n. 29 - Estate 2014 - Le montagne divertenti

Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna
T rimestrale
di
A lpinismo
e
C ultura A lpina
e
v
r
i
D tenti
N°29 - ESTATE 2014 - EURO 5
Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio
Vetta di Ron
Due vie per una delle
regine delle Retiche
centrali.
Roccia
Val di Mello:
arrampicata in aderenza
Speciale clima
2013-14: inverno da
record
Morbegno
Ciapponi, dal 1883
Personaggi
Antonio Cederna
(1841-1920)
Valchiavenna
I pizzi del Torto
Alta Valtellina
A Dombastone o ai
Passi dello Zebrù?
Val Tartano
L'angelo delle Cadelle
Valmalenco
Alta Via: presentazione,
storia e 1a tappa
Valtellinesi nel
Mondo
Viaggio in Myanmar
Natura
Vipere, tra leggende e
realtà
L'arte
della fotografia
L'ora blu
Inoltre
Ricette, poesie, foto dei
lettori, giochi, libri ...
L'Alta Via della Valmalenco
VALCHIAVENNA
- BASSA VALTELLINA - VAL MÀSINO - ALPI RETICHE E OROBIE - VALMALENCO - ALTA VALTELLINA
1
LE MONTAGNE DIVERTENTI Editoriale
Vi porgiamo il nostro lavoro
con l'augurio di poter vivere
splendide giornate tra la
storia e la natura delle nostre
montagne, in compagnia di
famigliari e amici, liberi dai
congegni multimediali che
costringono l'uomo in un
mondo virtuale di immobilità
fisica e frenesia mentale
che non lascia il tempo di
riflettere.
Editoriale
Beno
Beno
2 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI In copertina: sguardo sul gruppo del Sella - Glüschiant dal lago
delle Forbici, posto nei pressi del passo delle Forbici (m 2660)
sulla V tappa dell'altavia della Valmalenco (25 luglio 2010, foto
Francesco Vaninetti - www.clickalps.com).
Ultima di copertina: il lago degli Andossi e i pizzi dei Piani in
Valchiavenna (20 luglio 2013, foto Roberto Moiola).
Editoriale: il monte Ortles dalle pendici di punta Rosa al passo
dello Stelvio (25 agosto 2010, foto Giacomo Editoriale
Meneghello). 3
O
LE MONTAGNE DIVERTENTI
S
I
peciali
tinerari
d’alpinismo
I
tinerari
d’escursionismo
R
ubriche
Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna
Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369
Editore
Direttore Responsabile
Enrico Benedetti
I
Beno
Redazione
Alessandra Morgillo
Beno
Gioia Zenoni
Roberto Moiola
10
Realizzazione grafica
Revisore di bozze
Mario Pagni
Responsabile della cartografia
Matteo Gianatti
L'alta Via della Valmalenco
La storia e le tappe
54
Versante Retico
Vetta di Ron (m 3136) - via normale
78
Alta Via della Valmalenco
1a tappa: Ciappanico - Bosio
114
Valtellinesi nel mondo
Myanmar
126
Natura
Vipere
R
Beno
Andrea Mihaiu, Andrea Sem, Antonio Boscacci e Luisa
Angelici, Bruno Mazzoleni, Dicle, Eliana e Nemo Canetta,
Enrico Minotti, Fabio Pusterla, Francesco Vaninetti, Franco
Benetti, Gliavio Casello, Giacomo Meneghello, Giancarlo
Corlatti e Rosita Orsatti, Gianluca Gusmeroli, Gianni De
Stefani, Gioia Zenoni, Giordano Gusmeroli, Giovanni
Rovedatti, Giuseppe Cederna, Kim Sommerschield, Ladina
Negrini, Lorenza Falcinella, Luciano e Mattia Bruseghini,
Matteo Gianatti, Mario Sertori, Mario Pagni, Matteo Di
Nicola, Matteo Tarabini, Maurizio Cittarini, Nicola Giana,
Raffaele Occhi, Roberto Ganassa, Roberto Moiola, Sergio
Scuffi, Stellina, Valentino Bedognetti.
A
Hanno collaborato a questo numero:
20
2013-2014
Inverno da record
60
Versante Retico
Vetta di Ron - via dei Campanili
88
Ciappanico
Intervista
Si ringraziano inoltre
Pubblicità e distribuzione
[email protected]
tel. 0342 380138
Stampa
Bonazzi Grafica -via Francia, 1 -23100 Sondrio
M
Avis Comunale Sondrio, Franco Monteforte, Cesare
Sertore, Luigi Pasini, Amos Gianoli, la Tipografia Bonazzi,
gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e gli
sponsor che credono in noi e in questo progetto... e tutti
quelli che abbiamo dimenticato di citare.
31
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www.lemontagnedivertenti.com
Val di Mello
Arrampicata in aderenza
64
96
68
102
Personaggi
Cesare il pastore e Luigi l'alpinista
Alpi Orobie
Monte Cadelle (m 2483)
134
Fotografia
L'ora blu
Contatti, informazioni e merchandising
Abbonamenti per l’Italia
annuale (4 numeri della rivista):
costo € 22 da versarsi sul
c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio
IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50
intestato a:
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via Panoramica 549/A
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nella causale specificare: nome, cognome,
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in segreteria).
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Numeri esauriti: PDF scaricabili dal sito della rivista
Ciapponi
dal 1883
Valchiavenna
Dal passo di Lendine al pizzo del Torto
Alta Valtellina
Dombastone
140
Le foto dei lettori
151
Giochi
O
fatto il bonifico è necessario
registrare il proprio abbonamento su
Prossimo numero
S
21 settembre 2014
54
Antonio Cederna (1841-1920)
Patriarca dell'alpinismo lombardo
Estate 2014
74
Approfondimenti
L'alpe di Lendine
LE MONTAGNE DIVERTENTI 108
Alta Valtellina
I passi dello Zebrù
154
Le ricette della nonna
Le virtù del timo
Sommario
5
Localizzazione luoghi
Zillis
Zillis
Wergenstein
Bergün
Parsonz
Sufers
3062
2115
Mulegns
3279
3378
Cresta
St. Moritz
3183
CHIAVENNA
Prata
Camportaccio
ra
T. Code
Novate
Mezzola
3032
Bellàno
Taceno
Pescegallo
Pizzo dei Tre Signori
2554
Introbio
Lierna
LE MONTAGNE DIVERTENTI Caiolo
Tartano
Ornica
Barzio
Monte Cadelle
2483
Passo San Marco
1985
Foppolo
Carona
Mezzoldo
Cùsio
Piazzatorre
Valtorta
Pasturo
Colorina
Cassiglio
Olmo
al Brembo
Albosaggia
Pizzo Campaggio
2503
Monte Masuccio
2816
Bianzone
Teglio
Tresenda
Arigna
Carona
Aprica
Còrteno
Vilminore
Colere
Villa
Pizzo Camino
2492
Pezzo
Pezzo
Cortenedolo
Vione
Passo del Tonale
1883
Edolo
Arrampicata in aderenza
(Antonio Boscacci e Luisa Angelici)
38Morbegno
Ciapponi, dal 1883
(Andrea Mihaiu)
54 Versante Retico
Vetta di Ron (m 3136)
(Beno)
68Valchiavenna
Dal passo di Lendine
al pizzo del Torto
(Valentino Bedognetti)
78Valmalenco
Alta Via, 1a tappa:
da Ciappanico alla Bosio (Eliana e Nemo Canetta)
96 Alpi Orobie
Monte Cadelle (m 2483)
(Gianluca Gusmeroli)
102Alta Valtellina Adamello
3554
Monte Fumo
3418
Garda
Monte Carè Alto
3462
Berzo
Paisco
Sonico
Concarena
2549
Ponte
di Legno
Incudine
Monno
Palone del Torsolazzo
2670
Schilpario
Estate 2014
Vezza
d'Oglio
Malonno
Pizzo di Coca Monte Torena
2911
3050
Monte Sellero
2743
Pizzo di Redorta
Loveno
3039
Monte Gleno
Pizzo del Diavolo
2883
Valbondione
di Tenda
Passo del Vivione
2914
1828
Gromo
Mazzo
100
Corno
corno dei Tre Signori
3359
Punta di Pietra Rossa
Monte Tonale
3212
2694
Monte Serottini
2967
Passo dell'Aprica
Pizzo di Rodes
Gandellino
102
31 Val di Mello
Punta San Matteo
3678
Passo di Gavia
2618
Fumero
Sondalo
Tovo
Lovero
Sernio
TIRANO
3769
Santa Caterina
Le Prese
Adda
2829
Branzi
Roncorbello
Adda
T. V
enin
a
Geròla
Ponte in Valt.
Cepina
Grosotto
Brusio
Chiuro
96
Premana
Boirolo
SONDRIO
T. Livrio
Albaredo
3136
54
Tresivio
Talamona
Tremenico
Bellagio
6
Bema
Postalesio
Berbenno
Castione
Torre
di S. Maria
Monte Confinale
3370
Grosio
Fonta
na
Cevo
Bùglio
Caspano Ardenno
Dubino Mantello Mello
Traona
Dazio
Sirta
MORBEGNO
78
3323
Le Prese
Vetta di Ron
T. Mallero
2845
Verceia
Delébio Rògolo
Còsio 38
Regolédo
Dervio
3114
Pizzo Scalino
Lanzada
Caspoggio
Chiesa
in Valmalenco
Malghera
Poschiavo
T. Va
l
Cima del Desenigo
Sasso Nero
2917
Primolo
Bagni
31
3678
di Màsino
Pizzo Ligoncio
San Martino Corni Bruciati
Monte Legnone
2610
Lago
di Como
Monte Disgrazia
T. Caldenno
Lago
di Mezzola
Còlico
Dongo
3378
o
T. Màsin
Montemezzo
Livo Gera
Lario
Somaggia
Chiareggio
Cima di Castello
Monte Cevedale
108
frana
di val Pola
Eita
San Carlo
Gran Zebrù
3851
San Antonio
BORMIO
Valdisotto
Cima di Saoseo
3263
i
od
Lag chiavo
Pos
2459
3308
San Cassiano
San Pietro
Samòlaco
Era
Pizzo Martello
Bondo
Villa
di Chiavenna Pizzo Badile
La Rösa
4049
Passo del Muretto
2562
Vicosoprano
Passo del Bernina
2323
Oga
Cima Piazzi
3439
Ortles
3905
Bagni di Bormio
Premadio
T. Roasco
Gordona
Soglio
Castasegna
Prosto
Mese
Piz Palù
Pizzo Bernina 3906
Casaccia
Pizzo Galleggione
3107
Mera
68
Passo del Maloja
1815
Pizzo Stella
Pizzo Quadro
3013
Dosso d. Liro
Maloja
Isolaccia
Arnoga
Forcola
di Livigno
2315
Sils
T.
La
nte
rna
Fraciscio
Passo dello Stelvio
2757
Valdidentro
Passo del
Foscagno
2291
Solda
Solda
Giogo di Santa Maria
2503
Trepalle
Pianazzo
Campodolcino
1816
Piz Languard
3268
Silvaplana
Juf
Lag
3180
hi d
i Ca
nca
no
Pontresina
Julierpass
Bivio
Lago d
i Lei
Madesimo
Livigno
3057
Mera
3209
Cima la Casina
Samedan
Piz Nair
3392
Pizzo d'Emet
Isola
Sur
Stelvio
Stelvio
San Maria
Lago del Gallo
Piz Piatta
Montespluga
3159
Inn
Montechiaro
Montechiaro
Müstair
Piz d'Err
Piz Grisch
Innerferrera
Passo dello Spluga
Zuoz
Albulapass
2312
Julia
Curtegns 1864
Ausserferrera
Piz Quattervals
3418
Reno
Splügen
Medels
Pizzo Tambò
Piz Kesch
Cunter
Andeer
e itinerari
Saviore
108Alta Valtellina Valle
Dombastone
(Giacomo Meneghello)
I passi dello Zebrù
(Eliana e Nemo Canetta)
Capo
di Ponte
Làveno
LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte Re di Castello
2889
Niardo
Niardo
© Beno 2013
2011 - riproduzione vietata
Localizzazione di luoghi e itinerari
7
L
e g e n d a
Schede sintetiche e tempistiche
Ogni itinerario è corredato da una scheda sintetica in cui vengono riassunte le caratteristiche principali
Ottimo anche per anziani non più autosufficienti
o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale
per la camporella, anche per le coppiette meno
esperte.
del percorso, tra cui dislivello, tempo di percorrenza e difficoltà. A fianco trovate una breve e divertente
spiegazione dei 7 gradi della “scala Beno” con cui viene valutato l'impegno complessivo richiesto dalla gita.
Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse
capacità. Sotto la voce "dettagli", invece, viene espressa la difficoltà tecnica secondo la scala alpinistica
convenzionale, corredata da una breve spiegazione.
Le tempistiche, indicate nel testo descrittivo, sono progressive, cioè indicano il tempo necessario1 per
raggiungere la località partendo dall'ultimo riferimento crono-geografico2.
Le schede sintetiche sono affiancate da un box grafico che, esprimendo una valutazione su bellezza,
pericolosità e fatica, vi permetterà a colpo d’occhio di scegliere l’itinerario a voi più consono.
Si comincia a dover stare
attenti alle storte,
alle cavallette carnivore
e nello zaino è meglio mettere
qualche provvista
e qualche vestito.
1 - Se non emergono difficoltà tecniche, la velocità ipotizzata è di 350 metri di dislivello all'ora, oppure 3 km orari su itinerario pianeggiante.
2 - " [...] raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30)" indica che per raggiungere la Sfinge occorrono 30 minuti partendo dal precedente riferimento
crono-geografico, che in questo caso era, qualche riga prima, la sella Ligoncino "[...] fino alla sella Ligoncino (m 2770, ore 2:15)." Per facilitare
l'individuazione dei riferimenti crono-geografici, questi sono tutti formattati in grassetto.
BELLEZZA
PERICOLOSITÀ
Quasi meglio il centro commerciale
Carino
Assolutamente sicuro
Bello
Anche per uomini larva
Nulla di preoccupante
Impegnativo
Assolutamente fantastico
FATICA
Basta stare un po’ attenti
Un massacro
Richiesta discreta tecnica alpinistica
Pericoloso (si consiglia una guida)
ORE DI PERCORRENZA
DISLIVELLO IN SALITA
meno di 5 ore
meno di 800 metri
dalle 5 alle 10 ore
dagli 800 ai 1500 metri
dalle 10 alle 15 ore
dai 1500 ai 2500 metri
oltre le 15 ore
oltre i 2500 metri
Le scarpe da ginnastica
cominciano ad essere
sconsigliate (sono d’obbligo
abito da sera e mocassini).
È meglio stare attenti
a dove si mettono i piedi.
Vertigini vietate!
Montagna divertente,
itinerario molto lungo
e ricco di insidie di varia
specie. Sconsigliato a tutti gli
appassionati di montagna non
temerari e dopati.
Itinerario abbastanza
lungo, ma senza
particolari difficoltà
alpinistiche.
È richiesta una buona
conoscenza dell’ambiente
alpino, discreta capacità
di arrampicare
e muoversi su ghiacciaio
o terreni friabili come
la pasta sfoglia.
È consigliabile una guida.
Valida alternativa
al suicidio. Solo per
persone con un’ottima
preparazione fisicoatletica ed esperienza
alpinistica. Servono
sprezzo del pericolo
e, soprattutto, barbe
lunghe e incolte.
Speciali
L'Alta Via della Valmalenco
Eliana e Nemo Canetta
L’Alta Via della Valmalenco è il famoso anello escursionistico,
etnografico e naturalistico che tocca i luoghi più suggestivi della
Valmalenco. Marcato per la prima volta con bolli triangolari gialli
tra il 1975 e il 1976, è lungo all’incirca 110 km. Diviso in otto tappe,
attraversa ambienti di media e alta quota, raccordando fra loro
diversi rifugi storici e lambendo i massicci del monte Disgrazia
(m 3678), del pizzo Bernina (m 4049) e del pizzo Scalino
(m 3323).
I pernottamenti in rifugio e le diverse varianti possibili
ne aumentano il fascino, soddisfacendo anche i
desideri degli escursionisti più esigenti.
La sua creazione, voluta e gestita dal Museo
di Valle, fu realizzata con l’intento di guidare
i turisti alla scoperta della Valmalenco. Un
invito a unire il camminare con la voglia di
conoscere e comprendere, per apprezzare a
fondo la realtà naturalistica e culturale di
una delle principali valli delle Alpi Retiche.
A giudizio di molti autori, fu l’inizio
dell’escursionismo culturale nel nostro
Paese!
10
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Lungo la variante della VI tappa dell'Alta Via della
Valmalenco, ai piedi di pizzo d'Argento e pizzo Zupò
(31 agosto 2013,L'Alta
foto Luciano
Bruseghini).
Via della
Valmalenco
11
Valmalenco
Speciali
Visione d'insieme delle 8 tappe dell'Alta Via della Valmalenco con le relative varianti di tracciato e di accesso. Nella cartina allegata a questo
numero della rivista (Valmalenco 1:30000 - speciale Alta Via della Valmalenco) trovate tutti i recapiti telefonici dei rifugi strategici per questo
percorso a tappe. Per ulteriori informazioni sui periodi di aprtura, oppure sulle modalità di prenotazione visitate il sito www.waltellina.com.
Andò così
C
Dalla tracciatura, alla bollatura, alla presentazione ufficiale alla
Terrazza Martini a Milano (28 giugno 1979): alcuni dei momenti che
hanno portato alla nascita dell'Alta Via della Valmalenco (1974-1975,
foto archivio Canetta).
12
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
inquant’anni fa il quadro
dei musei e delle istituzioni
culturali della provincia di Sondrio
era molto diverso da quello attuale,
nella fattispecie privo di vivacità e di
interessi riguardo ai temi etnografici e naturalistici. Basti pensare che
il Museo di Storia e Arte di Sondrio
era ospitato nella biblioteca di Villa
Quadrio, come fosse un’appendice.
Ma i tempi erano maturi e vari gruppi
LE MONTAGNE DIVERTENTI si apprestavano a modificare radicalmente una situazione francamente
poco brillante. Tra le tante iniziative,
nel 1970 a Chiesa Valmalenco prendeva corpo per mano di Giancarlo
Carrara, Giancarlo Corbellini e Nemo
Canetta, il comitato promotore del
Museo della Valmalenco, che con il
determinante appoggio del Comune
di Chiesa intendeva realizzare un
museo vallivo. Un museo in grado di
illustrare tutti gli aspetti e le vicende
dell’intero bacino del Mallero, da
Sondrio alla vetta del Bernina.
Per due anni il comitato s’impegnò
a risolvere numerosi problemi e, tra
questi, la raccolta di fondi e reperti.
Grazie alla generosità dei residenti
e dei villeggianti, giunsero presto a
ottimi e soddisfacenti risultati.
Il 2 gennaio 1972, nell’antico
Oratorio di San Carlo e nel sovraL'Alta Via della Valmalenco
13
Valmalenco
Speciali
stante locale attiguo alla parrocchiale
dei SS. Giacomo e Filippo1, fu inaugurato il Museo Storico Etnografico
Naturalistico della Valmalenco.
Per l’occasione, importantissime
testate giornalistiche, le riviste del
TCI e del CAI, Il Milione, Airone e
altre, definirono il neonato museo
“Il primo Museo di valle italiano”. Se
pensiamo che il tutto fu realizzato con
un impegno pubblico/privato al costo
di soli due milioni di lire circa, ben si
comprende l’ampiezza del successo.
Ricordiamo che il C.I.G. di Tirano,
sotto la guida di Bruno Ciapponi
Landi, inaugurò il proprio Museo
Etnografico di lì a pochi mesi, mentre
il maestro Mario Testorelli a Sant'
Antonio Valfurva, qualche tempo
dopo, realizzò un interessante museo
a indirizzo storico-etnografico.
Negli stessi anni sorgevano nelle
Dolomiti diverse “Alte Vie”, che giungendo al numero di 7, traversavano in
ogni direzione i monti Pallidi. Queste
erano di tipo esclusivamente escursionistico e alpinistico, prive di velleità
culturali.
Il nostro comitato seguiva con
molto interesse la nascita di queste
iniziative, e da qui nacque l’idea:
perché non realizzare un’Alta Via
anche in Valmalenco? Si pensò a un
percorso circolare che comprendesse
tutto o quasi il circo di valli a una
quota compresa tra i 1500 e i 3000
metri, abbinando altresì all’interesse
paesaggistico e ambientale un ampio
spettro di temi e soggetti culturali.
Gli autori presto compresero la
necessità di portare turisti ed escursionisti a visitare in situ i luoghi
d’interesse culturale essendo impossibile trasportare all’interno di un
piccolo museo morene e fronti
glaciali, miniere e cave o alpeggi con
la lavorazione del latte. Individuarono pertanto una serie di escursioni
sotto la quota 2000 - quindi percorribili dalla tarda primavera all’autunno
inoltrato - le quali, congiunte a uno
o più temi, costituissero una sorta di
prolungamento esterno del
museo.
Questi in sintesi i fatti di come
nacque esattamente quarant’anni
orsono l’Alta Via della Valmalenco,
la prima alta via italiana a vocazione
escursionistico-culturale, la quale
assunse in seguito come motto la frase
- adottata poi da tanti altri percorsi
analoghi - “camminare per conoscere”.
Il progetto prese corpo impiegando
e raccordando sentieri esistenti e già
percorribili, sino ad allora poco o
manco segnalati, e ipotizzando anche
qualche nuovo tratto. Per la segnaletica orizzontale si scelsero bolli e
triangoli di colore giallo (che presto
divennero il simbolo dei percorsi del
Museo della Valmalenco) con l’intento preciso di sottolineare, differenziandoli, i percorsi culturali da quelli
esclusivamente escursionistici segnati
con bandiere bianco/rosso che solitamente, in quegli anni, marcavano
solo l’accesso ai rifugi.
Q
uali
permessi
dovettero
chiedere Carrara, Corbellini e Canetta? Quali e quanti fondi
pubblici, e chi materialmente segnò
l’Alta Via? Le risposte sono semplici
e andrebbero riconsiderate per trarne
proficui insegnamenti.
A quei tempi, per fare segnaletiche o apporre cartelli indicatori non
necessitava chiedere alcun permesso
e neppure eseguire lunghe e costose
progettazioni. Bastava accordarsi col
sindaco del comune interessato e
una semplice stretta di mano siglava
il patto. Purtroppo l’eccessiva burocrazia dei tempi odierni, pur finalizzata a evitare gli abusivismi e il dilagare
di iniziative scoordinate, ma anche a
mantenere le solite lobby di speculatori, troppo spesso si perde in mille
rivoli e cavilli impedendo alle persone
meritevoli di agire e/o disporre dei
fondi e dei mezzi necessari.
Chiedere denaro
all’Unione Europea non era ancora in
auge, pertanto le spese (non eccessive) furono sostenute interamente
con le offerte al Museo e dalle borse
dei volontari, in pratica i membri
del comitato promotore affiancati da
qualche amico e da quei gestori dei
rifugi che compresero subito l’importanza della realizzazione. Così tra il
’75 e il ’76 l’Alta Via, unitamente ai
Percorsi Culturali del Museo, furono
interamente segnalati. Un insieme di
circa 200 km di tracciati che costituirono una rete di sentieri a tema, unica
nel suo genere. A titolo informativo ricordiamo che la segnaletica di
tutta l’Alta Via della Valmalenco
costò, tra vernice, trasporti
e parziali rimborsi
spese, un
milione delle vecchie lire, equivalenti
a circa 5000 euro in valuta odierna.
Nel contempo usciva per il celebre
editore Tamari di Bologna il volume
di Canetta e Corbellini Valmalenco,
nel quale alla descrizione generica
della valle e alle escursioni culturali,
faceva seguito una puntuale rassegna
di tutto ciò che di notevole sul piano
storico, etnografico e naturalistico
l’escursionista avrebbe potuto
trovare lungo il percorso
della neonata Alta
Via.
1 - L'edificio aveva ospitato anche la prima scuola
della valle.
14
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il rifugio Marinelli-Bombardieri (m 2813), capolinea della
V tappa dell'Alta Via, ne è il punto di pernottamento più alto
(31 agosto 2013, foto Luciano
Bruseghini).
L'Alta Via della Valmalenco
15
Valmalenco
Speciali
Le 8 tappe dell'Alta Via
1
Beno
Partenza: Ciappanico (m 1000)
Arrivo: rifugio Bosio/Galli (m 2086)
Dislivello: +1500 m / -400 m
Sviluppo: 13 km
tempo previsto: 7 ore
Partenza: Chiareggio (m 1612)
Arrivo: rifugio Palù (m 1965)
Dislivello: +1000 m / -400 m
Sviluppo: 13 km
tempo previsto: 6:30 ore
breve descrizione:
breve descrizione:
È una tappa di avvicinamento che conduce
dal fondovalle malenco ai piedi del massiccio del Disgrazia toccando lo splendido lago
d'Arcoglio e la calcarea vetta del Sasso Bianco (m 2490). Si passa dagli antichi borghi,
agli alpeggi, ai pascoli, alle praterie d'alta
quota, sempre con bella vista sul gruppo del
Bernina.
Da Chiareggio per boschi e pascoli si approda ai ciàz de Fura e, attraversando l'altopiano bordato da suggestive cascate e dominato
da Sassa di Fora (m 3366) e dai calcari del
pizzo delle Tremogge (m 3441), si arriva al
rifugio Longoni. Da qui ha inizio una lunga
traversata che, toccando l'alpe Sasso Nero,
conduce sulle rive del grande lago Palù.
L'alpe Arcoglio Superiore (5 .10.2012, foto Roberto Moiola).
2
Il lago Palù, sullo sfondo la Sassa di Fora (21.08.2011, foto Roberto Moiola).
Partenza: rifugio Bosio/Galli (m 2086)
Arrivo: rif. Porro o rif. Ventina (m 1960)
Dislivello: +1200 m / -1300 m
Sviluppo: 13,5 km
tempo previsto: 7:30 ore
Partenza: rifugio Palù (m 1965)
Arrivo: rifugio Marinelli (m 2813)
Dislivello: +1400 m / -600 m
Sviluppo: 12 km
tempo previsto: 6:30 ore
breve descrizione:
breve descrizione:
È la tappa più faticosa dell'intera Alta Via,
quella che aggira pizzo Cassandra e fratelli,
passando per antiche cave e la splendida alpe
Pirlo. Da Pradaccio si devono quindi risalire
le faticose pietraie che regalano i laghi di
Sassersa, perla della giornata, fino a scollinare al passo Ventina (m 2675) e divallare alla
bucolica alpe Ventina.
Il gruppo del Bernina dal sentiero per la Marinelli (25.07.2010, foto F. Vaninetti).
Partenza: rif. Porro o rif. Ventina (m 1960)
Arrivo: Chiareggio (m 1612)
Dislivello: +900 m / -1250 m
Sviluppo: 13 km
tempo previsto: 6:30 ore
Partenza: rifugio Marinelli (m 2813)
Arrivo: rifugio Bignami (m 2401)
Dislivello: +250 m / -700 m
Sviluppo: 5 km
tempo previsto: 3:30 ore
breve descrizione:
breve descrizione:
Si tratta di un anello che culmina al rifugio
Del Grande - Camerini (m 2550) e che ha
come indiscusso protagonista il versante N
del monte Disgrazia, padrone dell'orizzonte
con la sua verticale parete ghiacciata.
Interessante sia dal punto di vista geologico
che glaciologico attraversare la val Sissone e
i ciatté di Vazzeda. Si pernotta a Chiareggio.
LE MONTAGNE DIVERTENTI 6
Una breve tappa dedicata ai ghiacciai. Dalla
Marinelli attraverso la vedretta di Caspoggio e le bocchette di Caspoggio (m 2983 punto più alto dell'Alta Via) si cala all'alpe
Fellaria, al margine del cui terrazzo si trova
la Bignami. Voltandosi si ammira la fronte
sospesa del ghiacciaio di Fellaria dalla quale
precipitano frequentemente grandi blocchi.
La Bignami e la fronte sospesa del ghiacciaio di Fellaria (16.08.2008, foto Bruseghini).
Il Disgrazia dai pressi del rifugio Del Grande - Camerini (31.07.2011, foto Moiola).
16
5
Tutti quelli che per la prima volta valicano
la bocchetta delle Forbici (m 2660), appena
sopra il rifugio Carate, rimangono a bocca
aperta: il passaggio da boschi e praterie ai
colossi ghiacciati del Bernina è improvviso e
sconcertante. Capolinea della tappa è il rifugio Marinelli-Bombardieri, pernottamento
più elevato dell'intera Alta Via.
I laghi di Sassersa e, sulla dx, il pizzo Rachele (m 2998) (13.07.2012, foto Bruseghini).
3
4
Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI L'Alta Via della Valmalenco
17
Valmalenco
Speciali
N ovità :
Partenza: rifugio Bignami (m 2401)
Arrivo: rifugio Cristina (m 2227)
Dislivello: +600 m / -700 m
Sviluppo: 14 km
tempo previsto: 6:30 ore
7
Con gli alpaca al rifugio Cristina
breve descrizione:
Il giro del lago di Campo Moro con la visita
all'alpe Gembrè fa definitivamente allontanare dal gruppo del Bernina e accostare a
quello del pizzo Scalino. Per ampie praterie
alpine si sconfina per un breve tratto in Svizzera, quindi, trovati tutti i laghetti di Campagneda si giunge all'alpe Prabello. La tappa
è di estremo interesse naturalistico.
Valmalenco - Gli alpaca sono dei mammiferi della famiglia dei
camelidi che vivono sulle Ande oltre i m 5000. In tempi recenti ne
sono stati importati alcuni esemplari in Europa, soprattutto sulle
Alpi, dove si sono ben ambientati, visto il clima simile a quello
dell’ambiente di origine. Diversi allevamenti sono sorti con lo scopo
principale di utilizzare la morbida lana del loro mantello, ideale per
creare coperte e indumenti caldi (non contenendo lanolina la stoffa
non infeltrisce e non dà allergie).
Gli alpaca sono diventati anche attrazione turistica, specie per i
bambini.
La famiglia Negrini di Caspoggio, amante degli animali e della
vita all'aperto, si occupava di capre, pecore, papere e dei più comuni
animali da compagnia quali cani e gatti, finché nel 2010 ha deciso
di intraprendere una nuova avventura acquistando tre alpaca. Con
il passare del tempo si sono sempre più appassionati a questo tipo di
animale fino a trasformare un hobby in un’impresa lavorativa. L’allevamento “Alpacas la Foppa”, oltre a dimostrazioni sulla lavorazione della lana, propone escursioni e attività ricreative con i camelidi
andini. Trascorrere una giornata all’aria aperta in compagnia di sei
alpaca è un’esperienza indimenticabile per gli adulti, ma soprattutto
per i più piccoli.
Il pizzo Scalino dai laghi di Campagneda (22.09.2012, foto Giacomo Meneghello).
Partenza: rifugio Cristina (m 2227)
Arrivo: Ciappanico (m 1000)
Dislivello: +300 m / -1500 m
Sviluppo: 15,5 km
tempo previsto: 7 ore
8
breve descrizione:
Pur potendo finire a Caspoggio (ore 4:30), il
consiglio è quello di chiudere l'anello dell'AV
e giungere a Ciappanico con le proprie gambe.
Dal rifugio Cristina si scende alle torbiere di
Acquanegra per affrontare un lungo traverso
sul fianco della costiera Scalino-Palino fino a
Piazzo Cavalli (m 1710). Qui inizia la ripida
discesa per Torre di Santa Maria passando per
l'indimenticabile contrada di Dagua.
Per info e prenotazioni:
Alpacas la Foppa
Via S. Elisabetta 70 - 23020 Caspoggio (SO)
+39 348 8893857 - Ladina
E-mail: [email protected]
Acquanegra dalla cima del monte di Acquanegra (18.10.2011, foto Beno).
ALTRE INFORMAZIONI
elle singole tappe dell'Alta Via
della Valmalenco vi daremo
una descrizione dettagliata nei numeri
della rivista, iniziando dalla prima, già
presente in queste pagine. Le tempistiche si riferiscono all'escursionista
medio, anche se definire un'andatura
standard nei tratti in discesa non è
semplice, dato che, a parità di sforzo,
chi è più agile ci mette molto meno.
A questo numero della rivista, crepi
l'avarizia, è allegata in omaggio la
mappa 1:30.000 della Valmalenco
dedicata all'Alta Via. Nel realizzarla è
stata fatta una revisione generale dei
toponimi raccogliendo informazioni
sul posto per correggere i principali
errori cartografici presenti sia in letteratura, che nei cartelli in loco.
Abbiamo lasciato il toponimo italia-
D
18
LE MONTAGNE DIVERTENTI nizzato qualora questo mantenesse il
significato del nome dialettale, mentre
i bizzarri stravolgimenti come cian de la
Loppa divenuto pian del Lupo o Paiunch
evoluto in Palolungo, sono stati corretti.
Alta Via è un itinerario escursionistico, ma nella VI tappa
si affronta il ghiacciaio di Caspoggio,
pertanto si deve essere adeguatamente
attrezzati (bastoncini da trekking e scarponi di buona fattura), oppure questo
va aggirato attraverso la bocchetta di
Fellaria. Va inoltre considerato che con
buona probabilità fino a metà luglio è
possibile incontrare altri tratti innevati.
