Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna T rimestrale di A lpinismo e C ultura A lpina e v r i D tenti N°29 - ESTATE 2014 - EURO 5 Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio Vetta di Ron Due vie per una delle regine delle Retiche centrali. Roccia Val di Mello: arrampicata in aderenza Speciale clima 2013-14: inverno da record Morbegno Ciapponi, dal 1883 Personaggi Antonio Cederna (1841-1920) Valchiavenna I pizzi del Torto Alta Valtellina A Dombastone o ai Passi dello Zebrù? Val Tartano L'angelo delle Cadelle Valmalenco Alta Via: presentazione, storia e 1a tappa Valtellinesi nel Mondo Viaggio in Myanmar Natura Vipere, tra leggende e realtà L'arte della fotografia L'ora blu Inoltre Ricette, poesie, foto dei lettori, giochi, libri ... L'Alta Via della Valmalenco VALCHIAVENNA - BASSA VALTELLINA - VAL MÀSINO - ALPI RETICHE E OROBIE - VALMALENCO - ALTA VALTELLINA 1 LE MONTAGNE DIVERTENTI Editoriale Vi porgiamo il nostro lavoro con l'augurio di poter vivere splendide giornate tra la storia e la natura delle nostre montagne, in compagnia di famigliari e amici, liberi dai congegni multimediali che costringono l'uomo in un mondo virtuale di immobilità fisica e frenesia mentale che non lascia il tempo di riflettere. Editoriale Beno Beno 2 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI In copertina: sguardo sul gruppo del Sella - Glüschiant dal lago delle Forbici, posto nei pressi del passo delle Forbici (m 2660) sulla V tappa dell'altavia della Valmalenco (25 luglio 2010, foto Francesco Vaninetti - www.clickalps.com). Ultima di copertina: il lago degli Andossi e i pizzi dei Piani in Valchiavenna (20 luglio 2013, foto Roberto Moiola). Editoriale: il monte Ortles dalle pendici di punta Rosa al passo dello Stelvio (25 agosto 2010, foto Giacomo Editoriale Meneghello). 3 O LE MONTAGNE DIVERTENTI S I peciali tinerari d’alpinismo I tinerari d’escursionismo R ubriche Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369 Editore Direttore Responsabile Enrico Benedetti I Beno Redazione Alessandra Morgillo Beno Gioia Zenoni Roberto Moiola 10 Realizzazione grafica Revisore di bozze Mario Pagni Responsabile della cartografia Matteo Gianatti L'alta Via della Valmalenco La storia e le tappe 54 Versante Retico Vetta di Ron (m 3136) - via normale 78 Alta Via della Valmalenco 1a tappa: Ciappanico - Bosio 114 Valtellinesi nel mondo Myanmar 126 Natura Vipere R Beno Andrea Mihaiu, Andrea Sem, Antonio Boscacci e Luisa Angelici, Bruno Mazzoleni, Dicle, Eliana e Nemo Canetta, Enrico Minotti, Fabio Pusterla, Francesco Vaninetti, Franco Benetti, Gliavio Casello, Giacomo Meneghello, Giancarlo Corlatti e Rosita Orsatti, Gianluca Gusmeroli, Gianni De Stefani, Gioia Zenoni, Giordano Gusmeroli, Giovanni Rovedatti, Giuseppe Cederna, Kim Sommerschield, Ladina Negrini, Lorenza Falcinella, Luciano e Mattia Bruseghini, Matteo Gianatti, Mario Sertori, Mario Pagni, Matteo Di Nicola, Matteo Tarabini, Maurizio Cittarini, Nicola Giana, Raffaele Occhi, Roberto Ganassa, Roberto Moiola, Sergio Scuffi, Stellina, Valentino Bedognetti. A Hanno collaborato a questo numero: 20 2013-2014 Inverno da record 60 Versante Retico Vetta di Ron - via dei Campanili 88 Ciappanico Intervista Si ringraziano inoltre Pubblicità e distribuzione [email protected] tel. 0342 380138 Stampa Bonazzi Grafica -via Francia, 1 -23100 Sondrio M Avis Comunale Sondrio, Franco Monteforte, Cesare Sertore, Luigi Pasini, Amos Gianoli, la Tipografia Bonazzi, gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e gli sponsor che credono in noi e in questo progetto... e tutti quelli che abbiamo dimenticato di citare. 31 Per ricevere la nostra newsletter: registra il tuo indirizzo email su www.lemontagnedivertenti.com Val di Mello Arrampicata in aderenza 64 96 68 102 Personaggi Cesare il pastore e Luigi l'alpinista Alpi Orobie Monte Cadelle (m 2483) 134 Fotografia L'ora blu Contatti, informazioni e merchandising Abbonamenti per l’Italia annuale (4 numeri della rivista): costo € 22 da versarsi sul c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50 intestato a: Beno di Benedetti Enrico via Panoramica 549/A 23020 Montagna (SO) nella causale specificare: nome, cognome, indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti” M [email protected] www.lemontagnedivertenti.com 38 - www.lemontagnedivertenti.com - oppure telefonare al 0342 380138 (basta lasciare i dati in segreteria). Arretrati [email protected] - € 6 cad. Numeri esauriti: PDF scaricabili dal sito della rivista Ciapponi dal 1883 Valchiavenna Dal passo di Lendine al pizzo del Torto Alta Valtellina Dombastone 140 Le foto dei lettori 151 Giochi O fatto il bonifico è necessario registrare il proprio abbonamento su Prossimo numero S 21 settembre 2014 54 Antonio Cederna (1841-1920) Patriarca dell'alpinismo lombardo Estate 2014 74 Approfondimenti L'alpe di Lendine LE MONTAGNE DIVERTENTI 108 Alta Valtellina I passi dello Zebrù 154 Le ricette della nonna Le virtù del timo Sommario 5 Localizzazione luoghi Zillis Zillis Wergenstein Bergün Parsonz Sufers 3062 2115 Mulegns 3279 3378 Cresta St. Moritz 3183 CHIAVENNA Prata Camportaccio ra T. Code Novate Mezzola 3032 Bellàno Taceno Pescegallo Pizzo dei Tre Signori 2554 Introbio Lierna LE MONTAGNE DIVERTENTI Caiolo Tartano Ornica Barzio Monte Cadelle 2483 Passo San Marco 1985 Foppolo Carona Mezzoldo Cùsio Piazzatorre Valtorta Pasturo Colorina Cassiglio Olmo al Brembo Albosaggia Pizzo Campaggio 2503 Monte Masuccio 2816 Bianzone Teglio Tresenda Arigna Carona Aprica Còrteno Vilminore Colere Villa Pizzo Camino 2492 Pezzo Pezzo Cortenedolo Vione Passo del Tonale 1883 Edolo Arrampicata in aderenza (Antonio Boscacci e Luisa Angelici) 38Morbegno Ciapponi, dal 1883 (Andrea Mihaiu) 54 Versante Retico Vetta di Ron (m 3136) (Beno) 68Valchiavenna Dal passo di Lendine al pizzo del Torto (Valentino Bedognetti) 78Valmalenco Alta Via, 1a tappa: da Ciappanico alla Bosio (Eliana e Nemo Canetta) 96 Alpi Orobie Monte Cadelle (m 2483) (Gianluca Gusmeroli) 102Alta Valtellina Adamello 3554 Monte Fumo 3418 Garda Monte Carè Alto 3462 Berzo Paisco Sonico Concarena 2549 Ponte di Legno Incudine Monno Palone del Torsolazzo 2670 Schilpario Estate 2014 Vezza d'Oglio Malonno Pizzo di Coca Monte Torena 2911 3050 Monte Sellero 2743 Pizzo di Redorta Loveno 3039 Monte Gleno Pizzo del Diavolo 2883 Valbondione di Tenda Passo del Vivione 2914 1828 Gromo Mazzo 100 Corno corno dei Tre Signori 3359 Punta di Pietra Rossa Monte Tonale 3212 2694 Monte Serottini 2967 Passo dell'Aprica Pizzo di Rodes Gandellino 102 31 Val di Mello Punta San Matteo 3678 Passo di Gavia 2618 Fumero Sondalo Tovo Lovero Sernio TIRANO 3769 Santa Caterina Le Prese Adda 2829 Branzi Roncorbello Adda T. V enin a Geròla Ponte in Valt. Cepina Grosotto Brusio Chiuro 96 Premana Boirolo SONDRIO T. Livrio Albaredo 3136 54 Tresivio Talamona Tremenico Bellagio 6 Bema Postalesio Berbenno Castione Torre di S. Maria Monte Confinale 3370 Grosio Fonta na Cevo Bùglio Caspano Ardenno Dubino Mantello Mello Traona Dazio Sirta MORBEGNO 78 3323 Le Prese Vetta di Ron T. Mallero 2845 Verceia Delébio Rògolo Còsio 38 Regolédo Dervio 3114 Pizzo Scalino Lanzada Caspoggio Chiesa in Valmalenco Malghera Poschiavo T. Va l Cima del Desenigo Sasso Nero 2917 Primolo Bagni 31 3678 di Màsino Pizzo Ligoncio San Martino Corni Bruciati Monte Legnone 2610 Lago di Como Monte Disgrazia T. Caldenno Lago di Mezzola Còlico Dongo 3378 o T. Màsin Montemezzo Livo Gera Lario Somaggia Chiareggio Cima di Castello Monte Cevedale 108 frana di val Pola Eita San Carlo Gran Zebrù 3851 San Antonio BORMIO Valdisotto Cima di Saoseo 3263 i od Lag chiavo Pos 2459 3308 San Cassiano San Pietro Samòlaco Era Pizzo Martello Bondo Villa di Chiavenna Pizzo Badile La Rösa 4049 Passo del Muretto 2562 Vicosoprano Passo del Bernina 2323 Oga Cima Piazzi 3439 Ortles 3905 Bagni di Bormio Premadio T. Roasco Gordona Soglio Castasegna Prosto Mese Piz Palù Pizzo Bernina 3906 Casaccia Pizzo Galleggione 3107 Mera 68 Passo del Maloja 1815 Pizzo Stella Pizzo Quadro 3013 Dosso d. Liro Maloja Isolaccia Arnoga Forcola di Livigno 2315 Sils T. La nte rna Fraciscio Passo dello Stelvio 2757 Valdidentro Passo del Foscagno 2291 Solda Solda Giogo di Santa Maria 2503 Trepalle Pianazzo Campodolcino 1816 Piz Languard 3268 Silvaplana Juf Lag 3180 hi d i Ca nca no Pontresina Julierpass Bivio Lago d i Lei Madesimo Livigno 3057 Mera 3209 Cima la Casina Samedan Piz Nair 3392 Pizzo d'Emet Isola Sur Stelvio Stelvio San Maria Lago del Gallo Piz Piatta Montespluga 3159 Inn Montechiaro Montechiaro Müstair Piz d'Err Piz Grisch Innerferrera Passo dello Spluga Zuoz Albulapass 2312 Julia Curtegns 1864 Ausserferrera Piz Quattervals 3418 Reno Splügen Medels Pizzo Tambò Piz Kesch Cunter Andeer e itinerari Saviore 108Alta Valtellina Valle Dombastone (Giacomo Meneghello) I passi dello Zebrù (Eliana e Nemo Canetta) Capo di Ponte Làveno LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte Re di Castello 2889 Niardo Niardo © Beno 2013 2011 - riproduzione vietata Localizzazione di luoghi e itinerari 7 L e g e n d a Schede sintetiche e tempistiche Ogni itinerario è corredato da una scheda sintetica in cui vengono riassunte le caratteristiche principali Ottimo anche per anziani non più autosufficienti o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale per la camporella, anche per le coppiette meno esperte. del percorso, tra cui dislivello, tempo di percorrenza e difficoltà. A fianco trovate una breve e divertente spiegazione dei 7 gradi della “scala Beno” con cui viene valutato l'impegno complessivo richiesto dalla gita. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. Sotto la voce "dettagli", invece, viene espressa la difficoltà tecnica secondo la scala alpinistica convenzionale, corredata da una breve spiegazione. Le tempistiche, indicate nel testo descrittivo, sono progressive, cioè indicano il tempo necessario1 per raggiungere la località partendo dall'ultimo riferimento crono-geografico2. Le schede sintetiche sono affiancate da un box grafico che, esprimendo una valutazione su bellezza, pericolosità e fatica, vi permetterà a colpo d’occhio di scegliere l’itinerario a voi più consono. Si comincia a dover stare attenti alle storte, alle cavallette carnivore e nello zaino è meglio mettere qualche provvista e qualche vestito. 1 - Se non emergono difficoltà tecniche, la velocità ipotizzata è di 350 metri di dislivello all'ora, oppure 3 km orari su itinerario pianeggiante. 2 - " [...] raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30)" indica che per raggiungere la Sfinge occorrono 30 minuti partendo dal precedente riferimento crono-geografico, che in questo caso era, qualche riga prima, la sella Ligoncino "[...] fino alla sella Ligoncino (m 2770, ore 2:15)." Per facilitare l'individuazione dei riferimenti crono-geografici, questi sono tutti formattati in grassetto. BELLEZZA PERICOLOSITÀ Quasi meglio il centro commerciale Carino Assolutamente sicuro Bello Anche per uomini larva Nulla di preoccupante Impegnativo Assolutamente fantastico FATICA Basta stare un po’ attenti Un massacro Richiesta discreta tecnica alpinistica Pericoloso (si consiglia una guida) ORE DI PERCORRENZA DISLIVELLO IN SALITA meno di 5 ore meno di 800 metri dalle 5 alle 10 ore dagli 800 ai 1500 metri dalle 10 alle 15 ore dai 1500 ai 2500 metri oltre le 15 ore oltre i 2500 metri Le scarpe da ginnastica cominciano ad essere sconsigliate (sono d’obbligo abito da sera e mocassini). È meglio stare attenti a dove si mettono i piedi. Vertigini vietate! Montagna divertente, itinerario molto lungo e ricco di insidie di varia specie. Sconsigliato a tutti gli appassionati di montagna non temerari e dopati. Itinerario abbastanza lungo, ma senza particolari difficoltà alpinistiche. È richiesta una buona conoscenza dell’ambiente alpino, discreta capacità di arrampicare e muoversi su ghiacciaio o terreni friabili come la pasta sfoglia. È consigliabile una guida. Valida alternativa al suicidio. Solo per persone con un’ottima preparazione fisicoatletica ed esperienza alpinistica. Servono sprezzo del pericolo e, soprattutto, barbe lunghe e incolte. Speciali L'Alta Via della Valmalenco Eliana e Nemo Canetta L’Alta Via della Valmalenco è il famoso anello escursionistico, etnografico e naturalistico che tocca i luoghi più suggestivi della Valmalenco. Marcato per la prima volta con bolli triangolari gialli tra il 1975 e il 1976, è lungo all’incirca 110 km. Diviso in otto tappe, attraversa ambienti di media e alta quota, raccordando fra loro diversi rifugi storici e lambendo i massicci del monte Disgrazia (m 3678), del pizzo Bernina (m 4049) e del pizzo Scalino (m 3323). I pernottamenti in rifugio e le diverse varianti possibili ne aumentano il fascino, soddisfacendo anche i desideri degli escursionisti più esigenti. La sua creazione, voluta e gestita dal Museo di Valle, fu realizzata con l’intento di guidare i turisti alla scoperta della Valmalenco. Un invito a unire il camminare con la voglia di conoscere e comprendere, per apprezzare a fondo la realtà naturalistica e culturale di una delle principali valli delle Alpi Retiche. A giudizio di molti autori, fu l’inizio dell’escursionismo culturale nel nostro Paese! 10 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Lungo la variante della VI tappa dell'Alta Via della Valmalenco, ai piedi di pizzo d'Argento e pizzo Zupò (31 agosto 2013,L'Alta foto Luciano Bruseghini). Via della Valmalenco 11 Valmalenco Speciali Visione d'insieme delle 8 tappe dell'Alta Via della Valmalenco con le relative varianti di tracciato e di accesso. Nella cartina allegata a questo numero della rivista (Valmalenco 1:30000 - speciale Alta Via della Valmalenco) trovate tutti i recapiti telefonici dei rifugi strategici per questo percorso a tappe. Per ulteriori informazioni sui periodi di aprtura, oppure sulle modalità di prenotazione visitate il sito www.waltellina.com. Andò così C Dalla tracciatura, alla bollatura, alla presentazione ufficiale alla Terrazza Martini a Milano (28 giugno 1979): alcuni dei momenti che hanno portato alla nascita dell'Alta Via della Valmalenco (1974-1975, foto archivio Canetta). 12 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 inquant’anni fa il quadro dei musei e delle istituzioni culturali della provincia di Sondrio era molto diverso da quello attuale, nella fattispecie privo di vivacità e di interessi riguardo ai temi etnografici e naturalistici. Basti pensare che il Museo di Storia e Arte di Sondrio era ospitato nella biblioteca di Villa Quadrio, come fosse un’appendice. Ma i tempi erano maturi e vari gruppi LE MONTAGNE DIVERTENTI si apprestavano a modificare radicalmente una situazione francamente poco brillante. Tra le tante iniziative, nel 1970 a Chiesa Valmalenco prendeva corpo per mano di Giancarlo Carrara, Giancarlo Corbellini e Nemo Canetta, il comitato promotore del Museo della Valmalenco, che con il determinante appoggio del Comune di Chiesa intendeva realizzare un museo vallivo. Un museo in grado di illustrare tutti gli aspetti e le vicende dell’intero bacino del Mallero, da Sondrio alla vetta del Bernina. Per due anni il comitato s’impegnò a risolvere numerosi problemi e, tra questi, la raccolta di fondi e reperti. Grazie alla generosità dei residenti e dei villeggianti, giunsero presto a ottimi e soddisfacenti risultati. Il 2 gennaio 1972, nell’antico Oratorio di San Carlo e nel sovraL'Alta Via della Valmalenco 13 Valmalenco Speciali stante locale attiguo alla parrocchiale dei SS. Giacomo e Filippo1, fu inaugurato il Museo Storico Etnografico Naturalistico della Valmalenco. Per l’occasione, importantissime testate giornalistiche, le riviste del TCI e del CAI, Il Milione, Airone e altre, definirono il neonato museo “Il primo Museo di valle italiano”. Se pensiamo che il tutto fu realizzato con un impegno pubblico/privato al costo di soli due milioni di lire circa, ben si comprende l’ampiezza del successo. Ricordiamo che il C.I.G. di Tirano, sotto la guida di Bruno Ciapponi Landi, inaugurò il proprio Museo Etnografico di lì a pochi mesi, mentre il maestro Mario Testorelli a Sant' Antonio Valfurva, qualche tempo dopo, realizzò un interessante museo a indirizzo storico-etnografico. Negli stessi anni sorgevano nelle Dolomiti diverse “Alte Vie”, che giungendo al numero di 7, traversavano in ogni direzione i monti Pallidi. Queste erano di tipo esclusivamente escursionistico e alpinistico, prive di velleità culturali. Il nostro comitato seguiva con molto interesse la nascita di queste iniziative, e da qui nacque l’idea: perché non realizzare un’Alta Via anche in Valmalenco? Si pensò a un percorso circolare che comprendesse tutto o quasi il circo di valli a una quota compresa tra i 1500 e i 3000 metri, abbinando altresì all’interesse paesaggistico e ambientale un ampio spettro di temi e soggetti culturali. Gli autori presto compresero la necessità di portare turisti ed escursionisti a visitare in situ i luoghi d’interesse culturale essendo impossibile trasportare all’interno di un piccolo museo morene e fronti glaciali, miniere e cave o alpeggi con la lavorazione del latte. Individuarono pertanto una serie di escursioni sotto la quota 2000 - quindi percorribili dalla tarda primavera all’autunno inoltrato - le quali, congiunte a uno o più temi, costituissero una sorta di prolungamento esterno del museo. Questi in sintesi i fatti di come nacque esattamente quarant’anni orsono l’Alta Via della Valmalenco, la prima alta via italiana a vocazione escursionistico-culturale, la quale assunse in seguito come motto la frase - adottata poi da tanti altri percorsi analoghi - “camminare per conoscere”. Il progetto prese corpo impiegando e raccordando sentieri esistenti e già percorribili, sino ad allora poco o manco segnalati, e ipotizzando anche qualche nuovo tratto. Per la segnaletica orizzontale si scelsero bolli e triangoli di colore giallo (che presto divennero il simbolo dei percorsi del Museo della Valmalenco) con l’intento preciso di sottolineare, differenziandoli, i percorsi culturali da quelli esclusivamente escursionistici segnati con bandiere bianco/rosso che solitamente, in quegli anni, marcavano solo l’accesso ai rifugi. Q uali permessi dovettero chiedere Carrara, Corbellini e Canetta? Quali e quanti fondi pubblici, e chi materialmente segnò l’Alta Via? Le risposte sono semplici e andrebbero riconsiderate per trarne proficui insegnamenti. A quei tempi, per fare segnaletiche o apporre cartelli indicatori non necessitava chiedere alcun permesso e neppure eseguire lunghe e costose progettazioni. Bastava accordarsi col sindaco del comune interessato e una semplice stretta di mano siglava il patto. Purtroppo l’eccessiva burocrazia dei tempi odierni, pur finalizzata a evitare gli abusivismi e il dilagare di iniziative scoordinate, ma anche a mantenere le solite lobby di speculatori, troppo spesso si perde in mille rivoli e cavilli impedendo alle persone meritevoli di agire e/o disporre dei fondi e dei mezzi necessari. Chiedere denaro all’Unione Europea non era ancora in auge, pertanto le spese (non eccessive) furono sostenute interamente con le offerte al Museo e dalle borse dei volontari, in pratica i membri del comitato promotore affiancati da qualche amico e da quei gestori dei rifugi che compresero subito l’importanza della realizzazione. Così tra il ’75 e il ’76 l’Alta Via, unitamente ai Percorsi Culturali del Museo, furono interamente segnalati. Un insieme di circa 200 km di tracciati che costituirono una rete di sentieri a tema, unica nel suo genere. A titolo informativo ricordiamo che la segnaletica di tutta l’Alta Via della Valmalenco costò, tra vernice, trasporti e parziali rimborsi spese, un milione delle vecchie lire, equivalenti a circa 5000 euro in valuta odierna. Nel contempo usciva per il celebre editore Tamari di Bologna il volume di Canetta e Corbellini Valmalenco, nel quale alla descrizione generica della valle e alle escursioni culturali, faceva seguito una puntuale rassegna di tutto ciò che di notevole sul piano storico, etnografico e naturalistico l’escursionista avrebbe potuto trovare lungo il percorso della neonata Alta Via. 1 - L'edificio aveva ospitato anche la prima scuola della valle. 14 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il rifugio Marinelli-Bombardieri (m 2813), capolinea della V tappa dell'Alta Via, ne è il punto di pernottamento più alto (31 agosto 2013, foto Luciano Bruseghini). L'Alta Via della Valmalenco 15 Valmalenco Speciali Le 8 tappe dell'Alta Via 1 Beno Partenza: Ciappanico (m 1000) Arrivo: rifugio Bosio/Galli (m 2086) Dislivello: +1500 m / -400 m Sviluppo: 13 km tempo previsto: 7 ore Partenza: Chiareggio (m 1612) Arrivo: rifugio Palù (m 1965) Dislivello: +1000 m / -400 m Sviluppo: 13 km tempo previsto: 6:30 ore breve descrizione: breve descrizione: È una tappa di avvicinamento che conduce dal fondovalle malenco ai piedi del massiccio del Disgrazia toccando lo splendido lago d'Arcoglio e la calcarea vetta del Sasso Bianco (m 2490). Si passa dagli antichi borghi, agli alpeggi, ai pascoli, alle praterie d'alta quota, sempre con bella vista sul gruppo del Bernina. Da Chiareggio per boschi e pascoli si approda ai ciàz de Fura e, attraversando l'altopiano bordato da suggestive cascate e dominato da Sassa di Fora (m 3366) e dai calcari del pizzo delle Tremogge (m 3441), si arriva al rifugio Longoni. Da qui ha inizio una lunga traversata che, toccando l'alpe Sasso Nero, conduce sulle rive del grande lago Palù. L'alpe Arcoglio Superiore (5 .10.2012, foto Roberto Moiola). 2 Il lago Palù, sullo sfondo la Sassa di Fora (21.08.2011, foto Roberto Moiola). Partenza: rifugio Bosio/Galli (m 2086) Arrivo: rif. Porro o rif. Ventina (m 1960) Dislivello: +1200 m / -1300 m Sviluppo: 13,5 km tempo previsto: 7:30 ore Partenza: rifugio Palù (m 1965) Arrivo: rifugio Marinelli (m 2813) Dislivello: +1400 m / -600 m Sviluppo: 12 km tempo previsto: 6:30 ore breve descrizione: breve descrizione: È la tappa più faticosa dell'intera Alta Via, quella che aggira pizzo Cassandra e fratelli, passando per antiche cave e la splendida alpe Pirlo. Da Pradaccio si devono quindi risalire le faticose pietraie che regalano i laghi di Sassersa, perla della giornata, fino a scollinare al passo Ventina (m 2675) e divallare alla bucolica alpe Ventina. Il gruppo del Bernina dal sentiero per la Marinelli (25.07.2010, foto F. Vaninetti). Partenza: rif. Porro o rif. Ventina (m 1960) Arrivo: Chiareggio (m 1612) Dislivello: +900 m / -1250 m Sviluppo: 13 km tempo previsto: 6:30 ore Partenza: rifugio Marinelli (m 2813) Arrivo: rifugio Bignami (m 2401) Dislivello: +250 m / -700 m Sviluppo: 5 km tempo previsto: 3:30 ore breve descrizione: breve descrizione: Si tratta di un anello che culmina al rifugio Del Grande - Camerini (m 2550) e che ha come indiscusso protagonista il versante N del monte Disgrazia, padrone dell'orizzonte con la sua verticale parete ghiacciata. Interessante sia dal punto di vista geologico che glaciologico attraversare la val Sissone e i ciatté di Vazzeda. Si pernotta a Chiareggio. LE MONTAGNE DIVERTENTI 6 Una breve tappa dedicata ai ghiacciai. Dalla Marinelli attraverso la vedretta di Caspoggio e le bocchette di Caspoggio (m 2983 punto più alto dell'Alta Via) si cala all'alpe Fellaria, al margine del cui terrazzo si trova la Bignami. Voltandosi si ammira la fronte sospesa del ghiacciaio di Fellaria dalla quale precipitano frequentemente grandi blocchi. La Bignami e la fronte sospesa del ghiacciaio di Fellaria (16.08.2008, foto Bruseghini). Il Disgrazia dai pressi del rifugio Del Grande - Camerini (31.07.2011, foto Moiola). 16 5 Tutti quelli che per la prima volta valicano la bocchetta delle Forbici (m 2660), appena sopra il rifugio Carate, rimangono a bocca aperta: il passaggio da boschi e praterie ai colossi ghiacciati del Bernina è improvviso e sconcertante. Capolinea della tappa è il rifugio Marinelli-Bombardieri, pernottamento più elevato dell'intera Alta Via. I laghi di Sassersa e, sulla dx, il pizzo Rachele (m 2998) (13.07.2012, foto Bruseghini). 3 4 Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI L'Alta Via della Valmalenco 17 Valmalenco Speciali N ovità : Partenza: rifugio Bignami (m 2401) Arrivo: rifugio Cristina (m 2227) Dislivello: +600 m / -700 m Sviluppo: 14 km tempo previsto: 6:30 ore 7 Con gli alpaca al rifugio Cristina breve descrizione: Il giro del lago di Campo Moro con la visita all'alpe Gembrè fa definitivamente allontanare dal gruppo del Bernina e accostare a quello del pizzo Scalino. Per ampie praterie alpine si sconfina per un breve tratto in Svizzera, quindi, trovati tutti i laghetti di Campagneda si giunge all'alpe Prabello. La tappa è di estremo interesse naturalistico. Valmalenco - Gli alpaca sono dei mammiferi della famiglia dei camelidi che vivono sulle Ande oltre i m 5000. In tempi recenti ne sono stati importati alcuni esemplari in Europa, soprattutto sulle Alpi, dove si sono ben ambientati, visto il clima simile a quello dell’ambiente di origine. Diversi allevamenti sono sorti con lo scopo principale di utilizzare la morbida lana del loro mantello, ideale per creare coperte e indumenti caldi (non contenendo lanolina la stoffa non infeltrisce e non dà allergie). Gli alpaca sono diventati anche attrazione turistica, specie per i bambini. La famiglia Negrini di Caspoggio, amante degli animali e della vita all'aperto, si occupava di capre, pecore, papere e dei più comuni animali da compagnia quali cani e gatti, finché nel 2010 ha deciso di intraprendere una nuova avventura acquistando tre alpaca. Con il passare del tempo si sono sempre più appassionati a questo tipo di animale fino a trasformare un hobby in un’impresa lavorativa. L’allevamento “Alpacas la Foppa”, oltre a dimostrazioni sulla lavorazione della lana, propone escursioni e attività ricreative con i camelidi andini. Trascorrere una giornata all’aria aperta in compagnia di sei alpaca è un’esperienza indimenticabile per gli adulti, ma soprattutto per i più piccoli. Il pizzo Scalino dai laghi di Campagneda (22.09.2012, foto Giacomo Meneghello). Partenza: rifugio Cristina (m 2227) Arrivo: Ciappanico (m 1000) Dislivello: +300 m / -1500 m Sviluppo: 15,5 km tempo previsto: 7 ore 8 breve descrizione: Pur potendo finire a Caspoggio (ore 4:30), il consiglio è quello di chiudere l'anello dell'AV e giungere a Ciappanico con le proprie gambe. Dal rifugio Cristina si scende alle torbiere di Acquanegra per affrontare un lungo traverso sul fianco della costiera Scalino-Palino fino a Piazzo Cavalli (m 1710). Qui inizia la ripida discesa per Torre di Santa Maria passando per l'indimenticabile contrada di Dagua. Per info e prenotazioni: Alpacas la Foppa Via S. Elisabetta 70 - 23020 Caspoggio (SO) +39 348 8893857 - Ladina E-mail: [email protected] Acquanegra dalla cima del monte di Acquanegra (18.10.2011, foto Beno). ALTRE INFORMAZIONI elle singole tappe dell'Alta Via della Valmalenco vi daremo una descrizione dettagliata nei numeri della rivista, iniziando dalla prima, già presente in queste pagine. Le tempistiche si riferiscono all'escursionista medio, anche se definire un'andatura standard nei tratti in discesa non è semplice, dato che, a parità di sforzo, chi è più agile ci mette molto meno. A questo numero della rivista, crepi l'avarizia, è allegata in omaggio la mappa 1:30.000 della Valmalenco dedicata all'Alta Via. Nel realizzarla è stata fatta una revisione generale dei toponimi raccogliendo informazioni sul posto per correggere i principali errori cartografici presenti sia in letteratura, che nei cartelli in loco. Abbiamo lasciato il toponimo italia- D 18 LE MONTAGNE DIVERTENTI nizzato qualora questo mantenesse il significato del nome dialettale, mentre i bizzarri stravolgimenti come cian de la Loppa divenuto pian del Lupo o Paiunch evoluto in Palolungo, sono stati corretti. Alta Via è un itinerario escursionistico, ma nella VI tappa si affronta il ghiacciaio di Caspoggio, pertanto si deve essere adeguatamente attrezzati (bastoncini da trekking e scarponi di buona fattura), oppure questo va aggirato attraverso la bocchetta di Fellaria. Va inoltre considerato che con buona probabilità fino a metà luglio è possibile incontrare altri tratti innevati. Tutti i rifugi sono dotati di telefono, le tappe non nascondono né malintenzionati né leoni, e i sentieri sono ben segnalati, per cui è prudente lasciare a casa il telefonino per godersi spledide ore di immersione nella natura liberi L' Oggi, 23 giugno 2013 la mia giornata è cominciata presto, come al solito. La mia padrona Ladina è venuta nel nostro recinto e ci ha legati tutti alla staccionata che circonda la nostra casetta. Siamo io, la mia mamma Kelita, il mio fratellone Sancho, il pazzerello del gruppo Fernando e il “nonno” Rodrigo. Ladina ci ha spazzolati di tutto punto, ogni 2 o 3 giorni lo fa, a me non piace tanto, però lei dice che così siamo più belli! Poco dopo è arrivata anche l’altra nostra padrona, Simona. Tutte e due hanno uno zaino sulle spalle, mi chiedo perché serva uno zaino per andare nel recinto più grande dove passiamo le nostre giornate a brucare l’erba tranquilli! Appena siamo partiti mi sono reso conto che non stavamo andando nel recinto ma ci dirigevamo verso la macchina, a cui le mie padrone hanno attaccato un trailer per trasportare anche noi. Effettivamente da qualche giorno Ladina ci ripeteva che oggi saremmo andati tutti insieme a fare una lunga passeggiata fino al rifugio Cristina e che avremmo addirittura visto il pizzo Scalino da vicino! Non so cosa sia questo pizzo Scalino e dove ci stiano portando, però loro sembrano contente, quindi immagino sia un bel posto! ... (continua su www.alpacaslafoppa.com) dalla sciocca ipocondria della montagna assassina e dal patema di dover essere sempre reperibili. Verificate, prima di iniziare la gita, l'apertura e la disponibilità di posti nei rifugi. Ricordatevi di portare il saccolenzuolo, una borraccia di metallo per raccogliere l'acqua e/o per farsela riempire di tè o genepì al rifugio. Siamo in alta montagna e il tempo può variare; quindi avere vestiti sia freschi che pesanti e che asciughino velocemente, assieme a una copertura impermeabile per lo zaino è fondamentale. Non esagerate col carico di cibo e, specialmente, di bevande: i soldi per comprarli al rifugio pesano decisamente meno! Infine ricordate di scegliere cibi con pochi involucri e di portare sempre i rifiuti a valle. Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI L'Alta Via della Valmalenco 19 Speciali 2013-2014 Inverno da record Matteo Gianatti 20 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI La fitta nevicata della notte del 4 gennaio 2014 a Campodolcino (foto Roberto Moiola - www.clickalps.com). Speciale clima 21 Inverno 2013-14 Speciali Sono passati alcuni mesi e ora possiamo trarre i giusti bilanci: l’inverno 2013-14 verrà ricordato per le numerose violente tempeste sulle coste atlantiche, precipitazioni straordinarie e alluvionali in Regno Unito, Francia e Italia, imponenti nevicate sulle Alpi meridionali oltre i m 1200-1500, temperature sopra la media e gelo praticamente assente. Insomma, una lunga appendice autunnale. BILANCIO GENERALE: CALDO DA SUD CON PRECIPITAZIONI DA PRIMATO SULLE ALPI Per quasi tre mesi, dalla seconda metà di dicembre a inizio marzo, lo scacchiere continentale è stato governato da profonde depressioni a ovest delle isole britanniche, contrapposte a vaste zone di alta pressione sull’est e sul nord Europa. Questa configurazione ha determinato l’anomala persistenza di venti tiepidi sud-occidentali, tipici dell’autunno, che hanno sospinto frequenti perturbazioni in rapida successione verso le coste atlantiche fino a raggiungere la regione alpina. Sono mancati all’appello i periodi anticiclonici (eccezion fatta per le prime settimane di dicembre), così come le irruzioni di aria artica verso il Mediterraneo. In Italia ne è conseguita una stagione mite e significativamente piovosa al nord, con inconsueti temporali in pianura Padana e ingenti quantità di neve sulle montagne del pendio sudalpino oltre i m 1200. Più in basso, sotto i m 500, invece, le nevicate sono state solo effimere e occasionali, e pressoché assenti sulle pianure venete. Il trimestre dicembre-febbraio è risultato il più caldo dal 1800, secondo soltanto a quello del 2006-07, con 1,8°C sopra media. Le anomalie più forti si sono verificate in Emilia Romagna e al nord-est, con punte di oltre 3°C. Questo sia per le situazioni di favonio appenninico da sudovest (il Garbino), sia per la maggiore esposizione allo Scirocco in risalita dall’Adriatico. Sempre a causa dell’alta frequenza favonica, questa volta da sud, si è registrato l’inverno più caldo di sempre nella regione di Coira, in Svizzera (il vecchio primato apparteneva al 200001), dove nel complesso la stagione è risultata la terza più calda della serie negli ultimi 150 anni, con anomalie regionali comprese tra +1,0°C e +2,7°C rispetto alla media 1981-2010. In pianura sono state poche le notti con temperatura minima inferiore a zero gradi, completamente assenti i giorni di ghiaccio (valori termici costantemente negativi). A Sondrio le gelate si sono concentrate perlopiù nella prima parte 22 LE MONTAGNE DIVERTENTI Anomalie delle altezze di geopotenziale a 500 hPa (circa 5500 m) in Europa dal 1 dicembre 2013 al 28 febbraio 2014. Sono evidenti valori pressori più bassi del normale dall’oceano Atlantico fin sull’Europa occidentale, nonché la prevalenza anticiclonica tra Balcani, mar Nero, Scandinavia e Russia europea. Nel mezzo, l’Italia è stata quasi ininterrottamente invasa da masse d’aria molto umida dai quadranti meridionali. Fonte: ESRL-NOAA. Anomalie delle temperature a 850 hPa (circa 1400 m) in Europa dall' 1 dicembre 2013 al 28 febbraio 2014. Sul fianco orientale delle depressioni atlantiche prevale il trasporto di aria subtropicale molto mite, che determina scarti termici dalla norma importanti, con punte superiori a +3°C nei Balcani. Fonte: ESRL-NOAA. Estate 2014 Anomalie di temperatura, pioggia e neve registrate presso alcuni osservatori a sud delle Alpi. L’inverno 2013-14 è risultato il più piovoso dall’inizio dei rilevamenti nel Ticino meridionale e in gran parte delle vallate alpine italiane. Diversamente, nelle aree più interne come l’Engadina e l’alta Valtellina le piogge e le nevicate sono state meno straordinarie. Oltre che per i quantitativi estremi di precipitazioni, l’inverno 2013-14 è anche uno dei più miti presenti nelle statistiche, con 4-5°C di temperatura media a basse quote. La combinazione di questi due fattori meteorologici ne fa l’inverno più estremo mai registrato. Fonti dati: MeteoSvizzera, APAT (1926-1987), ERSAF/ARPA (1988-2002), F. Pozzoni rete MeteoNetwork (dal 12/2002); rielaborazione di Matteo Gianatti. di dicembre e ammontavano a 49 alla fine di febbraio (contro una media di 74 nel trentennio 1981-2010; fonte: APAT e ERSAF/ARPA Lombardia). La temperatura più bassa è stata di appena -5,2°C (registrata il 2 dicembre 2013). In Italia sono cadute precipitazioni doppie rispetto al normale, così che l’inverno 2013-14 sia risultato l’undicesimo più piovoso dal 1800. L’insistenza di correnti meridionali dalla metà di dicembre in poi ha causato precipitazioni eccezionali a sud delle Alpi e numerose giornate con favonio al nord. Liguria, alta Toscana, Lombardia e Triveneto hanno registrato l’inverno più umido da inizio misurazioni, con quantitativi da due a cinque volte la media. I ripetuti afflussi da sud/sud-ovest hanno favorito quantitativi eccezionali nelle zone esposte, in particolare sulle Alpi Apuane (2174 mm a Orto di Donna, LU) e sulle Prealpi Giulie (2546 mm a Musi, UD), dove in appena tre mesi sono caduti circa due terzi di quanto dovrebbe normalmente piovere in un anno. A Locarno-Monti (CH) il bilancio è stato di 754 mm, che supera di 30 mm il precedente primato del 1950-51. Precipitazioni abbondanti, anche se meno straordinarie, hanno invece riguardato Piemonte e Valle d’Aosta, più riparati dai flussi umidi risalenti dal Tirreno (310 mm di pioggia a Torino). Altra particolarità dell’inverno scorso sono stati i frequenti temporali, non solo sui mari intorno alla penisola, dove sono abbastanza comuni in questa stagione, ma anche su pianure e rilievi del nord-est, a causa delle temperature più alte del normale. Nell’inverno 2013-14 si è notata l’assenza di nevicate significative a basse quote. Sopra i m 1200, invece, le frequenti e abbondanti precipitazioni si sono tradotte in un innevamento straordinario sul versante sud-alpino, dal monte Rosa verso est e in parte anche sul Cuneese. Per le Alpi italiane la stagione è confrontabile