizzazione secondo REACh, qualora non
comprese nei precedenti punti;
– (a richiesta) (6) miscele non
classificate come pericolose
ma contenenti sostanze soggette o candidate all’autorizzazione in concentrazione individuale pari o superiore allo
0,1% in peso.
Gli ultimi quattro obblighi sono stati introdotti dal REACh
al fine di contemplare proprieta` preoccupanti non previste
dai criteri di classificazione armonizzati.
Il modello attuale della
scheda di sicurezza disposto dal «Regolamento
SDS» (Regolamento UE n.
453/2010) mantiene la
struttura conosciuta in 16
sezioni, pur gia` innovata
nei contenuti da REACh.
Tuttavia diversi punti risultano arricchiti attraverso
la richiesta di un maggior
livello di dettaglio e l’aggiunta di nuove sottosezioni.
Le principali modifiche vengono sintetizzate nella Tabella
1 e sono piu` ampiamente discusse nella Linea Guida.
Note:
(4) «Orientamenti sulla compilazione delle schede di dati di sicurezza», Agenzia Europea per le
sostanze chimiche, Versione 2.0 Dicembre
2013 (www.echa.europa.eu)
(5) Il riferimento viene apposto in etichetta ed e`
per le miscele classificate secondo la direttiva
1999/45/CE «Scheda dati di sicurezza disponibile
su richiesta per gli utilizzatori professionali» mentre per quelle classificate volontariamente a norma del CLP (e in ogni caso obbligatoriamente
dopo il 1º giugno 2015) e` «Scheda dati di sicurezza disponibile su richiesta».
(6) Ibidem.
Tabella 1 - Principali modifiche delle sezioni della SDS secondo il modello disposto
dall’Allegato II di REACh come modificato dal Regolamento n. 453/2010
Sezione della SDS
(nome attuale)
Contenuti della sezione
ante Regolamento n. 453/2010
Principali modifiche introdotte
dal Regolamento n. 453/2010
1. Identificazione della so- – nome commerciale del prodotto,
stanza o della miscela e del- corrispondente a quello riportato
la societa`/impresa
sull’etichetta, e principali funzioni
previste o usi raccomandati
– nome dell’azienda responsabile
dell’immissione in commercio (produttore/importatore/distributore)
ed indirizzo completo;
– numero telefonico cui fare riferimento per ottenere informazioni
dettagliate nelle situazioni di emergenza
in aggiunta:
– sostanze chimiche: numero di registrazione
– indicazione degli utilizzi identificati e di quelli sconsigliati
– riferimento e-mail della persona
competente per la redazione della
SDS
2. Identificazione dei peri- – classificazione del prodotto ed in- – va riportata qui (sottosezione
coli
formazioni concernenti i principali 2.2) l’etichettatura della sostanza/
pericoli di tipo chimico-fisico o per miscela, e non piu` alla sezione 15
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Contenuti della sezione
ante Regolamento n. 453/2010
Principali modifiche introdotte
dal Regolamento n. 453/2010
la salute o per l’ambiente presentati
dalla sostanza/preparato, descritti in
modo coinciso e compatibile con
quanto riportato sull’etichetta
– indicazione di altri pericoli non
contemplati dal sistema di classificazione
– introduzione graduale (si veda la
successiva Figura 2) della classificazione ed etichettatura secondo il
CLP
– alla sottosezione 2.3 possono essere indicati altri pericoli non contemplati dal sistema di classificazione, comprese le proprieta` PBT e
vPvB
3. Composizione/informa- – nome chimico, classificazione, nuzioni sugli ingredienti
meri identificativi e contenuto %
per ogni componente classificato o
ritenuto pericoloso in misura superiore alla rispettiva soglia di pericolosita`
– per le miscele non classificate,
tutti i componenti classificati o ritenuti pericolose presenti in misura
uguale o superiore all’1% in peso
(allo 0,2% in volume per miscele
gassose)
in aggiunta:
– utilizzo degli identificatori del
prodotto e dei numeri di registrazione
– miscele anche non classificate: indicazione dei componenti PBT o
vPvB o destinati all’autorizzazione
(lista SVHC) presenti in misura =
0,1 % in peso
4. Misure di primo soccor- indicazione sintetica di sintomi ed
so
effetti ritardati in caso di infortunio,
e delle misure di primo soccorso da
prestare all’infortunato (misure da
attuare e misure da evitare assolutamente) considerando le diverse vie
di esposizione che possono originare una contaminazione (inalazione,
contatto con la pelle, contatto con
gli occhi, ingestione); specificare
espressamente quando sia necessario l’immediato intervento di personale medico professionale
(non sono da segnalare novita` di rilievo rispetto alle prescrizioni precedenti, tuttavia si tende ad un maggior dettaglio delle indicazioni.)
5. Misure antincendio
– indicazione dei mezzi di estinzione idonei a fronteggiare un incendio
in cui sia coinvolto il prodotto e di
quelli invece inefficaci o incompatibili
– indicazione dei rischi correlati al
comportamento dei componenti
nell’incendio, anche in relazione alla
presenza di altri agenti chimici che
possono potenziare gli effetti pericolosi o produrne altri; eventuale
formazione di prodotti di combustione pericolosi
– azioni da intraprendere ed equipaggiamento protettivo consigliato
per l’intervento degli addetti
6. Misure in caso di rilascio – descrivere le misure di protezioaccidentale
ne individuale, le precauzioni e le
condizioni ambientali (ventilazione,
rimozione delle fonti di ignizione,
ecc.) da adottare nell’affrontare
una perdita incontrollata
– specificare i materiali ed i metodi
di pulizia e bonifica piu` idonei nonche´ quelli invece incompatibili o
inefficaci, utilizzando allo scopo anche indicazioni tassative (es. «non
utilizzare mai....»)
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Approfondimenti
Sezione della SDS
(nome attuale)
337
Approfondimenti
Sezione della SDS
(nome attuale)
338
Contenuti della sezione
ante Regolamento n. 453/2010
Principali modifiche introdotte
dal Regolamento n. 453/2010
7. Manipolazione ed imma- – precauzioni ambientali, misure di
gazzinamento
protezione collettiva, attrezzature
e modalita` operative consigliate e
vietate per una manipolazione del
prodotto in sicurezza
– condizioni di sicurezza per uno
stoccaggio nelle condizioni migliori
atte a preservare il prodotto dall’azione di agenti esterni e dalle possibili interazioni pericolose con altri
prodotti chimici
– se il prodotto e` destinato ad un
utilizzo particolare, indicare qui tutte le informazioni utili e funzionali
all’impiego previsto
in aggiunta:
– raccomandazioni sulle pratiche di
manipolazione sicure, in funzione
degli usi identificati di cui alla sezione 1, e coerenti con gli Scenari di
Esposizione, se pertinenti
– prodotti finali destinati ad usi particolari: raccomandazioni dettagliate
e funzionali coerenti con gli usi
identificati
8. Controllo dell’esposizio- – indicare indumenti ed eventuali
ne/protezione individuale
dispositivi di protezione piu` adatti
per la manipolazione in sicurezza
del prodotto
– elencare, ove esistenti, i valori limite di esposizione occupazionali,
ed eventualmente citare i riferimenti per il controllo ambientale
– indicare, se esistenti, gli indicatori
biologici ed eventualmente citare i
riferimenti per il monitoraggio biologico
in aggiunta:
– inserimento, se pertinente dei
nuovi valori limite occupazionali
DNELs
– inserimento, se pertinente dei
nuovi valori limite PNECs per i
comparti ambientali
– misure di gestione dei rischi specifiche per gli usi identificati di cui
alla sezione 1, e coerenti con gli
Scenari di Esposizione, se pertinenti
9. Proprieta` fisiche e chimi- informazioni che indicano l’aspetto
che
della sostanza o del preparato e le
altre proprieta` chimico-fisiche importanti ai fini della tutela della salute umana e dell’ambiente
in aggiunta:
– richieste ulteriori proprieta` fisiche/chimiche
– metodi di prova di cui al regolamento REACH
10. Stabilita` e reattivita`
– indicazioni sulle possibili reazioni
pericolose del prodotto sottoposto
a particolari condizioni ambientali o
in contatto con altri prodotti, descrizione delle possibili conseguenze e delle misure di prevenzione e
protezione
– elenco degli eventuali prodotti di
reazione o di decomposizione pericolosi per la salute o instabili
(non sono da segnalare novita` di rilievo rispetto alle prescrizioni precedenti, tuttavia si tende ad un maggior dettaglio delle indicazioni.)
11. Informazioni tossicolo- – riportare le proprieta` tossicologigiche
che acute e croniche, considerando
le possibili vie di esposizione, specificando gli eventuali sintomi immediati o ritardati
– indicare, ove reperibili, i risultati
dei saggi sperimentali di determinazione della tossicita` acuta sugli animali
– specificare, ove esistenti, anche le
informazioni derivanti da studi sperimentali compiuti da organismi di
riferimento su danni non ancora accertati e su sospetta cancerogenicita`, mutagenicita`, teratogenicita`
in aggiunta:
– sostanze soggette a registrazione:
vanno riportati i sommari delle informazioni derivate dall’applicazione
degli allegati da VII a XI del REACh e
coerenti con la CSA
– dal 1 giugno 2015:
informazioni sulla tossicita` specifica
per organi bersaglio (STOT) per
esposizione singola e ripetuta
12. Informazioni ecologi- indicazioni relative al comportache
mento dei componenti nell’ambiente, ai prodotti di trasformazione,
agli effetti dei componenti intatti e/
o degradati sugli ecosistemi
– richieste ulteriori informazioni su
persistenza e bioaccumulo (proprieta` PBT e vPvB), potenziale di perturbazione del sistema endocrino,
altri effetti avversi
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Sezione della SDS
(nome attuale)
Contenuti della sezione
ante Regolamento n. 453/2010
Principali modifiche introdotte
dal Regolamento n. 453/2010
14. Informazioni sul tra- – prescrizioni tecniche e precausporto
zioni operative da adottare durante
il trasporto del prodotto o nelle
operazioni di movimentazione (imballaggi, attrezzature, procedure,
mezzi di protezione)
– ove applicabili, indicare i riferimenti alla regolamentazione degli
accordi internazionali sul trasporto
delle merci pericolose
alcuni elementi specifici delle informazioni sulla classificazione relativa
al trasporto per ciascuna attuazione
dell’UE dei regolamenti tipo dell’ONU da facoltativi diventano obbligatori
15. Informazione sulla re- – riassumere le informazioni relatigolamentazione
ve all’etichettatura, le classi di pericolosita`, le frasi di rischio ed i consigli di prudenza, le eventuali informazioni supplementari (categoria di
cancerogenicita`, avvertenze supplementari per alcuni preparati, ecc.)
– riportare tutti i riferimenti legislativi nazionali e comunitari applicabili
in aggiunta:
– informazioni in merito all’autorizzazione e alle restrizioni di qualunque sostanza della miscela
– indicare se il fornitore ha effettuato una valutazione della sicurezza
chimica (CSA) per la miscela
– non devono essere piu` indicate qui
le informazioni relative all’etichettatura in quanto comprese nella sezione 2
16. Altre Informazioni
– altre informazioni per il corretto
utilizzo delle SDS e per la salvaguardia della salute dei lavoratori e la
protezione dell’ambiente
– in caso di revisione della scheda
indicare chiaramente le informazioni aggiunte, modificate, eliminate
per ogni sezione
– bibliografia di riferimento utilizzata
– miscele: fino al 1º giugno 2015, le
informazioni sulla classificazione a
norma del CLP per le miscele per
le quali non e` stata ancora attuata
l’etichettatura completa a norma
del CLP, possono essere indicate,
su base volontaria, in questa sezione
– miscele: se non riportata altrove,
l’indicazione sui metodi utilizzati per
la classificazione della miscela
Allegato
(non presente)
contiene lo Scenario di Esposizione
adeguato agli usi identificati in sezione 1 e coerente con la valutazione
della sicurezza chimica (CSA), se
pertinente
La completezza delle informazioni fornite in SDS e` spesso
un punto critico. La Linea
Guida affronta (capitolo 3.7 e
nel dettaglio l’intero capitolo
4) questo aspetto, riepilogando
per ogni sezione le informazioni necessarie o utili.
Viene inoltre fornito anche un
flow-chart esemplificativo (Figura 1) del processo logico
che puo` essere utile seguire
per definire le informazioni
necessarie durante l’elaborazione della SDS.
Rispetto alle fonti di dati, sono
richiamate le banche dati messe a punto dalla stessa ECHA
(Tabella 2).
Si tratta di fonti conosciute
agli addetti ai lavori e certamente affidabili; purtroppo pero` molte sono in lingua inglese
o tedesca, dunque non sono
comunque sempre direttamente fruibili a molte imprese
che si trovino nella necessita`
di elaborare le SDS.
Punti critici comuni
nell’elaborazione
delle SDS
Di seguito si evidenziano alcune possibili criticita` nell’elaborazione della SDS.
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Approfondimenti
13. Considerazioni sullo – specificare i metodi idonei allo misure di gestione dei rifiuti coerensmaltimento
smaltimento dei rifiuti e dei loro ti con gli Scenari di Esposizione, se
contenitori, i materiali piu` adatti alla pertinenti
raccolta dei rifiuti, le precauzioni da
assumere durante le operazioni di
smaltimento, le prescrizioni di sicurezza specifiche del luogo di stoccaggio di particolari tipi di rifiuti (infiammabili, corrosivi, ecc.)
– riportare i principali riferimenti
legislativi comunitari, nonche´ se possibile quelli nazionali, regionali, ecc.
339
Approfondimenti
Figura 1 - Sequenza esemplificativa per la compilazione di una SDS
340
Fonte: ECHA, op. cit.
Tabella 2 - Banche dati ECHA per l’elaborazione delle SDS
http://apps.echa.europa.eu/registered/registered-sub.aspx
per le informazioni sulle sostanze registrate;
http://echa.europa.eu/clp/c_l_inventory_it.asp
per le informazioni su classificazioni ed etichettature armonizzate e a cura dei fabbricanti/importatori;
http://esis.jrc.ec.europa.eu
per l’accesso a svariate banche dati internazionali;
http://www.ilo.org/dyn/icsc/showcard.home
per l’accesso alle utilissime schede di sicurezza ICSC predisposte dall’ILO;
http://www.dguv.de/ifa/Gefahrstoffdatenbanken/GESTISStoffdatenbank/index-2.jsp
GESTIS, banca dati messa a punto delle associazioni professionali tedesche;
http://www.echemportal.org/echemportal/index?pageID=
0&request_locale=en
per l’accesso al ricchissimo portale eChemPortal;
http://www.inchem.org
sito del programma internazionale sulla sicurezza chimica (IPCS) INCHEM;
http://toxnet.nlm.nih.gov/index.html
Toxnet, la rete di dati di tossicologia della
National Library of Medicine degli Stati
Uniti d’America.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Sono ribadite (sezione 3.8) le
circostanze che rendono obbligatorio ai sensi dell’articolo
31, paragrafo 9 di REACh
l’aggiornamento delle SDS e
la loro fornitura a tutti i clienti
che hanno acquistato il prodotto nei 12 mesi precedenti la
modifica avvenuta:
– non appena siano disponibili nuove informazioni sui pericoli presentati dal prodotto o
sulle misure per la gestione
dei rischi derivanti;
– una volta concessa o rifiutata un’autorizzazione;
– una volta imposta una restrizione.
Il numero di revisione deve figurare sulla prima pagina,
mentre le informazioni sulle
modifiche devono essere fornite nella sezione 16 o altrove
nella SDS (ad esempio in ogni
sezione).
La Linea Guida fornisce questo esempio per la gestione
delle revisioni:
– versione 1.0: pubblicazione
iniziale;
– versione 1.1: prima modifica o prime modifiche per le
quali non sono prescritti aggiornamenti ne´ la ripubblicazione per i precedenti destinatari;
– versione 1.2: seconda modifica o seconde modifiche per
le quali non sono prescritti aggiornamenti ne´ la ripubblicazione per i precedenti destinatari;
– versione 2.0: prima modifica per cui e` prescritta la fornitura dell’aggiornamento ai
precedenti destinatari;
– eccetera.
Tutta la documentazione necessaria all’elaborazione delle SDS - compresi gli scambi
di informazione a monte e a
valle nella catena di approvvigionamento - deve essere
conservata per almeno dieci
anni a disposizione delle
autorita` di vigilanza; la Linea
Guida chiarisce che non si
tratta di mantenere ogni copia cartacea delle SDS ricevute e via via revisionate
per ogni utilizzatore, mentre
l’obbligo e` a carico dei relati-
vi fornitori; si suggerisce
quindi di implementare un sistema di registrazione delle
SDS emesse e delle modifiche apportate.
Allo scopo di non appesantire
la fornitura, si specifica che
una volta fornita la SDS, non
vi e` motivo di dover fornire ulteriori copie della stessa versione - ad esempio ad ogni fornitura di materiale - ad eccezione di quando subentri una
revisione obbligatoria come
sopra detto.
Altro elemento critico legato
alla fornitura ed ai successivi
update e` la modalita` con cui
avviene la fornitura: si ribadisce - come era gia` emerso in
precedenti orientamenti anche
italiani - che il soggetto su
cui grava l’obbligo di fornire
la SDS ha un ruolo attivo e
non puo`, percio`, limitarsi a
mettere la SDS a disposizione
dei propri clienti in maniera
passiva, per esempio via internet, o in maniera reattiva consegnandola su richiesta.
Nel caso di fornitura per via
elettronica, puo` essere considerata accettabile la consegna
della SDS (e di eventuali allegati relativi allo scenario d’esposizione) come allegato a
una e-mail in un formato generalmente accessibile a tutti i
destinatari; mentre al contrario, l’invio di una e-mail con
un link a un sito web generale
all’interno del quale cercare e
scaricare la SDS (o l’ultimo
aggiornamento della SDS)
non puo` essere considerata
una modalita` accettabile in
quanto richiede un’attivazione
del soggetto a valle che non
esonera il fornitore dal proprio
obbligo.
L’intera documentazione SDS e nuovi allegati contenenti gli scenari espositivi deve obbligatoriamente essere
redatta nella lingua dello Stato
membro in cui si trova l’utilizzatore, e utilizzando modalita`
chiare e comprensibili. Questo
aspetto e` espresso chiaramente
in REACh, nel Regolamento
n. 453/2010 e nelle attuali Linee Guida.
Inoltre, la SDS ricevuta dev’essere relativa al proprio
specifico utilizzo: tale correla-
zione puo` risultare in diverse
Sezioni della SDS, ma specialmente alla Sezione 1.2 «Usi
pertinenti identificati della sostanza o miscela e usi sconsigliati», e dove applicabile nell’allegato contenente gli Scenari Espostivi che dovra` essere
specificamente inerente il proprio processo di lavoro (e non
l’intera catena di approvvigionamento servita dal fornitore!).
Nel caso in cui un utilizzatore
a valle situato sul territorio italiano non riuscisse ad ottenere
dal suo fornitore le SDS di sostanza/miscela in lingua italiana, potra` informare l’ASL del
proprio ambito territoriale per
le azioni conseguenti: in questo caso, l’utilizzatore avra` cura di documentare le richieste
ed i solleciti inoltrati al fornitore.
Obblighi derivanti
dal Regolamento CLP
Date le tempistiche scaglionate di applicazione dei criteri
CLP, vi puo` ancora essere
confusione al riguardo di quali
dati modificare nella SDS e
con quale tempistica. Viene
dunque fornita in Appendice
1 della Linea Guida una tabella riassuntiva degli obblighi
derivanti dal Regolamento
CLP di cui tenere conto nell’elaborazione delle SDS (Tabella 3).
Responsabilita`
della corretta elaborazione
delle SDS
Talvolta, a seconda dei ruoli
ricoperti nella catena di approvvigionamento, e` difficile
capire a chi spettino le responsabilita` correlate alla corretta
elaborazione delle SDS.
All’interno di una catena di
approvvigionamento, le prescrizioni del REACh in relazione alla fornitura delle SDS
sono da applicarsi a ciascuna
fase della suddetta catena.
Certamente la responsabilita`
iniziale ricade sul fabbricante/
importatore o sul rappresentante esclusivo, che sono tenuti a verificare, nei limiti di una
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Approfondimenti
Aggiornamento
obbligatorio delle SDS
341
Tabella 3 - Periodi transitori per l’attuazione dei requisiti di etichettatura
e dei requisiti corrispondenti per le SDS
Sostanze
Fino al 1º giugno 2015
Dal 1º giugno 2015
Etichetta
CLP
CLP
SDS
Versione 2010 I
Versione 2010 II
Sezione 2.1: classificazione CLP e Sezione 2.1: classificazione CLP
DSD
Sezione 2.2: elementi di etichettatura Sezione 2.2: elementi di etichettatura
CLP (unicamente121)
CLP (unicamente120)
Approfondimenti
Miscele
342
Fino al 1º giugno 2015: tutte le miscele
Dal 1º giugno 2015:
Fino al 1º giugno 2017: miscele gia` immesse sul miscele immesse sul
mercato prima del 1º giugno 2015 («sugli scaffali») mercato dopo il 1º giugno 2015; o facoltativamente tutte le miscele
Opzione 1
Opzione 2
Dal 1º giugno 2015:
tutte le miscele
Etichetta
DPD
CLP (ad es. attuazione CLP
«anticipata» dell’etichettatura...
SDS
Versione 2010 I
Sezione 2.1: classificazione DPD
Sezione 2.2: elementi di
etichettatura DPD (unicamente120)
Sezione 3.2: classificazione DSD (componenti)
Versione 2010 II
Sezione 2.1: classificazione CLP e122 DPD
Sezione 2.2: elementi di
etichettatura a norma
del CLP (unicamente120)
Sezione 3.2: classificazione CLP e DSD (compoClassificazione a norma nenti)
del CLP se i componenti
sono messi a disposizione del fornitore
Sezione 16 (fcoltativa):
classificazione della miscela ai sensi del CLP
Versione 2010 II
Sezione 2.1: classificazione a norma del CLP
Sezione 2.2: elementi di
etichettatura a norma
del CLP
Sezione 3.2: elementi di
etichettatura a norma
del CLP (componenti)
Note: DPD sta per Direttiva Preparati Pericolosi e si riferisce alla Direttiva 1999/45/CE, ancora in vigore fino al
1º giugno 2015 per la classificazione delle miscele chimiche
Fonte: ECHA, op. cit.
ragionevole fattibilita`, gli usi
ai quali puo` essere applicata
la sostanza o miscela che forniscono. Ma anche gli attori a
valle nella catena di approvvigionamento potranno poi dover fornire una SDS adeguata
e completa, facendo ricorso alle informazioni ricevute dai loro fornitori ma verificandone
l’adeguatezza ed eventualmente migliorandole attraverso
fonti informative e opportuni
flussi comunicativi con i propri clienti, allo scopo di soddisfarne le esigenze specifiche in
materia di salute, sicurezza e
tutela ambientale nello specifico scenario espositivo. Inoltre
anche il semplice utilizzatore
a valle ha un obbligo disposto
dall’art. 34 REACh di verifica
delle SDS giuntegli, al fine di
segnalare al proprio fornitore
incongruenze che noti nella
SDS ed eventuali effetti riscontrati e non precisati nella
SDS che gli e` stata fornita.
In ogni passaggio dunque, i
fornitori di una sostanza o miscela per la quale e` prescritta
una SDS sono responsabili
per i suoi contenuti: e` a loro
carico la responsabilita` in me-
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
rito all’accuratezza delle informazioni presenti nelle SDS da
loro fornite.
Il semplice distributore o il
venditore al dettaglio che
non appongano il proprio nome sulla SDS ma si limitino,
appunto, a distribuire la SDS
ricevuta insieme al prodotto
sono considerati a parte dalla
normativa, in quanto non detengono responsabilita` sulla
formulazione e sulle informazioni pertinenti (ad eccezione
della distribuzione in lingue
diverse da quella originariamente utilizzata).
Viene chiarita la previsione
dell’art. 31 paragrafo 7
REACh, relativa alle modalita`
di inclusione dello Scenario
Espositivo all’interno della
SDS: l’elaborazione di un apposito allegato alla SDS e` obbligatoria per il soggetto che
debba effettuare la CSA per
il proprio prodotto nella propria catena di approvvigionamento a valle. Negli altri casi
le informazioni possono essere
inserite all’interno delle varie
sezioni della SDS in modo appropriato e comprensibile.
L’Appendice 2 alla Linea Guida fornisce orientamenti specifici per gli utilizzatori a valle
nelle diverse situazioni possibili.
Il fornitore della SDS deve
inoltre ricordare che le raccomandazioni derivanti dagli
scenari d’esposizione determinano obblighi specifici a carico degli utilizzatori a valle
(art. 37 REACh): viene quindi
raccomandato che le informazioni derivanti dagli scenari
di esposizione - fornite nel
corpo principale della SDS o
allegate ad essa - siano indicate come tali e distinte dalle altre informazioni che compongono la SDS.
Sostanze o miscele
recuperate
Specifiche indicazioni vengono fornite anche per il caso
delle sostanze o miscele recuperate: se infatti il rifiuto e`
esentato, come categoria, dall’obbligo di redigere una
SDS, nel momento in cui viene recuperato diviene nuovamente una sostanza/miscela
per cui dev’essere disponibile
una SDS nei casi previsti sopra riassunti.
In questa particolare fattispecie la criticita` e` rappresentata
dall’«uguaglianza» della sostanza o dei componenti delle
miscela rispetto alle sostanze
chimiche identificate. Il criterio dell’uguaglianza tiene
conto dei costituenti principali, non delle impurezze certamente presenti in un materiale
recuperato - a meno che queste non presentino caratteristiche di pericolosita` e, in relazione ai pertinenti valori di
soglia, debbano quindi essere
considerate nella classificazione e indicate espressamente in quanto componenti pericolosi.
La Linea Guida si conclude
con un utile glossario della terminologia e delle abbreviazioni utilizzate (Appendice 5).
Compilazione SDS
Qualsiasi SDS deve essere
compilata da una persona
competente che tenga conto
delle necessita` e delle conoscenze specifiche degli utilizzatori. Dal 1º giugno 2008 e`
inoltre necessario indicare alla
Sezione 1 della SDS l’indirizzo di posta elettronica della
persona competente responsabile della SDS, che puo` tuttavia anche riferirsi ad un servizio generico. E` responsabilita`
del fornitore della SDS individuare, al proprio interno o
esternamente, la figura o il servizio competenti a elaborare le
SDS che fornira` ai propri
clienti.
In realta`, ne´ nel Regolamento
ne´ in altre normative viene fornita alcuna definizione specifica di «persona competente»;
tuttavia una definizione utile
del termine in questo contesto
puo` essere quella di una persona (o gruppo di persone) dotata, in virtu` della propria formazione, esperienza e istruzione
permanente, di sufficienti conoscenze che gli consentano
la compilazione delle rispettive sezioni della SDS o della
SDS nella sua totalita`.
Il fornitore della SDS puo` delegare tale funzione al proprio
personale o a terzi e non e` richiesto che sia una sola persona a compilare la SDS.
La Linea Guida indica (capitolo 3.5) una serie di tematiche
la cui conoscenza e` ritenuta
necessaria per la corretta elaborazione di una SDS: tra queste troviamo l’intera normativa
inerente il rischio chimico, sia
dal punto di vista della protezione della persona che di
quella dell’ambiente, oltre alla
conoscenza tecnica inerente le
informazioni da gestire nelle
diverse sezioni.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Approfondimenti
Modalita` di inclusione
dello Scenario Espositivo
343
VDR in pratica
` grande disastro
Il piu
industriale di sempre
e l’analisi dei rischi
VDR in pratica
L’anniversario del piu` grande disastro dell’era industriale rappresenta l’occasione per riflettere sulla portata dei rischi connessi alla presenza di attivita` industriali con pericoli di incidente rilevante. Impianti di
produzione sempre piu` vasti e complessi che fanno leva sulla chimica industriale determinano inevitabilmente forti condizionamenti per il territorio che occupano e destano nuove attenzioni per il problema
degli incidenti che possono coinvolgere oltre ai lavoratori dell’impianto anche estese aree di superficie
esterne allo stabilimento con conseguenze, sia per l’uomo che per l’ambiente, talvolta devastanti.
Marzio Marigo - Ingegnere, Studio Marigo
Premessa
E` appena trascorso il quarantesimo anniversario
di uno tra i piu` grandi incidenti industriali avvenuti in Europa nel dopoguerra. Il 1º giugno
1974 e`, infatti, una data densa di significati e rappresenta, peraltro tristemente, l’inizio del cammino europeo verso l’industria di processo sicura.
Gli accadimenti che ebbero luogo in quel giorno,
sommati a quanto avvenne due anni dopo in Italia, presso gli stabilimenti dell’ICMESA di Seveso (MI), posero infatti le basi per l’emanazione
della prima direttiva comunitaria indicante l’obbligatorieta` di costruire ed esercire ‘‘in sicurezza’’
gli stabilimenti i cui rischi, per la sicurezza delle
persone e la salubrita` dell’ambiente, si potessero
estendere anche all’esterno del sito produttivo.
Come gia` accennato, alle 16:53 del 1º giugno
1974 ebbe luogo a Flixborough, nel Nord Lincolnshire (UK), forse il piu` impressionante incidente della storia dell’industria convenzionale
moderna. Un rilascio accidentale di cicloesano
ad alta pressione e temperatura, che si origino`
dagli impianti della Nypro Ldt. (produttrice di
Nylon 6), causo` una catastrofica esplosione e
un conseguente incendio, con il decesso di 28
persone e il ferimento di altre 104. Il sito industriale, esteso su circa 100.000 mq, venne interamente distrutto e circa 1800 case e 170 tra attivita` commerciali e fabbriche prossimali furono danneggiate. Il totale dei danni venne quantificato in circa 750 milioni di dollari, rivalutati
all’anno 2000 (Kletz, 2001).
L’enorme esplosione venne udita fino ad Anlaby, nella contea di Hull, distante 32 km da Flixborough.
Il sito industriale
L’impianto di cicloesano, collocato nella zona
344
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
definita 25 A (cfr. Figure 1 e 2), risultava adiacente alla sala controllo, al blocco principale
degli uffici, ai laboratori, all’impianto di generazione dell’idrogeno, alla sezione 7 (impianti
di caprolattame) e alla sezione 27.
Esso consisteva in 6 reattori collegati tra loro
(cfr. Figura 3), con tubazioni da 28 pollici
(equivalenti a 71 cm), posti in serie a livelli differenti di altezza (codici Nypro nn. 2521-2526).
All’interno di tale processo il cicloesano (sostanza con caratteristiche di infiammabilita` simili alla benzina), inertizzato con azoto in pressione, veniva ossidato (a 9,6 bar e 155ºC) in cicloesanone e cicloesanolo grazie all’iniezione
d’aria in presenza di un catalizzatore.
Il ciclo produttivo
Una configurazione impiantistica di questo tipo
fu dettata dalla particolare lentezza della reazione di ossidazione. Fu pertanto prolungato il
tempo di permanenza del fluido all’interno dell’impianto, con l’adozione di piu` reattori in serie, e venne migliorata la cinetica del processo,
rispetto agli impianti gia` esistenti all’epoca,
portando la temperatura del ciclo a 155ºC, molto al di sopra al punto di ebollizione del liquido
a pressione ambiente (= 81ºC). La scelta obbligata conseguente fu quindi quella di pressurizzare la miscela in reazione fino a 9,6 bar al fine
di mantenere il cicloesano in forma liquida.
L’impianto, con i parametri di progetto indicati,
consentiva di produrre, a regime, 70.000 tonnellate all’anno di caprolattame.
Ogni reattore, realizzato in acciaio AISI 316L,
era dotato di un dispositivo di troppo pieno a
stramazzo che consentiva di mantenere costante
il livello di liquido. In tutti i contenimenti, ad
eccezione del n. 4, erano inoltre installati degli
agitatori interni.
Figura 2 - Il sito dopo il disastro
L’alimentazione dell’impianto consisteva in
una miscela di cicloesano fresco miscelato ad
altro proveniente dagli impianti di recupero
del prodotto in uscita. Il prodotto intermedio
in uscita dai sei reattori conteneva, infatti, oltre
al cicloesanone e cicloesanolo, un tenore del
94% di cicloesano il quale, non avendo partecipato alla reazione, veniva distillato per essere
riutilizzato con la miscela fresca in entrata.
Dalla distillazione si separava cicloesanone e
cicloesanolo che venivano convertiti, in altra
parte dell’impianto, in caprolattame, il monomero base necessario alla produzione del polimero Nylon 6.
Un disastro annunciato
Il 27 marzo, circa due mesi prima dell’evento,
venne evidenziata sul reattore n. 5 (codice interno n. 2525) una perdita continua di cicloesano.
Fu decisa la fermata dell’impianto per procedere ad una ispezione approfondita del conteni-
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
VDR in pratica
Figura 1 - Il sito prima del disastro
345
VDR in pratica
Figura 3 - I sei reattori della sezione 25A
346
mento che rivelo` la presenza di una fessurazione verticale molto ampia (circa 180 cm) causata, come dimostro` l’inchiesta successiva all’incidente, da tensocorrosione. Venne quindi presa
la decisione di rimuovere il reattore n. 5, per
studiarlo approfonditamente, e di riconnettere,
nel frattempo, i reattori 4 e 6 attraverso un collegamento in acciaio AISI 304L del diametro di
20 pollici (= 51 cm). Tale dimensione risultava
molto inferiore rispetto a quella prevista in origine dal costruttore (cfr. Figura 4).
Una simile riduzione di diametro non fu dettata
da considerazioni ingegneristiche e/o strutturali
bensı`, piu` semplicemente, dalla disponibilita`
immediata di questa dimensione di tubo presso
i magazzini dello stabilimento. Peraltro la struttura del raccordo non risultava assiale rispetto
alle flange da collegare, collocate su due livelli
differenti, bensı` composta da tre tronconi cilindrici saldati tra loro. Tale raccordo risultava
inoltre connesso ai vessel nn. 4 e 6 attraverso
soffietti metallici antivibranti. L’intero bypass
Figura 4 - Schema dell’impianto dopo l’eliminazione del reattore n. 5
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
to a fatica e vincolato a vibrare in modo anomalo, anche a causa della struttura in tubi innocenti di vincolo.