Tutti i rifugi sono dotati di telefono,
le tappe non nascondono né malintenzionati né leoni, e i sentieri sono ben
segnalati, per cui è prudente lasciare a
casa il telefonino per godersi spledide
ore di immersione nella natura liberi
L'
Oggi, 23 giugno 2013 la mia giornata è cominciata presto,
come al solito. La mia padrona Ladina è venuta nel nostro
recinto e ci ha legati tutti alla staccionata che circonda la
nostra casetta. Siamo io, la mia mamma Kelita, il mio fratellone Sancho, il pazzerello del gruppo Fernando e il “nonno”
Rodrigo. Ladina ci ha spazzolati di tutto punto, ogni 2 o 3
giorni lo fa, a me non piace tanto, però lei dice che così
siamo più belli! Poco dopo è arrivata anche l’altra nostra
padrona, Simona. Tutte e due hanno uno zaino sulle spalle,
mi chiedo perché serva uno zaino per andare nel recinto più
grande dove passiamo le nostre giornate a brucare l’erba
tranquilli! Appena siamo partiti mi sono reso conto che
non stavamo andando nel recinto ma ci dirigevamo verso la
macchina, a cui le mie padrone hanno attaccato un trailer
per trasportare anche noi. Effettivamente da qualche giorno
Ladina ci ripeteva che oggi saremmo andati tutti insieme a
fare una lunga passeggiata fino al rifugio Cristina e che
avremmo addirittura visto il pizzo Scalino da vicino! Non so
cosa sia questo pizzo Scalino e dove ci stiano portando,
però loro sembrano contente, quindi immagino sia un bel
posto! ... (continua su www.alpacaslafoppa.com)
dalla sciocca ipocondria della montagna
assassina e dal patema di dover essere
sempre reperibili.
Verificate, prima di iniziare la gita,
l'apertura e la disponibilità di posti nei
rifugi. Ricordatevi di portare il saccolenzuolo, una borraccia di metallo per
raccogliere l'acqua e/o per farsela riempire di tè o genepì al rifugio.
Siamo in alta montagna e il tempo
può variare; quindi avere vestiti sia
freschi che pesanti e che asciughino
velocemente, assieme a una copertura impermeabile per lo zaino è
fondamentale.
Non esagerate col carico di cibo e,
specialmente, di bevande: i soldi per
comprarli al rifugio pesano decisamente
meno! Infine ricordate di scegliere cibi
con pochi involucri e di portare sempre
i rifiuti a valle.
Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI L'Alta Via della Valmalenco
19
Speciali
2013-2014
Inverno
da record
Matteo Gianatti
20
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI La fitta nevicata della notte del 4 gennaio 2014 a Campodolcino
(foto Roberto Moiola - www.clickalps.com).
Speciale clima
21
Inverno 2013-14
Speciali
Sono passati alcuni mesi e ora possiamo trarre i giusti bilanci:
l’inverno 2013-14 verrà ricordato per le numerose violente tempeste
sulle coste atlantiche, precipitazioni straordinarie e alluvionali in
Regno Unito, Francia e Italia, imponenti nevicate sulle Alpi meridionali
oltre i m 1200-1500, temperature sopra la media e gelo praticamente
assente. Insomma, una lunga appendice autunnale.
BILANCIO GENERALE: CALDO DA SUD
CON PRECIPITAZIONI DA PRIMATO
SULLE ALPI
Per quasi tre mesi, dalla seconda metà di
dicembre a inizio marzo, lo scacchiere continentale è stato governato da profonde depressioni
a ovest delle isole britanniche, contrapposte a
vaste zone di alta pressione sull’est e sul nord
Europa. Questa configurazione ha determinato
l’anomala persistenza di venti tiepidi sud-occidentali, tipici dell’autunno, che hanno sospinto
frequenti perturbazioni in rapida successione
verso le coste atlantiche fino a raggiungere
la regione alpina. Sono mancati all’appello i
periodi anticiclonici (eccezion fatta per le prime
settimane di dicembre), così come le irruzioni di
aria artica verso il Mediterraneo.
In Italia ne è conseguita una stagione mite e
significativamente piovosa al nord, con inconsueti temporali in pianura Padana e ingenti
quantità di neve sulle montagne del pendio
sudalpino oltre i m 1200. Più in basso, sotto i
m 500, invece, le nevicate sono state solo effimere e occasionali, e pressoché assenti sulle
pianure venete.
Il trimestre dicembre-febbraio è risultato il più
caldo dal 1800, secondo soltanto a quello del
2006-07, con 1,8°C sopra media. Le anomalie
più forti si sono verificate in Emilia Romagna e
al nord-est, con punte di oltre 3°C. Questo sia
per le situazioni di favonio appenninico da sudovest (il Garbino), sia per la maggiore esposizione allo Scirocco in risalita dall’Adriatico.
Sempre a causa dell’alta frequenza favonica,
questa volta da sud, si è registrato l’inverno più
caldo di sempre nella regione di Coira, in Svizzera (il vecchio primato apparteneva al 200001), dove nel complesso la stagione è risultata la
terza più calda della serie negli ultimi 150 anni,
con anomalie regionali comprese tra +1,0°C e
+2,7°C rispetto alla media 1981-2010.
In pianura sono state poche le notti con temperatura minima inferiore a zero gradi, completamente assenti i giorni di ghiaccio (valori termici
costantemente negativi). A Sondrio le gelate
si sono concentrate perlopiù nella prima parte
22
LE MONTAGNE DIVERTENTI Anomalie delle altezze di geopotenziale a 500 hPa (circa 5500 m) in Europa
dal 1 dicembre 2013 al 28 febbraio 2014. Sono evidenti valori pressori più
bassi del normale dall’oceano Atlantico fin sull’Europa occidentale, nonché
la prevalenza anticiclonica tra Balcani, mar Nero, Scandinavia e Russia
europea. Nel mezzo, l’Italia è stata quasi ininterrottamente invasa da masse
d’aria molto umida dai quadranti meridionali. Fonte: ESRL-NOAA.
Anomalie delle temperature a 850 hPa (circa 1400 m) in Europa dall' 1
dicembre 2013 al 28 febbraio 2014. Sul fianco orientale delle depressioni
atlantiche prevale il trasporto di aria subtropicale molto mite, che
determina scarti termici dalla norma importanti, con punte superiori a
+3°C nei Balcani. Fonte: ESRL-NOAA.
Estate 2014
Anomalie di temperatura, pioggia e neve registrate presso alcuni osservatori a sud delle Alpi. L’inverno 2013-14 è risultato il più piovoso
dall’inizio dei rilevamenti nel Ticino meridionale e in gran parte delle vallate alpine italiane. Diversamente, nelle aree più interne come
l’Engadina e l’alta Valtellina le piogge e le nevicate sono state meno straordinarie. Oltre che per i quantitativi estremi di precipitazioni, l’inverno
2013-14 è anche uno dei più miti presenti nelle statistiche, con 4-5°C di temperatura media a basse quote. La combinazione di questi due fattori
meteorologici ne fa l’inverno più estremo mai registrato. Fonti dati: MeteoSvizzera, APAT (1926-1987), ERSAF/ARPA (1988-2002), F. Pozzoni rete MeteoNetwork (dal 12/2002); rielaborazione di Matteo Gianatti.
di dicembre e ammontavano a 49 alla fine di
febbraio (contro una media di 74 nel trentennio
1981-2010; fonte: APAT e ERSAF/ARPA
Lombardia). La temperatura più bassa è stata di
appena -5,2°C (registrata il 2 dicembre 2013).
In Italia sono cadute precipitazioni doppie
rispetto al normale, così che l’inverno 2013-14
sia risultato l’undicesimo più piovoso dal 1800.
L’insistenza di correnti meridionali dalla metà
di dicembre in poi ha causato precipitazioni
eccezionali a sud delle Alpi e numerose giornate con favonio al nord. Liguria, alta Toscana,
Lombardia e Triveneto hanno registrato l’inverno più umido da inizio misurazioni, con
quantitativi da due a cinque volte la media. I
ripetuti afflussi da sud/sud-ovest hanno favorito
quantitativi eccezionali nelle zone esposte, in
particolare sulle Alpi Apuane (2174 mm a Orto
di Donna, LU) e sulle Prealpi Giulie (2546 mm a
Musi, UD), dove in appena tre mesi sono caduti
circa due terzi di quanto dovrebbe normalmente
piovere in un anno. A Locarno-Monti (CH)
il bilancio è stato di 754 mm, che supera di
30 mm il precedente primato del 1950-51.
Precipitazioni abbondanti, anche se meno straordinarie, hanno invece riguardato Piemonte e
Valle d’Aosta, più riparati dai flussi umidi risalenti dal Tirreno (310 mm di pioggia a Torino).
Altra particolarità dell’inverno scorso sono
stati i frequenti temporali, non solo sui mari
intorno alla penisola, dove sono abbastanza
comuni in questa stagione, ma anche su pianure
e rilievi del nord-est, a causa delle temperature
più alte del normale.
Nell’inverno 2013-14 si è notata l’assenza
di nevicate significative a basse quote. Sopra i
m 1200, invece, le frequenti e abbondanti precipitazioni si sono tradotte in un innevamento
straordinario sul versante sud-alpino, dal monte
Rosa verso est e in parte anche sul Cuneese. Per
le Alpi italiane la stagione è confrontabile con
quella recente del 2008-09, che pure fu tra le più
ricche di neve dell’ultimo mezzo secolo. Diversamente, sono state scarse o del tutto assenti le
nevicate sull’Appennino centro-meridionale.
LE MONTAGNE DIVERTENTI Anomalie della temperatura media invernale 2013-14 in Italia. È il
secondo inverno più mite dal 1800, con 1,8°C oltre la media. Fonte:
ISAC-CNR.
Sils Maria
Sondrio
A Sondrio e Sils Maria l’inverno si colloca rispettivamente in quinta
e nona posizione tra i più tiepidi dall’inizio delle misurazioni
(rispettivamente nel 1926 e 1864), con un’anomalia di +1,3°C rispetto al
trentennio 1981-2010. Sempre a Sils, l’inverno 2013-14 risulta parimenti
il quinto più caldo negli ultimi novant’anni. Fonti dati: MeteoSvizzera,
APAT (1926-1987), ERSAF/ARPA (1988-2002), F. Pozzoni - rete
MeteoNetwork (dal 12/2002); rielaborazione di Matteo Gianatti.
Speciale clima
23
Inverno 2013-14
Speciali
A Sils Maria (m 1798) la sommatoria della
neve fresca giornaliera tra dicembre e febbraio
ha raggiunto i 396 cm (secondo valore più alto
dopo i 685 cm dell’inverno 1950-51), mentre a
Bosco Gurin (m 1506) il totale è stato di 684
cm (secondo più alto dal 1961).
Sempre in svizzera, la stazione di San Bernardino (m 1626) ha rilevato uno spessore massimo
di neve al suolo pari a 243 cm l’8 febbraio
(record dal 1961; fonte: MeteoSvizzera).
Sul versante italiano, presso il rifugio Gilberti
(m 1850, Alpi Giulie) è stato raggiunto lo spessore massimo di 670 cm il 20 febbraio (nel 2009
si arrivò a 645 cm il 1 aprile; fonte: Meteomont).
Sul monte Rosa sono caduti 80-120 cm in
24 ore al passaggio di un’intensa perturbazione
tra il 28 febbraio e il 1 marzo. Il nivometro di
Macugnaga (m 1327) ha registrato una punta
stagionale di 283 cm il 4 marzo (record almeno
dal 1984).
Nel Cuneese, a Terme Valdieri (m 1390) lo
spessore di neve al suolo ha raggiunto i 269 cm
(record dal 1993), così come nel marzo 2009.
Altrettanto notevole l’accumulo stagionale di
neve fresca di 240 cm a Priero (m 610; fonte:
ARPA Piemonte).
La vetta della Corna di Mara (m 2807) ricoperta da accumuli di neve instabile che formava anche cornici molto sporgenti che precipitano alla
minima vibrazione (6 febbraio 2014, foto Beno).
Anomalie delle precipitazioni invernali 2013-14 in Italia. È l’undicesimo
inverno più piovoso dal 1800 su scala nazionale, con apporti doppi
rispetto alla media. Solo le isole maggiori registrano un deficit
pluviometrico, così come le Marche, sottovento all’Appennino in
condizioni “favoniche” da sud-ovest. Fonte: ISAC-CNR.
CRONACA METEO DAL 1 DICEMBRE
2013 AL 28 FEBBRAIO 2014
Dicembre 2013 - Il primo mese invernale ha
offerto una serie di record meteorologici. L’abbondante soleggiamento delle prime due decadi,
unitamente alle masse d’aria molto miti e secche
che l’hanno accompagnato, ha favorito temperature inusitatamente elevate soprattutto in
montagna (mentre sono risultate nettamente più
basse nelle vallate, a causa dell’inversione termica).
Una forte irruzione favonica ha inoltre fatto registrare valori massimi da primato sul fondovalle
valtellinese il giorno 6 (+17,0°C a Sondrio, precedente di +16,7°C nel 2001). Per finire, la tempesta
di Natale ha determinato piogge e nevicate da
record per dicembre (80-120 cm in 24 ore sopra i
m 1500), con violenti raffiche da sud.
L’inizio dell’inverno meteorologico è stato
governato da una vistosa depressione sul basso
Mediterraneo, figlia di una saccatura che alla fine
di novembre ha portato la prima e unica ondata
di freddo moderato della stagione sull’Italia (la
mattina del 27 a Sondrio il termometro è sceso
fino a -6,0°C: valore addirittura più basso della
temperatura minima registrata in inverno!).
Nei giorni successivi hanno persistito così
condizioni di cielo sereno al nord con temperature in sensibile aumento in montagna e freddo
pungente unicamente sui fondovalle, mentre i
venti di Scirocco attivati dalla depressione hanno
scatenato rovinose mareggiate e piogge intense al
24
LE MONTAGNE DIVERTENTI Fra le molte località che hanno stabilito nuovi record invernali di
precipitazioni figura anche Sondrio (dati omogeneizzati fino al 2009).
Nella zona sud sono caduti 512 mm di pioggia in tre mesi (ossia quasi
quattro volte la media 1981-2010), polverizzando il precedente primato
di 410 mm dell’inverno 1950-51. Fonti dati: APAT (1926-1987), ERSAF/
ARPA (1988-2002), F. Pozzoni - rete MeteoNetwork (dal 12/2002);
rielaborazione di Matteo Gianatti.
Sondrio, temperatura media e pioggia giornaliera cumulata dal 1
dicembre 2013 al 28 febbraio 2014. Il confronto dell’andamento termico
decadico (media mobile su dieci giorni) con la media trentennale
1981-2010 evidenzia un brusco cambio di tendenza dopo la parentesi
anticiclonica all’inizio dell’inverno meteorologico. Infatti, mentre il
bel tempo ha favorito condizioni di gelo moderato sul fondovalle con
temperature normali per il periodo (il freddo è stato esclusivamente frutto
dell’inversione termica: in realtà non vi è stata alcuna ondata di gelo, e
in montagna il clima è risultato anzi molto mite!), l’avvento delle grandi
piogge ha inaugurato un lungo periodo sopra media. Fonti dati: ERSAF/
ARPA Lombardia (1981-2010), F. Pozzoni - rete MeteoNetwork (2013-14);
rielaborazione di Matteo Gianatti.
Estate 2014
Andamento giornaliero dell’altezza della neve al suolo nell’inverno 2013-14
presso la diga di Scais (m 1495, Sondrio) confrontato con la media 19812010 e i valori massimi (periodo 1960-2013). In questo settore alpino gli
spessori nevosi sono divenuti anomali da metà gennaio 2014, fino ai 210 cm
del 3 febbraio, avvicinandosi ai massimi storici degli ultimi 54 anni (285 cm
il 23 febbraio 1960, 260 cm il 12 febbraio 1978). Purtroppo le misurazioni
s’interrompono qui, a causa della troppa neve che ha costretto gli operatori a
scendere a valle per motivi di sicurezza. Fonte dati: Edison; rielaborazione di
Matteo Gianatti.
Andamento giornaliero dell’altezza della neve al suolo nell’inverno 20132014 presso la diga di Venina (m 1824, Sondrio) confrontato con la media
1981-2010 e i valori massimi (periodo 1963-2013). Qui gli apporti sono stati
decisamente più copiosi che presso la diga di Scais (situata 300 metri più
in basso), e significativamente sopra media da fine dicembre 2013, anche
stavolta vicini ai primati storici dell’ultimo mezzo secolo (290 cm il 10 aprile
1975). Tuttavia, le intense nevicate tra Natale e inizio febbraio hanno fatto
crescere il manto fino a 270 cm (6 e 11 febbraio), valore massimo per questo
periodo dell’anno. Fonte dati: Edison; rielaborazione di Matteo Gianatti.
LE MONTAGNE DIVERTENTI sud1, nonché alluvioni nelle province di Pescara e
Teramo.
L’inverno è proseguito sonnacchioso e mite al
nord fin verso la fine della seconda decade dicembrina, quando una debole ma insidiosa saccatura
da ovest è riuscita a sfondare il possente muro
dell’anticiclone delle Azzorre determinando piogge
torrenziali sul ponente ligure (100-140 mm in 24
ore nell’entroterra) e precipitazioni modeste sulle
Alpi (nevose fino a quote medio-basse).
La vera svolta è giunta proprio a ridosso delle
festività natalizie. Tra il 24 e il 26 dicembre, una
vasta e intensa perturbazione, collegata a un
minimo in prossimità delle isole britanniche, e
sospinta sull’Italia da forti correnti di Libeccio,
ha provocato abbondantissime piogge su Alpi e
Appennino settentrionale2. Quantitativi record
per dicembre (100-150 mm in 24 ore) si sono
registrati tra Ticino e alta Lombardia il giorno di
Natale (78 mm a Sondrio). Dal monte Rosa verso
est, le Alpi sono state spazzate da straordinarie
bufere di neve, con venti fino a 200 km/h, che
hanno isolato, lasciato al buio e seppellito sotto
una coltre bianca umida e pesante spessa più di un
metro e mezzo località come Madesimo e Cortina
d’Ampezzo. Nel contempo, i venti di caduta
appenninici da sud-ovest hanno fatto schizzare
fino a +14,8°C la temperatura a Modena (che ha
vissuto così il suo Natale più caldo dal 1830), e
fino a 11-15°C il mattino seguente sulla pianura
romagnola. Stessa sorte è toccata al versante nordalpino, spazzato da poderosi venti meridionali
di Foehn, che hanno matenuto il clima insolitamente mite per la stagione (minima di +12,4°C a
Coira la notte di Natale).
1 - 328 mm in tre giorni nel Foggiano.
2 -Barcis (PN) 476 mm, Piampaludo (SV) 448 mm, Verbania
311 mm.
Speciale clima
25
Inverno 2013-14
Speciali
Gennaio 2014 - Complessivamente il mese è
stato ricco di precipitazioni, con grandi quantità
di neve in montagna e molta pioggia in pianura,
dove la media è stata superata anche di quattro
volte. I 207 mm caduti a Sondrio rappresentano
il nuovo record dal 1977 (183 mm). Nell’alta
Engadina lo strato nevoso al suolo ha raggiunto
i 148 cm a Sils (massimo precedente a gennaio
di 154 cm nel 2001). Diversamente, sul versante
nord-alpino il bilancio è risultato talvolta fortemente deficitario, senza nevicate in pianura. Le
temperature sono state molto miti soprattutto
sulle regioni settentrionali, con anomalie crescenti
da ovest verso est (fino a +3,5°C fra Romagna,
pianura veneta e Friuli).
L’anno nuovo ha portato in dono alle regioni
settentrionali un ulteriore cospicuo carico di
precipitazioni.
Il 2 gennaio una veloce e modesta perturbazione atlantica ha regalato un po’ di neve a basse
quote tra l’ovest e il nord della Lombardia, favorita dal lieve raffreddamento osservato nei giorni
immediatamente precedenti.
L’arrivo di un fronte più organizzato tra il
4 e il 5 gennaio ha sommerso le Prealpi venete
insieme alle coste friulane di un centinaio di millimetri, mentre oltre il doppio ne sono caduti tra
le Alpi Apuane e l’Appennino genovese (Orto di
Donna-LU 263 mm, Cabanne di Rezzoaglio-GE
260 mm). Piogge temporalesche hanno dilavato i
crinali appenninici fino a m 2000 causando frane
e ondate di piena su entrambi i versanti, mentre
mezzo metro di neve fresca ha ricoperto le Alpi
centrorientali sopra i m 1500.
La terza perturbazione ha attraversato con
traiettoria ovest-est le regioni settentrionali
fra il 13 e il 14 gennaio. Ancora una volta, in
Lombardia le piogge più consistenti hanno interessato le province occidentali e la Valtellina
(25-35 mm), dove una blanda e provvidenziale
situazione favonica poche ore prima dell’evento
(che ha avuto il merito di abbassare notevolmente
l’umidità) ha consentito la sola cospicua nevicata
di stagione a basse quote e sul fondovalle (12 cm a
Sondrio, 20 cm a m 500).
Successivamente, tra il 16 e il 19 due perturbazioni hanno riportato piogge abbondanti su
Prealpi, Emilia Romagna (400 mm sul crinale
appenninico), alta Toscana e in Liguria (Imperia
140 mm - record giornaliero il 16 gennaio
dal 1876, a pari merito col 20 gennaio 1975 Ceriana-IM 350 mm in 30 ore). Venti intensi
meridionali (superiori a 90 km/h) hanno fatto
volare le temperature fino a +24°C a Palermo,
+21°C a Pescara, +18°C a Roma. Inconsueti
temporali invernali hanno interessato la provincia
di Pisa, l’Emilia Romagna e la Carnia il 18. Il
giorno seguente, Trieste ha staccato il nuovo
26
LE MONTAGNE DIVERTENTI record di caldo per gennaio dal 1920 (+16,6°C).
Sono poi proseguite le nevicate straordinarie sulle
Alpi, ma solo sopra i m 1500, dove l’innevamento
ha eguagliato i livelli raggiunti nel 2009.
La terza decade di gennaio ha concesso una
breve tregua del maltempo sulle estreme regioni
settentrionali, benché una blanda circolazione
depressionaria alimentata da aria più fresca avesse
determinato condizioni d’instabilità sul versante
adriatico e al centro-sud (grandinate copiose il 20
a Lecce e il 22 a Forlì).
A fine mese, un modesto e fugace freddo ha
regalato 2 cm di neve a Rimini il 28 e 6 cm a
Torino tra il 29 e il 30 gennaio. Ma già il 31 è
tornato prepotente lo Scirocco, responsabile della
più grande piena dell’Arno a Pisa dal 1992 e di
gravi danni alluvionali a Roma (167 mm in 18
ore a monte Mario).
4 novembre 2010 e 9 febbraio 2014 all'alpe Lendine (m 1710) in Valchiavenna
(foto Roberto Ganassa).
Montagna in Valtellina dopo la nevicata del 14 gennaio 2014 (foto Matteo
Gianatti).
Estate 2014
Febbraio 2014 - Anche febbraio è risultato
più caldo della norma, con anomalie ancora
maggiori rispetto a gennaio sulle regioni peninsulari, e fino a +3,5° su quelle del medio-alto
Adriatico. Grazie all’influsso favonico lo scarto
termico ha localmente superato i +4°C a nord
delle Alpi, mentre a sud è stato nettamente più
modesto. Le importanti precipitazioni, verificatesi
soprattutto nelle prima metà del mese sul pendio
sud-alpino, hanno ulteriormente incrementato il
cospicuo strato di neve già presente al suolo. La
stazione di Sondrio ha raccolto 158 mm di acqua,
che rappresentano il secondo valore più alto per
febbraio dal 1927 (record di 177 mm nel 1951).
Tutta la prima decade è stata influenzata da
un’azione depressionaria semipermanente in sede
islandese, fucina di minimi molto pronunciati
che hanno inviato forti e umide correnti verso
l’Europa e la regione alpina, interessata ininterrottamente da perturbazioni atlantiche in serie. In
appena una settimana sono caduti mediamente
60-120 mm di pioggia in Lombardia, e addirittura 300-600 mm sulla fascia pedemontana e
prealpina tra Veneto e Friuli (responsabili di inondazioni sulle pianure). Oltre i m 1300-1500 di
quota la neve ha raggiunto spessori localmente
superiori ai tre metri.
La seconda decade di febbraio è stata ancora
dominata dalle correnti atlantiche, ma con un
alternarsi di veloci perturbazioni che hanno
lasciato spazio a qualche fugace giornata di sole in
un contesto variabile e sempre mite.
Una grande piena dell’Arno ha investito il
Pisano il giorno 11 senza arrecare particolari
danni, al termine di un’eccezionale sequenza
di quattordici giorni piovosi consecutivi. Tra il
16 e il 19 lo Scirocco ha fatto registrare nuovi
primati termici per febbraio in città come Pescara
(+26,3°C), Ancona (+21,4°C) e Roma (+17,2°C
di minima, record dal 1782). Ma i venti meriLE MONTAGNE DIVERTENTI Chiareggio (m 1612) in Valmalenco (8 marzo 2014, foto Matteo Gianatti).
Sacco (m 1617), val Grosina Occidentale (7 febbraio 2014, foto Ferruccio Pini).
L'alpe Piazza (m 1835), il pizzo dei Galli e il pizzo Olano (14 febbraio 2014, foto
Roberto Ganassa).
Speciale clima
27
Inverno 2013-14
Speciali
dionali si sono spinti ben più a nord, trasportando polvere sahariana fin sopra la Svizzera,
e conferendo alla neve una colorazione giallorossastra. Inconsueti temporali hanno interessato
la pianura Padana.
L’ultima decade, infine, ha proposto una certa
dinamicità atmosferica, con giornate di bel tempo
alternate a precipitazioni più abbondanti sulle
zone pedemontane e prealpine, anche a carattere
temporalesco. Particolarmente suggestiva l’intensa
grandinata che ha colpito Milano la sera del 26 al
passaggio di un fronte freddo nord-atlantico.
L'alpe Scima (m 1875) in Valchiavenna (8 febbraio 2014, foto
Roberto Moiola).
Madesimo (m 1538) questo inverno è stata più volte isolata a
causa del pericolo valanghe (20 febbraio 2014, foto G. Rovedatti).
L'alpeggio di Nemina Alta (m 1743) sopra Bianzone (9 febbraio 2014,
foto Beno).
La baite Scalota a m 1800 ca. in val di Rezzalo (24 febbraio 2014,
foto Giacomo Meneghello).
L’inverno 2013-14 in Europa - Nel Regno
Unito è stato un susseguirsi di alluvioni e tempeste
a ripetizione, tanto che il trimestre dicembrefebbraio è risultato il più piovoso dal 1766 in
Inghilterra e Galles.
In Francia è stato il secondo inverno più mite
dal 1900; alluvioni e mareggiate non hanno
risparmiato la Bretagna.
Per la Svizzera è stato il terzo inverno più
caldo degli ultimi 150 anni, con precipitazioni
da primato e ingenti quantitativi di neve in
montagna nelle Alpi meridionali.
Secondo inverno più tiepido in Austria con
frequenti situazioni favoniche, bagnatissimo al
sud e fortemente deficitario al nord.
Quarto inverno più mite in Germania, ma
anche più secco e soleggiato che sull’Europa occidentale e con precipitazioni ovunque sotto la
media specie in Baviera.
Inizio di primavera molto mite e piovoso
al nord - Anche marzo ha regalato temperature complessivamente sopra media, soprattutto al nord-est, dove le anomalie sono state
di +2,5°/+3,0°C. Nelle vallate sud-alpine ed in
Engadina il mese è risultato altresì più piovoso del
normale, benché con scarti decisamente contenuti rispetto al trimestre precedente: dal 70% al
140% dei quantitativi attesi.
Intense nevicate hanno ancora una volta interessato le montagne a sud delle Alpi nella prima
e nella terza decade mensile. Dopo due settimane di tempo soleggiato e a tratti molto mite
(le temperature più alte sono state raggiunte il
giorno 17, con valori massimi sopra i 25°C), la
stabilità è stata bruscamente interrotta da un’irruzione polare il 22 marzo, che ha riportato la
neve fino a basse quote nella giornata successiva
(30-60 cm sopra i m 1000). Infine, gli ultimi
giorni del mese sono stati nuovamente ricchi di
sole, con valori termici sopra la norma soprattutto in montagna.3
Valle Casnaggina - val Bregaglia italiana. Nella foto di sx l'innevamento a m 1600 ca., mentre in quella di dx ai m 1245 di Tabiadascio. La crescita
repentina dello spessore del manto nevoso sopra i m 1500 è stata situazione diffusa nell'inverno 2013-14 (31 marzo 2014, foto Beno).
3 -Fonti consultate:
ESRL-NOAA, ISAC-CNR, APAT e ERSAF/ARPA Lombardia,
Edison, rete MeteoNetwork, Centro Meteorologico Lombardo,
Nimbus, MeteoSvizzera, Wetterzentrale.
28
LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
La neve macchiata dalla sabbia del deserto al rifugio Carate (m 2636) in
Valmalenco (1 aprile 2014, foto Roberto Ganassa).
Il rifugio Omio (m 2100) in val Masino (30 marzo 2014, foto Beno).
Carnale (m 1256), sopra Montagna inValtellina, dopo un' intensa nevicata
primaverile (24 marzo 2014, foto Matteo Gianatti).
Speciale clima
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Val di Mello:
l'arrampicata
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Antonio Boscacci su Grateful dead alle placche dell'Alchechengi (1987, foto Luisa Angelici).
L'arrampicata in aderenza
31
Speciali
L’arrampicata in aderenza
I
n una cartelletta di cartoncino leggero color salmone
intitolata corrispondenza, Antonio
ha conservato le copie delle lettere
inviate alle case editrici e alle riviste
di montagna dal 1980 al 1983. Si
tratta di proposte di libri, di serate
di proiezioni, di articoli.
Antonio scriveva su una macchina
da scrivere Olivetti 82 con il grande
carrello che, arrivato a fine corsa
produceva il suono di un campanellino. Tutta la casa risuonava dell’eco
del rumore dei tasti che aveva
battuto con energia e convinzione
soprattutto se il testo andava scritto
in doppia o addirittura triplice
copia.
Altri tempi!
Nella cartelletta che sta su un
ripiano della libreria Ikea alle spalle
della scrivania dove Antonio lavorava, ho trovato l’articolo L’arrampicata in aderenza che Antonio aveva
spedito alla Rivista della Montagna,
il 5 agosto 1981.
Nella prima parte dell’articolo “La
storia” si respira tutta l’atmosfera
del periodo della grande rivoluzione
sassista. Nel 1978 Antonio aveva
aperto con Jacopo Merizzi la prima
via di VII grado in val di Mello con
le scarpe di ginnastica e, sempre nel
1978, Luna Nascente.
Si respira, dicevo, la contrapposizione e la sfida che la nuova generazione di arrampicatori lanciava
contro la cultura cristallizzata, retrograda e asfittica degli ambienti della
montagna tradizionali, e la consapevolezza da parte di questi giovani,
di essere protagonisti di un cambiamento epocale. Il tono polemico e
accusatorio di Antonio salta subito
all’occhio e non poteva essere altrimenti, in un periodo in cui si doveva
buttare via il vecchio per fare posto
al nuovo, come in qualsiasi movimento di liberazione.
Allora e cioè nel 1981, Giorgio
Daidola, responsabile della Rivista
della Montagna, non pubblicò l’articolo di Antonio. Con toni molto
cortesi e amichevoli gli rispose che
la prima parte dell’articolo esulava
dall’oggetto dell’articolo stesso e
che era un pretesto per parlare di
altre cose… con toni talvolta un
po’ troppo polemici. Consigliava
32
LE MONTAGNE DIVERTENTI Val di Mello
di Antonio Boscacci
La storia
Antonio su Luna Nascente allo Scoglio delle metamorfosi (1989, foto Luisa Angelici).
di sviluppare meglio altri punti
dell’articolo.
È quindi la prima volta che l’articolo L’arrampicata in aderenza viene
pubblicato e letto. Antonio parla
del gesto, del movimento del corpo,
delle qualità necessarie per affrontare una placca, dà consigli per avvicinarsi al mondo dell’aderenza che
era il suo ambiente naturale e dove
sapeva muoversi con intelligenza e
coraggio, dove era semplicemente
“un grande”.
L’aderenza è l’unico modo per
arrampicare su una placca di granito
dove non ci sono appigli, prese, lame
o sporgenze. È considerata un’arram-
picata molto difficile non tanto per
l’impiego della forza fisica, quanto
per la forza mentale che richiede,
per la concentrazione e il controllo
totale delle emozioni.
Tante volte ho visto arrampicatori molto atletici e palestrati, forti
sugli strapiombi e su vie molto difficili, tornare indietro con le orecchie basse da una via di VI grado in
aderenza.
Una bella soddisfazione per
chi, come me, non riusciva a fare
neanche una trazione alla sbarra!
Luisa Angelici
Estate 2014
Se uno gira la testa e si guarda indietro,
vede cose molto strane:
sempre a chi gira la testa le cose sue e
degli altri offrono luci diverse da quelle che
avevano al loro nascere o nel loro svilupparsi. Così, se si osserva il mondo alpinistico del passato, si prova un miscuglio di
sentimenti, dall’ammirazione al sorriso
che, nel complesso, lasciano stupiti.
C’erano i rozzi, i forti, i fortissimi, i furbi,
i chiacchieroni e un certo numero di altre
persone che cavalcavano il loro andar
per monti in modo saggio e interessante.
Ognuno faceva le sue cose senza quasi mai
provare a rompere la cornice (rari i casi
contrari) dentro la quale viveva o lo schema costruito per lui da altri, trovandosi
spesso talmente a proprio agio, da contribuire non di rado a cementare tradizioni e
stupidaggini.