con quella recente del 2008-09, che pure fu tra le più ricche di neve dell’ultimo mezzo secolo. Diversamente, sono state scarse o del tutto assenti le nevicate sull’Appennino centro-meridionale. LE MONTAGNE DIVERTENTI Anomalie della temperatura media invernale 2013-14 in Italia. È il secondo inverno più mite dal 1800, con 1,8°C oltre la media. Fonte: ISAC-CNR. Sils Maria Sondrio A Sondrio e Sils Maria l’inverno si colloca rispettivamente in quinta e nona posizione tra i più tiepidi dall’inizio delle misurazioni (rispettivamente nel 1926 e 1864), con un’anomalia di +1,3°C rispetto al trentennio 1981-2010. Sempre a Sils, l’inverno 2013-14 risulta parimenti il quinto più caldo negli ultimi novant’anni. Fonti dati: MeteoSvizzera, APAT (1926-1987), ERSAF/ARPA (1988-2002), F. Pozzoni - rete MeteoNetwork (dal 12/2002); rielaborazione di Matteo Gianatti. Speciale clima 23 Inverno 2013-14 Speciali A Sils Maria (m 1798) la sommatoria della neve fresca giornaliera tra dicembre e febbraio ha raggiunto i 396 cm (secondo valore più alto dopo i 685 cm dell’inverno 1950-51), mentre a Bosco Gurin (m 1506) il totale è stato di 684 cm (secondo più alto dal 1961). Sempre in svizzera, la stazione di San Bernardino (m 1626) ha rilevato uno spessore massimo di neve al suolo pari a 243 cm l’8 febbraio (record dal 1961; fonte: MeteoSvizzera). Sul versante italiano, presso il rifugio Gilberti (m 1850, Alpi Giulie) è stato raggiunto lo spessore massimo di 670 cm il 20 febbraio (nel 2009 si arrivò a 645 cm il 1 aprile; fonte: Meteomont). Sul monte Rosa sono caduti 80-120 cm in 24 ore al passaggio di un’intensa perturbazione tra il 28 febbraio e il 1 marzo. Il nivometro di Macugnaga (m 1327) ha registrato una punta stagionale di 283 cm il 4 marzo (record almeno dal 1984). Nel Cuneese, a Terme Valdieri (m 1390) lo spessore di neve al suolo ha raggiunto i 269 cm (record dal 1993), così come nel marzo 2009. Altrettanto notevole l’accumulo stagionale di neve fresca di 240 cm a Priero (m 610; fonte: ARPA Piemonte). La vetta della Corna di Mara (m 2807) ricoperta da accumuli di neve instabile che formava anche cornici molto sporgenti che precipitano alla minima vibrazione (6 febbraio 2014, foto Beno). Anomalie delle precipitazioni invernali 2013-14 in Italia. È l’undicesimo inverno più piovoso dal 1800 su scala nazionale, con apporti doppi rispetto alla media. Solo le isole maggiori registrano un deficit pluviometrico, così come le Marche, sottovento all’Appennino in condizioni “favoniche” da sud-ovest. Fonte: ISAC-CNR. CRONACA METEO DAL 1 DICEMBRE 2013 AL 28 FEBBRAIO 2014 Dicembre 2013 - Il primo mese invernale ha offerto una serie di record meteorologici. L’abbondante soleggiamento delle prime due decadi, unitamente alle masse d’aria molto miti e secche che l’hanno accompagnato, ha favorito temperature inusitatamente elevate soprattutto in montagna (mentre sono risultate nettamente più basse nelle vallate, a causa dell’inversione termica). Una forte irruzione favonica ha inoltre fatto registrare valori massimi da primato sul fondovalle valtellinese il giorno 6 (+17,0°C a Sondrio, precedente di +16,7°C nel 2001). Per finire, la tempesta di Natale ha determinato piogge e nevicate da record per dicembre (80-120 cm in 24 ore sopra i m 1500), con violenti raffiche da sud. L’inizio dell’inverno meteorologico è stato governato da una vistosa depressione sul basso Mediterraneo, figlia di una saccatura che alla fine di novembre ha portato la prima e unica ondata di freddo moderato della stagione sull’Italia (la mattina del 27 a Sondrio il termometro è sceso fino a -6,0°C: valore addirittura più basso della temperatura minima registrata in inverno!). Nei giorni successivi hanno persistito così condizioni di cielo sereno al nord con temperature in sensibile aumento in montagna e freddo pungente unicamente sui fondovalle, mentre i venti di Scirocco attivati dalla depressione hanno scatenato rovinose mareggiate e piogge intense al 24 LE MONTAGNE DIVERTENTI Fra le molte località che hanno stabilito nuovi record invernali di precipitazioni figura anche Sondrio (dati omogeneizzati fino al 2009). Nella zona sud sono caduti 512 mm di pioggia in tre mesi (ossia quasi quattro volte la media 1981-2010), polverizzando il precedente primato di 410 mm dell’inverno 1950-51. Fonti dati: APAT (1926-1987), ERSAF/ ARPA (1988-2002), F. Pozzoni - rete MeteoNetwork (dal 12/2002); rielaborazione di Matteo Gianatti. Sondrio, temperatura media e pioggia giornaliera cumulata dal 1 dicembre 2013 al 28 febbraio 2014. Il confronto dell’andamento termico decadico (media mobile su dieci giorni) con la media trentennale 1981-2010 evidenzia un brusco cambio di tendenza dopo la parentesi anticiclonica all’inizio dell’inverno meteorologico. Infatti, mentre il bel tempo ha favorito condizioni di gelo moderato sul fondovalle con temperature normali per il periodo (il freddo è stato esclusivamente frutto dell’inversione termica: in realtà non vi è stata alcuna ondata di gelo, e in montagna il clima è risultato anzi molto mite!), l’avvento delle grandi piogge ha inaugurato un lungo periodo sopra media. Fonti dati: ERSAF/ ARPA Lombardia (1981-2010), F. Pozzoni - rete MeteoNetwork (2013-14); rielaborazione di Matteo Gianatti. Estate 2014 Andamento giornaliero dell’altezza della neve al suolo nell’inverno 2013-14 presso la diga di Scais (m 1495, Sondrio) confrontato con la media 19812010 e i valori massimi (periodo 1960-2013). In questo settore alpino gli spessori nevosi sono divenuti anomali da metà gennaio 2014, fino ai 210 cm del 3 febbraio, avvicinandosi ai massimi storici degli ultimi 54 anni (285 cm il 23 febbraio 1960, 260 cm il 12 febbraio 1978). Purtroppo le misurazioni s’interrompono qui, a causa della troppa neve che ha costretto gli operatori a scendere a valle per motivi di sicurezza. Fonte dati: Edison; rielaborazione di Matteo Gianatti. Andamento giornaliero dell’altezza della neve al suolo nell’inverno 20132014 presso la diga di Venina (m 1824, Sondrio) confrontato con la media 1981-2010 e i valori massimi (periodo 1963-2013). Qui gli apporti sono stati decisamente più copiosi che presso la diga di Scais (situata 300 metri più in basso), e significativamente sopra media da fine dicembre 2013, anche stavolta vicini ai primati storici dell’ultimo mezzo secolo (290 cm il 10 aprile 1975). Tuttavia, le intense nevicate tra Natale e inizio febbraio hanno fatto crescere il manto fino a 270 cm (6 e 11 febbraio), valore massimo per questo periodo dell’anno. Fonte dati: Edison; rielaborazione di Matteo Gianatti. LE MONTAGNE DIVERTENTI sud1, nonché alluvioni nelle province di Pescara e Teramo. L’inverno è proseguito sonnacchioso e mite al nord fin verso la fine della seconda decade dicembrina, quando una debole ma insidiosa saccatura da ovest è riuscita a sfondare il possente muro dell’anticiclone delle Azzorre determinando piogge torrenziali sul ponente ligure (100-140 mm in 24 ore nell’entroterra) e precipitazioni modeste sulle Alpi (nevose fino a quote medio-basse). La vera svolta è giunta proprio a ridosso delle festività natalizie. Tra il 24 e il 26 dicembre, una vasta e intensa perturbazione, collegata a un minimo in prossimità delle isole britanniche, e sospinta sull’Italia da forti correnti di Libeccio, ha provocato abbondantissime piogge su Alpi e Appennino settentrionale2. Quantitativi record per dicembre (100-150 mm in 24 ore) si sono registrati tra Ticino e alta Lombardia il giorno di Natale (78 mm a Sondrio). Dal monte Rosa verso est, le Alpi sono state spazzate da straordinarie bufere di neve, con venti fino a 200 km/h, che hanno isolato, lasciato al buio e seppellito sotto una coltre bianca umida e pesante spessa più di un metro e mezzo località come Madesimo e Cortina d’Ampezzo. Nel contempo, i venti di caduta appenninici da sud-ovest hanno fatto schizzare fino a +14,8°C la temperatura a Modena (che ha vissuto così il suo Natale più caldo dal 1830), e fino a 11-15°C il mattino seguente sulla pianura romagnola. Stessa sorte è toccata al versante nordalpino, spazzato da poderosi venti meridionali di Foehn, che hanno matenuto il clima insolitamente mite per la stagione (minima di +12,4°C a Coira la notte di Natale). 1 - 328 mm in tre giorni nel Foggiano. 2 -Barcis (PN) 476 mm, Piampaludo (SV) 448 mm, Verbania 311 mm. Speciale clima 25 Inverno 2013-14 Speciali Gennaio 2014 - Complessivamente il mese è stato ricco di precipitazioni, con grandi quantità di neve in montagna e molta pioggia in pianura, dove la media è stata superata anche di quattro volte. I 207 mm caduti a Sondrio rappresentano il nuovo record dal 1977 (183 mm). Nell’alta Engadina lo strato nevoso al suolo ha raggiunto i 148 cm a Sils (massimo precedente a gennaio di 154 cm nel 2001). Diversamente, sul versante nord-alpino il bilancio è risultato talvolta fortemente deficitario, senza nevicate in pianura. Le temperature sono state molto miti soprattutto sulle regioni settentrionali, con anomalie crescenti da ovest verso est (fino a +3,5°C fra Romagna, pianura veneta e Friuli). L’anno nuovo ha portato in dono alle regioni settentrionali un ulteriore cospicuo carico di precipitazioni. Il 2 gennaio una veloce e modesta perturbazione atlantica ha regalato un po’ di neve a basse quote tra l’ovest e il nord della Lombardia, favorita dal lieve raffreddamento osservato nei giorni immediatamente precedenti. L’arrivo di un fronte più organizzato tra il 4 e il 5 gennaio ha sommerso le Prealpi venete insieme alle coste friulane di un centinaio di millimetri, mentre oltre il doppio ne sono caduti tra le Alpi Apuane e l’Appennino genovese (Orto di Donna-LU 263 mm, Cabanne di Rezzoaglio-GE 260 mm). Piogge temporalesche hanno dilavato i crinali appenninici fino a m 2000 causando frane e ondate di piena su entrambi i versanti, mentre mezzo metro di neve fresca ha ricoperto le Alpi centrorientali sopra i m 1500. La terza perturbazione ha attraversato con traiettoria ovest-est le regioni settentrionali fra il 13 e il 14 gennaio. Ancora una volta, in Lombardia le piogge più consistenti hanno interessato le province occidentali e la Valtellina (25-35 mm), dove una blanda e provvidenziale situazione favonica poche ore prima dell’evento (che ha avuto il merito di abbassare notevolmente l’umidità) ha consentito la sola cospicua nevicata di stagione a basse quote e sul fondovalle (12 cm a Sondrio, 20 cm a m 500). Successivamente, tra il 16 e il 19 due perturbazioni hanno riportato piogge abbondanti su Prealpi, Emilia Romagna (400 mm sul crinale appenninico), alta Toscana e in Liguria (Imperia 140 mm - record giornaliero il 16 gennaio dal 1876, a pari merito col 20 gennaio 1975 Ceriana-IM 350 mm in 30 ore). Venti intensi meridionali (superiori a 90 km/h) hanno fatto volare le temperature fino a +24°C a Palermo, +21°C a Pescara, +18°C a Roma. Inconsueti temporali invernali hanno interessato la provincia di Pisa, l’Emilia Romagna e la Carnia il 18. Il giorno seguente, Trieste ha staccato il nuovo 26 LE MONTAGNE DIVERTENTI record di caldo per gennaio dal 1920 (+16,6°C). Sono poi proseguite le nevicate straordinarie sulle Alpi, ma solo sopra i m 1500, dove l’innevamento ha eguagliato i livelli raggiunti nel 2009. La terza decade di gennaio ha concesso una breve tregua del maltempo sulle estreme regioni settentrionali, benché una blanda circolazione depressionaria alimentata da aria più fresca avesse determinato condizioni d’instabilità sul versante adriatico e al centro-sud (grandinate copiose il 20 a Lecce e il 22 a Forlì). A fine mese, un modesto e fugace freddo ha regalato 2 cm di neve a Rimini il 28 e 6 cm a Torino tra il 29 e il 30 gennaio. Ma già il 31 è tornato prepotente lo Scirocco, responsabile della più grande piena dell’Arno a Pisa dal 1992 e di gravi danni alluvionali a Roma (167 mm in 18 ore a monte Mario). 4 novembre 2010 e 9 febbraio 2014 all'alpe Lendine (m 1710) in Valchiavenna (foto Roberto Ganassa). Montagna in Valtellina dopo la nevicata del 14 gennaio 2014 (foto Matteo Gianatti). Estate 2014 Febbraio 2014 - Anche febbraio è risultato più caldo della norma, con anomalie ancora maggiori rispetto a gennaio sulle regioni peninsulari, e fino a +3,5° su quelle del medio-alto Adriatico. Grazie all’influsso favonico lo scarto termico ha localmente superato i +4°C a nord delle Alpi, mentre a sud è stato nettamente più modesto. Le importanti precipitazioni, verificatesi soprattutto nelle prima metà del mese sul pendio sud-alpino, hanno ulteriormente incrementato il cospicuo strato di neve già presente al suolo. La stazione di Sondrio ha raccolto 158 mm di acqua, che rappresentano il secondo valore più alto per febbraio dal 1927 (record di 177 mm nel 1951). Tutta la prima decade è stata influenzata da un’azione depressionaria semipermanente in sede islandese, fucina di minimi molto pronunciati che hanno inviato forti e umide correnti verso l’Europa e la regione alpina, interessata ininterrottamente da perturbazioni atlantiche in serie. In appena una settimana sono caduti mediamente 60-120 mm di pioggia in Lombardia, e addirittura 300-600 mm sulla fascia pedemontana e prealpina tra Veneto e Friuli (responsabili di inondazioni sulle pianure). Oltre i m 1300-1500 di quota la neve ha raggiunto spessori localmente superiori ai tre metri. La seconda decade di febbraio è stata ancora dominata dalle correnti atlantiche, ma con un alternarsi di veloci perturbazioni che hanno lasciato spazio a qualche fugace giornata di sole in un contesto variabile e sempre mite. Una grande piena dell’Arno ha investito il Pisano il giorno 11 senza arrecare particolari danni, al termine di un’eccezionale sequenza di quattordici giorni piovosi consecutivi. Tra il 16 e il 19 lo Scirocco ha fatto registrare nuovi primati termici per febbraio in città come Pescara (+26,3°C), Ancona (+21,4°C) e Roma (+17,2°C di minima, record dal 1782). Ma i venti meriLE MONTAGNE DIVERTENTI Chiareggio (m 1612) in Valmalenco (8 marzo 2014, foto Matteo Gianatti). Sacco (m 1617), val Grosina Occidentale (7 febbraio 2014, foto Ferruccio Pini). L'alpe Piazza (m 1835), il pizzo dei Galli e il pizzo Olano (14 febbraio 2014, foto Roberto Ganassa). Speciale clima 27 Inverno 2013-14 Speciali dionali si sono spinti ben più a nord, trasportando polvere sahariana fin sopra la Svizzera, e conferendo alla neve una colorazione giallorossastra. Inconsueti temporali hanno interessato la pianura Padana. L’ultima decade, infine, ha proposto una certa dinamicità atmosferica, con giornate di bel tempo alternate a precipitazioni più abbondanti sulle zone pedemontane e prealpine, anche a carattere temporalesco. Particolarmente suggestiva l’intensa grandinata che ha colpito Milano la sera del 26 al passaggio di un fronte freddo nord-atlantico. L'alpe Scima (m 1875) in Valchiavenna (8 febbraio 2014, foto Roberto Moiola). Madesimo (m 1538) questo inverno è stata più volte isolata a causa del pericolo valanghe (20 febbraio 2014, foto G. Rovedatti). L'alpeggio di Nemina Alta (m 1743) sopra Bianzone (9 febbraio 2014, foto Beno). La baite Scalota a m 1800 ca. in val di Rezzalo (24 febbraio 2014, foto Giacomo Meneghello). L’inverno 2013-14 in Europa - Nel Regno Unito è stato un susseguirsi di alluvioni e tempeste a ripetizione, tanto che il trimestre dicembrefebbraio è risultato il più piovoso dal 1766 in Inghilterra e Galles. In Francia è stato il secondo inverno più mite dal 1900; alluvioni e mareggiate non hanno risparmiato la Bretagna. Per la Svizzera è stato il terzo inverno più caldo degli ultimi 150 anni, con precipitazioni da primato e ingenti quantitativi di neve in montagna nelle Alpi meridionali. Secondo inverno più tiepido in Austria con frequenti situazioni favoniche, bagnatissimo al sud e fortemente deficitario al nord. Quarto inverno più mite in Germania, ma anche più secco e soleggiato che sull’Europa occidentale e con precipitazioni ovunque sotto la media specie in Baviera. Inizio di primavera molto mite e piovoso al nord - Anche marzo ha regalato temperature complessivamente sopra media, soprattutto al nord-est, dove le anomalie sono state di +2,5°/+3,0°C. Nelle vallate sud-alpine ed in Engadina il mese è risultato altresì più piovoso del normale, benché con scarti decisamente contenuti rispetto al trimestre precedente: dal 70% al 140% dei quantitativi attesi. Intense nevicate hanno ancora una volta interessato le montagne a sud delle Alpi nella prima e nella terza decade mensile. Dopo due settimane di tempo soleggiato e a tratti molto mite (le temperature più alte sono state raggiunte il giorno 17, con valori massimi sopra i 25°C), la stabilità è stata bruscamente interrotta da un’irruzione polare il 22 marzo, che ha riportato la neve fino a basse quote nella giornata successiva (30-60 cm sopra i m 1000). Infine, gli ultimi giorni del mese sono stati nuovamente ricchi di sole, con valori termici sopra la norma soprattutto in montagna.3 Valle Casnaggina - val Bregaglia italiana. Nella foto di sx l'innevamento a m 1600 ca., mentre in quella di dx ai m 1245 di Tabiadascio. La crescita repentina dello spessore del manto nevoso sopra i m 1500 è stata situazione diffusa nell'inverno 2013-14 (31 marzo 2014, foto Beno). 3 -Fonti consultate: ESRL-NOAA, ISAC-CNR, APAT e ERSAF/ARPA Lombardia, Edison, rete MeteoNetwork, Centro Meteorologico Lombardo, Nimbus, MeteoSvizzera, Wetterzentrale. 28 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 La neve macchiata dalla sabbia del deserto al rifugio Carate (m 2636) in Valmalenco (1 aprile 2014, foto Roberto Ganassa). Il rifugio Omio (m 2100) in val Masino (30 marzo 2014, foto Beno). Carnale (m 1256), sopra Montagna inValtellina, dopo un' intensa nevicata primaverile (24 marzo 2014, foto Matteo Gianatti). Speciale clima 29 Più di 30 anni di esperienza al servizio dei clienti Speciali Protezione Rischi Val di Mello: l'arrampicata a z n e r e d a in i elic ne io faz o oni Ant Persone e Famiglie Mezzi di Trasporto Abitazione Salute Tempo Libero Previdenza Investimento Tutela Giudiziaria i acc c Bos re la p n co di ng aA s i Lu Imprese ed Attività Professionali Mezzi di Trasporto Lavoro - Attività Trasporti Cauzioni Sicurezza Previdenza Tutela Giudiziaria CASSONI ASSICURAZIONI 30 Via C. Alessi, 11/13 - Sondrio Tel. 0342 514646 - Fax 0342 219731 [email protected] LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Antonio Boscacci su Grateful dead alle placche dell'Alchechengi (1987, foto Luisa Angelici). L'arrampicata in aderenza 31 Speciali L’arrampicata in aderenza I n una cartelletta di cartoncino leggero color salmone intitolata corrispondenza, Antonio ha conservato le copie delle lettere inviate alle case editrici e alle riviste di montagna dal 1980 al 1983. Si tratta di proposte di libri, di serate di proiezioni, di articoli. Antonio scriveva su una macchina da scrivere Olivetti 82 con il grande carrello che, arrivato a fine corsa produceva il suono di un campanellino. Tutta la casa risuonava dell’eco del rumore dei tasti che aveva battuto con energia e convinzione soprattutto se il testo andava scritto in doppia o addirittura triplice copia. Altri tempi! Nella cartelletta che sta su un ripiano della libreria Ikea alle spalle della scrivania dove Antonio lavorava, ho trovato l’articolo L’arrampicata in aderenza che Antonio aveva spedito alla Rivista della Montagna, il 5 agosto 1981. Nella prima parte dell’articolo “La storia” si respira tutta l’atmosfera del periodo della grande rivoluzione sassista. Nel 1978 Antonio aveva aperto con Jacopo Merizzi la prima via di VII grado in val di Mello con le scarpe di ginnastica e, sempre nel 1978, Luna Nascente. Si respira, dicevo, la contrapposizione e la sfida che la nuova generazione di arrampicatori lanciava contro la cultura cristallizzata, retrograda e asfittica degli ambienti della montagna tradizionali, e la consapevolezza da parte di questi giovani, di essere protagonisti di un cambiamento epocale. Il tono polemico e accusatorio di Antonio salta subito all’occhio e non poteva essere altrimenti, in un periodo in cui si doveva buttare via il vecchio per fare posto al nuovo, come in qualsiasi movimento di liberazione. Allora e cioè nel 1981, Giorgio Daidola, responsabile della Rivista della Montagna, non pubblicò l’articolo di Antonio. Con toni molto cortesi e amichevoli gli rispose che la prima parte dell’articolo esulava dall’oggetto dell’articolo stesso e che era un pretesto per parlare di altre cose… con toni talvolta un po’ troppo polemici. Consigliava 32 LE MONTAGNE DIVERTENTI Val di Mello di Antonio Boscacci La storia Antonio su Luna Nascente allo Scoglio delle metamorfosi (1989, foto Luisa Angelici). di sviluppare meglio altri punti dell’articolo. È quindi la prima volta che l’articolo L’arrampicata in aderenza viene pubblicato e letto. Antonio parla del gesto, del movimento del corpo, delle qualità necessarie per affrontare una placca, dà consigli per avvicinarsi al mondo dell’aderenza che era il suo ambiente naturale e dove sapeva muoversi con intelligenza e coraggio, dove era semplicemente “un grande”. L’aderenza è l’unico modo per arrampicare su una placca di granito dove non ci sono appigli, prese, lame o sporgenze. È considerata un’arram- picata molto difficile non tanto per l’impiego della forza fisica, quanto per la forza mentale che richiede, per la concentrazione e il controllo totale delle emozioni. Tante volte ho visto arrampicatori molto atletici e palestrati, forti sugli strapiombi e su vie molto difficili, tornare indietro con le orecchie basse da una via di VI grado in aderenza. Una bella soddisfazione per chi, come me, non riusciva a fare neanche una trazione alla sbarra! Luisa Angelici Estate 2014 Se uno gira la testa e si guarda indietro, vede cose molto strane: sempre a chi gira la testa le cose sue e degli altri offrono luci diverse da quelle che avevano al loro nascere o nel loro svilupparsi. Così, se si osserva il mondo alpinistico del passato, si prova un miscuglio di sentimenti, dall’ammirazione al sorriso che, nel complesso, lasciano stupiti. C’erano i rozzi, i forti, i fortissimi, i furbi, i chiacchieroni e un certo numero di altre persone che cavalcavano il loro andar per monti in modo saggio e interessante. Ognuno faceva le sue cose senza quasi mai provare a rompere la cornice (rari i casi contrari) dentro la quale viveva o lo schema costruito per lui da altri, trovandosi spesso talmente a proprio agio, da contribuire non di rado a cementare tradizioni e stupidaggini. C’erano, sì, ogni tanto leggeri ripensamenti o momentanee messe in discussione di principi e verità assorbite da un ambiente che ne era permeato. C’era chi avvertiva qua e là che i discorsi di moda potevano essere approfonditi, adattati, e, perché no, cambiati e riscritti. Un gradino più in là c’era una moltitudine di persone che faceva propri i discorsi degli altri, senza nemmeno accorgersi del senso delle parole (cosa Nuova dimensione al Trapezio d'Argento (1986, foto Luisa Angelici). ancora molto di moda anche adesso). Qualcuno poi, lentamente, sentì che le contraddizioni arrivavano ormai a sfiorare la pelle e cominciò ad approfondirle; era una situazione molto strana, perché, più si scavava dentro il mucchio delle dabbenaggini precedenti e più ci si accorgeva di quante contraddizioni nascondessero. Questo indagare e ridiscutere portava con sé un senso di malessere misto a domande strane: forse non era giusto avanzare in quel modo con la scure, tagliando qua e là, con il pericolo di essere poco attenti e forse anche poco onesti. Ma il processo era avviato e tanto valeva lasciar da parte le paure per cercare di fare un po’ di luce dentro una situazione che si accumulava da decenni, confusa e ingarbugliata. C’è stata da parte di molti una chiusura a riccio dentro le proprie certezze ed il rapporto con il nuovo all’inizio è stato di disprezzo; i più disponibili (o avveduti) però si mostrarono anche teneramente sorridenti nei confronti delle nuove proposte e ci sono stati anche quelli (le accezioni non mancano mai), che hanno buttato alle ortiche il loro vecchio arrampicare per provare a scegliere i colori del nuovo. È nato, così come frutto di un albero dalle radici sottili e lunghissime, un modo diverso di guardare le cose, cominciando dai sassi del fondovalle, dove i rapporti da stabilire potevano essere più facili e l’erba dei prati più disponibile al dialogo. Da allora se ne è fatta di strada e le modifiche apportate al proprio cervello (alle forme e al corpo) sono state molte ed importanti. Basta che ciascuno si avvicini a questo sogno con il suo LE MONTAGNE DIVERTENTI L'arrampicata in aderenza 33 Val di Mello Speciali carico di libertà e di gioco, spogliandosi lentamente delle proprie banalità. E forse il rischio già avvertibile, sta proprio in questo: che l’Utopia si trasformi nel sogno di un momento, che ti lascia un amaro di fondo difficile da sciogliere. In discesa su Stomaco Peloso al Trapezio d'Argento (1981, foto archivio Antonio Boscacci). Il senso Il granito ha sempre avuto uno strano destino; per secoli è stato distrutto, bombardato, fatto a pezzi e disperso in ogni dove da centinaia di tonnellate di dinamite, da miliardi di colpi di martello. Forse è giunto il tempo di guardarlo meglio, un po’ più da vicino, per scoprire il suo colore e la sua dolcezza, camminandoci sopra lentamente, in punta di piedi. Questa è l’aderenza: un leggero contatto con i cristalli del granito, attento a non spezzarli con movimenti bruschi e senza senso, seguendo l’esempio dei ragni che sono sempre andati sulla roccia accarezzandola con le loro corte o lunghissime zampe (così come fanno i dolci e delicati opilioni). Perché non farsi roccia o cristallo lasciando ogni forma di violenza agli stupidi o ai cattivi imitatori? E si deve iniziare proprio da lì, dai riflessi Pediculus, di fronte al sasso Remenno (1984, foto Luisa Angelici). d’arcobaleno dei frammenti di quarzo, dal verde delle erbe e dal sapore dei mirtilli, senza nessuno che voglia spiegarti le luci, i colori e le sensazioni. Ognuno vada a cercare dentro di sé, appoggiando le mani al calore della roccia senza dimenticare però il tempo, la fame e le urla dei vicini. E se qualcuno ti chiede il perché o vuol sapere dei pericoli e degli alberi, prendilo per mano e accompagnalo dove la scia della lumaca si fa più luminosa. Se viene senza violenza, troverà amici ovunque che gli insegneranno come fare per dividere con le api il miele e il profumo dei fiori. Il come Per parlare di aderenza bisogna parlare di placche, di suole e di collanti… ma non solo. Le placche. Queste lunghe lenzuola di granito stese da mani di giganti ad asciugare tra boschi di faggi e di abeti rossi, con ciuffi di erbe sparse qua e là a rompere la monotonia del colore, sono il terreno ideale del gioco; nessuno da calpestare o reprimere, niente da rompere o distruggere; anche i più comuni attrezzi dell’arrampicata diventano in parte superflui e spesso del tutto inutili. Arrampicare in aderenza, con protezioni lontane o assolutamente inesistenti, è cosa da fare con una certa gradualità: nel senso almeno che è opportuno insistere per qualche tempo con vie di un certo ordine prima di passare a quelle successive. In compenso si impara presto quali sono le cose necessarie: una indispensabile tranquillità, unita ad un lontano senso di paura, senza il quale tutto diventerebbe incoscienza (come è possibile però misurare la quantità presente in ciascuno di noi?). È questa calma-concentrazione che permette il riposo anche su tratti molto duri quando, davanti, non esistono altro che pochi metri di roccia, ed il resto, anche se presente, si stempera in una specie di nebbia dolciastra. Prima di salire tra le vene del granito, occorre individuare i segni, per poterle seguire senza fati- 34 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 ca, poi, divaricando leggermente le gambe, andar su appoggiando la parte interna del piede, verso la punta, al di sotto dell’alluce, cercando insieme un punto di appoggio ed il successivo, per le mani e per i piedi. È bene imparare a ‘tirarsi sui cristalli’ sapendo in precedenza quale sarà il movimento che viene dopo, e dopo ancora, fino ad un luogo adatto di riposo (a volte basta un’onda di pochi centimetri per poter ripartire con sufficiente energia). Aggiustando il meno possibile la scarpa sulla roccia per non rompere i piccoli bellissimi cristalli: lasciarli entrare nella suola e nelle dita come in un fantastico corto circuito tra il proprio corpo e la roccia. Le mani devono essere appoggiate aperte, ad assorbire ogni rugosità, anche la più piccola, con delicate e forti carezze. Spesso non esiste una via ben definita e si sale ovunque, altre volte invece (e questo capita, come ben si può immaginare su difficoltà più elevate), lo spostarsi di pochi centimetri da un tracciato reale ma apparentemente invisibile, rende impossibile il proseguire. Per scendere (ma esiste poi lo scendere ed il salire?): con la faccia in avanti e le gambe leggermente piegate, aprire i piedi e lasciarsi andare, anche su pendenze incredibili, alle onde del granito. Il dove Scegliere delle vie per farne un quadro graduato non è cosa facile; i caratteri di una via, spesso numerosi e complessi, portano a disorganicità di valutazione e a dispute a non finire (che seguono sempre qualsiasi tentativo di valutazione). Lo schema proposto, per la posizione e la struttura delle vie della val di Mello e dell'area del Remenno, dovrebbe fornire una scala abbastanza significativa e soprattutto omogenea dell’arrampicata in aderenza: nome della via uomini e topi stomaco peloso patabang bacche di ginepro baader quadri di una esposizione guep nuova dimensione fuochi d’agosto unghia dell’elefante okosa cristalli di polvere via per l’inferno LE MONTAGNE DIVERTENTI grado di difficoltà 1 / 2 / 3 4+ 3 / 4 / 5 5+ 6 6- / 6 4/5/6 6 / 6+ 77 7+ 8 8+ L'arrampicata in aderenza 35 Val di Mello Speciali C’è posto per tutti, basta che si sappia scegliere con attenzione e rispetto i confini del proprio gioco, così da potersi ritrovare la sera a raccontare le cose andate e ad inventare nuove emozioni per il giorno che deve venire. Su Stomaco Peloso al Trapezio d'Argento (1986, foto Luisa Angelici). Nota: per la maggior parte delle vie citate si può fare riferimento alla guida della val di Mello dell’autore, per le altre è in preparazione un ciclostilato, che potrà essere richiesto telefonicamente. Antonio Boscacci, 5 agosto 19811 1 - Come i più esperti avranno notato i gradi di difficoltà dati da Antonio in questa lettera del 1981, epressi secondo la scala UIAA, non coincidono con quelli correntemente assegnati alle vie e derivanti da anni di discussioni e confronti tra i rocciatori. Ruttico gomme Dal 1967 ti aiuta a guidare sicuro PNEUMATICI PER AUTOVETTURA, MOTO, AUTOCARRI E AGRICOLTURA TAGLIANDI, MECCANICA, AMMORTIZZATORI E FRENI MOLLE E KIT SPORTIVI, DISTANZIALI E CERCHI IN LEGA RIPARAZIONE GOMME E CERCHI BILANCIATURA E CONVERGENZA ASSISTENZA SUL POSTO OFFICINA MOBILE CONVENZIONI CON LE MAGGIORI FLOTTE D’AUTONOLEGGIO Montagna in Valtellina (SO) fine tangenziale direzione Bormio tel 0342/215328 fax 0342/518609 e-mail [email protected] www.rutticogomme.191.it 36 LE MONTAGNE DIVERTENTI Panoramica della val di Mello e delle vie segnalate in questo articolo (17 aprile 2014, foto tratta da Mario Sertori, Val di Mello Arrampicate Trad e Sportive, edizioni Versante Sud, Milano 2014). Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI L'arrampicata in aderenza 37 Speciali Ciapponi, dal 1883 Testi Andrea Mihaiu, foto Roberto Ganassa 38 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Dal Ciapponi, in piazza 3 Novembre a Morbegno (il servizio fotografico 39 è stato realizzato da Roberto GanassaCiapponi il 7 maggio 2014). Tipicità Speciali Primo e Dario Ciapponi al lavoro tra gli amati formaggi. R ipide scale che costringono ad avanzare senza voltare lo sguardo. Anime che s’incamminano su di esse lentamente, in fila l’una dopo l’altra come al cospetto di Cerbero. Ammirano volte di pietra che hanno memoria del passato, e sono molti coloro che in ogni momento s’aggirano scendendo o salendo. Nel frattempo, da ogni lato, dall’alto e dal basso pare scagliarsi verso di esse l’intera assemblea delle tentazioni di gola: tentazioni per la lingua, per gli occhi, per il tatto e per l’olfatto. Ce n’è abbastanza per chiamarlo “inferno” il micromondo di delizie e cose belle che i fratelli Ciapponi conducono da ormai sessant’anni e da tre generazioni nel cuore di Morbegno. Un regno del gusto che attira e imbriglia, affascina e stordisce, e che si dice abbia il potere di rendere ritardatario l’uomo più puntuale. Un fatto provato, questo. Per lo stesso motivo golosi e curiosi son convinti che questa meraviglia sia, in realtà, l’immagine più vicina a quella del paradiso. 