Il giorno dell’esplosione
La situazione rimase stazionaria fino al 1º di
giugno quando, in occasione di un riavvio dell’impianto successivo ad una fermata per manutenzione correttiva (che non riguardo` il collegamento provvisorio), il bypass cedette di schianto, provocando un rilascio (stimato) di circa
100 tonnellate di cicloesano liquido a 9,6 bar
e 155ºC (molto al di sopra, cioe`, del punto di
ebollizione del liquido a pressione atmosferica,
come gia` detto).
Tale perdita massiva e incontrollata genero` un
fenomeno noto con il nome di «flashing». Esso
si manifesto` con la pressoche´ istantanea nebulizzazione di una frazione rilevante del cicloesano espulso. A seconda delle simulazioni effettuate, da vari autori e dalla commissione governativa d’inchiesta, la quantita` di cicloesano
liquido, trasformatasi in vapore e nebbia, si colloca nell’intervallo 15-45 tonnellate di infiammabile mentre l’altezza rispetto al suolo, raggiunta da tale nube prima dell’innesco, si stima
invece pari a circa 45 metri. Infine, il diametro
del rilascio (prima dell’innesco), e` stato approssimativamente quantificato in 200 metri (Sadee
et al., 1975).
Una di queste stime e` semplicemente realizzabile adottando il criterio del TNT equivalente
proposto dall’HSE britannico; si ottiene, a
Figura 5 - Schema della tubazione di bypass
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
VDR in pratica
risultava supportato da una struttura provvisoria
in tubi innocenti (cfr. Figura 5).
Tutta la struttura di collegamento tra i reattori
risulto`, inoltre, concepita in difformita` alla regola dell’arte allora vigente e relativa ai recipienti in pressione di quella tipologia (BS
3351:1971). Non fu preventivamente studiata
e calcolata, non venne nemmeno semplicemente disegnata (se si eccettua lo schema, realizzato
con gesso, rinvenuto sul pavimento della carpenteria di produzione!). Peraltro non furono
presentati, nel corso del successivo processo,
nemmeno i verbali di collaudo del collegamento realizzato.
Un’analisi svolta agli elementi finiti evidenzio`
piu` frequenze naturali di vibrazione del bypass.
Si riportano, a titolo esemplificativo, le prime
due:
– assiale: f1 = 3,98 Hz;
– traversale: f2 = 12,35 Hz.
Queste frequenze vennero ad essere eccitate in
risonanza dal flusso liquido interno di cicloesano. Infatti, la sezione, ridotta da 28 a 20 pollici,
determino` una notevole accelerazione della velocita` del liquido, con un conseguente incremento della depressione e della turbolenza del
flusso. Tali modifiche fluidodinamiche sovrasollecitarono sia staticamente sia dinamicamente il giunto provvisorio nella sua intera lunghezza, inducendo forzanti armoniche che si manifestarono con momenti flettenti pulsanti (cfr.
Figura 6).
Per molte settimane dalla sua prima installazione, quindi, il giunto si trovo` ad essere sollecita-
347
VDR in pratica
Figura 6 - Schema di sollecitazione statica del bypass
348
fronte di un rilascio di liquido pari a 100 tonnellate, una nube di vapori e nebbie infiammabili di circa 34 tonnellate (cfr. Figura 7).
Tale quantita` risulta ragionevolmente aderente con quanto stimato dalla commissione d’inchiesta.
Questa enorme nube di vapore e nebbia infiammabile esplose con una potenza distruttiva
equivalente a circa 10,2 tonnellate di TNT
(VCE), anche se alcuni studi arrivano a quantificare tale quantita` in circa 16 tonnellate (Sadee
et al., 1975). Essa venne probabilmente innescata, dopo un periodo da 30 a 90 secondi dal
rilascio, dai bruciatori presenti nell’impianto
di generazione di idrogeno, collocato nelle
adiacenze della sezione 25.
L’espansione della nube emisferica accesa, pari
a circa 8 volte il suo volume iniziale (= raddoppio del diametro), fece sı` che il fronte di fiamma raggiungesse zone nelle quali non era inizialmente presente la miscela infiammabile, incendiando, cosı`, buona parte del sito dello stabilimento.
La sala di controllo venne completamente distrutta cosı` come venne demolito il blocco principale degli uffici, realizzato in mattoni e posto
a 25 metri dal rilascio. Fortunatamente negli uffici, solitamente occupati da circa 200 persone,
non c’erano dipendenti (era sabato). Peraltro,
nessuno degli edifici civili presenti nel complesso della Nypro era stato progettato e realizzato per proteggere gli occupanti da eventuali
esplosioni esterne.
Le simulazioni degli effetti dovuti a sovrappressione, realizzate con il metodo del TNT
equivalente e con il TNO Multienergy, resti-
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
tuiscono valori di sovrappressione significativi
fino ad oltre i tre chilometri dall’epicentro dell’incidente (cfr. Figura 8). A questi devono aggiungersi i danni connessi all’esposizione a
fiamme e radiazione termica. Tali manifestazioni evidenziano letalita` ben oltre il limite
di infiammabilita` della nube generata, fino a
concentrazioni di infiammabile minori del
LEL/2 (cfr. Tabella 2 del D.M. 9 maggio
2001). E` facilmente ipotizzabile che tali conseguenze abbiano superato, in magnitudo, quelle
connesse alla sovrappressione, soprattutto nel
campo vicino, in prossimita` dell’epicentro dell’esplosione.
Presso lo stabilimento risultavano stoccate, alla
data dell’incidente, le seguenti quantita` di sostanze infiammabili:
– cicloesano = 1156 tonnellate;
– nafta = 230 tonnellate;
– toluene = 44 tonnellate;
– benzene = 105 tonnellate;
– benzina = 1515 tonnellate.
L’incendio conseguente, alimentato da queste
rilevantissime quantita` di infiammabili, fu anch’esso di proporzioni catastrofiche.
Ventotto furono i decessi causati dall’esplosione, 18 dei quali erano presenti in sala controllo.
Nel laboratorio, collocato a meno di 12 metri
dalla sala di controllo, ci furono sorprendentemente 8 superstiti i quali, avendo assistito direttamente agli eventi immediatamente precedenti
l’esplosione, furono in grado di portarsi in un
luogo sicuro rispetto agli effetti letali dell’esplosione. Essi, altresı`, furono testimoni decisivi per la comprensione delle dinamiche incidentali.
Fonte: CCPS, 1994
Valutazione del rischio
Le cause ultime del disastro sono state molte e
interconnesse tra loro. In un incidente di questo
tipo, infatti, l’evento catastrofico non e` che la
manifestazione di molte anomalie gia` esistenti
e dormienti all’interno del sistema organizzato
che trovano un innesco in un fatto specifico
(... la goccia, il vaso ecc.).
In molti incidenti industriali, piccoli, medi e
grandi, accade spesso cosı`, quindi. Un evento
«trigger» innesca i fattori di rischio annidati
nel sistema e covanti da tempo.
Fatta questa premessa, elenco le tre cause ulti-
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
VDR in pratica
Figura 7 - Stima del rilascio di vapori e nebbie infiammabili nell’incidente
di Flixborough
349
VDR in pratica
Figura 8 - Simulazione CFD del rilascio di cicloesano dai reattori nn. 4 e 6
350
Fonte: Fingas, 2002
me, immediatamente individuali, che hanno innescato il disastro:
1) la connessione di bypass venne installata
senza alcuna valutazione di sicurezza, dimensionamento meccanico e supervisione da parte
di ingegneri chimici esperti. Come gia` detto,
addirittura, lo schema in base al quale venne
realizzato il collegamento fu disegnato, con
un gesso, nel pavimento del reparto della carpenteria di lavorazione;
2) il sito conteneva quantita` rilevantissime di liquidi infiammabili stoccati che, successivamente all’esplosione, alimentarono l’incendio di
proporzioni gigantesche;
3) il bypass non fu realizzato in conformita` alla
regola dell’arte allora vigente. Ogni modifica,
come regola generale, deve essere sempre realizzata con il medesimo livello qualitativo dell’impianto nel quale si andra` ad installare.
Un evento con una simile dimensione, oltre al
carico di distruzione e sofferenza, porta con
se´ sempre importanti e preziosi insegnamenti
per il futuro. Di seguito si riporta un elenco di
principi di prevenzione e di buone pratiche,
estratto dalla relazione della commissione d’inchiesta pubblica e integrato da Lees:
– necessita` di controllo pubblico sugli impianti
a rischio di incidente rilevante;
– localizzazione e distanziamento degli im-
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
pianti a rischio di incidente rilevante dai centri
abitati;
– autorizzazione per lo stoccaggio di materiali
pericolosi;
– elaborazione di regole tecniche per sistemi ed
attrezzature a pressione;
– adozione di sistemi di gestione negli impianti
a rischio di incidente rilevante;
– priorita` della sicurezza sulle necessita` di produzione;
– utilizzo, in ogni fase del processo, di norme
tecniche e codici di buona pratica;
– riduzione degli stoccaggi di prodotti pericolosi;
– riduzione della taglia degli impianti (es. diametro tubazioni, volume dei contenimenti)
agendo sull’efficienza del processo;
– adozione di alta affidabilita` nell’ingegneria
dell’impianto (es. integrita` meccanica);
– implementazione di alte affidabilita` per i servizi di processo (es. fornitura idrogeno, azoto
ecc);
– limitazione dell’esposizione del personale;
– progettazione e collocazione sicura delle sale
controllo e degli altri fabbricati del plant;
– ergonomia nella scelta della strumentazione
di controllo dell’impianto (non specifico di
Flixborough);
Nota conclusiva
Anche se molta strada deve ancora essere percorsa (es. adozione dei criteri di sicurezza intrinseca di Kletz, manutenzione orientata all’affidabilita`, procedure di gestione del cambiamento efficienti ecc.), a quarant’anni di distanza di questa enorme catastrofe possiamo constatare che le condizioni di sicurezza degli impianti di processo sono certamente migliorate. Non
pochi dei punti elencati in precedenza dalla
commissione di inchiesta sono stati, infatti, presi in considerazione dal legislatore europeo.
L’augurio per tutti noi e` che, comunque, sia per
gli incidenti che accadono nell’industria convenzionale come per quelli che avvengono in
quella a rischio di incidente rilevante, non valga
mai la massima di George Bernard Shaw citata
all’inizio di questo intervento.
La storia insegna.
Sempre.
Glossario
– AISI: American Iron and Steel Institute.
– CFD: Computational Fluid Dynamics (Fluidodinamica Computazionale).
– flashing: e` l’istantanea vaporizzazione, sotto
forma di nebbia, di una frazione (piu` o meno rilevante) di un liquido che possiede una temperatura superiore al punto di ebollizione atmosferico e la sua pressione viene repentinamente ridotta alle condizioni ambientali standard. In genere si formano nebbie molto dense e pesanti.
Dato che la velocita` di trasferimento del calore
e` tale da poterlo considerare adiabatico, il processo si arrestera` quando l’eccesso di energia
del liquido surriscaldato verra` dissipato sotto
forma di calore latente.
– HSE: Health and Safety Executive.
– LEL: Lower Explosion Limit. Concentrazione in aria di gas, vapore o nebbia infiammabile,
al disotto della quale non si formera` un’atmosfera esplosiva. In altri termini, una miscela di
infiammabili con l’aria potra` essere accesa solo
all’interno di un campo specifico di concentrazione il cui limite inferiore e` costituito dal LEL.
Al di sotto del LEL la miscela risultera` troppo
«povera» per essere accesa.
– TNO Multienergy: Metodo di simulazione
dei danni da sovrappressione elaborato dal
TNO olandese (cfr. Yellow Book del link).
– TNT equivalente: Metodo di simulazione dei
danni da sovrappressione che consiste nell’assimilare una massa di infiammabile rilasciato in
una corrispondente quantita` di TNT.
– VCE: Vapor Cloud Explosion (Esplosione di
Vapori)
Bibliografia minima
– CCPS (1994), Guidelines for Evaluating the
Characteristics of Vapor Cloud Esplosions,
Flash Fires and BLEVEs, Wiley, New Jersey
(USA).
– Department of Employment (1975), The
Flixborough disaster, Report of the Court of Inquiry, Crown, UK.
– Fingas M. (2002), The Handbook of Hazardous Materials Spills Technology (Chapter
42), McGraw-Hill, New York (USA).
– Kletz T. (2001), Learning from Accidents, III
Ed. (Chapter 8), Buttherworth-Heinemann, Oxford (UK).
– Mannan S. (2005), Less’ Loss Prevention in
the Process Industries (Chapter 17, Appendix
2), Buttherworth-Heinemann, Oxford (UK).
– Pekalski et al. (2005), A Review of Explosion
Prevention and Protection Systems Suitable as
Ultimate Layer of Protection in Chemical Process Installations, Trans IChemE, Part B, Process Safety and Environmental Protection,
2005, 83(B1): 1-17.
– Sadee et al. (1975), Estimation of the TNT
Equivalent of the Amount of Reacted Cyclohexane, and of the Dimensions and Shape of the
Cloud in Relation to the Explosion which Occurred on the Flixborough Site of Nypro (UK)
Ltd on 1st June 1974. Rep. to Flixborough
Court of Inquiry (Dutch State Mines)
Appendice statistica
Si riportano in Tabella 1, pur in modo incompleto e non completamente aggiornato (si fermano, infatti, al 2000), alcuni dati significativi
relativi ai grandi incidenti industriali avvenuti
nel recente passato.
VDR in pratica
– addestramento del personale ad operare in
condizioni ad alto stress;
– riavvio dell’impianto solo dopo avere trovato
la soluzione/spiegazione dell’anomalia;
– procedure di gestione del cambiamento/modifiche;
– sicurezza nel controllo degli accessi all’impianto;
– pianificazione delle emergenze;
– studio e approfondimento dei fenomeni metallurgici di interazione con le sostanze di processo;
– elaborazione di simulazioni di incidente rilevante;
– investigazione sulle cause di disastro e feedback delle informazioni acquisite.
(segue Tabella 1)
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
351
VDR in pratica
Tabella 1 - Grandi incidenti industriali del recente passato
352
Fonte: Pekalski et al., 2005
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
VDR in pratica
Materie plastiche
La produzione delle «plastiche» si caratterizza per la variegata tipologia di prodotti in grado di soddisfare le esigenze del mercato, ma impiega materie prime quali resine, polimeri, additivi e coloranti che
per loro natura e per le macchine utilizzate nel ciclo di lavorazione determinano gravi rischi per gli operatori coinvolti. Rischi tipici del comparto sono infatti quello meccanico e chimico e un’adeguata valutazione non puo` non individuare le misure di prevenzione di tipo organizzativo e tecnico in grado di
ridurli.
Inquadramento del settore
e definizioni
Il mondo delle materie plastiche e` assai differenziato e nuovi materiali si affacciano continuamente sul mercato, per effetto dell’innovazione tecnologica e di prodotto. Una definizione condivisa del termine «materiali plastici» e`
la seguente. Si tratta di «materiali organici o semiorganici a elevato peso molecolare, cioe` costituite da molecole con una catena molto lunga
(macromolecole), che determinano in modo essenziale il quadro specifico delle caratteristiche
dei materiali stessi» (Saechtling, 2004).
Anche la IUPAC (Unione internazionale di chimica pura e applicata) da` una propria definizione. Essa li considera «materiali polimerici che
possono contenere altre sostanze finalizzate a
migliorarne le proprieta` o ridurre i costi». Tutte
le materie plastiche possono essere costituite da
polimeri puri o miscelati con additivi. I polimeri di base sono essenzialmente di origine sintetica, cioe` derivati dal petrolio, ma vi sono anche
materie plastiche sviluppate partendo da una
matrice naturale (1).
La collocazione merceologica e` riportata in Figura 1.
La figura mette in luce anche le tipologie e
quindi una classificazione dei materiali plastici
dal punto di vista tecnologico e dei processi industriali adottati per ottenerli.
Le plastiche si classificano in tre tipologie:
1) termoplastiche,
2) plastiche termoindurenti,
3) elastomeri.
Le termoplastiche sono materiali che acquistano malleabilita`, sotto l’azione del calore; si
irrigidiscono, invece, in seguito a raffreddamento. Il processo di fusione puo` essere ripetuto piu` volte, a partire da materiali gia` formati.
La plastica fusa riacquista, infatti, la sua lavorabilita` e puo` essere utilizzata per realizzare altri
oggetti. Alcuni esempi sono rappresentati da
polietilene (PE), poliestilene, polistirene, polivinilcloruro (PVC), poliammide (PA), ecc. Pos-
sono essere utilizzati sia come film, fogli e anche per la produzione di stampati.
Le plastiche termoindurenti, meglio note
come resine, sono materie plastiche che una
volta formate non possono piu` essere alterate.
Le singole macromolecole, infatti, reticolano
formando legami covalenti tridimensionali,
che conferiscono rigidita` alla struttura. La reazione di indurimento avviene per riscaldamento oppure mediante trattamento con radiazione elettromagnetica (spesso ultravioletta).
Vengono utilizzate per mastici, vernici, isolamenti (poliuretani), rivestimenti, ecc. Sono
destinate principalmente all’ottenimento di
stampati aventi resistenze meccaniche molto
elevate.
Infine, gli elastomeri (che possono essere sia
termoplastici che plastiche termoindurenti) sono materiali che, come dice il nome, possiedono elasticita`, ossia la capacita` di riprendere la
propria forma originaria dopo aver subito deformazioni anche di grande entita`. Rientrano in
questa categoria le gomme.
Alla diversita` delle materie plastiche (e delle
proprieta` intrinseche e utilizzazioni), corrisponde anche una diversificazione dei processi
produttivi. Si descrivono di seguito le diverse
tipologie (per le termoplastiche, per le plastiche termoindurenti e per gli elastomeri corrispondenti), illustrandone le caratteristiche
principali.
Nota:
(1) Si tratta di una nuova frontiera per questi materiali, che ha aperto la strada alle bioplastiche derivanti da biopolimeri, non solo derivanti dall’amido ma
anche da microrganismi. Esistono, infatti, alcuni batteri, come la Shewanella
oneidensis, in grado di sintetizzare dei polimeri senza provvedere ad una loro
modificazione/manipolazione genetica, trasformandoli in organismi geneticamente modificati (OGM). Essi accumulano nelle proprie strutture cellulari
(vacuoli), come materiale di riserva, polimeri precursori di materiali plastici
come il polihydroxyalkanoato. In grande scala si puo` ottenere questo risultato facendo ricorso ai bioreattori, ossia agli incubatori di biomassa. Al termine
del ciclo la biomassa viene trattata secondo la finalita` del processo e del prodotto finito.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
VDR in pratica
Alessandro Bordin - Dottore di ricerca, Universita` degli Studi di Trento
353
VDR in pratica
Figura 1 - Tipologie di polimeri e di materiali plastici
Fonte: Saechtling (2004)
Processi per ottenere
le termoplastiche
Per ottenere le termoplastiche (e anche i termoelastomeri) sono utilizzati diverse tipologie di processi, finalizzate a categorie specifiche di prodotti. I principali sono l’estrusione (tubi, barre, profilati, fogli ecc.), calandratura per i fogli (successiva all’estrusione) e iniezione (stampaggio).
Le macchine impiegate in tutti i processi che saranno descritti nel proseguo del paragrafo, di solito prevedono e integrano la fase comune della
miscelazione e additivazione della materia prima
da lavorare e trasformare (compoundizzazione) (2), ad esempio con coloranti, plastificanti,
stabilizzanti, solventi ecc., al fine di accelerare
il processo produttivo e renderlo percio` continuo.
L’estrusione e` un processo di produzione industriale che consente di produrre pezzi a sezione costante. Essa «forza» in continuo un polimero allo stato plastico (ottenuto con temperature di esercizio di circa 180 ºC) attraverso
una filiera, per lo piu` rappresentata da una vite
che presenta varie sagomature, passi, filetti,
ecc. in funzione del prodotto da realizzare. In
seguito il manufatto viene raffreddato con acqua all’interno di «vasche». Un esempio di impianto utilizzato per l’estrusione delle materie
plastiche e` riportato in Figura 2.
Nota:
(2) Effettuata attraverso un compoundizzatore a vite che prevede sia processi a freddo che piu` soventemente a caldo.
Figura 2 - Linea di estrusione
(segue a pag. 355)
354
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
(continua)
ni processi e` previsto anche il sottovuoto. All’interno dello stampo avviene il raffreddamento della
massa che assume di conseguenza la forma voluta.
Di seguito, in Figura 4, si mostra lo schema di
un impianto ad iniezione ed un particolare dello
stampo (che assume forme diverse secondo le
necessita`), in cui si riconoscono i componenti
fissi e mobili denominati piastre.
Fino ad ora abbiamo presentato i principali processi finalizzati a realizzare le termoplastiche.
Per completezza si ricordano che esistono altri
sistemi produttivi per ottenerle, che presentano
delle varianti rispetto a quelli descritti. Si ricordano, ad esempio, quello per ottenere le bottiglie in plastica (PET) basato sul soffiaggio in
preforme (soffiatrici), lo stampaggio a compressione (utilizzato principalmente per le plastiche
termoindurenti e descritto in seguito), la termoformatura, ecc. Per la loro descrizione si rimanda a bibliografia specializzata, ad esempio il gia`
citato Saechtling (2004).
Figura 3 - Schematizzazione della calandratura
Figura 4 - Impianto di stampaggio ad iniezione e lo stampo
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
VDR in pratica
Per ottenere fogli e lastre di spessore differenziato, la fase di estrusione e` seguita dalla calandratura. La calandra e` costituita da alcuni cilindri sovrapposti (attraverso i quali il polimero
viene alimentato) disposti in linea, oppure ad
«L», ad «L» rovesciata, oppure a «Z». I cilindri
riscaldati con la rotazione per permettono l’avanzamento del materiale. Segue il raffreddamento, anche in questo caso facendo scorrere
il film o la lastra di plastica appena formata attraverso dei cilindri rotanti (denominati di raffreddamento). La schematizzazione dell’operazione e` riportata in Figura 3.
Il processo di iniezione che porta alla realizzazione degli stampati termoplastici utilizza degli
stampi (spesso realizzati dall’azienda stessa che
produce la plastica), che vengono riempiti a pressione con la materia prima fluidificata, iniettata
mediante un pistone (punzone). I range di pressione utilizzati possono essere variabili (esistono, infatti, sistemi ad alta ed a bassa pressione). Per alcu-
355
VDR in pratica
Processi per ottenere
le plastiche termoindurenti
Il processo produttivo (3) maggiormente utilizzato e` in questo caso lo stampaggio per
compressione. Esso consiste nella compressione di una resina termoindurente contenuta, sottoforma di polvere, pastiglie o scaglie, entro la
cavita` di uno stampo riscaldato. Sotto l’azione
continuata del calore e della pressione la resina
subisce un insieme di trasformazioni chimiche e
fisiche nel corso delle quali dapprima rammollisce fino a diventare fluida e poi comincia ad
indurirsi progressivamente fino ad assumere irreversibilmente la consistenza solida finale. Gli
stampi constano di due parti: il punzone che riproduce in negativo la forma interna dell’oggetto da stampare; la matrice nella quale e` ricavata
una cavita` (detta impronta) che ne riproduce
sempre in negativo la forma esterna. La pressione necessaria per l’operazione di stampaggio
viene fornita da una pressa.
La resina da stampare viene introdotta direttamente nello stampo aperto, che viene successivamente chiuso affinche´ si realizzi la forma desiderata. La schematizzazione dell’impianto e`
riportata in Figura 5.
Molto simile e` lo stampaggio per trasferimento. In tal caso il materiale e` inserito in
Figura 5 - Impianto di stampaggio
a compressione
una camera separata (camera transfer) nello
stampo e viene stampato nell’impronta sotto
la pressione del pistone transfer.
La forza per il pistone transfer puo` essere prevista direttamente dalla forza di chiusura o da
un cilindro idraulico separato. La schematizzazione e` riportata nella Figura 6.
Cenni sugli infortuni
di comparto
Prima di entrare nel merito della descrizione e
della valutazione dei rischi, e` utile fornire alcuni dati sugli andamenti infortunistici ripresi dalla Banca Dati Infortuni dell’INAIL, consultabile sul sito web istituzionale all’indirizzo www.inail.it (cfr. Tabelle 1, 2 e 3). Il primo dato che si
commenta e` quello relativo alle statistiche sugli
infortuni denunciati (compreso quelli mortali) e
sulle malattie professionali denunciate (Tabella
1). I dati riportati sono quelli relativi al Codice
ATECO C 22 «Fabbricazione di articoli in
gomma e materie plastiche».
Tabella 1 - Trend degli infortuni
e delle malattie professionali
2008 2009 2010 2011 2012
Infortuni
di cui mortali
Malattie
prof.
7.556 6.238 6.053 5.435 4.609
14
2
4
9
8
354
331
374
341
276
Per comprendere meglio le caratteristiche dei rischi, descritti nel prossimo paragrafo, in Tabella 2 si presentano le modalita` di accadimento
degli infortuni, distinguendo per tipo di attivita`
specifica. Ampiamente rappresentato e` ovviamente il rischio meccanico.
Tabella 2 - Modalita` di accadimento
degli infortuni (per tipologia di attivita`)
Attivita` fisica specifica
Figura 6 - Impianto di stampaggio
per trasferimento
2012
Operazioni di macchina
541
Lavoro con utensili a mano
565
Alla guida, a bordo
518
Manipolazione di oggetti
849
Trasporto manuale
312
Movimenti
815
Presenza
Non determinato o non codificato
Totale
23
400
4.023
Nota:
(3) Anche in questo caso la fase iniziale del processo e` rappresentata dalla
miscelazione degli ingredienti.
356
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Tipo contatto
Temporanea
Permanente totale
Morte
Totale
152
3
—
155
7
—
—
7
Schiacciamento
590
50
1
641
Cadute, urti, collisioni
620
43
1
664
1.266
52
—
1.318
Incastramenti
313
30
2
345
Sforzi psicofisici
453
17
—
470
16
—
—
16
384
20
3
407
3.801
215
7
4.023
Con elettricita`, sostanze
Con asfissia
Con agente contundente
Con esseri viventi
Non determinato o non codificato
Totale
Nella successiva Tabella 3, si riportano invece, gli infortuni per tipo di contatto e conseguenza (nell’anno 2012). Si evidenzia, anche
in questo caso, l’importanza del rischio meccanico, seguito dallo stress lavoro-correlato,
dall’uso di sostanze chimiche e dai contatti
elettrici.
Analisi e valutazione
dei rischi
Entriamo ora nel merito della sicurezza sul lavoro e dei rischi (4) cui sono esposti gli operatori di comparto (5). Analizziamo di seguito i
rischi comuni a tutti i processi di produzione
della plastica. Ricordiamo che nell’analisi e nella valutazione dei rischi, bisogna prevedere anche gli aspetti e le soluzioni che si adattino alla
presenza di donne (anche in gravidanza), dei
portatori di handicap e in generale di tutte le categorie protette.
Le caratteristiche dei rischi vengono descritte
seguendo l’ordine dei Titoli del D.Lgs. n. 81/
2008 e s.m.i.
Ambiente di lavoro
Si tratta di un aspetto che potrebbe assumere
una notevole rilevanza nei luoghi in cui viene
esercitata un’attivita`, che si puo` quindi ripercuotere negativamente e sull’esposizione ad
eventuali rischi per i lavoratori. Nel comparto
analizzato si potrebbe avere qualche problema
termico in estate, in quanto la temperatura di
esercizio di alcuni impianti raggiunge i 200
ºC. Il calore delle macchine per irraggiamento
riscalda l’atmosfera indoor con conseguente
peggioramento della qualita` del microclima.
Un’indagine dell’ISPESL (6) sulla base della
norma UNI EN 27243/96 (Ambienti caldi. Valutazione dello stress termico per l’uomo negli
ambienti di lavoro, basata sull’indice WBGT),
ha mostrato con riferimento ad attivita` caratterizzate da lavoro continuo leggero, valori di tale
indice inferiori a quanto previsto dalla normativa tecnica vigente. E` stato, sotto questo punto
di vista, ritenuto l’ambiente di lavoro un elemento tale da non provocare condizioni di
stress e tale da peggiorare l’esposizione a rischi
i lavoratori.
La qualita` dell’ambiente di lavoro non e` solo
correlata alla temperatura interna. Esistono, infatti, altri fattori importanti nel determinare il
comfort indoor degli operatori.
Anche per quanto riguarda l’illuminazione e la
ventilazione non ci sono particolari problemi e
specificita` per il settore. Vanno pertanto considerati i valori dell’illuminazione e dei ricambi
d’aria (ventilazione naturale) medi tipici per
qualsiasi settore produttivo industriale. Se la
ventilazione naturale non e` sufficiente va ovviamente prevista un’integrazione con quella artificiale.
Un problema importante e` rappresentato, invece, dalla polverosita` e dagli agenti chimici nocivi da essa convogliata oppure che si presentano in altra fase (ad esempio come fumi e vapori). Il problema e` risolvibile con sistemi di
aspirazione localizzata. Si devono, preferibilmente a fini preventivi, utilizzare materie prime granulari anziche´ in polvere (7). Se non
fosse possibile utilizzare granulati, per la manipolazione delle materie prime in polvere, si do-
Note:
(4) Essendo trascurabili dal punto di vista dell’esposizione dei lavoratori, non
si trattano i campi elettromagnetici (che riguardano comunque tutti gli impianti connessi alla rete elettrica), le radiazioni ottiche ed il rischio biologico.
Con riferimento alle atmosfere esplosive, come gia` detto, si possono formare utilizzando materie prime polverulente. Per quest’ultimo aspetto si considerano sufficienti le informazioni fornite.
(5) Molte aziende del settore sono dotate, anche con finalita` di ricerca e sviluppo, di laboratori di analisi, i cui rischi esulano dalla trattazione. Ci si rifa`,
infatti, solamente al processo produttivo tout court.
(6) Riferita alle plastiche estruse. Analoghe conclusioni possono essere raggiunte per quelle stampate.
VDR in pratica
Tabella 3 - Infortuni per tipo di contatto e conseguenza (2012)
(7) Che potrebbero essere causa di esplosione.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
357
VDR in pratica
vranno utilizzare apposite maschere (8) con
funzione di Dispositivo di Protezione Individuale (DPI). Gli agenti nocivi sono particolarmente rilevanti in fase di miscelazione, nello
stampaggio all’apertura degli stampi (vapori
prodotti dovuti al riscaldamento delle materie
prime) e durante l’avvolgimento delle bobine
dei film termoplastici.
Un ultimo aspetto e` quello relativo al lay-out.
Esso deve essere adeguato agli ingombri delle
aree, delle attrezzature, delle attivita` e della presenza (anche contemporanea) dei lavoratori.
358
Macchine, attrezzature e impianti
Come per altri comparti produttivi, anche per il
settore delle materie plastiche e` caratterizzato
da un’elevata rischiosita` nell’uso dei macchinari e degli impianti utilizzati (9). All’elevata rischiosita` corrisponde un’alta incidenza degli infortuni, talora mortali, come denotano le Tabelle 2 e 3. La valutazione del rischio meccanico e`,
pertanto, uno degli aspetti piu` significativi ai fini della sicurezza sul lavoro. Esso ha una pluralita` di manifestazioni. Si va dal semplice contatto (urto e contusione), al taglio, all’inceppamento, all’incastramento entro organi rotanti,
all’implosione del macchinario, al cedimento
strutturale ecc.
Ricordiamo altresı` il rischio elettrico e di folgorazione. Alcuni rischi si presentano anche nel
normale funzionamento delle macchine, ad
esempio per contatto accidentale con gli organi
lavoranti legati ad errore e distrazione. La situazione si aggrava in condizioni psico-fisiche dei
lavoratori non idonee (come stanchezza, malattia, stress lavoro-correlato).
Molti infortuni possono avvenire anche durante
la manutenzione ordinaria e straordinaria (entrambe devono essere effettuate da personale
specializzato, addestrato e qualificato). E` quindi
necessario rivolgersi in ogni caso ad aziende
autorizzate nell’effettuare la manutenzione e
non provvedere, invece, in modo autonomo.
Le macchine vanno sempre utilizzate senza manometterle, in particolare eliminando le protezioni degli organi di lavorazione, seguendo le
specifiche istruzioni riportate dal libretto d’uso
e manutenzione. In caso di avaria e` fondamentale impedirne il funzionamento, che e` spesso
causa di incidente sul lavoro.
Un’altra potenziale causa di infortunio e` il contatto con ustione, dovuta al calore sviluppato
durante il funzionamento della macchina (in alcuni casi la temperatura del macchinario puo`
raggiungere, come gia` detto in precedenza, i
200 ºC).
Ai fini della sicurezza dei lavoratori, per l’utilizzo delle attrezzature di lavoro e` necessaria
idonea formazione e addestramento. In alcuni
casi e` richiesto l’utilizzo obbligatorio (in altri
facoltativo) dei DPI (10).
Movimentazione dei carichi
La movimentazione dei carichi puo` essere manuale e meccanizzata. Essa riguarda tutte le
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
operazioni di logistica, quali quelle di magazzino e di carico/scarico impianti. Nella movimentazione manuale entrano in gioco numerosi fattori in grado di incidere negativamente sull’attivita` dei lavoratori. Si pensi, ad esempio, allo
spostamento dei carichi, alle posture incongrue
assunte durante l’attivita` lavorativa ed ai movimenti ripetuti. Si tratta di problematiche riconducibili all’ergonomia del movimento, per le
quali e` prevista la sorveglianza sanitaria. Nel
caso di materiali posizionati al di sopra dell’altezza uomo (ad esempio su scaffali) inoltre, il
rischio puo` consistere nell’essere travolti dagli
stessi oppure nella caduta dall’alto dell’operatore che li movimenta, con infortuni potenzialmente gravi e mortali.