C’erano, sì, ogni tanto leggeri ripensamenti
o momentanee messe in discussione di
principi e verità assorbite da un ambiente
che ne era permeato. C’era chi avvertiva
qua e là che i discorsi di moda potevano
essere approfonditi, adattati, e, perché no,
cambiati e riscritti. Un gradino più in là
c’era una moltitudine di persone che faceva
propri i discorsi degli altri, senza nemmeno
accorgersi del senso delle parole (cosa
Nuova dimensione al Trapezio d'Argento (1986, foto Luisa Angelici).
ancora molto di moda anche adesso).
Qualcuno poi, lentamente, sentì che le
contraddizioni arrivavano ormai a sfiorare
la pelle e cominciò ad approfondirle; era una situazione molto strana, perché, più si scavava
dentro il mucchio delle dabbenaggini precedenti e più ci si accorgeva di quante contraddizioni
nascondessero. Questo indagare e ridiscutere portava con sé un senso di malessere misto a
domande strane: forse non era giusto avanzare in quel modo con la scure, tagliando qua e là, con
il pericolo di essere poco attenti e forse anche poco onesti.
Ma il processo era avviato e tanto valeva lasciar da parte le paure per cercare di fare un po’ di
luce dentro una situazione che si accumulava da decenni, confusa e ingarbugliata.
C’è stata da parte di molti una chiusura a riccio dentro le proprie certezze ed il rapporto con
il nuovo all’inizio è stato di disprezzo; i più disponibili (o avveduti) però si mostrarono anche
teneramente sorridenti nei confronti delle nuove proposte e ci sono stati anche quelli (le accezioni non mancano mai), che hanno buttato alle ortiche il loro vecchio arrampicare per provare
a scegliere i colori del nuovo.
È nato, così come frutto di un albero dalle radici sottili e lunghissime, un modo diverso di guardare le cose, cominciando dai sassi del fondovalle, dove i rapporti da stabilire potevano essere
più facili e l’erba dei prati più disponibile al dialogo.
Da allora se ne è fatta di strada e le modifiche apportate al proprio cervello (alle forme e al
corpo) sono state molte ed importanti. Basta che ciascuno si avvicini a questo sogno con il suo
LE MONTAGNE DIVERTENTI L'arrampicata in aderenza
33
Val di Mello
Speciali
carico di libertà e di gioco, spogliandosi
lentamente delle proprie banalità. E forse
il rischio già avvertibile, sta proprio in
questo: che l’Utopia si trasformi nel sogno
di un momento, che ti lascia un amaro di
fondo difficile da sciogliere.
In discesa su Stomaco Peloso al Trapezio d'Argento (1981, foto archivio
Antonio Boscacci).
Il senso
Il granito ha sempre avuto uno strano
destino; per secoli è stato distrutto,
bombardato, fatto a pezzi e disperso in ogni
dove da centinaia di tonnellate di dinamite,
da miliardi di colpi di martello. Forse è
giunto il tempo di guardarlo meglio, un po’
più da vicino, per scoprire il suo colore e la
sua dolcezza, camminandoci sopra lentamente, in punta di piedi.
Questa è l’aderenza: un leggero contatto
con i cristalli del granito, attento a non
spezzarli con movimenti bruschi e senza
senso, seguendo l’esempio dei ragni che
sono sempre andati sulla roccia accarezzandola con le loro corte o lunghissime
zampe (così come fanno i dolci e delicati
opilioni). Perché non farsi roccia o cristallo
lasciando ogni forma di violenza agli stupidi o ai cattivi imitatori?
E si deve iniziare proprio da lì, dai riflessi
Pediculus, di fronte al sasso Remenno (1984, foto Luisa Angelici).
d’arcobaleno dei frammenti di quarzo, dal
verde delle erbe e dal sapore dei mirtilli,
senza nessuno che voglia spiegarti le luci, i
colori e le sensazioni.
Ognuno vada a cercare dentro di sé, appoggiando le mani al calore della roccia senza dimenticare però il tempo, la fame e le urla dei vicini.
E se qualcuno ti chiede il perché o vuol sapere dei pericoli e degli alberi, prendilo per mano e
accompagnalo dove la scia della lumaca si fa più luminosa. Se viene senza violenza, troverà
amici ovunque che gli insegneranno come fare per dividere con le api il miele e il profumo dei
fiori.
Il come
Per parlare di aderenza bisogna parlare di placche, di suole e di collanti… ma non solo.
Le placche. Queste lunghe lenzuola di granito stese da mani di giganti ad asciugare tra boschi di
faggi e di abeti rossi, con ciuffi di erbe sparse qua e là a rompere la monotonia del colore, sono
il terreno ideale del gioco; nessuno da calpestare o reprimere, niente da rompere o distruggere;
anche i più comuni attrezzi dell’arrampicata diventano in parte superflui e spesso del tutto
inutili.
Arrampicare in aderenza, con protezioni lontane o assolutamente inesistenti, è cosa da fare con
una certa gradualità: nel senso almeno che è opportuno insistere per qualche tempo con vie di
un certo ordine prima di passare a quelle successive. In compenso si impara presto quali sono
le cose necessarie: una indispensabile tranquillità, unita ad un lontano senso di paura, senza il
quale tutto diventerebbe incoscienza (come è possibile però misurare la quantità presente in
ciascuno di noi?). È questa calma-concentrazione che permette il riposo anche su tratti molto
duri quando, davanti, non esistono altro che pochi metri di roccia, ed il resto, anche se presente,
si stempera in una specie di nebbia dolciastra.
Prima di salire tra le vene del granito, occorre individuare i segni, per poterle seguire senza fati-
34
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
ca, poi, divaricando leggermente le gambe,
andar su appoggiando la parte interna del
piede, verso la punta, al di sotto dell’alluce,
cercando insieme un punto di appoggio ed il
successivo, per le mani e per i piedi. È bene
imparare a ‘tirarsi sui cristalli’ sapendo in
precedenza quale sarà il movimento che
viene dopo, e dopo ancora, fino ad un luogo
adatto di riposo (a volte basta un’onda di
pochi centimetri per poter ripartire con
sufficiente energia).
Aggiustando il meno possibile la scarpa
sulla roccia per non rompere i piccoli bellissimi cristalli: lasciarli entrare nella suola e
nelle dita come in un fantastico corto
circuito tra il proprio corpo e la roccia. Le
mani devono essere appoggiate aperte, ad
assorbire ogni rugosità, anche la più piccola, con delicate e forti carezze.
Spesso non esiste una via ben definita e si
sale ovunque, altre volte invece (e questo
capita, come ben si può immaginare su
difficoltà più elevate), lo spostarsi di pochi
centimetri da un tracciato reale ma apparentemente invisibile, rende impossibile il
proseguire.
Per scendere (ma esiste poi lo scendere ed
il salire?): con la faccia in avanti e le gambe
leggermente piegate, aprire i piedi e lasciarsi andare, anche su pendenze incredibili,
alle onde del granito.
Il dove
Scegliere delle vie per farne un quadro graduato non è cosa facile; i caratteri di una via, spesso
numerosi e complessi, portano a disorganicità di valutazione e a dispute a non finire (che seguono sempre qualsiasi tentativo di valutazione). Lo schema proposto, per la posizione e la struttura delle vie della val di Mello e dell'area del Remenno, dovrebbe fornire una scala abbastanza
significativa e soprattutto omogenea dell’arrampicata in aderenza:
nome della via
uomini e topi
stomaco peloso
patabang
bacche di ginepro
baader
quadri di una esposizione
guep
nuova dimensione
fuochi d’agosto
unghia dell’elefante
okosa
cristalli di polvere
via per l’inferno
LE MONTAGNE DIVERTENTI grado di difficoltà
1 / 2 / 3
4+
3 / 4 / 5
5+
6
6- / 6
4/5/6
6 / 6+
77
7+
8
8+
L'arrampicata in aderenza
35
Val di Mello
Speciali
C’è posto per tutti, basta che si
sappia scegliere con attenzione
e rispetto i confini del proprio
gioco, così da potersi ritrovare la
sera a raccontare le cose andate
e ad inventare nuove emozioni
per il giorno che deve venire.
Su Stomaco Peloso al Trapezio d'Argento (1986, foto Luisa Angelici).
Nota: per la maggior parte delle
vie citate si può fare riferimento
alla guida della val di Mello
dell’autore, per le altre è in
preparazione un ciclostilato, che
potrà essere richiesto telefonicamente.
Antonio Boscacci, 5 agosto 19811
1 - Come i più esperti avranno notato i gradi di difficoltà
dati da Antonio in questa lettera del 1981, epressi
secondo la scala UIAA, non coincidono con quelli
correntemente assegnati alle vie e derivanti da anni di
discussioni e confronti tra i rocciatori.
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Panoramica della val di Mello e delle vie segnalate in questo articolo (17 aprile 2014, foto tratta da Mario Sertori, Val di Mello Arrampicate Trad
e Sportive, edizioni Versante Sud, Milano 2014).
Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI L'arrampicata in aderenza
37
Speciali
Ciapponi, dal 1883
Testi Andrea Mihaiu, foto Roberto Ganassa
38
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Dal Ciapponi, in piazza 3 Novembre a Morbegno (il servizio fotografico
39
è stato realizzato da Roberto GanassaCiapponi
il 7 maggio 2014).
Tipicità
Speciali
Primo e Dario Ciapponi al lavoro tra gli amati formaggi.
R
ipide scale che costringono
ad avanzare senza voltare lo
sguardo. Anime che s’incamminano su di esse lentamente, in fila
l’una dopo l’altra come al cospetto
di Cerbero. Ammirano volte di
pietra che hanno memoria del
passato, e sono molti coloro che
in ogni momento s’aggirano scendendo o salendo. Nel frattempo,
da ogni lato, dall’alto e dal basso
pare scagliarsi verso di esse l’intera
assemblea delle tentazioni di gola:
tentazioni per la lingua, per gli
occhi, per il tatto e per l’olfatto.
Ce n’è abbastanza per chiamarlo
“inferno” il micromondo di delizie
e cose belle che i fratelli Ciapponi
conducono da ormai sessant’anni
e da tre generazioni nel cuore di
Morbegno. Un regno del gusto che
attira e imbriglia, affascina e stordisce,
e che si dice abbia il potere di rendere
ritardatario l’uomo più puntuale. Un
fatto provato, questo. Per lo stesso
motivo golosi e curiosi son convinti
che questa meraviglia sia, in realtà,
l’immagine più vicina a quella del
paradiso.
40
LE MONTAGNE DIVERTENTI C’è chi ancora la chiama, ma sono
sempre meno, la “bottega dell’orologio”, per la presenza sulla parete
esterna di un vecchio marchingegno,
ora ripristinato anche se non originale. Per trovarne l’ingresso non
occorre vagare all’infinito. Ci si finisce
in bocca, come per una piacevole e
gradita condanna, una volta abbandonata la trafficata via dello Stelvio e,
per chi sale dal lago, imboccata sulla
destra via Ambrosetti. Lasciato alle
spalle il deserto selvaggio di capannoni e cemento, e raggiunto il trivio
che la piazza Tre Novembre forma
annodando in un unico gomitolo via
Pretorio e via San Pietro, ecco che la
bottega si annuncia al viandante con
le insegne già evocative di “alimentari e coloniali”. A fianco vi è il nome
della famiglia che da un secolo e per
quattro generazioni va sostenendo un
commercio di garanzia e di qualità,
al di là di ogni marchio e riconoscimento. I ciottoli colorati e smaltati
del fiume Bitto costituiscono il fondo
delle cinque vetrine che avvertono
dell’ampia disponibilità di “cordami,
granaglie, formaggi”. Su di essi,
antichi giocattoli, vecchie cartine,
Paolo Ciapponi al lavoro nei pressi dell'entrata del negozio.
strumenti militari si contendono il
posto tra bottiglie d’annata e forme
di Bitto. Un tempo dal Ciapponi si
trovava tutto ciò che serviva alla vita
contadina e alla sopravvivenza. Oggi
molto di più.
LA STORIA
Il negozio vide la luce nel 1883. Il
suo proprietario portava il nome di
Carlo Ghislanzoni. A Morbegno
si ricorda come quello fosse l’unico
negozio del paese, nel tempo in cui
fare il commerciante si può dire che
fosse un lusso. Dalle testimonianze
dei figli e dei nipoti, pare che un
giorno Ghislanzoni avesse fatto il
diavolo a quattro per avere con sé quel
giovane vivace e sempre allegro che
abitava vicino al torrente, nell’attuale
via Ligari, e che all’anagrafe faceva
Paolo Ciapponi. Tutti in Morbegno
lo chiamavano il Paulìn. «Basta che
resti una settimana poi te ne puoi
andare, mi dai una mano con gli affari
qui, dopodiché...», fu la proposta di
Carlo, che la faceva facile. E tuttavia
il Paulin lì non ci voleva stare. Come
molti ragazzi della zona, e specialmente della vicina costiera del Cech
Estate 2014
Paolo Ciapponi il suo futuro lo intravedeva a Roma, città dove aveva imparato l’arte del negoziare. A raccontare
quelle vicende sono ancora oggi i figli
Primo e Dario.
Da quel “dopodiché” passarono
parecchi anni. La guerra del 1915-18
finì e Paolo, che aveva combattuto
sul fronte dell’Italia orientale, era
rientrato. Risultato, a Morbegno ci
rimase. Dalla metà degli anni Venti
condusse in prima persona l’attività pagando un affitto salato. Nel
1954 con il fratello Emilio si comprò
negozio e casa. Sempre per voce dei
suoi eredi, dopo l’offerta del Ghislanzioni, Paolo ci mise pochi giorni a
capire che non se ne sarebbe andato.
IL NEGOZIO
è sempre quel cliente che
nell’uscire trattiene la porta e
si rivolge a chi è fuori con un «prego,
se vuole entrare?». È così che colui che
inizialmente si sarebbe accontentato
di scrutare attraverso la sottile lastra
della vetrina si vede trascinato in un
labirinto di corridoi e scale.
Oltre quattrocento sono i metri
quadrati della superficie commerciale
C’
LE MONTAGNE DIVERTENTI del Ciapponi, situato in un edificio
che, secondo un’incisione, risale al
1692. Tre invece sono i piani che
spingono i visitatori lontano dall’ingresso e gradualmente verso il basso,
fino a toccare i dodici metri sotto il
pavimento della città.
Appena dopo l’uscio, sulla sinistra,
ci si incammina per la via del vino.
Sulla destra o al centro lungo quella
dei biscotti, delle paste, delle confetture e, soprattutto, dei formaggi.
Una sintesi riduttiva, a onor del vero,
che fa violenza delle centinaia, forse
migliaia di cose gustose e interessanti
che istintivamente vien da maneggiare, sollevare, pesare: antichi portacandela in legno e ferro pendono dalle
porte, poesie di poeti valtellinesi (una
è firmata Vedovelli) cantano il negozio
con versi dialettali; tra vecchie radio
e bilance Berkel spuntano introvabili cestini per la pesca o custodie per
cavallette, paioli in rame, lavéc'. Si
perdono tra bisciole, biscotti di Prosto
di Piuro, liquori tipici e farine sugli
scaffali. In una cornice ovale, Emilio e
Paolo Ciapponi posano, l’uno in piedi
e l’altro accomodato, con il tono della
borghesia commerciale. In un’altra
immagine Papa Giovanni Paolo II
abbraccia e divora con gli occhi una
forma di Bitto dei fratelli Ciapponi.
Uno scatto attorno al quale Dario classe 1931 e che del Paulìn è figlio ama ricamare aneddoti di «suore che
non glielo lasciavano mangiare» (al
Santo Padre!) o di inaffidabili messi
nelle cui mani pare sia stato un bene
non consegnare la forma spedita in
Campidoglio. Occhi azzurro vispo,
un’ironia da far invidia al più forte
comico umorista, Dario è il Virgilio
migliore che al viandante possa
capitare.
RICORDI
Adora parlare. «Questi scaffali?
Avranno quattrocento anni. Li ha
fatti da un falegname di Morbegno
con le travi del tetto. Guardi poi
questo registratore di cassa: è tutta
roba moderna». Indica un marchingegno che due persone faticherebbero a spostare. Nel corridoio centrale
illustra come «qui i carri entravano e
uscivano trascinati dai cavalli, mentre
si segnava il dare e l’avere». La sua
mano corre su pese e stadere che
hanno piatti dotati di beccucci, adatti
Ciapponi
41
Tipicità
Speciali
Viaggio tra le numerose stanze del negozio.
Bitto di Pescegallo invecchiato 10 anni.
Una vecchia cassa risalente ai primi del '900.
a far scivolare i grani nei sacchi, ma
comprende che l’attenzione dell’ascoltatore è assorbita da una piccola
stanza laterale: la sala dei formaggi.
L’ingresso suscita stupore. Si tratta di
una minuscola casera in nuda pietra e
fornita di una sola, minuscola finestra,
e nella quale tra i migliori salumi e le
bresaole locali si trova il Bitto accuratamente selezionato e fatto stagionare
dalla famiglia. Le porzioni fuoriescono
volteggiando tra le mani dei clienti,
che le portano a spasso adagiate
su minuscoli e grezzi taglieri. Non
mancano formaggelle di capra, tome
piccanti, forme di Casera. Tra tanto
ben di Dio il còlmen in legno della
chiesa di Andalo (1792), il vecchio
slittino o la bicicletta dell’anteguerra,
anch’essa mezza sospesa, non godono
dell’attenzione che altrove susciterebbero. Senza possibilità di scampo, lo
sguardo è magnetizzato dalla scritta
“Ciapponi, Bitto dal 1883”, impressa
a mano e in verde corsivo sulle croste
giallastre di invitanti masse tonde.
Al primo piano ribassato si trovano
decine di forme, lasciate riposare.
Dario Ciapponi, che ha ancora gambe
forti per scendere e salire, si può dire
che nel campo sia una vera autorità.
«Il Bitto – racconta – si produce dal
15 giugno al 15 settembre. Arriva qui
fresco. Lo si posa sulle assi lasciando
che fuoriesca di un dito. Così si riesce
a capovolgerlo senza rovinarlo. Per i
primi mesi va rivoltato due o tre volte
alla settimana, sempre raschiando con
un pezzo di falce le forme e lavando le
tavole di legno, anch’esse da rigirare.
Dopo un anno è abbastanza duro
e lo si può allineare in verticale». A
ogni racconto seguono sempre nuovi
trucchetti. «Quando lo si vuole acquistare, con le dita bisogna premere
sulla superficie e fare delle cunette,
e lui deve tornare su. Se screpola non
si può stagionare, bisogna tagliarlo
e venderlo alla svelta». Parole nelle
quali non c’è nulla dell’affabulatore.
Primo e Dario nel corridoio cinto da scaffali colmi di prodotti.
C’è piuttosto l’esperienza di una
vita. Ci sono il nonno e un’infanzia
vissuta tra gli alpeggi. C’è l’amore
per un prodotto che «adesso bisogna
stare attenti a proteggere da tanta
porcheria».
«Il nonno mi insegnava che nelle
giornate calde il latte è più grasso e
non riesce a cagliare. Per questo mi
insegnò a prendere l’acqua del Bitto
e a versarla nella caldaia, per togliere
quei gradi che impediscono di lavorare. Un giorno un bambino vide
quest’operazione e disse a suo padre
«i Ciapponi fanno il formaggio con
l’acqua!». Quando lo incontrai mi
guardò da lontano come a dire “cos’è
‘sta storia dell’acqua nel formaggio?”.
Insomma, gli ho dovuto spiegare la
rava e la fava...».
Pochi di noi saranno costretti a
metterli in pratica sull’alpe Piazza,
Pescegallo o Trona Soliva (dove i
Ciapponi andavano a caricare), ma
questi e altri insegnamenti («prendere
Le forme di formaggio stagionano accanto ad una ruota da carro delle risaie.
la pelle dietro alla zampa della vacca e
tirare: se è grassa è buona per la carne,
se è sottile va bene per il latte» oppure
«picchiare ginocchio stinco e unghia:
se la zampa non si muove è meglio
lasciare l’animale a valle») restano
per sempre impressi nella memoria
di chi scopre in via Tre Novembre
una piccola e autentica roccaforte di
valtellinità.
L'EDIFICIO
Negli anni l’edificio in cui i Ciapponi vivono e lavorano non ha
subito stravolgimenti. L’impressione è che la famiglia abbia difeso
semplicità e tradizione nonostante
le grandi ricchezze procurate dagli
affari. Ne dà conferma non soltanto
Primo, fratello di Dario, classe
1924, che spiega come «fin dagli
anni Cinquanta avevamo capito che
la produzione industriale minacciava
quella tradizionale», ma anche la
smisurata passione che sia Alberto
LE MONTAGNE DIVERTENTI dipinto i numeri, un falegname ci
ha fatto il fondo in noce». Mostra
arnesi mai visti, tra cui enormi
mannaie «per spacà i bestij’ o un
vecchio selz della Galbusera «quando
aveva il bancone del bar», una «affettaprosciutti che dicono sia del Settecento» e uno «snocciolatore di olive
a mano della fabbrica di conserve
Biffi: eravamo loro clienti, quando
hanno chiuso ci hanno lasciato
un po’ di materiale». Chi svuota
vecchie stalle e cantine si rivolge a
lui, che pagando risistema e mette
in vendita. Il risultato sono centinaia e centinaia di manufatti in bella
mostra o nei magazzini. Per tutto
questo il Ciapponi è senza dubbio
il miglior museo di storia locale
visitabile gratuitamente, anche se
spesso, tra tanta «roba moderna» e
appetitosa, finisce che le tentazioni
riescano ad averla vinta e a spingere
la mano… verso il portafogli!
Tra le tante, bottiglie di vino valtellinese di oltre 40 anni fa.
La saletta di vendita e assaggio di prodotti locali.
42
Ciapponi, figlio di Dario, sia Paolo,
suo cugino, mostrano nel mantenere viva l’attività. Il primo è un
sommelier professionista e ha 47
anni. Ha creato una cantina che
conserva circa 800 etichette, delle
quali quattro quinti provengono
dal territorio valtellinese. Crede nel
ritorno alla tradizione, ma «senza
esagerare» e soprattutto nella difficoltà oggi di «riconoscere cos’è
autentico e cosa no». Descrive con
orgoglio i condotti che permettevano agli antichi proprietari di fare
scivolare la neve al piano più basso,
dove la temperatura rimane stabile
anche d’estate, attorno ai 10 gradi.
Il secondo è l’uomo che, assieme alla
sorella Lucia, ha raccolto, restaurato, esposto buona parte dell’intera
gamma di materiali in esposizione.
«Questa era la piccozza di mio padre
e questa una fascera per i matüsc, i
formaggi piccoli. L’abbiamo trasformato in un orologio, mia sorella ha
Paolo e Alberto nel reparto vini.
Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Ciapponi
43
Antonio
Cederna e la vetta di Ron Speciali
acquerello di Kim Sommerschield
(www.sommerschield.it - in mostra all'Atelier
Pestalozzi a Chiavenna luglio-settembre 2014
e al rifugio Savogno 18-27 luglio 2014).
Personaggi
Antonio Cederna
(1841-1920)
patriarca dell’alpinismo lombardo e della difesa dell’ambiente
44
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Occhi
Antonio CedernaRaffaele
(1841-1920)
45
Personaggi
Speciali
S
e
patriarca,
nell’accezione
odierna, è la persona più anziana
e autorevole di un gruppo dedito
ad una certa attività nel perseguimento di determinati obiettivi, aveva
ragione Massimo Mila – in Cento
anni di alpinismo italiano – a ritenere
Antonio Cederna «patriarca dell’alpinismo lombardo». Già in età avanzata,
infatti, il nostro convalligiano di Ponte
in Valtellina (dov’era nato nel 1841)
aveva saputo conquistarsi considerazione e rispetto non solo in seno al
CAI e nell’ambiente alpinistico con le
sue ascensioni e il suo alpinismo sistematico e di esplorazione, ma anche fra
le popolazioni alpine con la sua attività
divulgativa e promozionale in favore
della montagna, di quella valtellinese e
lombarda in particolare.
Il Club Alpino Italiano poté infatti
contare a lungo sull’entusiasmo, le
competenze e le capacità organizzative del Cederna: fu presidente della
Sezione di Milano prima (1896-1899),
di quella Valtellinese poi (1901-1919),
nonché per diversi anni consigliere e
vice presidente generale del CAI. Sotto
la sua guida fiorirono le gite sociali,
l’alpinismo giovanile, le riunioni intersezionali; col suo contributo si tracciarono sentieri e si costruirono rifugi.
Pur non figurando fra i promotori
della Sezione di Sondrio, che «si costituì
nel 1872, con effetto utile dal 1° gennaio
1873», il suo nome lo troviamo
comunque nell’elenco dei soci fin dagli
inizi; la sua prima sortita pubblica ufficiale in rappresentanza del CAI data ai
primi di settembre del 1875 quando,
insieme al dott. Alessandro Rossi (il
“dottor Sücc”) e all’avv. Giacomo
Merizzi, «muniti di commendatizia» del
presidente della Sezione Valtellinese,
senatore Torelli, partecipò all’inaugurazione del rifugio Payer all’Ortler, allora
in terra austriaca. L’Ortler, lui, il Rossi
e un Rosatti di San Giacomo lo salirono poi il giorno successivo, «accompagnati dalla buonissima guida Luigi
Pinghera [Alois Pinggera] di Sulden».
A
ben guardare, allora il Cederna
non era più un giovinetto, ma
c’è da giurare che la passione per la
montagna l’avesse covata fin dall’infanzia, sgambettando su per la val
Fontana proprio dietro casa o rimirando le Orobie al di là dell’Adda, che
Helen Hamilton, moglie di Alfredo Corti,
sulle sponde del lago di Rogneda. Sullo sfondo
la Corna Brutana(m 3059) di cui Antonio
Cederna fu tra i primi salitori (luglio 1915,
archivio Alfredo Corti - CAI Valtellinese).
46
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inaugurazione della capanna Cederna (ora Cederna-Maffina) nell'alta val Fontana. Al centro della
foto, con il cappello bianco e di profilo, è Antonio Cederna, che finanziò la costruzione del rifugio
(31 luglio 1904, foto archivio Alfredo Corti - CAI Valtellinese - www.archiviocorti.it).
da nessun posto si vedono meglio che
da Ponte.
Proprio ai Monti e Passi della Val
Fontana dedicò una pregevole monografia, pubblicata nel Bollettino del CAI
del 1885 in cui, oltre a delineare con
precisione l’orografia e la topografia
della zona, descrive le ascensioni che
vi fece con la guida di Chiesa Valmalenco Michele Schenatti. Alfredo Corti
– recensore non certo tenero – ne
formulò il «più lusinghiero giudizio»,
affermando senza esitazioni che «spetta
al Cederna il vanto e il merito di aver
salito per primo molte vette [tra cui la
vetta di Ron, la cima e la punta di
Vicima e la corna Brutana], esplorato
con affetto figliale il gruppo e di averlo
fatto conoscere con pubblicazioni succes-
sive». Alla val Fontana, dove già nel
1875 aveva salito il pizzo Calino «in
compagnia di Della Valle Pietro detto
Venturin, cacciatore di Castione», regalò
poi nel 1903, quand’era presidente
della Sezione Valtellinese, un rifugio
per facilitare le ascensioni nel gruppo
dello Scalino; gli venne dato il nome di
“Rifugio Cederna”, in segno di ringraziamento per la generosità «dell’uomo
che ha consacrato la sua attività intelligente al bene della Valtellina» (oggi,
dopo tante vicissitudini, ricostruito col
nome di Cederna-Maffina).
Poi vengono le montagne di fronte
a Ponte, quelle che un tempo venivan
chiamate Alpi Bergamasche, e che
il Cederna insisteva (e il tempo gli
diede ragione) col voler chiamare Alpi
Antonio Cederna (1841-1920)
47
Personaggi
Speciali
La vetta di Ron (m 3136) dalla punta meridionale della Corna
Brutana (cartolina spedita nel 1930, archivio Maurizio Cittarini).
Orobie. Ed è proprio lì che raggiungono la massima altezza e offrono le
salite di maggior interesse alpinistico,
nel gruppo Coca-Redorta; a furia di
guardarlo, era rimasto così affascinato
da quell’ambiente «severo, pittoresco e
veramente alpino, in grazia della sua
mole, delle sue ripide pareti, degli aspri
contrafforti e dell’ampia stesa di ghiacciai» (come scrisse sul Bollettino del
CAI del 1890), ed in particolare da
quel gran canalone ghiacciato che dal
pizzo di Coca scende verso la vedretta
dei Marovin e la val d’Arigna, che nel
1889 ne fece la prima salita, un’impresa magnifica se si considerano i
limitati mezzi tecnici di allora; «ebbe a
guida ­– come ci ricorda Alfredo Corti
– Antonio Baroni; e umile collaboratore
devoto gli fu Andrea Valesini (Andrin
Tissol)». Con gli stessi, pochi giorni
dopo, fece la prima salita della cresta
nord della punta di Scais; al pizzo di
Coca ci tornò anche molti anni dopo,
nel 1908, e sempre col fido Valesini vi
fece la prima salita per la cresta nord.
Il Bollettino del CAI del 1891 ospitò
un altro bel lavoro del Cederna, dedicato anch’esso ad una valle allora
negletta, la val Grosina («così bella, a
detta degli stranieri, e così poco conosciuta»), che aveva percorso due anni
prima salendone diverse cime con la
guida Giuseppe Krapacher di Premadio
(Todeschìn). Oltre ad illustrarla con
i suoi scritti, e a farla così conoscere
ed apprezzare, ne fece oggetto di una
applaudita conferenza nel marzo 1892
a Milano.
Non mancò il Cederna di visitare i
recessi più appartati del Livignasco,
sempre col Krapacher, dove nel 1888
salirono per primi il piz da l’Acqua e il
pizzo Filone, misero piede sulla Corna
Cavalli e sul Corno di Campo, ed
espugnarono poi la Cassa del Ferro,
il «misterioso monte» a cavallo tra
Livigno e Fraele, con il fascino tutto
particolare degli immensi ghiaioni e dei
«fiumi secchi di detriti, i quali scorrono
Il fianco destro della val Fontana, dal pizzo Calino (a sx) al pizzo
Painale (a dx) (1910 ca, archivio Alfredo Corti - CAI Valtellinese).
48
LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo Painale (m 3248) versante NE coi ghiacciai di Painele E e del
colle di val Molina(ottobre 1910, archivio Alfredo Corti).
lentamente verso le acque che bagnano
tutto all’ingiro le radici del monte».
Ma nel contempo il Cederna non
disdegnò affatto le regioni montuose
più famose del Bernina – dove salì
tra l’altro lo Zupò, l’Argento, il
Cambrena, il Varuna e il Tremogge
– o del Disgrazia, e neppure le vette
più famose della Valfurva – Cevedale,
Rosole, Palon della Mare, San Matteo
e Tresero – visitate nel 1887 anche
coi figli in occasione di un soggiorno
a Santa Caterina. Ed eccolo ancora in
azione, l’anno successivo, a raggiungere il Gran Zebrù per il canalone
delle Pale Rosse con la guida Battista
Confortola, che già l’aveva accompagnato, nel 1885, lungo l’impegnativa
cresta dell’Hochjoch all’Ortler, di cui
allora si contavano solo una decina di
ripetizioni.
Dalla lettura delle sue relazioni e
dai diari che teneva durante le passeggiate emerge la figura di un alpinista di
stampo ottocentesco, preciso e scrupo-
Cartolina viaggiata nel 1923
(archivio Maurizio Cittarini).
Estate 2014
Il Corno di Campo (m 3232) dall'alpe Vago (anni '30, archivio Cittarini).
loso fin quasi alla pignoleria, che nulla
voleva lasciare al caso: «tenevo molto
al mio equipaggiamento – scrisse – il
sacco con tutte le sue tasche colme di cibo,
bicchieri d’alluminio, grandi tovaglioli,
temperino, fornelletto per fare il tè una
volta in alto, la corda, e la piccozza». E
nel suo assecondare «la passione che va
svegliandosi nelle donne e nei fanciulli
per le escursioni in montagna», non
mancava di consigli per le gentili alpiniste, a cui suggeriva, per non destar
scandalo, «una gonna da cingere provvisoriamente uscendo dai villaggi e all’entrarvi, fatta in guisa che, levandola, serva
come scialle».
A
ntonio Cederna, come abbiamo
visto, era arrivato relativamente
tardi all’alpinismo.
Da Ponte, ancor giovane, si era
infatti trasferito a Milano dove, «senza
danari ma ricco di studi, iniziava un
duro tirocinio» nel campo commerciale.
Dopo la cacciata degli Austriaci dalla
Cartolina viaggiata nel 1921
(archivio Maurizio Cittarini).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Argento e Zupò dal ghiacciaio di Fellaria (anni '20, archivio Cittarini).