40 LE MONTAGNE DIVERTENTI C’è chi ancora la chiama, ma sono sempre meno, la “bottega dell’orologio”, per la presenza sulla parete esterna di un vecchio marchingegno, ora ripristinato anche se non originale. Per trovarne l’ingresso non occorre vagare all’infinito. Ci si finisce in bocca, come per una piacevole e gradita condanna, una volta abbandonata la trafficata via dello Stelvio e, per chi sale dal lago, imboccata sulla destra via Ambrosetti. Lasciato alle spalle il deserto selvaggio di capannoni e cemento, e raggiunto il trivio che la piazza Tre Novembre forma annodando in un unico gomitolo via Pretorio e via San Pietro, ecco che la bottega si annuncia al viandante con le insegne già evocative di “alimentari e coloniali”. A fianco vi è il nome della famiglia che da un secolo e per quattro generazioni va sostenendo un commercio di garanzia e di qualità, al di là di ogni marchio e riconoscimento. I ciottoli colorati e smaltati del fiume Bitto costituiscono il fondo delle cinque vetrine che avvertono dell’ampia disponibilità di “cordami, granaglie, formaggi”. Su di essi, antichi giocattoli, vecchie cartine, Paolo Ciapponi al lavoro nei pressi dell'entrata del negozio. strumenti militari si contendono il posto tra bottiglie d’annata e forme di Bitto. Un tempo dal Ciapponi si trovava tutto ciò che serviva alla vita contadina e alla sopravvivenza. Oggi molto di più. LA STORIA Il negozio vide la luce nel 1883. Il suo proprietario portava il nome di Carlo Ghislanzoni. A Morbegno si ricorda come quello fosse l’unico negozio del paese, nel tempo in cui fare il commerciante si può dire che fosse un lusso. Dalle testimonianze dei figli e dei nipoti, pare che un giorno Ghislanzoni avesse fatto il diavolo a quattro per avere con sé quel giovane vivace e sempre allegro che abitava vicino al torrente, nell’attuale via Ligari, e che all’anagrafe faceva Paolo Ciapponi. Tutti in Morbegno lo chiamavano il Paulìn. «Basta che resti una settimana poi te ne puoi andare, mi dai una mano con gli affari qui, dopodiché...», fu la proposta di Carlo, che la faceva facile. E tuttavia il Paulin lì non ci voleva stare. Come molti ragazzi della zona, e specialmente della vicina costiera del Cech Estate 2014 Paolo Ciapponi il suo futuro lo intravedeva a Roma, città dove aveva imparato l’arte del negoziare. A raccontare quelle vicende sono ancora oggi i figli Primo e Dario. Da quel “dopodiché” passarono parecchi anni. La guerra del 1915-18 finì e Paolo, che aveva combattuto sul fronte dell’Italia orientale, era rientrato. Risultato, a Morbegno ci rimase. Dalla metà degli anni Venti condusse in prima persona l’attività pagando un affitto salato. Nel 1954 con il fratello Emilio si comprò negozio e casa. Sempre per voce dei suoi eredi, dopo l’offerta del Ghislanzioni, Paolo ci mise pochi giorni a capire che non se ne sarebbe andato. IL NEGOZIO è sempre quel cliente che nell’uscire trattiene la porta e si rivolge a chi è fuori con un «prego, se vuole entrare?». È così che colui che inizialmente si sarebbe accontentato di scrutare attraverso la sottile lastra della vetrina si vede trascinato in un labirinto di corridoi e scale. Oltre quattrocento sono i metri quadrati della superficie commerciale C’ LE MONTAGNE DIVERTENTI del Ciapponi, situato in un edificio che, secondo un’incisione, risale al 1692. Tre invece sono i piani che spingono i visitatori lontano dall’ingresso e gradualmente verso il basso, fino a toccare i dodici metri sotto il pavimento della città. Appena dopo l’uscio, sulla sinistra, ci si incammina per la via del vino. Sulla destra o al centro lungo quella dei biscotti, delle paste, delle confetture e, soprattutto, dei formaggi. Una sintesi riduttiva, a onor del vero, che fa violenza delle centinaia, forse migliaia di cose gustose e interessanti che istintivamente vien da maneggiare, sollevare, pesare: antichi portacandela in legno e ferro pendono dalle porte, poesie di poeti valtellinesi (una è firmata Vedovelli) cantano il negozio con versi dialettali; tra vecchie radio e bilance Berkel spuntano introvabili cestini per la pesca o custodie per cavallette, paioli in rame, lavéc'. Si perdono tra bisciole, biscotti di Prosto di Piuro, liquori tipici e farine sugli scaffali. In una cornice ovale, Emilio e Paolo Ciapponi posano, l’uno in piedi e l’altro accomodato, con il tono della borghesia commerciale. In un’altra immagine Papa Giovanni Paolo II abbraccia e divora con gli occhi una forma di Bitto dei fratelli Ciapponi. Uno scatto attorno al quale Dario classe 1931 e che del Paulìn è figlio ama ricamare aneddoti di «suore che non glielo lasciavano mangiare» (al Santo Padre!) o di inaffidabili messi nelle cui mani pare sia stato un bene non consegnare la forma spedita in Campidoglio. Occhi azzurro vispo, un’ironia da far invidia al più forte comico umorista, Dario è il Virgilio migliore che al viandante possa capitare. RICORDI Adora parlare. «Questi scaffali? Avranno quattrocento anni. Li ha fatti da un falegname di Morbegno con le travi del tetto. Guardi poi questo registratore di cassa: è tutta roba moderna». Indica un marchingegno che due persone faticherebbero a spostare. Nel corridoio centrale illustra come «qui i carri entravano e uscivano trascinati dai cavalli, mentre si segnava il dare e l’avere». La sua mano corre su pese e stadere che hanno piatti dotati di beccucci, adatti Ciapponi 41 Tipicità Speciali Viaggio tra le numerose stanze del negozio. Bitto di Pescegallo invecchiato 10 anni. Una vecchia cassa risalente ai primi del '900. a far scivolare i grani nei sacchi, ma comprende che l’attenzione dell’ascoltatore è assorbita da una piccola stanza laterale: la sala dei formaggi. L’ingresso suscita stupore. Si tratta di una minuscola casera in nuda pietra e fornita di una sola, minuscola finestra, e nella quale tra i migliori salumi e le bresaole locali si trova il Bitto accuratamente selezionato e fatto stagionare dalla famiglia. Le porzioni fuoriescono volteggiando tra le mani dei clienti, che le portano a spasso adagiate su minuscoli e grezzi taglieri. Non mancano formaggelle di capra, tome piccanti, forme di Casera. Tra tanto ben di Dio il còlmen in legno della chiesa di Andalo (1792), il vecchio slittino o la bicicletta dell’anteguerra, anch’essa mezza sospesa, non godono dell’attenzione che altrove susciterebbero. Senza possibilità di scampo, lo sguardo è magnetizzato dalla scritta “Ciapponi, Bitto dal 1883”, impressa a mano e in verde corsivo sulle croste giallastre di invitanti masse tonde. Al primo piano ribassato si trovano decine di forme, lasciate riposare. Dario Ciapponi, che ha ancora gambe forti per scendere e salire, si può dire che nel campo sia una vera autorità. «Il Bitto – racconta – si produce dal 15 giugno al 15 settembre. Arriva qui fresco. Lo si posa sulle assi lasciando che fuoriesca di un dito. Così si riesce a capovolgerlo senza rovinarlo. Per i primi mesi va rivoltato due o tre volte alla settimana, sempre raschiando con un pezzo di falce le forme e lavando le tavole di legno, anch’esse da rigirare. Dopo un anno è abbastanza duro e lo si può allineare in verticale». A ogni racconto seguono sempre nuovi trucchetti. «Quando lo si vuole acquistare, con le dita bisogna premere sulla superficie e fare delle cunette, e lui deve tornare su. Se screpola non si può stagionare, bisogna tagliarlo e venderlo alla svelta». Parole nelle quali non c’è nulla dell’affabulatore. Primo e Dario nel corridoio cinto da scaffali colmi di prodotti. C’è piuttosto l’esperienza di una vita. Ci sono il nonno e un’infanzia vissuta tra gli alpeggi. C’è l’amore per un prodotto che «adesso bisogna stare attenti a proteggere da tanta porcheria». «Il nonno mi insegnava che nelle giornate calde il latte è più grasso e non riesce a cagliare. Per questo mi insegnò a prendere l’acqua del Bitto e a versarla nella caldaia, per togliere quei gradi che impediscono di lavorare. Un giorno un bambino vide quest’operazione e disse a suo padre «i Ciapponi fanno il formaggio con l’acqua!». Quando lo incontrai mi guardò da lontano come a dire “cos’è ‘sta storia dell’acqua nel formaggio?”. Insomma, gli ho dovuto spiegare la rava e la fava...». Pochi di noi saranno costretti a metterli in pratica sull’alpe Piazza, Pescegallo o Trona Soliva (dove i Ciapponi andavano a caricare), ma questi e altri insegnamenti («prendere Le forme di formaggio stagionano accanto ad una ruota da carro delle risaie. la pelle dietro alla zampa della vacca e tirare: se è grassa è buona per la carne, se è sottile va bene per il latte» oppure «picchiare ginocchio stinco e unghia: se la zampa non si muove è meglio lasciare l’animale a valle») restano per sempre impressi nella memoria di chi scopre in via Tre Novembre una piccola e autentica roccaforte di valtellinità. L'EDIFICIO Negli anni l’edificio in cui i Ciapponi vivono e lavorano non ha subito stravolgimenti. L’impressione è che la famiglia abbia difeso semplicità e tradizione nonostante le grandi ricchezze procurate dagli affari. Ne dà conferma non soltanto Primo, fratello di Dario, classe 1924, che spiega come «fin dagli anni Cinquanta avevamo capito che la produzione industriale minacciava quella tradizionale», ma anche la smisurata passione che sia Alberto LE MONTAGNE DIVERTENTI dipinto i numeri, un falegname ci ha fatto il fondo in noce». Mostra arnesi mai visti, tra cui enormi mannaie «per spacà i bestij’ o un vecchio selz della Galbusera «quando aveva il bancone del bar», una «affettaprosciutti che dicono sia del Settecento» e uno «snocciolatore di olive a mano della fabbrica di conserve Biffi: eravamo loro clienti, quando hanno chiuso ci hanno lasciato un po’ di materiale». Chi svuota vecchie stalle e cantine si rivolge a lui, che pagando risistema e mette in vendita. Il risultato sono centinaia e centinaia di manufatti in bella mostra o nei magazzini. Per tutto questo il Ciapponi è senza dubbio il miglior museo di storia locale visitabile gratuitamente, anche se spesso, tra tanta «roba moderna» e appetitosa, finisce che le tentazioni riescano ad averla vinta e a spingere la mano… verso il portafogli! Tra le tante, bottiglie di vino valtellinese di oltre 40 anni fa. La saletta di vendita e assaggio di prodotti locali. 42 Ciapponi, figlio di Dario, sia Paolo, suo cugino, mostrano nel mantenere viva l’attività. Il primo è un sommelier professionista e ha 47 anni. Ha creato una cantina che conserva circa 800 etichette, delle quali quattro quinti provengono dal territorio valtellinese. Crede nel ritorno alla tradizione, ma «senza esagerare» e soprattutto nella difficoltà oggi di «riconoscere cos’è autentico e cosa no». Descrive con orgoglio i condotti che permettevano agli antichi proprietari di fare scivolare la neve al piano più basso, dove la temperatura rimane stabile anche d’estate, attorno ai 10 gradi. Il secondo è l’uomo che, assieme alla sorella Lucia, ha raccolto, restaurato, esposto buona parte dell’intera gamma di materiali in esposizione. «Questa era la piccozza di mio padre e questa una fascera per i matüsc, i formaggi piccoli. L’abbiamo trasformato in un orologio, mia sorella ha Paolo e Alberto nel reparto vini. Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Ciapponi 43 Antonio Cederna e la vetta di Ron Speciali acquerello di Kim Sommerschield (www.sommerschield.it - in mostra all'Atelier Pestalozzi a Chiavenna luglio-settembre 2014 e al rifugio Savogno 18-27 luglio 2014). Personaggi Antonio Cederna (1841-1920) patriarca dell’alpinismo lombardo e della difesa dell’ambiente 44 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Occhi Antonio CedernaRaffaele (1841-1920) 45 Personaggi Speciali S e patriarca, nell’accezione odierna, è la persona più anziana e autorevole di un gruppo dedito ad una certa attività nel perseguimento di determinati obiettivi, aveva ragione Massimo Mila – in Cento anni di alpinismo italiano – a ritenere Antonio Cederna «patriarca dell’alpinismo lombardo». Già in età avanzata, infatti, il nostro convalligiano di Ponte in Valtellina (dov’era nato nel 1841) aveva saputo conquistarsi considerazione e rispetto non solo in seno al CAI e nell’ambiente alpinistico con le sue ascensioni e il suo alpinismo sistematico e di esplorazione, ma anche fra le popolazioni alpine con la sua attività divulgativa e promozionale in favore della montagna, di quella valtellinese e lombarda in particolare. Il Club Alpino Italiano poté infatti contare a lungo sull’entusiasmo, le competenze e le capacità organizzative del Cederna: fu presidente della Sezione di Milano prima (1896-1899), di quella Valtellinese poi (1901-1919), nonché per diversi anni consigliere e vice presidente generale del CAI. Sotto la sua guida fiorirono le gite sociali, l’alpinismo giovanile, le riunioni intersezionali; col suo contributo si tracciarono sentieri e si costruirono rifugi. Pur non figurando fra i promotori della Sezione di Sondrio, che «si costituì nel 1872, con effetto utile dal 1° gennaio 1873», il suo nome lo troviamo comunque nell’elenco dei soci fin dagli inizi; la sua prima sortita pubblica ufficiale in rappresentanza del CAI data ai primi di settembre del 1875 quando, insieme al dott. Alessandro Rossi (il “dottor Sücc”) e all’avv. Giacomo Merizzi, «muniti di commendatizia» del presidente della Sezione Valtellinese, senatore Torelli, partecipò all’inaugurazione del rifugio Payer all’Ortler, allora in terra austriaca. L’Ortler, lui, il Rossi e un Rosatti di San Giacomo lo salirono poi il giorno successivo, «accompagnati dalla buonissima guida Luigi Pinghera [Alois Pinggera] di Sulden». A ben guardare, allora il Cederna non era più un giovinetto, ma c’è da giurare che la passione per la montagna l’avesse covata fin dall’infanzia, sgambettando su per la val Fontana proprio dietro casa o rimirando le Orobie al di là dell’Adda, che Helen Hamilton, moglie di Alfredo Corti, sulle sponde del lago di Rogneda. Sullo sfondo la Corna Brutana(m 3059) di cui Antonio Cederna fu tra i primi salitori (luglio 1915, archivio Alfredo Corti - CAI Valtellinese). 46 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inaugurazione della capanna Cederna (ora Cederna-Maffina) nell'alta val Fontana. Al centro della foto, con il cappello bianco e di profilo, è Antonio Cederna, che finanziò la costruzione del rifugio (31 luglio 1904, foto archivio Alfredo Corti - CAI Valtellinese - www.archiviocorti.it). da nessun posto si vedono meglio che da Ponte. Proprio ai Monti e Passi della Val Fontana dedicò una pregevole monografia, pubblicata nel Bollettino del CAI del 1885 in cui, oltre a delineare con precisione l’orografia e la topografia della zona, descrive le ascensioni che vi fece con la guida di Chiesa Valmalenco Michele Schenatti. Alfredo Corti – recensore non certo tenero – ne formulò il «più lusinghiero giudizio», affermando senza esitazioni che «spetta al Cederna il vanto e il merito di aver salito per primo molte vette [tra cui la vetta di Ron, la cima e la punta di Vicima e la corna Brutana], esplorato con affetto figliale il gruppo e di averlo fatto conoscere con pubblicazioni succes- sive». Alla val Fontana, dove già nel 1875 aveva salito il pizzo Calino «in compagnia di Della Valle Pietro detto Venturin, cacciatore di Castione», regalò poi nel 1903, quand’era presidente della Sezione Valtellinese, un rifugio per facilitare le ascensioni nel gruppo dello Scalino; gli venne dato il nome di “Rifugio Cederna”, in segno di ringraziamento per la generosità «dell’uomo che ha consacrato la sua attività intelligente al bene della Valtellina» (oggi, dopo tante vicissitudini, ricostruito col nome di Cederna-Maffina). Poi vengono le montagne di fronte a Ponte, quelle che un tempo venivan chiamate Alpi Bergamasche, e che il Cederna insisteva (e il tempo gli diede ragione) col voler chiamare Alpi Antonio Cederna (1841-1920) 47 Personaggi Speciali La vetta di Ron (m 3136) dalla punta meridionale della Corna Brutana (cartolina spedita nel 1930, archivio Maurizio Cittarini). Orobie. Ed è proprio lì che raggiungono la massima altezza e offrono le salite di maggior interesse alpinistico, nel gruppo Coca-Redorta; a furia di guardarlo, era rimasto così affascinato da quell’ambiente «severo, pittoresco e veramente alpino, in grazia della sua mole, delle sue ripide pareti, degli aspri contrafforti e dell’ampia stesa di ghiacciai» (come scrisse sul Bollettino del CAI del 1890), ed in particolare da quel gran canalone ghiacciato che dal pizzo di Coca scende verso la vedretta dei Marovin e la val d’Arigna, che nel 1889 ne fece la prima salita, un’impresa magnifica se si considerano i limitati mezzi tecnici di allora; «ebbe a guida – come ci ricorda Alfredo Corti – Antonio Baroni; e umile collaboratore devoto gli fu Andrea Valesini (Andrin Tissol)». Con gli stessi, pochi giorni dopo, fece la prima salita della cresta nord della punta di Scais; al pizzo di Coca ci tornò anche molti anni dopo, nel 1908, e sempre col fido Valesini vi fece la prima salita per la cresta nord. Il Bollettino del CAI del 1891 ospitò un altro bel lavoro del Cederna, dedicato anch’esso ad una valle allora negletta, la val Grosina («così bella, a detta degli stranieri, e così poco conosciuta»), che aveva percorso due anni prima salendone diverse cime con la guida Giuseppe Krapacher di Premadio (Todeschìn). Oltre ad illustrarla con i suoi scritti, e a farla così conoscere ed apprezzare, ne fece oggetto di una applaudita conferenza nel marzo 1892 a Milano. Non mancò il Cederna di visitare i recessi più appartati del Livignasco, sempre col Krapacher, dove nel 1888 salirono per primi il piz da l’Acqua e il pizzo Filone, misero piede sulla Corna Cavalli e sul Corno di Campo, ed espugnarono poi la Cassa del Ferro, il «misterioso monte» a cavallo tra Livigno e Fraele, con il fascino tutto particolare degli immensi ghiaioni e dei «fiumi secchi di detriti, i quali scorrono Il fianco destro della val Fontana, dal pizzo Calino (a sx) al pizzo Painale (a dx) (1910 ca, archivio Alfredo Corti - CAI Valtellinese). 48 LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo Painale (m 3248) versante NE coi ghiacciai di Painele E e del colle di val Molina(ottobre 1910, archivio Alfredo Corti). lentamente verso le acque che bagnano tutto all’ingiro le radici del monte». Ma nel contempo il Cederna non disdegnò affatto le regioni montuose più famose del Bernina – dove salì tra l’altro lo Zupò, l’Argento, il Cambrena, il Varuna e il Tremogge – o del Disgrazia, e neppure le vette più famose della Valfurva – Cevedale, Rosole, Palon della Mare, San Matteo e Tresero – visitate nel 1887 anche coi figli in occasione di un soggiorno a Santa Caterina. Ed eccolo ancora in azione, l’anno successivo, a raggiungere il Gran Zebrù per il canalone delle Pale Rosse con la guida Battista Confortola, che già l’aveva accompagnato, nel 1885, lungo l’impegnativa cresta dell’Hochjoch all’Ortler, di cui allora si contavano solo una decina di ripetizioni. Dalla lettura delle sue relazioni e dai diari che teneva durante le passeggiate emerge la figura di un alpinista di stampo ottocentesco, preciso e scrupo- Cartolina viaggiata nel 1923 (archivio Maurizio Cittarini). Estate 2014 Il Corno di Campo (m 3232) dall'alpe Vago (anni '30, archivio Cittarini). loso fin quasi alla pignoleria, che nulla voleva lasciare al caso: «tenevo molto al mio equipaggiamento – scrisse – il sacco con tutte le sue tasche colme di cibo, bicchieri d’alluminio, grandi tovaglioli, temperino, fornelletto per fare il tè una volta in alto, la corda, e la piccozza». E nel suo assecondare «la passione che va svegliandosi nelle donne e nei fanciulli per le escursioni in montagna», non mancava di consigli per le gentili alpiniste, a cui suggeriva, per non destar scandalo, «una gonna da cingere provvisoriamente uscendo dai villaggi e all’entrarvi, fatta in guisa che, levandola, serva come scialle». A ntonio Cederna, come abbiamo visto, era arrivato relativamente tardi all’alpinismo. Da Ponte, ancor giovane, si era infatti trasferito a Milano dove, «senza danari ma ricco di studi, iniziava un duro tirocinio» nel campo commerciale. Dopo la cacciata degli Austriaci dalla Cartolina viaggiata nel 1921 (archivio Maurizio Cittarini). LE MONTAGNE DIVERTENTI Argento e Zupò dal ghiacciaio di Fellaria (anni '20, archivio Cittarini). Lombardia, come molti altri valtellinesi fu preso dal fermento per l’unificazione nazionale; ed ecco che, fresco di studi classici e di passione filorisorgimentale («nella diffusa, convinta, partecipe volontà di “fare l’Italia”, senza esclusivismi regionali, né paratie stagne, né siepi divisorie fra una regione e l’altra», come ha ben sottolineato il prof. A. Colombo nell’introduzione al volume Il Risorgimento e la Valtellina), nel 1860 «vestì la divisa garibaldina, fra le truppe che operarono nel napoletano, dal Volturno a Gaeta» (così Alfredo Corti che, alla morte del Cederna, tenne a Sondrio per iniziativa della Sezione Valtellinese del CAI un lungo discorso commemorativo). Poi, lasciata la camicia rossa, «con intuizione veramente luminosa – sono sempre parole del Corti – il Cederna capì che l’Italia, nazione appena sciolta dalle strettoie di servaggi secolari, giovane e povera, tutto aveva da apprendere da nazioni più mature, meglio educate, meglio preparate al commercio». E quell’intuizione, arricchita da esperienze e viaggi all’estero («i grandi viaggi compiono veramente la funzione di ampliare la capacità intellettuale delle persone»!), lo portò successivamente «dal campo del solo commercio a quello più alto e più nobile, se pur più aleatorio, della produzione». Nel 1886, infatti, assunse la direzione del Cotonificio Lombardo di cui divenne la mente e l’anima, «creandovi l’industria della tintoria che contrastò e contrasta vittoriosamente i tessuti stranieri». L’anno successivo costituì la Società “A. Cederna e C.”, rilevando gli impianti milanesi del Cotonificio Lombardo; aprì poi un nuovo stabilimento a Monza con un’ottantina di operai, affiancato da quello che è ancor oggi il “Villaggio Cederna”, un insieme di edifici destinati all’alloggio oltre che alla vita sociale e aggregativa delle maestranze, espressione del capitalismo illuminato dell’epoca. La Società raggiunse un notevole Cartolina viaggiata nel 1903 (archivio Maurizio Cittarini). Antonio Cederna (1841-1920) 49 Personaggi Speciali grado di floridezza e i «suoi prodotti in tintoria e candeggio» risultarono così apprezzati che, come leggiamo in un trafiletto su La Valtellina a proposito dei personaggi benemeriti di Ponte, il Cederna fu premiato con medaglia d’oro e diploma all’Esposizione Generale Italiana di Torino del 1898. Il Cederna non si limitò a gestire la sua azienda, ma partecipò anche alla vita sociale e politica, ricoprendo cariche e ruoli di rilievo in diversi enti e associazioni. A Milano, nel 1901, promosse l’istituzione di una scuola pratica di commercio, a cui fu prodigo d’aiuto; fu poi a lungo consigliere e vice-presidente della Società d’esplorazione commerciale in Africa. N onostante tutti gli impegni e le preoccupazioni del lavoro, il Cederna riuscì sempre a trovare uno spazio da dedicare all’alpinismo (nel senso più ampio) e alla sua valle. Da Winterthur in Svizzera, durante un tirocinio commerciale, aveva salito il Säntis, dove l’andare in montagna «è una specie di culto, che fa parte integrale della loro educazione». Poi da Milano, ove risiedeva, frequentò per molti anni le Prealpi Lecchesi, il Resegone e la Grigna, il Legnone; ma si concesse pure qualche puntata più lontana e significativa nelle Alpi Occidentali, dove scalò il Rosa, la Grivola «a lungo desiderata», la Bessanese in val di Lanzo e infine il Cervino, raggiunto nell’agosto del 1884 dal versante italiano con le guide Antonio Castagneri (il famoso “Toni dei Tuni”) e Daniel Maquignaz (la guida di Vittorio Sella nel Caucaso). L’alpinismo, per il Cederna, non doveva però rimaner chiuso ad una fortunata ma ristretta cerchia di touristes. Come allargarne dunque la base, e quindi favorire una maggior frequentazione delle montagne, se non promuovendo gite sociali e adoperandosi per la realizzazione di rifugi e la segnalazione di sentieri? Eccolo dunque organizzare e dirigere escursioni collettive, o caldeggiare incontri e convegni intersezionali, per favorire la conoscenza e la collaborazione fra gli alpinisti, con una particolare attenzione ai giovani e agli studenti; le gite giovanili divennero con lui uno dei capisaldi dei programmi del CAI. Grandi energie dedicò poi ai rifugi alpini: è lui che volle la capanna Marinelli alla est del Rosa (dopo la catastrofe in cui perì, con Marinelli e Imseng, anche la guida di Valfurva Battista Pedranzini) o la Releccio (oggi Bietti-Buzzi) al Grignone. È ancora lui che, con un occhio di riguardo per la sua Valtellina, lanciò l’idea di un rifugio ai piedi del Gran Zebrù, la capanna Cedeh (oggi Pizzini-Frattola), di cui appaltò i lavori alle guide di Valfurva «per speciale incarico avuto dalla Direzione» del CAI Milano. E non possiamo dimenticare che la negletta val Grosina – come scrisse Alfredo Corti – «ebbe anche dall’appoggio e dall’iniziativa del Cederna stesso il vantaggio di due Rifugi. Uno, il più alto, inaugurato nel 1891 in un punto di interesse grandissimo per la strategia alpinistica del Gruppo, al Passo di Dosdé, in mezzo al nodo centrale della testata della Valle, fra le Cime di Dosdé e di Lago Spalmo. L’altro, la simpatica Casa d’Eita [...] destinata a permettere il godimento della parte meno alpestre della valle e a servir di tappa o di base per chi volesse salire alla capanna più alta di Dosdé». Fu poi grazie al Cederna che la Sezione Valtellinese poté ottenere dal CAI Milano, nel 1893, un contributo per la realizzazione del rifugio Guicciardi a Scais. E ancora, nel lungo periodo in cui fu presidente della Sezione Valtellinese, oltre a donare – come abbiamo già detto – il rifugio che porta il suo nome in val Fontana, il Cederna si adoperò per l’ampliamento della capanna Marinelli al Bernina che venne dotata nel 1906 di un servizio di alberghetto. U na costante che accompagnò tutto il percorso alpinistico ed imprenditoriale del Cederna fu il sacro chiodo del progresso e dello sviluppo turistico della montagna, e in particolare della sua Valtellina, accompagnato da una coscienza ambientale ante litteram che si ritroverà nei suoi discendenti. Durante un’ascensione alle cime di Lago Spalmo, preconizzava – forse pensando ai telai dei suoi opifici – lo sfruttamento delle risorse idriche costituite dai ghiacciai: «Quale sterminato magazzino di energia idraulica! Quanti meccanismi potranno essere mossi utilizzando le acque che scaturiscono da cotesti enormi serbatoi ed a quali distanze si potrà portare questa forza mediante l’elettricità? Il trasporto elettrico dell’energia meccanica a grandi distanze, quando troverà da noi un’applicazione simile a quella che rende ora orgogliosa la Germania?». Questo sfruttamento però avrebbe dovuto avere una contro- La capanna Dosdé nel 1904 (foto Giovanni De Simoni, archivio Gabriele Antonioli). Gruppo di Sondriesi alla capanna Cedeh verso fine '800 (archivio CAI Sondrio, immagine tratta da Montagne di Valtellina e Valchiavenna, Banca Piccolo Credito Valtellinese, Sondrio 1982). partita a favore dei comuni; è plausibile che l’idea di farli compartecipare ai canoni per l’utilizzo delle “forze idrauliche” attraverso un consorzio (anticipatore del BIM) fosse stata concepita – come suggerisce Franco Monteforte – proprio dal Cederna, insieme a Rinaldo Piazzi, Emilio Quadrio e Giuseppe Ponzio, negli ambienti dell’Associazione Valtellinesi a Milano. Il Cederna, figura rappresentativa della borghesia lombarda di stampo illuminista, ebbe parte attiva nella vita valtellinese con svariate altre iniziative: basti ricordare la rinascita dei Bagni di Bormio ritornati sotto la sua presidenza in mano italiana, la promozione di strutture alberghiere, il sostegno alla scuola dei canestrai di Albosaggia e alle “piccole industrie” di Bormio; non mancò il suo contributo quando, nel 1899, andò completamente a fuoco il paese di Sant'Antonio Valfurva, così LE MONTAGNE DIVERTENTI come non era in precedenza mancato il suo aiuto a favore della famiglia di Battista Pedranzini, dopo la tragedia sulla est del Rosa nel 1881. E non possiamo non sottolineare la sua visione profetica sulle potenzialità turistiche della montagna come quando, ad esempio, sosteneva la necessità delle strade per favorire gli scambi e il turismo; basti leggere il resoconto sulla Rivista del CAI del 1888 di Una escursione invernale in Val Livigno, in cui auspica il collegamento stradale attraverso il Foscagno di quella regione allora sperduta con il resto d’Italia, resoconto giustamente ripreso nel volume Ascensioni celebri sulle Retiche e sulle Orobie dal prof. Bruno Credaro, per «scoprire la singolare attitudine del Cederna a vedere, proiettate nel futuro, le possibilità turistiche di una zona singolare e pittoresca, come è quella di questo altissimo e lunghissimo borgo». Ad Antonio Cederna, alpinista di stampo ottocentesco, si deve riconoscere una visione realistica e moderna, ma nello stesso tempo illuminata sui temi ambientali. Era contrario alla caccia («Mai mai volli portare il fucile che molti altri amici o conoscenti alpinisti ritenevano indispensabile nelle gite [...] le macchie di sangue nella neve m’immalinconivano alquanto, quasi togliendomi il gusto della gran bella camminata»), ma soprattutto deplorava il disboscamento indiscriminato frutto di speculazione e «l’ignoranza d’ogni criterio in fatto di silvicoltura e di climatologia»; invitava quindi a domandarsi «se quanto accaduto qui ed altrove sia stato veramente un progresso», richiamando l’attenzione alle «provvidenziali armonie della natura» troppo spesso «violentate». Nel formulare queste considerazioni, il Cederna doveva aver ben presenti i problemi del dissesto idrogeologico Sulle pietraie della val di Ron durante la gita sociale del CAI Sondrio alla vetta di Ron del 26 luglio 1896 (archivio CAI Valtellinese). La casa d'Eita nel 1904 (foto Giovanni De Simoni, archivio Gabriele Antonioli). 50 La capanna Marinelli nel 1910, da pochi anni dotata di servizio di alberghetto (archivio Maurizio Cittarini). La capanna Cederna nel giugno 1905 (foto archivio Alfredo Corti - CAI Valtellinese - www.archiviocorti.it). Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Antonio Cederna (1841-1920) 51 Personaggi Alpinismo In alto a sx: Giulio Cederna, figlio di Antonio, in vetta alla Corna di Mara (m 2807) nel 1898 (foto archivio Giuseppe Cederna). In alto a dx : Giulio Cederna in vetta al monte Bellavista (m 3922) (5 settembre 1906, foto archivio Giuseppe Cederna). In basso a sx: Giuseppe Cederna, nipote di Giulio, su un alto passo himalayano lungo la strada verso il Ladakh (India, 2004, foto Gianpiero Bianchi - archivio Giuseppe Cederna). Gli schizzi topografici di val Fontana e di val Grosina realizzati da Antonio Cederna (immagini tratte dal Bollettino del CAI del 1885 e del 1891). Il 19 luglio Punto Ponte esporrà nel centro storico di Ponte in Valtellina una mostra dedicata ad Antonio Cederna. che affliggevano (e affliggono ancora) i territori di montagna. Se da un lato, dopo le inondazioni del 1888, elogiava «la Sezione di Milano che non manca mai all’appello quando trattasi di soccorrere gli infelici di qualsiasi regione alpina», dall’altro affermava con forza che «tale solidarietà non deve finire colla limosina» ma dev’essere accompagnata dallo studio delle cause e degli opportuni rimedi; in particolare, si chiedeva, «a che giovano ormai le arginature, le briglie ed altre opere di difesa se in pari tempo non si pensa al generale rimboscamento della valle?» E per dare l’esempio, come ci ricorda il Corti, «sul suo bel San Bernardo il Cederna coltivò per tutta la vita la sacra abitudine delle piantagioni; col fido Andrin Tissol ogni anno, in ogni spazio di cui poteva disporre, i piccoli larici erano affidati alla terra ed amorosamente difesi dal morso delle capre». Nel 1912, dopo il terribile nubifragio del 21-22 agosto, la rivista Pro Valtellina – organo dell’omonima associazione per lo sviluppo del turismo e la valorizzazione culturale della valle, di 52 LE MONTAGNE DIVERTENTI cui il Cederna era stato uno dei sostenitori nonché presidente onorario – pubblicò un Numero unico a favore dei danneggiati dalle alluvioni, affidandone la presentazione proprio al Cederna. Ne riportiamo alcuni brani: «Sento profondamente il lutto della Valtellina per le calamità onde fu colpita – scrive – e piango sulle miserie di tanta brava e buona gente che soffre nel presente e nella triste visione dell’avvenire! [...] Mai, come quest’anno, erano stati battuti i grandi ghiacciai dei gruppi del Bernina e del Cevedale, da alpinisti italiani e stranieri. Ogni vetta, ogni altura, ogni valle, ognuno dei numerosi laghetti, veri gioielli incastonati fra le rocce intorno ai due e ai duemila cinquecento metri, sparsi lungo le catene montuose che cingono la valle, aveva i suoi visitatori ed ammiratori. Qui incontravate l’alpinista per l’alpinismo; là chi era venuto per studiare la flora rara delle montagne valtellinesi, o la fauna, o i calcari ed i marmi, o le dioriti, le sieniti ed i porfidi, o i graniti, i gneiss, le pietre verdi, gli scisti ecc., o a racco- gliere cristalli, tormaline e granate. Altrove era l’artista in cui vi imbattevate [...] Man mano che si inoltrava l’estate, cresceva nei buoni contadini la radiosa visione di ottimi raccolti e chi pensava al pagamento di qualche debituccio, chi ad aumentare l’armento o ad introdurre migliorie nella coltivazione. Ma ecco: il cielo si oscura; romba minaccioso il tuono in continuo balenar di lampi; freme la terra sotto lo scroscio della grandine, che sferza rabbiosa il monte e il piano; indi un diluvio d’acqua e turbini e saette, funesta luce sull’orrenda scena. Da lungi, un insolito minaccioso rumore getta in tutti sgomento e paurose previsioni. Ognuno pensa alle case, alle famiglie, agli armenti e intanto s’avvicina il rombo dei torrenti, degli alberi schiantati, delle pietre divelte e fra di lor cozzanti. È la montagna che precipita e piomba sui villaggi, abbattendo case, stalle, fienili e spargendo la distruzione e la morte ove poc’anzi era pace di famiglie, sorriso di angioletti, smeraldo di prati, profumo di bionde messi ondeggianti e Estate 2014 di tralci opulenti!» Non solo imprenditore, non solo patriota e alpinista, ma anche giornalista era Antonio Cederna; e si capisce, degni di tanto nonno, da chi presero i nipoti Antonio e Camilla! A ntonio Cederna se ne andò nel 1920, e «dorme ora l’ultimo sonno nel quieto, solatio Camposanto della sua Ponte: a tergo si ergono la Vetta di Ron e la Corna Brutana: di fronte la parete austera del Pizzo di Coca, le creste dentellate dei Druiti” (dalla commemorazione di Alfredo Corti). Della passione per la montagna, dell’attaccamento alla Valtellina, a Ponte e a San Bernardo (dove aveva avuto ospite, tra gli altri, anche l’alpinista Achille Ratti, futuro papa Pio XI), delle iniziative a difesa dell’ambiente e del territorio attraverso i rimboschimenti, il “patriarca” Antonio Cederna (questa volta, attenendoci alla Treccani, quale “capo di una grande famiglia, che ha piena e indiscussa autorità su tutti i suoi discendenti”) aveva però LE MONTAGNE DIVERTENTI gettato il seme, che sarebbe germogliato e fiorito con le generazioni. Il figlio Giulio proseguì nell’opera di denuncia dei disboscamenti selvaggi dalle colonne de La Valtellina, evidenziando «i danni arrecati nei luoghi ove su vasta scala vennero decimate le foreste coll’unico egoistico criterio di far danari» e deplorando il vandalismo che non aveva lasciato indenne nemmeno il “Bosco del Club Alpino” sopra San Bernardo dove il padre aveva fatto mettere a dimora nel 1887, col contributo del CAI, ben 15 mila larici. Il nipote Antonio fu paladino nella difesa del territorio e del paesaggio in Italia, non esclusa la nostra Valtellina, giornalista rigoroso e agguerrito che condusse le sue battaglie dalle colonne del Corriere della Sera, di Repubblica, de L’Espresso, così come attraverso Italia Nostra di cui fu tra i fondatori e in ultimo da parlamentare. «La lotta per la salvaguardia dei valori storiconaturali del nostro paese – scriveva nel 1961 – è la lotta stessa per l’affermazione della nostra dignità di cittadini, la lotta per il progresso e la coscienza civica contro la provocazione permanente di pochi privilegiati onnipotenti». Il pronipote Giuseppe infine, oltre che affermato attore, è grande appassionato di montagna e di viaggi. Nel 1999 fece un viaggio-pellegrinaggio verso le sorgenti del Gange, il fiume sacro per eccellenza dell’India, traducendo poi quell’esperienza in un libro, Il grande viaggio. Scrittore anche lui, fra le sue pagine affiorano ricordi e immagini dell’infanzia e delle montagne di casa – le montagne di Ponte in Valtellina – con gli antenati che hanno indicato un percorso, in un intrecciarsi di presente e passato senza tempo. «Legati da una corda, un filo di uomini sale nella neve. Hanno barbe lunghe e visi rasati, alti bastoni di ginepro e bastoncini telescopici di alluminio. Ramponi e scarpe chiodate. Vivi e morti insieme. Alla testa della cordata c’è il mio bisnonno Antonio, che conosce tutti». Antonio Cederna (1841-1920) 53 Alpinismo Versante retico Vetta di Ron Sul versante retico a N di Ponte in Valtellina si alza una cima rocciosa dall'aspetto severo che, come scriveva Antonio Cederna "da ogni lato la si guardi appare fortezza inespugnabile". La vetta di Ron, questo è il suo nome, è una delle montagne più affascinanti dell'intera catena, con tre facce molto ripide e di forma vagamente triangolare che dominano altrettante valli. Piuttosto isolata, offre un panorama eccezionale sui principali gruppi montuosi della Valtellina. Beno 54 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI La vetta di Ron (m 3136), al centro, è separata dalla rossiccia bocchetta della Brutana (m 2950) dalla Corna Brutana (m 3050, m 3057, m 3059) a sx . A dx vi sono cima di Ron (m 2924) e punta Corti (m 3073). Indicate in giallo la traversata cime della Brutana-vetta di Ron per la via dei Campanili e in rosso la via normale per il versante S. Immagine scattata dalla cima di Vetta di Ron (m 3136) Finale (m 2611) (18 agosto 2005, foto Beno). 55 Alpinismo Versante retico D opo soli 29 numeri, è giunta l'ora di svelare il mistero: cosa rappresenta il logo de Le Montagne Divertenti? È semplicemente il profilo meridionale della vetta di Ron (m 3136) e delle sue ancelle, la trifida corna Brutana (m 3059, m 3057, m 3050) e punta Corti (m 3073). Ho scelto questo scorcio di Alpi Retiche perché qui ho iniziato il mio percorso di riscoperta delle montagne valtellinesi, attratto dal fascino selvaggio di queste cime eleganti e dimenticate, ispirato dai racconti dei pionieri d'inizio '900: Antonio Cederna, che per primo salì la vetta di Ron nel 1885, Bruno Galli-Valerio che inaugurò la tetra parete NO e l'affascinante via dei Campanili tra il 1907 e il 1912, partendo e tornando a piedi a Sondrio in giornata! L a vetta di Ron si trova sul confine tra i comuni di Ponte e Montagna in Valtellina, a metà della lunga dorsale che corre dalla Corna di Mara (m 2807) al pizzo Scalino (m 3323). Dalla cima partono tre creste. Quella occidentale fa da giunzione con la Corna Brutana ed è caratterizzata da tre grandi torri rocciose dette i Campanili, quella settetrionale, marcissima e utilizzata dal Cederna per la prima salita alla montagna, infine quella orientale, che si stacca dalla dorsale principale dividendo il bacino di Ron dalla val Vicima e sulla quale cui Hans Peter Cornelius1 tracciò un'ardita via il 9 giugno 1913. Queste creste individuano altrettanti versanti, scoscesi e rocciosi. La faccia NO precipita scura e verticale verso il buco del Cacciatore, laterale sx della val di Togno. Ai suoi piedi si trova il ghiacciaio Corti, un ghiacciaio nero già catastato dal Nangeroni nel 1929. Proprio perpendicolarmente alla vetta scende un grande pilastro su cui corrono, a mia conoscenza, tre vie, una di Mario Vannuccini degli anni '90, una che ho tracciato col Lele nel 2011 e una di Bruno Galli-Valerio che non sono ancora riuscito ad individuare con esattezza. La parete E è costituita da grandi placconate di roccia piuttosto solida. 