Tempi, spazi e didattica della storia

Tempi, spazi e didattica della storia
di Mario Albrigoni
Tempo-Spazio-Storia locale-Città: questo è uno dei microcosmi concettuali esplorati - e in
corso di esplorazione - da parte del Laboratorio di didattica della storia, attraverso un percorso
fatto di graduali approssimazioni alla complessità delle questioni teoriche implicate, senza mai,
comunque, perdere di vista le concrete esigenze didattiche degli insegnanti, che del Laboratorio
sono gli attori principali.
Mario Albrigoni, nato a Vigevano nel 1955, laureato in Filosofia a Pavia, è insegnante di scuola media.
Da diversi anni collabora con il Laboratorio di didattica della storia dell’Università di Pavia in attività di formazione e ricerca didattica.
La città
Nel corso di questa esplorazione un fondamentale punto di riferimento è stato il concetto di ‘città’, che il Laboratorio, nell’ambito della sua attività, ha assunto come preciso
oggetto di indagine.
Come è stato sottolineato da Antonio Brusa nella sua relazione,1 tra i concetti che
ricorrono nei programmi di storia e geografia della scuola elementare e media - ma anche in
quelli delle superiori - il concetto di città non solo è tra i più frequenti ma, data la sua
complessità, è anche quello che maggiormente necessita (o necessiterebbe) di un lavoro di
progressiva strutturazione da parte dell’insegnante.
E’ una ingenuità abbastanza diffusa il fatto di ritenere che, essendo la città il luogo
‘naturale’ di vita di quasi tutti gli alunni, il loro modo di percepirla sia del tutto analogo a
quello in cui viene percepita dagli adulti. In realtà, dalle ricerche psicologiche su come i
bambini concettualizzano la città, emerge una differenza abbastanza netta nel corso dello
sviluppo. Mentre nel bambino di scuola materna la città viene fatta coincidere inizialmente
con la propria casa e con l’ambiente direttamente conosciuto, verso i 6/7 anni si definiscono
due aree differenziate: una data dalle conoscenze relative alla propria città, l’altra relativa alla
città in generale, e dove predominano gli aspetti costruiti (case, strade, negozi, semafori,
ecc.). Solo successivamente a questi elementi se ne aggiungono altri di carattere storico
(monumenti), sociale e culturale (ospedali, scuole, musei, cinema, ecc.) e di tipo economico
(l’esistenza di ‘luoghi di lavoro’). Le maggiori difficoltà emergono, comunque, nell’individuare le funzioni economico-sociali svolte dalle città, rispetto a quella residenziale, che invece viene colta molto presto.
Il contributo del Laboratorio alla elaborazione del concetto di città si è così concretizzato,
in primo luogo, nella formulazione di un progetto che ha previsto lo studio dell’evoluzione
degli spazi urbani nel corso di diverse epoche storiche, attraverso l’addestramento degli
alunni all’uso di fonti di vario tipo, scelte tra quelle in grado di documentare questo
fenomeno in modo esemplare - come nelle unità didattiche De Magnalibus Mediolani. Arti
e mestieri in una città medievale; Pavia romana e Pavia longobarda; Storia sociale di Pavia
medievale; La città medievale (Genova e le città toscane); La città industriale (ManchesterBirmingham-Parigi); L’immagine di Pavia dal Ticino;2 e, in secondo luogo, nell’analisi del
processo di elaborazione cognitiva sotteso alla creazione, da parte del bambino, anche nei
primi anni di vita, di una serie di ‘mappe mentali’ degli ambienti in cui vive. Tutto ciò allo
scopo di mettere a fuoco una serie di operazioni cognitive differenti per tipo e livello, in
grado di favorire la modificazione, l’ampliamento e la ristrutturazione di queste ‘mappe’. Il
risultato di questa fase del lavoro è costituito dalle unità didattiche Lo spazio e il tempo nel
1
ANTONIO BRUSA, Dentro e fuori le mura, in questo stesso volume.
2
Le unità didattiche sono contenute in Dal manuale alla storia locale. Trenta unità didattiche per la
scuola media inferiore, a cura di ANTONIO BRUSA, Milano, 1992; Quaderno n. 7 e Quaderno n. 11 de “I viaggi di Erodoto”.
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quotidiano: i ritmi del giorno e gli ambienti vissuti; Un ambiente di vita: la casa; Un ambiente
di vita: il quartiere Borgo Ticino.3
La storia locale
Può sembrare superfluo, dopo queste pur brevissime riflessioni utili a motivare la scelta di un oggetto di studio come la città, giustificare l’interesse del Laboratorio per la storia
locale. Come se non fosse già di per sé evidente che lavorare alla costruzione del concetto di
città abbia significato, inevitabilmente, occuparsi dell’evoluzione storica dello spazio urbano di Pavia e dei suoi rapporti con le realtà urbane e territoriali circostanti.
