FARE MONDI - Dettaglio articolo - Flash Art

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04/04/14 10:04
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Marzo - Aprile 2014
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FARE MONDI
Michele Robecchi
Flash Art n. 277 agosto-settembre 09
OGNI OPERA D'ARTE RAPPRESENTA UNA VISIONE DEL MONDO
Lettere al Direttore
pubblicate su Flash Art
Marzo - Aprile 2014
...
IL PARAGONE CON le edizioni precedenti non dovrebbe essere uno strumento preponderante
nell’esprimere opinioni su una Biennale di Venezia, ma anche sottraendosi a questo gioco, è
indisputabile che la 53ma edizione, intitolata “Fare Mondi” e diretta da Daniel Birnbaum,
rappresenti un capitolo, a conti fatti, riuscito della recente storia della rassegna veneziana.
Birnbaum del resto partiva in vantaggio. L’aver co-curato insieme a Francesco Bonami “Ritardi e
Rivoluzioni”, la mostra nel Padiglione Italia nel 2003, gli aveva già conferito una certa familiarità
con gli spazi, oltre che con le fumose dinamiche che puntualmente accompagnano Venezia. Se si
aggiunge poi che la Biennale si è svolta pochi mesi dopo la seconda edizione della Triennale di
Torino — banco di prova sulla piazza italiana, che Birnbaum ha diretto uscendone relativamente
indenne — e la Triennale di Yokohama, affiancandosi alla normale attività di Portikus e della
Staedelschule a Francoforte, si evince che Birnbaum ha trattato Venezia esattamente come uno
qualsiasi dei suoi numerosi impegni.
Gea Politi con le Pussy Riot
Nadezhda Tolokonnikova e
Maria Alyokhina
...
Studio Azzurro per il
Touring club italiano
Marta Calcagno Baldini
Da più di trent’anni operano
ricercando la poesia nella
tecnologia
Agent/Encoding/Flow
Francesca Caputo
Prometeo Gallery di Ida
Pisani, Milano
TATIANA TROUVE’
Laura Cherubini
Galleria Gagosian, Roma
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DIZIONARIO DELLA
GIOVANE ARTE ITALIANA
(1)
LE NOSTRE CLASSIFICHE
LE SCUOLE CURATORIALI
NEL MONDO
PITTURA LINGUA MORTA?
Risultati asta di Phillips de
Pury 13 novembre 08
LARA FAVARETTO, Project for a Momentary Monument (Swamp), 2009. Veduta dell’installazione. Courtesy
Fondazione La Biennale di Venezia. Foto: Giorgio Zucchiatti.
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FARE MONDI - Dettaglio articolo - Flash Art
Pury 13 novembre 08
Risultati asta di Phillips de
Pury 14 novembre 08
SPECIALE PITTURA
SPECIALE ROMA
SPECIALE ROMA II
VENETO
04/04/14 10:04
Un calendario così intenso può forse destare qualche legittima perplessità, ma in effetti tale
convergenza di eventi è più un indicatore della politica eccessivamente cautelare di certe istituzioni
che dello snobismo o della presunzione del curatore, il quale si è trovato nella posizione invidiabile
di poter affrontare la cosa con la consueta calma e lucidità, svincolato dai desideri di rivalsa che
hanno rovinato Robert Storr nel 2007 e dalle futili pressioni mediatiche modello “prime donne che
curano una biennale”, che hanno segnato Rosa Martínez e María de Corral nel 2005. A rendere il
cielo più sereno ci ha pensato infine il tanto declamato Padiglione Italia, che ha fatto il suo ritorno
convenientemente lontano dai Giardini, lasciando a Birnbaum via libera nello spazio centrale.
Quest’ultimo, ribattezzato Palazzo delle Esposizioni, sebbene non regali particolari impennate è il
biglietto da visita ideale di “Fare Mondi”, titolo che ruota intorno al semplice quanto fondamentale
concetto che ogni opera d’arte rappresenta una visione del mondo. Birnbaum è un curatore
autenticamente transnazionale: cita un pilastro del dibattito sull’identità geografica come Edouard
Glissant e si muove agilmente nei meandri dell’arte americana ed europea con una metodologia
aperta e scientifica, che gli permette di avventurarsi con successo anche in territori a lui
teoricamente meno familiari come l’Asia, l’America Latina o l’Italia, qui ottimamente rappresentata
dalla pittura di Alessandro Pessoli e di Pietro Roccasalva e dallo spazio didattico interpretato da
Massimo Bartolini.
Un altro elemento che emerge è la propensione di Birnbaum a mescolare le carte, lavorando in
termini transgenerazionali e ragionando senza ansie da scoop o da mercato. Ci sono, è vero, dei
segni di cedimento lungo la strada (il Leone d’Oro attribuito alla caffetteria ideata da Tobias
Rehberger è stato un passo falso), ma la sensazione generale è quella di trovarsi davanti a una
mostra sostenuta da un impianto teorico solido e accettabile nell’insieme, anche quando si dissente
sui dettagli. Non viene spontaneo reclamare l’assenza di un artista in opposizione alla presenza di
un altro, e anche la scelta di ripescare nomi storici non proprio di grido come Tony Conrad o Blinky
Palermo non pare viziata dalla recente tendenza a improvvisarsi talent scout guardando al passato
anziché al presente, contribuendo invece intelligentemente al discorso globale. Sulla scia della
metodologia lanciata da documenta 12, ci sono anche artisti che ricorrono in maniera “virale” in
diverse sale, come Rachel e Toba Khedoori e Richard Wentworth. La tendenza ad accostare lavori
troppo simili o comunque in concorrenza tra loro, o a dedicare spazi esagerati ad altri è forse uno
dei pochi difetti imputabili a “Fare Mondi”. Nel Palazzo delle Esposizioni è una faccenda che
riguarda soprattutto Wolfgang Tillmans — intorno a cui ruota comunque un consenso tale che
sicuramente non spiacerà a nessuno — e Nathalie Djurberg, che ha integrato i suoi video con un
notevole giardino scultoreo.