1 - Hans Peter Cornelius (1888-1950), geologo nato a Monaco di Baviera e trasferitosi dopo la guerra a Vienna, profondo conoscitore delle Alpi e appassionato alpinista. Studiò la geologia dell'alta Engadina e regioni limitrofe negli anni prima delle grande guerra (fu in quell'occasione evidentemente che salì la vetta di Ron e il Combolo), poi alla fine degli anni '20 si occupò con sua moglie della linea insubrica fra Ticino e Tonale (la famosa linea del Tonale che attraversa tutta la Valtellina). Il suo necrologio riporta tra le sue salite nelle Alpi Centrali, Bernina e Morteratsch, cime della val Bregaglia, Disgrazia, Hintergrat all'Ortler, Gran Zebrù e Cevedale (a cura di Raffaele Occhi). 56 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Vetta di Ron (3136) Corna Brutana (3059) Bocch. della Brutana (3136) La parete NO della vetta di Ron e il rifugio De Dosso (m 2119) (21 settembre 2011, foto Beno). Indicate: in giallo la via dei Campanili e in rosso la via diretta alla parete NO. Il nostro tracciato, che si discosta da quello di Mario Vannuccini solo nella parte bassa, è composto da 13 tiri da 60 metri più un tratto centrale dove si sale senza corda (due tiri evitati). Le difficoltà maggiori sono nei tiri 1 (IV+), 2 (V-) e 6 (camino di V+). Roccia buona nella parte bassa, pessima in quella alta. Caduta massi dall’alto e isolamento garantiti. Trovate la relazione dettagliata tra quelle presenti sul sito www.lemontagnedivertenti.com. Vetta di Ron (m 3136) 57 Alpinismo Versante retico Panorama dalla vetta di Ron nel giorno in cui abbiamo affrancato la croce coi tiranti (23 novembre 2005, foto Beno). Sulla vetta di Ron con 60 cm di neve fresca per preparare la discesa con gli sci (25 novembre 2006, foto Beno). Sulle fessure dell'8° tiro della via diretta alla parete NO della vetta di Ron (25 agosto 2011, foto Raffaele Bazzi). In discesa alla breccia tra il I e il II campanile in condizioni invernali: una bella rogna (10 aprile 2011, foto Beno). Bizzarro tentativo naufragato di salita invernale alla vetta di Ron avvalendomi di due bastoni recuperati a Boirolo (14.12.2004, foto Beno). Sulle placconate della parete E della vetta di Ron, il fianco più sano della montagna (8 luglio 2012, foto Beno). Fu violata per la prima volata da R. Rossi e Aldo Bonaccossa nel 1914. La loro relazione riporta un passaggio che mi è rimasto impresso: "si supera un leggero strapiombo assicurandosi con la piccozza nel terriccio". A S, infine, si trova l'unico vero punto debole di questa piramide: una lunga cengia taglia in diagonale la parete e, senza problemi particolari se non di orientamento, porta ai canalini sommitali per la vetta. Negli anni ho salito tutti i versanti della montagna, riuscendo anche a scenderla con gli sci il 26 dicembre 20062. Se dovessi trovarmi a consigliare un amico gli suggerirei di raggiungere la croce di vetta per la via normale da S se non è un alpinista esperto, mentre, senza dubbio, lo indirizzerei sul concatenamento delle cime della Brutana con la via dei Campanili se fosse pratico e volesse fare scorpacciata di cime in un ambiente severo e isolato. Comunque sia, la raccomandazione è quella di non sottovalutare la Vetta e di provare a scalarla con lo stesso spirito e la stessa allegria degli alpinisti di una volta, ben descritto in La Valtellina dell'1 agosto 1896: “La locale Sezione del Club Alpino aveva indetto quest’anno la sua prima escursione sociale alla Vetta di Ron, la bella e svelta cima che sorge dal fondo della valle omonima. È una montagna che rimase molto tempo quasi sconosciuta, non tanto per la sua località che la metteva un po’ fuori dell’ordinaria zona battuta dagli alpinisti, quanto per le non lievi difficoltà che presentava la sua scalata da ogni parte la si tentasse. Grazie al tanto benemerito illustratore delle nostre montagne valtellinesi signor Antonio Cederna, che 2 - Vedi: Beno, Con gli sci dalla vetta di Ron, LMD n. 3 - Inverno 2007, pag.18. 58 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI raggiunse per primo la vetta nel 1885 dal versante settentrionale, e indicò una via più sicura quattro anni dopo dal versante di mezzodì, una tale escursione è resa oggi assai nota nel mondo alpinistico e assai agevole dopo la completa segnalazione del sentiero che si appalesa con distinte macchie rosse dal piede del monte sino alla cima. La comitiva in partenza da Sondrio, forte di ben 12 giovani animati e baldi, s’ingrossò al suo arrivo a Ponte di altri quattro, fra cui il comm. Foppoli, uno dei Direttori della Sezione, l’avv. Gio. Merizzi, presidente della locale Sezione e i due giovanetti del concittadino sig. Ongania. Così completata, s’incamminò lesta per l’Alpe di S. Bernardo: ivi doveva trovare la più festosa delle accoglienze da parte di tutta quella colonia estiva e segnatamente della famiglia del’ing. cav. Marchesi. Lassù infatti, ove salutò anche il sig. Cederna presidente della Sezione Milanese, l’attendeva, grata sorpresa, invece della modesta cena disposta dalla Direione, una splendida tavola imbandita sotto un capannone di rami di pino, illuminato a pallon cini alla veneziana, opera e fatica particolare dell’ Ing. Marchesi. Generale era l’entusiasmo per la bellezza del luogo; e l’allegria ed il buon umore già alti, crebbero cogli effetti del vino bianco e del superbo vino del Ron che il signor ing. Marchesi volle offrire colla sua tradizionale abbondanza e cortesia. Alla mattina della Domenica, la comitiva lasciava S. Bernardo per avviarsi all’alpe Ron. La strada, dapprima salendo ripida lungo la costa sovrastante lo spianato di S. Bernardo, piega poscia verso Val Fontana ove ammirasi il rimboschimento felicemente eseguitosi dalla Sezione di Milano, indi entra nella Valle del Ron percorrendola con dolce salita attraverso una folta pineta. Percorsa questa e fatta una parca refezione, i quindici alpinisti attaccarono i gandoni e poi, su per un couloir di detriti, sempre guidati dai triangoli rossi della segnalazione senza fatica giunsero alla cima. Durante l’ascesa ebbero l’incontro di un altro gruppo di giovinotti, che già discendevano e provenienti dall’Alpe Boirolo. Sulla cima poi furono accolti dal Dott. Linneo Corti col figlio quindicenne, che pure da Boirolo erano giunti lassù, ove si unirono al grosso della spedizione. Il tempo, mantenendosi sempre splendido, meglio non. avrebbe potuto favorire la gita, né meglio lasciar godere della vetta il suo panorama. II quale se non può rivaleggiare con quello di altre cime note, compensa però ad usura la fatica dell’ascesa. L’occhio vi resta affascinato davanti l’imponente estensione dei ghiacciai di Scerscen e Felleria, dominati dalle punte del Roseg, Bernina e Cresta Aguzza; davanti il colosso del Disgrazia che s’innalza solitario dai bianchi piani dei ghiacciai della Ventina. A mezzogiorno s’incominciò la discesa lungo la Valle Rogneda ; ed a salti più che a passi giunsero alla Chiesuola di S.Stefano, ove la Direzione aveva fatto preparare un modesto banchetto. Da S.Stefano sempre a precipizio attraverso prati e boschi si arrivò a Tresivio e là le famiglie Guicciardi e Corti vollero pure dare alla comitiva nuova prova della cortesia che li distingue, coll’offerta a profusione dei loro vini dell’Inferno e del Paradiso. Si era intanto fatto notte ed un treno di carrette ricondusse l’allegra brigata a Sondrio; tutti coll’augurio in cuore che una nuova gita possa presto rinnovare l’esito felicissimo di quella alla vetta di Ron.” Vetta di Ron (m 3136) 59 Alpinismo Versante retico Vetta di Ron - via normale C. Brutana (S - 3050) Vetta di Ron (3136) Cima di Ron (2924) Cima dei Motti (2778) Dos di Scespét (2747) Bocchetta di Ron (2642) Vista sulla conca di Ron e la pozza delle Rane dallo spartiacque con Rogneda. Indicato il tracciato della via normale (23 novembre 2005, foto Beno). BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Partenza: San Bernardo (m 1275). Itinerario automobilistico: da Sondrio prendere la Strada Panoramica in direzione Teglio. Si passeranno Montagna, Poggiridenti e Tresivio. Giunti a Ponte, alla chiesetta di San Gregorio, prendere a sx per Teglio, quindi, dopo una breve salita, prendere la strada che sale a sx fra i meleti verso la val Fontana. Dopo 2 km e mezzo si trova la deviazione sulla sx per San Bernardo, limite ultimo di transitabilità consentita (5 km). Itinerario sintetico: San Bernardo (m 1200) Campo (m 1680) - Masarescia - alpe Ron (m 2176) vetta di Ron (m 3136) per la parete S. Tempo Attrezzatura alta montagna. Se non volete affettarvi le caviglie usate gli scarponi. Difficoltà/dislivello: 3 su 6 / quasi 1900 m. Dettagli: EE+. Da qualche anno l'intera via è stata bollata con bandiere bianco-rosse e ciò in parte risolve i problemi di orientamento in caso di nebbia. La cengia finale è un po' esposta e richiede attenzione in un paio di punti (passi di I grado) specialmente a causa del detrito presente. La cengia diventa molto pericolosa con neve. Mappe: Kompass n.93, Bernina, 1:50000. previsto: 6 ore per la vetta. Lascita l’automobile a San Bernardo nei pressi dell'agriturismo Il Tiglio (limite dell’asfalto e di transito, m 1275), ci incamminiamo lungo la carrozzabile fino a Campo (m 1680, ore 1:20)1. Oltre i pascoli, la rotabile raggiunge una conca dov'è una baita isolata (Massaréscia) e, al casél de l'acqua piega a dx fino a una sbarra che preclude l'accesso al tratto successivo. D'ora in avanti la pista si aggrappa pericolosa ai fianchi del 1 - Nella mappa a pag. 56 coi puntini rossi è indicato il sentiero segnalato che più ripidamente raggiunge Massaréscia. 60 richiesta: da escursionismo in LE MONTAGNE DIVERTENTI monte e viene utilizzata quasi esclusivamente da Cesare, il pastore dell'alpe Ron che, oltre ad averla costruita, provvede anche alla manutenzione. Con alcuni su e giù con ripide rampe, prendiamo quota fino al Guàt, il guado sul torrente Ron. Ci portiamo sulla dx idrografica e con qualche Estate 2014 Baite di Ron. Tra le nebbie si scorgono la corna Brutana e la vetta di Ron (13 giugno 2007, foto Fabio Pusterla). Il passaggio chiave del cengione della via normale alla vetta di Ron: una breve placca un po' scivolosa (11 novembre 2005, foto Beno). Gli ultimi metri per la vetta. Sullo sfondo le pietraie di Ron (23 settembre 2005, foto Beno). In discesa dalla vetta di Ron. Sullo sfondo il gruppo centrale delle Alpi Orobie (23 novembre 2005, foto Beno). tornante sbuchiamo nelle praterie che anticipano l'alpe Ron (m 2176, ore 1:20), dov'è il lungo stallone, le baitelle del latte e del formaggio e, più a NE, la capanna Vetta di Rhon2. La vetta è dritta a N, oltre i pascoli e le ampie pietraie grigiastre che disegnano i lobi di un grande rock glacier. Dalla fontana sopra lo stallone si alza il sentiero segnalato che rimonta un dosso erboso, quindi traversa a dx sopra la ganda. Con una breve discesa siamo in una conca dov'è una pozza con acqua fresca e limpida. Riprendiamo la marcia verso N su una dorsale erbosa e, non lontano da un grande masso ai piedi del versante meridionale del dos di Scéspet, vediamo un bivio. A dx si raggiunge per pietraie la bocchetta di Ron, porta d'accesso alla val Vicima, mentre a sx la traccia 2 - Il rifugio non è aperto. Per le chiavi o informazioni rivolgersi al CAI sez. di Ponte in Valtellina. LE MONTAGNE DIVERTENTI taglia lungamente il costone erboso (O) in direzione della bocchetta N di Rogneda, per piegare a N (dx) e salire la ripida e faticosa ganda ai piedi della parete S della vetta di Ron. Due passi avanti e uno scivolato indietro, vinciamo la pietraia e ci portiamo sulla dx (NE) della barra rocciosa, intercettiamo il cengione3 che taglia tutto il versante (m 2800 ca.). Su quel camminamento iniziamo il lungo traverso in salita (sx, O) che, con tratti un po' esposti, supera costole e rientranze fino ad arrivare, dopo un canale obliquo, su un poggio panoramico da cui si può ammirare la Corna Brutana con le sue tre cime e i tre campanili della cresta SO della vetta di Ron. Ancora uno sforzo verso NO tra i detriti rossicci e, dopo una semplice fascia rocciosa, siamo sulla vetta di Ron 3 - Fu percorso per la prima volta il 15 agosto 1890 da Antonio Cederna con la guida Andrea Valesini. (m 3136, ore 3:20). Seduto accanto alla croce ammiriamo il paesaggio amplissimo e ricordo le giornate di fatica fatte nel novembre 2005: con temperature polari, prima con Fausto e Lollo rimettemmo in piedi la croce da mesi abbattuta del vento, poi con lo zio Angelo l'affrancammo con dei tiranti di metallo affinché fosse più resistente agli agenti atmosferici. Ne era valsa la pena, perché questa croce, oltre ad essere un importante punto di riferimento, testimonia una singolare iniziativa del Coro Vetta di Ponte, che l'aveva portata quassù all'inizio degli anni '60 con una numerosa spedizione dove ciascuno si era fatto carico di un pezzetto della struttura. Ma è già l'ora del rientro, che è davvero veloce, perché la pietraia permette facili e divertenti scivolate con gli scarponi! Vetta di Ron (m 3136) 61 Alpinismo Versante retico Brutana e via dei Campanili Corna Brutana - punta S (3050) Corna Brutana - punta centrale (3057) Corna Brutana - punta N (3059) La via dei Campanili dalla Brutana (13 marzo 2007, foto Beno). La Corna Brutana e il tracciato della salita per il canale E e della traversata delle tre cime visti dalle pendici della vetta di Ron (17 giugno 2006). BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Itinerario sintetico: San Bernardo (m 1200) Campo (m 1680) - Masarescia - alpe Ron (m 2176) traversata delle 3 cime della corna Brutana (m 3050, m 3057, m 3059) - vetta di Ron per la via dei Campanili (m 3136). Tempo previsto: 5 ore di avvicinamento + 4:30 per il concatenamento fino alla vetta di Ron. Attrezzatura richiesta: corda (30 m), imbraco, piccozza e ramponi a inizio estate, casco, cordini, 2-3 protezioni veloci. D alle pietraie alla base della parete S della vetta di Ron (ore 4:30 da San Bernardo), ci dirigiamo a E fino ai piedi del ripido canale, nevoso anche a stagione inoltrata, che scende per circa 150 metri dalla breccia tra la punta meridionale e quella centrale della Corna Brutana. Lo saliamo e sbuchiamo sulla comoda sella detritica che separa le due punte. Volgendo a sx ci portiamo sulla faccia O della punta meridionale, dove traversiamo in salita 62 LE MONTAGNE DIVERTENTI Difficoltà/dislivello: 4.5 su 6 / oltre 2000 m. Dettagli: AD. La traversata delle cime della Brutana presenta due passi di III, mentre la via dei Campanili, nella versione qui descritta, presenta passi di II, III e IV. È prudente una calata in corda doppia dal III Campanile. Il concatenamento è piuttosto lungo e richiede sicurezza nell'arrampicata su roccia friabile con grande esposizione. Il rientro avviene per la via normale descritta a pag. 60. Mappe: Kompass n.93, Bernina, 1:50000. una fascia rocciosa (III) e imbocchiamo il canalino che giunge direttamente in vetta (m 3050, ore 0:30). Affascinante è la vista verso la conca di Rogneda, dove s'adagia tra le pietraie il bel lago omonimo, spesso tiepido in estate. Tornati all'intaglio, proseguiamo verso N. La cresta si impenna e diviene marcissima, impercorribile. Appoggiadoci invece al versante occidentale, con divertente arrampicata siamo alla punta centrale (m 3057). Mantenendo quasi sempre il filo di cresta, giungiamo alla base del salto di rocce che protegge la punta settentrionale. Il muro è inciso da una poco marcata cengia che sale obliqua verso O (sx). Sempre più esposta e avara di appigli (III+), anticipa il breve tratto di cresta pianeggiante che porta all'ometto della punta settentrionale della Corna Brutana (m 3059, ore 0:40). Mentre firmiamo il libro di vetta contenuto in una scatola di biscotti che Estate 2014 La linea di salita al II Campanile vista dal I Campanile (31 agosto 2011, foto Simone Bondio). Sulla placca del II Campanile, sullo sfondo il I campanile (31 agosto 2011, foto Beno). abbiamo qui riposto nel 2007, ammiriamo il severo scorcio sui Campanili che ci attendono. Ripercorsa verso S la cresta per circa 15 m, smontiamo a sx (E) e disarrampichiamo traversando (S) fino all'attacco della cengia obliqua percorsa all'andata. Ancora qualche metro sul filo verso S e smontiamo virando di 180° in direzione N. Un camminamento ai piedi della punta settentrionale seguito da una zona di blocchi, ci fa scendere a un grosso sperone della cresta che separa il bacino di Ron dalla val di Togno. Lo aggiriamo da S e siamo alla rossiccia bocchetta della Brutana (m 2950, ore 0:20). Verso N precipita un tetro canalino funestato da continue scariche di pietre. A NE sale la via dei Campanili. Inizialmente prendiamo lo sperone roccioso, molto esposto e friabile, che, qualche metro più in alto, ci fa acceLE MONTAGNE DIVERTENTI All'uscita della via dei Campanili. Indicata la calata dal III Campanile (1 agosto 2012, foto Beno). dere (dx) a un canale. Con un paio di passi di III per vincere dei piccoli salti, ci affacciamo al versante N. Presa la cresta principale da questo lato, appoggiandoci quindi di volta in volta al versante più conveniente, siamo senza intoppi in vetta al I Campanile (m 3082, ore 1). Dalla sella successiva1, saliamo (dx) alla grande placca inclinata verso O che si trova appena sotto la vetta del II Campanile. In cima alla placca (III) ha inizio l'esposto camino verticale e di roccia infima (20 m, IV) che esce proprio in cima al II Campanile (m 3116, ore 0:45). Da qui il III Campanile ci appare quale guglia affilatissima che si frappone 1 - Il II Campanile può essere anche salito dalla sua cresta N (II+), raggiungibile traversando in piano dalla sella, oppure lo si può salire dall'evidente canalone che s'abbassa a O della vetta (blocchi mobili, roccia friabile e una bizzarra crepa che porta sul versante opposto). tra noi e la vetta di Ron. Aggirarlo non è affatto sicuro. Lo dobbiamo salire da N per un muro verticale2 e poco appigliato (5 m, IV) che adduce al margine occidentale dell'esile e frastagliata cresta sommitale. Traversiamo all'estremità orientale del III Campanile e, con una calata in corda doppia3 di meno di 10 metri, siamo alla breccia successiva. Su roccia inizialmente friabile e delicata (II+), quindi più sana, tocchiamo con grande soddisfazione la vetta di Ron (m 3136, ore 0:45). Il rientro è per la via normale4. 2 - I primi salitori nel 1912 (Rossi, Galli-Valerio e Traverso) lo salirono col lancio della corda! 3 - Verificare i cordini in loco prima di iniziare la calata. La doppia può essere evitata disarrampicando con estrema attenzione per una specie di diedro sul fianco S, quindi scendendo un muro di 4 m (IV) che adduce al canale a S della breccia. 4 - Dall'alpe Ron si può rientrare a Campo passando per la panoramica croce di Campondola, da cui si ha una bella prospettiva sulla via appena percorsa. Vetta di Ron (m 3136) 63 Approfondimenti Versante retico C a m Cp o S e R ó n intervista a Beno esare ertore Corna di Mara (2807) Corna Nera (2926) Corna Rossa (2916) Vetta di Rón Punta di Vicìma (3136) (3231) Bocch. di Rón (3248) Rón Rogneda Pizzo Calìno (3022) Campondola Campo L'alpe Ron negli anni '90 (foto archivio Cesare Sertore). Boiròlo Dàlico San Bernardo Va l di R ón V Ponte in Valtellina al Fo a nt Oreste Sertore, classe 1922, a Ron, dove è stato pastore 1936 al 2003 (2002, foto archivio Cesare Sertore). na Castionetto Il versante retico dalla val di Ron alla val Fontana. Indicata la pronuncia corretta dei toponimi e la via normale alla vetta di Ron partendo da San Bernardo. Ripresa effettuata dall'alpe Piazzola (27 luglio 2010, foto Fabio Pusterla). T anti anni fa, ma meno di quelli che si credono, in tutti i paesi della Valtellina il piccolo allevamento era una realtà assai consolidata e ogni famiglia aveva animali: dalle mucche alle galline, dalle capre ai conigli. Pochi capi per ognuno, ma tutti ne possedevano. In particolare a Ponte in Valtellina c'erano ben 300 mucche. Tenute in paese nei periodi freddi, da metà giugno a fine agosto venivano mandate in montagna. Le mucche erano affidate a dei pastori stipendiati, a cui era generalmente affiancato un casaro. Questa usanza ancestrale, che aveva come rotta principale quella per l'alpe Ron, ha ora il suo ultimo conduttore in Cesare Sertore, che stoicamente resiste alle fatiche di una pastorizia resa sempre più difficile dai mutati equilibri economici e sociali, dalla poca disponibilità di manodopera e dagli adempimenti burocratico-sanitari che non fanno le necessarie distinzioni tra 64 LE MONTAGNE DIVERTENTI i grandi allevamenti industriali e chi ha solo pochi capi e pratica un'attività del tutto tradizionale. Cesare è figlio d'arte: «Mio padre Oreste, classe 1922 iniziò a fare il pastore nel 1936, quando su a Rón c'era il capoalpe Giuliano Sertori, detto Tempestìn. La transumanza partiva a metà giugno dal paese e prevedeva una prima tappa di un mese ai m 1680 dell'alpe Campo. Quindi la mandria si divideva tra gli alpeggi indipendenti di Campondola1 e di Ron2, dove le bestie avrebbero trascorso il mese successivo. Pascolato nuovamente Campo, a fine agosto si tornava in paese, rispettando il detto “a san Bartulumè la vacca al pé” - e san Bartolomeo cade il 24 di agosto. Può sembrare presto, ma ai tempi non erano rare le forti nevicate anche 1 - L'alpe era detta munt di sciùr, poiché le bestie che ne brucavano le pasture appartenevano alle famiglie più abbienti di Ponte. Vi salivano solo 30 capi perché Campondola ha pochissima acqua. 2 - Ron, dove l'acqua abbonda, era caricato con 70-80 capi. d'agosto. Dopo aver disertato l'alpe durante la guerra - fu prigioniero per due anni e averla frequentata solo di rado negli anni '50 poiché lavorava in Svizzera, Oreste divenne capoalpe nel 1960. L'anno successivo Campondola fu abbandonata, quindi annessa a Ron, dove a quel punto salivano 80-90 capi che potevano approfittare di entrambi i pascoli. In quegli anni mio padre fu costretto a risolvere il problema dell'acqua a Campondola mettendo una pompa con motore che la spigeva su dal basso.» La prima volta di Cesare a Ron fu nel 1963, a soli 4 anni, ma l'amore non sbocciò subito: «Dopo le scuole ho iniziato a fare il meccanico, quindi lo scavatorista. Poi mio padre ha preso un ictus e quell'anno ho dovuto seguire io le mucche: non ero capace di fare niente! Però da lì mi sono affezionato a quella vita ed ho fatto la mia scelta, che qualcuno ritiene folle. Dopo i corsi da Estate 2014 Cesare Sertore, conduttore dell'alpe Ron (27 maggio 2014, foto Beno). casaro, nel 1995 sono diventato capoalpe, sempre affiancato da mio padre fino al 2003. Tra il 1998 e il 1999 ho costruito la strada che da Campo arriva a Ron e nel 2002, sempre con il supporto del Comune, abbiamo ristrutturato la cascina dotandola dei servizi essenziali.» Ora Cesare sale d'estate a Campo, Ron e talvolta a Campondola con 25 capi di cui 10 suoi. 8-10 sono da latte. LE MONTAGNE DIVERTENTI Alpe Campo. Sebastiano, figlio di Cesare, dà il latte al vitello (settembre 2012, foto archivio Cesare Sertore). «Purtroppo i privati non tengono più mucche e in questo mondo sempre più globalizzato le piccole realtà stanno andando a scomparire». Il suo giovane figlio Sebastiano, come lui, è appassionato di animali. Mi mostra un biglietto che Sebastiano ha scritto in cui dice d'esser orgoglioso del papà perché “ama la Natura che lo circonda”. «È la cosa più bella che avrei potuto trasmettergli», aggiunge Cesare un po' commosso. Infatti, fedele a una pastorizia lenta e rispettosa, Cesare munge ancora a mano, non usa mangimi e tutte le sere quand'è a Ron raduna le mucche e le fa dormire nello stallone. Non "sforzandole", le sue vacche da latte arrivano anche a 20 anni. La sua produzione in alpe è di soli 50-60 formaggi a stagione, per cui se volete provare qualcosa di davvero genuino non vi resta che prenotarli in tempo passandolo a trovare su a Ron! Cesare il pastore 65 Alpinismo Approfondimenti Versante retico A l p i Ln i sP m o intervista a uigi asini i n va l F o n ta n a Beno Crepaccio del Marovin: Luigi Pasini e Ezio Valesini che, non avendo la piccozza. usa un martello da Pizzo Calino (aprile 1971, archivio Luigi Pasini). carpentiere (1970, archivio Luigi Pasini). L e vette della val Fontana, laterale retica che si stacca dalla Valtellina all'altezza di Ponte e Chiuro, videro una buona ed entusiasta frequentazione agli albori dell'alpinismo lombardo. Bonacossa, Cederna, Cornelius, Corti e GalliValerio sono solo alcuni dei grandi nomi che ne calcarono gli gneiss tra la fine dell'800 e l'inizio del '900. Poi, a partire dagli anni '20 del secolo scorso, sulla val Fontana calò il sipario e rimasero incompiute molte creste e pareti. Fu così per quasi 50 anni, poi, anticipati dal forte ghiacciatore Ezio Salomoni, negli anni '70 e '80 alcuni gruppi di alpinisti si diedero con grande dedizione sia al ripercorrimento dei tracciati classici, sia alla ricerca di nuove vie, salendo versanti e creste inviolati. Tra i fautori di questa rinascita, su tutti spicca il nome del pontasco Luigi Pasini. Classe 1952, all'alba dei 60 anni può dire di conoscere ogni angolo di queste montagne e anche di averle vissute quando i bivacchi in quota erano in compagnia dei pastori e dei loro racconti. «Quando è nato il tuo amore per le cime?» «Ho iniziato a frequentare la montagna - esordisce Luigi - accompagnando mio padre a caccia di 66 LE MONTAGNE DIVERTENTI camosci e marmotte. Però lui non ha mai voluto scalassi le vette, per cui le gite erano solo finalizzate all'attività venatoria. Le vette sono arrivate solo qualche anno più tardi, quando da quindicenne ho fatto i primi esperimenti con mio cugino Armando. Una delle prime vette è stata il pizzo Calino. Ci costruivamo noi le attrezzature. Avevamo una corda di canapa. Era tutto un po' improvvisato e all'avventura. Ci allenavamo nel bosco a fare le calate in corda dalle piante: quante cadute!» «Vi ispiravate a qualcuno?» «Era il periodo delle imprese di Walter Bonatti e lui era il nostro mito. Ci eravamo posti come obbiettivo quello di fare un giorno la nord del Cervino: così avevamo iniziato ad allenarci. Siamo partiti, con anche altri amici, col ripercorrere gli itinerari di Alfredo Corti sulle montagne di casa: la val Fontana.» «Quale delle vie del Corti ti ha colpito di più?» Senza esitazione Luigi mi risponde: «La NE del pizzo Painale. Se la guardi quella parete sembra verticale e inaccessibile. Quando ti avvicini, invece, trovi i passaggi per salire fino in vetta immerso in un ambiente davvero selvaggio.» Cresta N del pizzo Painale (agosto 1974, foto archivio Luigi Pasini). «Quando vi siete evoluti come attrezzatura?» «Qualche anno dopo. Era il periodo in cui l'alluminio era ricercato, così noi andavamo in vigne e meleti a raccogliere i contenitori vuoti dei pesticidi. Passava uno con l'Ape che ci pagava i vuoti a peso. Abbiamo così raccimolato i soldi per comprare la corda: una Grandes Jorasses, 10.5 mm, 40 metri, rossa come quella di Bonatti. Però la dovevo nascondere da mio padre che non voleva andassi a scalare se no me l'avrebbe buttata. Con quella attrezzatura abbiamo salito la parete E della vetta di Ron, quindi ci siamo diretti anche verso nuovi ambienti, come la val Masino e la val Bregaglia.» 10 agosto 1970 : nevica. Assicurazione con cintura dei pantaloni sulla via normale alla vetta di Ron (foto archivio Luigi Pasini). Fontana (bellissima placconata), aperta con Luca Folini, ma anche il concatenamento che avevo portato a termine in 2 giorni nel 1992: dal pizzo Scalino alla Corna di Mara, bivaccando la notte ai piedi della vetta di Ron... avevo dovuto scavare parecchio per trovare un po' d'acqua!» «Quando invece la prima volta sulla vetta di Ron?» «Nel 1970. Una cima davvero affascinante. Da allora l'ho salita molte volte anche perché la sua posizione centrale e isolata nel gruppo mi permetteva di studiare le nuove salite sulle altre montagne.» «Qual era il terreno dove ti muovevi meglio?» «Ho sempre amato la roccia friabile. Dopo l'allenamento sul granito, in cui avevo affinato le mie tecniche, mi sono spinto su nuovi itinerari in val Fontana: lo sperone 3100 del Painale (solitaria), la parete SE della cima di Forame (solitaria), la traversata Brutana - Campanili (con Alfiero Biscotti, 1978).» «So che hai percorso tutte le creste e i versanti di questa montagna. Quale consiglieresti a un amico?» «Proprio tutti no, mi manca ad esempio la parete NO. Se dovessi invece consigliare qualcuno lo indirizzerei sulla parete E dalla val Vicima. Ci sono bellissime placconate e la roccia è molto soda. C'è anche la via dei Campanili. L'avvicinamento è meno traumatico, ma richiede un po' più di attenzione.» «Tra i numerosi nuovi percorsi che hai inaugurato in val Fontana, ne ricordi qualcuno in particolare?» «Mi sono rimaste impresse la via dei Puntasch alla parete S della cima «Hai avuto la fortuna di frequentare le vette della val Fontana quando negli alpeggi c'erano bestiame e pastori. Com'era il rapporto con questi ultimi?» Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Da dx : Ezio Valesini, Gianmaria Vairetti, Luigi Pasini e Paolo Morellini alla base dello Scimùr, sotto il pizzo di Coca (anni '70, archivio Pasini). «Erano tutti gentili e accoglienti. Quando ti serviva un tetto o ristoro erano sempre disponibili. Negli anni ci è capitato solo una volta in val Vicima di dover passare la notte, poiché nevicava, rintanati nella porcilaia dopo aver cacciato i maiali! Questo perché, scesi dalle cime col buio, avevamo trovato già tutto chiuso. È stata una notte insonne.» «Quando cominciò l'abbandono?» «Già dagli anni '60. Prima l'alpe Combolo, che era un po' scomoda, poi Gardé, Sareggio, Aiada e via via le altre. Un'epoca stava finendo. Ora ho nostalgia, perché quegli alpeggi non erano solo un ricovero, ma anche il luogo dove i vecchi pastori ti raccontavano le storie delle loro lunghe vite. Tornare negli stessi posti divenuti silenziosi è un po' triste.» Luigi Pasini in cima alla vetta di Ron (11 luglio 2009, foto Fabio Pusterla). Luigi l'alpinista 67 Alpinismo Valchiavenna Dal passo di Lendine al pizzo del Torto Testi e foto Valentino Bedognetti Dal pizzo di Val Marina lo sgiuardo viene calamitato dall'imponente salto strapiombante del piz Papalin (m 2713) e dal lago del Truzzo (22 agosto 2013, foto Valentino Bedognetti). 68 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI I pizzi del Torto 69 Alpinismo Valchiavenna Cima de Lunghezzasca (2716) Piz Campanin (2554) Pizzo di Val Marina (2653) (2642) Piz Papalin (2714) (2659) Pizzo del Torto (2723) (2696) Bocchetta de Lenden (2322) I pizzi del Torto e l'itinerario di cresta descritto in questo articolo visti dal monte Mater (30 ottobre 2011). BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Partenza: parcheggio della centrale idroelettrica di Cornera (m 1900) - Caurga (m 1286) - Sant'Antonio (m 1213). Itinerario automobilistico: da Chiavenna si segue la SS 36 dello Spluga fino a San Giacomo Filippo (m 552), quindi si prende a sx. La strada sale con numerosi tornanti, raggiunge Olmo (11 km) e in leggera discesa porta al ponte con cui si attraversa la valle del Drogo. Pochi metri e si ha il parcheggio della centrale idroelettrica sulla sx. Tempo previsto: 11-12 ore per l'intero giro. Attrezzatura richiesta: casco, imbraco, corda Itinerario (max III) con roccia in molti punti marcia. Ambiente selvaggio e isolato. Il percorrimento in senso inverso richiede almeno 1 calata in corda doppia. San Bernardo (m 1055). sintetico: centrale idroelettrica di San Bernardo (m 1055) - alpe Lendine (m 1710) bocchetta de Lenden (m 2322)- avert Valcapra (m 2164) - pizzo di Val Marina (m 2653) - piz Papalin (m 2714) - cima de Lughezzasca (m 2716) - pizzo del Torto (m 2723) - lago del Truzzo (m 2080) - alpe (40 m), qualche fettuccia, 2 friend medi, 2 rinvii e qualche moschettone. Difficoltà/dislivello: 4 su 6 / oltre 1900 m. Dettagli: Alpinistica PD+. Difficoltà discontinue Mappe: Kompass foglio n.92, Valchiavenna e Val Bregaglia, 1:50000. Q uello che vi racconto è un lungo viaggio alpinistico in uno dei tratti più selvaggi e affascinanti dello spartiacque che separa la val Mesolcina dalla Valchiavenna: la traversata dei pizzi del Torto. Si tratta del lungo crestone che corre tra la bocchetta de Lenden e il pizzo del Torto, caratterizzato da quattro cime principali e molte elevazioni secondarie che ne frammentano la regolarità. Versanti remoti e isolati, frequentati un tempo dai contrabbandieri più coraggiosi, esplorati alpinisticamente nel 1913 dal pioniere Albert Röllin, e oggi, seppur visibili in lontananza anche dalla cittadina di Chiavenna, caduti nel più profondo oblio. È una fresca e buia mattina di agosto. Sono le 5:25 quando io e Gianluca ci incamminiamo dalla centrale di San Bernardo (m 1055) e ci addentriamo nella valle del Drogo. Lasciamo quasi subito la bella mulattiera che costeggia il torrente, e attraversato il primo ponte, troviamo una traccia recentemente risistemata che ci collega al sentiero Olmo-Lendine. Mentre le prime luci incendiano i tanto ambiti picchi del Torto, percorriamo le ultime svolte sotto 70 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI l’alpe Lendine (m 1710, ore 1:30). La raggiungiamo con un occhio al paesaggio verdissimo e fantastico in questa stagione. Il tracciato, ben segnato, riprende in salita costeggiando il greto del torrente funestato da passate alluvioni e frane1. Poco sopra si fa più ripido, attraversando un giovane ma fitto bosco di larici. Ora, con un ampio traverso da dx a sx passiamo poco sopra l'alpe Valcapra, quattro piccole costruzioni in pietra dove il tempo sembra essersi fermato a un secolo fa, e in breve raggiungiamo (SO) il lago Caprara (m 2288), poco distante (ONO) dall'ampia sella del passo di Lendine o bocchetta de Lenden (m 2322, ore 1:30). Ha inizio la traversata in cresta e il primo tratto sembra molto ostico. Balze di rocce miste a passaggi esposti su erba ripida. Il classico posto dove si sale in qualche modo, ma che non vorresti mai affrontare in discesa. Da sotto avevamo avvistato alcune capre nella parte alta e, nonostante la complessità della sponda, sembra esserci qualche punto in cui passare. Seguiamo il costone che sale dal 1 - Attraversando il greto del torrente si trova anche il vecchio sentiero che raggiunge direttamente l'avert Valcapra (m 2164). passo, dapprima erboso, in seguito di rocce e torri. Una prima elevazione (m 2610 ca.) la aggiriamo sulla dx, poi su terreno più insidioso saliamo di quota aggrapandoci ai scéspet2, molte volte più sicuri dei sassi. Lasciandoci delle torri sulla sx, saliamo un ultimo ripido prato e finalmente guadagniamo la cresta, che dal lato svizzero si presenta tondeggiante e più domestica. Lasciamo la mandria di capre elvetiche e in pochi passi siamo sulla prima vetta: il pizzo di Val Marina3 (m 2653, ore 1), che prende il nome dalla valle sottostante. Qui troviamo tre simpatiche pecore che hanno appestato di escrementi la zona. Cerchiamo di non calpestarli ma ne veniamo fuori con le suole piene. Ciò non sarebbe un problema se non fosse che alle prime difficoltà i piedi non hanno alcuna aderenza e l'effetto vibram viene annullato. Proviamo a pulirle ma rimangono sempre scivolose: chissà che cosa hanno ingurgi2 - Cespugli d'erba. 3 - L'attribuzione di quote e toponimi di questa dorsale remota non è per nulla chiara ed ogni mappa ne riporta di differenti. L'intero tratto tra la bocchetta de Lenden e il pizzo del Torto viene spesso indicato come pizzi del Torto. In questo testo sono stati utilizzati i toponimi e le quote della mappa CNS. I pizzi del Torto 71 Alpinismo Valchiavenna Lendine e il Pizzaccio (12 luglio 2012). Sulla vetta del piz Papalin (22 agosto 2013). Il lago Caprara e il Pizzaccio (22 agosto 2013). tato per espellere sostanze così oleose! Da qui un primissimo tratto pianeggiante lascia spazio a blocchi anche grossi su cui è divertente arrampicare (II), un monolite più difficile ci consiglia di legarci (III). La cresta prosegue sempre in direzione NE con difficoltà discontinue, tratti in cui si cammina si alternano a passaggi anche fisici di II e III grado da affrontare a volte salendo a volte scendendo. Il lato svizzero è più dolce e già 50 metri sotto la cresta declina in gande e macereti. Sul lato italiano invece l'esposizione è forte: guardando giù, canalacci e anfratti piombano direttamente su Lendine. Ormai è metà mattina, la temperatura è salita e qualche cumolo comincia a condensare sui versanti solivi. Noi ci troviamo a metà tra nuvole e sereno. Ad un certo punto mentre esco da un caminetto tra due blocchi, una maestosa aquila compare dalle nebbie, come a ricordarmi che questo è il suo regno e che lei è la regina incontrastata delle rocce rosse e marce che caratterizzano il tratto che ci aspetta. Passiamo velocemente la quota m 2642, la meno evidente della cresta, un salto verticale in discesa ci obbliga ad appoggiare sul versante SE con forte esposizione. Riguadagnato il filo raggiungiamo la piccola depressione sotto la quota m 2659, la più imponente dopo il piz Papalin. Nel versante sudorientale di questa bocchetta si scorgono delle vecchissime tracce provenienti da una fantomatica dorsale che si infilano nel canalone da cardiopalma sotto i nostri piedi. Probabilmente i contrabbandieri più audaci passavano di qui, scendevano nella conca de Lughezzasca e poi nella valle della Forcola svizzera. Riprendiamo la cavalcata e più facilmente di come sembrava da lontano, (II) vinciamo la crestina S della quota m 2659. Da qui si può vedere l’incredibile strapiombo di 200 metri del piz La quota m 2659 e il piz Papalin dalla valle del Drogo (12 luglio 2012). Papalin in tutta la sua interezza e in lontananza il lago del Truzzo sembra quasi appeso all'ultimo piano di un grattacielo. Questa vetta è davvero particolare e assieme a tutta la cresta è priva di qualsiasi segnalazione o traccia. La sua forma è unica, così storta che quando la vedi dalla valle del Drogo inconsciamente inclini il capo per osservarla meglio. Il tratto tra la quota m 2659 e il piz Papalin, è per me un'incognita. Perlustrazioni preliminari con foto e binocolo sono valse a poco, bisogna metterci sopra i piedi per capire realmente com'è la situazione: marcia! La cresta ora piega decisamente a N perdendo una ventina di metri. Ci si presenta un salto verticale di m 10 davvero rognoso: non è difficile (II+), ma si parte quasi solo di braccia essendo il “piede” sottostante franato. Le successive lame si muovo tutte e la maggior parte mi restano in mano. Non penso neanche di mettere le protezioni; sarebbero un ulteriore pericolo in caso di caduta staccando le rocce disgregate. Fortunatamente il passaggio, anche se impegnativo, è relativamente breve e poco oltre il filo ritorna più sicuro e agevole. Un facile tratto in discesa conduce sotto l'incombente salto del piz Papalin. Qui una cengia su misura porta sul versante occidentale, lo raggiungiamo per roccette lasciando sulla destra un pilastrino molto compatto. La croce, ben visibile dal basso, è poco più a S e la raggiungiamo dopo alcuni facili passaggi (piz Papalin4, m 2714, ore 3). La vista dalla sommità è strabiliante. L'atmosfera è mistica, le nuvole salgono dal basso per poi scomparire una volta sorpassata la vetta, sembra che la montagna respiri! Una piccola pausa e riprendiamo la cavalcata verso N. Ormai le grosse 4 - Alessandro Gogna e Angelo Recalcati in Guida dei Monti d'Italia. Mesolcina Spluga, CAI-TCI, Milano 1999 lo chiamano pizzo del Torto. Dalla vetta del pizzo del Torto (22 agosto 2013). Capre sul pizzo di Val Marina (22 agosto 2013). LE MONTAGNE DIVERTENTI 5 - Gogna e Recalcati (op. cit.) identificano questa cima come Il Mottaccio. L'euforia è tanta, ma il tempo tiranno. A malincuore scendiamo tornando sui nostri passi fino alla prima depressione, dopo di che ci gettiamo nel vallone ENE, localmente detto i Valét, che conduce direttamente al lago del Truzzo (m 2080). Qui incrociamo il sentiero che arriva dal bivacco Carlo Emilio, attraversiamo il muro della diga e scendiamo a valle per la famosa mulattiera del Truzzo. L'aria è più afosa e abbiamo finito le riserve d'acqua; la provvidenziale fontana di Cornera è una manna: ci dissetiamo recuperando qualche energia. Il tramonto è alle porte e un ultimo sguardo all'ardita cresta ci riempie il cuore di gioia. Oggi ritorno a casa con qualcosa in più, la curiosità che avevo per questo luogo è mutata in ammirazione per queste montagne, repulsive, raramente visitate, sconosciute. A qualcuno dicono poco... ma per me sono tutto! Dalla cima de Lunghezzasca verso il piz Papalin (22 agosto 2013). Il rifugio della Finanza alla bocchetta de Lenden (22 agosto 2013). 