Per risolvere alcune problematiche della movimentazione manuale dei carichi (11) e` venuta
incontro quella meccanizzata. La meccanizzazione non e` comunque scevra da rischi. Alcuni
sono riconducibili al gia` trattato rischio meccanico, altri sono, invece, specifici. Ci si riferisce
in particolare all’utilizzo di attrezzature semoventi quali carrelli e muletti motorizzati. Per poterli impiegare devono essere previsti percorsi
dedicati, in cui non devono intersecarsi possibilmente merci e persone, che potrebbero essere
investite con conseguenze gravi. Deve essere
preventivamente studiato il lay-out dello stabilimento.
Nel caso di eventuali intersezioni, devono essere previsti sistemi di attraversamento pedonale,
semafori e avvisatori acustici per i mezzi in arrivo. I dispositivi sonori in dotazione al mezzo
devono consentire di segnalare la sua presenza
e il suo passaggio alle persone che si trovassero
nelle immediate vicinanze; i carrelli e i muletti
motorizzati devono obbligatoriamente procedere a bassa velocita`.
Un altro problema dei carrelli e` legato alla stabilita` del mezzo. Qualora il macchinario operi
sovraccarico, in aree dove sono presenti forti
pendenze, oppure a forte velocita` (in curva), e`
facile che vada incontro a problemi di ribaltamento, con conseguenze spesso mortali.
Agenti fisici
Come noto, rientrano in questa tipologia di rischio il rumore, le vibrazioni (al sistema mano-braccio e al corpo intero), i campi elettromagnetici e le radiazioni ottiche. Esaminiamo ora
ciascun elemento sopra citato.
Note:
(8) Di tipo facciale antipolvere di classe 2 con filtro in carbone attivo
(FFP2SL).
(9) Analoghe considerazioni sul rischio meccanico possono essere fatte per
gli utensili e le attrezzature ad utilizzo manuale.
(10) Similmente alle attrezzature di lavoro, anche per alcune tipologie di DPI
e` prevista un’attivita` di formazione ed addestramento che precede l’uso.
(11) Si ricorda, infatti, che talune attivita` non sono completamente meccanizzabili. Esiste sempre, pertanto, un rischio residuo per quelle di tipo manuale.
Tabella 4 - Rumorosita` ambientale
in impianti per plastiche estruse
Impianto
Leq
dB(A)
Estrusione (posto controllo)
78,0
Calibrazione/Refrigerazione
79,0
Taglio
76,5
Locale compressore (senza
addetti)
85,0
Leq
dBPeak
< 140
Fonte: ISPESL (2005)
Tabella 5 - Rumorosita` ambientale
in impianti per plastiche stampate
Leq
dB(A)
Leq
dBPeak
Reparto Soffiaggio
82,5
—
Reparto stampaggio
83,5
—
Trituratrice dei residui
99,9
104,6
Impianto
Fonte: ISPESL (1999)
In entrambi gli stabilimenti i dati delle indagini
mostrano che l’utilizzo dei DPI e la sorveglianza sanitaria degli esposti, secondo legislazione,
e` volontaria. Solo nel caso delle plastiche stampate si rileva una rumorosita` tale da richiedere
alcune accortezze, come l’utilizzo di DPI. L’esposizione e` comunque per tempi brevi e puo`
essere ridotta schermando con barriere l’impianto (trituratrice).
Per quanto attiene al rischio vibrazioni, l’unico
aspetto da rilevare e` quello relativo all’utilizzo
dei carrelli elevatori semoventi, che determinano vibrazioni al corpo intero. Su questo aspetto
non e` facile intervenire salvo con accorgimenti
gestionali quali: scelta di veicoli elettrici anzi-
che´ alimentati a diesel, utilizzo di sedili molleggiati e turnazione degli operatori.
Sostanze pericolose
Tra le sostanze pericolose per la salute degli addetti ritroviamo materie prime (13) e additivi
oggetto di miscelazione. Esse assumono nomenclature diverse a seconda della funzione e
della proprieta` che impartiscono al prodotto finito. A titolo di esempio ricordiamo quelle riportate di seguito, di cui si descrivono alcune
proprieta`:
– riempitive o cariche: si usano in varie percentuali, fino al 50%;
– agenti rinforzanti: migliorano le caratteristiche meccaniche;
– plastificanti: utilizzati per migliorare la lavorabilita` dei prodotti;
– lubrificanti: agevolano la lavorazione dei polimeri;
– stabilizzanti: hanno lo scopo d’impedire o limitare la degradazione della resina;
– coloranti;
– altri additivi: sono rappresentati da antiadesivi, vernici, indurenti, ritardanti di infiammabilita` ecc.
Non sono rilevanti dal punto di vista chimico, e
quindi come sostanze pericolose, solamente le
materie prime e gli additivi. Lo sono anche i
prodotti di reazione che si formano durante i
processi di lavorazione, in seguito alla loro modificazione termica ad elevata temperatura (ad
esempio di resine termoindurenti durante lo
stampaggio). Alcuni esempi di composti sviluppati sottoforma di vapori (taluni sono anche
cancerogeni ed a rischio di incendio), sono riportati in Tabella 6.
Nella valutazione del rischio chimico si devono
tenere in considerazione i seguenti elementi:
– le proprieta` pericolose dei vari agenti e dei rispettivi prodotti di degradazione termica anche
in relazione alla possibilita` di esplosione e incendio;
– le informazioni contenute nelle schede di sicurezza ;
– il livello, il modo e la durata dell’esposizione;
– le caratteristiche dell’ambiente di lavoro: cubatura, requisiti di aerazione, concentrazione
delle macchine operatrici, produttivita` e produzione degli impianti;
– le circostanze in cui viene svolto il lavoro in
presenza di tali agenti, compresa la quantita` degli stessi, le modalita` e le temperature di lavorazione;
– la descrizione delle operazioni di pulizia e di
manutenzione ordinaria e straordinaria;
Note:
(12) Bisogna porre attenzione nella scelta e nel successivo utilizzo per evitare
problemi di sovraprotezione, che possono determinare incidenti anche gravi,
come ad esempio legati alla non percezione di allarmi sonori connessi ad
emergenze ed al passaggio di mezzi motorizzati.
VDR in pratica
Il rumore, che incide notevolmente sulla qualita`
dell’ambiente indoor, e` determinato dal funzionamento congiunto delle macchine e delle attrezzature di lavoro durante il processo produttivo. E`, di solito, uno degli aspetti piu` significativi in ambito aziendale, causa di malattie professionali con ricadute permanenti (ipoacusia
e sordita`). Contestualmente e` un impatto che
dal quale ci si puo` facilmente proteggere a basso costo, tramite l’utilizzo di DPI (12) quali
otoprotettori di varie tipologie e con gradi di
protezione differenziati (tappi auricolari, cuffie,
ecc.).
Alcune indagini ISPESL, rispettivamente del
2005 (per le plastiche ottenute per estrusione,
Tabella 4) e del 1999 (relative al comparto plastiche stampate, Tabella 5), mostrano che il rumore nel settore e` un problema trasversale, tuttavia non significativo dal punto di vista dell’esposizione dei lavoratori.
(13) Sotto forma di polvere, granuli, pastiglie, cilindretti ecc.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
359
VDR in pratica
Tabella 6 - Sostanze pericolose sviluppate durante lo stampaggio (vapori)
360
Fonte: Regione Lombardia (2009)
– la possibilita` di sviluppo di monomeri e/o
prodotti di degradazione termica sia in condizioni di esercizio che in condizioni di spurgo,
surriscaldamento o incendio;
– i valori limite di esposizione professionale e/
o i valori limiti biologici;
– gli effetti delle misure preventive e protettive
adottate e da adottare;
– le caratteristiche tecniche e le procedure in
essere per la valutazione di efficienza degli impianti di protezione collettiva e
– se disponibili, le conclusioni tratte da even-
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
tuali azioni di sorveglianza sanitaria gia` intraprese.
Per quanto attiene le sostanze cancerogene la
Tabella 6 mostra che alcune di esse lo sono sicuramente (classificazione IARC - Categoria
1). Una particolare attenzione deve essere rivolta, inoltre, nella lavorazione a caldo di polimeri
che contengono anche monomeri sospettati di
cancerogenicita` (Categoria 2 e 3).
Attualmente non e` sempre tecnicamente possibile la sostituzione di tali materie prime
nel ciclo produttivo con altre meno pericolo-
se. Il datore di lavoro deve quindi provvedere
affinche´ il livello d’esposizione dei lavoratori
sia ridotto al piu` basso valore tecnicamente
possibile.
Tutto cio` non puo` prescindere dalla valutazione
dei rischi: per individuare misure appropriate ed
efficaci, condizione preventiva e necessaria e` la
valutazione del livello di esposizione dei lavoratori all’agente cancerogeno o pericoloso, tenendo conto del possibile assorbimento cutaneo. Questo non significa che per avere una stima dell’esposizione si debba misurare in ogni
caso: i prelievi sull’ambiente sono da effettuarsi, nel rispetto delle buone pratiche dell’igiene
industriale, ogni volta che questo sia tecnicamente possibile ed utile al fine di valutare l’entita` dell’esposizione.
In particolare, la misurazione potrebbe essere
utilmente effettuata per valutare l’efficacia delle
misure di prevenzione adottate, per dimostrare
l’esiguita` del rischio per la salute o per accertare l’assenza dell’agente.
Dove non sia possibile effettuare un monitoraggio ambientale, la valutazione potra` essere effettuata integrando varie fonti di informazione
(confrontando situazioni lavorative simili, reperendo dati di letteratura, considerando i quantitativi utilizzati e le modalita` d’uso ecc.), tutte attentamente vagliate e considerate criticamente.
La valutazione deve comunque tenere in considerazione le caratteristiche delle lavorazioni, la
loro durata e frequenza, le concentrazioni di
agenti cancerogeni o pericolosi che si vengono
a liberare e la loro capacita` di penetrare nell’organismo per le diverse vie di assorbimento. Per
un riepilogo dei rischi tipici del comparto si rinvia alla Tabella 7.
Processo produttivo relativo a
Titolo
II
Descrizione
Termoplastiche
Plastiche
termoindurenti
Normale
Normale x
Significativo
Significativo
Illuminazione
Normale
Normale
Agenti nocivi
Significativo
Significativo
Uso delle attrezzature e Uso delle attrezzature di
dei Dispositivi di Protezio- lavoro
ne Individuale
Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI)
Significativo
Significativo
Significativo
Significativo
Impianti e apparecchiature
elettriche
Significativo
Significativo
Luoghi di lavoro
Strutture e lay-out
Microclima
III
IV
Cantieri
mobili
o
—
—
V
Segnaletica di salute e sicurezza sul lavoro
x
X
VI
Movimentazione manuale
dei carichi
Significativo
Significativo
VII
Attrezzature munite di videoterminali
Normale
Normale
VIII
Agenti fisici
Rumore
Normale
Normale
Vibrazioni
Normale
Normale
Campi elettromagnetici
—
—
Radiazioni ottiche artificiali
—
—
IX
temporanei
Sostanze pericolose
X
Agenti biologici
XI
Atmosfere esplosive
Agenti chimici
Molto significativo Molto significativo
Agenti mutageni
Molto significativo Molto significativo
—
—
Normale
Normale
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
VDR in pratica
Tabella 7 - Sintesi dei rischi di comparto
361
Bibliografia
VDR in pratica
– ISPESL, 1999, Profili di rischio nel comparto plastica stampata, disponibile in www.ispesl.it.
– ISPESL, 2005, I profili di rischio nei comparti produttivi dell’artigianato, delle piccole
e medie industrie e pubblici esercizi: Plastica
(estrusione), disponibile in www.ispesl.it.
– Regione Lombardia, 2009, Vademecum per
il miglioramento della sicurezza e della salute
362
LIBRI
nello stampaggio di plastica, Progetto obiettivo
triennale «Interventi operativi per la promozione della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro in Lombardia per il triennio 2004-2006» e
D.G.R. n. VII/18344 del 23 luglio 2004 e Piano
Regionale 2008-2010 «Promozione della sicurezza e salute negli ambienti di lavoro»
D.G.R. n. VIII/6918 del 2 aprile 2008.
– Saechtling H. (2004), Manuale delle materie
plastiche, Tecniche Nuove (MI).
Rischio atmosfere esplosive
Collana Sicurezza sul Lavoro
Marzio Marigo
2013, II edizione, pagg. X-530, E 35,00
Il manuale si propone lo scopo di fornire gli strumenti scientifici,
tecnici e normativi che permettano un inquadramento complessivo
della problematica legata alla presenza di atmosfere esplosive nei
luoghi di lavoro alla luce sia del Titolo XI del D.Lgs. n. 81/2008, sia
della normativa tecnica e delle linee guida riconosciute.
La seconda edizione - aggiornata e ampliata - fornisce nuovi strumenti applicativi per l’analisi e la valutazione del rischio e per la
progettazione delle misure tecniche di prevenzione e protezione.
Il CD-ROM allegato contiene una documentazione di classificazione
per casi tipici e linee guida applicative.
Per informazioni
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(tel. 02.82476794 - fax 02.82476403)
Agente Ipsoa di zona (www.ipsoa.it/agenzie)
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Servizio Informazioni Commerciali Indicitalia
(tel. 06.20381238 - fax 06.20381545)
Agente Indicitalia di zona (www.indicitalia.it/agenzie)
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
17 aprile - 26 maggio 2014
Rassegna
della Cassazione penale
Restituzione
della somma pagata
a titolo di oblazione
Committente,
progettista-direttore
dei lavori, coordinatori
Cassazione penale sez. III, 17 aprile 2014
(u.p. 26 febbraio 2014), n. 17012 - Pres. Teresi - Est. Scarcella - P.M. (Conf.) Izzo Ric. Bardini
Cassazione penale sez. IV, 5 maggio 2014
(u.p. 13 febbraio 2014), n. 18459 - Pres. Brusco - Est. Iannello - P.M. (Parz.diff.) Scardaccione - Ric. Brioschi e altri
Condannato per l’omessa nomina del RSPP,
un datore di lavoro lamenta la violazione dell’art. 24 D.Lgs. n. 759/1994, e, in particolare,
il «mancato accoglimento della richiesta,
quanto alla salvezza del diritto dell’imputato
a vedersi restituito quanto inutilmente versato,
con l’effetto, quindi, di consentirgli l’applicazione di una sorta di compensazione tra la
somma, gia` versata ancorche´ tardivamente, e
quanto questi e` tenuto a versare in forza della
sentenza di condanna, determinandosi, diversamente, una disparita` di trattamento non giustificabile, laddove non si tenesse conto dell’intervenuto pagamento, equiparando, quindi,
la posizione dell’odierno imputato che ha
adempiuto alla prescrizione ed al pagamento,
con quella di colui che ha omesso qualunque
pagamento.»
La Sez. III non e` d’accordo: «Il giudice di merito non ha motivato espressamente sul punto in
quanto non rientrava nei suoi poteri quello di
adottare un provvedimento non espressamente
contemplato dalla legge (quale la pronuncia di
‘‘salvezza del diritto dell’imputato a vedersi restituito quanto inutilmente versato’’), essendo
infatti il giudice legittimato esclusivamente ad
adottare quelle statuizioni previste dal codice
di rito o contemplate dalla legge. Un provvedimento che tale statuizione contenesse, anzi, andrebbe ritenuto, percio` solo, abnorme, non essendo inquadrabile nel sistema processuale ed
avente efficacia precostitutiva di un diritto, esulando dai contenuti propri della decisione, con
la quale il giudice si pone come garante della
legalita` in ordine all’attuazione della pretesa
punitiva statuale e non come risolutore di interessi contrapposti.» (Circa l’art. 24 D.Lgs. n.
758/1994 v. i precedenti richiamati in Guariniello, Il T.U. Sicurezza sul Lavoro commentato
con la giurisprudenza, V edizione, Milano,
2013).
Con questa sentenza di alto profilo, la Sez. IV
esamina un caso particolarmente significativo:
«una bambina, entrata nell’area non recintata
e non segnalata di un cantiere edile veniva a
contatto con il cancello scorrevole in metallo,
del peso di 250 kg, collocato a chiusura dell’unico accesso carraio, fissato in modo precario e
privo dei relativi fermi a fine corsa, che, ribaltandosi, le cadeva addosso, cagionandole lesioni mortali.»
Furono dichiarati colpevoli di omicidio colposo, oltre che il titolare dell’impresa individuale
appaltatrice dei lavori di realizzazione e posa in
opera del cancello e all’esecutore materiale dell’attivita` di installazione della recinzione e del
cancello, i proprietari dell’immobile committenti dell’opera in assenza della nomina di un
responsabile dei lavori, il direttore dei lavori
nonche´ progettista del cancello, il coordinatore
in fase di progettazione e di esecuzione.
Illuminanti sono le analisi condotte dalla Corte
Suprema in merito a ciascuna di tali tre figure.
A) Quanto ai committenti, la Sez. IV osserva
che, «ricondotti gli obblighi di vigilanza in capo ai committenti, nessun rilievo puo` assumere
la considerazione che la situazione di pericolo
non fosse percepibile ad un non addetto ai lavori», e che «la mancata nomina di un responsabile dei lavori e la mancata promozione del contatto tra impresa esecutrice e coordinatore per
l’esecuzione dei lavori ponevano gli stessi committenti nella posizione di diretti destinatari degli obblighi di vigilanza e verifica sull’operato
della prima posti dalle norme richiamate, il
cui inadempimento rileva nel caso di specie
sia sotto il profilo causale che sotto quello della
colpa, senza che lo stesso possa ritenersi scriminato dalla assenza di competenze tali da consentire di rendersi conto del pericolo incombente.»
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Giurisprudenza
a cura di Raffaele Guariniello
363
Giurisprudenza
364
Rammenta che, in passato, «la giurisprudenza
di legittimita` escludeva, anche nel contesto dell’attivita` cantieristica, che il committente potesse rispondere delle inadempienze prevenzionistiche verificatesi nell’approntamento del cantiere e nell’esecuzione dei lavori, salvo che
non si ingerisse nell’esecuzione dei lavori o privasse l’appaltatore di autonomia tecnica o operativa nell’attuazione delle misure di prevenzione degli infortuni», e che, con il D.Lgs. n. 81/
2008 e gia` prima con il D.Lgs. n. 494/1996,
«la figura del committente trova esplicito riconoscimento e definizione (‘il soggetto per conto
del quale l’intera opera viene realizzata’’ e ne
vengono esplicitati gli obblighi.»
Ne trae che «l’individuazione di tale peculiare
figura di garante e` coerente con la complessiva
configurazione del sistema di protezione in
materia di sicurezza sul lavoro, che tende a
connettere la sfera di responsabilita` con il ruolo esercitato da alcune figure che tipicamente
intervengono nell’ambito delle varie attivita`
lavorative»: «normalmente la figura di vertice
della sicurezza e` costituita dal datore di lavoro
che, come e` noto, e` individuato non solo nel
titolare del rapporto di lavoro, ma anche nel
soggetto che ha la responsabilita` dell’impresa,
ed e` quindi chiamato a compiere le piu` importanti scelte di carattere economico, gestionale
ed organizzativo e ne porta le connesse responsabilita`»; «e` quindi razionale che, nel diverso contesto dell’attivita` cantieristica di cui
qui si tratta, emerga anche la figura del committente, che e` il soggetto che normalmente
concepisce, programma, progetta, finanzia l’opera»; «tale ruolo giustifica l’attribuzione di
una sfera di responsabilita` per cio` che riguarda
la sicurezza e la conseguente assegnazione del
ruolo di garante»; «la legge gli attribuisce alcuni obblighi sia nella fase progettuale che in
quella esecutiva, destinati ad interagire e ad integrarsi con quelli di altre figure di garanti legali.»
Sottolinea efficacemente che «la nomina di un
coordinatore non puo` esonerare da responsabilita` il committente (o il responsabile dei lavori),
ne´ per cio` che riguarda la redazione del piano di
sicurezza e del fascicolo per la protezione dai
rischi, ne´ per cio` che attiene alla vigilanza sul
coordinatore in ordine allo svolgimento dell’attivita` di coordinamento e controllo circa l’osservanza delle disposizioni contenute nel piano
di sicurezza e di coordinamento.»
Ne desume che «una tale congerie di doveri imposti a carico del committente dalle norme ora
trasposte in termini coincidenti nel Testo Unico
per la sicurezza del lavoro di cui al D.Lgs. 9
aprile 2008, n. 81), tanto piu` in quanto non
schermati dalla nomina di un responsabile dei
lavori, configuri a carico degli stessi una posizione di garanzia rilevante ai fini della imputazione oggettiva anche ad essi, secondo lo schema della causalita` omissiva, del tragico evento
de quo.»
Nota, in particolare, che «proprio l’inosservan-
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
za dell’obbligo di mettere in contatto l’impresa
esecutrice dei lavori di installazione del cancello con il coordinatore per l’esecuzione dei lavori - nell’una e nell’altra direzione - imposto al
committente, da un lato, ha avuto significativa
incidenza nella sequenza causale che ha condotto al tragico evento, come e` possibile agevolmente cogliere, con giudizio controfattuale,
ove si consideri che l’adempimento di un tale
obbligo avrebbe potuto avere l’effetto di attivare e sollecitare l’uno e l’altro soggetto rispettivamente alla predisposizione di un piano operativo di sicurezza e al controllo della sua realizzazione e osservanza; dall’altro, ha indubbiamente reso particolarmente pregnante e cogente
l’obbligo sussidiario di garanzia direttamente
incombente sui committenti ai sensi del citato
art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 494/1996 [ora 93,
comma 2, D.Lgs. n. 81/2008], in particolare
per quel che riguarda la vigilanza sul coordinatore in ordine allo svolgimento dell’attivita` di
coordinamento e controllo circa l’osservanza
delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento.»
Ammette che «la mancata comunicazione al
coordinatore per l’esecuzione dei lavori del nominativo dell’impresa installatrice del pesante
cancello non e` motivo comunque di esonero
da responsabilita` per quest’ultimo, i cui obblighi in tema di coordinamento prescindono dall’assolvimento dei compiti di cooperazione attribuiti al committente», ma chiarisce che
«cio`, lungi dal rendere senza conseguenze tale
mancata cooperazione, ha semmai l’effetto di
rendere piu` pressante e attuale per il committente l’obbligo di vigilanza sulle attivita` del coordinatore, costituendo essa stessa motivo di
preallarme per il primo sul completo ed efficace
svolgimento dei compiti su questo incombenti.»
Considera irrilevante che «il tragico evento che
si afferma essere conseguito alle omissioni dei
committenti abbia riguardato terzi e non lavoratori impegnati nell’esecuzione delle opere commesse in appalto», poiche´, «in tema di prevenzione nei luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela
dei lavoratori nell’esercizio della loro attivita`,
ma anche a tutela dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell’impresa», e «sempre che la presenza
di soggetto passivo estraneo all’attivita` ed all’ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento
dell’infortunio non rivesta carattere di anormalita`, atipicita` ed eccezionalita` tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico tra l’evento e la
condotta inosservante.»
Afferma che, «nel caso di specie, non e` certamente predicabile un siffatto carattere di eccezionalita` e atipicita` della presenza della bambina e dei suoi genitori sui luoghi del tragico sinistro, attesa la mancanza di recinzione e segnalazione e la prossimita` di edifici destinati a civile abitazione.»
C) Lucida e` poi l’analisi relativa al coordinatore. Al riguardo, la Sez. IV rileva come «cio` che
fondatamente puo` rimproverarsi al coordinatore
e`, non gia` di aver omesso di seguire passo passo le singole fasi della installazione del cancello, ne´ di avvedersi di una contingente e imprevedibile specifica inosservanza del piano di
coordinamento e sicurezza da parte dell’impresa esecutrice, ma proprio di aver omesso di
provvedere a una completa e puntuale predisposizione di tale piano e/o al suo aggiornamento
in modo da comprendere anche tale specifica
attivita`, con cio` venendo meno all’adempimento degli obblighi di vigilanza, ancorche´ alta,
connessi al suo ruolo.»
Esclude che «l’insorgenza in concreto di tali
obblighi presupponesse la comunicazione da
parte dei committenti del nominativo dell’impresa esecutrice dei lavori di installazione del
cancello scorrevole.»
Spiega che «l’omissione da parte dei committenti di tale comunicazione puo` certamente rilevare quale fattore causale concorrente addebitabile agli stessi committenti, ma non vale certo a
esonerare il coordinatore per la sicurezza dall’obbligo predetto, ben potendo e dovendo egli
autonomamente accertarsi, attraverso l’esame
del progetto esecutivo dell’opera realizzanda,
della natura e consistenza di tutte le opere progettate e delle conseguenti necessita` operative
di coordinamento, in modo da garantire la sicurezza di tutte le operazioni.»
Prende atto che, «nel caso di specie: a) il coordinatore per la sicurezza aveva, per sua stessa
ammissione, consapevolezza della previsione
del cancello tra le opere in progetto; b) egli
non poteva non avere contezza del fatto che alla
sua installazione ormai ci si stesse di fatto avviando, considerato lo stato di avanzamento
dei lavori; c) di piu`, egli era presumibilmente
consapevole del progetto esecutivo del cancello
nonche´ della ditta incaricata, avuto riguardo alla
accertata con titolarita` al coordinatore e al progettista-direttore dei lavori del medesimo studio
tecnico associato e considerato che tale circostanza e lo stretto rapporto di colleganza da essa
desunto sono risultati fonte di conoscenze comuni, relative ad altri momenti dell’attivita` del
cantiere e alle sottostanti vicende negoziali e sono stati anche confermati da alcuni testi.»
Nota, a questo punto, che «e` indubitabile la sussistenza di una efficacia causale diretta della
violazione della regola cautelare inosservata rispetto al tragico evento verificatosi, essendo di
tutta evidenza che la predisposizione di un piano di sicurezza esteso anche alla lavorazione in
questione avrebbe del tutto verosimilmente impedito che il manufatto fosse lasciato nelle condizioni di assoluta precarieta` e, al contempo, di
agevole accessibilita` a chiunque, nelle quali si e`
tragicamente trovato ad essere.»
(Circa le figure del committente, del progettista,
del direttore dei lavori e dei coordinatori, v., oltre le sentenze Landi e Angele qui di seguito,
Guariniello, Il T.U. Sicurezza sul Lavoro commentato con la giurisprudenza, VI edizione,
Milano, 2014, sub artt. 92 e 93).
Coordinatore
non informato
della ripresa del lavoro
o dell’ingresso di nuova
impresa
Cassazione penale sez. IV, 5 maggio 2014
(u.p. 17 aprile 2014), n. 18515 - Pres. Zecca
- Est. Piccialli - P.M. (Conf.) Mazzotta Ric. Landi e R.C.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Giurisprudenza
B) A proposito del progettista-direttore dei lavori, la Sez. IV concede che «il ruolo di progettista
del cancello non puo` di per se´ considerarsi fonte
di una posizione di garanzia cui riferire la condotta omissiva penalmente rilevante attribuitagli, nessuna norma imponendo infatti al progettista di un’opera di seguirne e controllarne la sua
concreta esecuzione in modo conforme al progetto e in condizioni di sicurezza. Pero`, valorizza la qualifica di direttore dei lavori al contempo
rivestita dall’imputato nell’occorso.
Al riguardo, ammette che «la figura del direttore dei lavori e` estranea alla disciplina prevenzionistica, non comportando essa, automaticamente, la responsabilita` per la sicurezza sul lavoro.»
Peraltro, individua nondimeno «in capo allo
stesso l’obbligo di esercitare un’oculata attivita`
di vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere edilizie (quale pur sempre deve considerarsi
anche l’installazione del cancello in questione,
tanto piu` in quanto compreso nell’ambito di
un piu` ampio intervento di ristrutturazione edilizia) ed in caso di necessita` adottare le necessarie precauzioni d’ordine tecnico, ovvero scindere immediatamente la propria posizione di garanzia da quella dell’assuntore dei lavori, rinunciando all’incarico ricevuto.»
Ritiene che «tale obbligo trova fondamento nell’art. 29 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 che, in
materia edilizia, pone a carico del direttore dei
lavori una posizione di garanzia in merito alla
regolare esecuzione dei lavori, che lo rende responsabile, anche nei confronti dei terzi, dei
danni derivanti dall’esecuzione dell’opera in
difformita` delle prescrizioni contenute nel permesso di costruire.»
Prende atto che, nel caso di specie, i magistrati
di merito hanno, «da un lato, escluso, nei confronti del direttore dei lavori, l’applicabilita` dell’aggravante della violazione di norme per la
prevenzione degli infortuni sul lavoro, dall’altro focalizzato correttamente il profilo di colpa
ad esso addebitato nell’omesso accertamento
della conformita` delle modalita` di esecuzione
alle regole della tecnica e nella mancata attiva
vigilanza su tutte le fasi esecutive dell’opera.»
365
Cassazione penale sez. IV, 5 maggio 2014
(u.p. 3 dicembre 2013), n. 18436 - Pres. Brusco - Est. Esposito - P.M. (Conf.)Fraticelli Ric. Angele
Giurisprudenza
Tra la ricca giurisprudenza in tema di obblighi
e responsabilita` del coordinatore per l’esecuzione dei lavori (per un’ampia analisi dei precedenti in materia v. Guariniello, Il T.U. Sicurezza sul Lavoro commentato con la giurisprudenza, VI edizione, Milano, 2014, sub
art. 92; cfr., altresı`, la sentenza Brioschi sopra
riportata), segnaliamo due sentenze che affrontano un tema rilevante quale quello relativo alla responsabilita` del coordinatore per l’esecuzione dei lavori disinformato circa la ripresa
della giornata lavorativa o l’ingresso di una
nuova impresa.
366
A) Cominciamo dalla sentenza Angele. Condannato per un infortunio mortale subito da
un dipendente in un cantiere edile, il datore di
lavoro di un’impresa esecutrice rimprovera ai
magistrati di merito di non aver rilevato le anomalie della condotta tenuta dal coordinatore per
l’esecuzione dei lavori.
La Sez. IV ribatte che «l’eventuale sussistenza
di profili di colpa gravanti su altro soggetto destinatario di obblighi prevenzionali non varrebbe a escludere quelli specificamente affermati e
gravanti sulla componente datoriale», e che
«nella specie la rilevanza di eventuali manchevolezze attribuibili al coordinatore per la sicurezza e` esclusa in radice, in ragione dell’accertata ripresa dei lavori dopo la sospensione dei
medesimi senza preventiva comunicazione all’architetto che tale ruolo rivestiva, con conseguente carenza in concreto di una posizione di
garanzia in capo alla menzionata figura prevenzionale.»
B) Nel caso considerato dalla sentenza Landi,
un operaio, «mentre era impegnato al montaggio di pannelli prefabbricati, costituenti la facciata dell’erigendo prefabbricato presso una
Universita`, raggiunta l’altezza di metri 21,60,
a bordo della navetta con cui terminava il braccio telescopico della piattaforma, a causa del ribaltamento della predetta navetta, franava al
suolo.»
Al coordinatore per l’esecuzione dei lavori designato dall’Amministrazione committente, si
addebito` di avere omesso di «verificare l’applicazione da parte delle imprese esecutrici delle
disposizioni contenute nel piano di sicurezza e
la corretta applicazione delle relative procedure
e di segnalare al responsabile dei lavori l’inosservanza delle disposizioni», e, segnatamente,
di «avere omesso di segnalare l’inosservanza
dell’obbligo di fornire adeguata informazione
al manovratore della piattaforma aerea in ordine
ai rischi per la sicurezza connessi all’attivita` lavorativa, nonche´ di procurargli il corretto addestramento per la manovra della detta piattaforma», nonche´ «l’inosservanza dell’obbligo di
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
adottare tutte le misure necessarie affinche´ la
piattaforma aerea fosse installata in conformita`
alle istruzioni del fabbricante ed utilizzata correttamente.»
Nell’escludere la responsabilita` del coordinatore, la Sez. IV premette che «le funzioni del
coordinatore non si limitano a compiti organizzativi e di raccordo o di collegamento tra le
eventuali varie imprese che collaborano nella
realizzazione dell’opera, ma si estendono anche
al compito di vigilare sulla corretta osservanza
da parte delle imprese o della singola impresa
delle prescrizioni del piano di sicurezza e cio`
a maggior garanzia dell’incolumita` dei lavoratori», e che «la presenza in cantiere del coordinatore per la sicurezza non va intesa come stabile presenza in cantiere, ma secondo il significato che consegue dalla posizione di garanzia di
cui lo stesso e` titolare nei limiti degli obblighi
specificamente individuati ora dall’art. 92 del
D.Lgs. n. 81/2008, che comprendono anche poteri a contenuto impedivo in situazioni di pericolo grave ed imminente.»
Precisa che il coordinatore per l’esecuzione «ha
anche il potere di vigilare sul rispetto del piano
di sicurezza da parte dei lavoratori, senza limitarsi ad una verifica superficiale, che non tenga
conto delle molteplici ed indefinite situazioni di
pericolo grave derivanti nei cantieri dalla violazione sistematica della normativa antinfortunistica.»
Prende atto, peraltro, che, nel caso di specie,
«la successione degli eventi dimostrava l’interruzione dei canali informativi, a seguito della quale vi era la dimostrazione che nessuna
delle ditte presenti nel cantiere aveva comunicato al coordinatore l’ingresso nel cantiere di
una nuova societa`, risultata alla fine, l’unica
ad avere la disponibilita` della piattaforma aerea cingolata.»
Ne desume che il coordinatore «non era stato
posto in condizione di conoscere la disponibilita` di una ditta diversa da quella originariamente
prevista nel piano di sicurezza.»
Conclude che «e` evidente in questo caso l’insussistenza rispetto all’evento dannoso del parametro della prevedibilita`.»
Atti vessatori
sul luogo di lavoro
Cassazione penale sez. VI, 7 maggio 2014
(c.c. 8 aprile 2014), n. 18832 - Pres. Milo Est. Paterno` Raddusa - P.M. (Diff.) D’Ambrosio - Ric. P.C. in c. C.
Cassazione penale sez. VI, 23 aprile 2014
(u.p. 16 aprile 2014), n. 17689 - Pres. de Roberto - Est. Aprile - P.M. (Parz.conf.) Cesqui
- Ric. B.