Lombardia, come molti altri valtellinesi fu preso dal fermento per l’unificazione nazionale; ed ecco che, fresco
di studi classici e di passione filorisorgimentale («nella diffusa, convinta,
partecipe volontà di “fare l’Italia”,
senza esclusivismi regionali, né paratie
stagne, né siepi divisorie fra una regione
e l’altra», come ha ben sottolineato il
prof. A. Colombo nell’introduzione al
volume Il Risorgimento e la Valtellina),
nel 1860 «vestì la divisa garibaldina, fra
le truppe che operarono nel napoletano,
dal Volturno a Gaeta» (così Alfredo
Corti che, alla morte del Cederna,
tenne a Sondrio per iniziativa della
Sezione Valtellinese del CAI un lungo
discorso commemorativo). Poi, lasciata
la camicia rossa, «con intuizione veramente luminosa – sono sempre parole
del Corti – il Cederna capì che l’Italia,
nazione appena sciolta dalle strettoie di
servaggi secolari, giovane e povera, tutto
aveva da apprendere da nazioni più
mature, meglio educate, meglio preparate
al commercio». E quell’intuizione, arricchita da esperienze e viaggi all’estero
(«i grandi viaggi compiono veramente la
funzione di ampliare la capacità intellettuale delle persone»!), lo portò successivamente «dal campo del solo commercio
a quello più alto e più nobile, se pur
più aleatorio, della produzione». Nel
1886, infatti, assunse la direzione del
Cotonificio Lombardo di cui divenne
la mente e l’anima, «creandovi l’industria della tintoria che contrastò e
contrasta vittoriosamente i tessuti stranieri». L’anno successivo costituì la
Società “A. Cederna e C.”, rilevando
gli impianti milanesi del Cotonificio
Lombardo; aprì poi un nuovo stabilimento a Monza con un’ottantina di
operai, affiancato da quello che è ancor
oggi il “Villaggio Cederna”, un insieme
di edifici destinati all’alloggio oltre
che alla vita sociale e aggregativa delle
maestranze, espressione del capitalismo
illuminato dell’epoca.
La Società raggiunse un notevole
Cartolina viaggiata nel 1903 (archivio Maurizio Cittarini).
Antonio Cederna (1841-1920)
49
Personaggi
Speciali
grado di floridezza e i «suoi prodotti in
tintoria e candeggio» risultarono così
apprezzati che, come leggiamo in un
trafiletto su La Valtellina a proposito
dei personaggi benemeriti di Ponte,
il Cederna fu premiato con medaglia
d’oro e diploma all’Esposizione Generale Italiana di Torino del 1898.
Il Cederna non si limitò a gestire
la sua azienda, ma partecipò anche
alla vita sociale e politica, ricoprendo
cariche e ruoli di rilievo in diversi enti
e associazioni. A Milano, nel 1901,
promosse l’istituzione di una scuola
pratica di commercio, a cui fu prodigo
d’aiuto; fu poi a lungo consigliere e
vice-presidente della Società d’esplorazione commerciale in Africa.
N
onostante tutti gli impegni e
le preoccupazioni del lavoro,
il Cederna riuscì sempre a trovare uno
spazio da dedicare all’alpinismo (nel
senso più ampio) e alla sua valle. Da
Winterthur in Svizzera, durante un
tirocinio commerciale, aveva salito il
Säntis, dove l’andare in montagna «è
una specie di culto, che fa parte integrale
della loro educazione». Poi da Milano,
ove risiedeva, frequentò per molti
anni le Prealpi Lecchesi, il Resegone e
la Grigna, il Legnone; ma si concesse
pure qualche puntata più lontana e
significativa nelle Alpi Occidentali,
dove scalò il Rosa, la Grivola «a lungo
desiderata», la Bessanese in val di Lanzo
e infine il Cervino, raggiunto nell’agosto del 1884 dal versante italiano con
le guide Antonio Castagneri (il famoso
“Toni dei Tuni”) e Daniel Maquignaz
(la guida di Vittorio Sella nel Caucaso).
L’alpinismo, per il Cederna, non
doveva però rimaner chiuso ad una
fortunata ma ristretta cerchia di
touristes. Come allargarne dunque la
base, e quindi favorire una maggior
frequentazione delle montagne,
se non promuovendo gite sociali e
adoperandosi per la realizzazione di
rifugi e la segnalazione di sentieri?
Eccolo dunque organizzare e dirigere escursioni collettive, o caldeggiare
incontri e convegni intersezionali, per
favorire la conoscenza e la collaborazione fra gli alpinisti, con una particolare attenzione ai giovani e agli studenti;
le gite giovanili divennero con lui uno
dei capisaldi dei programmi del CAI.
Grandi energie dedicò poi ai rifugi
alpini: è lui che volle la capanna
Marinelli alla est del Rosa (dopo la
catastrofe in cui perì, con Marinelli
e Imseng, anche la guida di Valfurva
Battista Pedranzini) o la Releccio (oggi
Bietti-Buzzi) al Grignone. È ancora
lui che, con un occhio di riguardo
per la sua Valtellina, lanciò l’idea di
un rifugio ai piedi del Gran Zebrù, la
capanna Cedeh (oggi Pizzini-Frattola), di cui appaltò i lavori alle guide
di Valfurva «per speciale incarico avuto
dalla Direzione» del CAI Milano.
E non possiamo dimenticare che la
negletta val Grosina – come scrisse
Alfredo Corti – «ebbe anche dall’appoggio e dall’iniziativa del Cederna stesso
il vantaggio di due Rifugi. Uno, il più
alto, inaugurato nel 1891 in un punto di
interesse grandissimo per la strategia alpinistica del Gruppo, al Passo di Dosdé, in
mezzo al nodo centrale della testata della
Valle, fra le Cime di Dosdé e di Lago
Spalmo. L’altro, la simpatica Casa d’Eita
[...] destinata a permettere il godimento
della parte meno alpestre della valle e a
servir di tappa o di base per chi volesse
salire alla capanna più alta di Dosdé».
Fu poi grazie al Cederna che la
Sezione Valtellinese poté ottenere dal
CAI Milano, nel 1893, un contributo
per la realizzazione del rifugio Guicciardi a Scais. E ancora, nel lungo
periodo in cui fu presidente della
Sezione Valtellinese, oltre a donare –
come abbiamo già detto – il rifugio
che porta il suo nome in val Fontana,
il Cederna si adoperò per l’ampliamento della capanna Marinelli al
Bernina che venne dotata nel 1906 di
un servizio di alberghetto.
U
na costante che accompagnò
tutto il percorso alpinistico ed
imprenditoriale del Cederna fu il sacro
chiodo del progresso e dello sviluppo
turistico della montagna, e in particolare della sua Valtellina, accompagnato da una coscienza ambientale
ante litteram che si ritroverà nei suoi
discendenti.
Durante un’ascensione alle cime
di Lago Spalmo, preconizzava – forse
pensando ai telai dei suoi opifici – lo
sfruttamento delle risorse idriche costituite dai ghiacciai: «Quale sterminato
magazzino di energia idraulica! Quanti
meccanismi potranno essere mossi utilizzando le acque che scaturiscono da cotesti
enormi serbatoi ed a quali distanze si
potrà portare questa forza mediante
l’elettricità? Il trasporto elettrico dell’energia meccanica a grandi distanze,
quando troverà da noi un’applicazione
simile a quella che rende ora orgogliosa
la Germania?». Questo sfruttamento
però avrebbe dovuto avere una contro-
La capanna Dosdé nel 1904 (foto Giovanni De Simoni,
archivio Gabriele Antonioli).
Gruppo di Sondriesi alla capanna Cedeh verso fine '800 (archivio CAI
Sondrio, immagine tratta da Montagne di Valtellina e Valchiavenna,
Banca Piccolo Credito Valtellinese, Sondrio 1982).
partita a favore dei comuni; è plausibile che l’idea di farli compartecipare ai
canoni per l’utilizzo delle “forze idrauliche” attraverso un consorzio (anticipatore del BIM) fosse stata concepita
– come suggerisce Franco Monteforte – proprio dal Cederna, insieme
a Rinaldo Piazzi, Emilio Quadrio
e Giuseppe Ponzio, negli ambienti
dell’Associazione Valtellinesi a Milano.
Il Cederna, figura rappresentativa
della borghesia lombarda di stampo
illuminista, ebbe parte attiva nella vita
valtellinese con svariate altre iniziative:
basti ricordare la rinascita dei Bagni
di Bormio ritornati sotto la sua presidenza in mano italiana, la promozione
di strutture alberghiere, il sostegno alla
scuola dei canestrai di Albosaggia e alle
“piccole industrie” di Bormio; non
mancò il suo contributo quando, nel
1899, andò completamente a fuoco il
paese di Sant'Antonio Valfurva, così
LE MONTAGNE DIVERTENTI come non era in precedenza mancato
il suo aiuto a favore della famiglia di
Battista Pedranzini, dopo la tragedia
sulla est del Rosa nel 1881.
E non possiamo non sottolineare la
sua visione profetica sulle potenzialità turistiche della montagna come
quando, ad esempio, sosteneva la
necessità delle strade per favorire gli
scambi e il turismo; basti leggere il
resoconto sulla Rivista del CAI del
1888 di Una escursione invernale in Val
Livigno, in cui auspica il collegamento
stradale attraverso il Foscagno di quella
regione allora sperduta con il resto
d’Italia, resoconto giustamente ripreso
nel volume Ascensioni celebri sulle
Retiche e sulle Orobie dal prof. Bruno
Credaro, per «scoprire la singolare attitudine del Cederna a vedere, proiettate
nel futuro, le possibilità turistiche di una
zona singolare e pittoresca, come è quella
di questo altissimo e lunghissimo borgo».
Ad Antonio Cederna, alpinista di
stampo ottocentesco, si deve riconoscere una visione realistica e moderna,
ma nello stesso tempo illuminata sui
temi ambientali. Era contrario alla
caccia («Mai mai volli portare il fucile
che molti altri amici o conoscenti alpinisti
ritenevano indispensabile nelle gite [...] le
macchie di sangue nella neve m’immalinconivano alquanto, quasi togliendomi il
gusto della gran bella camminata»), ma
soprattutto deplorava il disboscamento
indiscriminato frutto di speculazione
e «l’ignoranza d’ogni criterio in fatto di
silvicoltura e di climatologia»; invitava
quindi a domandarsi «se quanto accaduto qui ed altrove sia stato veramente
un progresso», richiamando l’attenzione alle «provvidenziali armonie della
natura» troppo spesso «violentate».
Nel formulare queste considerazioni,
il Cederna doveva aver ben presenti i
problemi del dissesto idrogeologico
Sulle pietraie della val di
Ron durante la gita sociale
del CAI Sondrio alla vetta
di Ron del 26 luglio 1896
(archivio CAI Valtellinese).
La casa d'Eita nel 1904 (foto Giovanni De Simoni,
archivio Gabriele Antonioli).
50
La capanna Marinelli nel 1910, da pochi anni dotata di servizio di
alberghetto (archivio Maurizio Cittarini).
La capanna Cederna nel giugno 1905 (foto archivio Alfredo Corti - CAI
Valtellinese - www.archiviocorti.it).
Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Antonio Cederna (1841-1920)
51
Personaggi
Alpinismo
In alto a sx: Giulio Cederna, figlio di Antonio, in vetta alla Corna di
Mara (m 2807) nel 1898 (foto archivio Giuseppe Cederna).
In alto a dx : Giulio Cederna in vetta al monte Bellavista (m 3922)
(5 settembre 1906, foto archivio Giuseppe Cederna).
In basso a sx: Giuseppe Cederna, nipote di Giulio, su un alto passo
himalayano lungo la strada verso il Ladakh (India, 2004, foto Gianpiero
Bianchi - archivio Giuseppe Cederna).
Gli schizzi topografici di val Fontana e di val Grosina realizzati da Antonio Cederna (immagini tratte dal Bollettino del CAI del 1885 e del 1891).
Il 19 luglio Punto Ponte esporrà nel centro storico di Ponte in Valtellina una mostra dedicata ad Antonio Cederna.
che affliggevano (e affliggono ancora)
i territori di montagna. Se da un
lato, dopo le inondazioni del 1888,
elogiava «la Sezione di Milano che non
manca mai all’appello quando trattasi di
soccorrere gli infelici di qualsiasi regione
alpina», dall’altro affermava con forza
che «tale solidarietà non deve finire colla
limosina» ma dev’essere accompagnata
dallo studio delle cause e degli opportuni rimedi; in particolare, si chiedeva,
«a che giovano ormai le arginature, le
briglie ed altre opere di difesa se in pari
tempo non si pensa al generale rimboscamento della valle?» E per dare l’esempio,
come ci ricorda il Corti, «sul suo bel San
Bernardo il Cederna coltivò per tutta la
vita la sacra abitudine delle piantagioni;
col fido Andrin Tissol ogni anno, in ogni
spazio di cui poteva disporre, i piccoli
larici erano affidati alla terra ed amorosamente difesi dal morso delle capre».
Nel 1912, dopo il terribile nubifragio del 21-22 agosto, la rivista Pro
Valtellina – organo dell’omonima associazione per lo sviluppo del turismo e
la valorizzazione culturale della valle, di
52
LE MONTAGNE DIVERTENTI cui il Cederna era stato uno dei sostenitori nonché presidente onorario –
pubblicò un Numero unico a favore dei
danneggiati dalle alluvioni, affidandone
la presentazione proprio al Cederna.
Ne riportiamo alcuni brani: «Sento
profondamente il lutto della Valtellina
per le calamità onde fu colpita – scrive
– e piango sulle miserie di tanta brava e
buona gente che soffre nel presente e nella
triste visione dell’avvenire! [...] Mai,
come quest’anno, erano stati battuti i
grandi ghiacciai dei gruppi del Bernina
e del Cevedale, da alpinisti italiani e
stranieri. Ogni vetta, ogni altura, ogni
valle, ognuno dei numerosi laghetti,
veri gioielli incastonati fra le rocce
intorno ai due e ai duemila cinquecento
metri, sparsi lungo le catene montuose
che cingono la valle, aveva i suoi visitatori ed ammiratori. Qui incontravate l’alpinista per l’alpinismo; là chi
era venuto per studiare la flora rara
delle montagne valtellinesi, o la fauna,
o i calcari ed i marmi, o le dioriti, le
sieniti ed i porfidi, o i graniti, i gneiss,
le pietre verdi, gli scisti ecc., o a racco-
gliere cristalli, tormaline e granate.
Altrove era l’artista in cui vi imbattevate [...] Man mano che si inoltrava
l’estate, cresceva nei buoni contadini la
radiosa visione di ottimi raccolti e chi
pensava al pagamento di qualche debituccio, chi ad aumentare l’armento o
ad introdurre migliorie nella coltivazione. Ma ecco: il cielo si oscura; romba
minaccioso il tuono in continuo balenar
di lampi; freme la terra sotto lo scroscio della grandine, che sferza rabbiosa
il monte e il piano; indi un diluvio
d’acqua e turbini e saette, funesta luce
sull’orrenda scena. Da lungi, un insolito minaccioso rumore getta in tutti
sgomento e paurose previsioni. Ognuno
pensa alle case, alle famiglie, agli
armenti e intanto s’avvicina il rombo
dei torrenti, degli alberi schiantati,
delle pietre divelte e fra di lor cozzanti.
È la montagna che precipita e piomba
sui villaggi, abbattendo case, stalle,
fienili e spargendo la distruzione e la
morte ove poc’anzi era pace di famiglie,
sorriso di angioletti, smeraldo di prati,
profumo di bionde messi ondeggianti e
Estate 2014
di tralci opulenti!»
Non solo imprenditore, non solo
patriota e alpinista, ma anche giornalista era Antonio Cederna; e si capisce,
degni di tanto nonno, da chi presero i
nipoti Antonio e Camilla!
A
ntonio Cederna se ne andò
nel 1920, e «dorme ora l’ultimo
sonno nel quieto, solatio Camposanto
della sua Ponte: a tergo si ergono la Vetta
di Ron e la Corna Brutana: di fronte la
parete austera del Pizzo di Coca, le creste
dentellate dei Druiti” (dalla commemorazione di Alfredo Corti).
Della passione per la montagna,
dell’attaccamento alla Valtellina, a
Ponte e a San Bernardo (dove aveva
avuto ospite, tra gli altri, anche l’alpinista Achille Ratti, futuro papa Pio XI),
delle iniziative a difesa dell’ambiente e
del territorio attraverso i rimboschimenti, il “patriarca” Antonio Cederna
(questa volta, attenendoci alla Treccani, quale “capo di una grande famiglia, che ha piena e indiscussa autorità
su tutti i suoi discendenti”) aveva però
LE MONTAGNE DIVERTENTI gettato il seme, che sarebbe germogliato e fiorito con le generazioni.
Il figlio Giulio proseguì nell’opera
di denuncia dei disboscamenti selvaggi
dalle colonne de La Valtellina, evidenziando «i danni arrecati nei luoghi ove
su vasta scala vennero decimate le foreste
coll’unico egoistico criterio di far danari»
e deplorando il vandalismo che non
aveva lasciato indenne nemmeno il
“Bosco del Club Alpino” sopra San
Bernardo dove il padre aveva fatto
mettere a dimora nel 1887, col contributo del CAI, ben 15 mila larici.
Il nipote Antonio fu paladino nella
difesa del territorio e del paesaggio in
Italia, non esclusa la nostra Valtellina,
giornalista rigoroso e agguerrito che
condusse le sue battaglie dalle colonne
del Corriere della Sera, di Repubblica,
de L’Espresso, così come attraverso
Italia Nostra di cui fu tra i fondatori
e in ultimo da parlamentare. «La lotta
per la salvaguardia dei valori storiconaturali del nostro paese – scriveva nel
1961 – è la lotta stessa per l’affermazione della nostra dignità di cittadini, la
lotta per il progresso e la coscienza civica
contro la provocazione permanente di
pochi privilegiati onnipotenti».
Il pronipote Giuseppe infine, oltre
che affermato attore, è grande appassionato di montagna e di viaggi.
Nel 1999 fece un viaggio-pellegrinaggio verso le sorgenti del Gange, il
fiume sacro per eccellenza dell’India,
traducendo poi quell’esperienza in
un libro, Il grande viaggio. Scrittore
anche lui, fra le sue pagine affiorano
ricordi e immagini dell’infanzia e delle
montagne di casa – le montagne di
Ponte in Valtellina – con gli antenati
che hanno indicato un percorso, in
un intrecciarsi di presente e passato
senza tempo. «Legati da una corda, un
filo di uomini sale nella neve. Hanno
barbe lunghe e visi rasati, alti bastoni di
ginepro e bastoncini telescopici di alluminio. Ramponi e scarpe chiodate. Vivi
e morti insieme. Alla testa della cordata
c’è il mio bisnonno Antonio, che conosce
tutti».
Antonio Cederna (1841-1920)
53
Alpinismo
Versante retico
Vetta di Ron
Sul versante retico a N di Ponte in Valtellina si alza una cima rocciosa
dall'aspetto severo che, come scriveva Antonio Cederna "da ogni lato la
si guardi appare fortezza inespugnabile". La vetta di Ron, questo è il suo
nome, è una delle montagne più affascinanti dell'intera catena, con tre
facce molto ripide e di forma vagamente triangolare che dominano
altrettante valli. Piuttosto isolata, offre un panorama eccezionale sui
principali gruppi montuosi della Valtellina.
Beno
54
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI La vetta di Ron (m 3136), al centro, è separata dalla rossiccia bocchetta della Brutana (m
2950) dalla Corna Brutana (m 3050, m 3057, m 3059) a sx . A dx vi sono cima di Ron (m 2924)
e punta Corti (m 3073). Indicate in giallo la traversata cime della Brutana-vetta di Ron per la
via dei Campanili e in rosso la via normale per il versante S. Immagine scattata dalla cima di
Vetta di Ron (m 3136)
Finale (m 2611) (18 agosto 2005, foto Beno).
55
Alpinismo
Versante retico
D
opo soli 29 numeri, è giunta l'ora di svelare il mistero: cosa rappresenta il
logo de Le Montagne Divertenti? È semplicemente il profilo meridionale della
vetta di Ron (m 3136) e delle sue ancelle, la trifida corna Brutana (m 3059, m 3057,
m 3050) e punta Corti (m 3073). Ho scelto questo scorcio di Alpi Retiche perché
qui ho iniziato il mio percorso di riscoperta delle montagne valtellinesi, attratto
dal fascino selvaggio di queste cime eleganti e dimenticate, ispirato dai racconti
dei pionieri d'inizio '900: Antonio Cederna, che per primo salì la vetta di Ron nel
1885, Bruno Galli-Valerio che inaugurò la tetra parete NO e l'affascinante via dei
Campanili tra il 1907 e il 1912, partendo e tornando a piedi a Sondrio in giornata!
L
a vetta di Ron si trova sul
confine tra i comuni di Ponte e
Montagna in Valtellina, a metà della
lunga dorsale che corre dalla Corna
di Mara (m 2807) al pizzo Scalino (m
3323). Dalla cima partono tre creste.
Quella occidentale fa da giunzione con
la Corna Brutana ed è caratterizzata da
tre grandi torri rocciose dette i Campanili, quella settetrionale, marcissima
e utilizzata dal Cederna per la prima
salita alla montagna, infine quella
orientale, che si stacca dalla dorsale
principale dividendo il bacino di Ron
dalla val Vicima e sulla quale cui Hans
Peter Cornelius1 tracciò un'ardita via il
9 giugno 1913.
Queste creste individuano altrettanti
versanti, scoscesi e rocciosi.
La faccia NO precipita scura e verticale verso il buco del Cacciatore, laterale sx della val di Togno. Ai suoi piedi
si trova il ghiacciaio Corti, un ghiacciaio nero già catastato dal Nangeroni
nel 1929. Proprio perpendicolarmente
alla vetta scende un grande pilastro su
cui corrono, a mia conoscenza, tre vie,
una di Mario Vannuccini degli anni
'90, una che ho tracciato col Lele nel
2011 e una di Bruno Galli-Valerio che
non sono ancora riuscito ad individuare con esattezza.
La parete E è costituita da grandi
placconate di roccia piuttosto solida.
1 - Hans Peter Cornelius (1888-1950), geologo
nato a Monaco di Baviera e trasferitosi dopo la
guerra a Vienna, profondo conoscitore delle Alpi e
appassionato alpinista.
Studiò la geologia dell'alta Engadina e regioni
limitrofe negli anni prima delle grande guerra (fu
in quell'occasione evidentemente che salì la vetta di
Ron e il Combolo), poi alla fine degli anni '20 si
occupò con sua moglie della linea insubrica fra
Ticino e Tonale (la famosa linea del Tonale che
attraversa tutta la Valtellina).
Il suo necrologio riporta tra le sue salite nelle Alpi
Centrali, Bernina e Morteratsch, cime della val
Bregaglia, Disgrazia, Hintergrat all'Ortler, Gran
Zebrù e Cevedale (a cura di Raffaele Occhi).
56
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Vetta di Ron
(3136)
Corna Brutana
(3059)
Bocch. della Brutana
(3136)
La parete NO della vetta di Ron e il rifugio De Dosso (m 2119) (21 settembre 2011, foto
Beno). Indicate: in giallo la via dei Campanili e in rosso la via diretta alla parete NO. Il nostro
tracciato, che si discosta da quello di Mario Vannuccini solo nella parte bassa, è composto da
13 tiri da 60 metri più un tratto centrale dove si sale senza corda (due tiri evitati). Le difficoltà
maggiori sono nei tiri 1 (IV+), 2 (V-) e 6 (camino di V+). Roccia buona nella parte bassa,
pessima in quella alta. Caduta massi dall’alto e isolamento garantiti. Trovate la relazione
dettagliata tra quelle presenti sul sito www.lemontagnedivertenti.com.
Vetta di Ron (m 3136)
57
Alpinismo
Versante retico
Panorama dalla vetta di Ron nel giorno in cui abbiamo affrancato la croce coi tiranti (23 novembre 2005, foto Beno).
Sulla vetta di Ron con 60 cm di neve fresca per preparare la discesa
con gli sci (25 novembre 2006, foto Beno).
Sulle fessure dell'8° tiro della via diretta alla parete NO della vetta
di Ron (25 agosto 2011, foto Raffaele Bazzi).
In discesa alla breccia tra il I e il II campanile in condizioni
invernali: una bella rogna (10 aprile 2011, foto Beno).
Bizzarro tentativo naufragato di salita invernale alla vetta di Ron
avvalendomi di due bastoni recuperati a Boirolo (14.12.2004, foto Beno).
Sulle placconate della parete E della vetta di Ron, il fianco più sano
della montagna (8 luglio 2012, foto Beno).
Fu violata per la prima volata da R.
Rossi e Aldo Bonaccossa nel 1914. La
loro relazione riporta un passaggio che
mi è rimasto impresso: "si supera un
leggero strapiombo assicurandosi con la
piccozza nel terriccio".
A S, infine, si trova l'unico vero
punto debole di questa piramide: una
lunga cengia taglia in diagonale la
parete e, senza problemi particolari se
non di orientamento, porta ai canalini
sommitali per la vetta.
Negli anni ho salito tutti i versanti
della montagna, riuscendo anche a
scenderla con gli sci il 26 dicembre
20062. Se dovessi trovarmi a consigliare
un amico gli suggerirei di raggiungere
la croce di vetta per la via normale da
S se non è un alpinista esperto, mentre,
senza dubbio, lo indirizzerei sul concatenamento delle cime della Brutana
con la via dei Campanili se fosse
pratico e volesse fare scorpacciata di
cime in un ambiente severo e isolato.
Comunque sia, la raccomandazione è
quella di non sottovalutare la Vetta e di
provare a scalarla con lo stesso spirito
e la stessa allegria degli alpinisti di una
volta, ben descritto in La Valtellina
dell'1 agosto 1896:
“La locale Sezione del Club Alpino
aveva in­detto quest’anno la sua prima
escursione so­ciale alla Vetta di Ron, la
bella e svelta cima che sorge dal fondo
della valle omonima. È una montagna
che rimase molto tempo quasi
sco­nosciuta, non tanto per la sua località che la metteva un po’ fuori dell’ordinaria zona battuta dagli alpinisti,
quanto per le non lievi difficoltà che
presentava la sua scalata da ogni parte
la si tentasse. Grazie al tanto benemerito illu­stratore delle nostre montagne
valtellinesi si­gnor Antonio Cederna, che
2 - Vedi: Beno, Con gli sci dalla vetta di Ron, LMD
n. 3 - Inverno 2007, pag.18.
58
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI raggiunse per primo la vetta nel 1885
dal versante settentrionale, e indicò una
via più sicura quattro anni dopo dal
versante di mezzodì, una tale escursione
è resa oggi assai nota nel mondo alpinistico e assai agevole dopo la completa
segnalazione del sen­tiero che si appalesa
con distinte macchie rosse dal piede del
monte sino alla cima.
La comitiva in partenza da Sondrio,
forte di ben 12 giovani animati e baldi,
s’ingrossò al suo arrivo a Ponte di altri
quattro, fra cui il comm. Foppoli, uno
dei Direttori della Sezione, l’avv. Gio.
Merizzi, presidente della locale Sezione
e i due giovanetti del concittadino sig.
Ongania. Così completata, s’incamminò lesta per l’Alpe di S. Bernardo: ivi
doveva trovare la più festosa delle accoglienze da parte di tutta quella colo­nia
estiva e segnatamente della famiglia
del­’ing. cav. Marchesi. Lassù infatti, ove
salutò anche il sig. Cederna presidente
della Sezione Milanese, l’attendeva,
grata sorpresa, invece della modesta cena
disposta dalla Dire­ione, una splendida
tavola imbandita sotto un capannone
di rami di pino, illuminato a pallon­
cini alla veneziana, opera e fatica particolare dell’ Ing. Marchesi. Generale era
l’entusiasmo per la bellezza del luogo; e
l’allegria ed il buon umore già alti, crebbero cogli effetti del vino bianco e del
su­perbo vino del Ron che il signor ing.
Marchesi volle offrire colla sua tradizionale abbondanza e cortesia.
Alla mattina della Domenica, la comitiva la­sciava S. Bernardo per avviarsi
all’alpe Ron. La strada, dapprima
salendo ripida lungo la costa sovrastante lo spianato di S. Bernardo, piega
poscia verso Val Fontana ove ammirasi
il rimboschimento felicemente eseguitosi dalla Sezione di Milano, indi entra
nella Valle del Ron percorrendola con
dolce salita attraverso una folta pineta.
Percorsa questa e fatta una parca refezione, i quindici alpinisti attaccarono
i gandoni e poi, su per un couloir di
detriti, sempre guidati dai triangoli rossi
della segnalazione senza fatica giunsero
alla cima.
Durante l’ascesa ebbero l’incontro di
un altro gruppo di giovinotti, che già
discendevano e provenienti dall’Alpe
Boirolo. Sulla cima poi furono accolti
dal Dott. Linneo Corti col figlio quindicenne, che pure da Boirolo erano giunti
lassù, ove si unirono al grosso della
spedizione.
Il tempo, mantenendosi sempre splendido, meglio non. avrebbe potuto favorire la gita, né meglio lasciar godere
della vetta il suo panorama. II quale se
non può rivaleggiare con quello di altre
cime note, compensa però ad usura la
fatica dell’ascesa. L’occhio vi resta affascinato davanti l’imponente estensione
dei ghiacciai di Scerscen e Felleria,
dominati dalle punte del Roseg, Bernina
e Cresta Aguzza; davanti il colosso
del Disgrazia che s’innalza solitario
dai bianchi piani dei ghiacciai della
Ventina.
A mezzogiorno s’incominciò la discesa
lungo la Valle Rogneda ; ed a salti più
che a passi giunsero alla Chiesuola di
S.Stefano, ove la Direzione aveva fatto
preparare un modesto banchetto. Da
S.Stefano sempre a precipizio attraverso
prati e boschi si arrivò a Tresivio e là le
famiglie Guicciardi e Corti vollero pure
dare alla comitiva nuova prova della
cortesia che li distingue, coll’offerta a
profusione dei loro vini dell’Inferno e
del Paradiso.
Si era intanto fatto notte ed un treno
di carrette ricondusse l’allegra brigata a
Sondrio; tutti coll’augurio in cuore che
una nuova gita possa presto rinnovare
l’esito felicissimo di quella alla vetta di
Ron.”
Vetta di Ron (m 3136)
59
Alpinismo
Versante retico
Vetta di Ron - via normale
C. Brutana
(S - 3050)
Vetta di Ron
(3136)
Cima di Ron
(2924)
Cima dei Motti
(2778)
Dos di Scespét
(2747)
Bocchetta di Ron
(2642)
Vista sulla conca di Ron e la pozza delle Rane dallo spartiacque con Rogneda. Indicato il tracciato della via normale (23 novembre 2005, foto Beno).
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Partenza: San Bernardo (m 1275).
Itinerario automobilistico: da Sondrio
prendere la Strada Panoramica in direzione Teglio. Si
passeranno Montagna, Poggiridenti e Tresivio. Giunti
a Ponte, alla chiesetta di San Gregorio, prendere a sx
per Teglio, quindi, dopo una breve salita, prendere la
strada che sale a sx fra i meleti verso la val Fontana.
Dopo 2 km e mezzo si trova la deviazione sulla sx per
San Bernardo, limite ultimo di transitabilità consentita
(5 km).
Itinerario sintetico: San Bernardo (m 1200) Campo (m 1680) - Masarescia - alpe Ron (m 2176) vetta di Ron (m 3136) per la parete S.
Tempo
Attrezzatura
alta montagna. Se non volete affettarvi le caviglie
usate gli scarponi.
Difficoltà/dislivello: 3 su 6 / quasi 1900 m.
Dettagli: EE+. Da qualche anno l'intera via è
stata bollata con bandiere bianco-rosse e ciò in
parte risolve i problemi di orientamento in caso di
nebbia. La cengia finale è un po' esposta e richiede
attenzione in un paio di punti (passi di I grado)
specialmente a causa del detrito presente. La cengia
diventa molto pericolosa con neve.
Mappe: Kompass n.93, Bernina, 1:50000.
previsto: 6 ore per la vetta.
Lascita l’automobile a San Bernardo
nei pressi dell'agriturismo Il Tiglio
(limite dell’asfalto e di transito,
m 1275), ci incamminiamo lungo
la carrozzabile fino a Campo
(m 1680, ore 1:20)1. Oltre i pascoli,
la rotabile raggiunge una conca dov'è
una baita isolata (Massaréscia) e, al
casél de l'acqua piega a dx fino a una
sbarra che preclude l'accesso al tratto
successivo. D'ora in avanti la pista
si aggrappa pericolosa ai fianchi del
1 - Nella mappa a pag. 56 coi puntini rossi è
indicato il sentiero segnalato che più ripidamente
raggiunge Massaréscia.
60
richiesta: da escursionismo in
LE MONTAGNE DIVERTENTI monte e viene utilizzata quasi esclusivamente da Cesare, il pastore dell'alpe
Ron che, oltre ad averla costruita,
provvede anche alla manutenzione.
Con alcuni su e giù con ripide rampe,
prendiamo quota fino al Guàt, il
guado sul torrente Ron. Ci portiamo
sulla dx idrografica e con qualche
Estate 2014
Baite di Ron. Tra le nebbie si scorgono la corna Brutana e la vetta di
Ron (13 giugno 2007, foto Fabio Pusterla).
Il passaggio chiave del cengione della via normale alla vetta di Ron:
una breve placca un po' scivolosa (11 novembre 2005, foto Beno).
Gli ultimi metri per la vetta. Sullo sfondo le pietraie di Ron
(23 settembre 2005, foto Beno).
In discesa dalla vetta di Ron. Sullo sfondo il gruppo centrale delle Alpi
Orobie (23 novembre 2005, foto Beno).
tornante sbuchiamo nelle praterie
che anticipano l'alpe Ron (m 2176,
ore 1:20), dov'è il lungo stallone, le
baitelle del latte e del formaggio e, più
a NE, la capanna Vetta di Rhon2.
La vetta è dritta a N, oltre i pascoli
e le ampie pietraie grigiastre che disegnano i lobi di un grande rock glacier.
Dalla fontana sopra lo stallone si
alza il sentiero segnalato che rimonta
un dosso erboso, quindi traversa a dx
sopra la ganda. Con una breve discesa
siamo in una conca dov'è una pozza
con acqua fresca e limpida. Riprendiamo la marcia verso N su una dorsale
erbosa e, non lontano da un grande
masso ai piedi del versante meridionale del dos di Scéspet, vediamo un
bivio. A dx si raggiunge per pietraie
la bocchetta di Ron, porta d'accesso
alla val Vicima, mentre a sx la traccia
2 - Il rifugio non è aperto. Per le chiavi o
informazioni rivolgersi al CAI sez. di Ponte in
Valtellina.