72 difficoltà, più orientative e psicologiche che tecniche, sono alle spalle. Procediamo slegati, superando alcuni tratti di II grado: il percorso risulta veloce, anche se esposto. Alla cima de Lughezzasca (m 2716, ore 0:30) sostiamo per pranzo, allietati da quattro aquile che volteggiano; un peccato non aver con me il teleobbiettivo, sacrificato per far posto alla ferraglia nello zaino. In teoria dal giro pianificato qui dovrebbe cominciare la nostra discesa, ma tra una chiacchera e l'altra propongo a Gianluca l’idea di chiudere la traversata con il pizzo del Torto (m 2723). Con un po' d’insistenza lo convinco e in poco più di mezz'ora scavalchiamo la quota m 2696 (passi di I grado). Saliamo quindi al pizzo del Torto5 (m 2723, ore 0:30) per l'erbosa china SO, concludendo cosi la lunga e tanto sognata traversata dei pizzi del Torto. Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI I pizzi del Torto 73 Approfondimenti Valchiavenna Alpe di Lendine Mungitura: Kevin Quaini assistito dal “Pedar” (estate 1996, foto Gianni De Stefani). Sergio Scuffi Montagne di neve a Lendine (febbraio 2014, foto G. De Stefani). Gianni Quaini (dx, di spalle) prepara il formaggio con l’aiuto di “Pepe” (estate 1999, foto Gianni De Stefani) Autunno all'alpe di Lendine (4 novembre 2010, foto Roberto Ganassa). I proprietari e frequentatori dell’alpe di Lendine, adagiata a m 1710 nella verde conca ricca di pascoli e corsi d’acqua, affermano che diversi secoli fa (si azzardano periodi tipo 1400 o 1500) l’alpeggio fosse situato a quota inferiore, nella località boscosa detta Prà del Gualt, sulla sinistra del corso d’acqua noto come Aqua di Culdéer e nei pressi dei due ponticelli che oggi si incontrano lungo il sentiero (probabilmente il punto segnato nelle carte come quota 1477). Si dice che una slavina abbia poi distrutto le abitazioni, e che quindi i pastori abbiano cominciato a ricostruire nel dosso che si trova a monte rispetto all’attuale Lendine, ma anche qui la neve e le valanghe avrebbero creato problemi. Si individuò infine la striscia che, protetta a monte da alcune roccette (Sengèl), vede ancora oggi resistere il cratteristico gruppo di oltre 30 costruzioni, addossate l’una all’altra, separate solo da minuscoli vicoli, scalette, muretti di contenimento. Alcune di loro portano incisa sull’architrave in legno una data (miliésum): su una baita possiamo 74 LE MONTAGNE DIVERTENTI quindi leggere 1812, su un’altra 1816. La particolarità costruttiva è spesso quella del carden1, molto nota in val San Giacomo ma diffusa anche nelle zone limitrofe (Mesolcina, Bregaglia italiana e svizzera), tanto che da alcuni anni un progetto Interreg ha promosso la realizzazione di un percorso che collega le località che presentano dette tipologie, da Mesocco a San Sisto e Isola, poi giù fino a Dalò per risalire verso Savogno, Villa di Chiavenna e concludersi a Stampa, di nuovo nel Canton Grigioni. All’interno pochi rustici arredi, l’immancabile focolare in pietra con accanto la scigógna, robusto supporto girevole in legno che consentiva di collocare o togliere dal fuoco, secondo le varie fasi della lavorazione, la grossa caldaia in rame piena di latte che serviva per la preparazione del formaggio. La parte inferiore della 1 - Si tratta di una tecnica costruttiva che consente di creare quattro pareti di travi squadrate e sovrapposte orizzontalmente, incardinate nei punti di incrocio quasi in corrispondenza delle estremità. Tale manufatto è chiamato càrden dall’antica tecnica dell’opus cardinatum, di cui parla Vitruvio nel suo trattato sull’architettura dedicato all’imperatore romano Augusto. baita, normalmente in pietra murata a secco che proteggeva dall’umidità e dava maggiore stabilità al fabbricato, era adibita a ricovero del bestiame o, in qualche caso, a cantina. A questo proposito, particolari tipi di cantina erano, qui come su altri alpeggi, i casèi, qui detti crutìin: minuscole costruzioni sempre in pietra a secco addossate al terreno o alla roccia, spesso semisepolte nella parte a monte, in grado di mantenere fresco il latte depositato nelle conche dopo ogni mungitura, fino a raggiungere il quantitativo ritenuto necessario per poter procedere alla casèda, la lavorazione che consentiva di ottenere il burro e formaggio generalmente utilizzati direttamente dalla famiglia. Proprio dal crutìin iniziava la lavorazione con la raccolta della panna (la fióo) che affiorava dentro le conche: quelli di Lendine fanno ancora bella mostra di sé, allineati ordinatamente al di là del torrentello che si nota, salendo, sulla destra dell’abitato. I mesi estivi vedevano l’afflusso di numerose famiglie che salivano con le loro mucche, alcuni animali da cortile, Estate 2014 qualche maiale, pecore e capre (alle quali però si riservavano i pascoli più alti e fuori mano). Le mucche venivano accompagnate al pascolo e costantemente sorvegliate dai pastori (compito spesso affidato ai ragazzi), mentre alla mungitura provvedevano mattina e sera gli adulti, spesso sui pascoli stessi, utilizzando il tipico sgabello ad un solo piolo. Solo in caso di persistente maltempo le bestie venivano ricoverate nelle stalle, nutrite col poco fieno che veniva raccolto nella zona riservata a prato, ancora oggi visibile nella piccola altura a valle delle abitazioni e circondata da un lungo muro in pietra a secco. Altro fieno veniva tagliato, con molto lavoro e non senza pericoli, con un piccolo falcetto nei boschi o tra le rocce, trasportato poi dentro il campac' fin presso le abitazioni, dove si faceva seccare e quindi si depositava in un angolo della casa o sotto i letti collocati su rustici tralicci. La capacità di carico dell’alpeggio era stimata attorno alle 70 erbate: con tale termine si intende, qui come altrove, la quantità di pascolo in grado di mantenere una mucca nei mesi estivi (frazioni LE MONTAGNE DIVERTENTI di erbata, rigorosamente codificate in regolamenti scritti, riguardavano vitelli o altri animali di piccola taglia; molto di più si richiedeva per i cavalli). Proprietari e frequentatori di Lendine erano, fino agli anni ’50, i nuclei familiari provenienti da San Bernardo; in seguito, gradualmente, essi cedettero le proprietà ad altre famiglie, soprattutto di Olmo; a queste si aggiunsero, in seguito, anche allevatori del fondovalle (Chiavenna e Samolaco). Ultimamente l’alpeggio è stato caricato da allevatori provenienti dalla piana della Mera; da diversi anni, ormai, vi porta le proprie bestie solamente Gianni Quaini, che sale quassù da Somaggia di Samolaco con 40/60 bovini. Nel corso degli anni ha realizzato un proprio locale per la caseificazione, in grado di consentirgli la preparazione di ottimi prodotti che, con cadenza regolare, trasporta a valle sia utilizzando il tradizionale mulo sia, all’occorrenza, servendosi dell’elicottero. Molto più in alto, a m 2164, si apre la piccola avert di Valcapra: fin quassù si spingevano, ancora pochi decenni fa, alcuni alpeggiatori: gli ultimi dicono siano stati il Pitt, un Balatti di Chiavenna, e Guglielmo Geronimi di Olmo. Come punto di appoggio avevano cinque minuscole baite. Qui il CAI di Chiavenna ha in progetto la costruzione di un piccolo bivacco (8 posti), della cui struttura in legno si stanno occupando gli studenti dell’Istituto Professionale “Crotto Caurga”, sezione ebanisti: servirà come importante punto di appoggio lungo il percorso denominato Gran panorama delle cime dal pizzo Tambò al passo di San Jorio, ideato dal Gruppo Promozione Sentieri di Mesocco, progetto al quale il CAI di Chiavenna ha garantito la propria collaborazione. A lpeggi, mucche, echeggiare di richiami e suono di campanacci, ma non solo: qui, come in altri angoli delle nostre vallate, in più occasioni si rinnovò la pratica del contrabbando. Schiere di spalloni attraversavano i valichi in tutte le stagioni, affrontando immani fatiche, incuranti delle intemperie, correndo molti rischi, che Alpe di Lendine 75 Alpinismo Valchiavenna Gianni Quaini col suo mulo (estate 1996, foto Gianni De Stefani). Alpe Valcapra (estate 2011, foto Gianni De Stefani). http://lemontagnedivertenti-diario.blogspot.it/ 76 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 andavano ben al di là del sentirsi intimare l’altolà e il «molla…!» da parte delle guardie di frontiera (che anche quassù avevano realizzato un minuscolo rifugio in pietra dove bloccare il passaggio): si rischiava la vita per la caduta di valanghe o per altri incidenti lungo un percorso aspro, a volte appena segnato, senza alcuna protezione e spesso percorso durante le ore notturne. Una grave disgrazia, che costò la vita a sei uomini di San Bernardo che da Soazza, dove invano avevano cercato lavoro, tentavano di rientrare al proprio paese attraversando le montagne, è riportata dalla stampa svizzera locale (Il San Bernardino, 29 gennaio 1910). I poveretti, accompagnati per un tratto da parenti che vivevano in quella località, furono travolti da una immensa valanga: i loro corpi, dopo innumerevoli, inutili tentativi, furono ritrovati solo a fine giugno, secondo la notizia data dallo stesso giornale. Gli uomini che frequentavano questi luoghi, una volta superata la bocchetta di Lendine, scendevano in val Marina e andavano a rifornirsi a Soazza, in val Mesolcina, oppure a Mesocco. Alcuni di loro ancora ricordano e raccontano, in certi casi non senza una punta di nostalgia, come spesso avviene per i fatti di un passato ormai lontano. Donato Tomera, ancora ragazzino, seguiva un gruppetto di adulti (lui dice che andavano in non più di 4-5 per non dare nell’occhio, ma diverse erano le comitive, alcune accompagnate anche da donne). Durante l’ultima guerra (lui iniziò a fare lo spallone nel 1943) partivano da San Bernardo, valicando la bocchetta di Lendine, ma siccome questa, adiacente al LE MONTAGNE DIVERTENTI passo della Forcola, era più frequentata e controllata, più spesso sceglievano la via del Truzzo che conduceva a Mesocco. Donato in un decennio circa di attività ha praticato un po’ tutti i valichi compresi fra i monti dell’alto Lario e il passo del Baldiscio sopra Isola: la scelta del percorso (che durava almeno 7-8 ore), si effettuava di volta in volta secondo le segnalazioni che i vari gruppi non mancavano di scambiarsi circa la presenza di pattuglie delle guardie di frontiera, su entrambi i versanti. Sì, perché il contrabbando si svolgeva, a seconda dei periodi, sia nell’una, che nell’altra direzione. Durante l’ultima guerra si portava verso la Svizzera soprattutto riso, al quale si aggiungevano però i più svariati tipi di generi alimentari e non solo (a volte stoffe, sete e simili); al ritorno i contrabbandieri si caricavano di dadi di pollo e manzo, sale,… E proprio dalle guardie svizzere, mentre in compagnia di un fratello cercava di consegnare un carico di superalcolici, il nostro fu catturato e portato a Mesocco, rinchiuso in un’abitazione in attesa che sopraggiungesse da Locarno un funzionario che doveva stabilire la pena relativa: si parlava di una multa di 480 franchi, convertibile in 48 giorni di carcere a Bellinzona da trascorrere spaccando legna. Approfittando della distrazione della guardia, a quanto pare occupata a conversare con una bella ragazza, i due riuscirono a scappare dal retro, guadare il fiume Moesa e impedire così al cane poliziotto, subito dopo sguinzagliato, di seguire le loro tracce; Donato ricorda che, per raggiungere il valico e porsi in salvo in Italia, impiegarono meno della metà del tempo usuale: non si fa fatica a credergli…! Alpe di Lendine 77 Escursionismo 1 Alta Via della Valmalenco 1 tappa a Da Torre di Santa Maria al rifugio Bosio, passando per i Piasci, il lago d'Arcoglio e la vetta del Sasso Bianco (m 2490). Eliana e Nemo Canetta 78 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il poggio panoramico dei Piasci incorniciato (da sx) dal Corno di Braccia, dal pizzo Tremogge, dalla costiera Glüschaint-Sella, dal gruppo del Bernina visibile fino pizzo Palù AltaRoberto Via della Valmalenco (I tappa) 79 (28 maggio 2011, foto Ganassa - www.clickalps.com). Escursionismo BELLEZZA Partenza: Torre di Santa Maria - frazione Ciappanico (m 1000 ca.). Itinerario FATICA PERICOLOSITÀ - automobilistico: da Sondrio si prende la SP 15 della Valmalenco. Si toccano gli abitati di Mossini, Cagnoletti, Prato e, prima che la provinciale si porti sulla sx idrografica del Mallero, si curva a sx e si raggiunge il centro di Torre di Santa Maria. All'ingresso del nucleo, in corrispondenza del bar, si prende sulla sx via Soncelli, poi a sx via San Giuseppe e a dx via Cortile Nuovo (indicazioni per Dosso-Ciappanico). Si supera il Torreggio (dopo il ponte inizia un sentiero che porterebbe direttamente a Ciappanico senza ulteriori sforzi automobilistici). Raggiunto un panoramico promontorio, si gira a sx per Dosso-Ciappanico (qui è anche la freccia indicatrice 305 dell’AV). Al tornante destrorso dopo il cartello d'ingresso nella frazione, si va a sx e si lascia l'auto nella piazzetta asfaltata (circa 12 km). Qui si può arrivare anche scendendo da Chiesa in Valmalenco e imboccando a dx una strada in località Sant' Anna (indicazioni). Si sale ripidamente per vari tornanti fino al cartello e al parcheggio descritti sopra. Itinerario sintetico: Torre di Santa Maria frazione Ciappanico (m 1000 ca.) - Ciappanico Valmalenco Vecchio (m 1056) - alpe Son (m 1365) - Piasci (m 1720) - alpe Arcoglio Inferiore (m 1976) - alpe Arcoglio Superiore (m 2123) - lago d'Arcoglio (m 2234) - Sasso Bianco (m 2490) - rifugio Bosio/ Galli (m 2086). Tempo previsto: 7 ore. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Difficoltà/dislivello: 2 su 6, 1500 in salita e La prima delle 8 tappe dell'Alta Via della Valmalenco porta dall'antico borgo di Ciappanico alle pendici del gruppo del Disgrazia. L'escursione ha estremo interesse ambientale ed è ben segnalata, pur richiedendo un tratto di percorso al di fuori dei sentieri battuti. Impegno e fatica sono ampiamente ricompensati da un eccezionale panorama sui gruppi del Disgrazia, del Bernina e dello Scalino. 400 in discesa (sviluppo 13 km). Dettagli: E con un tratto EE. Escursione su sentieri segnalati da bandierine bianco-rosse e dai triangoli gialli dell'Alta Via della Valmalenco. Un po' difficile l'orientamento in discesa dal Sasso Bianco. Ai segnavia triangolari dell'AV, sono affiancati recenti bolli rettangolari bianco-rossi. Mappe: - Comunità Montana Valtellina di Sondrio, Cartografia Escursionistica, Fogli 1-2: Valmalenco Versante retico, 1:30000; - Valmalenco. Speciale Alta Via della Valmalenco, 1: 30000, allegato omaggio al n. 29 de Le Montagne Divertenti. Ci incamminiamo dal parcheggio della piazzetta, attraversando Ciappanico Nuovo (m 1000 ca.) su sentiero segnalato con varie scalinate e tratti su asfalto. Nella parte alta della contrada, in corrispondenza di un tornante destrorso, dalla via asfaltata si stacca sulla sx una pista sterrata che entra in val Torreggio1. Proprio in corrispondenza di questo bivio troviamo 1 - La pista, chiusa al traffico, porta al parcheggio ai piedi di Ciappanico Vecchio. 80 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI il cartello per il rifugio Bosio che ci indirizza sul sentiero per la splendida e raccolta frazione di Ciappanico Vecchio, ancora ben conservata seppur non più abitata tutto l'anno dall'inizio del nuovo millennio. La attraversiamo e la superiamo seguendo i bolli e guadagniamo un primo ripiano con alcune vecchie baite. Subito dopo è uno suggestivo tratto di antico tracciato conservato intatto. A questo punto la mulat- tiera, che proseguiva verso sx e attraversava l’area di frana sino alle case di m 1200 ca., è stata interrotta in seguito a lavori di sistemazione della frana. È in corso di realizzazione un sentiero alternativo che si diparte sulla dx (saranno apposte segnaletiche), dirigendosi per poco meno di un chilometro in direzione ONO, verso le pendici di Rocca Castellaccio. Poi il nuovo tracciato, che ricalca antichi percorsi, piega bruscamente a sx (SO) Alta Via della Valmalenco (I tappa) 81 Escursionismo Valmalenco Monte di Caldenno (2669) Sasso Bianco Monte Canale (2522) (2490) Monte Disgrazia (3678) Corni Bruciati (3114-3097) Cima di Vazzeda Monte del Forno (3302) (3214) Corno di Braccia (2908) Passo di Corna Rossa (2836) Passo di Caldenno (2517) Pizzo Tremogge (3441) Sassa di Fora (3366) Piz Glüschaint (3594) La Sella (3584-3564) L. di Sassersa Lago d'Arcoglio Arcoglio Sup. Zana Rif. Bosio Fora Arcoglio Inf. A. Canale Giumellino Piasci Pra Fedugno Acquabianca Sasso Alto Entova Mastabbia Girosso Pradaccio Bracciascia San Giuseppe Pirlo Lago Castellaccio Cima Sassa Son Primolo Giuèl Ponte Prato Comino Baser Costi Chiesa Musci Ciappanico Bianchi Motta Pra Mosin Piazzo Cavalli Curlo Vassalini Caspoggio Torre di Santa Maria S. Anna Valmalenco, val Torreggio e la prima tappa dell'Alta Via della Valmalenco viste dal monte Palino (18 ottobre 2011, foto Beno). In giallo il vecchio tracciato da Ciappanico a Son, ora chiuso per lavori. per raggiungere con alcuni zig-zag gli ampi pianori che anticipano l’alpe Son (m 1364). Qui abbandoniamo il sentiero che prosegue verso O in direzione del rifugio Bosio/Galli e prendiamo la mulattiera a sx con indicazione Piasci. Ci portiamo sul fondo della valle che percorriamo sino ad un ponte. Passati sulla dx idrografica, ci inerpichiamo per una costa cespugliosa con una serie di tornanti. Non senza fatica sbuchiamo così sull’ampia spianata del maggengo dei Piasci (m 1700; ore 2 da Ciappanico). ai Piasci, ci si alza verso sx (SO) in direzione della visibile chiesetta e del soprastante rifugio Cometti2, posto in cima ai prati e dall'aspetto caratteristico con i suoi infissi rossi. Dal rifugio parte una traccia che si innalza gradatamente in un bel bosco di conifere e raggiunge, incrociando anche la carrozzabile proveniente da Torre di Santa Maria, le vastissime praterie dell’alpe Arcoglio3 inferiore D Fienagione ai Piasci. A sx in alto è visibile il rifugio Cometti (7 luglio 2013, foto Luciano Bruseghini). L'alpe Son, ancora monticata con 4-5 capi da Luciano Gianotti, che poi prosegue la stagione con gli stessi al lago Palù (1993, foto Franco Benetti). 82 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI 2 - Il rifugio Cometti è privato; dispone di 30 posti letto e di servizio ristorante in stagione (tel. 0342.452810). 3 - Sui pascoli di Arcoglio, Antonietta e Alberto Vanotti monticano 50 capi, dopo aver pascolato anche i Piasci. Inoltre Alberto Libera con la moglie fa pascolare 170 mucche ad Arcoglio e a Colina, oltre a una quarantina di vitelle all'alpe Canale (informazioni sulla monticazione degli alpeggi raccolte da Andrea Sem). Alta Via della Valmalenco (I tappa) 83 Escursionismo (m 1976). Qui abbandoniamo la direttrice che prosegue verso S in direzione della sella tra il monte Canale e il monte d'Arcoglio, localmente detta Colma d’Arcoglio4. Imbocchiamo invece una recente pista sulla dx che assai ripida porta alla spianata sulla quale si distende l’alpe Arcoglio Superiore, dove è la chiesetta ubicata su un poggio con splendido panorama sul gruppo del Bernina e sul dirimpettaio monte Palino. Dall'alpe pieghiamo a sx (S) e, sormontato un gradone roccioso, in lieve ascesa tra ampie conche pascolive approdiamo al lago d'Arcoglio (m 2234, ore 1:30). Adagiato in posizione amena, con forma leggermente arcuata e sponde limacciose, regala i colori più belli all'alba, quando i raggi del sole illuminano questi monti scavalcando il gruppo dell'Adamello e la frasta4 - Quotata m 2313, ma non nominata sulle carte. 84 LE MONTAGNE DIVERTENTI gliata cresta che dalla Corna di Mara (m 2807) giunge al pizzo Scalino (m 3323), passando per il pizzo Painale (m 3248) e la vetta di Ron (m 3136). Dallo specchio d’acqua risaliamo il valloncello a OSO e su deboli tracce tra erba e sfasciumi siamo al colletto erboso a N del Sasso Bianco, localmente detto passo di Arcoglio5, da cui ci affacciamo all'alta val Torreggio. Pieghiamo a sx (S) e in breve ecco il cocuzzolo biancastro del Sasso Bianco (m 2490, ore 0:40). Qui la vista si apre verso S sui monti di Castione e Postalesio, oltre che sul tristemente capannonizzato fondovalle valtellinese, inciso longitudinalmente dalla trafficata SS38. alla vetta ci abbassiamo lungo il crestone O a una larga sella D 5 - Così chiamato anche in Aldo Bonacossa, Guida dei monti d'Italia. Masino Bregaglia Disgrazia, CAI-TCI, Milano 1936. detta localmente Colma di Zana (m 2417), posta fra il Sasso Bianco e il monte Caldenno e attraversata da una traccia che collega il lago e l’alpe di Zana6 con il lago e l’alpe di Colina, ben visibile sul versante valtellinese. Insistiamo verso O sulla facile cresta in direzione del monte di Caldenno, fino ai piedi del roccioso torrione di quota m 2500. Giunti nei pressi di un ometto di pietra, scendiamo verso N e attraversiamo in costa una serie di vallette. Sempre seguendo gli ometti e i segnavia, andiamo ad imboccare un valloncello che, con una salita di qualche decina di metri, porta alla selletta immediatamente a S della quota m 2530 (ometto di orientamento). Raggiunta in breve questa sommità, prendiamo un poco individuato dosso e divalliamo senza la minima difficoltà nei pressi della baita 6 - All'alpe Zana e al Palù di Zana vengono ancora monticati ben 50 capi da Enzo Vanotti. Estate 2014 del Piano della Pecora, ove ci colleghiamo al sentiero che scende dal passo di Caldenno. Pieghiamo allora a dx e in pochi minuti siamo rifugio Bosio7 (m 2086, ore 2:30). a capanna dai caratteristici infissi rossi è situata in una conca di origine glaciale, sbarrata dalla morena frontale di una antica vedretta. Il lago che si era formato al suo interno è ancora oggi visibile, benché in gran parte trasformato in torbiera. Si possono osservare anche i grandi blocchi di serpentino precipitati dai soprastanti Corni d’ Airale. La loro tinta rossastra, dovuta all’ alterazione superficiale del serpentino, contrasta vivamente col grigio verdastro dei micascisti sui quali è costruito l'edificio. L 7 - Il rifugio Bosio/Galli, di proprietà del CAI di Desio, si trova sul limitare di un bosco di conifere. Dispone di 50 posti letto e funziona da alberghetto nei mesi estivi (tel. 0342.451655). LE MONTAGNE DIVERTENTI Il lago d'Arcoglio. Sullo sfondo il Sasso Nero e il gruppo del Bernina (18 ottobre 2009, fotoVia Roberto - www.clickalps.com). Alta dellaGanassa Valmalenco (I tappa) 85 Escursionismo Valmalenco VARIANTE 1: ACCESSO DIRETTO DA TORRE Arcoglio Inferiore (28 maggio 2011, foto Roberto Ganassa). La chiesetta di Arcoglio Superiore (28 maggio 2011, foto Ganassa). La vetta calcarea del Sasso Bianco(12 novembre 2005, foto Bruseghini). Mucche al pascolo nella piana dell'alpe Airale (8 settembre 2012, foto Luciano Bruseghini). Il rifugio Bosio-Galli (19 luglio 2012, foto Luciano Brusghini). Panorama dalla croce di Poverzone (9 settembre 2013, foto Ganassa). Dall'incrocio sopra al municipio di Torre di Santa Maria (m 814), si segue l’indicazione “ai rifugi” e si imbocca verso S (sx) la stradella che porta ai Bianchi, località tra le più tipiche e antiche della valle. La carrozzabile prende quota a tornanti, asfaltati ma stretti. Tocca Musci (m 969), poi taglia a mezza costa il ripido fianco boscoso della valle, transitando nei pressi della località Pizzi (m 1140), ove il fondo diviene sterrato ma con lunghi tratti in cemento (difficoltà di scambio). Una serie di tornanti porta sull’orlo dell’incassata e solitaria valle del Rio Valdone. Verso i m 1400 inizia un nuovo diagonale, ora in direzione NO, che raggiunge la località Braccia, poco sopra le case di Zocca e Fedugno. Qui giunge da valle un sentiero ripido e diretto che collega Bianchi con Braccia in circa 2 ore e mezza (indicazioni). Poco oltre è consigliabile parcheggiare nei pressi di un importante bivio: a dx una pista inizialmente in discesa, raggiunge il maggengo dei Piasci (m 1720, 10 km di auto da Torre e 30 minuti a piedi). Prendendo invece a sx si sale a Corti (m 1720), ripiano con splendido panorama sulle Orobie e sul monte Palino; più oltre la strada è chiusa al traffico privato e conduce con andamento pianeggiante ai ripiani prativi di Arcoglio Inferiore (m 1916), ove si incontra l’itinerario principale (ore 1 dal parcheggio). VARIANTE 2: ACCESSO DIRETTO DA SONDRIO Da Sondrio si imbocca la provinciale per la Valmalenco sino a Mossini; qui si prende a sx seguendo le indicazioni per Triangia. Raggiunto il borgo si continua su una stretta carrozzabile asfaltata fino a Ligari (m 1097, indicazioni). Poco oltre la strada è chiusa al traffico e si deve proseguire a piedi. Un cartello dedicato alle MTB dà il lago di Colina a 15 km. Il percorso, asfaltato solo nel primo tratto, offre ampi scorci sulla bassa Valmalenco e su Sondrio dalla località Forcola, e sulla media Valtellina dalla panoramica croce di Poverzone (m 1908), posta sul bordo di un esposto terrazzo alle pendici del monte Rolla. Dalla croce la strada spiana e traversa a ovest. Arrivati all'alpe Colina (m 1955), al bivio sopra lo stallone si va a dx e dopo un centinaio di metri si trova il lago di Colina (m 2076, ore 4). Sopra il lago un tratturo presto si smagrisce nel sentierino che, vinta la ripida costa prativa, porta senza problemi all’ampia sella della Colma di Zana (m 2417), ove si incrociano le segnaletiche del percorso principale dell’AV. TRAVERSATA AL RIFUGIO DESIO Il Disgrazia riflesso in una pozza nei pressi della Colma di Zana (13 settembre 2005, foto Beno). 86 LE MONTAGNE DIVERTENTI Dal rifugio Bosio/Galli (m 2086) si supera il Torreggio e, invece di prendere a dx lungo il tracciato dell’AV, si va a sx su un sentierino che accosto al torrente risale la parte superiore della valle Airale. Costeggiata la base inferiore dei rosseggianti Corni di Airale, si giunge verso m 2250 sotto alcune belle cascate che scendono dalla sx idrografica. Lasciato a dx il tracciato segnalato che porta ai laghi e al L'alpe Colina (9 settembre 2013, foto Ganassa). Estate 2014 La capanna di Corna Rossa, costruita nel 1880 e sostituita nel 1924 dalla capanna Desio. In questa cartolina del 1905 si riconosce chiaramente la guida alpina Enrico Schenatti (archivio M. Cittarini). LE MONTAGNE DIVERTENTI Il rifugio Desio al passo di Corna Rossa è abbandonato dai primi anni 2000 (19 luglio 2012, foto Luciano Bruseghini). passo di Cassandra, si prosegue verso NO per entrare nella parte terminale e più solitaria della valle Airale, circondata da torri rocciose di aspetto quasi dolomitico nonostante siano costituite da serpentine ed anfiboliti. Verso m 2500 si superano le morene di un ghiacciaietto che occupava le pendici della cima di Postalesio e dei Corni Bruciati; il sentiero si fa meno evidente e bisogna seguire la segnaletica con molta attenzione. Oltre una fascia di grandi blocchi, a m 2569, si imbocca verso N un cengione che porta al circo superiore ove si continua verso il passo di Corna Rossa e il rifugio Desio (ore 3.00). Il rifugio Desio, eretto nel 1924 al posto della distrutta capanna di Corna Rossa, già edificata nel 1880, fu uno dei primi delle Alpi Retiche e costituiva l'appoggio più comodo per l'ascensione al monte Disgrazia8. Chiuso dai primi anni 2000 per cedimenti strutturali dovuti ad assestamenti del terreno, disponeva di 18 posti letto. È attualmente inagibile e pericolante; la Sezione del CAI di Desio, sua proprietaria, non prevede ristrutturazioni. 8 - Fino alla costruzione negli anni '60 della strada per Preda Rossa, la via solita per il Disgrazia partiva da Torre Santa Maria e di qui calava nel bacino del Masino. Alta Via della Valmalenco (I tappa) 87 Approfondimenti Valmalenco C i a pGpa n iC c o intervista a iancarlo orlatti e Rosita Orsatti Beno Ciappanico Vecchio (1934). Si notino i muri storti delle case nella parte sinistra della frazione e i grossi movimenti franosi sulle pendici del monte Rocca di Castellaccio. Ciappanico Vecchio (1921-1922). C iappanico1 è una contrada di Torre di Santa Maria ubicata in sx orografica della bassa val Torreggio a oltre m 1000. È costituita da due nuclei con meno di cinquanta edifici, uno più alto, raccolto, e rivolto a S - Ciappanico Vecchio - e uno più recente rivolto a E - Ciappanico Nuovo. Un tempo a Ciappanico c'erano oltre 200 abitanti, ma il borgo ha subito un lento e inesorabile abbandono a partire dagli anni '70 e attualmente conta solo una trentina di persone fisse. L'abitato si trovava sulla via principale per i monti di Torre. Fino al 1987, infatti, sia gli alpeggi che i rifugi 1 - Si pronuncia Ciappanìco. 88 LE MONTAGNE DIVERTENTI della val Torreggio erano raggiunti esclusivamente a piedi attraverso la vecchia mulattiera che passava di qui e toccava la soprastante alpe Son. Tra il 17 e il 19 luglio 1987 le abbondanti piogge, unite alla grave erosione operata dal torrente al piede di entrambi versanti della val Torreggio, riattivarono antiche paleofrane. Diversi milioni di metri cubi di materiale, perlopiù provenienti dal declivio sotto pra Fedugno, si riversarono nell’alveo del torrente formando una diga. Quando questa si ruppe, una colata detritica distrusse i due ponti sul Torreggio e varie case di Torre di Santa Maria. L'anno successivo venne pertanto costruita la strada che porta ai Piasci zigzagando sul versante NE del monte Canale tagliando fuori la bassa val Torreggio e Ciappanico dalle consuete rotte per gli alpeggi. Al n. 6 di Ciappanico Nuovo dal 1948 al 1996 c'era un'osteria affiancata dal 1950 al 2001 da una bottega. A condurre le attività era Giancarlo Corlatti con, dal 1962, sua moglie Rosita Orsatti. Su consiglio dell'amico Claudio Corlatti, che li ha definiti la memoria storica di Ciappanico, li andiamo a trovare. a nostra chiaccherata ha luogo proprio al n. 6 di Ciappanico Nuovo, al piano sopra di dov'erano negozio e osteria, davanti a un buon bicchiere di rosso, una fetta di torta e una vecchia immagine di Ciappanico. «La foto ritrae Ciappanico Vecchio. Risale al 1920-1921 - esordisce Gian- L Estate 2014 carlo. Lo so perchè alla casa dove è cresciuto il don Renato Lanzetti, che ora è prete a Grosio, non avevano ancora alzato il tetto. Questa fotografia l'ha trovata qualche anno fa il Palmiro in Argentina. L'aveva conservata suo zio, il Bonomo Lanzetti, emigrante di Ciappanico. L'ha riportata in patria e ce ne ha dato una copia a tutti!» Osservando l'immagine notiamo la vasta estensione di campi e terrazzamenti sovrastata da terreno instabile. «A Ciappanico - ci spiega Rosita - si coltivavano il granoturco e le patate. Negli appezzamenti più ripidi cresceva la segale. C'erano due forni in cui si faceva il pane e a Natale anche il panùn, ma senza castagne perchè qui non ce n'erano. Da bambini a volte LE MONTAGNE DIVERTENTI le si andava a rubare a Mossini, ma se ci beccavano, giustamente, ai ne šc'ursàva2. i presume che il nucleo attualmente noto come Ciappanico Vecchio non sia quello originale del paese: prima dell'Ottocento le case si trovavano più vicine al Torreggio. A causa delle frane la gente migrò sul fianco S del monte Rocca di Castellaccio. Ma pure questa scelta non si rivelò vincente: l'area poggia su una falda di scorrimento3 e, oltre alle frane S 2 - Ci cacciavano in malomodo. 3 - La base dell'abitato poggia sull'accumulo instabile di una grande paleofrana che si è staccata dalle pendici della Rocca Castellaccio, probabilmente subito dopo l'ultima glaciazione. Il piano di scivolamento si troverebbe a quasi 30 m di profondità. La frana è in perenne movimento. Ad esempio dal 1988 al 2001 le vicine maśun di Curlàt risultano traslate a valle di ben 16 metri! e ai sassi che cadevano dall'alto, pure le case si muovevano. Se osservate specialmente la fotografia del 1934, notate come il versante del monte sia pericolante e gli edifici a sinistra della chiesa4 abbiano i muri storti!» Negli anni gli smottamenti si susseguirono, talora con episodi molto gravi. Nel 1911 una grossa frana si staccò dalle pendici del monte Rocca di Castellaccio e si fermò poco distante dalle case. Il Genio Civile e l'ing. Orsatti avevano ordinato di evacuare Ciappa(fonte: PGT del Comune di Torre di Santa Maria - aggiornamento dello studio geologico a cura di Guido Merizzi - 2010). 