Due nuove, non collimanti, sentenze a proposito della configurabilita` del delitto di maltrat-
A) Per cominciare, ai fini della configurabilita`
del reato di maltrattamenti, «anche dopo le
modifiche apportate dalla Legge n. 172/
2012», la sentenza n. 18832 ritiene «necessario che le pratiche persecutorie realizzate ai
danni del lavoratore dipendente e finalizzate
alla sua emarginazione si inquadrino in un rapporto tra il datore di lavoro ed il dipendente
capace di assumere una natura para-familiare
perche´ connotato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, da
una situazione di soggezione di una parte nei
confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal
soggetto piu` debole del rapporto in quello
che ricopre la posizione di supremazia; rapporto di soggezione anche psicologica che puo` assumere siffatte caratteristiche para-familiari in
ragione delle peculiarita` dell’attivita` lavorativa
prestata ovvero delle dimensioni e della natura
organizzativa del luogo di lavoro, cioe` in situazioni nelle quali e` possibile riconoscere
quella sottoposizione all’altrui autorita` ovvero
quell’affidamento per l’esercizio di una professione o di un’arte, cui fa espresso riferimento l’art. 572 cod. pen..»
E, pertanto, afferma che «il delitto in esame non
e` configurabile, anche in presenza di una chiaro
fenomeno di mobbing lavorativo, laddove non
siano riconoscibili quelle particolari caratteristiche, ad esempio se la vicenda si sia verificata
nell’ambito di una realta` aziendale sufficientemente articolata e complessa, in cui non e` ravvisabile quella stretta ed intensa relazione diretta tra datore di lavoro e dipendente, (che) determina una comunanza di vita assimilabile a
quella (del) consorzio familiare, i cui interessi
la norma incriminatrice de qua ha inteso proteggere.»
Con riguardo al caso di specie, rileva come «i
contegni posti in essere dall’imputato siano riferibili ad ambiti lavorativi connotati da una
ampia dimensione strutturale, organizzativa e
soggettiva (societa` con sedi dislocate in ambiti
territoriali diversi e con diversi dipendenti)
che mal si attagliano alla ipotesi di reato contestata», e nota che la stessa persona offesa
«altro non segnala che i profili di collaborazione e fiducia connotanti i detti rapporti tra
lavoratore e datore prima della crisi sfociata
nei fatti denunziati, elementi questi che colorano di norma ogni rapporto di dipendenza positivamente instaurato ma che non costituisco-
no indici di quel rapporto para-familiare sopra
descritto utile a giustificare il reato contestato.» (E` da ricordare che, stando a questo orientamento giurisprudenziale, ai fini della sussistenza del reato di maltrattamenti, si renderebbe necessario «un rapporto di soggezione anche psicologica che puo` assumere siffatte caratteristiche para-familiari in ragione delle peculiarita` dell’attivita` lavorativa prestata (si
pensi alla relazione tra un maestro d’arte e il
suo apprendista) ovvero delle dimensioni e natura organizzativa del luogo di lavoro (si pensi
alla relazione tra padrone di casa e lavoratore
domestico).»
B) Per contro, nella sentenza n. 17689, la Sez.
VI considera un’ipotesi in cui il preside di un
liceo scientifico era stato dichiarato colpevole
del «reato di cui all’art. 572 cod. pen., per
avere, per circa dieci anni, sempre nella medesima qualita`, maltrattato una professoressa,
insegnante in quell’istituto, a lui sottoposta
per ragioni lavorative e di ordinamento, facendola oggetto di persecuzioni e di vessazioni.»
Prende atto che «la versione della persona offesa, che aveva ricordato di essere stata vittima di
una prolungata nel tempo reazione, assolutamente ‘‘abnorme’’, del preside al fatto che ella
ritardava talora nell’arrivare a scuola, oltre a risultare intrinsecamente attendibile, avesse trovato adeguato riscontro nelle deposizioni degli
studenti, nonche´ in quelle dei docenti, e nel testo del documento del sottoscritto dai professori
di quel liceo in segno di solidarieta` verso la persona offesa.»
Rileva che l’imputato, «lungi dall’aver agito al
fine di permettere un corretto funzionamento
dell’istituto da lui diretto, aveva avuto come
scopo quello di attuare una sistematica opera
di umiliazione e svilimento della dignita` morale
della docente, cagionandole uno stato di abituale sofferenza fisica e morale.»
E quindi conferma la condanna dell’imputato
per i maltrattamenti in danno dell’insegnante a
lui a lui sottoposta per ragioni lavorative e di
ordinamento.
Visite mediche sui minori
Cassazione penale sez. III, 15 maggio 2014
(u.p. 21 febbraio 2014), n. 20249 - Pres. Fiale
- Est. Di Nicola - P.M. (Diff.) Fraticelli - Ric.
Idotta
Cassazione penale sez. III, 14 maggio 2014
(u.p. 30 gennaio 2014), n. 19848 - Pres. Fiale
- Est. Orilia - P.M. (Diff.) Policastro - Ric.
Marcello
La Legge 17 ottobre 1967, n. 977, agli artt. 813, disciplinava la visita medica preventiva e
periodica dei fanciulli e degli adolescenti: in
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Giurisprudenza
tamenti di cui all’art. 572 cod. pen. per atti
vessatori in luogo di lavoro (per un quadro integrale della giurisprudenza della Cassazione
in materia, Guariniello, Il T.U. Sicurezza sul
Lavoro commentato con la giurisprudenza, V
edizione, Milano, 2013, 343 s., cui adde Cass.
20 marzo 2014, X e Y, in Dir. prat. lav., 2014,
18, 1068; Cass. 23 settembre 2013, P.M. in c.
M. e altri, ibid., 2014, 18, 1074; Cass. 3 luglio
2013, P.C. in c. X e Y, ibid., 2013, 8-9, 459;
Cass. 8 maggio 2013, P.M. in c. Contino,
ibid., 22, 1461).
367
Giurisprudenza
368
particolare, l’art. 8, comma 1, stabiliva che «i
fanciulli e gli adolescenti possono essere ammessi al lavoro purche´ siano riconosciuti idonei all’attivita` lavorativa cui saranno adibiti,
a seguito di esame medico»; mentre l’art. 9 disponeva che «l’idoneita` dei fanciulli e degli
adolescenti al lavoro cui sono addetti deve essere accertata mediante visite mediche periodiche.»
Successivamente, il D.Lgs. 4 agosto 1999 n.
345, all’art. 16, comma 1, lett. a), ha abrogato
l’art. 9 legge n. 977/1967; e con riguardo a
bambini e adolescenti, nel sostituire con l’art.
9 (a sua volta modificato dall’art. 2 D.Lgs. 18
agosto 2000, n. 262) il testo originario dell’art.
8 Legge n. 977/1967, ha prescritto, per un verso, al comma 1, la visita medica preventiva, e,
per l’altro, al comma 2, le visite mediche periodiche (sul punto v. Circolare del Ministero del
Lavoro n. 11 del 17 gennaio 2001, in ISL,
2001, 7, 377, e, in precedenza, Circolare del
Ministero del Lavoro n. 1 del 5 gennaio
2000). (In argomento v. Guariniello, Il T.U. Sicurezza sul Lavoro commentato con la giurisprudenza, V edizione, Milano, 2013, 418 ss.,
cui adde Cass. 17 febbraio 2014, n. 7340, inedita).
A) Nel caso esaminato dalla sentenza Idotta, un
datore di lavoro fu condannato per il reato di
cui agli artt. 8, comma 1, e 26 L. 17 ottobre
1967, n. 977, «perche´ ammetteva al lavoro un
adolescente in difetto del prescritto accertamento sanitario attestante la sua idoneita` fisica all’attivita` lavorativa prestata.»
Nell’annullare la sentenza di condanna perche´ il
fatto non sussiste, la Sez. III prende atto di un
«certificato medico rilasciato dalla AUSL con
il quale si attesta, in data antecedente a quella
di accertamento del reato, l’idoneita` del minore
alla prestazione del servizio di apprendista meccanico.»
Ricorda che «la Legge 17 ottobre 1967, n. 977,
art. 8, n. 1, cosı` come sostituito dal D.Lgs. 4
agosto 1999, n. 345, art. 9, nel testo a sua volta
sostituito dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 262,
art. 2, prevede che ‘‘i bambini nei casi di cui all’art. 4, comma 2, e gli adolescenti possono essere ammessi al lavoro purche´ siano riconosciuti idonei all’attivita` lavorativa cui saranno adibiti a seguito di visita medica’’.»
Osserva che «il tenore letterale di tale norma
impone che essa debba essere interpretata nel
senso che il certificato richiesto per adibire minori ad attivita` lavorativa non possa ridursi ad
una mera certificazione dello stato di buona
salute psico-fisica del minore, ma debba avere
una portata piu` ampia, ricomprendendo anche
un giudizio di idoneita` del minore al lavoro
e, nello specifico, per la mansione di assunzione.»
Rileva che, «siccome la certificazione medica si
e` specificamente espressa in tal senso avendo
ritenuto il minore idoneo alla prestazione dell’attivita` lavorativa come meccanico, il reato
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
non e` configurabile mancando un elemento costitutivo del fatto tipico.»
Aggiunge che «l’assunzione di un adolescente
non sottoposto a preventiva visita medica, prevista e punita dagli artt. 8, 9 e 11 Legge 17 ottobre 1967, n. 977, e` reato omissivo permanente.»
B) Dal suo canto, la sentenza Marcello considera il caso di una datrice di lavoro ritenuta colpevole della contravvenzione di cui agli artt. 81
cpv., 8, comma 1 e 26, comma 2 della Legge
n. 977/1967 (come modificati dagli artt. 9 e
14 del D.Lgs. n. 345/1999), «per avere, quale
titolare di uno stabilimento balneare, in tempi
diversi ed in esecuzione del medesimo disegno
criminoso, assunto due minori con le mansioni
di bagnino senza sottoporli a preventiva visita
medica al fine di stabilire l’idoneita` psicofisica
all’attivita` lavorativa cui sarebbero stati adibiti.»
A propria discolpa, l’imputata sostiene che «il
possesso delle condizioni psicofisiche costituisce un accertamento propedeutico al rilascio del brevetto di bagnino e tale accertamento e` stato delegato dallo Stato alla Societa`
Nazionale di Salvamento, ente morale ONLUS.»
La Sez. III annulla la sentenza di condanna perche´ il fatto non sussiste.
Premette che «il tenore letterale dell’art. 8, n.
1, Legge 17 ottobre 1967, n. 977 impone che
essa debba essere interpretata nel senso che il
certificato richiesto per adibire minori ad attivita` lavorativa non possa ridursi ad una mera
certificazione dello stato di buona salute psico-fisica del minore, ma debba avere una portata piu` ampia, ricomprendendo anche un giudizio di idoneita` del minore al lavoro», e che
«l’inosservanza della disposizione di cui all’art. 8, comma 3, della Legge n. 977/1967,
nella versione risultante dalla modifica ex art.
2 D.Lgs. n. 262/2000, secondo cui la visita
medica dei minorenni da avviare al lavoro, il
cui obbligo continua ad essere presidiato penalmente, e` effettuata presso un medico del
Servizio Sanitario Nazionale, non integra piu`
illecito penale prevedendo l’art. 26 della Legge n. 977/1967, come modificato dall’art. 14
D.Lgs. n. 345/1999, la sanzione penale unicamente per l’obbligo in generale della visita ma
non anche per le concrete modalita` della sua
effettuazione.»
Rileva che «il Ministero delle ComunicazioniMarina Mercantile con Foglio d’Ordine n. 43
del 6 maggio 1929 concedeva alla Societa` Nazionale Salvamento l’autorizzazione al rilascio
del ‘‘certificato di abilitazione all’esercizio del
mestiere di bagnino’’», e che «anche oggi la
competenza al rilascio della abilitazione alla attivita` di bagnino spetta alla Societa` Nazionale
di Salvamento, eretta in Ente Morale con R.D.
19 aprile 1876 ed avente natura di Associazione
senza scopo di lucro secondo il disposto del
D.Lgs. n. 460/1997.»
La nomina del RSPP
come atto di responsabilita`
del datore di lavoro
Cassazione penale sez. III, 21 maggio 2014
(u.p. 6 maggio 2014), n. 20682 - Pres. Squassoni - Est. Marini - P.M. (Parz.diff.) Fraticelli - Ric. Galimberti
Condannato «per avere designato quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione
una persona priva dei requisiti richiesti dall’art.
32 D.Lgs. n. 81/2008», un datore di lavoro lamenta che «l’art. 55 D.Lgs. n. 81/2008 punisce
la mancata individuazione del responsabile del
servizio e non la individuazione di persona priva dei requisiti previsti dall’art. 32 della medesima legge.»
Asserisce che «l’art. 4, lett. b), D.Lgs. n. 626/
1994 indicava fra gli obblighi del datore di lavoro la individuazione di un responsabile ‘‘secondo le regole di cui all’art. 8’’, e fissava cosı`
una regola soggetta a sanzione ex art. 89 in caso d’inosservanza», e che «tale impostazione,
che veniva rafforzata dalla previsione dell’art.
8-bis, introdotto dal D.Lgs. n. 195/2003, e` stata invece abbandonata dal D.Lgs. n. 81/2008,
espressamente rinunciando a introdurre nell’art. 55 il richiamo all’art. 32, che fissa i requisiti del responsabile, e limitando il rinvio
al solo art. 17.» (Circa la nomina del RSPP
da parte del datore di lavoro v. Guariniello,
Il T.U. Sicurezza sul Lavoro commentato con
la giurisprudenza, V edizione, Milano, 2013,
189 ss.).
La Sez. III non e` d’accordo.
Ammette che «la disciplina introdotta con il
D.Lgs. n. 81/2008, agli artt. 55 e 17, presenta
una formulazione diversa rispetto a quella contenuta nel D.Lgs. n. 626/1994.» Ma sottolinea
che «l’esame sistematico della disciplina in vigore impone di giungere a un risultato diverso.»
Prende le mosse «dalla circostanza che il testo
contenuto nell’art. 8, comma 3, D.Lgs. n. 626/
1994, prevedendo condizioni soggettive assolutamente generali, si poneva in contrasto
con gli obblighi di specificita` dei requisiti della persona incaricata contenuti nel paragrafo 8
dell’art. 7 della Direttiva 12 giugno 1989, n.
89/391/CEE», in quanto «tale norma invitava
gli Stati membri a precisare le capacita` e le attitudini della persona incaricata della sicurezza
e fu seguita dalla decisione con cui la Corte di
Giustizia CE (sentenza 15 novembre 2001,
causa C-49/00) condanno` lo Stato italiano
per essere inadempiente» e «con il D.Lgs. n.
195/2003 venne introdotto nel D.Lgs. n. 626/
1994 l’art. 8-bis, che poneva rimedio al deficit
normativo sanzionato dalla Corte di Giustizia.»
Precisa che, «in continuita` con tale sviluppo
legislativo, l’art. 32 del D.Lgs. n. 81/2008
(la cui rubrica reca ‘‘Capacita` e requisiti professionali degli addetti e responsabili dei servizi di prevenzione e protezione interni ed
esterni’’) fissa al comma 2 quali sono gli specifici requisiti necessari ‘‘per lo svolgimento
delle funzioni da parte dei soggetti di cui al
comma 1’’.»
Ne ricava che «risulta cosı` inequivoco quali siano le condizioni soggettive richieste alla persona nominata come responsabile, condizioni che
la legge ritiene necessarie ‘‘per lo svolgimento’’ delle funzioni oggetto dell’incarico», e
che «l’assenza dei requisiti soggettivi necessari
rende la designazione inefficace perche´ incapace di offrire la necessaria e richiesta tutela agli
interessi protetti, interessi che coinvolgono il
diritto del lavoratore alla salubrita` e sicurezza
del lavoro e, in ultima istanza, il suo diritto alla
salute.»
A questo punto, la Sez. III prende in esame la
disciplina sanzionatoria dettata negli artt. 55 e
seguenti del D.Lgs. n. 81/2008.
Chiarisce che «il mancato richiamo all’art. 32
nella previsione dell’art. 55, comma 1, lett. b),
non lascia dubbi circa il significato complessivo della fattispecie.»
Spiega che «l’art. 55, comma 1, lett. b), sanziona l’ipotesi che il datore di lavoro non provveda
ai sensi dell’art. 17, comma 1, lett. b)», e che
«tale ultima disposizione prevede la non delegabilita` dell’atto di designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione
dai rischi.»
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Giurisprudenza
Cio` premesso, precisa che, «tra i requisiti per
l’iscrizione al corso di ‘‘bagnino di salvataggio’’, si richiede espressamente, tra l’altro, il
possesso di ‘‘idonee condizioni psicofisiche’’.»
Ne desume che, «nel caso di specie, i due giovani in servizio presso lo stabilimento balneare gestito dall’imputata, essendo risultati in
possesso di regolare abilitazione alla attivita`
di ‘‘bagnino di salvataggio’’, avevano gia` superato favorevolmente la visita medica finalizzata proprio ad accertarne l’idoneita` psicofisica alla particolare attivita` lavorativa a cui
sono stati adibiti e quindi il reato non sussiste.»
(E` da notare che, in forza dell’art. 42, comma
1, Legge n. 98/2013, «fermi restando gli obblighi di certificazione previsti dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, per i lavoratori
soggetti a sorveglianza sanitaria, sono abrogate le disposizioni concernenti l’obbligo dei seguenti certificati attestanti l’idoneita` psico-fisica al lavoro: ...
b) limitatamente alle lavorazioni non a rischio,
certificato di idoneita` per l’assunzione di cui
all’articolo 9 del regolamento di cui al decreto
del Presidente della Repubblica 30 dicembre
1956, n. 1668, e all’articolo 8 della legge 17
ottobre 1967, n. 977, e successive modificazioni»).
369
Giurisprudenza
370
Osserva che «si tratta di obbligo il cui rispetto
deve essere valutato in relazione alle definizioni contenute nell’art. 2, comma 1, lett. g)
e lett. l) della medesima legge»: «la lett. l) definisce il ‘‘servizio di prevenzione e protezione dai rischi’’ come ‘‘l’insieme delle persone,
sistemi e mezzi esterni o interno all’azienda
finalizzati’’ alla tutela dei lavoratori dai rischi; la lett. e) chiarisce che l’addetto a tale
servizio e` ‘‘persona in possesso delle capacita`
e dei requisiti professionali di cui all’art.
32’’.»
«Dall’insieme di queste disposizioni», deduce
che «l’unico modo per il datore di lavoro di rispettare l’obbligo ex art.17, comma 1, lett. b), e`
quello di incaricare una persona in possesso dei
requisiti previsti dagli artt. 2 e 32 della medesima legge, con la conseguenza che la nomina di
persona inidonea comporta in radice la violazione dell’obbligo e deve essere considerata
inefficace», e che, dunque, «in tali termini la
violazione assume rilevanza ai fini dell’applicazione dell’art. 55 sopra ricordato.»
Aggiunge che «solo l’interpretazione qui adottata si presenta rispettosa della disciplina contenuta nella Direttiva citata e dell’interpretazione
che del regime comunitario ha dato, con efficacia vincolante, la Corte di Giustizia nella sentenza citata», «il che impone di considerare
l’art. 55 D.Lgs. n. 81/2008 in continuita` con
la previsione degli artt. 4 e 8-bis e dell’art. 89
del D.Lgs. n. 626/1994.»
E precisa che «la valutazione in ordine alla
inadeguatezza dei requisiti della persona incaricata della sicurezza deve essere particolarmente attenta e non spingersi, in una materia
complessa come quella della formazione e della professionalita` dell’incaricato, fino ad adottare criteri valutativi opinabili che rendano incerta l’applicazione della legge da parte dei
suoi destinatari.»
Formazione
del lavoratore esperto
e socializzazione
delle prassi di lavoro
Cassazione penale sez. IV, 26 maggio 2014
(u.p. 12 febbraio 2014), n. 21242 - Pres. Brusco - Est. Dovere - P.M. (Conf.) Policastro Ric. Nogherot
E` frequente che, in caso di mancata o insufficiente formazione di un lavoratore, il datore
di lavoro adduca a propria discolpa l’esperienza
pregressa di tale lavoratore.
Al riguardo, Cass. 21 agosto 2013 n. 35297,
Torre (in Guariniello, Il T.U. Sicurezza sul
Lavoro commentato con la giurisprudenza,
VI edizione, Milano, 2014, sub art. 37) replico` che «l’obbligo di formazione e di informazione non puo` ritenersi adempiuto per il fatto
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
che l’infortunato fosse lavoratore esperto, perche´ esso ha la funzione di evitare anche il
maggior rischio nascente dall’assuefazione
progressiva, dall’abitudine alla manovra, che
normalmente porta a sottovalutare il pericolo.»
La presente sentenza ritorna sull’argomento, e
delinea «i contorni ed i contenuti dell’obbligo
di formazione gravante sul datore di lavoro in
tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro.»
Anzitutto, rileva che il datore di lavoro «ha
l’obbligo di assicurare ai lavoratori una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e salute, con particolare riferimento al
proprio posto di lavoro e alle proprie mansioni,
in maniera tale da renderlo edotto sui rischi inerenti ai lavori a cui e` addetto, senza che abbia
rilievo, nel senso di escludere siffatto obbligo,
la circostanza della destinazione occasionale
del lavoratore a mansioni diverse da quelle
cui questi abitualmente attendeva.»
Aggiunge che «il D.Lgs. n. 626/1994, all’art. 3,
comma 1, lett. s), poneva la informazione, formazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori ovvero dei loro rappresentanti, sulle
questioni riguardanti la sicurezza e la salute
sul luogo di lavoro tra le misure generali di tutela, distinguendole peraltro dalla diversa ed ulteriore misura generale costituita dalle istruzioni adeguate ai lavoratori [art. 3, comma 1, lett.
t), D.Lgs. n. 626/1994; similmente il D.Lgs. n.
81/2008, all’art. 15, comma 1, lettere da n) a
q)].»
Ricorda che «gli artt. 21 e 22 del citato decreto
prevedevano e definivano i contenuti degli obblighi di informazione e di formazione, intesi
quindi come attivita` ed obiettivi distinti», e
che, in particolare, dell’attivita` di formazione
veniva scandito: a) l’oggetto, dovendo aver attinenza specifica al posto di lavoro e alle mansioni assegnate al lavoratore; b) la temporalita`,
essendo evidenziati per la sua somministrazione i momenti dell’assunzione, del trasferimento o cambio di mansioni, dell’introduzione di
nuove attrezzature di lavoro o di nuove teconologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi, nonche´ la modifica per evoluzione o per
innovazione del quadro dei rischi; c) il coinvolgimento degli organismi paritetici previsti
dall’art. 20 (ancora piu` dettagliato e portatore
di limitazioni alle scelte datoriali, quanto a
contenuti e modalita` di somministrazione dell’attivita` di formazione, e` l’art. 37 D.Lgs. n.
81/2008).»
In questo quadro, la Sez. IV enuncia questo
principio: «In tema di tutela della salute e della
sicurezza dei lavoratori, l’attivita` di formazione
del lavoratore, alla quale e` tenuto il datore di lavoro, non e` esclusa dal personale bagaglio di
conoscenze del lavoratore, formatosi per effetto
di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenze che comunemente si realizza
nella collaborazione tra lavoratori, anche posti
in relazione gerarchica tra di loro.
LIBRI
Di qui in rapporto al caso di specie la conclusione che «la prova dell’assolvimento degli obblighi di informazione e di formazione del lavoratore non puo` ritenersi data dalla dichiarazione
del lavoratore infortunato che indichi una personale pluriennale esperienza dell’uso dell’attrezzatura di cui trattasi.»
Il rischio rumore negli ambienti
di lavoro
Andrea Rotella, Gabriele Campurra
2013, III ed., pagg. 352+CD ROM, E 30,00
Il rumore all’interno degli ambienti di lavoro continua ad essere una
delle principali cause di malattie professionali ed alta rimane la
percentuale di lavoratori esposti a questo fattore di rischio.
Con il Testo Unico per la sicurezza, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, il
legislatore ha confermato le prescrizioni minime di sicurezza e di
salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dal
rumore durante il lavoro.
Ora le nuove norme tecniche UNI EN ISO 9612:2011 e UNI
9432:2011 chiariscono alcuni dei punti che la normativa aveva lasciato in sospeso e introducono modalita` di rilevazione dei dati e
calcoli per la stima dell’errore piu` complessi che in passato.
Il volume (con pratici strumenti di calcolo disponibili su CD ROM) e`
una guida operativa di grande utilita` per i tecnici che operano nel
settore della sicurezza nei luoghi di lavoro: responsabili e addetti
al servizio di prevenzione e protezione, medici competenti, consulenti tecnici, personale degli organi di vigilanza e controllo.
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Servizio Informazioni Commerciali
(tel. 02.82476794 - fax 02.82476403)
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Servizio Informazioni Commerciali Indicitalia
(tel. 06.20381238 - fax 06.20381545)
Agente Indicitalia di zona: www.indicitalia.it/agenzie
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Giurisprudenza
L’apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e delle prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attivita`
di informazione e di formazione legislativamente previste, le quali vanno compiute nella
cornice formalizzata prevista dalla legge.»
371
Marzo 2014
Rassegna interpelli
a cura di Pierluigi Rausei
Autoferrotranvieri
Ministero del lavoro, 27 marzo 2014, n. 4
Oggetto: Art. 12, D.Lgs. n. 81/2008 e successive modifiche ed integrazioni - Risposta al quesito
relativo alla corretta applicazione dell’allegato IV, punti 1.11 e 1.12, del D.Lgs. n. 81/2008 per la
categoria autoferrotranvieri.
Quando e in quali limiti il Testo Unico si applica al personale ferroviario in materia di igiene del lavoro?
Le norme previgenti trovano tutte applicazione nelle more della adozione dei decreti di armonizzazione?
Interpelli
Nota
372
La Commissione ministeriale preposta si occupa degli autoferrotranvieri alla luce di quanto
previsto dall’art. 3, comma 2, del D.Lgs. n.
81/2008.
Il Ministero evidenzia che allo stato attuale non
risultano ancora approvati ne´ adottati i decreti
che sono deputati a coordinare la disciplina della Legge 26 aprile 1974, n. 191 in tema di trasporto ferroviario con le norme del Testo Unico, armonizzandone le disposizioni dei Titoli
dal II al XII.
Il comma 3 dell’art. 3 del D.Lgs. n. 81/2008,
peraltro, prevede espressamente che in attesa
che vengano adottati i decreti anzidetti vengono
espressamente fatte salve le norme previgenti
richiamate dalla Legge n. 191/1974 (D.Lgs.
19 settembre 1994, n. 626, D.P.R. 27 aprile
1955, n. 547 e del D.P.R. 7 gennaio 1956, n.
164).
La Legge n. 191/1974, in effetti, dedicandosi
espressamente alla materia della prevenzione
degli infortuni sul lavoro nel contesto delle attivita` proprie dei servizi ferroviari e delle attivita`
industriali connesse, detta norme anche di natura organizzativa, che caratterizzano la sicurezza
interna alle attivita` del settore.
Tuttavia la stessa legge n. 191/1974 non si occupa delle norme a tutela della igiene del lavoro
degli autoferrotranvieri, cio` in considerazione
del fatto che il quadro regolatorio in tale materia era, al momento dell’approvazione della legge n. 191/1974, interamente contenuto nel
D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303.
Il D.P.R. n. 303/1956 e` oggi totalmente abrogato dal D.Lgs. n. 81/2008, il quale, d’altro canto,
ne ha inglobato i disposti normativi nell’Allegato IV.
Su tale presupposto regolatorio, peraltro, la
Commissione ministeriale nella risposta ad interpello n. 4/2014 sottolinea che i contenuti di-
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
spositivi dell’Allegato IV del D.Lgs. n. 81/
2008 debbano trovare senza dubbio applicazione nei confronti degli operatori del settore
del trasporto ferroviario e per la generalita` delle attivita` lavorative richieste agli autoferrotranvieri. Cio` perlomeno fino a quando non saranno vigenti le normative tecniche di prevenzione e protezione specifiche in sede di armonizzazione e coordinamento per il settore ferroviario.
Riscontrando le richieste dell’interpellante il
Ministero del Lavoro sottolinea in modo particolare come le previsioni che concernono la
predisposizione e la cura dei locali di riposo e
di refezione, nonche´ la realizzazione e la tenuta
degli spogliatoi e degli armadi per il vestiario
devono integralmente applicarsi a tutela delle
esigenze dei lavoratori autoferrotranvieri.
In questo contesto, dunque, i lavoratori del settore ferroviario potranno invocare l’integrale attuazione nei rispettivi luoghi di lavoro di quanto previsto dai punti 1.11 e 1.12 dell’Allegato
IV del D.Lgs. n. 81/2008 (allo stesso modo si
era pronunciata la Commissione con riferimento alle strutture e ai servizi penitenziari con l’interpello n. 12 del 24 ottobre 2013, sia pure limitatamente al punto 1.12 e in considerazione delle risultanze della valutazione dei rischi effettuata dal datore di lavoro).
Una ricostruzione differente del quadro regolatorio in materia di igiene del lavoro per i lavoratori del settore ferroviario contrasterebbe, secondo quanto evidenziato nella risposta ad interpello, con i valori costituzionali di riferimento per la salute e la sicurezza dei lavoratori che
non tollerano riduzioni di tutela rispetto ai luo-
Nota:
3 P. Rausei e` ADAPT professional fellow. Il testo e` frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non impegna l’Amministrazione cui appartiene.
ghi di lavoro ovvero ai settori produttivi considerati.
L’interpello n. 4/2014, infatti, specifica come la
tutela dell’igiene del lavoro non puo` in alcun
modo venire ridimenzionata ne´ compressa sulla
mera valutazione delle particolarita` organizzative proprie delle attivita` ferroviarie come pure
non possono giustificare un arretramento di tutela le esigenze di sicurezza interna richieste nel
settore ferroviario.
Trovera` quindi la conseguente reazione punitiva anche nei confronti dei datori di lavoro del
settore ferroviario, secondo quanto previsto dal-
l’art. 68, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2008, in
base al quale la violazione di piu` precetti riconducibili alla categoria omogenea di requisiti di
sicurezza relativi ai luoghi di lavoro di cui all’Allegato IV, punti 1.11 e 1.12, per quanto
qui di interesse, viene considerata una unica
violazione punita con la pena dell’arresto da 2
a 4 mesi o dell’ammenda da 1.096,00 a
5.260,80 euro (nella misura aumentata dal
D.L. n. 76/2013, convertito dalla legge n. 99/
2013), fermo restando l’obbligo per l’organo
di vigilanza di precisare i singoli precetti distintamente violati.
Medico competente
Ministero del lavoro, 27 marzo 2014, n. 5
Oggetto: Art. 12, D.Lgs. n. 81/2008 e successive modifiche ed integrazioni - Risposta al quesito
sulla corretta interpretazione dell’art. 25, comma 1, lett, a), del D.Lgs. n. 81/2008.
Nota
Nella risposta ad interpello n. 5/2014, su istanza
della Federazione Nazionale degli Ordini dei
Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, il Ministero del Lavoro e` stato chiamato a dare un’interpretazione specifica circa l’ambito di estensione e di operativita` del concetto di «collaborazione» utilizzato dal Legislatore nell’ambito
dell’art. 25, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n.
81/2008, con riferimento alle funzioni del medico competente.
Con la norma che forma oggetto dell’interpello
il Testo Unico prevede, in effetti, che il medico
competente debba collaborare con il datore di
lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione nell’ambito della procedura di valutazione dei rischi, anche allo scopo di una necessaria
«programmazione, ove necessario, della sorveglianza sanitaria», nonche´ per la predisposizione della attuazione delle misure per la tutela
della salute e della integrita` psico-fisica dei lavoratori, come pure per le attivita` di formazione
e di informazione rivolte ai lavoratori, «per la
parte di competenza», e anche alla organizzazione del servizio di primo soccorso.
La risposta ad interpello sottolinea come una attivita` di «collaborazione» fosse gia` richiesta al
medico competente dall’art. 17 del D.Lgs. n.
626/1994, anche se con limitazione del campo
di azione alla «specifica conoscenza dell’organizzazione dell’azienda ovvero dell’unita` produttiva e delle situazioni di rischio, alla predisposizione dell’attuazione delle misure per la
tutela della salute e dell’integrita` psico-fisica
dei lavoratori».
L’art. 25 del D.Lgs. n. 81/2008 amplia la previsione originaria, estendendo i contenuti della
collaborazione richiesta al medico competente
anche alla programmazione della sorveglianza
sanitaria, alle attivita` di formazione e di informazione di cui sono destinatari i lavoratori e,
infine, alla organizzazione del servizio di primo
soccorso.
D’altra parte, l’art. 35, comma 1, del D.Lgs. n.
106/2009, nel modificare l’art. 58 del D.Lgs. n.
81/2008, ha introdotto una specifica sanzione
penale per la violazione degli obblighi di collaborazione alla valutazione dei rischi a carico del
medico competente, stabilendo che tale condotta antidoverosa sia punita (nell’attuale valore
disposto dal D.L. n. 76/2013, convertito dalla
Legge n. 99/2013) con la pena dell’arresto fino
a 3 mesi o dell’ammenda da 438,40 a 1.753,60
euro.
L’interpello annotato evidenzia come sia chiara
la volonta` (presente nell’originario testo del
D.Lgs. n. 81/2008 e rafforzata dal D.Lgs. n.
106/2009) di riconoscere al medico competente
un ruolo di maggiore rilievo nel sistema di organizzazione e di gestione della prevenzione
in azienda.
In questa prospettiva il posizionamento della
Cassazione penale, sez. III, 15 gennaio 2013,
n. 1856, che ha confermato la condanna di un
medico competente il quale non aveva collaborato con il datore di lavoro e con il servizio di
prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione della
sorveglianza sanitaria, all’attivita` di formazione
e informazione nei confronti dei lavoratori per
la parte di competenza e alla organizzazione
del servizio di primo soccorso considerando i
particolari tipi di lavorazione ed esposizione e
le peculiari modalita` organizzative del lavoro.
D’altronde la Suprema Corte, come annota l’in-
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Interpelli
Come si configurano gli obblighi di collaborazione col datore di lavoro del medico competente? Quali
sono i limiti operativi dell’obbligo del medico competente di collaborare alla valutazione dei rischi?