LE MONTAGNE DIVERTENTI taglia lungamente il costone erboso
(O) in direzione della bocchetta N di
Rogneda, per piegare a N (dx) e salire
la ripida e faticosa ganda ai piedi della
parete S della vetta di Ron.
Due passi avanti e uno scivolato
indietro, vinciamo la pietraia e ci
portiamo sulla dx (NE) della barra
rocciosa, intercettiamo il cengione3
che taglia tutto il versante (m 2800
ca.). Su quel camminamento iniziamo
il lungo traverso in salita (sx, O)
che, con tratti un po' esposti, supera
costole e rientranze fino ad arrivare, dopo un canale obliquo, su un
poggio panoramico da cui si può
ammirare la Corna Brutana con le
sue tre cime e i tre campanili della
cresta SO della vetta di Ron. Ancora
uno sforzo verso NO tra i detriti
rossicci e, dopo una semplice fascia
rocciosa, siamo sulla vetta di Ron
3 - Fu percorso per la prima volta il 15 agosto 1890
da Antonio Cederna con la guida Andrea Valesini.
(m 3136, ore 3:20).
Seduto accanto alla croce ammiriamo il paesaggio amplissimo e
ricordo le giornate di fatica fatte nel
novembre 2005: con temperature
polari, prima con Fausto e Lollo
rimettemmo in piedi la croce da mesi
abbattuta del vento, poi con lo zio
Angelo l'affrancammo con dei tiranti
di metallo affinché fosse più resistente
agli agenti atmosferici.
Ne era valsa la pena, perché questa
croce, oltre ad essere un importante
punto di riferimento, testimonia una
singolare iniziativa del Coro Vetta di
Ponte, che l'aveva portata quassù all'inizio degli anni '60 con una numerosa
spedizione dove ciascuno si era fatto
carico di un pezzetto della struttura.
Ma è già l'ora del rientro, che è
davvero veloce, perché la pietraia
permette facili e divertenti scivolate
con gli scarponi!
Vetta di Ron (m 3136)
61
Alpinismo
Versante retico
Brutana e via dei Campanili
Corna Brutana - punta S
(3050)
Corna Brutana - punta centrale
(3057)
Corna Brutana - punta N
(3059)
La via dei Campanili dalla Brutana (13 marzo 2007, foto Beno).
La Corna Brutana e il tracciato della salita per il canale E e della traversata delle tre cime visti dalle pendici della vetta di Ron (17 giugno 2006).
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Itinerario sintetico: San Bernardo (m 1200) Campo (m 1680) - Masarescia - alpe Ron (m 2176) traversata delle 3 cime della corna Brutana (m 3050,
m 3057, m 3059) - vetta di Ron per la via dei Campanili
(m 3136).
Tempo previsto: 5 ore di avvicinamento + 4:30
per il concatenamento fino alla vetta di Ron.
Attrezzatura richiesta: corda (30 m), imbraco,
piccozza e ramponi a inizio estate, casco, cordini,
2-3 protezioni veloci.
D
alle pietraie alla base della
parete S della vetta di Ron (ore
4:30 da San Bernardo), ci dirigiamo a
E fino ai piedi del ripido canale, nevoso
anche a stagione inoltrata, che scende
per circa 150 metri dalla breccia tra la
punta meridionale e quella centrale
della Corna Brutana. Lo saliamo e
sbuchiamo sulla comoda sella detritica
che separa le due punte. Volgendo a sx
ci portiamo sulla faccia O della punta
meridionale, dove traversiamo in salita
62
LE MONTAGNE DIVERTENTI Difficoltà/dislivello: 4.5 su 6 / oltre 2000 m.
Dettagli: AD. La traversata delle cime della
Brutana presenta due passi di III, mentre la via dei
Campanili, nella versione qui descritta, presenta
passi di II, III e IV. È prudente una calata in corda
doppia dal III Campanile. Il concatenamento è
piuttosto lungo e richiede sicurezza nell'arrampicata
su roccia friabile con grande esposizione. Il rientro
avviene per la via normale descritta a pag. 60.
Mappe: Kompass n.93, Bernina, 1:50000.
una fascia rocciosa (III) e imbocchiamo
il canalino che giunge direttamente in
vetta (m 3050, ore 0:30). Affascinante
è la vista verso la conca di Rogneda,
dove s'adagia tra le pietraie il bel lago
omonimo, spesso tiepido in estate.
Tornati all'intaglio, proseguiamo
verso N. La cresta si impenna e diviene
marcissima, impercorribile. Appoggiadoci invece al versante occidentale, con
divertente arrampicata siamo alla punta
centrale (m 3057). Mantenendo quasi
sempre il filo di cresta, giungiamo alla
base del salto di rocce che protegge la
punta settentrionale.
Il muro è inciso da una poco marcata
cengia che sale obliqua verso O (sx).
Sempre più esposta e avara di appigli
(III+), anticipa il breve tratto di cresta
pianeggiante che porta all'ometto della
punta settentrionale della Corna
Brutana (m 3059, ore 0:40).
Mentre firmiamo il libro di vetta
contenuto in una scatola di biscotti che
Estate 2014
La linea di salita al II Campanile vista dal I Campanile
(31 agosto 2011, foto Simone Bondio).
Sulla placca del II
Campanile, sullo
sfondo il I campanile
(31 agosto 2011,
foto Beno).
abbiamo qui riposto nel 2007, ammiriamo il severo scorcio sui Campanili
che ci attendono.
Ripercorsa verso S la cresta per circa
15 m, smontiamo a sx (E) e disarrampichiamo traversando (S) fino all'attacco
della cengia obliqua percorsa all'andata.
Ancora qualche metro sul filo verso
S e smontiamo virando di 180° in
direzione N. Un camminamento ai
piedi della punta settentrionale seguito
da una zona di blocchi, ci fa scendere a un grosso sperone della cresta
che separa il bacino di Ron dalla val
di Togno. Lo aggiriamo da S e siamo
alla rossiccia bocchetta della Brutana
(m 2950, ore 0:20).
Verso N precipita un tetro canalino funestato da continue scariche di
pietre. A NE sale la via dei Campanili.
Inizialmente prendiamo lo sperone
roccioso, molto esposto e friabile, che,
qualche metro più in alto, ci fa acceLE MONTAGNE DIVERTENTI All'uscita della via dei
Campanili. Indicata
la calata dal III
Campanile (1 agosto
2012, foto Beno).
dere (dx) a un canale. Con un paio
di passi di III per vincere dei piccoli
salti, ci affacciamo al versante N. Presa
la cresta principale da questo lato,
appoggiandoci quindi di volta in volta
al versante più conveniente, siamo
senza intoppi in vetta al I Campanile
(m 3082, ore 1).
Dalla sella successiva1, saliamo (dx)
alla grande placca inclinata verso O
che si trova appena sotto la vetta del
II Campanile. In cima alla placca
(III) ha inizio l'esposto camino verticale e di roccia infima (20 m, IV) che
esce proprio in cima al II Campanile
(m 3116, ore 0:45).
Da qui il III Campanile ci appare
quale guglia affilatissima che si frappone
1 - Il II Campanile può essere anche salito dalla sua
cresta N (II+), raggiungibile traversando in piano
dalla sella, oppure lo si può salire dall'evidente
canalone che s'abbassa a O della vetta (blocchi
mobili, roccia friabile e una bizzarra crepa che
porta sul versante opposto).
tra noi e la vetta di Ron. Aggirarlo non
è affatto sicuro. Lo dobbiamo salire da
N per un muro verticale2 e poco appigliato (5 m, IV) che adduce al margine
occidentale dell'esile e frastagliata cresta
sommitale. Traversiamo all'estremità
orientale del III Campanile e, con una
calata in corda doppia3 di meno di 10
metri, siamo alla breccia successiva.
Su roccia inizialmente friabile e delicata (II+), quindi più sana, tocchiamo
con grande soddisfazione la vetta di
Ron (m 3136, ore 0:45).
Il rientro è per la via normale4.
2 - I primi salitori nel 1912 (Rossi, Galli-Valerio e
Traverso) lo salirono col lancio della corda!
3 - Verificare i cordini in loco prima di iniziare la
calata. La doppia può essere evitata disarrampicando con estrema attenzione per una specie di diedro
sul fianco S, quindi scendendo un muro di 4 m
(IV) che adduce al canale a S della breccia.
4 - Dall'alpe Ron si può rientrare a Campo
passando per la panoramica croce di Campondola,
da cui si ha una bella prospettiva sulla via appena
percorsa.
Vetta di Ron (m 3136)
63
Approfondimenti
Versante retico
C a m Cp o S e R ó n
intervista a
Beno
esare ertore
Corna di Mara
(2807)
Corna Nera
(2926)
Corna Rossa
(2916)
Vetta di Rón
Punta di Vicìma
(3136)
(3231)
Bocch. di Rón
(3248)
Rón
Rogneda
Pizzo Calìno
(3022)
Campondola
Campo
L'alpe Ron negli anni '90 (foto archivio Cesare Sertore).
Boiròlo
Dàlico
San Bernardo
Va
l
di
R
ón
V
Ponte in Valtellina
al
Fo
a
nt
Oreste Sertore, classe 1922, a Ron, dove è stato pastore 1936 al 2003
(2002, foto archivio Cesare Sertore).
na
Castionetto
Il versante retico dalla val di Ron alla val Fontana. Indicata la pronuncia corretta dei toponimi e la via normale alla vetta di Ron partendo da San
Bernardo. Ripresa effettuata dall'alpe Piazzola (27 luglio 2010, foto Fabio Pusterla).
T
anti anni fa, ma meno di quelli
che si credono, in tutti i paesi
della Valtellina il piccolo allevamento
era una realtà assai consolidata e ogni
famiglia aveva animali: dalle mucche
alle galline, dalle capre ai conigli.
Pochi capi per ognuno, ma tutti ne
possedevano.
In particolare a Ponte in Valtellina c'erano ben 300 mucche. Tenute
in paese nei periodi freddi, da metà
giugno a fine agosto venivano
mandate in montagna.
Le mucche erano affidate a dei
pastori stipendiati, a cui era generalmente affiancato un casaro.
Questa usanza ancestrale, che aveva
come rotta principale quella per l'alpe
Ron, ha ora il suo ultimo conduttore
in Cesare Sertore, che stoicamente
resiste alle fatiche di una pastorizia resa
sempre più difficile dai mutati equilibri economici e sociali, dalla poca
disponibilità di manodopera e dagli
adempimenti burocratico-sanitari che
non fanno le necessarie distinzioni tra
64
LE MONTAGNE DIVERTENTI i grandi allevamenti industriali e chi
ha solo pochi capi e pratica un'attività
del tutto tradizionale.
Cesare è figlio d'arte: «Mio padre
Oreste, classe 1922 iniziò a fare il
pastore nel 1936, quando su a Rón
c'era il capoalpe Giuliano Sertori,
detto Tempestìn. La transumanza
partiva a metà giugno dal paese e
prevedeva una prima tappa di un
mese ai m 1680 dell'alpe Campo.
Quindi la mandria si divideva tra gli
alpeggi indipendenti di Campondola1
e di Ron2, dove le bestie avrebbero
trascorso il mese successivo. Pascolato
nuovamente Campo, a fine agosto si
tornava in paese, rispettando il detto
“a san Bartulumè la vacca al pé” - e san
Bartolomeo cade il 24 di agosto.
Può sembrare presto, ma ai tempi
non erano rare le forti nevicate anche
1 - L'alpe era detta munt di sciùr, poiché le bestie
che ne brucavano le pasture appartenevano alle
famiglie più abbienti di Ponte. Vi salivano solo 30
capi perché Campondola ha pochissima acqua.
2 - Ron, dove l'acqua abbonda, era caricato con
70-80 capi.
d'agosto.
Dopo aver disertato l'alpe durante la
guerra - fu prigioniero per due anni e averla frequentata solo di rado negli
anni '50 poiché lavorava in Svizzera,
Oreste divenne capoalpe nel 1960.
L'anno successivo Campondola fu
abbandonata, quindi annessa a Ron,
dove a quel punto salivano 80-90 capi
che potevano approfittare di entrambi
i pascoli. In quegli anni mio padre
fu costretto a risolvere il problema
dell'acqua a Campondola mettendo
una pompa con motore che la spigeva
su dal basso.»
La prima volta di Cesare a Ron fu
nel 1963, a soli 4 anni, ma l'amore
non sbocciò subito:
«Dopo le scuole ho iniziato a fare
il meccanico, quindi lo scavatorista.
Poi mio padre ha preso un ictus e
quell'anno ho dovuto seguire io le
mucche: non ero capace di fare niente!
Però da lì mi sono affezionato a quella
vita ed ho fatto la mia scelta, che qualcuno ritiene folle. Dopo i corsi da
Estate 2014
Cesare Sertore, conduttore dell'alpe Ron (27 maggio 2014, foto Beno).
casaro, nel 1995 sono diventato capoalpe, sempre affiancato da mio padre
fino al 2003.
Tra il 1998 e il 1999 ho costruito
la strada che da Campo arriva a Ron
e nel 2002, sempre con il supporto
del Comune, abbiamo ristrutturato la cascina dotandola dei servizi
essenziali.»
Ora Cesare sale d'estate a Campo,
Ron e talvolta a Campondola con 25
capi di cui 10 suoi. 8-10 sono da latte.
LE MONTAGNE DIVERTENTI Alpe Campo. Sebastiano, figlio di Cesare, dà il latte al vitello
(settembre 2012, foto archivio Cesare Sertore).
«Purtroppo i privati non tengono
più mucche e in questo mondo
sempre più globalizzato le piccole
realtà stanno andando a scomparire».
Il suo giovane figlio Sebastiano,
come lui, è appassionato di animali.
Mi mostra un biglietto che Sebastiano
ha scritto in cui dice d'esser orgoglioso
del papà perché “ama la Natura che
lo circonda”. «È la cosa più bella che
avrei potuto trasmettergli», aggiunge
Cesare un po' commosso.
Infatti, fedele a una pastorizia lenta
e rispettosa, Cesare munge ancora a
mano, non usa mangimi e tutte le sere
quand'è a Ron raduna le mucche e le
fa dormire nello stallone.
Non "sforzandole", le sue vacche
da latte arrivano anche a 20 anni. La
sua produzione in alpe è di soli 50-60
formaggi a stagione, per cui se volete
provare qualcosa di davvero genuino
non vi resta che prenotarli in tempo
passandolo a trovare su a Ron!
Cesare il pastore
65
Alpinismo
Approfondimenti
Versante retico
A l p i Ln i sP m o
intervista a
uigi
asini
i n va l
F o n ta n a
Beno
Crepaccio del Marovin: Luigi Pasini e Ezio Valesini
che, non avendo la piccozza. usa un martello da
Pizzo Calino (aprile 1971, archivio Luigi Pasini).
carpentiere (1970, archivio Luigi Pasini).
L
e vette della val Fontana, laterale retica che si stacca dalla
Valtellina all'altezza di Ponte e
Chiuro, videro una buona ed entusiasta frequentazione agli albori
dell'alpinismo lombardo. Bonacossa,
Cederna, Cornelius, Corti e GalliValerio sono solo alcuni dei grandi
nomi che ne calcarono gli gneiss tra
la fine dell'800 e l'inizio del '900.
Poi, a partire dagli anni '20 del secolo
scorso, sulla val Fontana calò il sipario
e rimasero incompiute molte creste e
pareti.
Fu così per quasi 50 anni, poi,
anticipati dal forte ghiacciatore Ezio
Salomoni, negli anni '70 e '80 alcuni
gruppi di alpinisti si diedero con
grande dedizione sia al ripercorrimento dei tracciati classici, sia alla
ricerca di nuove vie, salendo versanti
e creste inviolati.
Tra i fautori di questa rinascita,
su tutti spicca il nome del pontasco
Luigi Pasini. Classe 1952, all'alba dei
60 anni può dire di conoscere ogni
angolo di queste montagne e anche
di averle vissute quando i bivacchi in
quota erano in compagnia dei pastori
e dei loro racconti.
«Quando è nato il tuo amore per
le cime?»
«Ho iniziato a frequentare la
montagna - esordisce Luigi - accompagnando mio padre a caccia di
66
LE MONTAGNE DIVERTENTI camosci e marmotte. Però lui non ha
mai voluto scalassi le vette, per cui le
gite erano solo finalizzate all'attività
venatoria. Le vette sono arrivate solo
qualche anno più tardi, quando da
quindicenne ho fatto i primi esperimenti con mio cugino Armando.
Una delle prime vette è stata il pizzo
Calino.
Ci costruivamo noi le attrezzature.
Avevamo una corda di canapa. Era
tutto un po' improvvisato e all'avventura. Ci allenavamo nel bosco a fare
le calate in corda dalle piante: quante
cadute!»
«Vi ispiravate a qualcuno?»
«Era il periodo delle imprese di
Walter Bonatti e lui era il nostro
mito. Ci eravamo posti come obbiettivo quello di fare un giorno la nord
del Cervino: così avevamo iniziato
ad allenarci. Siamo partiti, con anche
altri amici, col ripercorrere gli itinerari di Alfredo Corti sulle montagne
di casa: la val Fontana.»
«Quale delle vie del Corti ti ha
colpito di più?»
Senza esitazione Luigi mi risponde:
«La NE del pizzo Painale. Se la guardi
quella parete sembra verticale e inaccessibile. Quando ti avvicini, invece,
trovi i passaggi per salire fino in vetta
immerso in un ambiente davvero
selvaggio.»
Cresta N del pizzo Painale (agosto
1974, foto archivio Luigi Pasini).
«Quando vi siete evoluti come
attrezzatura?»
«Qualche anno dopo. Era il periodo
in cui l'alluminio era ricercato, così noi
andavamo in vigne e meleti a raccogliere i contenitori vuoti dei pesticidi.
Passava uno con l'Ape che ci pagava i
vuoti a peso. Abbiamo così raccimolato i soldi per comprare la corda: una
Grandes Jorasses, 10.5 mm, 40 metri,
rossa come quella di Bonatti. Però la
dovevo nascondere da mio padre che
non voleva andassi a scalare se no me
l'avrebbe buttata.
Con quella attrezzatura abbiamo
salito la parete E della vetta di Ron,
quindi ci siamo diretti anche verso
nuovi ambienti, come la val Masino e
la val Bregaglia.»
10 agosto 1970 : nevica. Assicurazione con cintura dei pantaloni sulla via
normale alla vetta di Ron (foto archivio Luigi Pasini).
Fontana (bellissima placconata), aperta
con Luca Folini, ma anche il concatenamento che avevo portato a termine
in 2 giorni nel 1992: dal pizzo Scalino
alla Corna di Mara, bivaccando la
notte ai piedi della vetta di Ron...
avevo dovuto scavare parecchio per
trovare un po' d'acqua!»
«Quando invece la prima volta
sulla vetta di Ron?»
«Nel 1970. Una cima davvero affascinante. Da allora l'ho salita molte volte
anche perché la sua posizione centrale
e isolata nel gruppo mi permetteva
di studiare le nuove salite sulle altre
montagne.»
«Qual era il terreno dove ti
muovevi meglio?»
«Ho sempre amato la roccia friabile.
Dopo l'allenamento sul granito, in cui
avevo affinato le mie tecniche, mi sono
spinto su nuovi itinerari in val Fontana:
lo sperone 3100 del Painale (solitaria),
la parete SE della cima di Forame (solitaria), la traversata Brutana - Campanili (con Alfiero Biscotti, 1978).»
«So che hai percorso tutte le creste
e i versanti di questa montagna.
Quale consiglieresti a un amico?»
«Proprio tutti no, mi manca ad
esempio la parete NO. Se dovessi
invece consigliare qualcuno lo indirizzerei sulla parete E dalla val Vicima.
Ci sono bellissime placconate e la
roccia è molto soda. C'è anche la via
dei Campanili. L'avvicinamento è
meno traumatico, ma richiede un po'
più di attenzione.»
«Tra i numerosi nuovi percorsi che
hai inaugurato in val Fontana, ne
ricordi qualcuno in particolare?»
«Mi sono rimaste impresse la via
dei Puntasch alla parete S della cima
«Hai avuto la fortuna di frequentare le vette della val Fontana
quando negli alpeggi c'erano
bestiame e pastori. Com'era il
rapporto con questi ultimi?»
Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Da dx : Ezio Valesini, Gianmaria Vairetti, Luigi Pasini e Paolo Morellini
alla base dello Scimùr, sotto il pizzo di Coca (anni '70, archivio Pasini).
«Erano tutti gentili e accoglienti.
Quando ti serviva un tetto o ristoro
erano sempre disponibili.
Negli anni ci è capitato solo una
volta in val Vicima di dover passare
la notte, poiché nevicava, rintanati
nella porcilaia dopo aver cacciato
i maiali! Questo perché, scesi dalle
cime col buio, avevamo trovato già
tutto chiuso.
È stata una notte insonne.»
«Quando cominciò l'abbandono?»
«Già dagli anni '60. Prima l'alpe
Combolo, che era un po' scomoda,
poi Gardé, Sareggio, Aiada e via via le
altre. Un'epoca stava finendo. Ora ho
nostalgia, perché quegli alpeggi non
erano solo un ricovero, ma anche il
luogo dove i vecchi pastori ti raccontavano le storie delle loro lunghe vite.
Tornare negli stessi posti divenuti
silenziosi è un po' triste.»
Luigi Pasini in cima alla vetta di Ron (11 luglio 2009, foto Fabio Pusterla).
Luigi l'alpinista
67
Alpinismo
Valchiavenna
Dal passo di Lendine
al pizzo del Torto
Testi e foto Valentino Bedognetti
Dal pizzo di Val Marina lo sgiuardo viene calamitato
dall'imponente salto strapiombante del piz Papalin
(m 2713) e dal lago del Truzzo (22 agosto 2013, foto
Valentino Bedognetti).
68
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI I pizzi del Torto
69
Alpinismo
Valchiavenna
Cima de Lunghezzasca
(2716)
Piz Campanin
(2554)
Pizzo di Val Marina
(2653)
(2642)
Piz Papalin
(2714)
(2659)
Pizzo del Torto
(2723)
(2696)
Bocchetta
de Lenden
(2322)
I pizzi del Torto e l'itinerario di cresta descritto in questo articolo visti dal monte Mater (30 ottobre 2011).
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Partenza: parcheggio della centrale idroelettrica di
Cornera (m 1900) - Caurga (m 1286) - Sant'Antonio
(m 1213).
Itinerario automobilistico: da Chiavenna si
segue la SS 36 dello Spluga fino a San Giacomo
Filippo (m 552), quindi si prende a sx. La strada sale
con numerosi tornanti, raggiunge Olmo (11 km) e
in leggera discesa porta al ponte con cui si attraversa
la valle del Drogo. Pochi metri e si ha il parcheggio
della centrale idroelettrica sulla sx.
Tempo previsto: 11-12 ore per l'intero giro.
Attrezzatura richiesta: casco, imbraco, corda
Itinerario
(max III) con roccia in molti punti marcia. Ambiente
selvaggio e isolato. Il percorrimento in senso inverso
richiede almeno 1 calata in corda doppia.
San Bernardo (m 1055).
sintetico: centrale idroelettrica di San
Bernardo (m 1055) - alpe Lendine (m 1710) bocchetta de Lenden (m 2322)- avert Valcapra
(m 2164) - pizzo di Val Marina (m 2653) - piz Papalin
(m 2714) - cima de Lughezzasca (m 2716) - pizzo
del Torto (m 2723) - lago del Truzzo (m 2080) - alpe
(40 m), qualche fettuccia, 2 friend medi, 2 rinvii e
qualche moschettone.
Difficoltà/dislivello: 4 su 6 / oltre 1900 m.
Dettagli: Alpinistica PD+. Difficoltà discontinue
Mappe: Kompass foglio n.92, Valchiavenna e Val
Bregaglia, 1:50000.
Q
uello che vi racconto è un
lungo viaggio alpinistico in
uno dei tratti più selvaggi e affascinanti dello spartiacque che separa
la val Mesolcina dalla Valchiavenna:
la traversata dei pizzi del Torto. Si
tratta del lungo crestone che corre
tra la bocchetta de Lenden e il pizzo
del Torto, caratterizzato da quattro
cime principali e molte elevazioni secondarie che ne frammentano la regolarità. Versanti remoti
e isolati, frequentati un tempo dai
contrabbandieri più coraggiosi,
esplorati alpinisticamente nel 1913
dal pioniere Albert Röllin, e oggi,
seppur visibili in lontananza anche
dalla cittadina di Chiavenna, caduti
nel più profondo oblio.
È una fresca e buia mattina di
agosto. Sono le 5:25 quando io e
Gianluca ci incamminiamo dalla
centrale di San Bernardo (m 1055) e
ci addentriamo nella valle del Drogo.
Lasciamo quasi subito la bella mulattiera che costeggia il torrente, e attraversato il primo ponte, troviamo una
traccia recentemente risistemata che
ci collega al sentiero Olmo-Lendine.
Mentre le prime luci incendiano
i tanto ambiti picchi del Torto,
percorriamo le ultime svolte sotto
70
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI l’alpe Lendine (m 1710, ore 1:30).
La raggiungiamo con un occhio al
paesaggio verdissimo e fantastico in
questa stagione.
Il tracciato, ben segnato, riprende
in salita costeggiando il greto del
torrente funestato da passate alluvioni
e frane1. Poco sopra si fa più ripido,
attraversando un giovane ma fitto
bosco di larici.
Ora, con un ampio traverso da dx a
sx passiamo poco sopra l'alpe Valcapra,
quattro piccole costruzioni in pietra
dove il tempo sembra essersi fermato
a un secolo fa, e in breve raggiungiamo (SO) il lago Caprara (m 2288),
poco distante (ONO) dall'ampia sella
del passo di Lendine o bocchetta de
Lenden (m 2322, ore 1:30).
Ha inizio la traversata in cresta e
il primo tratto sembra molto ostico.
Balze di rocce miste a passaggi esposti
su erba ripida. Il classico posto dove
si sale in qualche modo, ma che non
vorresti mai affrontare in discesa.
Da sotto avevamo avvistato alcune
capre nella parte alta e, nonostante
la complessità della sponda, sembra
esserci qualche punto in cui passare.
Seguiamo il costone che sale dal
1 - Attraversando il greto del torrente si trova
anche il vecchio sentiero che raggiunge direttamente l'avert Valcapra (m 2164).
passo, dapprima erboso, in seguito di
rocce e torri. Una prima elevazione
(m 2610 ca.) la aggiriamo sulla dx,
poi su terreno più insidioso saliamo di
quota aggrapandoci ai scéspet2, molte
volte più sicuri dei sassi. Lasciandoci
delle torri sulla sx, saliamo un ultimo
ripido prato e finalmente guadagniamo la cresta, che dal lato svizzero si presenta tondeggiante e più
domestica.
Lasciamo la mandria di capre elvetiche e in pochi passi siamo sulla
prima vetta: il pizzo di Val Marina3
(m 2653, ore 1), che prende il nome
dalla valle sottostante. Qui troviamo
tre simpatiche pecore che hanno
appestato di escrementi la zona.
Cerchiamo di non calpestarli ma ne
veniamo fuori con le suole piene.
Ciò non sarebbe un problema se non
fosse che alle prime difficoltà i piedi
non hanno alcuna aderenza e l'effetto
vibram viene annullato. Proviamo a
pulirle ma rimangono sempre scivolose: chissà che cosa hanno ingurgi2 - Cespugli d'erba.
3 - L'attribuzione di quote e toponimi di questa
dorsale remota non è per nulla chiara ed ogni
mappa ne riporta di differenti. L'intero tratto tra la
bocchetta de Lenden e il pizzo del Torto viene
spesso indicato come pizzi del Torto. In questo
testo sono stati utilizzati i toponimi e le quote della
mappa CNS.
I pizzi del Torto
71
Alpinismo
Valchiavenna
Lendine e il Pizzaccio (12 luglio 2012).
Sulla vetta del piz Papalin (22 agosto 2013).
Il lago Caprara e il Pizzaccio (22 agosto 2013).
tato per espellere sostanze così oleose!
Da qui un primissimo tratto pianeggiante lascia spazio a blocchi anche
grossi su cui è divertente arrampicare
(II), un monolite più difficile ci consiglia di legarci (III). La cresta prosegue
sempre in direzione NE con difficoltà
discontinue, tratti in cui si cammina si
alternano a passaggi anche fisici di II e
III grado da affrontare a volte salendo
a volte scendendo. Il lato svizzero è
più dolce e già 50 metri sotto la cresta
declina in gande e macereti. Sul lato
italiano invece l'esposizione è forte:
guardando giù, canalacci e anfratti
piombano direttamente su Lendine.
Ormai è metà mattina, la temperatura è salita e qualche cumolo comincia
a condensare sui versanti solivi. Noi ci
troviamo a metà tra nuvole e sereno.
Ad un certo punto mentre esco da
un caminetto tra due blocchi, una
maestosa aquila compare dalle nebbie,
come a ricordarmi che questo è il suo
regno e che lei è la regina incontrastata
delle rocce rosse e marce che caratterizzano il tratto che ci aspetta.
Passiamo velocemente la quota
m 2642, la meno evidente della
cresta, un salto verticale in discesa ci
obbliga ad appoggiare sul versante
SE con forte esposizione. Riguadagnato il filo raggiungiamo la piccola
depressione sotto la quota m 2659,
la più imponente dopo il piz Papalin.
Nel versante sudorientale di questa
bocchetta si scorgono delle vecchissime tracce provenienti da una fantomatica dorsale che si infilano nel
canalone da cardiopalma sotto i nostri
piedi. Probabilmente i contrabbandieri più audaci passavano di qui,
scendevano nella conca de Lughezzasca e poi nella valle della Forcola
svizzera.
Riprendiamo la cavalcata e più facilmente di come sembrava da lontano,
(II) vinciamo la crestina S della quota
m 2659. Da qui si può vedere l’incredibile strapiombo di 200 metri del piz
La quota m 2659 e il piz Papalin dalla valle del Drogo (12 luglio 2012).
Papalin in tutta la sua interezza e in
lontananza il lago del Truzzo sembra
quasi appeso all'ultimo piano di un
grattacielo. Questa vetta è davvero
particolare e assieme a tutta la cresta
è priva di qualsiasi segnalazione o
traccia. La sua forma è unica, così
storta che quando la vedi dalla valle
del Drogo inconsciamente inclini il
capo per osservarla meglio.
Il tratto tra la quota m 2659 e il
piz Papalin, è per me un'incognita.
Perlustrazioni preliminari con foto e
binocolo sono valse a poco, bisogna
metterci sopra i piedi per capire realmente com'è la situazione: marcia!
La cresta ora piega decisamente a
N perdendo una ventina di metri.
Ci si presenta un salto verticale di
m 10 davvero rognoso: non è difficile (II+), ma si parte quasi solo di
braccia essendo il “piede” sottostante
franato. Le successive lame si muovo
tutte e la maggior parte mi restano in
mano. Non penso neanche di mettere
le protezioni; sarebbero un ulteriore
pericolo in caso di caduta staccando
le rocce disgregate. Fortunatamente
il passaggio, anche se impegnativo,
è relativamente breve e poco oltre il
filo ritorna più sicuro e agevole. Un
facile tratto in discesa conduce sotto
l'incombente salto del piz Papalin.
Qui una cengia su misura porta sul
versante occidentale, lo raggiungiamo
per roccette lasciando sulla destra un
pilastrino molto compatto. La croce,
ben visibile dal basso, è poco più a S
e la raggiungiamo dopo alcuni facili
passaggi (piz Papalin4, m 2714, ore 3).
La vista dalla sommità è strabiliante. L'atmosfera è mistica, le nuvole
salgono dal basso per poi scomparire
una volta sorpassata la vetta, sembra
che la montagna respiri!
Una piccola pausa e riprendiamo
la cavalcata verso N. Ormai le grosse
4 - Alessandro Gogna e Angelo Recalcati in Guida
dei Monti d'Italia. Mesolcina Spluga, CAI-TCI,
Milano 1999 lo chiamano pizzo del Torto.
Dalla vetta del pizzo del Torto (22 agosto 2013).
Capre sul pizzo di Val Marina (22 agosto 2013).
LE MONTAGNE DIVERTENTI 5 - Gogna e Recalcati (op. cit.) identificano questa
cima come Il Mottaccio.
L'euforia è tanta, ma il tempo
tiranno. A malincuore scendiamo
tornando sui nostri passi fino alla
prima depressione, dopo di che ci
gettiamo nel vallone ENE, localmente
detto i Valét, che conduce direttamente al lago del Truzzo (m 2080).
Qui incrociamo il sentiero che arriva
dal bivacco Carlo Emilio, attraversiamo il muro della diga e scendiamo
a valle per la famosa mulattiera del
Truzzo. L'aria è più afosa e abbiamo
finito le riserve d'acqua; la provvidenziale fontana di Cornera è una
manna: ci dissetiamo recuperando
qualche energia.
Il tramonto è alle porte e un ultimo
sguardo all'ardita cresta ci riempie il
cuore di gioia. Oggi ritorno a casa con
qualcosa in più, la curiosità che avevo
per questo luogo è mutata in ammirazione per queste montagne, repulsive, raramente visitate, sconosciute.
A qualcuno dicono poco... ma per me
sono tutto!
Dalla cima de Lunghezzasca verso il piz Papalin (22 agosto 2013).