4 - La chiesetta di Ciappanico, dedicata alla Beata Vergine del Rosario, fu probabilmente edificata nel 1838, come conferma l'iscrizione su una tavoletta di legno ora incassata sulla parete destra del presbiterio. Ciappanico 89 Approfondimenti Valmalenco Torre di Santa Maria e, in alto a dx, Ciappanico nel 1905. È impressionante l'estensione dei terrazzamenti coltivati. Guardando le cime ancora innevate delle montagne e i campi appena dissodati, è probabile che si tratti di un'immagine primaverile (cartolina archivio Maurizio Cittarini). La chiesetta dedicata alla Madonna del Rosario a Ciappanico Vecchio. Sullo sfondo la grande frana della val Torreggio scesa dai pendii sotto Pra Fedugno nel 1987 (7 luglio 2013, foto Luciano Bruseghini). Sotto: la lapide commemorativa presente presso la chiesetta. sero morti sul colpo. L'Enrico Corlatti fu dissepolto solo alla sera, e venne estratto dal cumulo di macerie in istato irriconoscibile.”5 «Tutta Ciappanico è molto riconoscente a questi uomini. Nel 1913 è stato posto un monumento nel cimitero di Torre e uno nel piazzale della chiesa della Madonna del Rosario a Ciappanico. Inoltre, a 100 anni dalla tragedia - ci racconta Giancarlo - abbiamo voluto ricordarli con una messa.» Nel 1941, infine, furono dati incentivi economici alla gente per trasferirsi in una nuova casa in località Dosso, più sicura, e così pian piano nacque Ciappanico Nuovo. Salendo oggi a Ciappanico Vecchio si può constatare come la zona a O della chiesetta sia quasi completamente crollata a causa dei movimenti del terreno, mentre la zona orientale è stata ben ristrutturata e costituisce uno dei nuclei rurali della Valmalenco meglio conservati, con gli edifici addossati gli uni agli altri e intercalati da strette viuzze, dove si può ammirare ancora l'utilizzo certosino e accurato degli spazi tipico degli antichi borghi rurali. «Io sono nato a Ciappanico Vecchio - continua Giancarlo con un po' di nostalgia. Ma la mia vecchia casa è crollata.» Oggi non vive più nessuno stabilmente a Ciappanico Vecchio. «Fino al 2001 lassù c'era ancora il Carlìn, classe 1921. Stava da solo e passava le giornate nei boschi a fare legna. Credo - aggiunge Rosita - che ne abbia fatta talmente tanta che i suoi nipoti la stanno ancora bruciando! Era un tipo riservato ma simpatico. Era reduce della Russia, ma della guerra non voleva mai parlare. Una volta quando era passato qui in bottega gli chiesi perchè non si fosse mai voluto sposare: era un bell'uomo. nico e quindi costruire una briglia al piede del monte per mettere in sicurezza le case. Una squadra di operai locali già da alcuni giorni stava eseguendo i lavori quando, il 6 giugno 1911: “appena le funi, che dovevano servire loro di appoggio sul fortissimo pendio e sul mobile terreno, furono assicurate, avvenne la disgrazia improvvisa e terribile. Nuovo materiale si staccò dal monte e fece muovere tutti i detriti che già minacciavano la contrada di Ciappanigo, poi tutto si sfasciò e si adagiò quietamente, quasi soddisfatto dell'opera sua distruttrice, sul pendio sottostante. La montagna voleva le sue vittime, e pur troppo le scelse fra questi umili ed oscuri eroi del lavoro. Perchè di quegli operai il giovane diciannovenne Corlatti Giovanni di Bonifazio, ed altri due sul fiore della virilità, Corlatti Enrico di Fedele, ammogliato e con tre figli, e Carlo Lanzetti, padre di otto figli, furono schiacciati dalla ruina, e rima- 90 LE MONTAGNE DIVERTENTI 5 - Brano tratto dal Corriere della Valtellina del 9 giugno 1911. Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Lui mi rispose che prima di partire per la Russia i suoi piani erano quelli di trovar moglie e metter su famiglia, poi, dopo quello che aveva visto, aveva deciso di non voler correre il rischio di mettere al mondo creature che avrebbero potuto vivere i drammi ai quali aveva assistito.» Rosita ricorda che il Carlìn era uno molto sarcastico. «Vedendolo anche da anziano solo e in posti pericolosi, gli chiesi se non aveva paura da vegnì giù6. Lui mi rispose che prima o poi tutti quelli di Ciappanico devono vegnì giù, a meno di non morire a Tornadù7 e allora dover esser portati in salita al cimitero di Torre!» oco a E di Ciappanico Vecchio si trova un edificio intonacato di P 6 - Espressione dialettale che indica sia il cadere verso il basso che, nella frazione di Ciappanico, il morire, in quanto i morti venivano sepolti più in basso nel cimitero di Torre. 7 - Contrada bassa del comune di Torre di Santa Maria. Ciappanico 91 Approfondimenti Valmalenco Le costruzioni più occidentali di Ciappanico Vecchio. Sullo sfondo i detriti della grande frana della val Torreggio (1993, foto Franco Benetti). In basso: le briglie costruite per frenare la forza distruttrice del torrente in bassa val Torreggio (23 maggio 2013, foto Beno). giallo, a pianta quadrata, due piani e col lato di circa 10 metri: è la scuola. Fino al 1934 i bambini di Ciappanico erano costretti a scendere a Torre per andare a lezione, al che gli abitanti della contrada espressero il desiderio di avere un edificio scolatico più vicino. I lavori iniziarono nel 1933. La gente di Ciappanico ci mise la manodopera, mentre delle spese vive se ne occuparono il Partito Nazionale Fascista e il comune di Torre di Santa Maria nella figura del Podestà, pagando fatture per un valore di 7000 lire8. Terminati i lavori nel dicembre del 1934, la scuola fu aperta nel gennaio del 1935. «I primi anni c'erano 30 alunni che frequentavano una pluriclasse, dalla I alla III. Quelli più grandi, non essendoci spazio, venivano mandati a Torre. Il maestro era unico e doveva essere 8 - Informazioni conservate nell'archivio comunale di Torre di Santa Maria. 92 LE MONTAGNE DIVERTENTI molto abile a gestire i bambini perchè erano molto vivaci.» Giancarlo e Rosita ci mostrano a riguardo un calendario del paese su cui è riportata la testimonianza di Vittorio G., classe 1939: “Eravamo quattro classi, dalla I alla IV per un totale di circa 35 alunni. La maestra era unica per tutti e le diverse classi venivano divise mediante le file di banchi: i bambini più piccoli occupavano la prima fila di banchi, i più grandi l'ultima. La maestra arrivava da Sondrio, si chiamava Miriam Gianatti. Saliva al lunedì con la corriera fino a Torre e a piedi fino a Ciappanico dove restava fino al sabato: durante la settimana dormiva in un locale al secondo piano della scuola. L'aula era al piano terra e, scendendo da una scala esterna, al piano sotterraneo seminterrato, c'erano due locali: uno per il deposito del latte e l'altro per la trasformazione in burro e formaggio. Non avevamo una divisa per andare a scuola e nella nostra cartella c'erano un quaderno a righe e uno a quadretti che i nostri genitori acquistavano (una volta all'anno) a Torre, giù da l'Adele; un libro e la penna col pennino. Frequentavamo le lezioni dal lunedì al sabato, dalle ore 9 alle 12 e dalle 14 alle 16, tranne il giovedì, il giovedì l'era fèsta. Una volta all'anno scendevamo a S. Anna per la festa degli alberi. Per riscaldare la scuola c'era una furnèla e ognuno di noi al mattino portava da casa una schéna. I compiti che ci venivano assegnati li svolgevamo alla sera dopo cena perché prima non era possibile in quanto, quando tornavamo a casa dalle lezioni, ognuno di noi doveva mettersi al lavoro: chi con le capre, chi andare a far legna, chi doveva aiutare Estate 2014 Il vecchio nucleo di Ciappanico, in buona parte ristrutturato, viene oggi utilizzato come case vacanza (23 maggio 2014, foto Beno). in casa o badare ai fratellini più piccoli; ma quando facevamo i compiti tra fratelli ci si aiutava tanto. Eravamo un po' biricchini, quante lucertole sono finite accidentalmente sotto la cattedra della maestra. Spesso prendevamo bacchettate sulle mani o venivamo messi in castigo fuori dalla porta, ma guai andare a casa a raccontare l'accaduto altrimenti erano altre sgridate! Tra noi compagni eravamo uniti: ricordo che un anno, per Pasqua, la maestra aveva portato degli ovetti dicendo che li avrebbe regalati solo a chi era bravo e noi, per solidarietà verso chi non avrebbe ricevuto il dono, c'eravamo messi d'accordo per rifiutarli tutti dicendo che le uova le faceva già anche la nostra gallina a casa.” La scuola fu operativa fino al 1970, poi, dopo un periodo di fermo, fu riattivata fino alla chiusura definitiva LE MONTAGNE DIVERTENTI avvenuta nel 1981. L'ultima maestra fu Alba Masa di Chiesa in Valmalenco, sorella di Annibale che tanto ha scritto per tramandare la storia della sua valle. ornando all'osteria, questa fu aperta nel 1948 e, due anni dopo, fu affiancata dal negozio in cui si vendeva di tutto: «c'erano gli alimenti per gli uomini e per gli animali, il necessario per fare il formaggio, strumenti per i campi - dalle zappe ai sciarscèl. Vendevamo anche la corda per la fraschéra9, qui si usava solo quella.» «Non lo trasportavate col campac' il fieno?» T 9 - La fraschéra è uno strumento per trasportare il fieno. Costituito da un telaio di legno rettangolare ha un lato da un metro e uno decisamente più corto a cui è fissato con una cordicella un bastone in legno; il fieno si pone a bracciate sul telaio e una volta caricato e compresso, si mette poi in posizione verticale e tra le due sbarre si fa un buco per la testa. Le barre in legno poggiano sulle spalle scaricandovi il peso del fardello. «No, qui dove l'erba cresceva grossa - ci spiega Rosita - la fraschéra era preferibile perchè permette carichi più pesanti. In altri posti dove il fieno era più sottile, allora si usava il campàc' per non perderne troppo in giro.» «I primi anni portavo la merce in bottega con l'asino - ricorda Giancarlo. Gli affari andavano bene, allora sono passato al mulo. Nel 1953 abbiamo costruito un argano che partiva dal ponte sul Torreggio, quindi nel 1960, quando la carrozzabile è stata portata fino alla piazzetta di Ciappanico, ho accorciato di molto la fune!» «Chi erano i vostri clienti?» «Dai paesani, agli alpeggiatori di passaggio, ai turisti - escursionisti e alpinisti diretti al Disgrazia. Servivamo anche i Piasci che erano collegati a Ciappanico con ben 2 funi a sbalzo. Una era usata solo dai Cometti, mentre l'altra faceva una Ciappanico 93 Approfondimenti Valmalenco Un Ciappanico Nuovo, costruito a partire dagli anni '40 sul versante chiamato Dosso. Qui è visto in una cartolina di inizio anni '70: non vi è ancora la strada (archivio Giancalo Corlatti). sorta di servizio pubblico. Mettevamo nella slitta zaini e borse, mettendo i biglietti coi nomi dei destinatari della merce. Se venivano richiesti i gelati, quelli li mettevamo in cima a tutto in modo che potessero esser presi e mangiati per primi. Fatto il carico battevamo 3 colpi sulla fune: era il segnale che faceva partire la teleferica a contrappeso10.» n paese c'era un grande spirito di collaborazione: sia nella realizzazione di opere per la comunità, che nella costruzione di abitazioni private tutti si aiutavano gli uni con gli altri. Ad esempio nel 1964 venne costruita la fogna. Il comune non aveva soldi, allora contribuì solo con il materiale, mentre tutta la manodopera la misero i frazionisti. «Fu fatta in inverno, quando la maggior parte degli uomini era disoc- I 10 - Questo sistema a fune continua, con due carrelli di cui uno contiene il materiale da trasportare e uno il contrappeso, è detto teleferica valtellinese. 94 LE MONTAGNE DIVERTENTI cupata. Un anziano segnava le ore impiegate, alle quali venne dato un valore in denaro. Chi non aveva potuto partecipare ai lavori, perchè impiegato altrove, contribuì versando la quota equivalente alle ore prestate dai compaesani. Alla sera in osteria c'era un clima bellissimo: gli operai si ritrovavano felici a discutere e chiaccherare, è stato davvero un periodo che è valsa la pena aver vissuto!» Rosita e Giancarlo ci raccontano anche della grande collaborazione per sgombrare la strada in inverno: «dopo la nevicata suonava la campana e la gente si metteva al lavoro per pulire la strada che scendeva a Torre.» «Duecento abitanti e una sola osteria?» chiediamo. «La gente qui non ha mai avuto il vizio di perdere le giornate al bar a bere, perché lavorava in ogni momento libero. Così una sola osteria era sufficiente al fabbisogno della comunità.» Le case di Ciappanico Nuovo sono state costruite quando non c'era ancora la strada. Fatte dagli stessi frazionisti coi sassi del Torreggio, ben adatti ad esser tagliati, quindi trasportati anch'essi con la teleferica. el 1975 fu ultimata la strada, ma nel contempo gli abitanti avevano iniziato a trasferirsi, perlopiù a Sondrio, poichè più comodi per il lavoro. Ciappanico andò svuotandosi. «Finchè le donne facevano le casalinghe - puntualizza Rosita - le famiglie tornavano per tutta l'estate in contrada coi figli. Adesso che nelle coppie tutti e due lavorano, le case vengono riaperte per periodi sempre più brevi. Così anche noi all'inizio del nuovo millennio abbiamo chiuso.» Oggi quassù rimangono in trenta a guardare i continui lavori di messa in sicurezza della bassa val Torreggio, nell'attesa che i giovani tornino ad abitare questo piccolo paradiso. N Estate 2014 po ' di geologia Eliana e Nemo Canetta I calcari in vetta al Sasso Bianco (18 ottobre 2009, foto Roberto Ganassa). A sx dall'alto: artinite e perovskite con calzirtite della Rocca di Castellaccio (foto Franco Benetti). L a cima del Sasso Bianco (m 2490), costituisce il punto più elevato della I tappa dell’Alta Via della Valmalenco: l’escursionista arriva a toccare la cresta spartiacque tra il bacino del Mallero (Valmalenco) e quello dell’Adda (Valtellina vera e propria). Pur non essendo una grande vetta, offre un panorama eccezionale ed è anche il punto di inserzione del lungo crestone roccioso che divide la vasta e prativa conca d’Arcoglio (NE) da quella assai più povera ed accidentata di Zana (NO). Il panorama vale di per sé stesso la gita: dal Sasso Bianco si può osservare una larga parte del percorso dell’Alta Via, mentre a S il versante solivo delle Retiche sprofonda ripidissimo verso l’ampia Valtellina. Di fronte si erge la catena orobica che da qui si può osservare per un lungo tratto. Mentre a NE si alza il massiccio del Bernina con la sua caratteristica triade formata da Roseg, Scerscen-Bernina e Argento-Zupò, a NO si erge isolato e LE MONTAGNE DIVERTENTI solitario il monte Disgrazia che da qui appare con un profilo del tutto diverso da quelli che si vedono dalla val Masino o dall’alta Valmalenco. A N della cima del Sasso Bianco c'è un pozzo naturale fondo una ventina di metri che si insinua nei marmi che formano la vetta. Essi, originatisi dal metamorfismo di rocce carbonatiche, fanno del Sasso Bianco una delle cime più caratteristiche della Valmalenco dal punto di vista geologico: rare sono infatti nelle Retiche le cime calcareo dolomitiche. Sulla vecchia tavoletta 1:25000 dell’IGM la vetta portava erroneamente il nome di Monte Arcoglio; sono invece corrette le moderne carte turistiche e la CTR che per la sommità portano la quota 2489,7. Sempre dal punto di vista geologico e geomorfologico è caratteristica la vasta spianata superiore dell’alpe Zana: una sorta di altopiano sul quale si alternano rocce e magri pascoli, mentre qua e là si notano vallette chiuse simili a doline carsiche. Questo spoglio ambiente, povero di vegetazione e relativamente inusuale nelle Retiche, è motivato dalla giacitura subverticale delle rocce scistose (micascisti del monte Acquanera) presenti in questa zona che fa sì che l’acqua, invece di scorrere in superficie, sprofondi nel sottosuolo. La bassa val Torreggio è dominata dalla massa rocciosa del monte Rocca Castellaccio, sulle cui pendici furono trovati campioni di minerali rari quali l’artinite, la brugnatellite e la perowskite. L’artinite è un carbonato complesso scoperto per la prima volta in Valmalenco nel 1902 da Brugnatelli che la dedicò all’amico Artini, uno dei massimi esperti di minerali italiani dell’epoca. La brugnatellite fu anch’essa scoperta in Valmalenco per la prima volta nel 1909 da Artini che ricambiò il pensiero. La perowskite CaTiO3 è costituita da tenui cristalli cubici di colore nerastro. Cenni di geologia 95 Escursionismo Orobie Monte Cadelle Gianluca Gusmeroli Splendida passeggiata nella val Lunga di Tartano che porta ad ammirare i tre laghi di Porcile e a salire il monte Cadelle (m 2483). La vetta, al culmine di tre creste e punto nodale tra val Tartano, val Brembana e val Madre, è impreziosita da un angelo con tre facce che guardano ciascuna una delle valli sottostanti. È stato posto lassù nel 1989 per ricordare la tremenda alluvione del luglio 1987. 96 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il lago Grande di Porcile e la cima dei Lupi (7 luglio 2010, foto Roberto Ganassa). Monta Cadelle (m 2483) 97 Escursionismo Orobie vuoi fare questa ed altre gite accompagnato dalle guide del parco delle orobie? Scopri date e programmi nel pieghevole allegato alla rivista oppure su www.parcorobievalt.com 98 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ - Partenza: (m 1470) parcheggio nei pressi dell'Arale Itinerario automobilistico: oltre il viadotto sul Tartano, 3 km a E di Morbegno sulla SS 38, si prende la pedemontana (dx), quindi (800 m, dx) la strada per la val Tartano. Dopo circa 10 km di tornanti si giunge a Campo Tartano. Superato anche Tartano (5 km), in corrispondenza dell'albergo Vallunga si tralascia la strada sulla dx che scende in val Corta e si continua a sx salendo in val Lunga. Dopo un paio di km, sotto le case dell'Arale vi è possibilità di parcheggio (m 1450 ca., 25 km da Morbegno). Itinerario sintetico: parcheggio nei pressi dell'Arale (m 1470) - casera di Porcile (m 1803) - laghi di Porcile (m 2005 - m 2030 - m 2090) - passo di Porcile (m 2290) - monte Cadelle (m 2483). L'orobica val Tartano si stacca dal fondovalle valtellinese all'altezza di Talamona, dove un viadotto supera l'ampia piana alluvionale segnata dai detriti che il torrente Tartano è solito portare a valle durante i nefasti eventi meteorologici. È una valle severa e remota, il cui accesso stradale è stato reso possibile solo nel 1956 con la costruzione di una rotabile che serpeggia avventurosamente sul fianco occidentale della culmén e supera il ripido gradone basale che sospende la valle e che è scalfito solo dall'impervia forra del torrente. Nevosa e gelida d'inverno, presenta per tutta la sua estensione scoscesi versanti, ripidi a tal punto da giustificare l'affermazione "in val Tartano non sono i tecnici, ma le valanghe a stilare il piano regolatore". All'altezza del paese di Tartano la valle si biforca: a S c'è la val Corta e a SE la val Lunga, le cui estreme creste orientali confinano con Foppolo e riparano dal primo sole del mattino tre placidi laghetti alpini. Questi sono adagiati in tre ripiani successivi disposti "a rosario" ai piedi del monte Valegino (m 2415) e del passo di Porcile (m 2290 - porta d'accesso alla val Brembana), sotto lo sguardo vigile del monte Cadelle (m 2483), signore indiscusso di questa porzione di valle. Sempre in testa alla val Lunga, si trovano gli alpeggi privati di Dordona, Porcile e Scala. Caricati con vacche da latte, vi si produceva dell'ottimo Bitto fino all'inizio degli anni 2000, poi la fatica di far salire le bestie dalle mulattiere, unita ad una normativa per LE MONTAGNE DIVERTENTI Tempo previsto: 3 ore e 50' per la salita in vetta. Attrezzatura richiesta: da escursionismo in alta montagna. Difficoltà/dislivello: 2.5 su 6 / circa 1000 m. Dettagli: EE. Salita su sentieri segnalati fino al passo di Porcile, quindi su traccia poco frequentata e a tratti scoscesa fino in vetta. Mappa consigliata: Val Tartano - 1:25000 reperibile all'Albergo Miralago a Campo Tartano (0342/645052). Punti d'appoggio: Rifugio Beniamino in località Arale (tel. 0342 645024) Rifugio Il Pirata in località Arale (tel. 0342 645008) poter lavorare il latte in situ sempre più restrittiva, ha fatto abbandonare i monti. Dopo qualche anno di completo inutilizzo, per fortuna, oggi sono tornati ad essere caricati da pastori che provengono da Pavia e Bergamo. Attualmente qui vengono monticati 2000 ovini e 80 bovini da carne. Alcune baite di tutti e tre i maggenghi sono state ristrutturate intorno al 2000 e, vandalismi a parte, sono utilizzabili come rifugio. Altre sono inagibili. Tra le proposte di sviluppo rurale per riavviare l'attività casearia della val Tartano, vi è quella di una strada consortile in quota che colleghi i 32 alpeggi della val Tartano. Monta Cadelle (m 2483) 99 Escursionismo Orobie Monte Valegino (2415) Monte Cadelle (2483) Passo di Porcile (2290) Il passo di Porcile visto dal lago di Sopra (23 giugno 2013, foto Stellina). I laghi di Porcile visti dalla vetta del monte Cadelle (5 luglio 2013, foto Roberto Ganassa). Con le guide del Parco verso la casera di Porcile (23 giugno 2013, foto Stellina). Il lago Grande di Porcile e, sullo sfondo da sx, cima e passo dei Lupi e monte Cadelle (7 luglio 2010, foto Roberto Ganassa). 100 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il lago Piccolo di Porcile (1 ottobre 2013, foto Roberto Ganassa). L'angelo delle Cadelle dopo una nevicata estiva (1 settembre 2012, foto Roberto Ganassa). Estate 2014 21 agosto 2013 - All'Arale, accanto al rifugio Il Pirata, si trova il rifugio Beniamino (m 1485). È intitolato a mio zio, scomparso nel 1981 in Perù, ed è stato costruito da mio nonno, il maestro Camillo Gusmeroli, nel 1964. Mi incammino dall'Arale con mia cugina per raggiungere l’angelo delle Cadelle. Il sentierino pianeggiante arriva velocemente alla fontana detta "l’acqua dei frati", poi si ricongiunge alla carrozzabile proveniente da Tartano e che, dopo due tornanti, si smagrisce nel sentiero per l'alpe Porcile. Superate la Prima baita (m 1584) e la baita Bianca (m 1624), un ponte in cemento ci fa scavalcare il torrente della val Dordonella. La via piega a dx e serpeggia fino alla verde conca dov'è la casera di Porcile (m 1803), cinta a oriente dalla barra rocciosa che sorregge l'anello superiore della valle, quello che ospita i laghetti. Con un ampio semicerchio verso sx tra radi larici e pascoli talora LE MONTAGNE DIVERTENTI invasi dai rododendri1, approdiamo sulle rive del lago Piccolo di Porcile (m 2005), immerso nel verde e nei cui pressi si trova una baita con panca. Si dice che questo lago sia destinato ad interrarsi e scomparire in pochi anni, destino che prima o poi tocca a tutti i laghetti alpini. Proseguiamo verso E e in breve ecco il tondeggiante e ben più profondo lago Grande di Porcile (m 2030, ore 2). Qui ci divertiamo a gridare, sapendo che l'anfiteatro risponde sempre con un bell'eco. Sulla riva occidentale del lago si trova un crocevia con numerose indicazioni. Seguiamo quelle (dx) per il passo di Porcile2 che ci indirizzano al lago di Sopra (m 2090). Ripresa la marcia, affrontiamo l'ultimo strappo per il passo di Porcile (m 2290, ore 0:40), posto sulla cresta tra il vicino monte Valegino (OSO) e il più distante monte Cadelle (ENE). Ci affidiamo ora alla traccia che si dirige a NE tagliando il versante di Foppolo e, per prati e pietraie, arriva ai piedi della faccia SO del monte. Con un serie di ripidi tornanti guadagniamo circa 150 metri di dislivello e l'anticima occidentale. Un breve tratto di cresta ci accompagna alla panoramica vetta del monte Cadelle (m 2483, ore 0:50). Quassù, al convergere dei territori comunali di Foppolo, Colorina e Tartano, si trova dal 1989 l'angelo dalle trifronte noto come angelo delle Cadelle. Una targa riporta: «Là in alto si tocca il cielo con un dito e ci si sente più vicini a Dio. La Montagna è uno dei mezzi che ti permette di scoprilo: se non immediatamente lo capisci con il tempo». Il panorama è estesissimo in tutte le direzioni, spaziando dai gruppi di Bernina e Disgrazia, alle vette del Masino a delle Orobie. 1 - A m 1900 ignorare la deviazione a SO per la croce di Porcile e puntare a SE. 2 - Prestare attenzione al bivio passo di Porcilepasso di Tartano, dove bisogna piegare a sx (E). Monta Cadelle (m 2483) 101 Escursionismo Alta Valtellina Dombastone Giacomo Meneghello Un luogo dal sapore antico, a pochi chilometri in linea d’aria dal fondovalle sondalino, ma con una via d'accesso troppo irta per renderlo appannaggio dei meno convinti. Questo è Dombastone. Con il suo Corno e con quel gruppetto di baite strette tra loro, antico nido estivo di una vita a contatto con la natura ai margini del Parco Nazionale dello Stelvio, lontano dal turismo di massa. 102 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Dombastone 103 Dombastone. La quiete del tramonto (19 ottobre 2012, foto Giacomo Meneghello - www.clickalps.com). Escursionismo Alta Valtellina Corno dei Becchi (2822) Corno di Dombastone (2622) Passo di Dombastone (2546) Dombastone e on ast mb Do di le val La valle di Dombastone e il tracciato di salita a Dombastone visti da Roncale (19 ottobre 2012, foto Beno). L'ESCURSIONE L Dombastone. Sullo sfondo spiccano le cime di Redasco (15 maggio 2014, foto Giacomo Meneghello). BELLEZZA Partenza: piazza della chiesa di Mondadizza (m 940). FATICA PERICOLOSITÀ 104 Itinerario automobilistico: da Tirano seguire la SS 38 in direzione Bormio. Prendere dopo 20 km l’uscita per Sondalo e alla rotonda svoltare a dx in direzione Mondadizza. Dopo circa 1 km, appena oltre il il cimitero, prendere a dx e seguire la via principale fino alla piazza della chiesa. Itinerario sintetico: piazza della chiesa di Mondadizza (m 940) - bivio val di Tocco (m 1060) baite di Dombastone (m 2117) - Corno di Dombastone (m 2622). LE MONTAGNE DIVERTENTI Tempo previsto: 4 ore e mezzo per la salita. Attrezzatura richiesta: da escursionismo d'alta montagna. Difficoltà/dislivello: 3 su 6, 1680 metri. Dettagli: E/EE. Il sentiero n. 496 che dal ponte porta alle baite di Dombastone ha pendenze sostenute e non è consigliabile ai poco allenati. Il tratto finale per la vetta del corno di Dombastone è molto ripido e richiede una certa attenzione oltre a calzature adeguate. Mappe: Kompass n. 72 – Ortles Cevedale, 1:50.000; Estate 2014 asciata l’auto nella graziosa piazza di Mondadizza, seguiamo la strada che, guardando la chiesa, prosegue verso dx ed entra nell’abitato. A breve troviamo (sx) una pista sterrata che sale, priva di indicazioni ma contrassegnata da 3 bollini rossi a terra, poiché di qui scende la gara sondalina di skyrunning “4 passi” che si tiene tutti gli anni a inizio maggio. Anche se mancano i cartelli, non è possibile sbagliarsi e ci addentriamo verso la montagna (S) rimanendo sempre al margine superiore dei prati fino ad arrivare a un incrocio (m 1060). Qui prendiamo la strada di sx che, con pendenze crescenti, sale sulla dx idrografica della valle di Dombastone costeggiando il torrente fino a giungere allo spiazzo dove termina la carrozzabile e comincia il sentiero (m 1260, ore 0:50). Attraversato il ponte sul torrente, il sentiero si impenna. Più avanti, un breve tratto in falsopiano ci conduce a un secondo ponte che ci riporta sulla dx idrografica. La via torna faticosa e si alza dapprima sui bordi di un canale con il paese di Sondalo visibile nel fondovalle, infine nel cuore di un fitto bosco che a lungo preclude la vista del paesaggio. LE MONTAGNE DIVERTENTI A m 1700 i ruderi di una baita anticipano il bivio per Li Merè (m 1780, ore 1:10), segnalato anche da una piccola santella. Insistiamo nel fitto bosco, con sporadici scorci sulla valle selvaggia de Li Merè e le sue imponenti bastionate rocciose. Una baita, il bosco si dirada ed eccoci ai prati di Dombastone (m 2117, ore 0:45), che risaliamo fino al nucleo superiore di baite1. Ora il panorama si mostra in tutta la sua bellezza con la vallata di Sondalo e le cime di Redasco in primo piano, mentre sullo sfondo nelle giornate di bel tempo sono visibili la cima Viola e il gruppo del Bernina. Riprendiamo il nostro cammino lungo il sentiero che guadagna quota oltre le baite e si addentra nella parte alta della valle di Dombastone. La traccia procede inizialmente a mezza costa, per poi risalire lungo i pascoli abbandonati e brucati oggi solo dalle capre del mio amico Amos. Il Corno svetta in alto a sx, sebbene questa prospettiva non renda onore al suo profilo slanciato. Attraversando le sue pendici meridionali a m 2400 ca. ignoriamo la deviazione che porta al passo di Dombastone, posto sul lato opposto 1 - Qui è presente una presa dell'acqua. della valle2. Insistendo sulla dx orografica della vallata, raggiungiamo l'evidente bocchetta posta sulla cresta a E del Corno. Mancano gli ultimi metri per la vetta, ma sono i più difficili. Il sentiero per il Corno si mantiene sul pendio di erba e macereti lato valle di Dombastone (sx) ed è per un buon tratto ben visibile. Appena a dx la montagna precipita nella valle di Scale con un impressionante salto roccioso. Quando la traccia si fa decisamente meno chiara, saliamo al dritto e giungiamo a una corda fissa che agevola il superamento di un passo erto. Quindi la via diviene più agevole e in un attimo siamo sul Corno di Dombastone (m 2622, ore 1:30)3. In vetta, oltre ad un panorama estesissimo, troviamo una grossa croce in larice, montata e portata quassù a spalle da Amos Gianoli, Fabio Meraldi e altri valorosi. La croce, considerando la porzione interrata, supera i 3 metri di altezza. Vi è inoltre il libro di vetta che vale la pena firmare per aggiungere ai nomi dei locali anche quelli di qualche esploratore straniero! 2 - Il passo di Dombastone (m 2546), posto sulla cresta che divide la val Grande dalla valle di Dombastone, era un tempo scenario di liti dovute allo sconfinamento del bestiame tra gli alpeggi camuni e quelli valtellinesi. 3 - Si narra che una volta addirittura un vitello salì fino in cima al Corno! Dombastone 105 Escursionismo Alta Valtellina La piazza di Mondadizza (12 ottobre 2012, foto G. Meneghello). Tramonto sulla Valtellina da Dombastone (14 maggio 2014, foto Giacomo Meneghello). L'inizio del sentiero (14 maggio 2014, foto Giacomo Meneghello). Le capre di Amos a Dombastone (15 maggio 2014, foto Meneghello). La cuspide finale del Corno di Dombastone (15 maggio 2014, foto Giacomo Meneghello). VARIANTI DI SALITA E DISCESA Poiché meriterebbe di essere visitata anche la valle de Li Merè, consigliamo una volta giunti al bivio a m 1780, di prendere il sentiero che si diparte in piano e che porta all’alpeggio basso, da cui su traccia di sentiero si risalgono i pascoli fino all’alpeggio superiore (m 1984, ore 0:40). Qui, dove ora vi sono solo ruderi, un tempo d'estate vivevano stabilmente 4-5 numerose famiglie. L'alpeggio è stato definitivamente abbandonato a metà degli anni '80. Per i più avventurosi è possibile il rientro dalle baite di Dombastone passando dal Piaz dei Re e da lì ricongiungersi alla via di salita a m 1260, 106 LE MONTAGNE DIVERTENTI oppure dal Piaz dei Re portarsi nella valle di Scala che per altri panoramici alpeggi riconduce a Mondadizza. Tuttavia nel percorrere tali tracciati si deve considerare che, pur essendo questi dotati di scintillanti cartelli del Parco, non vengon manutenuti ed è perciò facile perdersi. IL NOME L’etimologia del nome Dombastone, già citato negli estimi del 1550 e del 16604, è incerta e priva di documentazioni sicure. Attualmente sono tre le ipotesi che vanno per la maggiore: 4 - Inventario dei toponimi valtellinesi e valchiavennaschi n. 29. Territorio comunale di Sondalo, Società Storica Valtellinese, Villa di Tirano 2005 - una legata alla tradizione popolare, fornita da Remo Bracchi, secondo la quale il nome deriverebbe da un sacerdote alpinista che soleva salire portando un bastone nelle proprie escursioni. - una, sempre fornita da Remo Bracchi, di tipo etimologico che fa risalire la base domba da dómbola, ovvero dosso, curvatura concava o convessa, a cui sarebbe seguito un successivo rimaneggiamento fantasioso; - una terza interpretazione è data dai locali, che fanno derivare il nome dall’espressione dialettale «Dom ch’an và baston», ovvero «Andiamo bastone che la strada è ripida». Estate 2014 L'impianto di risalita realizzato da Amos a Dombastone (15 maggio 2014, foto Giacomo Meneghello). LA STORIA Un tempo le aree prative di Dombastone e Li Merè erano fiorenti alpeggi abitati da diverse famiglie provenienti dalle frazioni sondaline di Mondadizza e Migiondo. Diversi ragazzi come Elio Pasquinoli e Mario Quetti passavano qui le loro estati tra prati, mucche, pecore, capre e montagne. Numerosi sono gli aneddoti che si potrebbero raccontare. Erano altri tempi, erano altri ragazzi, ma tutte le persone con cui ho parlato ricordano con nostalgia quegli anni di vita dura, ma anche di libertà e natura. LE MONTAGNE DIVERTENTI Amos si esibisce in un salto dai tetti di Dombastone (16 gennaio 2011, foto Giacomo Meneghello). In inverno, dato il non facile accesso, le baite rimanevano spesso silenti. In anni più recenti, durante i weekend e le vacanze natalizie, diverse famiglie solevano salire a godersi una settimana bianca. Amos, uomo dalle infinite risorse, aveva pure costruito un piccolo impianto sciistico composto dal motore di una vespa, una carrucola, un paio di piattelli in legno e alcune travi portanti. Il tutto per far sciare i propri figli nei prati di casa! IL BAR IMBIZZARRITO U na volta, molti ragazzi come Elio Pasquinoli e Mario passavano le loro estati presso gli alpeggi di Li Merè e spesso si usava raccogliere il lichene da terreno da pascolo per ottenerne un decotto curativo per le bestie. Un’estate pensarono bene di legare lo zaino che lo conteneva addosso al montone del gregge, per farglielo trasportare fino alla baita. L’idea sembrava funzionare fino a quando il gregge di pecore, dando prova di ineguagliabile coraggio, iniziò a scappare all’impazzata spaventato dal sopraggiungere del montone con il suo nuovo zainetto di marca. Il montone a sua volta, volendo dar prova di coraggio, iniziò ad agitarsi facendo capovolgere lo zaino che iniziò a rotolare giù per i prati. Dombastone 107 Escursionismo Alta Valtellina I passi dello Zebrù Eliana e Nemo Canetta Nel maggio del 1915 in Alta Valtellina, oltre le truppe che guarnivano lo Sbarramento di Bormio, vi erano due Battaglioni alpini, il Tirano e il Valtellina, per complessivi 2800 uomini. Le tre Compagnie del Valtellina, reclutate tra classi relativamente anziane, controllavano la Valdidentro poiché si temevano incursioni asburgiche dalla val Monastero e dalla Bassa Engadina. Gran parte delle cinque Compagnie del Tirano erano schierate allo Stelvio nella conca di Bormio e in quella di Fraele. Una sola Compagnia era distaccata, con i suoi 300 uomini circa, a presidio dell’alta Valfurva. Essa faceva base a Santa Caterina con distaccamenti ai Forni, alla capanna Cedèc e al passo di Gavia. 