Tuttavia alcune precisazioni vanno fatte, se non altro per capire come, in realtà, più
che di un interesse, si debba parlare, a proposito del Laboratorio, di una vera e propria
vocazione allo studio della storia locale, vista la sua collocazione all’interno del Dipartimento Storico Geografico che, con la direzione del professor Giulio Guderzo, ha contribuito
significativamente al rinnovamento della storiografia locale, ancorandola saldamente al
movimento di rinnovamento in atto già da alcuni decenni nei vari ambiti della ricerca
storica.
Già dal 1979, lo stesso Guderzo annunciava il proposito, nell’editoriale con cui apriva
il primo numero degli “Annali di storia pavese”, di ‘innestare’ nell’attività didattica materiali, metodi e suggerimenti provenienti dalle ricerche di storia locale, di cui la rivista si apprestava a diventare strumento privilegiato di dibattito e divulgazione.4 E quando poi, nel
novembre del 1995 il Laboratorio si è costituito ufficialmente come Centro universitario di
ricerca, si è ritrovato, per così dire, nel suo patrimonio genetico l’attitudine alla storia locale
e alla sua valorizzazione in chiave didattica.
Successivamente, un ulteriore, forte, stimolo a proseguire in questa direzione è venuto
dall’incontro con gli studi del professor Ivo Mattozzi che, in questi ultimi anni, si è dedicato
con l’entusiasmo e l’impegno dello storico militante a promuovere occasioni di dibattito e
riflessione metodologica e a progettare attività che prevedono l’introduzione, i modo non
occasionale ma organico, dell’insegnamento della storia locale nei curricoli scolastici. Lo
stesso Mattozzi è autore di un “Manifesto per la conoscenza delle storie locali nella scuola”
- fatto proprio e sottoscritto dal Laboratorio - in cui, di questa disciplina storica, si sottolineano oltre che il valore conoscitivo e metodologico, il valore formativo, in quanto l’insegnamento della storia locale può favorire, a diversi livelli, la costruzione del senso di identità
sociale dei giovani nonché la formazione civica dei futuri cittadini. Inoltre, la conoscenza
delle vicende locali di altri territori, aiutando ad attribuire dignità alle storie altrui, favorisce
l’affermarsi di atteggiamenti rispettosi del valore delle differenze.5
Lo spazio e il tempo
3
Questo materiale è disponibile in fotocopia presso il Laboratorio di didattica.
4
Cfr. GIULIO GUDERZO, Editoriale, in “Annali di
storia pavese” n. 1, 1979.
5
Il testo del “Manifesto” sulla storia locale di Ivo
Mattozzi è reperibile in fotocopia presso il Laboratorio
di didattica.
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Si è trattato, a questo punto, di prendere in considerazione spazio e tempo in quanto
categorie di conoscenza che costituiscono sia le elaborazioni intellettuali primarie che hanno avuto, via via, la funzione di strumenti organizzatori della conoscenza umana, sia le
dimensioni entro cui si colloca e si contestualizza l’esperienza sociale e culturale di ogni
individuo, a partire dalla primissima infanzia.
All’interno di queste due dimensioni si evolve e si struttura gradualmente la capacità di
orientarsi nell’ambiente e di modificarlo; si avvia il processo di formazione della personalità,
passando attraverso un complesso intreccio di relazioni tra elementi naturali e sociali, soggettivi e oggettivi, tra presente e passato, tra pubblico e privato.
Ben consci della complessità dell’impresa, si è così avviata, con un approccio di tipo
multidisciplinare, una prima fase di riflessione, che ha preso in considerazione i risultati
acquisiti in campo psicologico dalle ricerche sul processo di elaborazione cognitiva delle
categorie di spazio e tempo in età evolutiva.
Il principale punto di riferimento, in questo ambito, sono stati naturalmente gli studi
di Piaget, ma soprattutto le ricerche più recenti che tendono, generalmente, al superamento
di un diffuso stereotipo secondo cui, di fronte alle più svariate difficoltà dell’allievo, l’insegnante sentenzia inequivocabilmente: “il bambino non ha la nozione del tempo”. In questi
studi non si nega il fatto che i bambini manifestino inadeguatezze, incertezze e dubbi in
relazione alle implicazioni temporali dei fenomeni che devono comprendere, tuttavia ciò
non viene considerato alla stregua di una “limitazione strutturale” del pensiero infantile,
bensì come il risultato del modo inadeguato in cui viene posta, in ambito scolastico, la
questione della dimensione temporale; infatti, secondo Calvani “nella scuola si parla di
“tempo” e in realtà ci si riferisce a una miriade di situazioni del tutto diverse; dietro al
“tempo” si contrabbandano problemi di comprensione linguistica, logica, matematica, e
una pluralità di carenze informative di vario tipo”.6 Non esiste, dunque, il “tempo” come
nozione unica e ben definita, qualcosa che si ha o non si ha; esiste invece una molteplicità di
problemi temporali la cui complessità varia in rapporto al contesto in cui si collocano e alla
tipologia di fattori che li determinano, e la cui risoluzione dovrebbe indurre l’attività formativa
a concentrarsi sull’addestramento di specifiche abilità, applicate a contenuti particolari,
rinunciando a ogni pretesa di educazione temporale “in sé”.