Il rifugio della Finanza alla bocchetta de Lenden (22 agosto 2013).
72
difficoltà, più orientative e psicologiche che tecniche, sono alle spalle.
Procediamo
slegati,
superando
alcuni tratti di II grado: il percorso
risulta veloce, anche se esposto. Alla
cima de Lughezzasca (m 2716, ore
0:30) sostiamo per pranzo, allietati
da quattro aquile che volteggiano;
un peccato non aver con me il teleobbiettivo, sacrificato per far posto
alla ferraglia nello zaino. In teoria dal
giro pianificato qui dovrebbe cominciare la nostra discesa, ma tra una
chiacchera e l'altra propongo a Gianluca l’idea di chiudere la traversata
con il pizzo del Torto (m 2723). Con
un po' d’insistenza lo convinco e in
poco più di mezz'ora scavalchiamo
la quota m 2696 (passi di I grado).
Saliamo quindi al pizzo del Torto5
(m 2723, ore 0:30) per l'erbosa china
SO, concludendo cosi la lunga e tanto
sognata traversata dei pizzi del Torto.
Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI I pizzi del Torto
73
Approfondimenti
Valchiavenna
Alpe di Lendine
Mungitura: Kevin Quaini assistito dal “Pedar” (estate 1996, foto
Gianni De Stefani).
Sergio Scuffi
Montagne di neve a Lendine (febbraio 2014, foto G. De Stefani).
Gianni Quaini (dx, di spalle) prepara il formaggio con l’aiuto di
“Pepe” (estate 1999, foto Gianni De Stefani)
Autunno all'alpe di Lendine (4 novembre 2010, foto Roberto Ganassa).
I
proprietari
e
frequentatori
dell’alpe di Lendine, adagiata a
m 1710 nella verde conca ricca di
pascoli e corsi d’acqua, affermano che
diversi secoli fa (si azzardano periodi
tipo 1400 o 1500) l’alpeggio fosse
situato a quota inferiore, nella località boscosa detta Prà del Gualt, sulla
sinistra del corso d’acqua noto come
Aqua di Culdéer e nei pressi dei due
ponticelli che oggi si incontrano lungo
il sentiero (probabilmente il punto
segnato nelle carte come quota 1477).
Si dice che una slavina abbia poi
distrutto le abitazioni, e che quindi
i pastori abbiano cominciato a ricostruire nel dosso che si trova a monte
rispetto all’attuale Lendine, ma anche
qui la neve e le valanghe avrebbero
creato problemi. Si individuò infine
la striscia che, protetta a monte da
alcune roccette (Sengèl), vede ancora
oggi resistere il cratteristico gruppo
di oltre 30 costruzioni, addossate
l’una all’altra, separate solo da minuscoli vicoli, scalette, muretti di contenimento. Alcune di loro portano
incisa sull’architrave in legno una data
(miliésum): su una baita possiamo
74
LE MONTAGNE DIVERTENTI quindi leggere 1812, su un’altra 1816.
La particolarità costruttiva è spesso
quella del carden1, molto nota in val
San Giacomo ma diffusa anche nelle
zone limitrofe (Mesolcina, Bregaglia
italiana e svizzera), tanto che da alcuni
anni un progetto Interreg ha promosso
la realizzazione di un percorso che
collega le località che presentano dette
tipologie, da Mesocco a San Sisto e
Isola, poi giù fino a Dalò per risalire
verso Savogno, Villa di Chiavenna e
concludersi a Stampa, di nuovo nel
Canton Grigioni.
All’interno pochi rustici arredi,
l’immancabile focolare in pietra con
accanto la scigógna, robusto supporto
girevole in legno che consentiva di
collocare o togliere dal fuoco, secondo
le varie fasi della lavorazione, la
grossa caldaia in rame piena di latte
che serviva per la preparazione del
formaggio. La parte inferiore della
1 - Si tratta di una tecnica costruttiva che consente
di creare quattro pareti di travi squadrate e
sovrapposte orizzontalmente, incardinate nei punti
di incrocio quasi in corrispondenza delle estremità.
Tale manufatto è chiamato càrden dall’antica
tecnica dell’opus cardinatum, di cui parla Vitruvio
nel suo trattato sull’architettura dedicato
all’imperatore romano Augusto.
baita, normalmente in pietra murata
a secco che proteggeva dall’umidità e
dava maggiore stabilità al fabbricato,
era adibita a ricovero del bestiame o,
in qualche caso, a cantina. A questo
proposito, particolari tipi di cantina
erano, qui come su altri alpeggi, i casèi,
qui detti crutìin: minuscole costruzioni sempre in pietra a secco addossate al terreno o alla roccia, spesso
semisepolte nella parte a monte, in
grado di mantenere fresco il latte
depositato nelle conche dopo ogni
mungitura, fino a raggiungere il quantitativo ritenuto necessario per poter
procedere alla casèda, la lavorazione
che consentiva di ottenere il burro
e formaggio generalmente utilizzati
direttamente dalla famiglia. Proprio
dal crutìin iniziava la lavorazione con
la raccolta della panna (la fióo) che
affiorava dentro le conche: quelli di
Lendine fanno ancora bella mostra di
sé, allineati ordinatamente al di là del
torrentello che si nota, salendo, sulla
destra dell’abitato.
I mesi estivi vedevano l’afflusso di
numerose famiglie che salivano con le
loro mucche, alcuni animali da cortile,
Estate 2014
qualche maiale, pecore e capre (alle
quali però si riservavano i pascoli più
alti e fuori mano). Le mucche venivano
accompagnate al pascolo e costantemente sorvegliate dai pastori (compito
spesso affidato ai ragazzi), mentre alla
mungitura provvedevano mattina e
sera gli adulti, spesso sui pascoli stessi,
utilizzando il tipico sgabello ad un
solo piolo. Solo in caso di persistente
maltempo le bestie venivano ricoverate nelle stalle, nutrite col poco fieno
che veniva raccolto nella zona riservata a prato, ancora oggi visibile nella
piccola altura a valle delle abitazioni e
circondata da un lungo muro in pietra
a secco. Altro fieno veniva tagliato,
con molto lavoro e non senza pericoli,
con un piccolo falcetto nei boschi o
tra le rocce, trasportato poi dentro il
campac' fin presso le abitazioni, dove
si faceva seccare e quindi si depositava
in un angolo della casa o sotto i letti
collocati su rustici tralicci. La capacità di carico dell’alpeggio era stimata
attorno alle 70 erbate: con tale termine
si intende, qui come altrove, la quantità di pascolo in grado di mantenere
una mucca nei mesi estivi (frazioni
LE MONTAGNE DIVERTENTI di erbata, rigorosamente codificate
in regolamenti scritti, riguardavano
vitelli o altri animali di piccola taglia;
molto di più si richiedeva per i cavalli).
Proprietari e frequentatori di
Lendine erano, fino agli anni ’50, i
nuclei familiari provenienti da San
Bernardo; in seguito, gradualmente,
essi cedettero le proprietà ad altre
famiglie, soprattutto di Olmo; a
queste si aggiunsero, in seguito, anche
allevatori del fondovalle (Chiavenna e
Samolaco).
Ultimamente l’alpeggio è stato caricato da allevatori provenienti dalla
piana della Mera; da diversi anni,
ormai, vi porta le proprie bestie solamente Gianni Quaini, che sale quassù
da Somaggia di Samolaco con 40/60
bovini.
Nel corso degli anni ha realizzato un
proprio locale per la caseificazione, in
grado di consentirgli la preparazione
di ottimi prodotti che, con cadenza
regolare, trasporta a valle sia utilizzando il tradizionale mulo sia, all’occorrenza, servendosi dell’elicottero.
Molto più in alto, a m 2164, si apre
la piccola avert di Valcapra: fin quassù
si spingevano, ancora pochi decenni
fa, alcuni alpeggiatori: gli ultimi
dicono siano stati il Pitt, un Balatti di
Chiavenna, e Guglielmo Geronimi
di Olmo. Come punto di appoggio
avevano cinque minuscole baite.
Qui il CAI di Chiavenna ha in
progetto la costruzione di un piccolo
bivacco (8 posti), della cui struttura in
legno si stanno occupando gli studenti
dell’Istituto Professionale “Crotto
Caurga”, sezione ebanisti: servirà come
importante punto di appoggio lungo il
percorso denominato Gran panorama
delle cime dal pizzo Tambò al passo di
San Jorio, ideato dal Gruppo Promozione Sentieri di Mesocco, progetto al
quale il CAI di Chiavenna ha garantito la propria collaborazione.
A
lpeggi, mucche, echeggiare di
richiami e suono di campanacci,
ma non solo: qui, come in altri angoli
delle nostre vallate, in più occasioni si
rinnovò la pratica del contrabbando.
Schiere di spalloni attraversavano i
valichi in tutte le stagioni, affrontando immani fatiche, incuranti delle
intemperie, correndo molti rischi, che
Alpe di Lendine
75
Alpinismo
Valchiavenna
Gianni Quaini col suo mulo (estate 1996, foto Gianni De Stefani).
Alpe Valcapra (estate 2011, foto Gianni De Stefani).
http://lemontagnedivertenti-diario.blogspot.it/
76
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
andavano ben al di là del sentirsi intimare l’altolà e il «molla…!» da parte
delle guardie di frontiera (che anche
quassù avevano realizzato un minuscolo rifugio in pietra dove bloccare il passaggio): si rischiava la vita
per la caduta di valanghe o per
altri incidenti lungo un percorso
aspro, a volte appena segnato, senza
alcuna protezione e spesso percorso
durante le ore notturne. Una grave
disgrazia, che costò la vita a sei uomini
di San Bernardo che da Soazza, dove
invano avevano cercato lavoro, tentavano di rientrare al proprio paese
attraversando le montagne, è riportata dalla stampa svizzera locale (Il
San Bernardino, 29 gennaio 1910). I
poveretti, accompagnati per un tratto
da parenti che vivevano in quella località, furono travolti da una immensa
valanga: i loro corpi, dopo innumerevoli, inutili tentativi, furono ritrovati
solo a fine giugno, secondo la notizia
data dallo stesso giornale.
Gli uomini che frequentavano questi
luoghi, una volta superata la bocchetta
di Lendine, scendevano in val Marina
e andavano a rifornirsi a Soazza, in val
Mesolcina, oppure a Mesocco.
Alcuni di loro ancora ricordano e
raccontano, in certi casi non senza
una punta di nostalgia, come spesso
avviene per i fatti di un passato ormai
lontano.
Donato Tomera, ancora ragazzino,
seguiva un gruppetto di adulti (lui
dice che andavano in non più di 4-5
per non dare nell’occhio, ma diverse
erano le comitive, alcune accompagnate anche da donne). Durante l’ultima guerra (lui iniziò a fare lo spallone
nel 1943) partivano da San Bernardo,
valicando la bocchetta di Lendine,
ma siccome questa, adiacente al
LE MONTAGNE DIVERTENTI passo della Forcola, era più frequentata e controllata, più spesso sceglievano la via del Truzzo che conduceva
a Mesocco. Donato in un decennio
circa di attività ha praticato un po’
tutti i valichi compresi fra i monti
dell’alto Lario e il passo del Baldiscio
sopra Isola: la scelta del percorso (che
durava almeno 7-8 ore), si effettuava
di volta in volta secondo le segnalazioni che i vari gruppi non mancavano di scambiarsi circa la presenza
di pattuglie delle guardie di frontiera,
su entrambi i versanti. Sì, perché il
contrabbando si svolgeva, a seconda
dei periodi, sia nell’una, che nell’altra
direzione. Durante l’ultima guerra si
portava verso la Svizzera soprattutto
riso, al quale si aggiungevano però i
più svariati tipi di generi alimentari e
non solo (a volte stoffe, sete e simili);
al ritorno i contrabbandieri si caricavano di dadi di pollo e manzo, sale,…
E proprio dalle guardie svizzere,
mentre in compagnia di un fratello
cercava di consegnare un carico di
superalcolici, il nostro fu catturato e
portato a Mesocco, rinchiuso in un’abitazione in attesa che sopraggiungesse
da Locarno un funzionario che doveva
stabilire la pena relativa: si parlava di
una multa di 480 franchi, convertibile
in 48 giorni di carcere a Bellinzona da
trascorrere spaccando legna. Approfittando della distrazione della guardia,
a quanto pare occupata a conversare
con una bella ragazza, i due riuscirono
a scappare dal retro, guadare il fiume
Moesa e impedire così al cane poliziotto, subito dopo sguinzagliato, di
seguire le loro tracce; Donato ricorda
che, per raggiungere il valico e porsi
in salvo in Italia, impiegarono meno
della metà del tempo usuale: non si fa
fatica a credergli…!
Alpe di Lendine
77
Escursionismo
1
Alta Via della Valmalenco
1 tappa
a
Da Torre di Santa Maria al rifugio Bosio, passando per i Piasci, il lago
d'Arcoglio e la vetta del Sasso Bianco (m 2490).
Eliana e Nemo Canetta
78
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il poggio panoramico dei Piasci incorniciato (da sx) dal Corno di
Braccia, dal pizzo Tremogge, dalla costiera Glüschaint-Sella, dal
gruppo del Bernina visibile fino pizzo Palù
AltaRoberto
Via della
Valmalenco
(I tappa)
79
(28 maggio 2011, foto
Ganassa
- www.clickalps.com).
Escursionismo
BELLEZZA
Partenza: Torre di Santa Maria - frazione
Ciappanico (m 1000 ca.).
Itinerario
FATICA
PERICOLOSITÀ
-
automobilistico: da Sondrio si
prende la SP 15 della Valmalenco. Si toccano gli
abitati di Mossini, Cagnoletti, Prato e, prima che la
provinciale si porti sulla sx idrografica del Mallero, si
curva a sx e si raggiunge il centro di Torre di Santa
Maria. All'ingresso del nucleo, in corrispondenza del
bar, si prende sulla sx via Soncelli, poi a sx via San
Giuseppe e a dx via Cortile Nuovo (indicazioni per
Dosso-Ciappanico). Si supera il Torreggio (dopo il
ponte inizia un sentiero che porterebbe direttamente a
Ciappanico senza ulteriori sforzi automobilistici).
Raggiunto un panoramico promontorio, si gira a sx
per Dosso-Ciappanico (qui è anche la freccia indicatrice
305 dell’AV). Al tornante destrorso dopo il cartello
d'ingresso nella frazione, si va a sx e si lascia l'auto
nella piazzetta asfaltata (circa 12 km).
Qui si può arrivare anche scendendo da Chiesa in
Valmalenco e imboccando a dx una strada in località
Sant' Anna (indicazioni). Si sale ripidamente per vari
tornanti fino al cartello e al parcheggio descritti sopra.
Itinerario sintetico: Torre di Santa Maria
frazione Ciappanico (m 1000 ca.) - Ciappanico
Valmalenco
Vecchio (m 1056) - alpe Son (m 1365) - Piasci
(m 1720) - alpe Arcoglio Inferiore (m 1976) - alpe
Arcoglio Superiore (m 2123) - lago d'Arcoglio
(m 2234) - Sasso Bianco (m 2490) - rifugio Bosio/
Galli (m 2086).
Tempo previsto: 7 ore.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
Difficoltà/dislivello: 2 su 6, 1500 in salita e
La prima delle 8 tappe dell'Alta Via della Valmalenco porta dall'antico borgo di
Ciappanico alle pendici del gruppo del Disgrazia. L'escursione ha estremo interesse
ambientale ed è ben segnalata, pur richiedendo un tratto di percorso al di fuori
dei sentieri battuti. Impegno e fatica sono ampiamente ricompensati da un
eccezionale panorama sui gruppi del Disgrazia, del Bernina e dello Scalino.
400 in discesa (sviluppo 13 km).
Dettagli: E con un tratto EE. Escursione su sentieri
segnalati da bandierine bianco-rosse e dai triangoli
gialli dell'Alta Via della Valmalenco. Un po' difficile
l'orientamento in discesa dal Sasso Bianco. Ai
segnavia triangolari dell'AV, sono affiancati recenti
bolli rettangolari bianco-rossi.
Mappe:
- Comunità Montana Valtellina di Sondrio,
Cartografia Escursionistica, Fogli 1-2: Valmalenco Versante retico, 1:30000;
- Valmalenco. Speciale Alta Via della Valmalenco,
1: 30000, allegato omaggio al n. 29 de Le Montagne
Divertenti.
Ci incamminiamo dal parcheggio
della piazzetta, attraversando Ciappanico Nuovo (m 1000 ca.) su sentiero
segnalato con varie scalinate e tratti su
asfalto. Nella parte alta della contrada,
in corrispondenza di un tornante
destrorso, dalla via asfaltata si stacca
sulla sx una pista sterrata che entra
in val Torreggio1. Proprio in corrispondenza di questo bivio troviamo
1 - La pista, chiusa al traffico, porta al parcheggio
ai piedi di Ciappanico Vecchio.
80
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI il cartello per il rifugio Bosio che ci
indirizza sul sentiero per la splendida e raccolta frazione di Ciappanico Vecchio, ancora ben conservata
seppur non più abitata tutto l'anno
dall'inizio del nuovo millennio.
La attraversiamo e la superiamo
seguendo i bolli e guadagniamo un
primo ripiano con alcune vecchie
baite. Subito dopo è uno suggestivo
tratto di antico tracciato conservato
intatto. A questo punto la mulat-
tiera, che proseguiva verso sx e attraversava l’area di frana sino alle case
di m 1200 ca., è stata interrotta in
seguito a lavori di sistemazione della
frana. È in corso di realizzazione un
sentiero alternativo che si diparte sulla
dx (saranno apposte segnaletiche),
dirigendosi per poco meno di un
chilometro in direzione ONO, verso
le pendici di Rocca Castellaccio. Poi
il nuovo tracciato, che ricalca antichi
percorsi, piega bruscamente a sx (SO)
Alta Via della Valmalenco (I tappa)
81
Escursionismo
Valmalenco
Monte di Caldenno
(2669)
Sasso Bianco
Monte Canale
(2522)
(2490)
Monte Disgrazia
(3678)
Corni Bruciati
(3114-3097)
Cima di Vazzeda
Monte del Forno
(3302)
(3214)
Corno di Braccia
(2908)
Passo di Corna Rossa
(2836)
Passo di Caldenno
(2517)
Pizzo Tremogge
(3441)
Sassa di Fora
(3366)
Piz Glüschaint
(3594)
La Sella
(3584-3564)
L. di Sassersa
Lago d'Arcoglio
Arcoglio Sup.
Zana
Rif. Bosio
Fora
Arcoglio Inf.
A. Canale
Giumellino
Piasci
Pra Fedugno
Acquabianca
Sasso Alto
Entova
Mastabbia
Girosso
Pradaccio
Bracciascia
San Giuseppe
Pirlo
Lago
Castellaccio
Cima Sassa
Son
Primolo
Giuèl
Ponte
Prato Comino
Baser
Costi
Chiesa
Musci
Ciappanico
Bianchi
Motta
Pra Mosin
Piazzo Cavalli
Curlo
Vassalini
Caspoggio
Torre di Santa Maria
S. Anna
Valmalenco, val Torreggio e la prima tappa dell'Alta Via della Valmalenco viste dal monte Palino (18 ottobre 2011, foto Beno).
In giallo il vecchio tracciato da Ciappanico a Son, ora chiuso per lavori.
per raggiungere con alcuni zig-zag gli ampi pianori che anticipano l’alpe Son (m 1364). Qui abbandoniamo il sentiero
che prosegue verso O in direzione del rifugio Bosio/Galli
e prendiamo la mulattiera a sx con indicazione Piasci. Ci
portiamo sul fondo della valle che percorriamo sino ad un
ponte. Passati sulla dx idrografica, ci inerpichiamo per
una costa cespugliosa con una serie di tornanti. Non senza
fatica sbuchiamo così sull’ampia spianata del maggengo dei
Piasci (m 1700; ore 2 da Ciappanico).
ai Piasci, ci si alza verso sx (SO) in direzione della
visibile chiesetta e del soprastante rifugio Cometti2,
posto in cima ai prati e dall'aspetto caratteristico con i suoi
infissi rossi. Dal rifugio parte una traccia che si innalza
gradatamente in un bel bosco di conifere e raggiunge, incrociando anche la carrozzabile proveniente da Torre di Santa
Maria, le vastissime praterie dell’alpe Arcoglio3 inferiore
D
Fienagione ai Piasci. A sx in alto è visibile il rifugio Cometti
(7 luglio 2013, foto Luciano Bruseghini).
L'alpe Son, ancora monticata con 4-5 capi da Luciano Gianotti, che poi prosegue la stagione con
gli stessi al lago Palù (1993, foto Franco Benetti).
82
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI 2 - Il rifugio Cometti è privato; dispone di 30 posti letto e di servizio ristorante
in stagione (tel. 0342.452810).
3 - Sui pascoli di Arcoglio, Antonietta e Alberto Vanotti monticano 50 capi,
dopo aver pascolato anche i Piasci. Inoltre Alberto Libera con la moglie fa
pascolare 170 mucche ad Arcoglio e a Colina, oltre a una quarantina di vitelle
all'alpe Canale (informazioni sulla monticazione degli alpeggi raccolte da
Andrea Sem).
Alta Via della Valmalenco (I tappa)
83
Escursionismo
(m 1976). Qui abbandoniamo la
direttrice che prosegue verso S in direzione della sella tra il monte Canale e
il monte d'Arcoglio, localmente detta
Colma d’Arcoglio4. Imbocchiamo
invece una recente pista sulla dx che
assai ripida porta alla spianata sulla
quale si distende l’alpe Arcoglio Superiore, dove è la chiesetta ubicata su un
poggio con splendido panorama sul
gruppo del Bernina e sul dirimpettaio
monte Palino. Dall'alpe pieghiamo
a sx (S) e, sormontato un gradone
roccioso, in lieve ascesa tra ampie
conche pascolive approdiamo al lago
d'Arcoglio (m 2234, ore 1:30).
Adagiato in posizione amena, con
forma leggermente arcuata e sponde
limacciose, regala i colori più belli
all'alba, quando i raggi del sole illuminano questi monti scavalcando
il gruppo dell'Adamello e la frasta4 - Quotata m 2313, ma non nominata sulle carte.
84
LE MONTAGNE DIVERTENTI gliata cresta che dalla Corna di Mara
(m 2807) giunge al pizzo Scalino
(m 3323), passando per il pizzo
Painale (m 3248) e la vetta di Ron
(m 3136).
Dallo specchio d’acqua risaliamo il
valloncello a OSO e su deboli tracce
tra erba e sfasciumi siamo al colletto
erboso a N del Sasso Bianco, localmente detto passo di Arcoglio5, da
cui ci affacciamo all'alta val Torreggio.
Pieghiamo a sx (S) e in breve ecco
il cocuzzolo biancastro del Sasso
Bianco (m 2490, ore 0:40).
Qui la vista si apre verso S sui monti
di Castione e Postalesio, oltre che sul
tristemente capannonizzato fondovalle valtellinese, inciso longitudinalmente dalla trafficata SS38.
alla vetta ci abbassiamo lungo
il crestone O a una larga sella
D
5 - Così chiamato anche in Aldo Bonacossa, Guida
dei monti d'Italia. Masino Bregaglia Disgrazia,
CAI-TCI, Milano 1936.
detta localmente Colma di Zana
(m 2417), posta fra il Sasso Bianco e
il monte Caldenno e attraversata da
una traccia che collega il lago e l’alpe
di Zana6 con il lago e l’alpe di Colina,
ben visibile sul versante valtellinese.
Insistiamo verso O sulla facile cresta
in direzione del monte di Caldenno,
fino ai piedi del roccioso torrione di
quota m 2500. Giunti nei pressi di un
ometto di pietra, scendiamo verso N
e attraversiamo in costa una serie di
vallette. Sempre seguendo gli ometti
e i segnavia, andiamo ad imboccare
un valloncello che, con una salita di
qualche decina di metri, porta alla
selletta immediatamente a S della
quota m 2530 (ometto di orientamento). Raggiunta in breve questa
sommità, prendiamo un poco individuato dosso e divalliamo senza la
minima difficoltà nei pressi della baita
6 - All'alpe Zana e al Palù di Zana vengono ancora
monticati ben 50 capi da Enzo Vanotti.
Estate 2014
del Piano della Pecora, ove ci colleghiamo al sentiero che scende dal
passo di Caldenno. Pieghiamo allora
a dx e in pochi minuti siamo rifugio
Bosio7 (m 2086, ore 2:30).
a capanna dai caratteristici
infissi rossi è situata in una
conca di origine glaciale, sbarrata
dalla morena frontale di una antica
vedretta. Il lago che si era formato
al suo interno è ancora oggi visibile,
benché in gran parte trasformato in
torbiera. Si possono osservare anche
i grandi blocchi di serpentino precipitati dai soprastanti Corni d’ Airale.
La loro tinta rossastra, dovuta all’
alterazione superficiale del serpentino, contrasta vivamente col grigio
verdastro dei micascisti sui quali è
costruito l'edificio.
L
7 - Il rifugio Bosio/Galli, di proprietà del CAI di
Desio, si trova sul limitare di un bosco di
conifere. Dispone di 50 posti letto e funziona da
alberghetto nei mesi estivi (tel. 0342.451655).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il lago d'Arcoglio. Sullo sfondo il Sasso Nero e
il gruppo del Bernina (18 ottobre 2009,
fotoVia
Roberto
- www.clickalps.com).
Alta
dellaGanassa
Valmalenco
(I tappa)
85
Escursionismo
Valmalenco
VARIANTE 1: ACCESSO DIRETTO DA TORRE
Arcoglio Inferiore (28 maggio 2011, foto Roberto Ganassa).
La chiesetta di Arcoglio Superiore (28 maggio 2011, foto Ganassa).
La vetta calcarea del Sasso Bianco(12 novembre 2005, foto Bruseghini).
Mucche al pascolo nella piana dell'alpe Airale (8 settembre 2012,
foto Luciano Bruseghini).
Il rifugio Bosio-Galli (19 luglio 2012, foto Luciano Brusghini).
Panorama dalla croce di Poverzone (9 settembre 2013, foto Ganassa).
Dall'incrocio sopra al municipio di Torre di Santa Maria
(m 814), si segue l’indicazione “ai rifugi” e si imbocca verso
S (sx) la stradella che porta ai Bianchi, località tra le più
tipiche e antiche della valle. La carrozzabile prende quota
a tornanti, asfaltati ma stretti. Tocca Musci (m 969), poi
taglia a mezza costa il ripido fianco boscoso della valle,
transitando nei pressi della località Pizzi (m 1140), ove il
fondo diviene sterrato ma con lunghi tratti in cemento
(difficoltà di scambio). Una serie di tornanti porta sull’orlo
dell’incassata e solitaria valle del Rio Valdone. Verso i
m 1400 inizia un nuovo diagonale, ora in direzione NO,
che raggiunge la località Braccia, poco sopra le case di
Zocca e Fedugno. Qui giunge da valle un sentiero ripido
e diretto che collega Bianchi con Braccia in circa 2 ore e
mezza (indicazioni). Poco oltre è consigliabile parcheggiare nei pressi di un importante bivio: a dx una pista
inizialmente in discesa, raggiunge il maggengo dei Piasci
(m 1720, 10 km di auto da Torre e 30 minuti a piedi).
Prendendo invece a sx si sale a Corti (m 1720), ripiano
con splendido panorama sulle Orobie e sul monte Palino;
più oltre la strada è chiusa al traffico privato e conduce con
andamento pianeggiante ai ripiani prativi di Arcoglio Inferiore (m 1916), ove si incontra l’itinerario principale (ore 1
dal parcheggio).
VARIANTE 2: ACCESSO DIRETTO DA SONDRIO
Da Sondrio si imbocca la provinciale per la Valmalenco
sino a Mossini; qui si prende a sx seguendo le indicazioni
per Triangia. Raggiunto il borgo si continua su una stretta
carrozzabile asfaltata fino a Ligari (m 1097, indicazioni).
Poco oltre la strada è chiusa al traffico e si deve proseguire
a piedi. Un cartello dedicato alle MTB dà il lago di Colina
a 15 km.
Il percorso, asfaltato solo nel primo tratto, offre ampi scorci
sulla bassa Valmalenco e su Sondrio dalla località Forcola, e
sulla media Valtellina dalla panoramica croce di Poverzone
(m 1908), posta sul bordo di un esposto terrazzo alle
pendici del monte Rolla.
Dalla croce la strada spiana e traversa a ovest. Arrivati
all'alpe Colina (m 1955), al bivio sopra lo stallone si va a
dx e dopo un centinaio di metri si trova il lago di Colina
(m 2076, ore 4).
Sopra il lago un tratturo presto si smagrisce nel sentierino che, vinta la ripida costa prativa, porta senza problemi
all’ampia sella della Colma di Zana (m 2417), ove si
incrociano le segnaletiche del percorso principale dell’AV.
TRAVERSATA AL RIFUGIO DESIO
Il Disgrazia riflesso in una pozza nei pressi della Colma di Zana
(13 settembre 2005, foto Beno).
86
LE MONTAGNE DIVERTENTI Dal rifugio Bosio/Galli (m 2086) si supera il Torreggio
e, invece di prendere a dx lungo il tracciato dell’AV, si va
a sx su un sentierino che accosto al torrente risale la parte
superiore della valle Airale. Costeggiata la base inferiore
dei rosseggianti Corni di Airale, si giunge verso m 2250
sotto alcune belle cascate che scendono dalla sx idrografica.
Lasciato a dx il tracciato segnalato che porta ai laghi e al
L'alpe Colina (9 settembre 2013, foto Ganassa).
Estate 2014
La capanna di Corna Rossa, costruita nel 1880 e sostituita nel 1924
dalla capanna Desio. In questa cartolina del 1905 si riconosce
chiaramente la guida alpina Enrico Schenatti (archivio M. Cittarini).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il rifugio Desio al passo di Corna Rossa è abbandonato dai primi anni
2000 (19 luglio 2012, foto Luciano Bruseghini).
passo di Cassandra, si prosegue verso NO per entrare nella
parte terminale e più solitaria della valle Airale, circondata
da torri rocciose di aspetto quasi dolomitico nonostante
siano costituite da serpentine ed anfiboliti. Verso m 2500
si superano le morene di un ghiacciaietto che occupava
le pendici della cima di Postalesio e dei Corni Bruciati; il
sentiero si fa meno evidente e bisogna seguire la segnaletica
con molta attenzione. Oltre una fascia di grandi blocchi, a
m 2569, si imbocca verso N un cengione che porta al circo
superiore ove si continua verso il passo di Corna Rossa e il
rifugio Desio (ore 3.00).
Il rifugio Desio, eretto nel 1924 al posto della distrutta
capanna di Corna Rossa, già edificata nel 1880, fu uno
dei primi delle Alpi Retiche e costituiva l'appoggio più
comodo per l'ascensione al monte Disgrazia8. Chiuso dai
primi anni 2000 per cedimenti strutturali dovuti ad assestamenti del terreno, disponeva di 18 posti letto. È attualmente inagibile e pericolante; la Sezione del CAI di Desio,
sua proprietaria, non prevede ristrutturazioni.
8 - Fino alla costruzione negli anni '60 della strada per Preda Rossa, la via solita
per il Disgrazia partiva da Torre Santa Maria e di qui calava nel bacino del
Masino.
Alta Via della Valmalenco (I tappa)
87
Approfondimenti
Valmalenco
C i a pGpa n iC c o
intervista a
iancarlo
orlatti e
Rosita Orsatti
Beno
Ciappanico Vecchio (1934). Si notino i muri storti delle case nella parte sinistra della frazione e i grossi movimenti franosi sulle pendici del
monte Rocca di Castellaccio.
Ciappanico Vecchio (1921-1922).
C
iappanico1 è una contrada di
Torre di Santa Maria ubicata
in sx orografica della bassa val
Torreggio a oltre m 1000. È costituita
da due nuclei con meno di cinquanta
edifici, uno più alto, raccolto, e
rivolto a S - Ciappanico Vecchio - e
uno più recente rivolto a E - Ciappanico Nuovo.
Un tempo a Ciappanico c'erano
oltre 200 abitanti, ma il borgo ha
subito un lento e inesorabile abbandono a partire dagli anni '70 e attualmente conta solo una trentina di
persone fisse.
L'abitato si trovava sulla via principale per i monti di Torre. Fino al
1987, infatti, sia gli alpeggi che i rifugi
1 - Si pronuncia Ciappanìco.
88
LE MONTAGNE DIVERTENTI della val Torreggio erano raggiunti
esclusivamente a piedi attraverso la
vecchia mulattiera che passava di qui e
toccava la soprastante alpe Son.
Tra il 17 e il 19 luglio 1987 le
abbondanti piogge, unite alla grave
erosione operata dal torrente al
piede di entrambi versanti della val
Torreggio, riattivarono antiche paleofrane. Diversi milioni di metri cubi
di materiale, perlopiù provenienti dal
declivio sotto pra Fedugno, si riversarono nell’alveo del torrente formando
una diga. Quando questa si ruppe,
una colata detritica distrusse i due
ponti sul Torreggio e varie case di
Torre di Santa Maria.
L'anno successivo venne pertanto
costruita la strada che porta ai Piasci
zigzagando sul versante NE del monte
Canale tagliando fuori la bassa val
Torreggio e Ciappanico dalle consuete
rotte per gli alpeggi.
Al n. 6 di Ciappanico Nuovo dal
1948 al 1996 c'era un'osteria affiancata dal 1950 al 2001 da una bottega.