108 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Al passo settentrionale di Zebrù. Sullo sfondo la piramide del passi dello Zebrù 3012- Meneghello). m 3010) 109 Gran ZebrùI (19 agosto 2012, foto (m Giacomo Escursionismo Alta Valtellina Con soli 300 uomini dislocati in alta Valfurva era impensabile per gli italiani una azione offensiva in direzione del passo del Cevedale, che quindi fu subito occupato dagli avversari. Gli austriaci, profittando delle limitate nostre forze, discesero alla Cedèc dopo un bombardamento di artiglieria per completarne la distruzione ed il debole presidio di Alpini nulla poté contro tale azione. Così il nostro fronte si attestò sul costone del Monte dei Forni, che fu coperto da fortificazioni campali. Noi però controllavamo tutta la val Zebrù ed era quindi necessario impedire che tale bacino fosse minacciato dall’avversario attraverso i due passi dello Zebrù. Ecco perché gradatamente la quota 3119, che si erge trai due valichi, fu trasformata in una ridotta inespugnabile i cui ruderi e barriere di filo spinato ancor oggi ci fanno comprendere l’importanza di tale posizione. La mulattiera per il passo meridionale di Zebrù, nei pressi del villaggio è dominata da una possente ridotta difensiva (18 luglio 2012, foto Canetta). BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ - Partenza: Albergo dei Forni (m 2178). Itinerario automobilistico: da Bormio si segue la SS 300 del Gavia, verso la Valfurva. Si traversano così Uzza, San Nicolò e San Antonio. Dopo un tratto solitario siamo a Santa Caterina Valfurva, località che, prima della Grande Guerra, era abitata solo in estate, come centro di terme ed escursionismo (m 1734, 13 km; sin qui servizio di bus da Bormio). All’inizio del villaggio (indicazioni) si prende a sx per i Forni, lungo una stradella asfaltata ma ben presto alquanto ripida e stretta. Ci si addentra così nella valle dei Forni, prima toccando alcuni caratteristici nuclei, poi in vista dei colossi del massiccio OrtlesCevedale. Un ultimo strappo ed eccoci nei pressi dell’Albergo dei Forni (già esistente prima del conflitto; fu la base principale di azione italiana nel periodo 1915/’18) con le vicine vaste aree di parcheggio (6 km, servizio di fuoristrada da Santa Caterina; informazioni a Santa Caterina presso l’Ufficio Turistico, tel. 0342.935544, [email protected]). Itinerario sintetico: Albergo dei Forni (m 2178) - Caserma (m 2547) - passo meridionale di Zebrù (m 3012) - quota 3119 - passo settentrionale di Zebrù (m 3010) - rifugio Pizzini/Frattola (m 2700) - albergo dei Forni (m 2178). Tempo previsto: 6 ore per l'intero giro. Attrezzatura richiesta: da escursionismo alpino. Consigliati gli scarponi: ancora a inizio estate c'è possibilità di incontrare tratti innevati. Difficoltà/dislivello: 2 su 6 / 950 metri. Dettagli: E/EE. Escursione in alta quota in parte su sentieri segnalati. Mappe: - Tabacco n. 08 - Ortles/Cevedale,1:25.000; - Kompass n. 72 - Ortles/Cevedale 1:50.000; - Kompass n. 637 - Cevedale, 1:25.000; Dal piazzale del parcheggio dei Forni (m 2178), dove si trova il tabellone del Parco dello Stelvio con cartina e indicazione dei sentieri, prendiamo la strada di servizio di sx che si alza con due tornanti e prosegue verso il rifugio PizziniFrattola. Al secondo tornante però la abbandoniamo e imbocchiamo la vecchia mulattiera militare, guadagnando quota fino all’altezza delle baite dei Forni (m 2389). Ignorato il tratturo di sx che porta verso il Confinale, insistiamo in salita e si entra nel solco della val Cedèc1, 1 - La grafia di questo toponimo è molto discussa; secondo l’Inventario dei toponimi valtellinesi e 110 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI mentre verso S si apre sempre più lo spettacolare bacino del ghiacciaio dei Forni. Le prime tracce di trincee e di appostamenti a valle del sentiero preannunciano i ruderi della cosiddetta Caserma (m 2547), in realtà un complesso di baracche sulle quali si appoggiava la nostra principale linea di difesa. A dx del sentiero vi sono due appostamenti con i relativi camminamenti di accesso: il primo sfrutta il riparo naturale offerto da alcune rocce, il secondo è a pianta valchiavennaschi. Valfurva - la grafia esatta è Cédè. Noi abbiamo usato quella dell’IGM, ma durante il periodo della Grande Guerra si utilizzava in genere la forma Cedeh. circolare e in pietra. Si trattava della postazione da cui gli italiani controllavano l’alta val Cedèc ed il sottostante omonimo torrente. Verso sx, a monte di una postazione di artiglieria, inizia una lunga serie di trinceramenti che prendono quota verso il Monte dei Forni. Il sentiero pianeggia e, oltrepassata una valletta, si è a un bivio non molto evidente: a dx il tracciato principale è segnalato e continua verso la capanna Pizzini-Frattola. Noi prendiamo verso sx innalzandoci gradualmente tra i pascoli sulla vecchia mulattiera militare, che collegava la linea di difesa dei Forni con quella dei I passi dello Zebrù (m 3012- m 3010) 111 Escursionismo Alta Valtellina Le fortificazioni restaurate sopra la Caserma a cura del Parco. Panorama verso l'alta val Cedèc, a sx il Gran Zebrù (26 agosto 2010, foto Giacomo Meneghello). La costiera Thurwieser-Trafojer con (a sx) la vedretta di Campo. Quest'ultima zona durante la guerra era occupata dagli austriaci; mentre le prime due vette ospitavano postazioni italiane incredibilmente aeree. Le stesse fortificazioni viste in direzione della valle dei Forni. Sullo sfondo le 13 Cime (26 agosto 2010, foto Giacomo Meneghello). Le possenti fortificazioni della quota 3112 inquadrano il panorama sui monti Cevedale e Pasquale (18 luglio 2012, foto Canetta). passi dello Zebrù. Non senza ammirare la splendida piramide di rocce del Gran Zebrù che domina tutta la testata della val Cedèc (ai tempi della Grande Guerra noto pure tra i nostri con il toponimo tedesco di König-Spitze/Cima del Re), si prende gradualmente quota verso N sino alla valletta del Rio Grande, che si raggiunge a m 2742. Pieghiamo ora a sx (ONO) risalendo il torrentello, in direzione dell’evidente valletta compresa tra la cima orientale dei Forni, che da qui appare come una piramide di rocce, e il crestone di quota 3119, la nostra meta. A m 2846 incontriamo i primi ruderi bellici; in questa zona, dopo la distruzione della vecchia capanna Cedèc fu ricostruita, dai militari, la nuova Cedèc, chiaramente assai meglio defilata della precedente e più facile da proteggere dalle incursioni avversarie. Terminato il conflitto, la sezione di Milano del 112 LE MONTAGNE DIVERTENTI Benché abbattute dal tempo e dalle bufere, le barriere di filo spinato sono ancora ben riconoscibili (18 luglio 2012, foto Canetta). CAI, cui apparteneva il rifugio, lo ricostruì nell’antica posizione, ben più indicata dal punto di vista escursionistico e alpinistico, col nome di rifugio Pizzini (oggi Pizzini/ Frattola). Poco oltre, ai piedi del costolone petroso che sale verso la quota 3119, incontriamo i ruderi di un villaggio militare. A questo punto proseguiamo per la mulattiera che, spesso a gradinata, guadagna quota tra i ruderi delle casermette, oppure lungo le fortificazioni realizzate sulla linea di cresta e collegate alle prime da camminamenti in pietra. Arriviamo così poco a monte dell’ampio intaglio del passo meridionale di Zebrù (m 3012, ore 2:45), in corrispondenza dei resti di alcune baracche raccordate fra loro da una ripida scalinata in pietra. Il valico, oramai del tutto dimenticato, era già in disuso ai tempi della Grande Guerra, perché gli era preferito il passo settentrionale di Zebrù, più agevole e facile. Infatti il valico meridionale, ancora oggi, sul versante di val Zebrù è raggiunto da un lembo della vedretta dei Castelli che, negli anni del conflitto, era assai più sviluppata di quanto sia oggi. Saliamo a dx (NNE) agli appostamenti sovrastanti: dalle vecchie mappe belliche sappiamo che, oltre le baracche, era una postazione d’artiglieria per due pezzi. Scavalcata la quota 3119, la maggiore del crestone tra i due valichi, siamo a una terrazza completamente occupata da trinceramenti e postazioni per le mitragliatrici che dominavano nettamente i ripiani ove era la vecchia Cedèc, oggi ben evidenziati dal grande edificio della capanna Pizzini/Frattola. In tal modo un’eventuale discesa degli austriaci dal passo del Cevedale avrebbe potuto essere resa difficile dal nostro fuoco laterale. Poco Estate 2014 Una stufetta ancora ben conservata tra i ruderi delle baracche sopra il passo meridionale di Zebrù (18 luglio 2012, foto Canetta). oltre, nei pressi della quota 3082, era l’arrivo di un’ardita teleferica che collegava il nostro crestone con una posizione arretrata presso I Castelli, in alta val Zebrù. Il nostro tracciato tra i resti bellici,è quanto mai panoramico: siamo infatti in una località che ci permette di spaziare con lo sguardo dalla parete meridionale del Cristallo alla vedretta di Cedèc, che discende dal Cevedale (occupato dagli austriaci durante la Grande Guerra). Verso SO ecco invece il versante settentrionale del piccolo massiccio del Confinale, ancor oggi in parte corazzato dai ghiacci della vedretta dei Castelli. Così guadagniamo la quota 3065, che domina il passo settentrionale di Zebrù. Qui erano altre postazioni atte a sventare un eventuale attacco direttamente dal valico; nell’area era pure la partenza di una teleferica che, con successivi tratti, saliva verso le nostre linee LE MONTAGNE DIVERTENTI La stradella che discende dal rifugio Pizzini/Frattola ai Forni. Sulla sx l'inconfondibile piramide del Gran Zebrù (26 agosto 2010, foto Giacomo Meneghello). avanzate alle Pale Rosse. Superata la protezione formata dal filo spinato, ancor oggi in posto seppur abbattuto dalle bufere, non rimane che percorrere in discesa, su sfasciumi, il facile pendio che adduce alla sella del passo settentrionale di Zebrù (m 3010, ore 1), passaggio del Sentiero Italia e del Sentiero della Pace). Il ritorno verso il sottostante e ben visibile rifugio Pizzini/Frattola si svolge lungo il sentiero normale che collega l’alta val Cedèc con la val Zebrù ed il rifugio Quinto Alpini, anch’esso della Sezione di Milano del CAI (durante la Grande Guerra ancora chiamato rifugio Milano e importantissima base italiana per il controllo della zona). Il tracciato, ben segnalato e complessivamente assai agevole, è frequentato in estate da moltissimi escursionisti e pure da non pochi appassionati della bici da montagna. Così, senza problemi, tra vastissimi pascoli, transitando da ultimo nei pressi di alcuni antichi trinceramenti, utilizzati dagli Alpini all’inizio del conflitto prima della distruzione della Cedèc, raggiungiamo il rifugio Pizzini/Frattola2 (m 2700, ore 0:45), gratificati della visione dell’antistante parete N del monte Pasquale e dalla lingua del ghiacciaio del Cedèc, mentre a sx (N) tutta l’area è sempre dominata dall’ardita piramide del Gran Zebrù. Per rientrare ai Forni (m 2178, ore 1:30), consigliamo la stradella che rapidamente riconduce alla partenza, con un percorso sempre altamente panoramico e in ambiente un poco dissimile rispetto a quello della mulattiera che avevamo percorso all’andata. 2 - 52 posti letto, servizio ristorante, tel. 0342-935513. I passi dello Zebrù (m 3012- m 3010) 113 Myanmar Rubriche dove gli alberi fanno le bolle di sapone e i pescatori remano con i piedi Testi e foto Luciano Bruseghini 114 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Wanna, la nostra guida durante il trekking, ci mostra l’albero delle bolle di sapone (18 ottobre 2013). Myanmar 115 Rubriche Valtellinesi nel mondo La Sule Paya illuminata (13 ottobre 2013). Noci di betel pronte da masticare (13 ottobre 2013). Giovani monaci ricevono cibo (15 ottobre 2013). A mo scoprire quei paesi della terra che la civiltà occidentale non ha ancora inquinato. Tra questi vi è il Myanmar, chiamato Birmania fino al 1988 e precluso agli stranieri dalla dittatura militare contro cui si batté Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace. Il regime aveva rallentato i contatti con l’esterno, tutelando in questo modo le usanze ancestrali, lo stile di vita e salvaguardando in particolare lo spirito religioso buddhista che permea ogni momento della vita quotidiana locale. Io e Valeria abbiamo deciso di visitare il Myanmar in autonomia con mezzi rapidi e comodi: aerei per i lunghi trasferimenti e taxi per le tappe brevi, in modo da gestire gli orari e le soste. E, dato il basso costo della vita, non risulta una scelta particolarmente dispendiosa! Dopo un lungo volo e diversi scali, raggiungiamo finalmente Yangon, l’antica capitale (spostata dal 2005 a Nay Pyi Taw, un’asettica, moderna e impronunciabile città semivuota d’ispirazione cinese, più a nord). Il primo impatto con il paese asiatico ci lascia meravigliati: pensavamo di trovare un posto molto più arretrato, invece vi si dipanano grandi strade percorse da veicoli abbastanza moderni, circondate da alti palazzi e tutto sommato pulito. Anche se il sole è sceso da un po’, lasciati i bagagli in albergo, ci rechiamo a visitare uno dei monumenti principali: la Sule Paya, una bellissima pagoda dorata posta al centro di una delle rotatorie più trafficate della città. Illuminata da un’infinità di faretti, sembra brillare ancor di più nell’oscurità della notte birmana. Per accedervi, come in tutti gli altri luoghi di culto del paese, bisogna togliere le scarpe e camminare a piedi nudi. All’interno molta gente in preghiera è inginocchiata davanti Essicazione del pesce su stuoie (14 ottobre 2013). alle diverse santelle che circondano la cupola centrale: si avverte subito come la religione buddhista theravada sia il perno della vita di questo popolo1. Con le visite ai templi, le preghiere e le offerte, i Birmani cercano di fare in modo che la loro prossima vita sia migliore. Per questo i numerosissimi monasteri e luoghi di culto del paese vivono grazie alle donazioni quotidiane della popolazione. È uno spettacolo indimenticabile osservare ogni giorno la processione di monaci scalzi che passa di casa in casa con un grande recipiente di terracotta per chiedere cibo o denaro con cui provvedere al proprio sostentamento. La maggior parte degli uomini, sia giovani che anziani, indossa una 1 - Il buddhismo theravada è un sistema psico-filosofico, nato dall’illuminazione di Siddhartha Gautama vissuto in India settentrionale ancor prima dell’avvento di Cristo. Non si basa sull’adorazione di divinità, ma sul superamento dei desideri fino a raggiungere, attraverso la disciplina e la meditazione, il nirvana: lo stato di vera felicità. Ragazza con il volto dipinto con la tanaka (14 ottobre 2013). lunga gonna, chiamata longyi, cioè un pezzo di stoffa annodato in vita che arriva alle caviglie, di cotone o di seta, a righe o a quadretti. Tante donne e diversi bambini hanno il volto truccato con una pasta (tanaka) ricavata dalla corteccia di un albero; è una tintura bianca o marroncina con scopi sia protettivi che ornamentali. Rasente i marciapiedi numerosi venditori di cibo con i loro carretti di generi alimentari (zuppe, frutta e verdura, riso, spiedini di carne, pesce essiccato), dai quali sgorgano profumi a noi sconosciuti, propongono vivande non sempre gradevoli al palato occidentale e poco tollerate dal nostro stomaco per l’uso eccessivo di spezie. Vi sono pure banchetti che vendono il betel, una strana noce che i locali, dopo averla avvolta in una foglia e mescolata ad un liquido lattiginoso, masticano come un chewingum; ha un blando potere eccitante e tinge la bocca e i denti di rosso: dà loro forza LE MONTAGNE DIVERTENTI ammirare e fotografare simpatiche donne che essiccano il pesce al sole sopra grandi stuoie di bambù. L’odore sprigionato non è proprio dei migliori, ma l’aspetto è invitante. Proseguendo, attraversiamo una vasta pianura coltivata principalmente a riso, il fondamentale alimento della popolazione, fino a raggiungere il fiume Sittoung che segnala il confine tra la provincia di Yangon e la regione Mon. Da qui il paesaggio cambia totalmente e le vaste pianure lasciano spazio a piccole collinette ricoperte di foreste, composte soprattutto da alberi della gomma. A mezzogiorno arriviamo a destinazione e iniziamo il trekking che ci porterà ad uno dei più famosi e venerati monumenti religiosi della Birmania. Seguiamo un ripido sentiero che procede lungo il fianco della montagna e che si snoda in una rigogliosa foresta. Ai lati della mulattiera sorgono casette di legno dove i locali, oltre ad abitare, vendono anche Trasporti eccezionali in piena sicurezza (14 ottobre 2013). Asfaltatura fatta dalle donne a mano (15 ottobre 2013). 116 per affrontare le faticose giornate lavorative. Un problema non secondario è il fatto che dopo averla masticata, la sputano per terra e le strade sono macchiate di rosso sangue. Oltre alle auto, il principale mezzo di locomozione è il trishaw, una bici sidecar, con cui si trasporta ogni genere di mercanzia. L’inconveniente sono i cartelli e le insegne scritte solo con i caratteri birmani, incomprensibili a noi occidentali. La gente raramente parla e capisce l’inglese; noi però ce la siamo cavata sempre bene grazie alla disponibilità e alla generosità di questo fantastico popolo e alle migliaia di minglabah (il saluto tipico) che abbiamo scambiato con individui sorridenti e cordiali. La mattina seguente prendiamo un taxi per recarci a Kinpun, nell’est del paese, da dove partiamo per visitare la Golden Rock. A metà percorso ci fermiamo presso un piccolo villaggio di pescatori sulla riva di un fiume per Estate 2014 Indicazioni per la Golden Rock (14 ottobre 2013). LE MONTAGNE DIVERTENTI Myanmar 117 Rubriche La scintillante Golden Rock (14 ottobre 2013). cibo e bibite ai turisti e ai pellegrini che salgono al “santuario”. Incontriamo diversi bivi, con indicazioni in birmano, ma è impossibile sbagliare strada: il sentiero giusto è quello con i negozietti ai lati! In tre ore e mezza copriamo gli 11 chilometri di distanza e gli 800 metri di dislivello che separano Kinpun dal monte Kyaiktiyo: un buon tempo visto il gran caldo e l’alta umidità che c’è nella regione. Abituati alle vette alpine, questa montagna a noi sembra solamente una collina, ma per i Birmani si tratta di una delle cime più elevate dello stato. Ecco la Golden Rock: un grosso masso ricoperto di lamine d’oro che, secondo la credenza, rimane in equilibrio su di una scarpata grazie a un capello di Buddha. È una zona talmente sacra che le donne non vi possono accedere, ma solo venerare da breve distanza. Tutt’intorno è un fiorire di templi e santelle, dove i monaci e la gente comune si inginocchiano a pregare. Poco dopo il tramonto una fitta nebbia sale a coprire tutto rendendo ancora più affascinante questo luogo. L’indomani ci svegliamo che è 118 LE MONTAGNE DIVERTENTI Valtellinesi nel mondo Estrazione della resina dall'albero della gomma (15 ottobre 2013). ancora buio, perché vogliamo assistere al sorgere del sole alla roccia dorata dove ci sono già molti monaci in preghiera. Scendiamo a valle a bordo di un piccolo camion strapieno dotato di panchine sul cassone, che viaggia velocemente lungo la stretta e ripida strada cementata. Tutti a bordo sono un po’ tesi, ma arriviamo sani e salvi a Kinpun. Durante il rientro a Yangon sostiamo brevemente per assistere all’asfaltatura della strada: è uno spettacolo sconcertante. Il lavoro viene fatto tutto manualmente dalle donne: accovacciate di fronte a cumuli di sassi ai bordi della carreggiata, scelgono a mano i pezzi migliori che vengono disposti sul terreno e poi livellati con una sorta di rastrello di legno. Un uomo quindi, in ciabatte infradito come tutti, vi versa sopra del catrame bollente che ricopre poi di sabbia, originando così un grossolano bitume. Poco dopo sostiamo per vedere gli alberi della gomma e la lavorazione della resina ricavata. Da una lunga incisione nella corteccia scende del Stuoie di gomma stese ad asciugare (15 ottobre 2013). liquido biancastro che viene raccolto in piccole ciotole, svuotate una volta al giorno in contenitori più grandi a cui viene aggiunto acido solforico per meglio addensare la miscela. Il tutto viene pressato più volte e passato continuamente in piccoli rulli fino ad ottenere delle “stuoie”, di circa un metro per cinquanta centimetri, che poi vengono messe al sole ad asciugare. Completato il ciclo, il prodotto viene venduto alle industrie e utilizzato principalmente per la costruzione degli pneumatici. Oggi dedichiamo l’intera giornata alla visita di Yangon. Dopo la colazione in hotel a base di frutta e specialità locali tra cui una poltiglia simile alle uova di rane, siamo carichi di energia per affrontare ore intense. Ci rechiamo al mercato locale “Thirimingala Zei”, probabilmente il più bizzarro ed esotico della città: c’è un via vai di persone di diverse etnie che procedono come laboriose formiche cariche di ogni tipo di merce, dalla frutta ai fiori, dal pesce alle stoffe. Profumi intensi, a volte anche sgradevoli, pervadono l’aria cocente. Estate 2014 Il mercato Thirimingala Zei e il Buddha disteso alla Chaukhtagy Paya (16 ottobre 2013). L’impatto visivo è impressionante per l’incrociarsi di colori e movimento. Tutt’intorno un gran vociare di venditori che esaltano le mercanzie. Bisogna solo stare attenti a dove si mettono i piedi visto che per terra c’è di tutto: dalla verdura marcia a liquami indefiniti! Proseguiamo il tour con la Chaukhtatgy Paya, un grande capanno dal tetto in metallo che ospita un’enorme statua del Buddha disteso. È una delle sculture più grandi del Myanmar: solo il mignolo del piede misura circa mezzo metro ed il suo volto rilassato è sormontato da una corona incastonata di diamanti e altre pietre preziose. La mattinata riprende con la visita del porto: non quello moderno dove attraccano grandi navi mercantili, ma quello vecchio dove fanno scalo piccoli battelli, provenienti dal fiume Yangon, stracolmi di ogni mercanzia che sarà poi venduta in città. Tutto viene scaricato manualmente da facchini intrisi di sudore e accatastato su scalcinati camioncini o piccoli carretti. Notiamo che vi sono pure LE MONTAGNE DIVERTENTI La Shwedagon Paya riflessa nel lago Kandawgy (16 ottobre 2013). delle donne che trasportano grandi carichi al pari degli uomini, un po' come accadeva da noi in Valmalenco ai tempi dell'estrazione dell'amianto. Siamo pronti per visitare il monumento principale di Yangon e di tutto il Myanmar, la Shwedagon Paya: una immensa e meravigliosa pagoda che poggia su una piattaforma alla sommità di una bassa collina e per questo visibile da quasi ogni punto della città. Il possente e scintillante stupa centrale2 riflette la sua luce dorata sulle costruzioni minori che lo attorniano: tempietti, cappelle votive, sale di preghiera, statue. Le brillanti guglie affilate dei monumenti si stagliano nel cielo azzurro come lunghe braccia tese a raggiungere la divinità. Molti monaci in tuniche rosse e numerose monache col saio rosa sostano in silenziosa preghiera o recitano monotoni salmi davanti 2 - Con il termine stupa si indica un monumento sacro del buddhismo, architettonicamente costituito da cinque elementi simbolici che richiamano gli elementi cosmici, spesso combinati nella forma di una pagoda. Simboleggia Buddha che rivela il sentiero per l’illuminazione. alle centinaia di raffigurazioni del Buddha. È un via vai di fedeli e turisti che si mescolano in un coloratissimo caleidoscopio. Quando scende la sera tutto il complesso viene illuminato dalla luce artificiale che lo avvolge in un’atmosfera fiabesca e mozzafiato. Lasciata l’antica capitale, voliamo a nord, verso la tranquilla cittadina di Heho, per scoprire altre meraviglie. Ci dirigiamo in taxi alla grotta Pindaya, il cui nome reale è Shwe Oo Min Pagoda, un complesso di grotte e cunicoli in roccia carsica, straripante di statue di Buddha (oltre 8000), realizzate in ogni possibile forma, dimensione e materiale e collocate nelle nicchie naturali che così si trasformano in cappelle di meditazione. Alcune immagini sono antiche, altre più recenti e in continuo aumento, offerte da devoti di tutto il mondo. Attraversiamo in auto una delle aree più intensamente coltivate di tutto il Myanmar: un mosaico di campi dai colori variegati distesi su dolci colline, movimentati da carri stracolmi di cavoli trainati da bufali, contadini Myanmar 119 Rubriche Valtellinesi nel mondo Trasporto cavoli con carretto (17 ottobre 2013). Il “Freccia Rossa” del Myanmar (17 ottobre 2013). Aratura dei campi con i buoi (17 ottobre 2013). Anziana di etnia Pa-o al telaio (18 ottobre 2013). Bambina con il suo animale da compagnia (18 ottobre 2013). Ombrelli di carta di bambù (17 ottobre 2013). Pescatore che rema con i piedi al lago Inle (19 ottobre 2013). La raccolta delle patate (17 ottobre 2013). che arano ancora manualmente con l’aiuto di grossi bovini, donne di etnia Danu con tuniche nere e di etnia Pa-o con foulard a scacchi in testa, piccoli camioncini che trasportano sul cassone gente e mercanzie in precario equilibrio! Sostiamo anche presso un laboratorio dove viene lavorata la carta ottenuta dal bambù. Delle signore ci mostrano il procedimento: i fusti tranciati sono messi a macerare in acqua per diverso tempo, fino a che non si trasformano in una poltiglia grigiastra che viene poi sgocciolata usando una rete a maglie finissime. L’impasto, decorato con foglie e fiori, è poi lasciato asciugare fino a completa essiccazione, cosicché le decorazioni colorate formano un tutt’uno con la carta. Con questi fogli si costruiscono ombrelli, ventagli, diari, segnalibri, cornici ecc. Dopo pranzo è la volta del mercato cittadino. Anche questo, come tutti i 120 LE MONTAGNE DIVERTENTI mercati popolari del Myanmar, offre bellissime scene di vita quotidiana ed esperienze indimenticabili: pesce e carne esposti senza refrigerazione, merce pesata con l’antica stadera, verdure e frutti sconosciuti dall’aroma molto pungente, personaggi che sembrano usciti da un libro di storia! Dirigendoci verso Kalaw, un piccolo villaggio fra le colline, punto di partenza per il trekking di due giorni al lago Inle, finalmente vediamo anche il famoso treno birmano. Dai tempi dell’indipendenza dall’Inghilterra, dopo la seconda guerra mondiale, non è stata più fatta manutenzione e i vagoni e le motrici sono rimasti praticamente gli stessi, così il convoglio procede molto lentamente e impiega un’infinità a percorrere brevi tratte. Di buon mattino iniziamo il tour con una guida locale di nome Wanna. Camminiamo lungo sentieri e piccole mulattiere che serpeggiano fra svariate piantagioni: cavoli, patate, pomodori, peperoni, riso, ginger e sesamo. Incontriamo persone di tre differenti etnie che si distinguono facilmente per il costume indossato. Sono gentilissime, sempre sorridenti e disponibili a farsi fotografare. Un’anziana signora Pa-o, ferma a bordo strada sotto una tettoia a lavorare al telaio, ci offre premurosamente un tè e per ricompensarla acquistiamo una borsa da lei prodotta. Ad un certo punto Wanna strappa un piccolo ramo da un arbusto e soffia sulla linfa che ne esce. Si formano delle bellissime bolle di sapone naturale. Siamo proprio nel paese delle meraviglie! All’ora di pranzo sostiamo in un villaggio, in una grande casa, il cui proprietario gentilmente ci consente di preparare noodle (una sorta di spaghetti) e verdure nella sua cucina. Riposati e rifocillati riprendiamo il cammino sotto una lieve pioggerella. Estate 2014 Nel tardo pomeriggio arriviamo al monastero di Te-Teng dopo aver percorso venti chilometri nella campagna. Entriamo nella grande pagoda e veniamo accolti da un vecchio monaco, non più in grado di camminare, seduto su un divano. Gentilmente ci indica l’angolo del tempio dove possiamo stendere i materassi per la notte. Alle quattro di mattina iniziano ad arrivare i fedeli a pregare perché oggi è un giorno molto importante in Myanmar: è la festa del plenilunio d’autunno e quasi nessuno lavora. Si va ai monasteri con omaggi di fiori e frutta e poi in visita ai parenti. Oggi il percorso è quasi completamente in discesa: infatti passiamo dai 1350 metri del monastero agli 850 del lago Inle. Dall’altipiano coltivato ci abbassiamo fino alla strada che costeggia il lago. Finalmente, dopo sedici chilometri, raggiungiamo un piccolo canale dove ingagLE MONTAGNE DIVERTENTI giamo un barcaiolo che ci trasferirà a Nyaungshwe, il villaggio principale della zona, e ci farà da guida nei prossimi due giorni. Procediamo per angusti canali circondati da palafitte e orti galleggianti e vediamo gli uomini che remano con i piedi, in modo da avere le mani libere per pescare! Finalmente lo stretto corso d’acqua si immette nel grande lago Inle e nel primo pomeriggio siamo a destinazione. Salutiamo con tristezza la nostra guida Wanna che ci ha permesso di scoprire i lati più nascosti di questa terra. Ben rifocillati da una buonissima pizza al ristorante di cucina italiana Golden Kite, camminiamo per oltre un chilometro in direzione nord fino al monastero Shwe Yaunghwe Kyaung. La sua antica sala delle ordinazioni (Thein) è completamente in tek e ha delle bellissime finestre ovali, da cui si affacciano i monaci per scru- tare quello che succede all’esterno. La mattina seguente, all’alba, anche se diluvia, salpiamo con la canoa in direzione sud, quasi all’estremità meridionale del lago. Alle sette siamo al villaggio di Maing Pyo dove attendiamo il passaggio del corteo del Phaung Daw Oo festival. Siamo venuti in ottobre proprio per assistere a questa manifestazione. Per diciotto giorni, quattro statue in oro massiccio raffiguranti Buddha vengono esibite nei vari villaggi del lago, scortate da uno scenografico corteo di barche. Inizialmente le statue erano cinque, poi un giorno la barca che le trasportava si capovolse e dal lago ne furono ripescate solamente quattro. Miracolosamente la quinta fu ritrovata al suo posto presso la Phaung Daw Oo Pagoda. Da allora solo quattro statue vengono portate in processione. Aprono il corteo delle lunghe e strette imbarcazioni con a bordo gente dei diversi villaggi, ognuna coi Myanmar 121 Rubriche Valtellinesi nel mondo centoquarantamila donazioni Trasporto dei Buddha dorati al festival Phaung Daw Oo (20 ottobre 2013). 1954-2014 da 60 anni prezioso sostegno alla rete della solidarietà avis comunale sondrio [email protected] 122 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 Donna di etnia Paduang con gli anelli al collo (21 ottobre 2013). propri colori e insegne. Cantano, ballano e gareggiano. Poi arriva la navicella dorata con i monaci e infine la grande barca Hintha, ricoperta d’oro e recante a prua l’effige del drago (in realtà sembra più un pollo), che trasporta le quattro statue. Il canale che conduce alla pagoda è molto stretto, per cui solo quella sacra vi può accedere, trainata con corde da due file di uomini che avanzano lungo le sponde. Ci avviamo di corsa sull’argine in modo da arrivare al tempio prima dell’imbarcazione sacra che, attraccata al molo, viene scaricata con l’aiuto di numerosi fedeli, essendo le statue assai pesanti. Ricevuta la benedizione dei monaci, i Buddha vengono portati nella pagoda e posti su un altare al centro della struttura. Tutt’intorno migliaia di fedeli si inginocchiano in preghiera. Anch’io, per mimetizzarmi e riuscire ad avvicinarmi all’altare, mi accomodo tra i devoti. Finite le orazioni, gli uomini si avvicinano alle statue e applicano loro delle sottili lamine d’oro: nel corso degli anni il loro peso è aumentato di molto a causa di questa pratica! L’indomani a In Phaw Khone rivedremo il corteo che sarà ancora più maestoso e spettacolare anche per la presenza di sinuose danzatrici nei costumi tipici. Quindi con la canoa ci rechiamo in un villaggio vicino per assistere alla lavorazione del loto. Coltivata direttamente nelle acque del lago, questa pianta viene sfilacciata al fine di ottenere delle sottilissime fibre che poi vengono intrecciate e lavorate LE MONTAGNE DIVERTENTI al telaio. È un processo molto lungo e che richiede una gran quantità di materia prima, per cui i tessuti ricavati sono assai costosi. La sosta successiva è presso un laboratorio dove vengono costruite le classiche canoe che solcano il lago. Completamente in legno di tek, richiedono circa un mese per la loro fabbricazione. Nella stessa struttura vengono confezionati anche i sigari: abilissime ragazze impiegano meno di un minuto ad arrotolare foglie intere di tabacco con all’interno il trinciato. Nel villaggio di Tha Ley che ospita anche la Phaung Daw Oo Pagoda, sede abituale dei cinque Buddha d’oro, ci fermiamo presso un negozio di souvenir attratti da commesse particolari: donne di etnia Paduang, conosciute anche come “donne-giraffa” per via del collo allungato dai numerosi anelli di ottone che vengono loro applicati fin da bambine. Questa pratica in origine serviva per rendere meno attraenti le donne di tali tribù in modo che non venissero rapite dalle popolazioni vicine. Oggi, invece, capita spesso che questo rituale venga perseguito a scopi turistici. Continuiamo verso nord alla volta dei famosi orti galleggianti, grandi filari di terra intrecciata con canne di bambù, che galleggiano sopra le basse acque del lago su cui gli intha coltivano fiori, pomodori, zucche e altre verdure. Rientrati sulla terraferma, noleggiamo due biciclette. Abbiamo letto di una casa vinicola non troppo lontana e decidiamo di visitarla con le due ruote. Dopo qualche problema iniziale, legato alla segnaletica in carattere birmano, troviamo la strada corretta e in mezz’oretta siamo a destinazione. Si tratta di una grande azienda con diverse centinaia di filari di vitigni pregiati. L’ottimo clima temperato del lago è l’ideale per questo tipo di coltura. Assaggiamo quattro tipi differenti di vino: bianco, rosé, rosso leggero e rosso corposo, tutti molto buoni. Ripartiamo per il villaggio di Inthein, famoso per le numerose ed antiche pagode disseminate nei dintorni. A piedi risaliamo la scalinata che conduce sulla sommità della collina dove c’è la Shwe Inn Thein Paya, un complesso di oltre mille zedi (tipo santelle) costruiti tra il diciassettesimo e il diciottesimo secolo. Salutato il magnifico lago Inle voliamo alla volta di Mandalay, seconda città della Birmania con due milioni di abitanti, dove sosteremo un paio di giorni. È molto caotica con le strade invase da migliaia di motorini e nessuno che rispetta le precedenze. Dapprima ci rechiamo alla Mahamuni Paya, un monastero molto vasto la cui principale attrazione è la grande statua del Buddha Mahamuni risalente al primo secolo dopo Cristo. Si tratta di una scultura in bronzo alta circa quattro metri, ricoperta d’oro. Le foglie applicate dai devoti nel corso dei secoli hanno creato uno strato di metallo prezioso spesso quindici centimetri. All’esterno della Paya ci sono botteghe di scalpellini che con grande abilità lavorano diversi tipi di Myanmar 123 Rubriche Valtellinesi nel mondo Il tempio Umin Thounzeh a Sagaing (22 ottobre 2013). Processione alla Mahamuni Paya di Mandalay (22 ottobre 2013). Monaci in fila per il pranzo ad Amarapura (22 ottobre 2013). Il monastero Htilaingshin Payadi Inwa (22 ottobre 2013). Taxi locale a Mingun (22 ottobre 2013). Cucina del monastero ad Amarapura (22 ottobre 2013). Il tempio Sulamani Patho di Bagan (25 ottobre 2013). Il lunghissimo U Bein’s bridge di Amarapura (22 ottobre 2013). pietra, eseguondo quasi tutto il lavoro con martello e scalpello. In taxi ci trasferiamo ad Amarapura, una delle tre antiche città che sorgono nei pressi di Mandalay. Penultima capitale del regno del Myanmar, sorge sulla sponda occidentale del lago Taugthaman. Qui assistiamo a un rituale di grande suggestione: ogni giorno alle dieci e mezza circa milleduecento monaci escono dalle case che li ospitano e si recano in processione lungo la strada fino alla grande mensa dove ricevono l’unico pasto della giornata. Visitiamo anche le cucine della mensa ma, vista la scarsa igiene, decidiamo di non fermarci a pranzo! Andiamo quindi alla scoperta della seconda città antica, eretta su di un isolotto nel fiume: Inwa, che fu capitale del regno birmano per circa quattrocento anni . Non essendoci strade asfaltate, i trasporti interni vengono effettuati con piccoli carretti trainati 124 LE MONTAGNE DIVERTENTI da cavalli. Prima sosta al monastero in tek di Bagaya Kyaung, risalente al 1834, sicuramente l’attrazione principale dell’isola. L’interno scuro e fresco rimanda ai tempi in cui numerosi monaci lo occupavano. Ora ne scorgiamo solo alcuni in meditazione e un anziano che insegna a una decina di piccoli bambini. Proseguendo il tour incontriamo prima la torre pendente di Nanmyin, alta 27 metri, tutto quello che rimane di un antico palazzo, poi il monastero Maha Aungnye Bozan, una grande struttura in mattoni e stucco: tali materiali lo hanno preservato per molti secoli dalle intemperie, dai terremoti e soprattutto dal fuoco. Tocchiamo infine la terza città antica: Sagaing, abitata attualmente solo da monaci e monache. La collinetta dove sorge la cittadina è occupata da circa 500 stupa e altrettanti monasteri che ospitano mediamente seimila religiosi. È qui che si recano i credenti buddhisti nei momenti di difficoltà per avere conforto. Qui sorge il gioiello l’Umin Thounzeh, un tempio che ospita 45 statue di Buddha disposte lungo un colonnato a forma di mezzaluna. Riattraversato l’Ayerwady, torniamo a Amarapura per godere dell’U Bein’s bridge, un ponte in legno di tek lungo 1200 metri che attraversa il lago Taungthaman. Vi è un via vai di persone che transitano nelle due direzioni. Tra di essi spiccano i monaci, nelle vivaci tuniche arancioni. In attesa del tramonto lo percorriamo e scendiamo su di un isolotto sabbioso per scattare foto ai pescatori immersi nelle acque del lago fino alle ascelle! Con un battello raggiungiamo Mingun, piccolo villaggio che sorge sulla riva opposta dell’Ayerwady. Qui visitiamo la Mingun Paya che avrebbe dovuto essere la più grande pagoda del Myanmar, ma a causa della prematura morte del re Bodawpaya, che ne Estate 2014 aveva ordinato la costruzione, rimase incompiuta. Oggi praticamente è una immensa pila di mattoni che misura 72 metri per lato. Una grossa crepa, causata dal terremoto del 1838, taglia in due una facciata dell’imponente struttura. In questo villaggio ci sbalordisce la Mingun Bell, un’enorme campana del peso di 90 tonnellate: alta circa 4 metri e con diametro alla base che supera i 5 metri è la seconda campana più grande al mondo. Chi si trova all’interno, viene scioccato dal potente suono prodotto da un suo rintocco! Da vedere è la circolare Hsinbyume Paya, stupa dalla forma insolita: attorniata da sette terrazze bianche concentriche che rappresentano le catene montuose che circondano il monte Meru (la montagna che si erge al centro dell’universo secondo la cosmologia buddhista). Sulla sommità sono collocati alcuni Buddha seduti uno dietro l’altro in ordine decrescente di altezza. LE MONTAGNE DIVERTENTI Riattraversato il fiume, andiamo a visitare la Kuthodaw Paya, definita il libro più grande del mondo. Infatti è attorniata da 729 lastre di marmo (ognuna custodita in un piccolo stupa) su cui sono trascritti i 15 libri che compongono i Tripitaka (scritture buddhiste classiche). Leggendo per 8 ore al dì, una persona impiegherebbe 450 giorni per scorrerle tutte! Navigando sul fiume Ayerwady, verso sud, raggiungiamo Bagan, patrimonio dell’Unesco, il posto più grandioso del Myanmar e sicuramente il più visitato. In circa 230 anni sono stati eretti oltre 4400 templi sulla vasta pianura. A causa dei terremoti, degli agenti atmosferici e delle distruttive invasioni mongole, ad oggi ne restano in piedi circa 2200 di cui alcuni in ottime condizioni e altri in attesa di restauro. Presso un laboratorio artigianale assistiamo alla lavorazione della lacca, un tipico prodotto birmano. Ricavata della linfa nera della pianta omonima, viene utilizzata per ricoprire oggetti di legno e ceramica. Nell’arco di sei mesi essi vengono immersi diciotto volte in bagni di lacca fino ad ottenere un determinato spessore che verrà successivamente inciso e decorato con vari colori. Con un altro volo giungiamo a Ngapali Beach, un piccolo villaggio sulla riva del mare delle Andamane, dove trascorriamo gli ultimi quattro giorni in oriente. Alcuni sostengono che il nome del villaggio derivi dalla città di Napoli, anche se con la città italiana non ha niente a che vedere tranne il fatto di sorgere in riva al mare. Una spiaggia bianchissima dove passeggiare, un mare limpido e caldo dove tuffarsi e fare snorkeling e soprattutto un'ottima cucina a base di pesce ci permettono di rilassarci e riacquistare energia dopo aver passato oltre due settimane alla scoperta di questo fantastico paese! Myanmar 125 Rubriche Vipere tra leggende e realtà testi e foto Matteo Di Nicola Vipera delle Alpi (Vipera aspis atra). Esemplare melanotico (quasi completamente nero) incontrato in Piemonte nel luglio 2011. 