Conclusioni
La prima conclusione cui la riflessione del Laboratorio è approdata è che la scuola non
può sottovalutare il compito di formare nozioni fondamentali come quelle di spazio e tempo - sottese trasversalmente a competenze e abilità di ogni tipo - e, tantomeno, affidarlo a
processi formativi ‘spontanei’ o alla casualità dell’esperienza quotidiana; al contrario, deve
indicare chiare ed efficaci modalità di intervento.
Va tuttavia sottolineato che il riferimento esplicito alle dimensioni spaziale e temporale costituisce, all’interno del contesto istituzionale della scuola dell’obbligo , una buona base
di partenza: da una lettura trasversale dei Programmi della scuola elementare e media, e degli
Orientamenti della scuola per l’infanzia, emerge una serie di idee comuni - finalità formative,
obiettivi, abilità, indicazioni metodologiche - relative alla costruzione delle categorie di spazio e tempo.
Un altro elemento scaturito dalla riflessione riguarda le competenze implicate dal sapere storico. Da più parti si sottolinea come il tempo e lo spazio siano da considerarsi due
categorie fondanti, la cui padronanza è indispensabile per la costruzione della conoscenza
storica. A detta di Ivo Mattozzi, nell’attrezzatura mentale che gli allievi devono acquisire per
avvicinarsi al sapere storico, il concetto organizzatore di tempo rappresenta uno strumento
insostituibile perché i fenomeni studiati si sono svolti nel tempo; perché l’utilizzo di tutti gli
altri concetti si trova in subordine rispetto al concetto di tempo; perché i dati relativi al
passato, per assumere significato, valore e organicità devono essere analizzati e ordinati
cronologicamente.7
In sintonia con Mattozzi, Antonio Brusa sottolinea, a sua volta, l’importanza nell’educazione storica dei concetti di spazio e tempo. Nel suo progetto di Laboratorio storico sono
infatti presenti suggerimenti metodologici e proposte di attività espressamente dedicate alla
costruzione delle nozioni di spazio e tempo; in particolare, Brusa sottolinea l’utilità di costruire e saper usare mappe spazio-temporali di scala diversa (planetarie, regionali, nazionali).8
Un ulteriore contributo alla riflessione su questo tema è venuto da Maurizio Gusso
che, in numerose occasioni e nell’ambito di esperienze ormai collaudate, ha rimarcato
l’interconnessione esistente, in ambito didattico, tra i concetti di spazio e tempo, e ha sostenuto, di conseguenza, l’opportunità di introdurre in tutti i gradi di scuola un’ “area” spaziotemporale prima (nella scuola materna) e geostorico-sociale poi (dalle elementari alla secondaria superiore).
6
Cfr. ANTONIO CALVANI, Il bambino, il tempo, la
storia, Firenze 1988, p. 6 e sgg.
7
Cfr. IVO MATTOZZI, I bambini, il tempo, la storia: educazione temporale e curricolo di storia nella scuola elementare, in Tempo e spazio dimensioni del sapere,
Milano 1988.
8
Cfr. ANTONIO BRUSA-LUCIANA BRESIL, Laboratorio 1-2-3, Milano 1996.
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9
Cfr. MAURIZIO GUSSO, Per un curricolo innovativo di formazione geo-storico-sociale, in E. BERGOMI, MAURIZIO GUSSO (a cura di), Per un curricolo continuo di
formazione geo-storico-sociale nella scuola di base, “Quaderni Irrsae Lombardia”, 1994, n. 34, vol.1, pp. 12955.
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Ipotizzando la fondazione di un’area geostorico-sociale, Gusso evidenzia un comune
terreno d’indagine e una affinità di metodi tra storia e geografia in particolare, tali da
rendere sempre più problematici i confini tra queste discipline, al punto che non è più
possibile tracciare linee di demarcazione precise tra l’una o l’altra scienza sociale o differenziarle in base all’oggetto, poiché spesso gli stessi fenomeni sono studiati in contesti disciplinari diversi e non rientrano quindi nella sfera di competenza esclusiva di una singola disciplina.9 Del resto, fenomeni come quelli che sono al centro del dibattito in questo convegno
non possono essere oggetto esclusivo di una singola disciplina, ma richiedono l’impiego
convergente di prospettive metodologiche diverse e complementari.
In altri termini, per citare Giulio Mezzetti, occorre “ridare il tempo alla geografia e lo
spazio alla storia”.