A condurre le attività era Giancarlo
Corlatti con, dal 1962, sua moglie
Rosita Orsatti. Su consiglio dell'amico Claudio Corlatti, che li ha definiti la memoria storica di Ciappanico,
li andiamo a trovare.
a nostra chiaccherata ha luogo
proprio al n. 6 di Ciappanico
Nuovo, al piano sopra di dov'erano
negozio e osteria, davanti a un buon
bicchiere di rosso, una fetta di torta e
una vecchia immagine di Ciappanico.
«La foto ritrae Ciappanico Vecchio.
Risale al 1920-1921 - esordisce Gian-
L
Estate 2014
carlo. Lo so perchè alla casa dove è
cresciuto il don Renato Lanzetti, che
ora è prete a Grosio, non avevano
ancora alzato il tetto.
Questa fotografia l'ha trovata
qualche anno fa il Palmiro in Argentina. L'aveva conservata suo zio, il
Bonomo Lanzetti, emigrante di Ciappanico. L'ha riportata in patria e ce ne
ha dato una copia a tutti!»
Osservando l'immagine notiamo la
vasta estensione di campi e terrazzamenti sovrastata da terreno instabile.
«A Ciappanico - ci spiega Rosita - si
coltivavano il granoturco e le patate.
Negli appezzamenti più ripidi cresceva
la segale. C'erano due forni in cui
si faceva il pane e a Natale anche il
panùn, ma senza castagne perchè qui
non ce n'erano. Da bambini a volte
LE MONTAGNE DIVERTENTI le si andava a rubare a Mossini, ma
se ci beccavano, giustamente, ai ne
šc'ursàva2.
i presume che il nucleo attualmente noto come Ciappanico
Vecchio non sia quello originale del
paese: prima dell'Ottocento le case
si trovavano più vicine al Torreggio.
A causa delle frane la gente migrò sul
fianco S del monte Rocca di Castellaccio. Ma pure questa scelta non si
rivelò vincente: l'area poggia su una
falda di scorrimento3 e, oltre alle frane
S
2 - Ci cacciavano in malomodo.
3 - La base dell'abitato poggia sull'accumulo
instabile di una grande paleofrana che si è staccata
dalle pendici della Rocca Castellaccio, probabilmente subito dopo l'ultima glaciazione. Il piano di
scivolamento si troverebbe a quasi 30 m di
profondità. La frana è in perenne movimento. Ad
esempio dal 1988 al 2001 le vicine maśun di
Curlàt risultano traslate a valle di ben 16 metri!
e ai sassi che cadevano dall'alto, pure
le case si muovevano. Se osservate
specialmente la fotografia del 1934,
notate come il versante del monte sia
pericolante e gli edifici a sinistra della
chiesa4 abbiano i muri storti!»
Negli anni gli smottamenti si susseguirono, talora con episodi molto
gravi. Nel 1911 una grossa frana
si staccò dalle pendici del monte
Rocca di Castellaccio e si fermò poco
distante dalle case.
Il Genio Civile e l'ing. Orsatti
avevano ordinato di evacuare Ciappa(fonte: PGT del Comune di Torre di Santa Maria
- aggiornamento dello studio geologico a cura di
Guido Merizzi - 2010).
4 - La chiesetta di Ciappanico, dedicata alla Beata
Vergine del Rosario, fu probabilmente edificata nel
1838, come conferma l'iscrizione su una tavoletta
di legno ora incassata sulla parete destra del
presbiterio.
Ciappanico
89
Approfondimenti
Valmalenco
Torre di Santa Maria e, in alto a dx, Ciappanico nel 1905. È impressionante l'estensione dei terrazzamenti coltivati. Guardando le cime ancora
innevate delle montagne e i campi appena dissodati, è probabile che si tratti di un'immagine primaverile (cartolina archivio Maurizio Cittarini).
La chiesetta dedicata alla Madonna del Rosario a Ciappanico Vecchio. Sullo sfondo la grande frana della val Torreggio scesa dai pendii sotto Pra
Fedugno nel 1987 (7 luglio 2013, foto Luciano Bruseghini). Sotto: la lapide commemorativa presente presso la chiesetta.
sero morti sul colpo.
L'Enrico Corlatti fu dissepolto solo
alla sera, e venne estratto dal cumulo di
macerie in istato irriconoscibile.”5
«Tutta Ciappanico è molto riconoscente a questi uomini. Nel 1913 è
stato posto un monumento nel cimitero di Torre e uno nel piazzale della
chiesa della Madonna del Rosario
a Ciappanico. Inoltre, a 100 anni
dalla tragedia - ci racconta Giancarlo
- abbiamo voluto ricordarli con una
messa.»
Nel 1941, infine, furono dati incentivi economici alla gente per trasferirsi
in una nuova casa in località Dosso,
più sicura, e così pian piano nacque
Ciappanico Nuovo. Salendo oggi a
Ciappanico Vecchio si può constatare
come la zona a O della chiesetta sia
quasi completamente crollata a causa
dei movimenti del terreno, mentre la
zona orientale è stata ben ristrutturata
e costituisce uno dei nuclei rurali della
Valmalenco meglio conservati, con
gli edifici addossati gli uni agli altri
e intercalati da strette viuzze, dove si
può ammirare ancora l'utilizzo certosino e accurato degli spazi tipico degli
antichi borghi rurali.
«Io sono nato a Ciappanico Vecchio
- continua Giancarlo con un po' di
nostalgia. Ma la mia vecchia casa è
crollata.»
Oggi non vive più nessuno stabilmente a Ciappanico Vecchio.
«Fino al 2001 lassù c'era ancora
il Carlìn, classe 1921. Stava da solo
e passava le giornate nei boschi a
fare legna. Credo - aggiunge Rosita
- che ne abbia fatta talmente tanta
che i suoi nipoti la stanno ancora
bruciando! Era un tipo riservato ma
simpatico. Era reduce della Russia, ma
della guerra non voleva mai parlare.
Una volta quando era passato qui in
bottega gli chiesi perchè non si fosse
mai voluto sposare: era un bell'uomo.
nico e quindi costruire una briglia al
piede del monte per mettere in sicurezza le case. Una squadra di operai
locali già da alcuni giorni stava
eseguendo i lavori quando, il 6 giugno
1911: “appena le funi, che dovevano
servire loro di appoggio sul fortissimo
pendio e sul mobile terreno, furono assicurate, avvenne la disgrazia improvvisa
e terribile. Nuovo materiale si staccò
dal monte e fece muovere tutti i detriti
che già minacciavano la contrada di
Ciappanigo, poi tutto si sfasciò e si
adagiò quietamente, quasi soddisfatto
dell'opera sua distruttrice, sul pendio
sottostante.
La montagna voleva le sue vittime, e
pur troppo le scelse fra questi umili ed
oscuri eroi del lavoro. Perchè di quegli
operai il giovane diciannovenne Corlatti
Giovanni di Bonifazio, ed altri due
sul fiore della virilità, Corlatti Enrico
di Fedele, ammogliato e con tre figli,
e Carlo Lanzetti, padre di otto figli,
furono schiacciati dalla ruina, e rima-
90
LE MONTAGNE DIVERTENTI 5 - Brano tratto dal Corriere della Valtellina del 9
giugno 1911.
Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Lui mi rispose che prima di partire
per la Russia i suoi piani erano quelli
di trovar moglie e metter su famiglia,
poi, dopo quello che aveva visto, aveva
deciso di non voler correre il rischio di
mettere al mondo creature che avrebbero potuto vivere i drammi ai quali
aveva assistito.»
Rosita ricorda che il Carlìn era uno
molto sarcastico.
«Vedendolo anche da anziano solo
e in posti pericolosi, gli chiesi se non
aveva paura da vegnì giù6. Lui mi
rispose che prima o poi tutti quelli di
Ciappanico devono vegnì giù, a meno
di non morire a Tornadù7 e allora
dover esser portati in salita al cimitero
di Torre!»
oco a E di Ciappanico Vecchio
si trova un edificio intonacato di
P
6 - Espressione dialettale che indica sia il cadere
verso il basso che, nella frazione di Ciappanico, il
morire, in quanto i morti venivano sepolti più in
basso nel cimitero di Torre.
7 - Contrada bassa del comune di Torre di Santa
Maria.
Ciappanico
91
Approfondimenti
Valmalenco
Le costruzioni più occidentali di Ciappanico Vecchio. Sullo sfondo i detriti della grande frana della val Torreggio (1993, foto Franco Benetti).
In basso: le briglie costruite per frenare la forza distruttrice del torrente in bassa val Torreggio (23 maggio 2013, foto Beno).
giallo, a pianta quadrata, due piani e
col lato di circa 10 metri: è la scuola.
Fino al 1934 i bambini di Ciappanico erano costretti a scendere a Torre
per andare a lezione, al che gli abitanti
della contrada espressero il desiderio di
avere un edificio scolatico più vicino.
I lavori iniziarono nel 1933. La gente
di Ciappanico ci mise la manodopera,
mentre delle spese vive se ne occuparono il Partito Nazionale Fascista e il
comune di Torre di Santa Maria nella
figura del Podestà, pagando fatture per
un valore di 7000 lire8. Terminati i
lavori nel dicembre del 1934, la scuola
fu aperta nel gennaio del 1935.
«I primi anni c'erano 30 alunni che
frequentavano una pluriclasse, dalla I
alla III. Quelli più grandi, non essendoci spazio, venivano mandati a Torre.
Il maestro era unico e doveva essere
8 - Informazioni conservate nell'archivio comunale
di Torre di Santa Maria.
92
LE MONTAGNE DIVERTENTI molto abile a gestire i bambini perchè
erano molto vivaci.»
Giancarlo e Rosita ci mostrano a
riguardo un calendario del paese su
cui è riportata la testimonianza di
Vittorio G., classe 1939: “Eravamo
quattro classi, dalla I alla IV per un
totale di circa 35 alunni. La maestra era
unica per tutti e le diverse classi venivano divise mediante le file di banchi:
i bambini più piccoli occupavano la
prima fila di banchi, i più grandi
l'ultima.
La maestra arrivava da Sondrio, si
chiamava Miriam Gianatti. Saliva al
lunedì con la corriera fino a Torre e a
piedi fino a Ciappanico dove restava
fino al sabato: durante la settimana
dormiva in un locale al secondo piano
della scuola.
L'aula era al piano terra e, scendendo
da una scala esterna, al piano sotterraneo seminterrato, c'erano due locali:
uno per il deposito del latte e l'altro per
la trasformazione in burro e formaggio.
Non avevamo una divisa per andare
a scuola e nella nostra cartella c'erano
un quaderno a righe e uno a quadretti
che i nostri genitori acquistavano (una
volta all'anno) a Torre, giù da l'Adele;
un libro e la penna col pennino.
Frequentavamo le lezioni dal lunedì
al sabato, dalle ore 9 alle 12 e dalle 14
alle 16, tranne il giovedì, il giovedì l'era
fèsta.
Una volta all'anno scendevamo a
S. Anna per la festa degli alberi. Per
riscaldare la scuola c'era una furnèla e
ognuno di noi al mattino portava da
casa una schéna. I compiti che ci venivano assegnati li svolgevamo alla sera
dopo cena perché prima non era possibile in quanto, quando tornavamo a
casa dalle lezioni, ognuno di noi doveva
mettersi al lavoro: chi con le capre, chi
andare a far legna, chi doveva aiutare
Estate 2014
Il vecchio nucleo di Ciappanico, in buona parte ristrutturato, viene oggi utilizzato come case vacanza (23 maggio 2014, foto Beno).
in casa o badare ai fratellini più piccoli;
ma quando facevamo i compiti tra
fratelli ci si aiutava tanto.
Eravamo un po' biricchini, quante
lucertole sono finite accidentalmente
sotto la cattedra della maestra. Spesso
prendevamo bacchettate sulle mani o
venivamo messi in castigo fuori dalla
porta, ma guai andare a casa a raccontare l'accaduto altrimenti erano altre
sgridate!
Tra noi compagni eravamo uniti:
ricordo che un anno, per Pasqua, la
maestra aveva portato degli ovetti
dicendo che li avrebbe regalati solo a
chi era bravo e noi, per solidarietà verso
chi non avrebbe ricevuto il dono, c'eravamo messi d'accordo per rifiutarli tutti
dicendo che le uova le faceva già anche
la nostra gallina a casa.”
La scuola fu operativa fino al 1970,
poi, dopo un periodo di fermo, fu
riattivata fino alla chiusura definitiva
LE MONTAGNE DIVERTENTI avvenuta nel 1981. L'ultima maestra
fu Alba Masa di Chiesa in Valmalenco, sorella di Annibale che tanto ha
scritto per tramandare la storia della
sua valle.
ornando all'osteria, questa fu
aperta nel 1948 e, due anni
dopo, fu affiancata dal negozio in cui si
vendeva di tutto: «c'erano gli alimenti
per gli uomini e per gli animali, il
necessario per fare il formaggio, strumenti per i campi - dalle zappe ai sciarscèl. Vendevamo anche la corda per la
fraschéra9, qui si usava solo quella.»
«Non lo trasportavate col campac' il
fieno?»
T
9 - La fraschéra è uno strumento per trasportare il
fieno. Costituito da un telaio di legno rettangolare
ha un lato da un metro e uno decisamente più
corto a cui è fissato con una cordicella un bastone
in legno; il fieno si pone a bracciate sul telaio e una
volta caricato e compresso, si mette poi in
posizione verticale e tra le due sbarre si fa un buco
per la testa. Le barre in legno poggiano sulle spalle
scaricandovi il peso del fardello.
«No, qui dove l'erba cresceva grossa
- ci spiega Rosita - la fraschéra era
preferibile perchè permette carichi più
pesanti. In altri posti dove il fieno era
più sottile, allora si usava il campàc'
per non perderne troppo in giro.»
«I primi anni portavo la merce in
bottega con l'asino - ricorda Giancarlo.
Gli affari andavano bene, allora sono
passato al mulo. Nel 1953 abbiamo
costruito un argano che partiva dal
ponte sul Torreggio, quindi nel 1960,
quando la carrozzabile è stata portata
fino alla piazzetta di Ciappanico, ho
accorciato di molto la fune!»
«Chi erano i vostri clienti?»
«Dai paesani, agli alpeggiatori di
passaggio, ai turisti - escursionisti e
alpinisti diretti al Disgrazia. Servivamo anche i Piasci che erano collegati a Ciappanico con ben 2 funi
a sbalzo. Una era usata solo dai
Cometti, mentre l'altra faceva una
Ciappanico
93
Approfondimenti
Valmalenco
Un
Ciappanico Nuovo, costruito a partire dagli anni '40 sul versante chiamato Dosso. Qui è visto in una cartolina di inizio anni '70: non vi è ancora
la strada (archivio Giancalo Corlatti).
sorta di servizio pubblico. Mettevamo
nella slitta zaini e borse, mettendo i
biglietti coi nomi dei destinatari della
merce. Se venivano richiesti i gelati,
quelli li mettevamo in cima a tutto
in modo che potessero esser presi e
mangiati per primi. Fatto il carico
battevamo 3 colpi sulla fune: era il
segnale che faceva partire la teleferica
a contrappeso10.»
n paese c'era un grande spirito di
collaborazione: sia nella realizzazione di opere per la comunità, che
nella costruzione di abitazioni private
tutti si aiutavano gli uni con gli altri.
Ad esempio nel 1964 venne
costruita la fogna. Il comune non
aveva soldi, allora contribuì solo con
il materiale, mentre tutta la manodopera la misero i frazionisti.
«Fu fatta in inverno, quando la
maggior parte degli uomini era disoc-
I
10 - Questo sistema a fune continua, con due
carrelli di cui uno contiene il materiale da
trasportare e uno il contrappeso, è detto teleferica
valtellinese.
94
LE MONTAGNE DIVERTENTI cupata. Un anziano segnava le ore
impiegate, alle quali venne dato un
valore in denaro. Chi non aveva
potuto partecipare ai lavori, perchè
impiegato altrove, contribuì versando
la quota equivalente alle ore prestate
dai compaesani. Alla sera in osteria
c'era un clima bellissimo: gli operai si
ritrovavano felici a discutere e chiaccherare, è stato davvero un periodo
che è valsa la pena aver vissuto!»
Rosita e Giancarlo ci raccontano
anche della grande collaborazione per
sgombrare la strada in inverno: «dopo
la nevicata suonava la campana e la
gente si metteva al lavoro per pulire la
strada che scendeva a Torre.»
«Duecento abitanti e una sola
osteria?» chiediamo.
«La gente qui non ha mai avuto
il vizio di perdere le giornate al
bar a bere, perché lavorava in ogni
momento libero. Così una sola osteria
era sufficiente al fabbisogno della
comunità.»
Le case di Ciappanico Nuovo sono
state costruite quando non c'era
ancora la strada. Fatte dagli stessi
frazionisti coi sassi del Torreggio, ben
adatti ad esser tagliati, quindi trasportati anch'essi con la teleferica.
el 1975 fu ultimata la strada,
ma nel contempo gli abitanti
avevano iniziato a trasferirsi, perlopiù
a Sondrio, poichè più comodi per il
lavoro. Ciappanico andò svuotandosi.
«Finchè le donne facevano le casalinghe - puntualizza Rosita - le famiglie tornavano per tutta l'estate in
contrada coi figli. Adesso che nelle
coppie tutti e due lavorano, le case
vengono riaperte per periodi sempre
più brevi. Così anche noi all'inizio del
nuovo millennio abbiamo chiuso.»
Oggi quassù rimangono in trenta
a guardare i continui lavori di messa
in sicurezza della bassa val Torreggio,
nell'attesa che i giovani tornino ad
abitare questo piccolo paradiso.
N
Estate 2014
po ' di geologia
Eliana e Nemo Canetta
I calcari in vetta al Sasso Bianco (18 ottobre 2009, foto Roberto Ganassa). A sx dall'alto: artinite e perovskite con calzirtite della Rocca di
Castellaccio (foto Franco Benetti).
L
a cima del Sasso Bianco
(m 2490), costituisce il punto
più elevato della I tappa dell’Alta
Via della Valmalenco: l’escursionista
arriva a toccare la cresta spartiacque
tra il bacino del Mallero (Valmalenco)
e quello dell’Adda (Valtellina vera e
propria). Pur non essendo una grande
vetta, offre un panorama eccezionale ed
è anche il punto di inserzione del lungo
crestone roccioso che divide la vasta
e prativa conca d’Arcoglio (NE) da
quella assai più povera ed accidentata
di Zana (NO). Il panorama vale di per
sé stesso la gita: dal Sasso Bianco si può
osservare una larga parte del percorso
dell’Alta Via, mentre a S il versante
solivo delle Retiche sprofonda ripidissimo verso l’ampia Valtellina. Di fronte
si erge la catena orobica che da qui si
può osservare per un lungo tratto.
Mentre a NE si alza il massiccio del
Bernina con la sua caratteristica triade
formata da Roseg, Scerscen-Bernina e
Argento-Zupò, a NO si erge isolato e
LE MONTAGNE DIVERTENTI solitario il monte Disgrazia che da qui
appare con un profilo del tutto diverso
da quelli che si vedono dalla val Masino
o dall’alta Valmalenco.
A N della cima del Sasso Bianco c'è
un pozzo naturale fondo una ventina
di metri che si insinua nei marmi che
formano la vetta. Essi, originatisi dal
metamorfismo di rocce carbonatiche,
fanno del Sasso Bianco una delle cime
più caratteristiche della Valmalenco
dal punto di vista geologico: rare sono
infatti nelle Retiche le cime calcareo
dolomitiche.
Sulla vecchia tavoletta 1:25000
dell’IGM la vetta portava erroneamente
il nome di Monte Arcoglio; sono invece
corrette le moderne carte turistiche e
la CTR che per la sommità portano la
quota 2489,7.
Sempre dal punto di vista geologico e
geomorfologico è caratteristica la vasta
spianata superiore dell’alpe Zana: una
sorta di altopiano sul quale si alternano
rocce e magri pascoli, mentre qua e là
si notano vallette chiuse simili a doline
carsiche. Questo spoglio ambiente,
povero di vegetazione e relativamente
inusuale nelle Retiche, è motivato
dalla giacitura subverticale delle rocce
scistose (micascisti del monte Acquanera) presenti in questa zona che fa sì
che l’acqua, invece di scorrere in superficie, sprofondi nel sottosuolo.
La bassa val Torreggio è dominata dalla massa rocciosa del monte
Rocca Castellaccio, sulle cui pendici
furono trovati campioni di minerali
rari quali l’artinite, la brugnatellite e la
perowskite. L’artinite è un carbonato
complesso scoperto per la prima volta
in Valmalenco nel 1902 da Brugnatelli che la dedicò all’amico Artini, uno
dei massimi esperti di minerali italiani
dell’epoca. La brugnatellite fu anch’essa
scoperta in Valmalenco per la prima
volta nel 1909 da Artini che ricambiò
il pensiero. La perowskite CaTiO3 è
costituita da tenui cristalli cubici di
colore nerastro.
Cenni di geologia
95
Escursionismo
Orobie
Monte Cadelle
Gianluca Gusmeroli
Splendida passeggiata nella val Lunga di Tartano che porta ad ammirare i tre laghi di Porcile e a salire il monte Cadelle (m 2483). La vetta,
al culmine di tre creste e punto nodale tra val Tartano, val Brembana
e val Madre, è impreziosita da un angelo con tre facce che guardano
ciascuna una delle valli sottostanti. È stato posto lassù nel 1989 per
ricordare la tremenda alluvione del luglio 1987.
96
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il lago Grande di Porcile e la cima dei Lupi (7 luglio 2010, foto Roberto Ganassa).
Monta Cadelle (m 2483)
97
Escursionismo
Orobie
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98
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
-
Partenza:
(m 1470)
parcheggio
nei
pressi
dell'Arale
Itinerario automobilistico: oltre il viadotto
sul Tartano, 3 km a E di Morbegno sulla SS 38, si
prende la pedemontana (dx), quindi (800 m, dx) la
strada per la val Tartano. Dopo circa 10 km di
tornanti si giunge a Campo Tartano. Superato anche
Tartano (5 km), in corrispondenza dell'albergo
Vallunga si tralascia la strada sulla dx che scende in val
Corta e si continua a sx salendo in val Lunga. Dopo un
paio di km, sotto le case dell'Arale vi è possibilità di
parcheggio (m 1450 ca., 25 km da Morbegno).
Itinerario
sintetico:
parcheggio nei pressi
dell'Arale (m 1470) - casera di Porcile (m 1803) - laghi
di Porcile (m 2005 - m 2030 - m 2090) - passo di
Porcile (m 2290) - monte Cadelle (m 2483).
L'orobica val Tartano si stacca dal
fondovalle valtellinese all'altezza di
Talamona, dove un viadotto supera
l'ampia piana alluvionale segnata dai
detriti che il torrente Tartano è solito
portare a valle durante i nefasti eventi
meteorologici. È una valle severa e
remota, il cui accesso stradale è stato
reso possibile solo nel 1956 con
la costruzione di una rotabile che
serpeggia avventurosamente sul fianco
occidentale della culmén e supera il
ripido gradone basale che sospende
la valle e che è scalfito solo dall'impervia forra del torrente. Nevosa e
gelida d'inverno, presenta per tutta
la sua estensione scoscesi versanti,
ripidi a tal punto da giustificare l'affermazione "in val Tartano non sono
i tecnici, ma le valanghe a stilare il
piano regolatore". All'altezza del paese
di Tartano la valle si biforca: a S c'è
la val Corta e a SE la val Lunga, le cui
estreme creste orientali confinano con
Foppolo e riparano dal primo sole del
mattino tre placidi laghetti alpini.
Questi sono adagiati in tre
ripiani
successivi
disposti
"a
rosario" ai piedi del monte Valegino (m 2415) e del passo di Porcile
(m 2290 - porta d'accesso alla val
Brembana), sotto lo sguardo vigile
del monte Cadelle (m 2483), signore
indiscusso di questa porzione di valle.
Sempre in testa alla val Lunga, si
trovano gli alpeggi privati di Dordona,
Porcile e Scala. Caricati con vacche da
latte, vi si produceva dell'ottimo Bitto
fino all'inizio degli anni 2000, poi la
fatica di far salire le bestie dalle mulattiere, unita ad una normativa per
LE MONTAGNE DIVERTENTI Tempo previsto: 3 ore e 50' per la salita in vetta.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo in
alta montagna.
Difficoltà/dislivello: 2.5 su 6 / circa 1000 m.
Dettagli: EE. Salita su sentieri segnalati fino al
passo di Porcile, quindi su traccia poco frequentata
e a tratti scoscesa fino in vetta.
Mappa consigliata:
Val Tartano - 1:25000 reperibile all'Albergo
Miralago a Campo Tartano (0342/645052).
Punti d'appoggio:
Rifugio Beniamino in località Arale (tel. 0342
645024)
Rifugio Il Pirata in località Arale (tel. 0342 645008)
poter lavorare il latte in situ sempre
più restrittiva, ha fatto abbandonare i
monti.
Dopo qualche anno di completo
inutilizzo, per fortuna, oggi sono
tornati ad essere caricati da pastori
che provengono da Pavia e Bergamo.
Attualmente qui vengono monticati 2000 ovini e 80 bovini da carne.
Alcune baite di tutti e tre i maggenghi
sono state ristrutturate intorno al
2000 e, vandalismi a parte, sono
utilizzabili come rifugio. Altre sono
inagibili.
Tra le proposte di sviluppo rurale
per riavviare l'attività casearia della
val Tartano, vi è quella di una strada
consortile in quota che colleghi i 32
alpeggi della val Tartano.
Monta Cadelle (m 2483)
99
Escursionismo
Orobie
Monte Valegino
(2415)
Monte Cadelle
(2483)
Passo di Porcile
(2290)
Il passo di Porcile visto dal lago di Sopra (23 giugno 2013, foto Stellina).
I laghi di Porcile visti dalla vetta del monte Cadelle (5 luglio 2013, foto Roberto Ganassa).
Con le guide del Parco verso la casera di Porcile
(23 giugno 2013, foto Stellina).
Il lago Grande di Porcile e, sullo sfondo da sx, cima e passo dei Lupi e
monte Cadelle (7 luglio 2010, foto Roberto Ganassa).
100
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il lago Piccolo di Porcile (1 ottobre 2013, foto Roberto Ganassa).
L'angelo delle Cadelle dopo una nevicata estiva
(1 settembre 2012, foto Roberto Ganassa).
Estate 2014
21 agosto 2013 - All'Arale, accanto
al rifugio Il Pirata, si trova il rifugio
Beniamino (m 1485). È intitolato a
mio zio, scomparso nel 1981 in Perù,
ed è stato costruito da mio nonno,
il maestro Camillo Gusmeroli, nel
1964.
Mi incammino dall'Arale con
mia cugina per raggiungere l’angelo
delle Cadelle. Il sentierino pianeggiante arriva velocemente alla fontana
detta "l’acqua dei frati", poi si ricongiunge alla carrozzabile proveniente
da Tartano e che, dopo due tornanti,
si smagrisce nel sentiero per l'alpe
Porcile.
Superate la Prima baita (m 1584)
e la baita Bianca (m 1624), un
ponte in cemento ci fa scavalcare
il torrente della val Dordonella.
La via piega a dx e serpeggia fino alla
verde conca dov'è la casera di Porcile
(m 1803), cinta a oriente dalla barra
rocciosa che sorregge l'anello superiore della valle, quello che ospita i
laghetti. Con un ampio semicerchio
verso sx tra radi larici e pascoli talora
LE MONTAGNE DIVERTENTI invasi dai rododendri1, approdiamo
sulle rive del lago Piccolo di Porcile
(m 2005), immerso nel verde e nei cui
pressi si trova una baita con panca. Si
dice che questo lago sia destinato ad
interrarsi e scomparire in pochi anni,
destino che prima o poi tocca a tutti i
laghetti alpini.
Proseguiamo verso E e in breve ecco
il tondeggiante e ben più profondo
lago Grande di Porcile (m 2030,
ore 2). Qui ci divertiamo a gridare,
sapendo che l'anfiteatro risponde
sempre con un bell'eco.
Sulla riva occidentale del lago si
trova un crocevia con numerose indicazioni. Seguiamo quelle (dx) per il
passo di Porcile2 che ci indirizzano al
lago di Sopra (m 2090).
Ripresa la marcia, affrontiamo l'ultimo strappo per il passo di Porcile
(m 2290, ore 0:40), posto sulla cresta
tra il vicino monte Valegino (OSO) e
il più distante monte Cadelle (ENE).
Ci affidiamo ora alla traccia che si
dirige a NE tagliando il versante di
Foppolo e, per prati e pietraie, arriva
ai piedi della faccia SO del monte.
Con un serie di ripidi tornanti guadagniamo circa 150 metri di dislivello
e l'anticima occidentale. Un breve
tratto di cresta ci accompagna alla
panoramica vetta del monte Cadelle
(m 2483, ore 0:50). Quassù, al
convergere dei territori comunali di
Foppolo, Colorina e Tartano, si trova
dal 1989 l'angelo dalle trifronte noto
come angelo delle Cadelle. Una targa
riporta: «Là in alto si tocca il cielo con
un dito e ci si sente più vicini a Dio.
La Montagna è uno dei mezzi che ti
permette di scoprilo: se non immediatamente lo capisci con il tempo».
Il panorama è estesissimo in tutte
le direzioni, spaziando dai gruppi
di Bernina e Disgrazia, alle vette del
Masino a delle Orobie.
1 - A m 1900 ignorare la deviazione a SO per la
croce di Porcile e puntare a SE.
2 - Prestare attenzione al bivio passo di Porcilepasso di Tartano, dove bisogna piegare a sx (E).
Monta Cadelle (m 2483)
101
Escursionismo
Alta Valtellina
Dombastone
Giacomo Meneghello
Un luogo dal sapore antico, a pochi chilometri in linea d’aria dal
fondovalle sondalino, ma con una via d'accesso troppo irta per
renderlo appannaggio dei meno convinti. Questo è Dombastone. Con
il suo Corno e con quel gruppetto di baite strette tra loro, antico
nido estivo di una vita a contatto con la natura ai margini del Parco
Nazionale dello Stelvio, lontano dal turismo di massa.
102
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Dombastone
103
Dombastone. La quiete del tramonto (19 ottobre 2012, foto Giacomo Meneghello
- www.clickalps.com).
Escursionismo
Alta Valtellina
Corno dei Becchi
(2822)
Corno di Dombastone
(2622)
Passo di Dombastone
(2546)
Dombastone
e
on
ast
mb
Do
di
le
val
La valle di Dombastone e il tracciato di salita a Dombastone visti da Roncale (19 ottobre 2012, foto Beno).
L'ESCURSIONE
L
Dombastone. Sullo sfondo spiccano le cime di Redasco (15 maggio 2014, foto Giacomo Meneghello).
BELLEZZA
Partenza: piazza della chiesa di Mondadizza
(m 940).
FATICA
PERICOLOSITÀ
104
Itinerario automobilistico: da Tirano seguire
la SS 38 in direzione Bormio. Prendere dopo 20 km
l’uscita per Sondalo e alla rotonda svoltare a dx in
direzione Mondadizza. Dopo circa 1 km, appena
oltre il il cimitero, prendere a dx e seguire la via
principale fino alla piazza della chiesa.
Itinerario
sintetico:
piazza della chiesa di
Mondadizza (m 940) - bivio val di Tocco (m 1060) baite di Dombastone (m 2117) - Corno di
Dombastone (m 2622).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Tempo previsto: 4 ore e mezzo per la salita.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo
d'alta montagna.
Difficoltà/dislivello: 3 su 6, 1680 metri.
Dettagli: E/EE. Il sentiero n. 496 che dal ponte
porta alle baite di Dombastone ha pendenze
sostenute e non è consigliabile ai poco allenati. Il
tratto finale per la vetta del corno di Dombastone è
molto ripido e richiede una certa attenzione oltre a
calzature adeguate.
Mappe: Kompass n. 72 – Ortles Cevedale, 1:50.000;
Estate 2014
asciata l’auto nella graziosa
piazza
di
Mondadizza,
seguiamo la strada che, guardando
la chiesa, prosegue verso dx ed entra
nell’abitato. A breve troviamo (sx)
una pista sterrata che sale, priva di
indicazioni ma contrassegnata da
3 bollini rossi a terra, poiché di qui
scende la gara sondalina di skyrunning “4 passi” che si tiene tutti
gli anni a inizio maggio. Anche se
mancano i cartelli, non è possibile sbagliarsi e ci addentriamo
verso la montagna (S) rimanendo
sempre al margine superiore dei
prati fino ad arrivare a un incrocio
(m 1060). Qui prendiamo la strada
di sx che, con pendenze crescenti,
sale sulla dx idrografica della valle di
Dombastone costeggiando il torrente
fino a giungere allo spiazzo dove
termina la carrozzabile e comincia
il sentiero (m 1260, ore 0:50).
Attraversato il ponte sul torrente,
il sentiero si impenna. Più avanti, un
breve tratto in falsopiano ci conduce
a un secondo ponte che ci riporta
sulla dx idrografica. La via torna faticosa e si alza dapprima sui bordi di
un canale con il paese di Sondalo
visibile nel fondovalle, infine nel
cuore di un fitto bosco che a lungo
preclude la vista del paesaggio.
LE MONTAGNE DIVERTENTI A m 1700 i ruderi di una baita
anticipano il bivio per Li Merè (m
1780, ore 1:10), segnalato anche da
una piccola santella.
Insistiamo nel fitto bosco, con
sporadici scorci sulla valle selvaggia
de Li Merè e le sue imponenti bastionate rocciose.
Una baita, il bosco si dirada ed
eccoci ai prati di Dombastone
(m 2117, ore 0:45), che risaliamo
fino al nucleo superiore di baite1. Ora
il panorama si mostra in tutta la sua
bellezza con la vallata di Sondalo e
le cime di Redasco in primo piano,
mentre sullo sfondo nelle giornate di
bel tempo sono visibili la cima Viola e
il gruppo del Bernina.