126 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Vipere 127 Rubriche Fauna L e vipere appartengono alla famiglia dei viperidi, serpenti dotati di ghiandola velenifera ben sviluppata che conferisce alla testa una peculiare forma allargata e spesso triangolare. Diffusi in America, Africa ed Eurasia, hanno dimensioni che variano da poche decine di centimetri fino ad oltre tre metri. Ogni specie presenta notevoli differenze: qui saranno considerati solo i tratti di quelle presenti sul nostro territorio, accomunate da dimensioni modeste (con lunghezze medie tra i 40 e i 90 centimetri) e da un comportamento schivo ed elusivo. In ogni caso un trattato zoologico sulle vipere non è lo scopo di questo articolo, per cui proverò a parlare di qualche caratteristica in un modo alternativo, partendo da alcune dicerie della gente del posto, che non manco mai di interrogare durante le uscite erpetologiche fingendomi un turista incuriosito e chiedendo quali serpenti vedano nelle loro aree e cosa ne pensino. Occhio al sentiero, è pieno di vipere! Quanti di voi avranno sentito o esclamato questa frase durante un’escursione? Nei rifugi non è poi raro trovare cartelli di attenzione, che illustrano come distinguere i serpenti velenosi dagli altri e cosa fare in caso di morso. Ma prima: perché parlo di vipere? Perché dedico ore e centinaia di chilometri per cercarle, osservarne i comportamenti e fotografarle, se sono creature viscide e pericolose da tenere lontano o da “badilare” a tutti i costi? Inizio chiarendo che i serpenti non sono viscidi, la loro pelle non è né umida né molle. Qualcuno, purtroppo, potrà constatarlo sfiorando la propria borsa o cintura di pitone. Per rispondere al resto, ritengo doverosa una premessa: l’uomo teme ciò che non conosce e di cui non ha il pieno controllo, l’imprevedibilità fa paura. Le molteplici fobie riguardanti le vipere derivano infatti da una pessima conoscenza di tali soggetti, etichettati negativamente a priori, anche per retaggio di obsoleti pensieri del cristianesimo in cui i serpenti erano considerati creature del male. A causa di questo, i loro aspetti positivi rimangono troppo spesso inconsiderati. “Le vipere si aggirano nei pascoli alpini per bere il latte dalle mammelle del bestiame; se entra una vipera in una cantina e la si vuole catturare bisogna usare il latte come esca”: le nostre vipere colonizzano una grande varietà di ambienti, comprese pietraie, praterie e pascoli alpini, dove la mancanza di copertura arborea agevola l’esposizione al sole per la termoregolazione (sono animali ectotermi, obbligati a regolare la temperatura corporea tramite quella ambientale). Possono quindi trovarsi in aree battute da bovini ed ovini, ma non per bere il loro latte: le vipere si nutrono esclusivamente di piccoli animali, quali roditori, anfibi, rettili, uccelli o anche invertebrati, che cacciano attivamente. Per lo stesso motivo l’esca a base di latte sarebbe del tutto inutile. U no dei motivi che mi spingono a parlare di questi animali, importanti per la biodiversità del fragile ecosistema alpino, è dunque il desiderio di farli conoscere anche a chi non è del settore, così da evitare che continuino ad essere oggetto di persecuzioni ingiustificate e da rendere più serene le escursioni. Ad appassionarmi dei serpenti sono la sinuosità delle forme, il potere catturante dello sguardo, il portamento fiero, i pochi movimenti volti a non sprecare energia e la diversità delle livree, quasi fossero impronte digitali. Caratteristiche che spero di riuscire a comunicare anche tramite la fotografia, che sa restituire con immediatezza sfumature inesprimibili con le parole. Alla base della paura per i serpenti c’è una mancanza di conoscenza: innanzitutto, essendo gli ofidi rari e fugaci, poche persone li hanno visti accuratamente dal vivo e ancora meno hanno potuto osservare il loro comportamento in natura. Inoltre, le nozioni di erpetologia (così si chiama la scienza che studia i rettili) sono escluse dai normali programmi didattici, già deficitari di nozioni di conservazione naturale in genere. Così la gente si basa su vecchie quanto assurde leggende diffuse in ogni regione, con curiose varianti a seconda delle interpretazioni locali: stranezze per le quali un minimo di nozioni di ecologia basterebbe a smascherarne l’infondatezza. 128 LE MONTAGNE DIVERTENTI Visione d'insieme delle diverse livree delle 6 specie/sottospecie di vipere italiane. A sinistra, dall'alto verso il basso: - vipera delle Alpi (Vipera aspis atra): ascritta da recenti studi alla sottospecie nominale (V. aspis aspis), è la vipera che raggiunge le altitudini maggiori (fino ad oltre m 2000) dove non è presente il marasso. Vive nel nord-ovest dell'Italia ed è frequente in diversi ambienti alpini tra cui pietraie e pascoli; - vipera di Redi (Vipera aspis francisciredi); - vipera del Meridione (Vipera aspis hugyi): endemismo del Sud Italia, questa specie è presente in Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia ma anche sull'isola di Montecristo, dove sembra esser stata introdotta in tempi passati. Estate 2014 A destra, dall'alto verso il basso: - vipera dal corno (Vipera ammodytes): subito riconoscibile per la presenza del caratteristico corno, è una delle specie più affascinanti e di dimensioni maggiori. È presente principalmente nel settore alpino e pre-alpino del Friuli Venezia Giulia, ma anche in Alto Adige e nel settore settentrionale Veneto; - marasso (Vipera berus): legato agli ambienti montanti, il marasso è la specie che raggiunge le altitudini maggiori (fino a m 3000); - vipera dell'Orsini (Vipera ursinii): con una lunghezza media di 30-40 centimetri è la più piccola delle vipere italiane. La sua dieta include invertebrati come insetti ortotteri. Vive in praterie montane di ambienti calcarei del centro Italia fino oltre i m 2300. LE MONTAGNE DIVERTENTI “Se una vipera si abbevera in un ruscello ne avvelena l’acqua”: Utilizzato per uccidere le prede (coadiuvandone la digestione grazie a specifici enzimi) ed eventualmente per difesa, il veleno è una miscela complessa, prodotta da una ghiandola specializzata, che varia per composizione e quantità a seconda della specie. In generale contiene numerose sostanze tra cui acqua, ioni metallici e non, amminoacidi, proteine enzimatiche come fosfolipasi, esterasi, proteasi ed enzimi di tipo trombinico. Gli effetti causati sono sostanzialmente emotossici, neurotossici, citotossici e cardiotossici. L’inoculazione, permessa da una apposita muscolatura, avviene tramite zanne mobili canalicolate che all’apertura della bocca possono disporsi a 90 gradi rispetto alla mascella, mentre Vipere 129 Rubriche Fauna alla chiusura si ripiegano contro il palato. Questo avviene secondo la volontà dell’animale, che può anche aprire la bocca mantenendo le zanne ripiegate. Considerato che la fuoriuscita del veleno è controllata, che la sua produzione comporta un ingente sforzo metabolico e che la sua quantità è ridotta a pochi milligrammi, quale vantaggio avrebbe l’animale a rilasciare veleno in acqua e, inoltre, che quantità servirebbero per avvelenare un intero bacino? “Le vipere partoriscono sugli alberi in modo che i piccoli cadano al suolo senza mordere fatalmente la madre” Il genere Vipera è esclusivamente viviparo: la madre genera piccoli già formati e con veleno attivo, in quanto dovranno da subito provvedere a procurarsi le prede. Sebbene sia possibile scorgere individui tra i rami della vegetazione, l’arrampicarsi non è certo una peculiarità delle vipere. La loro vita si svolge prettamente al suolo, così come i parti, ed i piccoli non hanno certo l’istinto di mordere la madre dal nulla: come prima spiegato, il veleno ha precise funzioni tra cui non compare quella di offendere casualmente. VIPERA COLUBRIDE “Le vipere nere sono le più velenose” L’eccesso di pigmentazione scura nella pelle è un fenomeno ricorrente in alcuni individui (definiti melanici), per cui risulta migliore la termoregolazione negli ambienti freddi. Non sono invece note differenze nell’azione del veleno rispetto a individui più chiari. “La velenosità di un serpente si riconosce dalla pupilla verticale” Rimanendo in territorio nazionale, è un’affermazione parzialmente vera. Le vipere hanno pupille ellittiche verticali, gli altri ofidi italiani, tutti colubridi, le hanno circolari (ad eccezione del telescopo, timida specie presente solo vicino Trieste). In Italia oltre alle vipere c’è il colubro lacertino, che, sebbene confinato alla Liguria occidentale e non particolarmente pericoloso, è dotato di veleno. Nel mondo sono però molti i serpenti velenosi con pupilla circolare: è bene quindi adottare tale regola solo vicino a casa. Sempre in ambito italiano, le vipere si distinguono dai colubridi in base a: - testa a forma triangolare con squame più piccole e numerose sul capo; - corpo generalmente più corto e tozzo e presenza di squame carenate (condivise anche da alcuni colubridi quali natrici e cervone). 130 LE MONTAGNE DIVERTENTI Principali differenze morfologiche tra una vipera (a sx) ed un colubride (a dx). - forma e proporzioni del corpo; - forma della testa e della pupilla; Estate 2014 - forma e numero di squame sul capo; superficie delle squame del tronco (alcuni colubridi, come Natrix ssp. ed Elaphe quatuorlineata presentano anch'essi squame carenate). LE MONTAGNE DIVERTENTI “Le vipere vengono lanciate nei boschi dagli elicotteri dei guardaparco al fine di ripopolamento” Se le altre leggende variano molto da luogo a luogo, quella degli elicotteri è invece citata da tutti. Pochi sono gli angoli dove non sia conosciuto il misterioso fenomeno e non manca chi è talmente suggestionato da affermare di aver assistito con i propri occhi. Assumendo che ci siano ripopolamenti di vipere in una data zona, fatico a comprendere perché dovrebbero avvenire usando un elicottero, mezzo ben visibile e rumoroso (c’è chi afferma sia usato per tenere nascosto l’evento), ma soprattutto costosissimo, cadendo dal quale gli animali si danneggerebbero nello schianto al suolo o comunque, in caso di discesa lenta mediante ingegnose casse paracadutate (in molti ne testimoniano l’utilizzo) non ci sarebbe la benché minima precisione di posizionamento: non sarebbe meglio un’azione da terra? Tenendo poi conto che in ogni angolo d’Italia si afferma la presenza di rilasci dai velivoli, il dispendio economico sarebbe superiore a qualsiasi altra attività mai svolta dallo Stato! Un po’ esagerato, no? Ironia a parte, allevare rettili è un’operazione che richiede tempo e denaro e i ripopolamenti di animali non sono sempre facili da realizzare per problematiche sia economiche che ecologiche (ad esempio l’adattamento degli individui ai nuovi territori nonché l’inquinamento genetico delle popolazioni). Potrei continuare ad elencare leggende per pagine, ma concludo con quella legata all’inizio dell’articolo: esistono davvero sentieri “pieni di vipere” dove sia pericoloso transitare? Le popolazioni italiane di Vipera sono minacciate di diminuzione dall’alterazione antropica degli habitat nonché dalle persecuzioni dirette. Non è facile incontrare sistematicamente questi serpenti se non si sa come cercarli e, sebbene esistano aree dove effettivamente lo status di popolazione non sia carente, le zone sovrabbondanti risiedono solo nella mente di chi, avendone viste alcune nell’arco di anni, è rimasto così suggestionato da interpretare l’accaduto in maniera decisamente sovrastimata. Incontrare una vipera non dev’essere considerata una tragedia, bensì un evento fortunato dove provare, magari, a scattare una fotografia rimanendo a debita distanza. Certo, se vengono messe alle strette o molestate provano a difendersi mordendo, altrimenti preferiscono il mimetismo o la fuga nel primo nascondiglio disponibile. Camminare con scarponi da montagna sarà sufficiente a scongiurare il pericolo di morsi accidentali. Comunque, nel Vipere 131 Rubriche Fauna malaugurato caso di morso (le fatalità possono accadere soprattutto se si espongono gli arti nudi ad anfratti o zone con erba alta senza prima guardare) è necessario rimanere tranquilli, tenendo fermo l’arto interessato e chiamare i soccorsi. La consapevolezza che in un soggetto sano adulto gli effetti del veleno siano trattabili anche dopo diverse ore deve aiutare a non farsi prendere dal panico. L'Italia vanta la presenza di quattro diverse specie di vipera: • l’aspide comune (Vipera aspis), presente su tutto il territorio ad eccezione della Sardegna; • il marasso (Vipera berus) diffuso sulle Alpi centrali e orientali; • la vipera dal corno (Vipera ammodytes) del Friuli Venezia Giulia e di alcune aree di Veneto e Alto Adige; • la vipera dell’Orsini (Vipera ursinii) caratteristica di Abruzzo, Marche, Umbria e Lazio. Per quanto riguarda l’aspide comune, sono presenti 3 sottospecie: vipera delle Alpi (Vipera aspis atra, recentemente ascritta alla sottospecie Vipera aspis aspis) nell’Italia nordoccidentale; vipera di Redi (Vipera aspis francisciredi) nel resto della penisola eccetto Calabria e Sicilia; vipera del meridione (Vipera aspis hugyi) in Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. Sebbene ad un occhio poco allenato questi animali possano apparire abbastanza simili per atteggiamento, forma generale, dimensioni e colorazione (apparentemente) poco appariscente, i caratteri distintivi sono diversi, comprendenti ecologia, etologia e morfologia. Le differenze non vi sono solo tra specie/sottospecie bensì anche tra individui. Ogni esemplare non è mai uguale ad un altro: le tonalità cromatiche e il motivo dell’ornamentazione sono sempre variabili, più o meno evidentemente. Questa mutevolezza mi affascina ed è uno dei motivi che mi porta a insistere nella ricerca di stesse specie anche dopo aver osservato decine e decine di esemplari. Per ulteriori curiosità o per identificazioni scrivetemi all’indirizzo [email protected] 132 LE MONTAGNE DIVERTENTI FEMMINA MASCHIO Vipera delle Alpi (Vipera aspis atra) fotografata nella Lombardia nordorientale nel settembre 2013. Ascritta da recenti studi alla sottospecie nominale (V. aspis aspis), è la vipera che raggiunge le altitudini maggiori nelle aree del Paese dove non è presente il marasso (fino ad oltre m 2000). Vive nel nord-ovest del paese ed è frequente in diversi ambienti alpini tra cui pietraie e pascoli. Marasso (Vipera berus) ritratto in Lombardia nell'agosto 2013. È il protagonista degli “incontri con una vipera in quota” sull'arco alpino centrale e occidentale. È possibile osservarlo in diversi ambienti tra cui pietraie, pascoli e torbiere, come questo esemplare, fotografato subito dopo un temporale estivo. Il nuovo libro fotografico di Matteo Di Nicola e Marco Colombo. Edito dall' Archivio Fotografico Italiano, stampato con il contributo del Parco Locale di Interesse Sovracomunale Rile-Tenore-Olona e patrocinato dalla Societas Herpetologica Italica (SHI), si tratta del primo libro fotografico dedicato ai rettili e agli anfibi selvatici d’Italia, tutti fotografati nei loro ambienti naturali. Caratteristiche: 28x28 cm, copertina rigida, 112 pagine Editore: Punto Marte Collana: Archivio Fotografico Italiano Costo: 25 euro (spese di spedizione escluse) Per visualizzare un’anteprima online e ordinare consultare il sito: http://paludiesquame.wix.com/paludiesquame oppure inviare una mail a: [email protected] Maschio o femmina? La distinzione del sesso nelle vipere è a volte possibile, con un po' di esperienza, dalla sola osservazione della livrea: generalmente i maschi hanno una colorazione più marcata e disegni più contrastati (foto in basso). Questa caratteristica è però molto variabile (dipendente anche dalla prossimità o meno dalla fase di muta dell'individuo) e non è ad esempio applicabile in presenza di individui melanici o monocromatici. Un metodo più sicuro è l'osservazione della coda: la presenza degli emipeni nei maschi conferisce maggiori spessore e lunghezza nel tratto posteriore alla cloaca (foto in basso). Al contrario nelle femmine la coda si stringe prima ed è più corta (foto in alto). Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Vipere 133 l'ora blu Rubriche L'arte della fotografia «V orrei scattare una foto simile a quelle che avete realizzato in Engadina, con le stelle e con l'ultima luce del tramonto o dell'alba? Ci sono tecniche particolari, come la sovrapposizione di vari scatti, oppure si tratta di un preciso momento? Se fosse così, sapete dirmi quanto tempo è necessario aspettare dopo il calare o prima del sorgere del sole?» risposta a cura dell'agenzia fotografica Clickalps 134 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 L'ora blu mattutina da Soglio guardando verso Cengalo, Badile e Sciore (20 agosto 2013 - ore 4:58, foto Roberto Moiola). LE MONTAGNE DIVERTENTI L'ora blu 135 L'arte della fotografia Rubriche L'ora blu dalle baite Splüga verso il piz da la Margna (20 febbraio 2014 - ore 18:58, foto Roberto Moiola). Per realizzare si è utilizzato ISO 2000 (ormai al limite dell'accettabilità per Canon Mark III se parliamo di qualità analizzata al 100% per scopi di stampe a medio-grandi dimensioni) impostando sullo Zeiss Distagon T*15mm una focale di f/2,8. Scattando 10 minuti prima con ISO 200 e f/8 le stelle erano solamente accennate. D a alcuni anni la notte ci affascina sempre più. Il tutto grazie alle strabilianti fotografie che molti "mannari della reflex" propongono giornalmente sui social network. Sono molteplici le interpretazioni della notte: si va dalle classiche immagini in assenza di luna, alla ormai inflazionata via lattea, alle artistiche scie di stelle meglio conosciute come "startrail", sino ai più flebili incontri tra la notte e il dì. Proprio questo ultimo caso è quello che stuzzica la mia sensibilità per il bello ed è l'istante che per me restituisce le immagini più veritiere, con la presenza di colori più affascinanti se si vuole trasmettere la magia della fotografia notturna. Se l'inverno è la stagione migliore per questo genere di immagini, soprattutto in montagna con la presenza di un candido lenzuolo di neve fresca, anche le altre stagioni si prestano bene, specialmente perché non costringono a lotte 136 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI contro il freddo pungente. I momenti più adatti della giornata sono quello che segue il tramonto e che precede il buio più cupo, oppure quello che anticipa l'alba appena prima che rischiari il cielo. Queste due situazioni sono note in fotografia come l'ora blu. Nel corso del mese vi è una settimana che meglio delle altre va sfruttata per realizzare certe cartoline al tramonto: la prima di luna calante. Una discorso analogo vale per l'alba e la settimana che precede il plenilunio. Occorre essere pronti allo scatto sin dal momento del tramonto o ben prima dell'alba. Una volta decisa la postazione e la composizione, non resta che scattare a circa un'ora dal momento in cui l'ultima/la prima luce accarezza le cime. Saremo allora pronti ad immortalare una situazione molto simile a quella che vedete in queste fotografie. La presenza o meno della luna è un fattore che determina emozionalmente lo scatto, ma condiziona pure la scelta dell'esposizione. L'assenza della luna impone via via, col passare dei minuti, l'utilizzo di ISO sempre più spinti a focali totalmente aperte. La direzione migliore per realizzare uno scatto dai colori vividi la si ha guardando verso sud-ovest al tramonto: a ovest l'attenzione è catturata dall'ultimo bagliore della luce che si nasconde ormai all'orizzonte, verso sud sarà la comparsa delle stelle a dare importanza alla scatto. Analoghe considerazioni portano ad inquadrare a sud-est all'alba. Possiamo infine programmare lo scatto già da casa, affidandoci a strumenti come Google Earth o TPE. Tanto per capirci: posizionandosi virtualmente in una data località si riesce a simulare sia la visuale che la direzione della luce del sole e della luna. L'ora blu 137 Poesie Alba al Pian Dei Cavalli Ascolta... E' cessato, improvviso, il respiro del vento. Ogni stelo si copre di fresca rugiada, e già il lago si tinge dei colori del cielo. Poi un raggio di sole ti trafigge il cuore, mentre l'acqua si vela di argentea purezza. E sei vivo di luce. Sei dorato silenzio. Sei un'aquila in volo, che maestosa si libra nel sereno splendore di quell'alba infinita. Lorenza Falcinella Il lago Bianco al Pian dei Cavalli (11 agosto 2009, foto Enrico Minotti). LE MONTAGNE DIVERTENTI Poesie 139 IL MIGLIOR FOTOGRAFO LE FOTO DEI LETTORI Rubriche Val di Mello (19 giugno 2013, foto Paolo Sertorelli). Recensione (a cura di Beno) Il fotografo - Paolo Sertorelli Chi apprezza il profumo del maggiociondolo, del muschio sul granito e sui tronchi dei faggi, la carezza delle felci, lo scrosciare e i freschi schizzi delle acque del torrente non può che diventare un appassionato frequentatore della val di Mello dove tutti questi elementi giocano con l'escursionista che d'estate ne percorre i sentieri. Questa immagine di Paolo immerge nello scenario della valle a tal punto da risvegliare pure tatto, olfatto e udito, quasi a voler smentire che la fotografia è solo arte visiva. La resa "naturale" dipende innanzitutto dal tempo di esposizione scelto, che riproduce lo scrosciare dell'acqua in modo del tutto simile alla vista umana. Inoltre le linee prospettiche date da torrente e muretti vanno tutte a spegnersi nella folta vegetazione e riportano velocemente l'attenzione sulla cornice costituita da una visione parziale di maggiociondolo in fiore, muretto di sassi e faggio. Ciò restituisce all'osservatore l'illusione di trovarsi all'interno dell'immagine. Ardennese, classe 1982, mi avvicino alla fotografia in maniera puramente casuale. Il furto della mia Bianchi “Nirone” sancisce la fine della mia “carriera” ciclistica, un volantino pubblicitario trovato nella buca delle lettere mi catapulta nel magico mondo della fotografia digitale … parte così nel 2012 l’acquisto della mia prima reflex. Apprendo i rudimenti grazie a mille letture, mi appassiono sempre di più a tutto ciò che è riconducibile alla fotografia (corpi macchina, obiettivi, tecniche fotografiche, software per la post produzione) e decido di compiere il grande salto acquistando la mia attuale compagna di avventure: una reflex full frame che mi sta dando molte soddisfazioni. Gli scatti che prediligo sono quelli a diretto contatto con la natura: un debole per i laghetti alpini, una certa attrazione per la foto di strada, curiosità per la macro fotografia e una sorta di avversione per i ritratti, forse perché ho sempre detestato essere fotografato! www.juzaphoto.com/p/PaoloSertorelli Fotocamera Lunghezza focale Tempo di esposizione Apertura del diaframma ISO Canon 550D 55mm 1/90 s f. 5.6 160 MANDA LE TUE FOTOGRAFIE Due sezioni dedicate ai nostri lettori: · una che premia il fotografo più bravo tra quelli che invieranno, con oggetto "miglior fotografo", i loro scatti inerenti i monti di Valtellina e Valchiavenna all'indirizzo email [email protected]. Una delle sue foto verrà pubblicata con recensione e scheda di presentazione del fotografo. Premio: abbonamento annuale alla rivista. · una che mostra chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo; le foto vanno inviate all'indirizzo email [email protected] e devono avere un soggetto umano, la rivista (o un oggetto personalizzato LMD, come il retro della nuova mappa della Valmalenco) e uno scorcio del luogo. 140 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 Valchiavenna - Laura, tra montagne divertenti e montagne di neve all'alpe Lendine (7 marzo 2014). Turchia - Un saluto e un ricordo da Luciano, Annamaria, Adele e Alex da Istanbul (20 aprile 2014). LE MONTAGNE DIVERTENTI Messico - Carlo e Alessandra portano "Le montagne divertenti" in vacanza oltreoceano (23 gennaio 2014). Le foto dei lettori 141 LE FOTO DEI LETTORI Rubriche Valchiavenna - Dopo tre ore di ciaspolata, io e la rivista siamo all'alpe Lendine (9 marzo 2014). Le foto dei lettori Sondrio - II A e II B dell'istituto tecnico Geometri studiano "Le Montagne Divertenti" (28 marzo 2014). Lapponia e isole Mauritius - Dal gelido e bianco Nord al tepore tropicale, Denny e Elena in viaggio di nozze (20 gennaio e 1 febbraio 2014). 142 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 Isola di Salina - I šc'iupàt (26 settembre 2013). Isole Eolie - Di notte in coppa u' Stromboli aspettandone il rutto lavico (27 settembre 2013). Valmalenco - Paolo, Giorgio e Mauro giungono in vetta al pizzo Bernina (m 4049) dalla cresta nord, la celebre Biancograt (27 luglio 2013). Siria - Speriamo che la pace torni presto a far vivere questa terra e con essa tutti gli altri paesi soffocati dall'odio e dalla violenza (Palmira - 9 novembre 2008). LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori 143 LE FOTO DEI LETTORI Rubriche Le foto dei lettori Capo Nord - Alessandro e Giulia baciati dal sole di mezzanotte a Nordkapp nel loro viaggio di nozze (27 giugno 2013). Lapponia - Valtellina, Valchiavenna, Ticino, Milano e Modena confluiscono nella terra di Babbo Natale a Yllas (14 marzo 2014). Valmalenco - Franca Bertoli e "Le Montagne Divertenti" all'alpe Campagneda (2 marzo 2014). Valmalenco - Giorgio e un'allegra combricola di amici brindano per "Le Montagne Divertenti" al rifugio Ca' Runcasch di Campagneda (30 marzo 2014). Valchiavenna - Pascal in val Bodengo presso la sosta Pincée (25 luglio 2013). Sudafrica - Luca e Marta presso il Blyde River Canyon (14 gennaio 2014). Roma - Marta, Flavia e Renata in piazza Sant'Uffizio con le guardie svizzere in occasione della consegna della statua "Modonna che scioglie i nodi" a Papa Francesco (aprile 2014). Spagna - Simone e i suoi compagni di 5aC dell'ITIS Enea Mattei di Sondrio in Alta Valtellina - Tipi "very in" sulla vetta del Gran Zebrù: Cagnin, Sgabelin, Lurenzin, Giacumin e Catelin (6 aprile 2014). gita a Barcellona , qui in Plaza de Catalunya. (3 aprile 2014). 144 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Trentino - Chicca, Jacopo e combricola in cima al sass Pordoi (23 febbraio 2014). Le foto dei lettori 145 LE FOTO DEI LETTORI Rubriche Como - Riccardo, Lorenzo, Mattia e Pietro a tutto divertimento in falesia a Carate Urio (12 aprile 2014). Le foto dei lettori Mazzo di Valtellina - La piccola Ginevra in un momento di relax, mentre si dedica a una precoce quanto curiosa "lettura" del nostro giornale. Alto Lario - Luciano Bruseghini e l'Otzi Team sul monte Bregagno (12 gennaio 2014). Indonesia - Luciano porta la rivista a visitare la stazione elettrica di Cikampek (8 marzo 2014). Indonesia - Alexander e Luca Guder portano una ventata di montagne sull'isola di Gili Meno (6 gennaio 2014). Valfurva - Rifugio Pizzini - I collaboratori de "Le Montagne Divertenti" sono proprio strani! Alpi Graie - Nardo insieme al CAI di Tirano sulla vetta del Gran Paradiso (30 marzo 2014). (8 marzo 2014). Ischia - Alessandro, Maria Clorinda, Dorotea e Silvio a Sant'Angelo (6 aprile 2014). 146 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 Verona - Il gruppo allevatori "Bruna" in occasione della mostra internazionale della razza bruna. Special guest: "Le Montagne Divertenti", naturalmente! (9 febbraio 2014). Valmalenco - Alberto, Martina e Lella in cima al pizzo Scalino, m 3323 (16 aprile 2014). Le foto dei lettori 147 LE FOTO DEI LETTORI Rubriche Bosnia Erzegovina - Luciano insieme al CAI di Valfurva sulle spettacolari montagne bosniache (17 marzo 2014). Le foto dei lettori Stazione di Milazzo - Nicola e Luigi di Trekking Italia (28 settembre 2013). Sardegna - "Country for fun" in Sardegna (31 agosto 2013). Cile - Giovanna, Silvana, Germano e Nello del CAI Valmalenco alle torri del Paine (20 gennaio 2014). 148 LE MONTAGNE DIVERTENTI Sondrio - Eleonora e Dona presso il centro per autistici della città (29 marzo 2014). Estate 2014 Chiesa in Valmalenco - Due investigatori speciali, Michele e Valerio Schenatti, hanno scovato l'auto de "Le Montagne Divertenti" (23 dicembre 2013). Islanda - Un caldo saluto da Cristina, Bruno, Loredana, Andrea, Angela, Giovanni, Francesca, Alberto e Giuseppe nella fantastica "terra del ghiaccio" (24 agosto 2013). Austria - Erika e Georg presentano la biblioteca monastica più grande d'Europa, ad Ammont; Lucia e Roberto ricambiano diffondendo "Le Montagne Divertenti" oltre confine (agosto 2012). Valmalenco - Eliana e Nemo Canetta con l'amica Larissa e Beppe Dell'Andrino al rifugio Palù, finalmente riaperto (13 gennaio 2014). Engadina - Paolo, Simona, Mario, Tita riposano dopo la ciaspolata (29 marzo 2014). LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori 149 Rubriche soluzioni del n.28 Vincitori e vinti Sondrio: Carnevale 1898 La foto d'epoca (archivio Maurizio Cittarini) è stata scattata dalla finestra della terrazza della stazione ferroviaria di Sondrio e guarda verso gli stabili sulla destra (E) di piazzale Bertacchi. La vincitrice è: Marina Berti in quanto abbiamo deciso di premiare la risposta migliore e più precisa tra quelle pervenute nei tempi regolamentari. Ha inoltre indovinato: Paola Civati. In basso: foto comparativa realizzata da Matteo Gianatti il 23 aprile 2014 dal terrazzo della stazione. impianti elettrici civili, industriali e automazioni Pedruzzi Roberto via Roma 13/b 23010 Albosaggia • impianti elettrici, TV sat, allarmi • automazione cancelli con adattamenti alla struttura • vendita e installazione porte per garage a tt fi o pr ap le el d ni o i z ra et d li ca s fi tel. 348.49.62.006 - [email protected] - www.pedruzzimpianti.it 150 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori 151 soluzioni del n.28 Vincitori e Giochi vinti Che scimma l'è? El ciüsè olt La cima più alta visibile in questa immagine, scattata dalla ciana di Cavai a Montagna in Valtellina il 6 febbraio 2014, è il pizzo Alto (m 2512). In primo piano è il nostro collaboratore Giovanni Rovedatti che il 18 maggio 2014 ha concluso una lunga avventura durata 27 anni e che lo ha portato a salire tutti gli 82 quattromila delle Alpi. I vincitori del concorso sono: 1 - Daniele Fornera 2 - Fabio Fanoni 3 - Pippo Questa 4 - Luca Gottifredi 5 - Simone Nonini Hanno inoltre indovinato: Sergio Proh, Francesco Fanchetti, Carlo Busnelli, Francesca Manni, Annamaria Grossi, Roberta Baldini, Bruna Fiorina, Daniele Corazza, Matteo Corazza, Cristiano Vaninetti, Leonardo Gianola, Rosa, Mauro Duca e Bruno Ferrari. In anticipo o in ritardo hanno indovinato anche: Albina, Mathias, Giulia Pedroli e Antonietta Parolo. Ma ch'el? Ma ch'el? Cos'è e a cosa serve? Il 2 più veloci dalle ore 21:00 del 3 luglio 2014 riceveranno uno zaino tecnico della Skitrab personalizzato Le Montagne Divertenti. Il 3° classificato avrà un abbonamento annuale a Le Montagne Divertenti, il 4° e il 5° la nuova maglietta personalizzata LMD e L'oggetto è un contenitore in pietra ollare (lavéc ' o furàgn o ùla) utilizzato per conservare burro cotto, lardo, cunsc, ecc. I vincitori sono: 1 - Fabio Pedroli 2 - Antonietta Parolo 3 - Ivan Andreoli 4 - Sergio Proh 5 - Simone Nonini un puzzle fotografico. Scrivi la tua risposta su www.lemontagnedivertenti.com/concorsi/ Hanno inoltre indovinato: Luca Gottifredi, Morena, Giulia Pedroli, Valeria Della Vedova, Gabriele Nana, Martino Taloni, Angelo, Veronica, Doris Varisto, Mario Del Marco, Paolo Gorla, Alepiani, Marco Fanchetti, Pippo, Angela. abbiamo posticipato le date dei concorsi per permettere agli abbonati vittime dei disservizi postali di partecipare ai giochi. ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE In anticipo o in ritardo ha indovinato anche: Mauro. 152 LE MONTAGNE DIVERTENTI volta vi frego tutti! Vediamo se indovinate che cima è quella innevata sullo sfondo. Come aiutino vi dico che è una foto fatta a fine aprile 2014. I 2 più veloci dalle ore 21:00 del 5 luglio 2014 riceveranno uno zaino tecnico della Skitrab personalizzato Le Montagne Divertenti. Il 3° classificato avrà un abbonamento annuale a Le Montagne Divertenti, il 4° e il 5° la nuova maglietta personalizzata LMD e un puzzle fotografico. Scrivi la tua risposta su www.lemontagnedivertenti.com/concorsi/ Estate 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Giochi 153 Rubriche LE RICETTE DELLA NONNA Le virtù del timo Beno Il timo è una pianta perenne molto frequente nella provincia di Sondrio, dove può essere trovata dal fondovalle fino a duemila metri, specialmente in luoghi asciutti e soleggiati. Forma dei cespugli piuttosto compatti; le foglie sono piccoline e verdi-argentate. Ciò che è inconfondibile è il suo profumo, gradevole e balsamico, che generalmente aumenta di intensità con la quota a cui lo si coglie. I suoi utilizzi sono svariati. C'è chi ne usa le foglioline per aromatizzare le carni, chi ne raccoglie le infiorescenze rosa per farci un tè molto rilassante. Per gli antichi Egizi il timo era una sostanza fondamentale nel processo di imbalsamazione. Io, non potendo imbalsamare nessuno, ho sperimentato la sua azione disinfettante applicandone il decotto su una brutta ferita, che così si è velocemente rimarginata senza infezioni. Il timo è anche efficace contro tosse e catarro, oltre che per le infezioni delle vie urinarie. Tè al timo • sommità di timo fiorite, secche o fresche Trovandosi il timo a quote molto differenti, si possono cogliere i fiori da inizio maggio nel fondovalle, ad agosto in alta montagna. Con sommità fiorite si intendono i fiori con 5-6 cm di gambo e foglie. Per conservare il timo, va fatto seccare in un luogo asciutto e areato distendendolo su un panno o su un foglio di carta, preferibilmente non al sole. Per preparare il tè, appena l'acqua raggiunge il bollore, vi si buttano i fiori, la si toglie dal fuoco e si coperchia la pentola. Il tè vien pronto dopo circa 5 minuti di infusione. Il suo sapore è delicato così come il colore. È una bevanda molto rilassante e gradevole. Liquore al timo • • • • • • 30 g di sommità fiorite fresche 3 g di lavanda (opzionale) 3 g di corteccia di cannella 550 g di zucchero 250 ml di alcol 600 ml di acqua Si mette il timo a macerare nell'alcol per 10 giorni. Si scioglie lo zucchero nell'acqua e si unisce la soluzione al macerato. Dopo 24 ore si passa con dei filtri di carta e si imbottiglia. Il liquore va fatto riposare per almeno 3 mesi prima di consumarlo. Ha un colore verdognolo e un profumo intenso. È ottimo digestivo, ma anche consigliato in piccole dosi per liberarsi dal raffreddore. 154 LE MONTAGNE DIVERTENTI Timo a varie quote, in vari stadi vegetativi (22 maggio 2014, foto Beno). Estate 2014 L'uomo moderno quando non fa le cose in fretta crede di perdere qualcosa - il tempo; eppure non sa che cosa fare del tempo che guadagna, tranne che ammazzarlo. Erich Fromm (1900-1980), sociologo LE MONTAGNE DIVERTENTI 157
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