373
Interpelli
terpello n. 5/2014, afferma espressamente che il
quadro regolatorio vigente non richiede al medico competente «l’adempimento di un obbligo
altrui quanto, piuttosto, lo svolgimento del proprio obbligo di collaborazione, espletabile anche mediante l’esauriente sottoposizione al datore di lavoro dei rilievi e delle proposte in materia di valutazione dei rischi che coinvolgono
le sue competenze professionali in materia sanitaria». La sentenza n. 1856/2013, invero, sancisce che il medico aziendale e` un collaboratore
necessario del datore di lavoro, in quanto dotato
di professionalita` qualificata per coadiuvarlo
con particolare riguardo alla sorveglianza sanitaria nei luoghi di lavoro (quando obbligatoria),
fermo restando l’obbligo esclusivo del datore di
lavoro di tutelare l’integrita` psicofisica dei lavoratori, la collaborazione professionale del
medico competente assume un ruolo di primo
piano nel sistema odierno di prevenzione.
In questo senso la pronuncia giurisprudenziale
richiamata dall’interpello n. 5/2014 delimita
obiettivamente l’ambito di applicazione degli
obblighi imposti dall’art. 25 del D.Lgs. n. 81/
2008 al medico competente, il quale dopo averli adempiuti fa sı` che una eventuale ulteriore
inerzia rimane di esclusiva responsabilita` penale del datore di lavoro.
L’art. 55, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 81/
2008, infatti, punisce con la pena dell’arresto
da 3 a 6 mesi o dell’ammenda da 2.740,00 a
7.014,40 euro (nella misura aumentata dal
D.L. n. 76/2013, convertito dalla legge n. 99/
2013) solo il datore di lavoro per l’omessa valutazione dei rischi e la mancata adozione del
documento di valutazione dei rischi, essendo
la valutazione dei rischi un obbligo datoriale
374
non delegabile (art. 17, D.Lgs. n. 81/2008), rispetto al quale, tuttavia, al medico competente
e` fatto obbligo di collaborare sulla scorta delle
informazioni acquisite non soltanto dal datore
di lavoro, ma anche attraverso l’assolvimento
dei compiti propri come stabiliti dallo stesso
art. 25 del D.Lgs. n. 81/2008 (sopralluogo e visita degli ambienti di lavoro, esercizio della sorveglianza sanitaria e alla cartella sanitaria).
La risposta ad interpello n. 5/2014, dunque, afferma che l’obbligo di collaborazione assegnato al medico competente dall’art. 25 del
D.Lgs. n. 81/2008 deve essere necessariamente inteso «in maniera attiva», vale a dire che il
medico competente nel redigere il protocollo
sanitario per l’azienda deve essere in possesso
di una conoscenza effettiva dei rischi presenti
nei luoghi di lavoro considerati e, in questa direzione, ha l’obbligo di prestare la propria collaborazione nel processo di valutazione dei rischi. Rileva, comunque, l’obbligo per il datore
di lavoro di richiedere esplicitamente la collaborazione del medico competente nella elaborazione e nella redazione della valutazione dei
rischi fin dal momento in cui si avvia il percorso valutativo, condividendo anche i metodi
prescelti per procedere a valutare i singoli rischi aziendali.
Infine, se un medico competente subentra a
quello precedentemente nominato, trovandosi
davanti ad una valutazione dei rischi gia` effettuata, ha l’obbligo, secondo la risposta ad interpello annotata, di provvedere a rivisitare la valutazione esistente, acquisendo le informazioni
necessarie indirettamente dal datore di lavoro,
nonche´ direttamente dal sopralluogo sui luoghi
di lavoro e dalla sorveglianza sanitaria.
Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco
Ministero del lavoro, 27 marzo 2014, n. 6
Oggetto: Art. 12, D.Lgs. n. 81/2008 e successive modifiche ed integrazioni - Risposta al quesito
relativo all’articolo 3, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2008.
Quali misure in materia di sicurezza sul lavoro si applicano per la tutela degli operatori del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco? Come si armonizzano le norme del D.Lgs. n. 626/1994 richiamate dal D.M.
n. 450/1999 alle disposizioni del Testo Unico?
Nota
Con la risposta ad interpello n. 6/2014 la Commissione interpelli interviene su istanza dell’Unione Sindacale di Base dei Vigili del Fuoco in
materia di tutela della salute e della sicurezza
degli operatori del Corpo nazionale dei Vigili
del Fuoco.
In particolare il Ministero del Lavoro ha chiarito l’ambito di applicazione delle norme del
D.Lgs. n. 81/2008 al personale dei Vigili del
Fuoco. Nell’evidenziare le concrete modalita`
attuative della disposizione contenuta nell’art.
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
3, comma 2, del Testo Unico, l’interpello annotato specifica che gli obblighi imposti al datore
di lavoro dal D.Lgs. n. 81/2008 trovano applicazione anche ai Vigili del Fuoco in considerazione di quelle «effettive particolari esigenze
connesse al servizio espletato» che caratterizzano l’attivita` propria del Corpo. Analogamente
per quanto attiene alle caratteristiche del servizio sul piano delle «peculiarita` organizzative»,
dovendo la disciplina di tutela della salute e
della sicurezza sul lavoro ricomprendere anche
la protezione dei lavoratori dei Vigili del Fuoco
RIVISTA
Il D.M. n. 450/1999 raccoglie le norme regolamentari che specificano le peculiari esigenze
proprie del servizio svolto dagli operatori del
Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco ai fini della corretta e concreta applicazione delle disposizioni generali poste dall’ordinamento a tutela
della salute e della sicurezza degli operatori nella globalita` dei luoghi dı` lavoro.
D’altro canto, la risposta ad interpello n. 6/2014
non omette di agganciare i contenuti dispositivi
del D.M. n. 450/1999 alla attualita` normativa
del Testo Unico, sottolineando come l’art.
304, comma 3, del D.Lgs. n. 81/2008, imponga
di applicare il decreto ministeriale citato riferendo alle corrispondenti disposizioni del
D.Lgs. n. 81/2008 i rinvii operati alle norme
del D.Lgs. n. 626/1994.
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Interpelli
addetti ad operazioni ed attivita` individuate appositamente da decreti ministeriali di tipo regolamentare (ex art. 17, comma 3, della Legge n.
400/1988).
La Commissione ministeriale sottolinea - come
gia` negli omologhi Interpelli n. 12/2013 e n. 4/
2014 - che l’art. 3, comma 3, del D.Lgs. n. 81/
2008, prevede la permanenza in vigore delle disposizioni attuative dell’art. 1, comma 2, del
D.Lgs. n. 626/1994 in attesa che vengano adottati
i prescritti decreti ministeriali di armonizzazione.
Con l’interpello n. 6/2014 si prende atto, dunque, della assenza di un aggiornato quadro regolamentare attuativo delle previsioni contenute nel D.Lgs. n. 81/2008 e conseguentemente si
afferma la necessaria piena vigenza in argomento del D.M. 14 giugno 1999, n. 450.
Agente Indicitalia di zona (www.indicitalia.it/agenzie)
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
375
Casi e Questioni
ISL risponde
A
Casi e Questioni
ll’interno dello stabilimento industriale di
cui sono RSPP abbiamo necessita` di razionalizzare i depositi di liquidi combustibili
presenti.
Pur non presentando singolarmente elevate capacita` volumetriche, ed essendo costituiti da
taniche e bidoni al massimo da 200 litri cadauno, quali eventuali condizioni e necessita` particolari possono crearsi riunendoli tutti all’interno di un unico volume?
376
La presenza di depositi di liquidi combustibili e
infiammabili di taglia modesta, atta agli usi
quotidiani di migliaia di imprese (oli per lubrificazione in meccanica, vernici e solventi in
verniciatura ecc.), e` regolamentata da una recentissima disposizione, il D.M. 31 luglio
1934, recante «Approvazione delle norme di sicurezza per la lavorazione, l’immagazzinamento, l’impiego o la vendita di oli minerali, e per il
trasporto degli oli stessi».
Fa eccezione l’alcool, molto usato in industria
alimentare, che resta invece coperto dal D.M.
18 maggio 1995, rubricato «Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la
progettazione, costruzione ed esercizio dei depositi di soluzioni idroalcoliche» (ma di esso
non si tratta in questa risposta).
Il decreto del 1934 e` molto consistente, ma per
quello che interessa e` sufficiente riportare soltanto alcuni passi cardine.
Ai sensi dell’art. 4 si deve innanzitutto eseguire
una «equivalenza» fra le sostanze liquide in deposito e la benzina.
Nello specifico benzina (e sostanze carburanti
ad essa equiparate), petrolio, oli combustibili
e oli lubrificanti presentano un rapporto di equivalenza nella rispettiva misura di 1:1, 10:1,
40:1 e 60:1.
Prendendo alla lettera l’art. 4, «ne consegue
che, ad esempio, un deposito contenente 10
mc di benzina, 50 mc di petrolio, 1.200 mc di
oli combustibili e 1.800 mc di oli lubrificanti,
equivale ad un deposito di sola benzina della
capacita` di 75 mc, e cioe`: 10 + 50/10 +
1.200/40 + 1.800/60 = 75 mc.
Questo computo e` necessario per la definizione
della classe del deposito e la conseguente determinazione delle distanze di rispetto da osservare, come viene specificato in seguito».
Decidere a quale categoria appartiene il proprio
liquido e` abbastanza semplice.
Dalla scheda di sicurezza, punto 9, si rileva il
flash point, e lo si confronta con le soglie di pericolosita` inserite nell’art. 1 dello stesso decreto
(inferiore a 21ºC, compreso tra 21ºC e 65ºC,
compreso tra 65ºC e 125ºC, superiore a 125ºC).
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
A questo punto si esamina l’art. 10 del decreto
per capire a quale categoria (tra 3) e a quale
classe (tra 10) puo` essere ricondotta la nostra
fattispecie, e di conseguenza (art. 46) quali sono le zone di protezione, la distanza tra fabbricati esterni e il perimetro dei serbatoi oppure la
distanza dal perimetro dei magazzini e dei locali travaso.
Prima di riprendere la trattazione delle particolari necessita` legate alle misure di sicurezza
contro gli incendi derivanti dal D.M. 31 luglio
1934, si ricorda che sulla base dei volumi di liquidi infiammabili stoccati e della loro trasformazione in benzina equivalente, e` stato innanzitutto determinato l’equivalente volume di benzina.
Attraverso l’art. 10 si determina la «classe del
deposito»: cosı`, supponendo di avere 70 mc
di benzina equivalente in contenitori, ci si posiziona in quinta categoria.
Restano ora da determinare le «distanze di sicurezza». Questa categoria di deposito per esempio prevede:
– 5m di zona di protezione. Gli stabilimenti e i
depositi di oli minerali devono essere circondati
da un recinto senza aperture o discontinuita` salvo l’ingresso, alto non meno di 2,50m sul piano
del terreno esterno, costruito con materiale incombustibile. La zona di protezione e` la distanza minima che deve intercedere fra il recinto
suddetto e i serbatoi e i locali pericolosi (travaso; merce imballata ecc.);
– 15m di distanza di rispetto tra fabbricati
esterni e il perimetro dei magazzini dei liquidi
e locali di travaso. Per fabbricati esterni si intendono gli edifici situati fuori del recinto, destinati ad uso di abitazione, oppure a servizi
pubblici, al culto, e comunque a pubbliche riunioni, nonche´ gli stabilimenti, i cantieri e le tettoie destinati alla lavorazione o al deposito di
materie facilmente combustibili, i ponti e i monumenti. Le distanze di rispetto e la zona di
protezione si intendono misurate orizzontalmente, dal perimetro esterno dei serbatoi e dei
locali pericolosi del deposito, al punto rispettivamente piu` vicino dei fabbricati esterni.
Quanto alle strade ferrate e tramviarie, si considerano come fabbricati esterni, i binari, misurando le distanze fra il lato esterno della rotaia
piu` vicina e il perimetro esterno dei serbatoi e
dei locali o manufatti pericolosi.
A completamento si segnala che alcune delle
distanze possono essere abbattute con l’interposizione di idonei muri tagliafuoco.
Infine e` bene porre attenzione al fatto che nel
1934 erano molto poco diffusi i complessi industriali costituiti da capannoni prefabbricati
porzionati, a contenere diverse attivita` produtti-
LIBRI
con diversi utilizzatori, ovvero che questo tipo
di stoccaggio va eseguito in edificio ad uso
esclusivo.
Antonio Cappa - Tecnico specialista
in prevenzione incendi
Manuale operativo per la
sicurezza nei cantieri edili
Marco Grandi, Maurizio Magri
2011, pagg. 416, E 80,00
Nei cantieri edili i rischi di infortunio e di morte sono estremamente
alti e variabili. Lavorare in sicurezza e` estremamente importante in
quanto permette alle aziende di migliorare organizzazione aziendale, con una precisa individuazione dei compiti e delle responsabilita` e di essere competitive in un quadro concorrenziale europeo.
Scritto da tecnici per i tecnici, il presente Manuale e` uno strumento
estremamente operativo volto alla immediata applicazione delle
principali disposizioni normative riguardanti i piu` frequenti aspetti
della sicurezza nell’ambito dell’installazione e dell’evoluzione di
un cantiere edile.
In Appendice i modelli di comunicazione verso Datori di Lavoro,
RSPP, RLS, RLST, Medici competenti, Lavoratori, Organi di vigilanza.
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(tel. 02.82476794 - fax 02.82476403)
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ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Casi e Questioni
ve adiacenti (cioe` con muro tagliafuoco a costituire separazione fisica). Questo significa che la
distanza di rispetto «da fabbricati esterni» determina il fatto che non sia possibile stoccare liquidi con volume di benzina equivalente superiore a 2 mc (settima classe) in un capannone
377
11 agosto - 31 dicembre 2014
Finanziamenti
per la sicurezza
a cura di Bruno Pagamici - Studio Pagamici, Macerata
Dalle Regioni
Finanziamenti
FRIULI
VENEZIA GIULIA
Scadenza:
30 settembre 2014
Contributi alle imprese artigiane per ridurre i rischi
sul lavoro
Con decreto del Direttore centrale attivita` produttive n. 1596/PRODRAF
del 15 maggio 2014 sono stati riaperti i termini per la presentazione delle
domande per accedere ai contributi previsti dalla Legge Regionale 22
aprile 2002, n. 12 per:
1) sostenere l’adeguamento di strutture ed impianti (art. 55);
2) l’acquisizione di consulenze finalizzate all’introduzione dei sistemi di
sicurezza in azienda (art. 56, comma 1, lett. a).
Entrambi gli interventi sono rivolti alle micro, piccole e medie imprese, ai
consorzi e alle societa` consortili, anche in forma cooperativa, iscritti all’Albo provinciale delle imprese artigiane.
Ai sensi dell’art. 55 saranno agevolati le seguenti iniziative:
realizzazione di interventi finalizzati all’adeguamento di preesistenti
strutture ed impianti alla normativa in materia di prevenzione incendi di
cui agli artt. 1 e 4 dell’Allegato IV, del D.Lgs. n. 81/2008. Le spese ammissibili sono quelle sostenute per:
– modifica o sostituzione dei seguenti impianti: alimentazione di idranti,
estinzione di tipo automatico e manuale, aspirazione per gas, vapori e polveri esplosivi o infiammabili, rilevazione di gas, di fumo e incendio;
– interventi edilizi sulle strutture produttive, per l’adeguamento alla normativa di cui agli artt. 1 e 4 dell’Allegato IV del D.Lgs. 81/2008;
realizzazione di interventi finalizzati all’adeguamento di preesistenti
strutture ed impianti alla normativa in materia di prevenzione infortuni,
igiene e sicurezza sul lavoro di cui all’Allegato IV, art. 1, del D.Lgs. n.
81/2008. Saranno ammesse le spese riferite a:
– modifica o sostituzione degli impianti per l’aerazione e la regolazione
della temperatura ed umidita` nei luoghi di lavoro di cui all’art. 1, punto 9
dell’Allegato IV del D.Lgs. 81/2008;
– modifica o sostituzione degli impianti per l’utilizzazione dell’energia
elettrica. Saranno ammissibili gli interventi per illuminazione naturale e
artificiale dei luoghi di lavoro di cui all’art. 1, punto 10, dell’Allegato
IV del D.Lgs. 81/2008, compresa la protezione contro le scariche atmosferiche;
– modifica o sostituzione degli impianti idrici e sanitari per servizi igienico-assistenziali di cui all’art. 1, punto 13 dell’Allegato IV del D.Lgs. 81/
2008;
– interventi edilizi sulle strutture produttive, per l’adeguamento alla normativa di cui all’art. 1 dell’Allegato IV del D.Lgs. n. 81/2008;
realizzazione di interventi finalizzati all’adeguamento di preesistenti
strutture ed impianti alla normativa in materia di antinquinamento di
cui all’art. 256 e di cui all’Allegato IV, art. 2, del D.Lgs. 81/2008. Saranno considerare ammissibili le spese relative a:
– modifica o sostituzione dei seguenti impianti per la difesa dagli agenti
Nota:
3 Bruno Pagamici e` Dottore commercialista, Revisore contabile e Pubblicista.
378
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
LAZIO
Scadenza:
9 agosto 2014
Aiuti per migliorare la sicurezza nelle imprese agricole
Contributi dalla Regione Lazio a favore delle imprese agricole per la
sicurezza sul lavoro. Le agevolazioni sono previste della Misura 121
del Programma di Sviluppo Rurale 2007-2013, il cui bando e` stato
adottato dalla Giunta Regionale con Deliberazione n. 293 del 27 maggio 2014.
Potranno presentare domanda gli imprenditori agricoli, come imprese
individuali o organizzati in forma societaria, cosı` come definiti dall’art.
2135 del cod. civ. titolari di partita IVA e iscritti nei registri delle imprese presso la CCIAA, nell’apposita sezione riservata alle imprese
agricole.
I comparti produttivi interessati dagli interventi sono: lattiero-casearia, incluso latte bufalino; carne bovina, suinicola, avicola e uova; ovi-caprina;
cerealicola; ortofrutticola, ivi comprese patate e frutta in guscio; olivicola;
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Finanziamenti
nocivi: aspirazione dei gas, vapori, odori o fumi, aspirazione e raccolta
delle polveri nonche´ rilevazione di gas e vapori, di cui all’art. 2 dell’Allegato IV del D.Lgs. n. 81/2008;
– interventi edilizi sulle strutture per la demolizione o la rimozione dell’amianto di cui all’art. 256 del D.Lgs. n. 81/2008 e interventi di adeguamento alla normativa di cui ai punti 1.3.1.1, 1.3.1.2 e 1.3.1.3 dell’Allegato
IV al D.Lgs. n. 81/2008.
Per tutte e tre le tipologie di iniziative, saranno altresı` ammissibili le seguenti spese:
i) spese di progettazione, direzione lavori e collaudo connessi agli interventi edilizi;
ii) spese per il trasporto e il montaggio necessari per la realizzazione degli
interventi.
Saranno ammesse le iniziative la cui spesa complessiva e` compresa tra un
minimo di 5.000 euro ed un massimo di 50.000 euro.
L’art. 56, comma 1, lett. a) incentiva l’acquisizione di consulenze finalizzate alla realizzazione di sistemi di gestione aziendale in materia di salute
e sicurezza sul posto di lavoro, certificabili da organismi accreditati in base a normative nazionali o comunitarie.
Saranno ammesse le spese, di importo compreso tra 3.000 e 24.000 euro,
relative a:
– consulenze esterne compresi l’addestramento degli addetti;
– prove di laboratorio;
– ottenimento della certificazione.
Per entrambi gli interventi, il contributo regionale, in de minimis ai sensi
del Regolamento (UE) n. 1407/2013, sara` pari al 30% delle spese ammissibili, elevato al 40% nel caso di:
– imprese artigiane appartenenti all’imprenditoria giovanile;
– imprese artigiane appartenenti all’imprenditoria femminile;
– imprese artigiane localizzate nelle zone di svantaggio socio economico.
Le domande di contributo dovranno essere presentate entro il 30 settembre 2014 (ore 16:30) al CATA (Centro di assistenza tecnica alle imprese
artigiane) esclusivamente tramite posta elettronica certificata (PEC) al seguente indirizzo PEC: [email protected].
(Decreto del Presidente della Regione 25 gennaio 2012, n. 033/Pres.,
BUR 8 febbraio 2012, n. 6: approvazione regolamento; Decreto del Presidente della Regione 25 giugno 2012, n. 0135/Pres., BUR 4 luglio 2012,
n. 27: modifica regolamento; Decreto del Presidente della Regione 1º ottobre 2012, n. 0195/Pres., BUR 10 ottobre 2012, n. 41: modifica regolamento; Decreto del Presidente della Regione 8 aprile 2013, n. 069/Pres.,
BUR 17 aprile 2013, n. 16: modifica regolamento; Decreto del Presidente della Regione 28 novembre 2013, n. 0224/Pres., BUR 11 dicembre
2013, n. 50: modifica regolamento; Decreto del Presidente della Regione
12 maggio 2014, n. 087/Pres., BUR 21 maggio 2014, n. 21: modifica regolamento; Decreto del Direttore centrale attivita` produttive 15 maggio
2014, n. 1596/PRODRAF, BUR 28 maggio 2014, n. 22: riapertura termini di presentazione delle domande di contributo; Decreto del Direttore
centrale attivita` produttive 26 maggio 2014, n. 1770: approvazione modulistica)
379
Finanziamenti
vitivinicola, con esclusione degli interventi finalizzati alla lavorazione,
trasformazione e commercializzazione dell’uva da vino previsti dalla Misura investimenti del Piano nazionale di sostegno OCM vino di cui al Regolamento (CE) n. 1234/2007; ortofloroviviaistica; colture industriali e
oleoproteaginose; tabacco; foresta-legno, limitatamente ai nuovi impianti
di colture arboree; altri settori di nicchia.
Sara` sostenuto l’acquisto di dotazioni (macchine, macchinari e attrezzature) per migliorare le condizioni di lavoro e gli standard di sicurezza.
L’intensita` del contributo regionale, calcolato sul costo dell’investimento
ammissibile, sara` pari al:
nelle zone svantaggiate di cui art. 36, lett. a), punti i), ii) ed iii), del Regolamento (CE) n. 1698/2005:
– 50% per i giovani agricoltori;
– 40% per gli altri agricoltori;
nelle altre zone:
– 40% per i giovani agricoltori;
– 35% per gli altri agricoltori.
La domanda di aiuto dovra` essere presentata per via telematica, utilizzando il Modello Unico di Domanda (MUD), corredato del relativo fascicolo
di misura e della documentazione tecnica richiesta, e contestualmente in
formato cartaceo presso le sedi regionali competenti per territorio, entro
le ore 18 del 9 agosto 2014.
(Deliberazione della Giunta Regionale 27 maggio 2014, n. 293, BUR 10
giugno 2014, n. 46: approvazione bando)
380
Dalle Camere di Commercio
ASTI
Scadenza:
31 dicembre 2014
Incentivi per interventi in materia di salute e sicurezza
sul lavoro
La Camera di Commercio di Asti eroga contributi per l’adeguamento delle imprese alla normativa vigente in materia di sicurezza.
Ad essere interessate sono le piccole e medie imprese in possesso dei seguenti requisiti:
– avere sede legale e/o unita` locale operativa nella provincia di Asti, regolarmente iscritte al Registro Imprese;
– essere in regola con il pagamento del diritto annuale, con riferimento al
triennio precedente;
– risultare in attivita`.
Saranno agevolate le operazioni di finanziamento, effettuate tramite organismi di garanzia fidi operanti in provincia di Asti, relativi ad interventi
diretti ad adeguare la sicurezza dell’ambiente di lavoro, compresi gli adeguamenti derivanti dalla normativa sulla prevenzione incendi e dal D.Lgs.
81/2008.
L’importo dell’investimento agevolabile e del relativo finanziamento per
ogni singola impresa non dovra` essere inferiore a 15.000 euro e superiore
a 100.000 euro.
Gli investimenti dovranno essere realizzati dall’impresa successivamente
alla data di presentazione della richiesta di contributo camerale al Confidi
ed essere completati entro il 28 febbraio 2015.
Sul finanziamento, di durata non inferiore a 18 mesi, il Confidi dovra` deliberare una copertura fidejussoria pari almeno al 30% dell’importo dell’investimento ammesso a contributo.
Il contributo camerale sara` pari al 6% dell’investimento effettuato, con un
massimo di 6.000 euro.
Le richieste di contributo camerale dovranno essere presentate ai Confidi
contestualmente alla richiesta di garanzia sul finanziamento entro il 31 dicembre 2014. Sara` compito del Confidi trasmettere all’Ente camerale le
richieste di contributo delle imprese.
(Bando di contributo in conto capitale alle piccole e medie imprese della
provincia di Asti in collaborazione con i consorzi di garanzia fidi - Anno
2014)
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Contributi alle imprese agricole per la redazione
del DVR
La CCIAA di Rovigo ha aperto un bando con contributi dedicati alle imprese agricole per l’adeguamento alla normativa sulla sicurezza e salute
sui luoghi di lavoro di cui al D.Lgs. n. 81/2008.
Nello specifico, saranno finanziate - nella misura del 50%, con un minimo
di 100 euro e un massimo di 400 euro - le spese sostenute per la redazione
dei documenti di valutazione dei rischi (DVR).
Potranno fruire del sostegno camerale le imprese fino a 10 lavoratori, che
esercitano l’attivita` agricola, di cui al codice A 01 della classificazione
ATECO 2007 (comprese le imprese esercenti attivita` di supporto alla produzione vegetale, di cui al codice A01.61), regolarmente iscritte, alla data
di presentazione della domanda, al Registro delle Imprese della Camera di
Commercio, con unita` locale in provincia di Rovigo e in regola, alla stessa
data, con i pagamenti del diritto annuale.
Le domande di contributo dovranno essere trasmesse entro il 30 settembre
2014, salvo chiusura anticipata per esaurimento fondi, tramite una delle
seguenti modalita`:
– via e-mail in formato pdf-a all’indirizzo di posta elettronica certificata
(PEC) [email protected];
– a mezzo posta/corriere o presentate all’ufficio Protocollo della Camera
di Commercio (Piazza G. Garibaldi n. 6, 45100 Rovigo).
(Deliberazione di Giunta Camerale 19 maggio 2014, n. 85: bando DVR
2014)
Finanziamenti
ROVIGO
Scadenza:
30 settembre 2014,
salvo chiusura
anticipata per
esaurimento fondi
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
381
Aprile - Maggio 2014
Norme UNI
Aprile 2014
13.220.50 - Resistenza all’incendio di materiali ed elementi da costruzione
UNI EN 13501-6
Classificazione al fuoco dei prodotti e degli elementi da costruzione - Part 6:
Classificazione in base ai risultati delle prove di reazione al fuoco sui cavi elettrici
EC 1-2014 UNI EN 1364-4
Prove di resistenza al fuoco per elementi non portanti - Parte 4: Facciate continue - Configurazione parziale
Errata corrige 1 del 03/04/2014
alla UNI EN 1364-4:2014
13.320 - Sistemi di allarme e avvertimento
UNI CEI EN 50518-1
Centro di monitoraggio e di ricezione di allarme - Parte 1: Requisiti per il posizionamento e la costruzione
UNI CEI EN 50518-2
Centro di monitoraggio e di ricezione di allarme - Parte 2: Prescrizioni tecniche
UNI CEI EN 50518-3
Centro di monitoraggio e di ricezione di allarme - Parte 3: Procedure e requisiti
per il funzionamento
13.340.10 - Indumenti di protezione [compresi indumenti antifiamma, dispositivi individuali
di galleggiamento (giubbotti di salvataggio)]
UNI 11047
Dispositivi di protezione individuale - Linee guida per la selezione e l’utilizzo di
dispositivi di protezione individuale per incendi boschivi e/o di vegetazione
Norme UNI
23.060.40 - Regolatori di pressione
382
UNI EN 1643
Sistemi di controllo di tenuta per valvole automatiche di sezionamento per bruciatori ed apparecchi a gas
23.140 - Compressori e macchine pneumatiche
UNI EN 12583
Trasporto e distribuzione di gas - Stazioni di compressione - Requisiti funzionali
Maggio 2014
13.220.20 - Protezione al fuoco
EC 1-2014 UNI 11443
Errata corrige 1 del 22/05/2014
alla UNI 11443:2012
Sistemi fissi antincendio - Sistemi di tubazioni - Valvole di intercettazione antincendio
13.220.40 - Infiammabilita` e comportamento al fuoco di materiali e prodotti
Sicurezza dei giocattoli - Parte 2: Infiammabilita`
UNI EN 71-2
13.220.50 - Resistenza all’incendio di materiali ed elementi da costruzione
UNI EN 1994-1-2
Eurocodice 4 - Progettazione delle strutture composte acciaio-calcestruzzo Parte 1-2: Regole generali - Progettazione strutturale contro l’incendio
13.340.30 - Dispositivi di protezione delle vie respiratorie
UNI EN 250
Equipaggiamento per la respirazione - Autorespiratori per uso subacqueo a circuito aperto ad aria compressa - Requisiti, prove, marcatura
UNI EN 12021
Equipaggiamento per la respirazione - Gas compressi per respiratori
23.020.30 - Recipienti a pressione, bombole per gas
UNI EN 13445-3
Recipienti a pressione non esposti a fiamma - Parte 3: Progettazione
UNI EN 15888
Bombole trasportabili per gas - Pacchi bombola - Controlli e prove periodici
53.100 - Macchine per movimento terra (compresi trattori, escavatori, caricatori, livellatrici, ecc.)
EC 1-2014 UNI EN 474-1
Macchine movimento terra - Sicurezza - Parte 1: Requisiti generali
Errata corrige 1 del 08/05/2014
alla UNI EN 474-1:2013
EC 2-2014 UNI EN 474-1
Macchine movimento terra - Sicurezza - Parte 1: Requisiti generali
Errata corrige 2 del 27/05/2014
alla UNI EN 474-1:2013
ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Sommario
Il provvedimento
........................................................................
III
................................................
IV
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VI
Nuove definizioni e norme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Grandezze dosimetriche principali e calcolo delle dosi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Esercente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Ambito sanitario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Livello di esenzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Processo di ottimizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Situazioni di emergenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Radioattivita` naturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Servizi di valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
VII
VII
VIII
VIII
IX
IX
X
X
X
Criteri di recepimento e modifica della norma nazionale . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il futuro esperto qualificato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Esposizione dell’occhio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Livelli di riferimento per il radon . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Nuove regole per i NORM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Ulteriori possibili modifiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
XIII
XV
XVI
XVII
XIX
XXI
Sorveglianza fisica e medica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
XXI
Motivazioni per la nuova Direttiva
La sicurezza secondo l’Euratom
Considerazioni conclusive
............................................................
MILANOFIORI ASSAGO, Strada 1, Palazzo F6, Tel. 02.82476.090
XXIII
Nuove norme europee
sulla radioprotezione
Sandro Sandri - Fisico, Esperto Qualificato in Radioprotezione di grado III
Il provvedimento
Il 17 gennaio 2014 e` stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea una nuova Direttiva comunitaria in materia di protezione dalle radiazioni ionizzanti. La Direttiva e` entrata in vigore il 7 febbraio
2014 e, nel rispetto dei tempi normativi, dovra` essere
recepita nelle legislazioni nazionali europee entro quattro anni, ovvero entro il 6 febbraio 2018.
La Direttiva pubblicata a inizio anno e` la 2013/59/Euratom del Consiglio del 5 dicembre 2013, che stabilisce
norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti, e che abroga contestualmente le Direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 96/29/Euratom,
97/43/Euratom e 2003/122/Euratom.
Si tratta di una Direttiva che raccoglie la innovazioni
normative e tecnologiche degli ultimi dieci anni nel settore della protezione dalle radiazioni ionizzanti e che
dovra` essere considerata ancor prima del suo recepimento nella nostra normativa nazionale, alla stregua
di una norma di buona tecnica.
La Direttiva contiene la nuova filosofia dettata dall’ICRP, l’autorevole International Commission on Radiological Protection, con le raccomandazioni del
2007, contenute nella pubblicazione n. 103 della Commissione. Sono accettate integralmente le posizioni tecniche e l’approccio dell’ICRP distinguendo tra situazioni di esposizione esistenti (come per le radiazioni
di origine naturale), pianificate (come nei progetti di
nuove installazioni) e di emergenza (come quelle che
si verificano nel caso di incidenti presso impianti nucleari). La nuova Direttiva contempla insomma, ancor
piu` che in passato, tutte le situazioni di esposizione e
tutte le categorie di esposizione, vale a dire l’esposizione professionale e della popolazione e le esposizioni
mediche. Alcune importanti raccomandazioni operative
influenzeranno fin da subito il settore della sicurezza,
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
dove si sara` costretti a tenere conto della nuova regolamentazione europea almeno ai fini dell’ottimizzazione.
Per comprendere quale sara` l’impatto di queste novita`
nei settori operativi e` sufficiente citare due esempi, il
nuovo limite per la dose all’occhio, ridotto di oltre 7
volte, e la limitazione della concentrazione di gas radon nelle abitazioni civili, introdotta per la prima volta
in una norma europea. Gli operatori del settore sanitario non potranno pertanto ignorare la necessita` di proteggere in modo piu` efficace gli occhi di chi impiega
sistemi di scopia a raggi X (ad es. in chirurgia interventistica), mentre gli imprenditori del settore edilizio dovranno adottare in modo sistematico soluzioni finalizzate a contenere la diffusione del radon nelle abitazioni.
Dal punto di vista strutturale la nuova Direttiva e` introdotta da 54 considerazioni preliminari (i cosiddetti
«considerando») e si articola in 10 Capi, 109 articoli
e 19 Allegati.
Trattando le esposizioni esistenti e pianificate, con gli
aspetti di esposizione normale o potenziale, nonche´ le
esposizioni di emergenza, la Direttiva regolamenta i seguenti aspetti principali:
– i materiali radioattivi,
– le apparecchiature elettriche (con componenti con
differenza di potenziale superiore a 5kV),
– le attivita` umane implicanti la presenza di sorgenti
naturali,
– l’esposizione dei lavoratori e della popolazione al radon sia in ambiente lavorativo sia in ambiente residenziale,
– l’esposizione esterna ai materiali da costruzione,
– le esposizioni di emergenza volte a tutelare la salute
della popolazione o dei lavoratori,
– la protezione dei lavoratori,
– la sorveglianza medica.