SIMONE BERTI, Senza Titolo, 2007–2009.
Nell’Arsenale tocca invece all’installazione macroscopica — al punto da perdere tutta la sua forza
— di Pascale Marthine Tayou, o alla bella scultura di Falke Pisano, danneggiata dalla vicinanza
con il labirinto di Cildo Meireles. Proprio l’Arsenale, spazio diffi cile e prova del fuoco per ogni
direttore, è invece quello che regala maggiori sorprese. L’apertura solenne e cupa di Lygia Pape
seguita dalla fragorosa performance di Michelangelo Pistoletto e dalla caustica presa di posizione
sul turismo veneziano di Aleksandra Mir formano un’apertura spettacolare, che dà il ritmo giusto
alla mostra, facendo dimenticare l’imbarazzante installazione di Luca Buvoli o i capricci delle
Guerrilla Girls che hanno funestato le ultime due edizioni. È soprattutto la video arte, mezzo
solitamente penalizzato in questo tipo di manifestazioni, a meritare attenzione. Singspiel, il lavoro
di Ulla von Brandenburg, è un’elegante ripresa unica in bianco e nero che esplora momenti di vita
comunitaria e solitaria di un gruppo di personaggi all’interno di una casa progettata da Le
Corbusier. L’adunata finale si svolge nel giardino sul retro, dove una recita funebre accompagnata
da una ninna nanna interpretata dall’artista si conclude con un sipario, a simboleggiare la teatralità
dell’opera e della vita stessa. Keren Cytter lavora su premesse formalmente simili anche se con
uno stile completamente diverso. I personaggi di Elise Valentin Wilhelmine, film ispirato a Opening
Night di John Cassavetes, si muovono nervosamente in un contesto cupo e claustrofobico. La
presenza diretta del pubblico durante le riprese — a Venezia ricreata attraverso un’installazione ad
anfiteatro — aggiunge un’ulteriore nota di tensione. Cytter sembra voler mettere in scena l’altro lato
della medaglia del vouyerismo che domina il panorama dei reality show. È impossibile seguire le
vicende dei suoi personaggi senza fare i conti con un crescente senso di inquietudine. In antitesi
con l’installazione di Tayou, Ceal Floyer dimostra come la monumentalità possa essere una
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condizione valida se non è fine a se stessa. Il gigantesco bonsai riprodotto in chiusura del corridoio
centrale tocca un tema d’attualità come il destino del pianeta, senza scivolare nell’ovvio o nel
paternalista. “It’s Not You, It’s Me”, il Padiglione degli Emirati Arabi, a cura di Tirdad Zolghadr,
e quello dell’America Latina, curato dalla compianta Irma Arestizábal, forniscono un piacevole
intervallo. Il primo, pur cadendo in qualche trappola di stampo esotico-turistico, regala dei buoni
momenti grazie al suo originale percorso e agli splendidi lavori concettuali di Hassan Sharif. Il
secondo è la dimostrazione di come esista un’arte latinoamericana che sa parlare al mondo senza
dover per forza ricorrere a visioni splatter. La parte finale, solitamente dispersiva, è invece per una
volta più gestibile. Suggestivo il corridoio di Pae White, che ricrea un ambiente naturale nella
giungla postindustriale delle corderie. Discreta e intelligente la scultura di Lara Favaretto.
Deludente invece il Padiglione cinese. Molto più interessante, in quest’ottica, quello di Hong Kong,
che pur essendo ottimamente situato all’ingresso dell’Arsenale, avrà certamente attratto meno
visitatori.
Complice anche il clima del momento, è difficile che la Biennale di Birnbaum venga salutata come
un evento indimenticabile nell’immediato futuro. In tempi di crisi si ha la tendenza a invocare stati di
emergenza, e una risposta sobria e silenziosamente articolata come quella presentata da “Fare
Mondi” non va d’accordo con quelli che pensano che una mostra di questo taglio dovrebbe essere
meno “mono-dimensionale” e sismicamente più agitata. La sua consistenza è un valore che
emerge alla lunga distanza, ed è indubbio che il tempo la annovererà tra le biennali più riuscite.
Michele Robecchi è critico d’arte e curatore. Vive e lavora a Londra.
PAE WHITE, Weaving, Unsung, 2009. Veduta dell’installazione; LYGIA PAPE, TTÉIA 1, C, 2005. Veduta
dell’installazione; FALKE PISANO, Silent Elements (Figures of Speech) II. Per tutte: Courtesy Fondazione La
Biennale di
Venezia. Foto: Giorgio Zucchiatti.
Giancarlo Politi Editore - via Carlo Farini, 68 - 20159 Milano - P.IVA 09429200158 - Tel. 02.6887341 - Fax 02.66801290 - [email protected] - Credits
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