La direttiva europea e` un atto normativo che obbliga gli
Stati membri dell’Unione Europea a realizzare determiIII
nati obiettivi, lasciando loro un margine nella scelta dei
mezzi per farlo. In particolare, salvo indicazione specifica nelle norme, non preclude agli Stati membri destinatari la possibilita` di prevedere misure di protezione
piu` rigorose. Affinche´ i principi enunciati nella direttiva trovino applicazione concreta nei confronti dei cittadini, il legislatore nazionale deve approvare uno o piu`
atti che recepiscano la direttiva nel diritto interno dello
Stato membro, ossia adattino la legislazione nazionale
in modo da realizzare gli obiettivi definiti nella direttiva.
Le direttive europee dedicate alla protezione di lavoratori e popolazione dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti traggono la loro origine dall’art. 2, lett. b),
del Trattato Euratom che prevede la definizione di norme di sicurezza uniformi per la protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori. L’art. 30 dello stesso
Trattato Euratom definisce quindi «norme fondamentali» relative alla protezione sanitaria della popolazione e
dei lavoratori contro i pericoli derivanti dalle radiazioni
ionizzanti. Queste specifiche norme sono state fissate
dalla Comunita` per la prima volta nel 1959, mediante
le direttive del 2 febbraio 1959 che fissavano le norme
fondamentali relative alla protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i pericoli derivanti
dalle radiazioni ionizzanti . Le direttive in questo ambito sono state rivedute piu` volte, da ultimo (prima della
2013/59) con la Direttiva 96/29/Euratom del Consiglio,
che ha abrogato le precedenti direttive. La Direttiva 96/
29/Euratom stabiliva norme fondamentali di sicurezza
e le sue disposizioni si applicavano alle situazioni normali e di emergenza, sono state poi integrate da norme
piu` specifiche. In particolare le direttive del Consiglio
97/43/Euratom, 89/618/Euratom, 90/641/Euratom e
2003/122/Euratom che disciplinano aspetti specifici sono collegate alla 96/29.
Recentemente la pubblicazione delle ultime raccomandazioni generali della Commissione internazionale per
la protezione radiologica (ICRP), in particolare quelle
contenute nella pubblicazione n. 103 dell’ICRP, ha
messo in evidenza la necessita` di rivedere il corpo di
direttive europee dedicate alla protezione dalle radiazioni ionizzanti, anche alla luce delle nuove acquisizioni scientifiche e dell’esperienza operativa recente.
Le disposizioni della presente Direttiva 2013/59 adottano appunto l’approccio orientato alle situazioni introdotto dalla pubblicazione n. 103 dell’ICRP e distinguono pertanto tra situazioni di esposizione esistenti, pianificate e di emergenza. Tenendo conto di questo nuovo
quadro, e` stato deciso di sviluppare la nuova Direttiva
in modo che contempli tutte le situazioni di esposizione
e tutte le categorie di esposizione, vale a dire l’esposizione professionale e della popolazione e le esposizioni
mediche. Per esposizioni mediche si intendono quelle
subite dai pazienti sottoposti a trattamenti diagnostici
o terapeutici con impiego di radiazioni ionizzanti.
Motivazioni per la nuova
Direttiva
Le motivazioni della Commissione Europea alla base
della nuova Direttiva consentono di comprendere in cosa si ritiene sia necessario modificare le normative degli
Stati membri (v. Tabella 1).
La Commissione ha innanzitutto ribadito che l’esposizione alle radiazioni ionizzanti e` nociva per la salute e
che sebbene in situazioni normali le dosi siano estremamente basse e non si verificano effetti clinicamente
osservabili sui tessuti, sono tuttavia possibili effetti
tardivi, in particolare l’insorgenza di tumori. Rimane
ancora valido l’assunto fondamentale della radioprotezione secondo il quale si presume che, per questo ultimo effetto, non esista una dose soglia: qualsiasi forma di esposizione, per quanto limitata, puo` provocare
un tumore in uno stadio successivo della vita. Si presume inoltre che la probabilita` dell’insorgenza di un
effetto tardivo sia proporzionale alla dose. L’approccio specifico alla protezione dalle radiazioni continua
cosı` ad essere basato sui tre principi della giustificazione, dell’ottimizzazione e della limitazione della dose, che sono i pilastri del sistema di radioprotezione da
diversi decenni. Ora la ICRP con la raccomandazione
103 definisce piu` nel dettaglio l’applicazione dei principi in qualsiasi situazione di esposizione, indipendentemente dal fatto che la sorgente di radiazioni sia artificiale o naturale. La protezione radiologica non interessa soltanto le esposizioni dovute all’uso di sorgenti
di radiazioni (situazioni di esposizione pianificate),
bensı` anche le situazioni di esposizione di emergenza,
per esempio dovute a un incidente nucleare, nonche´
una serie di altre situazioni, in particolare quelle che
comportano un’esposizione a sorgenti di radiazioni
naturali, denominate «situazioni di esposizione esistenti».
La Commissione europea, nel valutare la necessita` di
proporre la nuova Direttiva, ha inoltre tenuto conto
del fatto che l’ICRP abbia aggiornato la metodologia
per la valutazione della dose efficace oltre che i limiti
di dose, alla luce delle piu` recenti informazioni scientifiche.
I materiali radioattivi presenti in natura (NORM) sono
lavorati da un buon numero di operatori che sono cosı`
esposti a dosi superiori al limite fissato per la popolazione, ma non beneficiano della protezione di cui godono invece i lavoratori esposti nell’esercizio della
professione. La commissione ha ritenuto che questa
anomalia sia da correggere anche nella normativa europea seguendo le nuove raccomandazioni che inte-
Tabella 1 - Principali motivi per la nuova Direttiva
Tenere conto delle nuove raccomandazioni della pubblicazione n. 103 dell’ICRP, ove si distinguono situazioni di esposizione esistenti, pianificate e di emergenza.
Devono essere contemplate tutte le situazioni e tutte le categorie di esposizione: l’esposizione professionale e della
popolazione e le esposizioni mediche.
(segue)
IV
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
(continua)
Gli attuali limiti annuali di dose efficace per l’esposizione professionale e della popolazione devono essere confermati.
Non dovrebbe essere ulteriormente necessario stabilire una media nell’arco di cinque anni.
Le nuove informazioni scientifiche sulle reazioni a livello tissutale rendono indispensabile applicare il principio dell’ottimizzazione anche alle dosi equivalenti, e fare riferimento ai nuovi orientamenti dell’ICRP sul limite di dose equivalente
per il cristallino nell’esposizione professionale.
La protezione dalle sorgenti di radiazioni naturali, va interamente integrata nelle disposizioni generali. In particolare, le
industrie che lavorano materiali contenenti radionuclidi presenti in natura dovrebbero rientrare nella regolamentazione delle altre pratiche.
E` opportuno che la direttiva stabilisca livelli di riferimento per le concentrazioni di radon in ambienti chiusi e per le
radiazioni gamma in ambienti chiusi emessi da materiali da costruzione ed introduca requisiti in materia di riciclaggio
nei materiali da costruzione di residui delle industrie che lavorano materiali contenenti radionuclidi presenti in natura.
I materiali da costruzione che emettono radiazioni gamma dovrebbero anche essere considerati prodotti da costruzione ai sensi del regolamento (UE) n. 305/2011 sulle opere di costruzione che emettono sostanze o radiazioni pericolose.
All’immissione sul mercato dei prodotti devono essere rese pubbliche le pertinenti informazioni. Permane il diritto
degli Stati membri di specificare requisiti delle informazioni per assicurare la radioprotezione.
Recenti risultati epidemiologici dimostrano un aumento statisticamente significativo del rischio di carcinoma polmonare correlato all’esposizione prolungata al radon in ambienti chiusi a livelli dell’ordine di 100 Bq m–3.
Sono necessari piani d’azione nazionali per far fronte ai rischi di lungo termine derivanti dall’esposizione al radon. E`
riconosciuto che la combinazione di consumo di tabacco ed elevata esposizione al radon comporta un rischio individuale piu` elevato rispetto ai due fattori separatamente.
Il caso in cui il radon penetri dal suolo nei luoghi di lavoro in ambienti chiusi, si considera situazione di esposizione
esistente dato che la presenza di radon e` in larga misura indipendente dalle attivita` umane ivi svolte.
L’esposizione del personale navigante alle radiazioni cosmiche dovrebbe essere gestita nell’ambito delle situazioni di
esposizione pianificate. In caso di superamento dei limiti di dose, deve essere gestita come un’esposizione soggetta
ad autorizzazione speciale.
Nel settore medico, importanti sviluppi tecnologici e scientifici hanno determinato un incremento dell’esposizione dei
pazienti. La direttiva deve evidenziare la necessita` di giustificare le esposizioni mediche, compresa l’esposizione di soggetti asintomatici, e rafforzare i requisiti riguardanti le informazioni da fornire ai pazienti, la registrazione e la comunicazione delle dosi dovute alle procedure mediche, l’adozione di livelli di riferimento diagnostici e di dispositivi che
segnalino la dose.
Le esposizioni mediche accidentali e involontarie rappresentano una fonte di continua preoccupazione, e` necessario
rendere obbligatorie la registrazione, la comunicazione, l’analisi e le azioni correttive.
Nella pratica veterinaria l’uso delle radiazioni ionizzanti per immagini a scopo medico e` in aumento. Esiste per gli animali piu` grandi o per la somministrazione di radiofarmaci, un notevole rischio di elevata esposizione professionale e
degli accompagnatori. Cio` richiede un’adeguata informazione nonche´ la formazione dei veterinari e del relativo personale.
Le esposizioni cosiddette «medico-legali» sono oggi individuate come «esposizioni a metodiche per immagini a scopo
non medico». Tali pratiche vanno sottoposte a un controllo regolamentare adeguato e giustificate al pari delle esposizioni mediche. Approccio diverso per le procedure che utilizzano attrezzature medico-radiologiche e per le procedure che non utilizzano tali attrezzature. E` opportuno applicare i limiti annuali delle dosi e i corrispondenti vincoli per
l’esposizione della popolazione.
I lavoratori esterni beneficino di una protezione identica a quella accordata ai lavoratori esposti alle dipendenze di un
esercente.
Per la gestione delle esposizioni di emergenza, e` opportuno sostituire l’approccio attuale, basato sui livelli di intervento, con un sistema piu` completo che preveda una valutazione delle potenziali situazioni di esposizione di emergenza, un
sistema globale di gestione delle emergenze, piani di intervento in caso di emergenza e strategie prepianificate per la
gestione di ciascun evento ipotizzato.
Occorre chiarire ruoli e responsabilita` dei servizi e degli esperti nazionali che contribuiscono a garantire che gli aspetti
tecnici e pratici della radioprotezione siano gestiti con un elevato livello di competenza. Si distinguano chiaramente i
diversi ruoli e responsabilita` senza ostare a che le strutture nazionali consentano il raggruppamento delle responsabilita`
o l’attribuzione di responsabilita` per determinati compiti tecnici e pratici in materia di radioprotezione a esperti specifici.
Si introducano precisi requisiti per le autorizzazioni e il controllo degli scarichi. La comunicazione all’autorita` dei dati
sugli scarichi dalle centrali nucleari e dagli impianti di ritrattamento dovrebbe basarsi su informazioni standard.
Occorre prendere misure per prevenire la fusione accidentale di sorgenti orfane e per garantire che i metalli emessi da
impianti nucleari, per esempio durante la loro demolizione, siano conformi ai criteri per l’allontanamento.
Occorre estendere la direttiva 2003/122/ Euratom per includere tutte le sorgenti radioattive. In seguito a problemi con
le sorgenti orfane e con metalli contaminati importati da paesi terzi ... occorre introdurre la notifica di incidenti con
sorgenti orfane o la contaminazione dei metalli.
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
V
grano le sorgenti di radiazioni naturali nel sistema generale. In effetti gia` nel 1996, la legislazione Euratom
attualmente in vigore aveva introdotto prescrizioni per
le attivita` lavorative che comportano un’esposizione a
sorgenti di radiazioni naturali. Tali prescrizioni erano
state tuttavia raggruppate in un titolo distinto anziche´
essere integrate nel quadro generale sulla protezione
dalle radiazioni. Inoltre, era stata offerta agli Stati
membri la massima flessibilita` nello stabilire, per
esempio, i settori NORM da considerare preoccupanti.
Questo ha comportato notevoli differenze nel controllo delle industrie NORM e nella protezione dei lavoratori da esse impiegati, determinando una situazione
non compatibile con il ruolo di uniformatore svolto
dall’Euratom.
Anche l’esposizione al radon in ambienti chiusi e` stata
riconsiderata dall’ICRP in quanto ritenuta di gran lunga
piu` importante rispetto all’esposizione da qualsiasi altra
sorgente di radiazioni. La Commissione Europea ritiene
quindi che anche la normativa di protezione rispetto a
questo gas nobile radioattivo presente in natura che penetra nelle abitazioni dal suolo debba essere aggiornata.
Recenti studi epidemiologici hanno in effetti confermato che il cancro dei polmoni potrebbe essere provocato
anche dall’esposizione al radon e l’OMS (Organizzazione Mondiale per la Sanita`) classifica questo gas naturale tra i principali elementi problematici per la salute. Il problema dell’esposizione al radon nelle abitazioni e` stato affrontato dall’ICRP fin dal 1990, ma la conferma che questa provoca il cancro ai polmoni sottolinea l’importanza di rafforzare le politiche di mitigazione di questo gas naturale in Europa attraverso disposizioni vincolanti.
Un significativo corpus di normative Euratom disciplina vari aspetti correlati alla protezione dalle radiazioni;
nel Trattato Euratom tali disposizioni sono definite
«norme fondamentali di sicurezza». Poiche´ queste norme sono state elaborate in un arco temporale piuttosto
ampio, e` inevitabile che si siano prodotte alcune incoerenze tra i vari atti legislativi e che l’aggiornamento
della legislazione abbia reso obsoleti alcuni riferimenti.
Occorre rimediare a tali incoerenze, in linea con la politica di semplificazione della legislazione europea
adottata dalla Commissione.
In pratica le esigenze di aggiornamento possono essere
cosı` sintetizzate:
1) l’attuale legislazione non rispecchia pienamente i
progressi scientifici;
2) vi sono incoerenze tra le varie norme in vigore;
3) il campo di applicazione della legislazione attuale
non copre integralmente la protezione dell’ambiente o
tutte le sorgenti di radiazioni naturali.
Pertanto e` stato necessario:
– introdurre modifiche ai testi per garantire la corrispondenza con le piu` recenti informazioni scientifiche
e con l’esperienza operativa piu` attuale;
– chiarire i requisiti e garantire coerenza all’interno
della legislazione europea;
– assicurare la coerenza con le raccomandazioni internazionali;
– considerare l’intera gamma delle situazioni di esposizione e delle categorie di esposizione.
VI
La sicurezza secondo l’Euratom
L’Euratom e` un’organizzazione internazionale istituita,
contemporaneamente alla CEE, con i Trattati di Roma
del 25 marzo 1957 allo scopo di coordinare i programmi di ricerca degli stati membri relativi all’energia nucleare e assicurare un uso pacifico della stessa. La denominazione ufficiale dell’Euratom e` Comunita` europea dell’energia atomica (CEEA), la cui durata e` illimitata, ed e` totalmente integrata nella CEE e quindi, attualmente, nell’Unione Europea (con l’entrata in vigore
del Trattato di Maastricht la CEEA ha formato insieme
a CEE e CECA uno dei «tre pilastri» dell’Unione europea).
Dopo l’entrata in vigore del Trattato Euratom nel 57 e`
stato emanato, in forza dell’art. 31 del trattato stesso,
un insieme esaustivo di atti legislativi che stabiliscono
norme fondamentali in materia di sicurezza. Il principale pilastro di tale legislazione e` rappresentato ancora
oggi dalla Direttiva 96/29/Euratom del Consiglio, che
stabilisce le norme fondamentali di sicurezza relative
alla protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti (Direttiva Euratom BSS, Basic Safety Standard). Tra
gli altri atti emanati sulla base dell’articolo 31 del trattato Euratom si annoverano quelli riportati nel seguito:
– Decisione 87/600/Euratom del Consiglio, del 14 dicembre 1987, concernente le modalita` comunitarie di
uno scambio rapido d’informazioni in caso di emergenza radioattiva;
– Regolamento (Euratom) n. 3954/87 del Consiglio,
del 22 dicembre 1987, che fissa i livelli massimi ammissibili di radioattivita` per i prodotti alimentari e per
gli alimenti per animali in caso di livelli anormali di radioattivita` a seguito di un incidente nucleare o in qualsiasi altro caso di emergenza radioattiva;
– il Regolamento (Euratom) n. 944/89 della Commissione, del 12 aprile 1989, che fissa i livelli massimi ammissibili di contaminazione radioattiva per i prodotti
alimentari secondari a seguito di un incidente nucleare
o di qualsiasi altro caso di emergenza radioattiva;
– il Regolamento (Euratom) n. 770/90 della Commissione, del 29 marzo 1990, che fissa i livelli massimi
di radioattivita` ammessi negli alimenti per animali contaminati a seguito di incidenti nucleari o di altri casi di
emergenza da radiazione;
– Direttiva 89/618/Euratom del Consiglio, del 27 novembre 1989, concernente l’informazione della popolazione sui provvedimenti di protezione sanitaria applicabili e sul comportamento da adottare in caso di emergenza radioattiva (Direttiva sull’informazione della popolazione);
– Raccomandazione 90/143/Euratom della Commissione, del 21 febbraio 1990, sulla tutela della popolazione
contro l’esposizione al radon in ambienti chiusi;
– Direttiva 90/641/Euratom del Consiglio, del 4 dicembre 1990, concernente la protezione operativa dei lavoratori esterni esposti al rischio di radiazioni ionizzanti
nel corso del loro intervento in zona controllata (Direttiva sui lavoratori esterni);
– Regolamento (Euratom) n. 1493/93del Consiglio,
dell’8 giugno 1993, sulle spedizioni di sostanze radioattive tra gli Stati membri;
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
– Direttiva 97/43/Euratom del Consiglio, del 30 giugno
1997, riguardante la protezione sanitaria delle persone
contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse a
esposizioni mediche e che abroga la Direttiva 84/466/
Euratom, del 3 settembre 1984 (Direttiva sulle esposizioni mediche);
– Raccomandazione 2001/928/Euratom della Commissione, del 20 dicembre 2001, sulla tutela della popolazione contro l’esposizione al radon nell’acqua potabile;
– Direttiva 2003/122/Euratom del Consiglio, del 22 dicembre 2003, sul controllo delle sorgenti radioattive sigillate ad alta attivita` e delle sorgenti orfane (Direttiva
HASS, High-Activity Sealed Radioactive Sources);
– Direttiva 2006/117/Euratom del Consiglio, del 20 novembre 2006, relativa alla sorveglianza e al controllo
delle spedizioni di rifiuti radioattivi e di combustibile
nucleare esaurito;
– Direttiva 2009/71/Euratom del Consiglio, del 25 giugno 2009, che istituisce un quadro comunitario per la
sicurezza nucleare degli impianti nucleari.
La Direttiva BSS dell’Euratom e` stata periodicamente
aggiornata nel 1962, 1966, 1976, 1980, 1984 e nel
1996, tenendo conto delle nuove conoscenze scientifiche in materia di effetti delle radiazioni ionizzanti, in
linea con le raccomandazioni dell’ICRP e sulla base
dell’esperienza operativa. Le esposizioni mediche hanno cominciato a essere inserite nella legislazione specifica a partire dal 1984. Gli aspetti specifici sono disciplinati da tre cosiddette ‘‘direttive associate’’:
1) la Direttiva sul controllo delle sorgenti radioattive sigillate ad alta attivita` (Direttiva HASS),
2) la Direttiva sui lavoratori esterni e
3) la Direttiva sull’informazione della popolazione.
Queste sono a loro volta strettamente correlate alla Direttiva 96/29/Euratom, poiche´ sviluppano ulteriormente
le disposizioni di tale Direttiva o fanno riferimento a
varie disposizioni della stessa. Per questo motivo la
proposta di nuova Direttiva sulle norme fondamentali
di sicurezza comprende anche l’oggetto e l’ambito di
applicazione di tali direttive.
La Commissione ha inoltre proposto separatamente una
direttiva per fissare requisiti in materia di tutela della
salute dei cittadini dagli effetti nocivi delle sostanze radioattive presenti nelle acque destinate al consumo
umano. Tale Direttiva 2013/51/Euratom del Consiglio
del 22 ottobre 2013 ha sostituito la precedente Direttiva
98/83/CE per quanto riguarda la sua applicazione alle
sostanze radioattive e la integra con allegati tecnici sulle frequenze di campionamento, i metodi di analisi e i
livelli di rilevamento.
L’oggetto della Direttiva 2013/59 e` tale che, al momento opportuno, potrebbe essere ulteriormente inglobato
con le norme fondamentali di sicurezza. In questa fase,
tuttavia, poiche´ lo scopo della Direttiva e` esclusivamente quello di recepire le disposizioni vigenti nell’ambito della legislazione del Trattato CE, in modo
da evitare interpretazioni in relazione a un’eventuale
modifica sostanziale, si e` ritenuto piu` appropriato non
includere ulteriori aspetti in una proposta per una revisione della Direttiva BSS. Inoltre, all’epoca in cui il
gruppo di esperti di cui all’art. 31 ha formulato il proprio parere sulla revisione della Direttiva BSS, si discuteva ancora se una direttiva sulle sostanze radioattive
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
nelle acque destinate al consumo umano dovesse essere
fondata sul Trattato Euratom o sul Trattato CE. In tali
circostanze si e` preferito procedere con la proposta di
revisione della Direttiva BSS, come concordato nel
febbraio 2010 dal gruppo di esperti di cui all’art. 31.
La restante legislazione fondata sull’art. 31 del Trattato
Euratom, utilizza uno strumento diverso oppure presenta un campo di applicazione sostanzialmente al di fuori
della protezione dalle radiazioni o ancora riguarda nello
specifico determinati tipi di impianti.
Nuove definizioni e norme
Grandezze dosimetriche principali
e calcolo delle dosi
La nuova Direttiva ha sicuramente il merito di raccogliere nel Capo II, all’art. 4, un gran numero di definizioni che dovrebbero portare chiarezza nella lettura e
nell’interpretazione di buona parte delle norme contenute. All’art. 4 sono riportate ben 99 definizioni che riguardano diversi aspetti, da quelli strettamente organizzativi, come la definizione di «esercente», a quelli piu`
squisitamente tecnici, come la «dose assorbita». Le definizioni all’art. 4 non hanno forse un ordine di presentazione molto chiaro e comodo per la sua classificazione ma sono praticamente esaustive, compatibilmente
con l’esigenza di leggibilita` che richiede una limitazione dell’elenco.
Sono sempre presenti le definizioni delle grandezze dosimetriche principali. Compaiono cosı` le dosi assorbita,
equivalente ed efficace, e sono incluse anche le corrispondenti grandezze «impegnate». Inoltre e` ancora definita l’attivita`. Nelle definizioni sono riportate ogni
volta le unita` di misura che hanno anche definizioni
specifiche. In queste grandezze non vi sono modifiche
rispetto a quanto gia` riportato nelle direttive precedenti
e recepito nella nostra normativa. Questa volta la Direttiva si spinge pero` un po’ piu` avanti nel definire gli
aspetti tecnici introducendo addirittura il concetto di
«radiazione ionizzante» in maniera molto precisa, come
«l’energia trasferita in forma di particelle o onde elettromagnetiche pari ad una lunghezza d’onda di 100 nanometri o meno (a una frequenza uguale a o maggiore
di 361015 Hertz) in grado di produrre ioni direttamente o indirettamente.»
Sono anche specificati in qualche modo i riferimenti
per il calcolo delle dosi con la definizione seguente:
«valori e rapporti standard: i valori e rapporti raccomandati nei capi 4 e 5 della pubblicazione n. 116 dell’ICRP per la stima delle dosi derivanti da esposizione
esterna e nel capo 1 della pubblicazione n. 119 dell’ICRP per la stima delle dosi derivanti da esposizione
interna, inclusi gli aggiornamenti approvati dagli Stati
membri. Gli Stati membri possono approvare l’uso di
metodi specifici in determinati casi in relazione alle
proprieta` fisico-chimiche del radionuclide o ad altre caratteristiche della situazione di esposizione o della persona esposta.»
Il richiamo e` preciso e risolve molti interrogativi ovvero obbliga a far riferimento a documenti ben definiti,
sebbene autorevoli. Rimane un certo margine nel recepimento operato dai singoli stati membri che potrebbe
VII
essere sfruttato per riempire eventuali carenze negli
elenchi di coefficienti riportati nelle pubblicazioni
ICRP.
Esercente
Una definizione che dovrebbe portare a una maggior
chiarezza nell’interpretazione delle norme e` probabilmente quella di «esercente». In merito la nuova Direttiva all’art. 4 recita: «esercente: una persona fisica o
giuridica che, ai sensi della legislazione nazionale, e`
giuridicamente responsabile dello svolgimento di una
pratica, o di una sorgente di radiazioni (compresi i casi
in cui il proprietario o il detentore di una sorgente di
radiazioni non svolge attivita` umane correlate).»
Si tratta in qualche modo della definizione che in precedenza riguardava il «datore di lavoro», mentre il termine esercente riguardava piuttosto la responsabilita` relativa alla gestione di un’installazione. Con il termine
«pratica» si intende invece anche la responsabilita` relativa ai lavoratori e la figura diventa completamente assimilabile a quella del datore di lavoro. Nella Direttiva
si dice comunque esplicitamente che: «La definizione
del termine «esercente» nella presente direttiva e il
suo utilizzo nel contesto della protezione della salute
dei lavoratori contro le radiazioni ionizzanti non pregiudicano gli ordinamenti giuridici e l’attribuzione di
responsabilita` al datore di lavoro introdotti nella legislazione nazionale che recepisce la direttiva 89/391/
CEE del Consiglio.»
Facendo riferimento alla situazione italiana si salvaguarderebbe in pratica la definizione di datore di lavoro
presente nel D.Lgs 9 aprile 2008, n. 81 ai fini della sicurezza nei luoghi di lavoro. La medesima definizione,
presente attualmente in forma implicita nel D.Lgs. n.
230/1995 e s.m.i., sarebbe invece da rivedere al momento del recepimento nella nostra normativa.
Ambito sanitario
Alcune definizioni sono poi specifiche per le applicazioni di fisica medica o anche di radiologia medica.
In particolare si nota la definizione seguente: «livelli
diagnostici di riferimento: i livelli di dose nelle pratiche
radiodiagnostiche mediche o nelle pratiche di radiologia interventistica o, nel caso dei radiofarmaci, i livelli
di attivita`, per esami tipici per gruppi di pazienti di corporatura standard o fantocci standard per tipi di attrezzatura ampiamente definiti;» che riprende un concetto
gia` noto ma lo formalizza in maniera piu` precisa.
Mentre le definizioni seguenti sono specifiche dell’ambito clinico:
«– verifica clinica: l’esame sistematico o il riesame di
procedure medico-radiologiche finalizzate al miglioramento della qualita` e del risultato delle cure somministrate al paziente mediante un controllo strutturato,
per cui le pratiche medico-radiologiche, i procedimenti
e i risultati sono esaminati in base agli standard convenuti per procedure medico-radiologiche di buon livello,
modificando le pratiche, se del caso, e applicando nuovi standard se necessario;
– responsabilita` clinica: la responsabilita` riguardo a
esposizioni mediche individuali attribuita a un medico
specialista, segnatamente: giustificazione, ottimizzazione, valutazione clinica del risultato, cooperazione con
VIII
altri specialisti e con il personale, se del caso, riguardo
ad aspetti pratici delle procedure di esposizione medico-radiologica, reperimento di informazioni, se del caso, su esami precedenti, trasmissione di informazioni
medico-radiologiche esistenti e/o di documenti ad altri
medici specialisti e/o prescriventi, come richiesto, e informazione dei pazienti e delle altre persone interessate, se del caso, circa i rischi delle radiazioni ionizzanti.»
Definiscono funzioni e responsabilita` in ambito medico
che sono poi attribuite a specifiche figure professionali.
Sono definizioni fondamentali ai fini della chiarezza e
della precisa attribuzione di responsabilita`, aspetto quest’ultimo squisitamente giuridico e quindi di grande rilievo all’interno della Direttiva che diventera` poi legge
degli Stati.
Nella nuova Direttiva assume grande rilievo una pratica
che si svolge in ambito sanitario, definita nel modo seguente: «radiologia interventistica: l’impiego di tecniche per immagini a raggi X per introdurre e guidare
piu` facilmente nell’organismo dispositivi a fini diagnostici o terapeutici.»
Questo impiego diagnostico di radiazioni ionizzanti e`
divenuto sempre piu` rilevante ai fini della protezione
dei lavoratori in quanto costituisce probabilmente la
pratica nella quale gli operatori sono esposti alle dosi
piu` elevate tra quelle possibili nel settore ospedaliero.
Proprio la consuetudine della radiologia interventistica
ha orientato l’attenzione sulla maggiore incidenza della
cataratta tra gli operatori clinici e ha condotto alla principale novita` della nuova Direttiva, la riduzione del limite di dose per il cristallino, della quale si trattera` piu`
dettagliatamente nel seguito.
Nel medesimo ambito sono inoltre presenti le seguenti
definizioni:
«– assistenti e accompagnatori: le persone che coscientemente e intenzionalmente si espongono, al di fuori
della loro occupazione, a radiazioni ionizzanti per assistere e confortare persone sottoposte o costrette a sottoporsi a esposizioni mediche;
– screening sanitario: un procedimento che impiega
impianti medico-radiologici per la diagnosi precoce
nei gruppi di popolazione a rischio;
– esposizione medica: l’esposizione di pazienti o individui asintomatici, nell’ambito di una procedura diagnostica o di una terapia medica o dentistica, volta ad
assicurarne la salute, oltre che l’esposizione di assistenti e accompagnatori, nonche´ di volontari nel campo della ricerca medica o biomedica;
– impianto medico-radiologico: l’impianto in cui vengono attuate procedure medico-radiologiche;
– procedura medico-radiologica: qualsiasi procedura
che comporti un’esposizione medica;
– aspetti pratici delle procedure medico-radiologiche:
le operazioni materiali connesse a un’esposizione medica e qualsiasi altro aspetto correlato, compresi la manipolazione e l’impiego di attrezzature medico-radiologiche, la valutazione di parametri tecnici e fisici, comprese le dosi di radiazione, la calibrazione e la manutenzione delle attrezzature, la preparazione e la somministrazione di radiofarmaci, nonche´ l’elaborazione di
immagini;
– radiodiagnostico: attinente alla medicina nucleare
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
diagnostica in vivo, alla radiologia diagnostica medica
con radiazioni ionizzanti e alla radiologia odontoiatrica;
– radioterapeutico: attinente alla radioterapia, compresa
la medicina nucleare a scopi terapeutici.»
Le figure professionali identificate dalla Direttiva per
operare nel settore medico sono definite sia per gli
aspetti fisici sia per quelli medici e sono in particolare:
«– specialista in fisica medica: la persona o, se previsto
dalla legislazione nazionale, il gruppo di persone che
possiede le cognizioni, la formazione e l’esperienza necessarie a operare o a esprimere pareri su questioni riguardanti la fisica delle radiazioni applicata alle esposizioni mediche e la cui competenza al riguardo e` riconosciuta dall’autorita` competente;
– medico-radiologico: attinente alle procedure di radiodiagnostica e radioterapia nonche´ alla radiologia interventistica o ad altro uso medico delle radiazioni ionizzanti a scopi di pianificazione, di guida e di verifica;
– medico specialista: il medico, odontoiatra o altro
operatore sanitario autorizzato ad assumere la responsabilita` clinica delle esposizioni mediche individuali in
conformita` con le prescrizioni nazionali;
– prescrivente: il medico, odontoiatra o altro operatore
sanitario autorizzato a indirizzare persone presso un
medico specialista a fini di procedure medico-radiologiche in conformita` con le prescrizioni nazionali.»
Dalle precedenti definizioni si evince che lo «specialista in fisica medica» puo` anche essere costituito da un
gruppo di persone. Questo per salvaguardare le soluzioni adottate in alcuni stati membri. In Italia la funzione
dovrebbe continuare ad essere associata a un singolo
professionista.
Livello di esenzione
La definizione di «livello di esenzione» e` particolarmente interessante perche´ consente un ambito molto
ampio di intervento da parte di un’autorita` competente.
Questa puo` infatti indicare «una concentrazione di attivita` o un’attivita` totale, in corrispondenza o al di sotto
della quale una sorgente di radiazione non e` soggetta
all’obbligo di notifica o autorizzazione.» Si lascia, cioe`,
al recepimento della Direttiva la possibilita` di delegare
ad un organismo la semplificazione di processi autorizzativi con conseguenze difficilmente prevedibili a priori, che potrebbero pero` costituire una novita` assoluta.
Attualmente, infatti, i valori limite dei parametri in corrispondenza del quale e` necessario produrre comunicazioni o notifiche o ottenere delle autorizzazioni e` riportato negli allegati di legge e` non e` definita un’autorita`
competente che possa modificarli.
La medesima autorita` (o eventualmente un’altra definita in modo specifico) potrebbe rivedere i «livelli di allontanamento». Si tratta in questo caso di «valori
espressi in termini di concentrazioni di attivita` ai quali,
o al di sotto dei quali, i materiali derivanti da qualsiasi
pratica soggetta al requisito di notifica o autorizzazione
possono essere esentati dalle prescrizioni della direttiva
e quindi della legge che la recepisce.»
La stessa «autorita` competente» e` comunque definita a
sua volta dalla Direttiva come «un’autorita` o un sistema
di autorita` alle quali gli Stati membri hanno conferito la
competenza giuridica ai fini della direttiva» e della legge di recepimento.
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Nel nostro Paese non e` mai stata definita un’autorita`
con queste prerogative e nel caso lo fosse si auspica
che i suoi poteri siano molto ben definiti in modo da
garantire un atteggiamento uniforme verso i diversi
esercenti. Talvolta una tale prerogativa da parte di
un organo di controllo potrebbe pero` essere utile per
superare situazioni oggettivamente troppo limitanti
che potrebbero comportare l’insorgere di eventi di rischio.
Processo di ottimizzazione
Il processo di ottimizzazione e` un aspetto fondamentale
nella progettazione dei nuovi impianti e nella realizzazione di modifiche degli stessi. In esercizio si puo` infatti intervenire sulle procedure ma difficilmente possono
essere modificate le strutture. Secondo la radioprotezione ottimizzare vuol dire ridurre le dosi a parita` di efficacia della metodica che impiega le radiazioni e che e`
la causa dell’esposizione dei lavoratori. La nuova Direttiva indica pertanto la necessita` di adottare il «vincolo di dose» che e` definito in modo univoco per le esposizioni pianificate e quindi proprio nella fase di progettazione.
«Il vincolo e` fissato come margine superiore potenziale
di una dose individuale, usato per definire la gamma di
opzioni considerate nel processo di ottimizzazione per
una data sorgente di radiazioni in una situazione di
esposizione pianificata.» Diventa insomma formale il
processo secondo il quale gia` oggi molti professionisti
individuano un fattore di progetto da rispettare per contenere i valori previsti al di sotto dei limiti di legge.
I limiti sono infatti definiti in modo indipendente con la
declaratoria seguente:
«limite di dose: il valore della dose efficace (se del caso, dose efficace impegnata) o della dose equivalente in
un periodo di tempo specificato che non e` superato nel
singolo individuo.»
In altre parole potrebbe diventare formalmente obbligatorio introdurre nelle relazioni preliminari di radioprotezione dei limiti progettuali, inferiori ai limiti di legge.
Questo potrebbe comportare una riduzione effettiva
dell’esposizione dei lavoratori ma, d’altra parte se il
processo di ottimizzazione non fosse ben applicato,
l’introduzione di vincoli molto conservativi, ovvero
molto bassi, avrebbe la conseguenza di far lievitare i
costi di realizzazione di molti impianti con il rischio
di rendere impraticabili molte costruzioni.
Al successivo art. 6 della Direttiva si tratta nello specifico il concetto di vincoli di dose per l’esposizione professionale, della popolazione e medica sottolineando
che l’adozione di questi livelli deve essere comunque
regolamentata a cura dei diversi Stati membri. Gli Stati
devono si provvedere affinche´ siano stabiliti vincoli di
dose ai fini di una potenziale ottimizzazione della protezione, ma lo devono fare rispettando specifiche condizioni.
In particolare nella Direttiva si legge:
«a) per l’esposizione professionale, il vincolo di dose e`
stabilito dall’esercente come strumento operativo per
l’ottimizzazione, sotto la supervisione generale dell’autorita` competente. Nel caso dei lavoratori esterni il vincolo di dose e` stabilito di concerto dal datore di lavoro
e dall’esercente;
IX
b) per l’esposizione della popolazione, il vincolo di dose e` fissato per la dose individuale cui sono esposti gli
individui della popolazione in seguito all’impiego pianificato di una specifica sorgente di radiazioni. L’autorita` competente provvede affinche´ i vincoli siano conformi al limite di dose per la somma di dosi a cui e`
esposto il medesimo individuo considerando tutte le
pratiche autorizzate;
c) per l’esposizione medica, i vincoli di dose si applicano solo per quanto riguarda la protezione di assistenti e
accompagnatori nonche´ di volontari che partecipano alla ricerca medica e biomedica.»
Situazioni di emergenza
Una serie di definizioni sono dedicate alle situazioni di
emergenza, ovvero quelle
«situazioni o eventi non ordinari implicanti una sorgente di radiazioni che richiedono un’azione tempestiva intesa a mitigare gravi conseguenze avverse per la salute
e la sicurezza della popolazione, la qualita` della vita, il
patrimonio o l’ambiente, o pericoli che potrebbero dar
luogo a tali conseguenze avverse.»
Emergenze che sono distinte dalla «esposizione accidentale», ovvero
«l’esposizione di singole persone, a esclusione dei lavoratori addetti all’emergenza, a seguito di incidente.»
La Direttiva individua in particolare le «situazioni di
esposizione di emergenza» e di conseguenza il «sistema di gestione delle emergenze» che e` indicato come
«un quadro giuridico o amministrativo che definisce
le responsabilita` per la preparazione e la pianificazione
delle emergenze e fissa le disposizioni per l’adozione di
decisioni in una situazione di esposizione di emergenza.»
Per affrontare le emergenze si definisce il «piano di intervento in caso di emergenza» come «l’insieme di misure per pianificare un intervento adeguato in una situazione di esposizione di emergenza sulla base di eventi
ipotizzati e dei relativi scenari.»
Sempre per le situazioni di emergenza e` definito anche
l’«addetto all’emergenza» che e` «una qualsiasi persona
investita di uno specifico ruolo nell’ambito di un’emergenza che potrebbe essere esposta a radiazioni nel corso di un intervento di emergenza» e in tal caso sarebbe
sottoposta ad una «esposizione professionale di emergenza.»
Insomma la Direttiva e` particolarmente e giustamente
attenta alle situazioni che possono sfuggire al controllo,
probabilmente soprattutto a causa dei recenti incidenti
nucleari e della sempre crescente sensibilita` della popolazione verso gli eventi a rischio che coinvolgono sorgenti di radiazioni ionizzanti.
Radioattivita` naturale
Nelle definizioni della 2013/59 ritornano anche termini
che riguardano la radioattivita` naturale, inclusa quella
contenuta nei materiali da costruzione, e in particolare
il radon. Nello specifico si possono richiamare le seguenti voci:
«– materiale da costruzione: qualsiasi prodotto da costruzione destinato ad essere incorporato in modo permanente in un edificio o in parti di esso e la cui prestaX
zione incide sulla prestazione dell’edificio in relazione
all’esposizione dei suoi occupanti alle radiazioni ionizzanti;
– sorgente di radiazioni naturale: una sorgente di radiazioni ionizzanti di origine naturale, terrestre o cosmica;
– radon: il radionuclide Rn-222 e i suoi figli, a seconda
dei casi;
– esposizione al radon: l’esposizione ai figli del radon;
– misure correttive: la rimozione di una sorgente di radiazione, la riduzione della sua portata (in termini di attivita` o di quantita`) o l’interruzione delle vie di esposizione ovvero la riduzione del loro impatto, al fine di
evitare o ridurre le dosi alle quali altrimenti si potrebbe
essere esposti in una situazione di esposizione esistente;
– toron: il radionuclide Rn-220 e i suoi figli, a seconda
dei casi.»
Anche la cosiddetta «situazione di esposizione esistente», ovvero «una situazione di esposizione che e` gia`
presente quando deve essere adottata una decisione
sul controllo della stessa e per la quale non e` necessaria
o non e` piu` necessaria l’adozione di misure urgenti;»
puo` essere rappresentativa di esposizione a radiazioni
naturali. Generalmente si intendono proprio queste
quando si parla di situazioni di esposizione esistente.
Sono effettivamente tutte quelle situazioni in cui si interviene dopo che sono state individuate e quindi riconosciute come gia` presenti.
Valutazione della dose
Per completare un’analisi comunque non esaustiva delle definizioni contenute nella nuova Direttiva non ci si
puo` esimere dal prendere in considerazione le figure incaricate di misurare, valutare e registrare le dosi alle
quali sono esposti i lavoratori.
A questo aspetto la Direttiva dedica le seguenti specifiche nell’elenco delle definizioni:
«– servizio di dosimetria: struttura o persona preposta
alla taratura, alle rilevazioni o all’interpretazione di singoli dispositivi di monitoraggio, o alla misurazione della radioattivita` nel corpo umano o nei campioni biologici, o alla valutazione delle dosi, la cui idoneita` a svolgere tali funzioni e` riconosciuta dall’autorita` competente;
– servizio di medicina del lavoro: un operatore o un ente sanitario competente nella realizzazione della sorveglianza medica dei lavoratori esposti e la cui idoneita` a
svolgere tale funzione e` riconosciuta dall’autorita` competente;
– esperto in radioprotezione: la persona o, se previsto
dalla legislazione nazionale, il gruppo di persone che
possiede le cognizioni, la formazione e l’esperienza necessarie a esprimere pareri in materia di radioprotezione al fine di garantire un’efficace protezione delle persone e la cui competenza al riguardo e` riconosciuta dall’autorita` competente;
– addetto incaricato della radioprotezione: una persona
tecnicamente competente nelle questioni di radioprotezione specifiche per un determinato tipo di pratica per
procedere o sovrintendere all’attuazione delle disposizioni in materia di radioprotezione.»
Si tratta di uno degli aspetti piu` innovativi per la cultura
italiana in radioprotezione, dove la valutazione della
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dose individuale e` attribuita strettamente alla figura dell’esperto qualificato. La Direttiva nelle sue definizioni
lascia spazio a un recepimento molto flessibile quando
parla di servizio di dosimetria riferendosi anche eventualmente a una singola persona ma nel seguito si vedra`
che questa definizione, unita agli articoli correlati, potrebbe introdurre importanti modifiche per i professionisti del nostro Paese.
In Tabella 2 sono riportate le ulteriori definizioni tratte
dall’art. 4 della Direttiva.
Tabella 2 - Ulteriori definizioni (art. 4, Direttiva 2013/59/Euratom)
Ai fini della presente direttiva si intende per:
[omissis]
2) «acceleratore»: apparecchio o impianto in cui sono accelerate particelle e che emette radiazioni ionizzanti con energia superiore a 1 mega-electron volt (MeV);
[omissis]
4) «attivazione»: processo per effetto del quale un nuclide stabile si trasforma in radionuclide, a seguito di irradiazione
con particelle o con fotoni ad alta energia del materiale in cui e` contenuto;
[omissis]
17) «prodotto di consumo»: un dispositivo o un articolo fabbricato in cui uno o piu` radionuclidi sono stati integrati
intenzionalmente o prodotti per attivazione, o che genera radiazioni ionizzanti e che puo` essere venduto o messo a
disposizione del pubblico senza una sorveglianza o un controllo regolamentare specifici dopo la vendita;
18) «contaminazione»: la presenza involontaria o indesiderabile di sostanze radioattive su superfici o in sostanze solide,
liquide o gassose o nel corpo umano;
19) «zona controllata»: zona sottoposta a regolamentazione speciale ai fini della radioprotezione o della prevenzione
della diffusione della contaminazione radioattiva e il cui accesso e` controllato;
[omissis]
21) «sorgente dismessa»: una sorgente sigillata non piu` utilizzata ne´ destinata ad essere utilizzata per la pratica per cui e`
stata concessa l’autorizzazione ma che continua a richiedere una gestione sicura;
[omissis]
32) «monitoraggio ambientale»: la misurazione delle intensita` esterne di dose derivanti dalle sostanze radioattive nell’ambiente o delle concentrazioni di radionuclidi nei comparti ambientali.
[omissis]
36) «lavoratore esposto»: persone, lavoratori autonomi o dipendenti, sottoposte a un’esposizione sul lavoro derivante
da pratiche contemplate dalla presente direttiva e che possono ricevere dosi superiori ad uno qualsiasi dei limiti di
dose fissati per l’esposizione della popolazione;
37) «esposizione»: l’atto di esporre o la condizione di essere esposti a radiazioni ionizzanti emesse da una sorgente al
di fuori dell’organismo (esposizione esterna) o all’interno dell’organismo (esposizione interna);
38) «estremita`»: le mani, gli avambracci, i piedi e le caviglie;
39) «detrimento sanitario»: la riduzione della durata e della qualita` della vita che si verifica in una popolazione in seguito
a esposizione, incluse le riduzioni derivanti da radiazioni sui tessuti, cancro e gravi disfunzioni genetiche;
[omissis]
41) «sorgente sigillata ad alta attivita`»: una sorgente sigillata per cui l’attivita` del radionuclide contenuto e` pari o superiore al valore dell’attivita` pertinente indicato nell’allegato II;
42) «danno per la salute»: gli effetti deleteri clinicamente osservabili che si manifestano nelle persone o nei loro discendenti e la cui comparsa e` immediata o tardiva e, in quest’ultimo caso, probabile ma non certa;
43) «ispezione»: il controllo da parte o a nome di un’autorita` competente per verificare la conformita` con i requisiti
giuridici nazionali;
44) «introduzione»: l’attivita` totale di un radionuclide, proveniente dall’ambiente esterno, che penetra nell’organismo;
[omissis]
47) «licenza»: il permesso, rilasciato in forma di documento dall’autorita` competente, che consente di svolgere una
pratica conformemente a condizioni specifiche fissate in tale documento;
[omissis]
53) «individui della popolazione»: i singoli individui che possono essere soggetti a una esposizione del pubblico;
[omissis]
55) «esposizione a metodiche per immagini a scopo non medico»: qualsiasi esposizione deliberata di persone a metodiche per immagini quando l’intenzione primaria dell’esposizione non consiste nell’apportare un beneficio alla salute
della persona esposta;
56) «esposizione normale»: l’esposizione che si prevede si verifichi nelle condizioni di funzionamento normali di un’installazione o di un’attivita` (tra cui la manutenzione, l’ispezione, la disattivazione), compresi gli incidenti di scarso rilievo
che possono essere tenuti sotto controllo, vale a dire nel corso del normale funzionamento e degli eventi operativi
previsti;
57) «notifica»: la comunicazione all’autorita` competente di informazioni atte a notificare l’intenzione di svolgere una
pratica rientrante nel campo d’applicazione della presente direttiva;
(segue)
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
XI
(continua)
58) «esposizione professionale»: l’esposizione di lavoratori, apprendisti e studenti nel corso dell’attivita` lavorativa;
[omissis]
60) «sorgente orfana»: una sorgente radioattiva che non e` esente da ne´ sottoposta a controllo regolamentare, per
esempio perche´ non lo e` mai stata o perche´ e` stata abbandonata, smarrita, collocata in luogo errato, rubata o comunque trasferita senza apposita autorizzazione;
61) «lavoratore esterno»: qualsiasi lavoratore esposto, compresi gli apprendisti e gli studenti, che non e` dipendente
dell’esercente responsabile delle zone sorvegliate e controllate, ma svolge le sue attivita` in queste zone;
62) «situazione di esposizione pianificata»: una situazione di esposizione che si verifica per il funzionamento pianificato
di una sorgente di radiazioni o risulta da un’attivita` umana che alterna le vie d’esposizione in modo da causare un’esposizione o un’esposizione potenziale della popolazione o dell’ambiente. Le situazioni di esposizione pianificate possono includere le esposizioni normali e quelle potenziali;
63) «esposizione potenziale»: un’esposizione che, pur non essendo certa, puo` verificarsi in conseguenza di un evento o
di una sequenza di eventi di natura probabilistica, tra cui guasti delle apparecchiature ed errori di funzionamento;
[omissis]
65) «pratica»: un’attivita` umana che puo` aumentare l’esposizione di singole persone alle radiazioni provenienti da una
sorgente di radiazioni ed e` gestita come una situazione di esposizione pianificata;
[omissis]
67) «lavorazione»: operazioni chimiche o fisiche sul materiale radioattivo, compresi l’estrazione, la conversione e l’arricchimento di materie nucleari fissili o fertili e il ritrattamento di combustibile esaurito;
68) «misure protettive»: misure, diverse dalle misure correttive, adottate allo scopo di evitare o ridurre le dosi alle
quali altrimenti si potrebbe essere esposti in una situazione di esposizione di emergenza o esistente;
69) «esposizione della popolazione»: l’esposizione di singole persone, escluse le esposizioni professionali o mediche;
70) «garanzia della qualita`»: ogni azione programmata e sistematica necessaria per accertare con adeguata affidabilita`
che un impianto, un sistema, un componente o una procedura funzionera` in maniera soddisfacente conformemente agli
standard stabiliti. Il controllo della qualita` rientra nella garanzia della qualita`;
71) «controllo della qualita`»: una serie di operazioni (programmazione, coordinamento, attuazione) intese a mantenere o a migliorare la qualita`. Vi rientrano il monitoraggio, la valutazione e il mantenimento ai livelli richiesti di tutte le
caratteristiche operative delle attrezzature che possono essere definite, misurate e controllate;
72) «generatore di radiazioni»: un dispositivo capace di generare radiazioni ionizzanti come raggi X, neutroni, elettroni
o altre particelle cariche;
[omissis]
75) «sorgente di radiazioni»: un’entita` che puo` provocare un’esposizione, per esempio per l’emissione di radiazioni
ionizzanti o per il rilascio di materiali radioattivi;
76) «materiale radioattivo»: materiale che contiene sostanze radioattive;
77) «sorgente radioattiva»: una sorgente di radiazioni in cui e` incorporato materiale radioattivo allo scopo di sfruttarne
la radioattivita`;
78) «sostanza radioattiva»: qualsiasi sostanza che contiene uno o piu` radionuclidi, la cui attivita` o concentrazione di
attivita` non possono essere trascurate sotto il profilo della radioprotezione;
79) «rifiuti radioattivi»: qualsiasi materiale radioattivo in forma gassosa, liquida o solida per il quale lo Stato membro o
una persona giuridica o fisica la cui decisione e` accettata dallo Stato membro non preveda o prenda in considerazione
un ulteriore uso e che sia regolamentato a titolo di rifiuto radioattivo da un’autorita` di regolamentazione competente
conformemente al quadro legislativo e regolamentare dello Stato membro;
[omissis]
84) «livello di riferimento»: in una situazione di esposizione di emergenza o in una situazione di esposizione esistente, il
livello di dose efficace o di dose equivalente o la concentrazione di attivita` al di sopra del quale si ritiene inopportuno
permettere che si verifichino esposizioni, anche se non e` un limite che non puo` essere superato;
[omissis]
86) «registrazione»: il permesso rilasciato in forma di documento dalle autorita` competenti, o previsto dalla legislazione nazionale, attraverso una procedura semplificata, che consente di svolgere una pratica in conformita` alle condizioni
definite dalla legislazione nazionale o specificate da un’autorita` competente per tale tipo o classe di pratica;
87) «controllo regolamentare»: qualsiasi forma di controllo o regolamentazione applicati alle attivita` umane per l’attuazione delle prescrizioni in materia di radioprotezione;
[omissis]
89) «individuo rappresentativo»: la persona che riceve una dose rappresentativa di quella degli individui di una popolazione maggiormente esposti, escluse le persone che hanno abitudini estreme o rare;
90) «sorgente sigillata»: una sorgente radioattiva in cui il materiale radioattivo e` sigillato in permanenza in una capsula o
incorporato in un corpo solido con l’obiettivo di prevenire, in normali condizioni di uso, qualsiasi dispersione di sostanze radioattive;
[omissis];
92) «stoccaggio»: la conservazione di materiale radioattivo, incluso il combustibile esaurito, di una sorgente radioattiva
o di rifiuti radioattivi in un impianto con l’intenzione di recuperarli;
(segue)
XII
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
(continua)
93) «zona sorvegliata»: zona sottoposta a sorveglianza ai fini della protezione contro le radiazioni ionizzanti;
94) «contenitore della sorgente»: un insieme di componenti inteso a garantire il contenimento di una sorgente sigillata
che non e` parte integrante della sorgente, ma e` destinato a schermare la sorgente durante il trasporto e la manipolazione;
95) «veicolo spaziale»: un veicolo con equipaggio progettato per operare a un ‘‘altitudine superiore a 100km sul livello
del mare.
[omissis];
99) «esposizione involontaria»: l’esposizione medica significativamente diversa dall’esposizione medica destinata a uno
scopo specifico.
Criteri di recepimento e modifica
della norma nazionale
La pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’UE il 17
dicembre 2014 della Direttiva 2013/59/Euratom permette l’avvio della fase di recepimento nella legislazione nazionale. Per una sintesi dell’iter che ha generato le
nuove prescrizioni comunitarie v. Figura 1.
Il processo di armonizzazione deve essere concluso entro il 6 febbraio 2018.
In questi 4 anni e` necessario percorrere i seguenti passi:
1) elaborazione del testo e delle relazioni di accompagnamento (a cura dei gruppi di lavoro);
2) accordo tra i Ministeri sullo Schema di Decreto Legislativo;
3) approvazione del Consiglio dei Ministri;
4) parere della Conferenza Stato-Regioni;
5) parere delle Commissioni di Camera e Senato
In pratica dovra` essere predisposta una legge di delegazione europea in forma di Atto di recepimento della Direttiva e in seguito il Presidente della Repubblica dovra`
emanare il Decreto Legislativo recante attuazione della
Figura 1 - Dalla genesi delle Direttive EU al loro recepimento
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
XIII
Direttiva 2013/59/Euratom che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti, e che abroga le direttive 89/618/Euratom, 90/
641/Euratom, 96/29/Euratom, 97/43/Euratom e 2003/
122/Euratom.
La proposta sara` avanzata da Ministro per gli affari europei, Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio
e del mare, Ministro dell’interno, Ministro del lavoro e
delle politiche sociali, Ministro della salute e Ministro
dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri
degli affari esteri, della giustizia e dell’economia e delle finanze.
La nuova legge nazionale conterra` le nuove regole di
condotta in materia di impiego pacifico delle radiazioni ionizzanti e presumibilmente sara` caratterizzata da
un buon numero di conferme e da alcune modifiche.
Gli aggiustamenti e le modifiche potrebbero essere comunque anche molto rilevanti, come si evidenzia nel
seguito.
Il futuro esperto qualificato
Nella nuova Direttiva, rispetto all’attuale situazione
normativa italiana, le funzioni dell’esperto qualificato
sono riviste e ridefinite. In buona sostanza sono ridimensionate, anche perche´ al suo posto si definiscono
di fatto due figure, quella dell’esperto in radioprotezione e quella dell’addetto incaricato della radioprotezione, le cui definizioni sono gia` state viste in quanto precede.
L’esperto in radioprotezione deve essere necessariamente «consultato» dall’esercente ma non si specifica-
no piu` competenze rispetto alle quali questo professionista ha responsabilita` dirette.
La consulenza e` obbligatoria nei seguenti casi:
a) esame e collaudo dei dispositivi di protezione e degli
strumenti di misurazione;
b) esame critico preventivo dei progetti di impianti sotto il profilo della radioprotezione;
c) collaudo delle sorgenti di radiazioni nuove o modificate sotto il profilo della radioprotezione;
d) verifica periodica dell’efficacia dei dispositivi e delle
tecniche di protezione;
e) calibratura periodica degli strumenti di misurazione e
controllo periodico del loro stato di funzionamento e
del loro corretto impiego.
La consulenza di questo esperto puo` essere estesa in fase di recepimento anche ad altri aspetti come specifica
l’art. 82 della Direttiva che si riporta in Tabella 3.
Nella Direttiva alcuni dei compiti attualmente affidati
in Italia all’esperto qualificato diventano una prerogativa di esercenti e datori di lavoro come ad esempio la
classificazione dei singoli lavoratori prima dell’assunzione di mansioni che possono dar luogo a esposizione
e in seguito con verifiche periodiche sulla base delle
condizioni di lavoro e della sorveglianza medica. La distinzione deve tenere anche conto delle esposizioni potenziali.
Allo stesso modo la valutazione e la registrazione delle
dosi secondo la nuova Direttiva fanno capo al laboratorio dosimetrico e all’esercente con una notevole riduzione delle attribuzioni dell’esperto qualificato. In Italia
il recepimento di questa norma specifica potrebbe essere adattato alla situazione attuale che vede nell’esperto
Tabella 3 - Esperto di protezione contro le radiazioni (art. 82, Direttiva 2013/59/Euratom)
1. Gli Stati membri provvedono affinche´ l’esperto in materia di protezione contro le radiazioni fornisca all’esercente
una consulenza competente in merito ad aspetti riguardanti la conformita` alle disposizioni giuridiche applicabili, per
quanto concerne l’esposizione professionale e l’esposizione della popolazione.
2. Se del caso, la consulenza dell’esperto in materia di protezione contro le radiazioni si estende, a titolo meramente
esemplificativo:
a) all’ottimizzazione e alla determinazione di appropriati vincoli di dose;
b) ai piani per i nuovi impianti e al collaudo di sorgenti di radiazioni nuove o modificate in riferimento a qualsiasi tipo di
controllo tecnico, caratteristica progettuale, caratteristica di sicurezza e dispositivo di allarme connesso alla radioprotezione;
c) alla classificazione delle zone controllate e sorvegliate;
d) alla classificazione dei lavoratori;
e) ai luoghi di lavoro e programmi di sorveglianza individuale nonche´ alla dosimetria personale connessa;
f) alla strumentazione appropriata per il monitoraggio delle radiazioni;
g) alla garanzia della qualita`;
h) al programma di monitoraggio ambientale;
i) alle misure per la gestione di rifiuti radioattivi;
j) alle misure per la prevenzione di incidenti e infortuni;
k) alla capacita` di intervento e alla pianificazione degli interventi in situazioni di esposizione di emergenza;
l) ai programmi di formazione e riqualificazione dei lavoratori esposti;
m) alle indagini e analisi su incidenti e infortuni e agli interventi correttivi appropriati;
n) alle condizioni di lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza e in periodo di allattamento;
o) alla preparazione di una documentazione appropriata quali valutazioni preliminari del rischio e procedure scritte;
3. L’esperto in materia di protezione contro le radiazioni opera, se del caso, in collegamento con lo specialista in fisica
medica.
4. Se previsto dalla legislazione nazionale, l’esperto in radioprotezione puo` essere incaricato della radioprotezione dei
lavoratori e degli individui della popolazione.
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
XV
qualificato colui che conosce in modo approfondito le
modalita` di lavoro e che e` in grado di operare una valutazione delle esposizioni anche in riferimento alle
funzioni svolte dai singoli lavoratori.
Il laboratorio dosimetrico, per quanto competente e accreditato, non ha una conoscenza diretta delle procedure lavorative adottate presso il particolare esercente e in
molti casi potrebbe avere difficolta` a completare una
valutazione di dose. L’esperto qualificato invece spesso
e` colui che prepara parte delle procedure lavorative in
accordo con l’esercente ed e` in grado di interpretare
correttamente le letture dosimetriche che si presentassero difformi rispetto a quanto atteso. Un tipico esempio
e` l’esposizione involontaria (o voluta) del solo dosimetro personale, ovvero il semplice uso non corretto del
dispositivo.
L’esperto qualificato conosce bene la realta` lavorativa
proprio in funzione dell’impiego delle radiazioni ionizzanti ed e` sicuramente in una posizione migliore per
operare la valutazione delle dosi individuali.
Come ulteriore possibile modifica, alcune delle funzioni prima svolte dall’esperto qualificato, in seguito al recepimento, potrebbero essere affidate all’addetto incaricato della radioprotezione.
La nuova Direttiva attribuisce infatti a questa figura una
serie di funzioni che sono di natura piu` squisitamente
tecnico-operativa ma che spesso oggi in Italia sono
svolte direttamente dall’esperto qualificato. Nell’attuale
normativa nazionale si consente comunque che mansioni strettamente esecutive, inerenti alla sorveglianza fisica della protezione contro le radiazioni, siano affidate
dal datore di lavoro a personale non provvisto dell’abilitazione di esperto qualificato, scelto d’intesa con l’esperto qualificato incaricato e che operi secondo le direttive e sotto la responsabilita` di quest’ultimo. Ci sono
delle analogie ma nella nostra attuale legislazione si
passa sempre dall’esperto qualificato quando si parla
di sorveglianza fisica. L’addetto individuato dalla nuova
Direttiva risponde invece esclusivamente all’esercente
che deve fornirgli tutti i mezzi necessari per svolgere
la sua mansione. Nel recepimento devono essere anche
individuate le pratiche per le quali e` necessario nominare un tale addetto incaricato del controllo o dello svolgimento delle attivita` di radioprotezione.
A seconda della natura della pratica, i compiti dell’addetto incaricato della radioprotezione nell’ambito dell’assistenza all’esercente, possono comprendere:
a) accertamenti atti a stabilire se le attivita` svolte a contatto con le radiazioni siano eseguite conformemente ai
requisiti di eventuali procedure specificate o norme locali;
b) la supervisione dell’attuazione dei programmi di sorveglianza del luogo di lavoro;
c) la conservazione di adeguati registri delle sorgenti di
radiazioni;
d) l’effettuazione di valutazioni periodiche delle condizioni dei sistemi di sicurezza e di allarme pertinenti;
e) la supervisione dell’attuazione dei programmi di sorveglianza personale;
f) la supervisione dell’attuazione del programma di sorveglianza sanitaria;
g) l’adeguata esposizione ai neoassunti delle norme e
delle procedure locali;
XVI
h) la formulazione di pareri e osservazioni sui piani di
lavoro;
i) la definizione dei piani di lavoro;
j) la trasmissione di relazioni alla dirigenza locale;
k) il contributo alla preparazione di provvedimenti per
la prevenzione, la pianificazione degli interventi e l’attuazione degli interventi in situazioni di esposizione di
emergenza;
l) l’informazione e la formazione dei lavoratori esposti,
m) i contatti con l’esperto in radioprotezione.
Si tratta in altre parole di una figura che potrebbe svolgere funzioni oggi attribuite in via praticamente esclusiva all’esperto qualificato. Il recepimento di questo
aspetto sara` molto critico perche´ potrebbe salvaguardare le funzioni dell’esperto qualificato dandogli magari
un livello professionalmente elevato qualora fosse liberato dalle mansioni strettamente tecniche e operative;
ma potrebbe anche ridurne di molto le attribuzioni
con una conseguente non positiva ridistribuzione di responsabilita` che condurrebbe ad una maggiore autonomia dell’esercente, non sempre virtuosa. Alcuni spazi
per recepire con flessibilita` questa norma comunque
ci sono, in particolare laddove si sostiene nella Direttiva che le mansioni dell’addetto incaricato della radioprotezione possono essere assunte da un’unita` per la radioprotezione istituita presso un esercente o da un
esperto in radioprotezione. La prima soluzione potrebbe essere adottata nelle grandi realta` societarie mentre
la seconda andrebbe bene per i piccoli esercenti.
Esposizione dell’occhio
La modifica che si ritiene in assoluto piu` rilevante riguarda il nuovo limite di dose per il cristallino.
L’art. 9 della nuova Direttiva al comma 3, lett. a), recita: «il limite di dose equivalente per il cristallino e` di 20
mSv in un solo anno o di 100 mSv nell’arco di cinque
anni consecutivi, con una dose massima di 50 mSv in
un solo anno, come previsto dalla legislazione nazionale.»
Il limite e` relativo ai lavoratori esposti a radiazioni ionizzanti ed e` mediamente pari a 20 mSv all’anno se si
esclude la possibilita` di arrivare a 50 mSv in un anno
particolare. Nella normativa italiana i limiti sono sempre stati recepiti in modo molto stretto senza consentire
superamenti annuali, che peraltro implicherebbero diverse difficolta` pratiche di registrazione. Si ritiene pertanto molto probabile che in seguito al recepimento il
nuovo limite di dose equivalente al cristallino sara` ridotto per gli esposti di categoria A dagli attuali 150
mSv a 20 mSv.
La definizione del nuovo limite di dose equivalente per
l’esposizione del cristallino dell’occhio umano pone
una serie di problemi sia di carattere fondamentale sia
di carattere operativo. La genesi del nuovo limite risale
al 2011 quando l’ICRP ha pubblicato un documento
sugli effetti non cancerogeni («deterministici») delle radiazioni ionizzanti («reazioni tissutali») che possono
evolvere anche in tempi molto successivi rispetto al
momento dell’irraggiamento. Dalle recenti evidenze
epidemiologiche le dosi soglia di tali effetti sono o possono essere inferiori rispetto a quelle fino ad ora considerate (es. da ICRP 85). In particolare per il cristallino
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
l’ICRP 2011 indica la dose soglia a 0,5 Gy e raccomanda per esposizioni lavorative il limite annuale di 20
mSv di dose equivalente come media su un periodo
di 5 anni, senza pero` superare mai il valore di 50
mSv in ogni singolo anno. Il limite di dose equivalente
annuale al cristallino inserito nella normativa italiana
dovrebbe essere quindi ridotto di 7,5 volte.
Il limite di dose equivalente al cristallino e` poi indicato
strettamente in 15 mSv all’anno per gli apprendisti, gli
studenti e per la popolazione. Introducendo l’ulteriore
difficolta` per la cultura italiana di individuare un limite
intermedio di dose equivalente al cristallino per gli
eventuali esposti di categoria B (posta sempre a 15
mSv nella nuova Direttiva).
La riduzione del limite non rappresenta solo un aspetto
semplicemente documentale o che richiede una maggiore protezione degli operatori, la maggiore attenzione
al cristallino impone infatti in molti casi una specifica
misura della dose individuale all’occhio. Questo pone
problemi fondamentali di dosimetria in quanto secondo
la nuova Direttiva la dose equivalente all’occhio dovrebbe essere valutata seguendo le indicazioni delle
raccomandazioni ICRP 103. Sarebbe quindi necessario
adottare la corretta grandezza operativa, ovvero il corretto equivalente di dose personale Hp(d). L’ICRP per
il monitoraggio individuale al cristallino raccomanda
quanto segue:
«...Una profondita` d = 3 mm e` stata proposta per il caso
raro di monitoraggio della dose al cristallino. In pratica
comunque Hp(3) e` stato raramente misurato, e
Hp(0,07) puo` essere utilizzato per gli stessi scopi. ...»
La valutazione in termini di Hp(3) puo` essere, quindi,
svolta utilizzando Hp(0,07) con opportune filtrazioni
o impiegando una combinazione dei valori stimati per
Hp(0,07) e Hp(10).
In particolare un dosimetro a corpo intero per fotoni
che misura sia Hp(0,07) sia Hp(10), usato per il tronco,
fornisce informazioni sufficienti sul campo di radiazioni cui e` esposto il lavoratore e sulle due grandezze. E`
quindi possibile stimare il valore di Hp(3) applicando
un’opportuna correzione ai valori Hp(0,07) e Hp(10).
In assenza di informazioni sul campo di radiazioni e`
conservativo attribuire ad Hp(3) il valore maggiore
tra i due.
In sintesi vale quanto indicato di seguito:
– la grandezza operativa Hp(3) non e` necessaria;
– si puo` usare un dosimetro in Hp(0,07) come raccomandato da ICRP 103, con taratura su slab;
– per energia dei fotoni maggiore di 30 keV, si puo`
usare anche un dosimetro tarato in Hp(10);
– in funzione del tipo e dell’impiego di dispositivi di
protezione, la dose al cristallino puo` essere valutata come una frazione del dato dosimetrico.
Dal punto di vista operativo la problematica maggiore
si riscontra in radiologia interventistica (v. Figura 2)
dove e` presente un sistema di scopia che comporta
un’esposizione importante per gli occhi dell’operatore.
Alla luce dei nuovi limiti di dose sara` necessario adottare una serie di misure protettive e procedure che oggi
sono solo parzialmente attive in molti reparti di radiologia interventistica.
In particolare si tratta dei seguenti interventi utili per
chi opera in questi reparti:
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
– e` importante adeguare le tecniche dosimetriche, adottando i sistemi di misura adeguati, come indicato in
quanto precede;
– e` necessario utilizzare schermi ambientali e Dispositivi di Protezione Individuali adatti nei diversi casi (collare e camice piombati, occhiali con protezioni laterali,
ecc.);
– migliorare le metodiche analitiche di valutazione con
l’impiego di modelli sperimentali e matematici;
– tenere presente che la dose agli occhi e` piu` elevata
con tubo che irraggia dall’alto;
– irraggiando correttamente dal basso e` importante ridurre la dose alle gambe con un tavolo schermante;
– considerare che nella maggior parte dei casi risulta
statisticamente elevata la dose alla mano e al polso sinistri (in genere RX da sinistra);
– gli occhi sono effettivamente i piu` esposti se rapportati al limite relativo, e` quindi fondamentale indossare
sempre i corretti DPI (occhiali schermanti, anche lateralmente);
– utilizzare solo sale dedicate per interventi di Radiologia Interventistica, con i necessari schermi locali;
– posizionare lo schermo dall’alto il piu` vicino possibile al paziente;
– uscire dalla sala durante i tempi morti di acquisizione
dell’immagine;
– evitare, possibilmente, l’esposizione diretta delle mani alla radiazione primaria;
– effettuare sempre dosimetria alle mani
(anello, bracciale) e agli occhi.
Livelli di riferimento per il radon
La Direttiva dedica ampio spazio all’esposizione al radon in quanto si ritiene che siano necessari piani d’azione nazionali per far fronte ai rischi di lungo termine
derivanti dall’esposizione a questo gas radioattivo di
origine naturale. E` riconosciuto tra l’altro che la combinazione di consumo di tabacco ed elevata esposizione
al radon comporta un rischio individuale di carcinoma
Figura 2 - L’esposizione in radiologia
interventistica
XVII
polmonare sostanzialmente piu` elevato rispetto ai due
fattori considerati separatamente e che il consumo di tabacco amplifica il rischio derivante dall’esposizione al
radon a livello della popolazione. E` importante allora
che gli Stati membri affrontino entrambi questi rischi
sanitari.
L’esposizione al radon rientra tra le situazioni di esposizione esistenti ed e` riportata nell’elenco dell’Allegato
XVII della Direttiva, riproposto in Tabella 4.
Trattandosi di una situazione di esposizione esistente,
per il radon la Direttiva individua dei livelli di riferimento piuttosto che dei limiti di dose e ritiene che questi debbano essere rispettati dagli Stati membri a meno
di informare la Commissione nel caso in cui si voglia
adottare un livello di riferimento superiore a 300 Bq
m–3.
Nella Direttiva si considera in particolare il caso in cui
«il radon penetri dal suolo nei luoghi di lavoro situati
in ambienti chiusi, ritenendo che tale situazione dovrebbe essere considerata una situazione di esposizione
esistente dato che la presenza di radon e` in larga misura
indipendente dalle attivita` umane svolte all’interno del
luogo di lavoro stesso. Tali esposizioni possono essere
significative in determinate zone o in specifici luoghi di
lavoro indicati dagli Stati membri e, in caso di superamento del livello di riferimento nazionale, si dovrebbero adottare misure appropriate per ridurre la concentrazione di radon e l’esposizione. Qualora i livelli continuino ad essere superiori al livello di riferimento nazio-
nale, le attivita` umane svolte all’interno del luogo di lavoro non dovrebbero essere considerate ‘‘pratiche’’.
Tuttavia, gli Stati membri dovrebbero provvedere affinche´ tali luoghi di lavoro siano notificati e, nel caso in
cui l’esposizione dei lavoratori possa superare una dose
efficace di 6 mSv all’anno o un corrispondente valore
di esposizione al radon integrato nel tempo, sia assicurata una gestione come quella per le situazioni di esposizioni pianificate, con l’applicazione di limiti di dose,
e dovrebbero determinare i requisiti di protezione operativa da applicare.»
Si tratta insomma di un approccio intermedio tra quelli
tipici per le situazioni di esposizione esistenti e quelli
delle situazioni di esposizione pianificate. In particolare
all’art. 54, riportato in Tabella 5, si affronta in modo
specifico il problema del radon nei luoghi di lavoro.
In pratica come recepimento delle piu` recenti raccomandazioni ICRP, la Direttiva riduce il livello di riferimento per radon in aria in ambienti chiusi sia di lavoro
sia residenziali a 300 Bq/m–3 medi annuali, dai 500 Bq/
m–3 previsti dall’attuale D.Lgs. n. 230/1995 e s.m.i. per
i soli luoghi di lavoro.
L’estensione alle situazioni non lavorative e` sancita all’interno dell’art. 74 relativo all’esposizione al radon in
ambienti chiusi e riprodotto in Tabella 6.
La Direttiva dedica quindi uno spazio rilevante al problema del radon tanto da indicare la necessita` di adottare degli specifici piani d’azione a cura di ogni Stato
Tabella 4 - Elenco indicativo di tipi di situazioni di esposizione esistenti
(Allegato XVII, Direttiva 2013/59/Euratom)
a) Esposizione dovuta alla contaminazione di zone da parte di materiale radioattivo residuo da:
i) attivita` del passato che non sono mai state sottoposte a controlli regolamentari o che non sono state disciplinate
conformemente alle disposizioni della presente direttiva;
ii) un’emergenza, dopo che una situazione di esposizione di emergenza e` stata dichiarata conclusa, come previsto dal
sistema di gestione delle emergenze;
iii) residui di attivita` del passato per le quali l’esercente non e` piu` giuridicamente responsabile;
b) Esposizione alle sorgenti di radiazioni naturali, tra cui:
i) l’esposizione al radon e al toron in ambienti chiusi (luoghi di lavoro, abitazioni e altri edifici);
ii) l’esposizione esterna in ambienti chiusi dovuta a materiali da costruzione;
c) Esposizione a beni di consumo, tranne alimenti, mangimi e acqua potabile, contenenti:
i) radionuclidi provenienti dalle zone contaminate di cui alla lettera a), o
ii) radionuclidi naturali.
Tabella 5 - Radon nei luoghi di lavoro (art. 54, Direttiva 2013/59/Euratom)
1. Gli Stati membri stabiliscono livelli di riferimento nazionali per le concentrazioni di radon nei luoghi di lavoro. Il livello di riferimento per la media annua della concentrazione di attivita` aerea non deve essere superiore a 300 Bq m–3, a
meno che un livello superiore non sia giustificato dalle circostanze esistenti a livello nazionale.
2. Gli Stati membri dispongono che le misurazioni del radon siano effettuate:
a) in luoghi di lavoro all’interno delle zone individuate conformemente all’articolo 103, paragrafo 3, situati al pianterreno o a livello interrato, tenendo conto dei parametri contenuti nel piano d’azione nazionale di cui al punto 2 dell’allegato XVIII, nonche´
b) in specifiche tipologie di luoghi di lavoro identificate nel piano d’azione nazionale tenendo conto del punto 3 dell’allegato XVIII.
3. Nelle zone all’interno dei luoghi di lavoro in cui la concentrazione di radon (come media annua) continua a superare
il livello di riferimento nazionale nonostante le azioni intraprese conformemente al principio di ottimizzazione di cui al
capo III, gli Stati membri dispongono che tale situazione sia notificata conformemente all’articolo 25, paragrafo 2, e si
applica l’articolo 35, paragrafo 2.
XVIII
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Tabella 6 - Radon in ambienti chiusi (art. 74, Direttiva 2013/59/Euratom)
1. Gli Stati membri stabiliscono livelli di riferimento nazionali per le concentrazioni di radon in ambienti chiusi. I livelli di
riferimento per la media annua della concentrazione di attivita` in aria non devono essere superiori a 300 Bq m–3.
2. Nell’ambito del piano d’azione nazionale di cui all’articolo 103, gli Stati membri promuovono interventi volti a individuare le abitazioni che presentano concentrazioni di radon (come media annua) superiori al livello di riferimento e, se
del caso, incoraggiano, con strumenti tecnici o di altro tipo, misure di riduzione della concentrazione di radon in tali
abitazioni.
3. Gli Stati membri provvedono affinche´ siano rese disponibili informazioni locali e nazionali sull’esposizione al radon in
ambienti chiusi e sui rischi per la salute che ne derivano, sull’importanza di effettuare misurazioni della concentrazione
di radon e sui mezzi tecnici disponibili per ridurre le concentrazioni di radon esistenti.
Tabella 7 - Piano d’azione per il radon (art. 103, Direttiva 2013/59/Euratom)
1. In applicazione dell’articolo 100, paragrafo 1, gli Stati membri definiscono un piano d’azione nazionale che affronta i
rischi di lungo termine dovuti alle esposizioni al radon nelle abitazioni, negli edifici pubblici e nei luoghi di lavoro per
qualsiasi fonte di radon, sia essa il suolo, i materiali da costruzione o l’acqua. Il piano d’azione tiene conto degli aspetti
elencati nell’allegato XVIII ed e` aggiornato periodicamente.
2. Gli Stati membri provvedono affinche´ siano adottate misure appropriate per prevenire l’ingresso del radon in nuovi
edifici. Tali misure possono comportare l’introduzione di prescrizioni specifiche nelle norme edilizie nazionali.
3. Gli Stati membri individuano le zone in cui si prevede che la concentrazione di radon (come media annua) superi il
pertinente livello di riferimento nazionale in un numero significativo di edifici.
membro. Le specifiche di questo piano sono riportate
all’art. 103 della Direttiva, riportato in Tabella 7.
L’articolo e` completato dall’Allegato XVIII, nel quale
e` riportato l’elenco degli elementi da considerare nell’elaborazione del piano d’azione nazionale per affrontare i rischi di lungo termine derivanti dall’esposizione
al radon. Si tratta di un utile elenco di strategie e metodiche altamente consigliate per affrontare il rischio
radon.
Nuove regole per i NORM
Un altro aspetto che ha a che fare con la radioattivita`
naturale e pertanto con le situazioni di esposizione esistenti, riguarda l’impiego dei materiali che la contengono. Si tratta dei cosiddetti NORM (Natural Occurring
Radioactive Material). La Direttiva dedica una buona
parte della sua struttura anche a questo tipo di sorgente
radioattiva che era gia` stata considerata in precedenza
ma che questa volta e` trattata alla stregua di una sostanza radioattiva artificiale.
Per i NORM e in particolare per i materiali da costruzione si indica per l’esposizione esterna il livello di riferimento di 1 mSv/anno. Si sottolinea inoltre che le attivita` con NORM dovrebbero essere considerate come
«pratiche» e quindi come situazioni di «esposizione
pianificata».
I materiali contenenti radionuclidi presenti in natura devono essere individuati dagli Stati membri che garantiscono anche l’individuazione di classi o tipi di pratiche
che comportano l’impiego di detti materiali e che determinano un livello di esposizione dei lavoratori o individui della popolazione non trascurabile dal punto di
vista della radioprotezione. Si da` una certa flessibilita`
nell’individuazione che deve essere effettuata con mezzi appropriati, ma non definiti a priori, semplicemente
tenendo conto dei settori industriali elencati nell’Allegato VI della Direttiva e qui riproposti:
– estrazione di terre rare da monazite;
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
– produzione di composti di torio e fabbricazione di
prodotti contenenti torio;
– lavorazione del minerale niobite-tantalite;
– produzione di gas e petrolio;
– produzione di energia geotermica;
– produzione del pigmento TiO2;
– produzione di fosforo con processo termico;
– industria dello zircone e dello zirconio;
– produzione di fertilizzanti fosfatici;
– produzione di cemento, manutenzione di forni per la
produzione di clinker;
– centrali elettriche a carbone, manutenzione di caldaie;
– produzione di acido fosforico;
– produzione primaria di ferro;
– fusione di stagno/piombo/rame;
– impianti per la filtrazione delle falde freatiche;
– estrazione di minerali diversi dal minerale di uranio.
Una vera e propria struttura normativa e` dedicata alle
necessita` di notifica, autorizzazione ed esonero e include anche le pratiche con NORM e l’allontanamento di
questi materiali. Gli Stati membri devono infatti provvedere affinche´ sia richiesta una notifica per tutte le
pratiche giustificate, comprese quelle impieganti dei
NORM. La notifica deve essere effettuata prima dell’inizio della pratica o, per le pratiche esistenti, il piu` presto possibile. Determinate pratiche possono essere esonerate dall’obbligo di notifica in virtu` dell’art. 26 della
Direttiva.
Le attivita` umane in cui sono coinvolti materiali contaminati da sostanze radioattive risultanti da scarichi
autorizzati o materiali allontanati conformemente all’art. 30 della Direttiva non sono gestite come situazioni di esposizione pianificata e pertanto non devono essere notificate.
La regola che definisce le modalita` di esonero e` piuttosto articolata dovendo tenere conto di diverse esigenze
XIX
e pertanto si ritiene utile riportare e commentare lo specifico art. 30 (v. Tabella 8).
Lo smaltimento, il riciclo o il riutilizzo di materiali radioattivi derivanti da qualsiasi pratica autorizzata sono
quindi soggetti ad autorizzazione. Sono possibili comunque esoneri dal controllo regolamentare purche´ le
concentrazioni di attivita` rispettino precisi vincoli e siano in particolare inferiori o uguali ai livelli di allontanamento riportati nella Tabella A (Tab. A-2 per i
NORM) dell’Allegato VII della Direttiva per i materiali
solidi, o siano conformi a livelli di allontanamento specifici stabiliti a livello nazionale in base ai criteri generali di esenzione e di allontanamento sempre definiti
nell’Allegato VII e tenendo conto degli orientamenti
tecnici forniti dalla Comunita`.
Un aspetto fondamentale riguarda la possibilita` di diluire intenzionalmente i materiali radioattivi ai fini del loro esonero dal controllo regolamentare. Questa metodica deve essere, sı`, autorizzata dall’autorita` competente
ma rappresenta comunque una valida opportunita` per
gli esercenti interessati. In circostanze specifiche, la
mescolanza di materiali radioattivi (naturali e artificiali)
e non radioattivi a fini di riutilizzo o riciclaggio puo`
pertanto essere consentita dall’autorita` competente.
I criteri generali per l’esenzione di pratiche dall’obbligo
di notifica o autorizzazione oppure per l’allontanamento di materiali da pratiche autorizzate, riportati nell’Allegato VII, sono i seguenti:
i) i rischi radiologici causati agli individui dalla pratica
devono essere sufficientemente limitati da risultare trascurabili ai fini della regolamentazione;
ii) il tipo di pratica e` stato ritenuto giustificato;
iii) la pratica e` intrinsecamente sicura.
In particolare le pratiche che utilizzano sostanze radioattive o loro concentrazioni di attivita` inferiori ai valori
di esenzione riportati in Tabella A(1), o Tabella B, si
ritiene che soddisfino il criterio i) e non necessitino
di ulteriore esame. Cio` vale anche per i valori in Tabella A(2), ad eccezione del riciclo di residui nei materiali
da costruzione, o di specifiche vie di esposizione come
l’acqua potabile.
Piu` in generale per l’esenzione dalla notifica o per l’allontanamento, se non c’e` conformita` alle Tabelle A e
B, si effettua una valutazione impiegando i criteri generali elencati in precedenza (punti da i a iii). Per il punto
i), si deve dimostrare che i lavoratori non devono essere
classificati come lavoratori esposti e che i seguenti criteri per l’esposizione di individui della popolazione sono soddisfatti:
– per i radionuclidi artificiali: la dose di un individuo
della popolazione sia non superiore a 10 mSv all’anno;
– per i radionuclidi presenti in natura: l’incremento di
dose, inteso oltre il fondo, per una persona non sia superiore a 1 mSv all’anno.
La valutazione delle dosi sopra indicate deve tenere
conto non solo dell’esposizione diretta o dovuta agli effluenti gassosi o liquidi rilasciati durante la pratica, ma
anche dell’esposizione derivante dallo smaltimento o
dal riciclo di residui solidi.
Effettivamente il valore di esenzione di 1 mSv annuo
per i radionuclidi di origine naturale potrebbe essere rivisto al ribasso nel recepimento nella norma italiana, in
quanto la Direttiva consente agli Stati membri di fissare
criteri di dose inferiori a 1 mSv all’anno per tipi particolari di pratiche o vie di esposizione specifiche.
Anche per i materiali da costruzione la Direttiva indica
il medesimo livello di 1 mSv all’anno prendendo in
considerazione l’esposizione esterna in ambienti chiusi
alle radiazioni gamma emesse da questi materiali, in
aggiunta all’esposizione esterna all’aperto.
Per i materiali da costruzione si stabilisce inoltre che gli
Stati membri individuino come oggetto di attenzione
dal punto di vista della radioprotezione, quelli selezionati dell’elenco indicativo di materiali riportato all’Allegato XIII della Direttiva, qui riproposto in Tabella 9.
Gli Stati membri devono inoltre garantire che, prima
dell’immissione sul mercato di tali materiali:
a) siano determinate le attivita` dei radionuclidi specificati nell’Allegato VIII;
b) siano fornite, su richiesta alle autorita` competenti,
informazioni sui risultati delle misurazioni e il corrispondente indice di concentrazione di attivita`, non-
Tabella 8 - Esonero dal controllo regolamentare (art. 30, Direttiva 2013/59/Euratom)
1. Gli Stati membri provvedono affinche´ lo smaltimento, il riciclo o il riutilizzo di materiali radioattivi derivanti da qualsiasi pratica autorizzata siano soggetti ad autorizzazione.
2. I materiali destinati allo smaltimento, al riciclo o al riutilizzo possono essere esonerati dal controllo regolamentare
purche´ le concentrazioni di attivita`:
a) per i materiali solidi, non superino i livelli di allontanamento di cui alla tabella A dell’allegato VII; o
b) siano conformi a livelli di allontanamento specifici e alle prescrizioni associate per specifici materiali o per materiali
derivanti da specifici tipi di pratiche; tali livelli di allontanamento specifici sono stabiliti nella legislazione nazionale o
dall’autorita` nazionale competente in base ai criteri generali di esenzione e di allontanamento definiti nell’allegato
VII e tenendo conto degli orientamenti tecnici forniti dalla Comunita`.
3. Gli Stati membri provvedono affinche´, per quanto concerne l’allontanamento di materiali contenenti radionuclidi
presenti in natura, qualora questi ultimi derivino da pratiche autorizzate nel cui ambito i radionuclidi naturali sono trattati per loro proprieta` radioattive, fissili o fertili, i livelli di allontanamento siano conformi ai criteri di dose previsti per
l’allontanamento di materiali contenenti radionuclidi artificiali.
4. Gli Stati membri non permettono la diluizione intenzionale di materiali radioattivi ai fini del loro esonero dal controllo regolamentare. La mescolanza di materiali che avviene nell’ambito di operazioni normali allorche´ la radioattivita`
non sia un elemento importante non e` soggetta a tale divieto. L’autorita` competente puo` autorizzare, in circostanze
specifiche, la mescolanza di materiali radioattivi e non radioattivi a fini di riutilizzo o riciclaggio.
XX
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Tabella 9 - Elenco indicativo dei materiali da costruzione emittenti radiazioni gamma
(Allegato XIII, Direttiva 2013/59/Euratom)
1. Materiali naturali
a) Alum-shale (cemento contenente scisti alluminosi).
b) Materiali da costruzione o additivi di origine naturale ignea tra cui:
granitoidi (quali graniti, sienite e ortogneiss);
porfidi;
tufo;
pozzolana;
lava.
2. Materiali che incorporano residui dalle industrie che lavorano materiali radioattivi naturali tra cui:
ceneri volanti;
fosfogesso;
scorie di fosforo;
scorie di stagno;
scorie di rame;
fanghi rossi (residui della produzione dell’alluminio);
residui della produzione di acciaio.
che´ altri fattori pertinenti come definito nell’Allegato
VIII.
Alcuni tipi di materiali da costruzione possono comportare dosi superiori al livello di riferimento. In questi casi gli Stati membri decidono in merito alle misure appropriate da adottare, che possono comprendere obblighi specifici nell’ambito di norme edilizie pertinenti o
restrizioni specifiche sull’uso previsto di tali materiali.
Sorveglianza fisica e medica
Ulteriori possibili modifiche
Pur non trattandosi di una novita` assoluta la formazione
rappresenta uno dei punti chiave per la nuova Direttiva
che dedica a questo argomento l’intero Capo IV, con
cinque articoli. Sono prese in considerazione le responsabilita`, la formazione delle figure specifiche, la formazione e informazione dei lavoratori esposti anche a sorgenti orfane e in situazioni di emergenza e la formazione nel settore dell’esposizione medica.
Infine, un argomento che vale la pena di ricordare, in
quanto di recente attualita`, riguarda l’impiego di scanner RX per il controllo di sicurezza sulle persone. La
pratica e` vietata attualmente in Italia dalla normativa
nazionale ma il divieto potrebbe essere riconsiderato alla luce della nuova Direttiva che fa molta attenzione a
questo aspetto.
L’art. 22 ha appunto il titolo: «Pratiche implicanti l’esposizione intenzionale delle persone con metodiche
per immagini a scopo non medico» ed e` molto circostanziato nell’individuare responsabilita`, modalita` ed
esenzioni eventuali. I diversi commi dell’articolo in
questione sono riportati in Tabella 10 per completezza.
Nell’Allegato V della normativa sono elencate tra l’altro le pratiche in cui non sono impiegate attrezzature
medico-radiologiche, ritrovando appunto in particolare
quelle attualmente vietate in Italia ovvero «l’impiego di
radiazioni ionizzanti ai fini dell’individuazione di oggetti nascosti nel corpo umano o attaccati al corpo umano.»
Sono inoltre citate in questo ambito altre due attivita`
che nel nostro Paese sono talvolta consentite e cioe`:
«l’impiego di radiazioni ionizzanti per l’individuazione
I lavoratori esposti sono classificati anche dalla nuova
Direttiva in due categorie: A e B. Sono in categoria
A i lavoratori esposti che possono ricevere una dose efficace superiore a 6 mSv all’anno o una dose equivalente superiore a 15 mSv all’anno per il cristallino o superiore a 150 mSv all’anno per la pelle e le estremita`.
Gli altri lavoratori esposti sono classificati in categoria
B.
La sorveglianza fisica come tale non e` affrontata dalla
nuova Direttiva che parla piuttosto di protezione operativa dei lavoratori esposti.
La responsabilita` della valutazione e dell’esecuzione
dei provvedimenti di radioprotezione dei lavoratori
esposti e` a carico dell’esercente che deve conformarsi
ai seguenti elementi:
– una valutazione preventiva che identifichi la natura e
l’ordine di grandezza del rischio radiologico per i lavoratori esposti;
– l’ottimizzazione della radioprotezione in tutte le condizioni di lavoro, incluse le esposizioni professionali a
seguito di pratiche comportanti esposizioni mediche;
– la classificazione dei lavoratori esposti in diverse categorie;
– disposizioni di controllo e di sorveglianza per le diverse zone e le diverse condizioni di lavoro compresa,
ove necessario, la sorveglianza individuale;
– istruzione e formazione.
La sorveglianza radiologica individuale e` considerata
un aspetto fondamentale per gli esposti di categoria
A. L’Allegato X della Direttiva e` appunto dedicato
ad essa e prevede l’istituzione di un sistema di trattamento dei dati per la sorveglianza radiologica individuale che puo` anche far capo ad un registro nazionale.
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
di persone nascoste durante il controllo di un carico»
(consentito in Italia quando lo scopo e` piu` generalmente di controllo merci) e le «pratiche che comportano
l’uso di radiazioni ionizzanti a scopi legali o di sicurezza.»
XXI
Tabella 10 - Esposizione intenzionale delle persone con metodiche per immagini a scopo non medico
(art. 22, Direttiva 2013/59/Euratom)
1. Gli Stati membri provvedono all’individuazione delle pratiche implicanti l’esposizione alle metodiche per immagini a
scopo non medico, in particolare tenendo conto delle pratiche di cui all’allegato V.
2. Gli Stati membri garantiscono che sia prestata un’attenzione specifica alla giustificazione delle pratiche implicanti
l’esposizione con metodiche per immagini a scopo non medico, in particolare:
a) tutti i tipi di pratiche che comportano esposizioni con metodiche per immagini a scopo non medico devono essere
giustificati prima di essere generalmente accettati;
b) ogni applicazione specifica di un tipo di pratica generalmente accettato deve essere giustificata;
c) tutte le singole procedure che comportano esposizioni con metodiche per immagini a scopo non medico con l’uso
di attrezzature medico-radiologiche devono essere giustificate preliminarmente, tenendo conto degli obiettivi specifici
della procedura e delle caratteristiche della persona interessata;
d) la giustificazione generale e particolare di pratiche che comportano esposizioni a metodiche per immagini a scopo
non medico, cosı` come specificato alle lettere a) e b), puo` essere soggetta a revisione;
e) le circostanze che giustificano esposizioni con metodiche per immagini a scopo non medico, senza una giustificazione individuale di ciascuna esposizione, sono soggette a revisione periodica.
3. Gli Stati membri possono esonerare pratiche giustificate che comportano esposizioni con metodiche per immagini a
scopo non medico con l’uso di attrezzature medico-radiologiche dall’obbligo dei vincoli di dose ai sensi dell’articolo 6,
paragrafo 1, lettera b) e dai limiti di dose ai sensi dell’articolo 12.
4. Se uno Stato membro ha stabilito che una determinata pratica implicante esposizioni con metodiche per immagini a
scopo non medico e` giustificata, esso fa in modo che:
a) la pratica sia soggetta ad autorizzazione;
b) l’autorita` competente, se del caso in collaborazione con altri organismi e altre societa` scientifiche mediche pertinenti, stabilisca prescrizioni per la pratica, compresi i criteri per l’applicazione individuale;
c) per le procedure svolte con l’impiego di attrezzature medico-radiologiche:
i) si applichino le prescrizioni pertinenti per l’esposizione medica di cui al capo VII, comprese quelle relative alle attrezzature, all’ottimizzazione, alle responsabilita`, alla formazione e alla protezione particolare in caso di gravidanza,
nonche´ all’opportuno coinvolgimento dello specialista in fisica medica;
ii) se del caso, siano introdotti protocolli specifici, conformi all’obiettivo dell’esposizione e alla qualita` richiesta dell’immagine;
iii) ove possibile, siano introdotti specifici livelli diagnostici di riferimento;
d) per le procedure svolte senza l’impiego di attrezzature medico-radiologiche, i vincoli di dose siano notevolmente al
di sotto del limite di dose definito per gli individui della popolazione;
e) siano fornite informazioni e sia richiesto il consenso alla persona che sara` esposta, ammettendo tuttavia che in determinati casi le autorita` preposte all’applicazione della legge siano autorizzate a procedere senza il consenso di detta
persona in conformita` con la legislazione nazionale.
Il sistema deve contenere per ogni lavoratore i seguenti
dati:
– dati relativi all’identita` del lavoratore;
– informazioni dettagliate sulla sorveglianza medica
del lavoratore;
– informazioni dettagliate concernenti l’impresa del lavoratore e, nel caso di un lavoratore esterno, il suo datore di lavoro;
– i risultati della sorveglianza individuale del lavoratore esposto.
La struttura della sorveglianza fisica come la conosciamo in Italia e` pertanto stravolta. Con un «esperto in radioprotezione» che svolge una generica consulenza, gli
esposti in categoria B che diventano una sorta di non
esposti e la registrazione del dato dosimetrico che
non e` piu` curata da un professionista abilitato e non e`
piu` tracciata attraverso le comunicazioni periodiche.
La Direttiva parla invece in modo esplicito di sorveglianza medica che deve essere comunque assicurata
dall’esercente. Come anticipato nell’esaminare le definizioni della Direttiva, la sorveglianza medica dei lavoratori esposti e` ora affidata a un «servizio di medicina
del lavoro», che puo` essere un operatore o un ente saXXII
nitario. Rispetto all’attuale normativa italiana questo
servizio andrebbe a sostituire il medico autorizzato o
competente, a meno di non limitare il recepimento
non consentendo l’estensione di questa funzione a un
ente sanitario.
In pratica la sorveglianza medica e` garantita ai soli lavoratori della categoria A (oggi in Italia e` garantita anche ai lavoratori di categoria B) ed e` svolta includendo:
a) una visita medica prima dell’assunzione o della classificazione quale lavoratore della categoria A (non dopo come e` attualmente nella nostra normativa), allo
scopo di determinarne l’idoneita` fisica;
b) controlli periodici dello stato di salute almeno una
volta all’anno (attualmente in Italia il minimo e` di
due visite annuali per i lavoratori in categoria A e
una solo per i lavoratori in categoria B) per determinare
se i lavoratori della categoria A conservano l’idoneita`
all’esercizio delle loro mansioni.
In seguito alle visite periodiche il lavoratore puo` essere
dichiarato:
– idoneo;
– idoneo, a determinate condizioni;
– non idoneo.
Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
Naturalmente nessun lavoratore puo` essere impiegato o
classificato per qualsiasi periodo di tempo in un determinato posto di lavoro come lavoratore di categoria A,
se l’esito della sorveglianza medica indica che non e`
idoneo.
Per ciascun lavoratore della categoria A deve essere costituito un libretto sanitario, tenuto aggiornato per tutto
il periodo di permanenza in tale categoria. In seguito, il
libretto e` conservato fino a quando il lavoratore abbia,
o avrebbe, compiuto i 75 anni e, comunque, per almeno
30 anni dalla cessazione dell’attivita` lavorativa implicante esposizione a radiazioni ionizzanti. Il libretto sanitario diventa l’unico documento individuale dove sono annotate le informazioni sulla natura del posto di lavoro, i risultati della visita medica effettuata prima dell’assunzione o della classificazione come lavoratore
della categoria A, i controlli sanitari periodici, nonche´
la registrazione delle dosi.
Considerazioni conclusive
Da quanto esposto dovrebbe essere chiaro che la portata della nuova Direttiva e` molto consistente e, nonostante la struttura generale della norma non subisca modifiche di sostanza, diversi dettagli sono rivisti e potrebbero portare a un cambiamento rilevante nella nostra legislazione dopo il recepimento.
Alcune figure professionali saranno ridimensionate e
altre assumeranno uno spessore che prima non avevano. L’attenzione alla radioattivita` naturale e al controllo
dell’esposizione dovuta alla medesima sono decisamente aumentati, con conseguente maggiore protezione
per i lavoratori e la popolazione, ma con un possibile
non sempre giustificato aumento delle spese da parte
degli esercenti.
I nuovi limiti per l’esposizione dell’occhio, benche´ giustificati dai nuovi risconti in campo sanitario, pongono
consistenti interrogativi e rappresentano una sfida per
radioprotezionisti ed esercenti.
In alcuni settori, come quello della radiologia interventistica, mantenere dosi all’occhio cosı` basse per i lavoratori esposti comporta notevoli spese aggiuntive anche
legate alla necessita` di aumentare le risorse umane e garantire una maggiore rotazione degli addetti. Inoltre il
possibile obbligo di individuare obiettivi di progetto
piu` restrittivi dei limiti potrebbe portare ad ulteriori
complicazioni in tutti i settori.
Lo scopo della Direttiva, che rappresenta un ulteriore
tassello nel panorama dei Basic Safety Standard (che
si puo` tradurre come: Basi Generali di Igiene e Sicurezza) d’Europa, e` comunque quello di adeguarsi alle piu`
recenti raccomandazioni degli organismi internazionali
accreditati, come l’ICRP, e questo obiettivo e` sicuramente raggiunto.
L’accoglimento nella nostra legislazione dovra` pero` tenere conto della situazione nazionale salvaguardando
soprattutto quelle professionalita` che sono state create
alcuni decenni or sono proprio dalla nostra legge. Figure come quella dell’«esperto qualificato» garantiscono
infatti un controllo interno della protezione di lavoratori e popolazione e sono depositarie di quel’insieme di
competenze indispensabili per effettuare le valutazioni
tecniche e affrontare le problematiche procedurali comInserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 7/2014
plesse. Ridurre l’autorita` e la responsabilita` di queste tipologie di professionisti potrebbe comportare un impoverimento nel loro patrimonio culturale a causa delle
scelte alternative che potrebbero fare gli individui piu`
ambizionsi e solitamente piu` preparati.
Anche gli imprenditori che dovessero affrontare un’attivita` con impiego di radiazioni ionizzanti potrebbero
sentire la mancanza di un professionista che oggi e`
piu` di un semplice consulente, in quanto si assume anche una parte delle responsabilita` relative alla radiopotezione.
Il futuro «esperto in radioprotezione» potrebbe essere
un mero consigliere senza diretti interessi formali nella
materia trattata e quindi l’esercente sarebbe piu` solo
nelle sue scelte e probabilmente maggiormente esposto
al rischio di sbagliare nell’adottare le migliori soluzioni
protettive.
Il recepimento della Direttiva nella nostra legislazione e`
pertanto molto piu` di un atto formale e benche´ i margini di manovra non siano molti, la procedura che e` iniziata e potra` durare fino a quattro anni dovra` essere impostata in modo da salvaguardare la forma, le professionalita` esistenti e naturalmente la salute delle persone.
XXIII