Riprendiamo il nostro cammino
lungo il sentiero che guadagna quota
oltre le baite e si addentra nella parte
alta della valle di Dombastone. La
traccia procede inizialmente a mezza
costa, per poi risalire lungo i pascoli
abbandonati e brucati oggi solo dalle
capre del mio amico Amos. Il Corno
svetta in alto a sx, sebbene questa
prospettiva non renda onore al suo
profilo slanciato.
Attraversando le sue pendici meridionali a m 2400 ca. ignoriamo
la deviazione che porta al passo di
Dombastone, posto sul lato opposto
1 - Qui è presente una presa dell'acqua.
della valle2. Insistendo sulla dx orografica della vallata, raggiungiamo l'evidente bocchetta posta sulla cresta a E
del Corno. Mancano gli ultimi metri
per la vetta, ma sono i più difficili.
Il sentiero per il Corno si mantiene
sul pendio di erba e macereti lato valle
di Dombastone (sx) ed è per un buon
tratto ben visibile. Appena a dx la
montagna precipita nella valle di Scale
con un impressionante salto roccioso.
Quando la traccia si fa decisamente
meno chiara, saliamo al dritto e giungiamo a una corda fissa che agevola il
superamento di un passo erto. Quindi
la via diviene più agevole e in un
attimo siamo sul Corno di Dombastone (m 2622, ore 1:30)3.
In vetta, oltre ad un panorama
estesissimo, troviamo una grossa
croce in larice, montata e portata
quassù a spalle da Amos Gianoli,
Fabio Meraldi e altri valorosi. La
croce, considerando la porzione
interrata, supera i 3 metri di altezza.
Vi è inoltre il libro di vetta che vale la
pena firmare per aggiungere ai nomi
dei locali anche quelli di qualche
esploratore straniero!
2 - Il passo di Dombastone (m 2546), posto sulla
cresta che divide la val Grande dalla valle di
Dombastone, era un tempo scenario di liti dovute
allo sconfinamento del bestiame tra gli alpeggi
camuni e quelli valtellinesi.
3 - Si narra che una volta addirittura un vitello salì
fino in cima al Corno!
Dombastone
105
Escursionismo
Alta Valtellina
La piazza di Mondadizza (12 ottobre 2012, foto G. Meneghello).
Tramonto sulla Valtellina da Dombastone (14 maggio 2014, foto
Giacomo Meneghello).
L'inizio del sentiero (14 maggio 2014, foto Giacomo Meneghello).
Le capre di Amos a Dombastone (15 maggio 2014, foto Meneghello).
La cuspide finale del Corno di Dombastone (15 maggio 2014, foto
Giacomo Meneghello).
VARIANTI DI SALITA E DISCESA
Poiché meriterebbe di essere visitata
anche la valle de Li Merè, consigliamo
una volta giunti al bivio a m 1780, di
prendere il sentiero che si diparte in
piano e che porta all’alpeggio basso,
da cui su traccia di sentiero si risalgono i pascoli fino all’alpeggio superiore (m 1984, ore 0:40). Qui, dove
ora vi sono solo ruderi, un tempo
d'estate vivevano stabilmente 4-5
numerose famiglie. L'alpeggio è stato
definitivamente abbandonato a metà
degli anni '80.
Per i più avventurosi è possibile il
rientro dalle baite di Dombastone
passando dal Piaz dei Re e da lì ricongiungersi alla via di salita a m 1260,
106
LE MONTAGNE DIVERTENTI oppure dal Piaz dei Re portarsi nella
valle di Scala che per altri panoramici alpeggi riconduce a Mondadizza.
Tuttavia nel percorrere tali tracciati
si deve considerare che, pur essendo
questi dotati di scintillanti cartelli del
Parco, non vengon manutenuti ed è
perciò facile perdersi.
IL NOME
L’etimologia del nome Dombastone,
già citato negli estimi del 1550 e del
16604, è incerta e priva di documentazioni sicure. Attualmente sono tre le
ipotesi che vanno per la maggiore:
4 - Inventario dei toponimi valtellinesi e valchiavennaschi n. 29. Territorio comunale di Sondalo, Società
Storica Valtellinese, Villa di Tirano 2005
- una legata alla tradizione popolare,
fornita da Remo Bracchi, secondo
la quale il nome deriverebbe da un
sacerdote alpinista che soleva salire
portando un bastone nelle proprie
escursioni.
- una, sempre fornita da Remo
Bracchi, di tipo etimologico che fa
risalire la base domba da dómbola,
ovvero dosso, curvatura concava
o convessa, a cui sarebbe seguito
un successivo rimaneggiamento
fantasioso;
- una terza interpretazione è data
dai locali, che fanno derivare il nome
dall’espressione dialettale «Dom ch’an
và baston», ovvero «Andiamo bastone
che la strada è ripida».
Estate 2014
L'impianto di risalita realizzato da Amos a Dombastone (15 maggio
2014, foto Giacomo Meneghello).
LA STORIA
Un tempo le aree prative di
Dombastone e Li Merè erano
fiorenti alpeggi abitati da diverse
famiglie provenienti dalle frazioni
sondaline di Mondadizza e
Migiondo.
Diversi ragazzi come Elio Pasquinoli e Mario Quetti passavano qui
le loro estati tra prati, mucche,
pecore, capre e montagne. Numerosi sono gli aneddoti che si potrebbero raccontare. Erano altri tempi,
erano altri ragazzi, ma tutte le
persone con cui ho parlato ricordano con nostalgia quegli anni di
vita dura, ma anche di libertà e
natura.
LE MONTAGNE DIVERTENTI Amos si esibisce in un salto dai tetti di Dombastone
(16 gennaio 2011, foto Giacomo Meneghello).
In inverno, dato il non facile
accesso, le baite rimanevano spesso
silenti. In anni più recenti, durante
i weekend e le vacanze natalizie,
diverse famiglie solevano salire
a godersi una settimana bianca.
Amos, uomo dalle infinite risorse,
aveva pure costruito un piccolo
impianto sciistico composto dal
motore di una vespa, una carrucola,
un paio di piattelli in legno e alcune
travi portanti. Il tutto per far sciare
i propri figli nei prati di casa!
IL BAR IMBIZZARRITO
U
na volta, molti ragazzi come
Elio Pasquinoli e Mario
passavano le loro estati presso
gli alpeggi di Li Merè e spesso
si usava raccogliere il lichene da
terreno da pascolo per ottenerne
un decotto curativo per le bestie.
Un’estate pensarono bene di legare
lo zaino che lo conteneva addosso
al montone del gregge, per farglielo
trasportare fino alla baita. L’idea
sembrava funzionare fino a quando
il gregge di pecore, dando prova
di ineguagliabile coraggio, iniziò a
scappare all’impazzata spaventato
dal sopraggiungere del montone
con il suo nuovo zainetto di marca.
Il montone a sua volta, volendo dar
prova di coraggio, iniziò ad agitarsi
facendo capovolgere lo zaino che
iniziò a rotolare giù per i prati.
Dombastone
107
Escursionismo
Alta Valtellina
I passi dello Zebrù
Eliana e Nemo Canetta
Nel maggio del 1915 in Alta Valtellina, oltre le truppe che guarnivano lo Sbarramento
di Bormio, vi erano due Battaglioni alpini, il Tirano e il Valtellina, per complessivi 2800
uomini. Le tre Compagnie del Valtellina, reclutate tra classi relativamente anziane,
controllavano la Valdidentro poiché si temevano incursioni asburgiche dalla val Monastero e dalla Bassa Engadina. Gran parte delle cinque Compagnie del Tirano erano
schierate allo Stelvio nella conca di Bormio e in quella di Fraele. Una sola Compagnia
era distaccata, con i suoi 300 uomini circa, a presidio dell’alta Valfurva. Essa faceva base
a Santa Caterina con distaccamenti ai Forni, alla capanna Cedèc e al passo di Gavia.
108
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Al passo settentrionale di Zebrù. Sullo sfondo la piramide del
passi
dello
Zebrù
3012- Meneghello).
m 3010)
109
Gran ZebrùI (19
agosto
2012,
foto (m
Giacomo
Escursionismo
Alta Valtellina
Con soli 300 uomini dislocati in alta Valfurva era impensabile per gli italiani una azione
offensiva in direzione del passo del Cevedale, che quindi fu subito occupato dagli avversari. Gli austriaci, profittando delle limitate nostre forze, discesero alla Cedèc dopo un
bombardamento di artiglieria per completarne la distruzione ed il debole presidio di
Alpini nulla poté contro tale azione. Così il nostro fronte si attestò sul costone del Monte
dei Forni, che fu coperto da fortificazioni campali. Noi però controllavamo tutta la val
Zebrù ed era quindi necessario impedire che tale bacino fosse minacciato dall’avversario
attraverso i due passi dello Zebrù. Ecco perché gradatamente la quota 3119, che si erge
trai due valichi, fu trasformata in una ridotta inespugnabile i cui ruderi e barriere di filo
spinato ancor oggi ci fanno comprendere l’importanza di tale posizione.
La mulattiera per il passo meridionale di Zebrù, nei pressi del villaggio è dominata da una possente ridotta difensiva (18 luglio 2012, foto Canetta).
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
-
Partenza: Albergo dei Forni (m 2178).
Itinerario automobilistico: da Bormio si segue la
SS 300 del Gavia, verso la Valfurva. Si traversano così
Uzza, San Nicolò e San Antonio. Dopo un tratto solitario
siamo a Santa Caterina Valfurva, località che, prima della
Grande Guerra, era abitata solo in estate, come centro di
terme ed escursionismo (m 1734, 13 km; sin qui servizio
di bus da Bormio). All’inizio del villaggio (indicazioni) si
prende a sx per i Forni, lungo una stradella asfaltata ma
ben presto alquanto ripida e stretta. Ci si addentra così
nella valle dei Forni, prima toccando alcuni caratteristici
nuclei, poi in vista dei colossi del massiccio OrtlesCevedale. Un ultimo strappo ed eccoci nei pressi
dell’Albergo dei Forni (già esistente prima del conflitto; fu
la base principale di azione italiana nel periodo 1915/’18)
con le vicine vaste aree di parcheggio (6 km, servizio di
fuoristrada da Santa Caterina; informazioni a Santa
Caterina presso l’Ufficio Turistico, tel. 0342.935544,
[email protected]).
Itinerario
sintetico: Albergo dei Forni (m 2178)
- Caserma (m 2547) - passo meridionale di Zebrù
(m 3012) - quota 3119 - passo settentrionale di Zebrù
(m 3010) - rifugio Pizzini/Frattola (m 2700) - albergo
dei Forni (m 2178).
Tempo previsto: 6 ore per l'intero giro.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo
alpino. Consigliati gli scarponi: ancora a inizio estate
c'è possibilità di incontrare tratti innevati.
Difficoltà/dislivello: 2 su 6 / 950 metri.
Dettagli: E/EE. Escursione in alta quota in parte su
sentieri segnalati.
Mappe:
- Tabacco n. 08 - Ortles/Cevedale,1:25.000;
- Kompass n. 72 - Ortles/Cevedale 1:50.000;
- Kompass n. 637 - Cevedale, 1:25.000;
Dal piazzale del parcheggio dei
Forni (m 2178), dove si trova il
tabellone del Parco dello Stelvio con
cartina e indicazione dei sentieri,
prendiamo la strada di servizio di
sx che si alza con due tornanti e
prosegue verso il rifugio PizziniFrattola. Al secondo tornante però
la abbandoniamo e imbocchiamo la
vecchia mulattiera militare, guadagnando quota fino all’altezza delle
baite dei Forni (m 2389). Ignorato il tratturo di sx che porta verso
il Confinale, insistiamo in salita e
si entra nel solco della val Cedèc1,
1 - La grafia di questo toponimo è molto discussa;
secondo l’Inventario dei toponimi valtellinesi e
110
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI mentre verso S si apre sempre più lo
spettacolare bacino del ghiacciaio dei
Forni. Le prime tracce di trincee e
di appostamenti a valle del sentiero
preannunciano i ruderi della cosiddetta Caserma (m 2547), in realtà
un complesso di baracche sulle quali
si appoggiava la nostra principale
linea di difesa. A dx del sentiero vi
sono due appostamenti con i relativi
camminamenti di accesso: il primo
sfrutta il riparo naturale offerto da
alcune rocce, il secondo è a pianta
valchiavennaschi. Valfurva - la grafia esatta è Cédè.
Noi abbiamo usato quella dell’IGM, ma durante il
periodo della Grande Guerra si utilizzava in genere
la forma Cedeh.
circolare e in pietra. Si trattava della
postazione da cui gli italiani controllavano l’alta val Cedèc ed il sottostante omonimo torrente. Verso sx,
a monte di una postazione di artiglieria, inizia una lunga serie di
trinceramenti che prendono quota
verso il Monte dei Forni. Il sentiero
pianeggia e, oltrepassata una valletta,
si è a un bivio non molto evidente:
a dx il tracciato principale è segnalato e continua verso la capanna
Pizzini-Frattola. Noi prendiamo
verso sx innalzandoci gradualmente
tra i pascoli sulla vecchia mulattiera militare, che collegava la linea
di difesa dei Forni con quella dei
I passi dello Zebrù (m 3012- m 3010)
111
Escursionismo
Alta Valtellina
Le fortificazioni restaurate sopra la Caserma a cura del Parco.
Panorama verso l'alta val Cedèc, a sx il Gran Zebrù (26 agosto 2010,
foto Giacomo Meneghello).
La costiera Thurwieser-Trafojer con (a sx) la vedretta di Campo.
Quest'ultima zona durante la guerra era occupata dagli austriaci; mentre
le prime due vette ospitavano postazioni italiane incredibilmente aeree.
Le stesse fortificazioni viste in direzione della valle dei Forni. Sullo
sfondo le 13 Cime (26 agosto 2010, foto Giacomo Meneghello).
Le possenti fortificazioni della quota 3112 inquadrano il panorama
sui monti Cevedale e Pasquale (18 luglio 2012, foto Canetta).
passi dello Zebrù. Non senza ammirare la splendida piramide di rocce
del Gran Zebrù che domina tutta
la testata della val Cedèc (ai tempi
della Grande Guerra noto pure tra
i nostri con il toponimo tedesco
di König-Spitze/Cima del Re), si
prende gradualmente quota verso N
sino alla valletta del Rio Grande, che
si raggiunge a m 2742.
Pieghiamo ora a sx (ONO) risalendo il torrentello, in direzione
dell’evidente valletta compresa tra la
cima orientale dei Forni, che da qui
appare come una piramide di rocce,
e il crestone di quota 3119, la nostra
meta. A m 2846 incontriamo i primi
ruderi bellici; in questa zona, dopo
la distruzione della vecchia capanna
Cedèc fu ricostruita, dai militari,
la nuova Cedèc, chiaramente assai
meglio defilata della precedente
e più facile da proteggere dalle
incursioni avversarie. Terminato il
conflitto, la sezione di Milano del
112
LE MONTAGNE DIVERTENTI Benché abbattute dal tempo e dalle bufere, le barriere di filo spinato
sono ancora ben riconoscibili (18 luglio 2012, foto Canetta).
CAI, cui apparteneva il rifugio, lo
ricostruì nell’antica posizione, ben
più indicata dal punto di vista escursionistico e alpinistico, col nome
di rifugio Pizzini (oggi Pizzini/
Frattola).
Poco oltre, ai piedi del costolone petroso che sale verso la quota
3119, incontriamo i ruderi di un
villaggio militare. A questo punto
proseguiamo per la mulattiera che,
spesso a gradinata, guadagna quota
tra i ruderi delle casermette, oppure
lungo le fortificazioni realizzate sulla
linea di cresta e collegate alle prime
da camminamenti in pietra. Arriviamo così poco a monte dell’ampio
intaglio del passo meridionale
di Zebrù (m 3012, ore 2:45), in
corrispondenza dei resti di alcune
baracche raccordate fra loro da una
ripida scalinata in pietra.
Il valico, oramai del tutto dimenticato, era già in disuso ai tempi
della Grande Guerra, perché gli era
preferito il passo settentrionale di
Zebrù, più agevole e facile. Infatti il
valico meridionale, ancora oggi, sul
versante di val Zebrù è raggiunto da
un lembo della vedretta dei Castelli
che, negli anni del conflitto, era assai
più sviluppata di quanto sia oggi.
Saliamo a dx (NNE) agli appostamenti sovrastanti: dalle vecchie
mappe belliche sappiamo che, oltre
le baracche, era una postazione d’artiglieria per due pezzi.
Scavalcata la quota 3119, la
maggiore del crestone tra i due
valichi, siamo a una terrazza completamente occupata da trinceramenti
e postazioni per le mitragliatrici che
dominavano nettamente i ripiani
ove era la vecchia Cedèc, oggi ben
evidenziati dal grande edificio della
capanna Pizzini/Frattola. In tal
modo un’eventuale discesa degli
austriaci dal passo del Cevedale
avrebbe potuto essere resa difficile dal nostro fuoco laterale. Poco
Estate 2014
Una stufetta ancora ben conservata tra i ruderi delle baracche sopra il
passo meridionale di Zebrù (18 luglio 2012, foto Canetta).
oltre, nei pressi della quota 3082,
era l’arrivo di un’ardita teleferica che
collegava il nostro crestone con una
posizione arretrata presso I Castelli,
in alta val Zebrù.
Il nostro tracciato tra i resti
bellici,è quanto mai panoramico:
siamo infatti in una località che ci
permette di spaziare con lo sguardo
dalla parete meridionale del Cristallo
alla vedretta di Cedèc, che discende
dal Cevedale (occupato dagli
austriaci durante la Grande Guerra).
Verso SO ecco invece il versante
settentrionale del piccolo massiccio
del Confinale, ancor oggi in parte
corazzato dai ghiacci della vedretta
dei Castelli. Così guadagniamo la
quota 3065, che domina il passo
settentrionale di Zebrù. Qui erano
altre postazioni atte a sventare un
eventuale attacco direttamente dal
valico; nell’area era pure la partenza
di una teleferica che, con successivi
tratti, saliva verso le nostre linee
LE MONTAGNE DIVERTENTI La stradella che discende dal rifugio Pizzini/Frattola ai Forni. Sulla
sx l'inconfondibile piramide del Gran Zebrù (26 agosto 2010, foto
Giacomo Meneghello).
avanzate alle Pale Rosse. Superata la
protezione formata dal filo spinato,
ancor oggi in posto seppur abbattuto dalle bufere, non rimane che
percorrere in discesa, su sfasciumi,
il facile pendio che adduce alla sella
del passo settentrionale di Zebrù
(m 3010, ore 1), passaggio del
Sentiero Italia e del Sentiero della
Pace).
Il ritorno verso il sottostante e
ben visibile rifugio Pizzini/Frattola
si svolge lungo il sentiero normale
che collega l’alta val Cedèc con la val
Zebrù ed il rifugio Quinto Alpini,
anch’esso della Sezione di Milano
del CAI (durante la Grande Guerra
ancora chiamato rifugio Milano e
importantissima base italiana per il
controllo della zona). Il tracciato,
ben segnalato e complessivamente
assai agevole, è frequentato in estate
da moltissimi escursionisti e pure
da non pochi appassionati della bici
da montagna. Così, senza problemi,
tra vastissimi pascoli, transitando da
ultimo nei pressi di alcuni antichi
trinceramenti, utilizzati dagli Alpini
all’inizio del conflitto prima della
distruzione della Cedèc, raggiungiamo il rifugio Pizzini/Frattola2
(m 2700, ore 0:45), gratificati della
visione dell’antistante parete N del
monte Pasquale e dalla lingua del
ghiacciaio del Cedèc, mentre a sx
(N) tutta l’area è sempre dominata
dall’ardita piramide del Gran Zebrù.
Per rientrare ai Forni (m 2178,
ore 1:30), consigliamo la stradella
che rapidamente riconduce alla
partenza, con un percorso sempre
altamente panoramico e in ambiente
un poco dissimile rispetto a quello
della mulattiera che avevamo
percorso all’andata.
2 - 52 posti letto, servizio ristorante, tel.
0342-935513.
I passi dello Zebrù (m 3012- m 3010)
113
Myanmar
Rubriche
dove gli alberi fanno le bolle
di sapone e i pescatori
remano con i piedi
Testi e foto Luciano Bruseghini
114
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Wanna, la nostra guida durante il trekking, ci mostra
l’albero delle bolle di sapone (18 ottobre 2013).
Myanmar
115
Rubriche
Valtellinesi nel mondo
La Sule Paya illuminata (13 ottobre 2013).
Noci di betel pronte da masticare (13 ottobre 2013).
Giovani monaci ricevono cibo (15 ottobre 2013).
A
mo scoprire quei paesi della
terra che la civiltà occidentale
non ha ancora inquinato. Tra questi
vi è il Myanmar, chiamato Birmania
fino al 1988 e precluso agli stranieri
dalla dittatura militare contro cui
si batté Aung San Suu Kyi, premio
Nobel per la pace. Il regime aveva
rallentato i contatti con l’esterno,
tutelando in questo modo le usanze
ancestrali, lo stile di vita e salvaguardando in particolare lo spirito
religioso buddhista che permea
ogni momento della vita quotidiana
locale.
Io e Valeria abbiamo deciso di visitare il Myanmar in autonomia con
mezzi rapidi e comodi: aerei per i
lunghi trasferimenti e taxi per le tappe
brevi, in modo da gestire gli orari e le
soste. E, dato il basso costo della vita,
non risulta una scelta particolarmente
dispendiosa!
Dopo un lungo volo e diversi scali,
raggiungiamo finalmente Yangon,
l’antica capitale (spostata dal 2005 a
Nay Pyi Taw, un’asettica, moderna
e impronunciabile città semivuota
d’ispirazione cinese, più a nord).
Il primo impatto con il paese asiatico ci lascia meravigliati: pensavamo
di trovare un posto molto più arretrato, invece vi si dipanano grandi
strade percorse da veicoli abbastanza
moderni, circondate da alti palazzi e
tutto sommato pulito.
Anche se il sole è sceso da un
po’, lasciati i bagagli in albergo, ci
rechiamo a visitare uno dei monumenti principali: la Sule Paya, una
bellissima pagoda dorata posta al
centro di una delle rotatorie più trafficate della città. Illuminata da un’infinità di faretti, sembra brillare ancor di
più nell’oscurità della notte birmana.
Per accedervi, come in tutti gli altri
luoghi di culto del paese, bisogna
togliere le scarpe e camminare a
piedi nudi. All’interno molta gente
in preghiera è inginocchiata davanti
Essicazione del pesce su stuoie (14 ottobre 2013).
alle diverse santelle che circondano la
cupola centrale: si avverte subito come
la religione buddhista theravada sia il
perno della vita di questo popolo1.
Con le visite ai templi, le preghiere
e le offerte, i Birmani cercano di fare
in modo che la loro prossima vita
sia migliore. Per questo i numerosissimi monasteri e luoghi di culto del
paese vivono grazie alle donazioni
quotidiane della popolazione. È uno
spettacolo indimenticabile osservare
ogni giorno la processione di monaci
scalzi che passa di casa in casa con un
grande recipiente di terracotta per
chiedere cibo o denaro con cui provvedere al proprio sostentamento.
La maggior parte degli uomini,
sia giovani che anziani, indossa una
1 - Il buddhismo theravada è un sistema
psico-filosofico, nato dall’illuminazione di
Siddhartha Gautama vissuto in India settentrionale
ancor prima dell’avvento di Cristo. Non si basa
sull’adorazione di divinità, ma sul superamento dei
desideri fino a raggiungere, attraverso la disciplina e
la meditazione, il nirvana: lo stato di vera felicità.
Ragazza con il volto dipinto con la tanaka (14 ottobre 2013).
lunga gonna, chiamata longyi, cioè un
pezzo di stoffa annodato in vita che
arriva alle caviglie, di cotone o di seta,
a righe o a quadretti. Tante donne e
diversi bambini hanno il volto truccato con una pasta (tanaka) ricavata
dalla corteccia di un albero; è una
tintura bianca o marroncina con scopi
sia protettivi che ornamentali.
Rasente i marciapiedi numerosi
venditori di cibo con i loro carretti
di generi alimentari (zuppe, frutta
e verdura, riso, spiedini di carne,
pesce essiccato), dai quali sgorgano
profumi a noi sconosciuti, propongono vivande non sempre gradevoli
al palato occidentale e poco tollerate
dal nostro stomaco per l’uso eccessivo
di spezie. Vi sono pure banchetti che
vendono il betel, una strana noce che i
locali, dopo averla avvolta in una foglia
e mescolata ad un liquido lattiginoso,
masticano come un chewingum; ha
un blando potere eccitante e tinge la
bocca e i denti di rosso: dà loro forza
LE MONTAGNE DIVERTENTI ammirare e fotografare simpatiche
donne che essiccano il pesce al sole
sopra grandi stuoie di bambù. L’odore
sprigionato non è proprio dei migliori,
ma l’aspetto è invitante. Proseguendo,
attraversiamo una vasta pianura coltivata principalmente a riso, il fondamentale alimento della popolazione,
fino a raggiungere il fiume Sittoung
che segnala il confine tra la provincia
di Yangon e la regione Mon. Da qui il
paesaggio cambia totalmente e le vaste
pianure lasciano spazio a piccole collinette ricoperte di foreste, composte
soprattutto da alberi della gomma.
A mezzogiorno arriviamo a destinazione e iniziamo il trekking che
ci porterà ad uno dei più famosi e
venerati monumenti religiosi della
Birmania. Seguiamo un ripido
sentiero che procede lungo il fianco
della montagna e che si snoda in una
rigogliosa foresta. Ai lati della mulattiera sorgono casette di legno dove i
locali, oltre ad abitare, vendono anche
Trasporti eccezionali in piena sicurezza (14 ottobre 2013).
Asfaltatura fatta dalle donne a mano (15 ottobre 2013).
116
per affrontare le faticose giornate lavorative. Un problema non secondario
è il fatto che dopo averla masticata,
la sputano per terra e le strade sono
macchiate di rosso sangue. Oltre alle
auto, il principale mezzo di locomozione è il trishaw, una bici sidecar,
con cui si trasporta ogni genere di
mercanzia. L’inconveniente sono i
cartelli e le insegne scritte solo con
i caratteri birmani, incomprensibili a noi occidentali. La gente raramente parla e capisce l’inglese; noi
però ce la siamo cavata sempre bene
grazie alla disponibilità e alla generosità di questo fantastico popolo e alle
migliaia di minglabah (il saluto tipico)
che abbiamo scambiato con individui
sorridenti e cordiali.
La mattina seguente prendiamo un
taxi per recarci a Kinpun, nell’est del
paese, da dove partiamo per visitare
la Golden Rock. A metà percorso ci
fermiamo presso un piccolo villaggio
di pescatori sulla riva di un fiume per
Estate 2014
Indicazioni per la Golden Rock (14 ottobre 2013).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Myanmar
117
Rubriche
La scintillante Golden Rock
(14 ottobre 2013).
cibo e bibite ai turisti e ai pellegrini
che salgono al “santuario”. Incontriamo diversi bivi, con indicazioni in
birmano, ma è impossibile sbagliare
strada: il sentiero giusto è quello con
i negozietti ai lati! In tre ore e mezza
copriamo gli 11 chilometri di distanza
e gli 800 metri di dislivello che separano Kinpun dal monte Kyaiktiyo: un
buon tempo visto il gran caldo e l’alta
umidità che c’è nella regione. Abituati
alle vette alpine, questa montagna a
noi sembra solamente una collina,
ma per i Birmani si tratta di una delle
cime più elevate dello stato. Ecco la
Golden Rock: un grosso masso ricoperto di lamine d’oro che, secondo
la credenza, rimane in equilibrio su
di una scarpata grazie a un capello di
Buddha. È una zona talmente sacra
che le donne non vi possono accedere,
ma solo venerare da breve distanza.
Tutt’intorno è un fiorire di templi
e santelle, dove i monaci e la gente
comune si inginocchiano a pregare.
Poco dopo il tramonto una fitta
nebbia sale a coprire tutto rendendo
ancora più affascinante questo luogo.
L’indomani ci svegliamo che è
118
LE MONTAGNE DIVERTENTI Valtellinesi nel mondo
Estrazione della resina dall'albero della
gomma (15 ottobre 2013).
ancora buio, perché vogliamo assistere
al sorgere del sole alla roccia dorata
dove ci sono già molti monaci in
preghiera.
Scendiamo a valle a bordo di un
piccolo camion strapieno dotato di
panchine sul cassone, che viaggia
velocemente lungo la stretta e ripida
strada cementata. Tutti a bordo sono
un po’ tesi, ma arriviamo sani e salvi
a Kinpun.
Durante il rientro a Yangon
sostiamo brevemente per assistere
all’asfaltatura della strada: è uno spettacolo sconcertante. Il lavoro viene
fatto tutto manualmente dalle donne:
accovacciate di fronte a cumuli di sassi
ai bordi della carreggiata, scelgono
a mano i pezzi migliori che vengono
disposti sul terreno e poi livellati con
una sorta di rastrello di legno. Un
uomo quindi, in ciabatte infradito
come tutti, vi versa sopra del catrame
bollente che ricopre poi di sabbia,
originando così un grossolano bitume.
Poco dopo sostiamo per vedere gli
alberi della gomma e la lavorazione
della resina ricavata. Da una lunga
incisione nella corteccia scende del
Stuoie di gomma stese ad asciugare
(15 ottobre 2013).
liquido biancastro che viene raccolto
in piccole ciotole, svuotate una volta
al giorno in contenitori più grandi a
cui viene aggiunto acido solforico per
meglio addensare la miscela. Il tutto
viene pressato più volte e passato
continuamente in piccoli rulli fino
ad ottenere delle “stuoie”, di circa un
metro per cinquanta centimetri, che
poi vengono messe al sole ad asciugare. Completato il ciclo, il prodotto
viene venduto alle industrie e utilizzato principalmente per la costruzione
degli pneumatici.
Oggi dedichiamo l’intera giornata
alla visita di Yangon. Dopo la colazione in hotel a base di frutta e specialità locali tra cui una poltiglia simile
alle uova di rane, siamo carichi di
energia per affrontare ore intense. Ci
rechiamo al mercato locale “Thirimingala Zei”, probabilmente il più
bizzarro ed esotico della città: c’è un
via vai di persone di diverse etnie che
procedono come laboriose formiche
cariche di ogni tipo di merce, dalla
frutta ai fiori, dal pesce alle stoffe.
Profumi intensi, a volte anche sgradevoli, pervadono l’aria cocente.
Estate 2014
Il mercato Thirimingala Zei e il Buddha disteso
alla Chaukhtagy Paya (16 ottobre 2013).
L’impatto visivo è impressionante
per l’incrociarsi di colori e movimento. Tutt’intorno un gran vociare
di venditori che esaltano le mercanzie.
Bisogna solo stare attenti a dove si
mettono i piedi visto che per terra
c’è di tutto: dalla verdura marcia a
liquami indefiniti!
Proseguiamo il tour con la
Chaukhtatgy Paya, un grande
capanno dal tetto in metallo che
ospita un’enorme statua del Buddha
disteso. È una delle sculture più
grandi del Myanmar: solo il mignolo
del piede misura circa mezzo metro ed
il suo volto rilassato è sormontato da
una corona incastonata di diamanti e
altre pietre preziose.
La mattinata riprende con la visita
del porto: non quello moderno dove
attraccano grandi navi mercantili,
ma quello vecchio dove fanno scalo
piccoli battelli, provenienti dal fiume
Yangon, stracolmi di ogni mercanzia
che sarà poi venduta in città. Tutto
viene scaricato manualmente da
facchini intrisi di sudore e accatastato
su scalcinati camioncini o piccoli
carretti. Notiamo che vi sono pure
LE MONTAGNE DIVERTENTI La Shwedagon Paya riflessa nel lago Kandawgy (16 ottobre 2013).
delle donne che trasportano grandi
carichi al pari degli uomini, un po'
come accadeva da noi in Valmalenco
ai tempi dell'estrazione dell'amianto.
Siamo pronti per visitare il monumento principale di Yangon e di tutto
il Myanmar, la Shwedagon Paya:
una immensa e meravigliosa pagoda
che poggia su una piattaforma alla
sommità di una bassa collina e per
questo visibile da quasi ogni punto
della città. Il possente e scintillante
stupa centrale2 riflette la sua luce
dorata sulle costruzioni minori che
lo attorniano: tempietti, cappelle
votive, sale di preghiera, statue. Le
brillanti guglie affilate dei monumenti
si stagliano nel cielo azzurro come
lunghe braccia tese a raggiungere la
divinità.
Molti monaci in tuniche rosse e
numerose monache col saio rosa
sostano in silenziosa preghiera o
recitano monotoni salmi davanti
2 - Con il termine stupa si indica un monumento
sacro del buddhismo, architettonicamente
costituito da cinque elementi simbolici che
richiamano gli elementi cosmici, spesso combinati
nella forma di una pagoda. Simboleggia Buddha
che rivela il sentiero per l’illuminazione.
alle centinaia di raffigurazioni del
Buddha. È un via vai di fedeli e turisti
che si mescolano in un coloratissimo
caleidoscopio. Quando scende la sera
tutto il complesso viene illuminato
dalla luce artificiale che lo avvolge in
un’atmosfera fiabesca e mozzafiato.
Lasciata l’antica capitale, voliamo a
nord, verso la tranquilla cittadina di
Heho, per scoprire altre meraviglie.
Ci dirigiamo in taxi alla grotta
Pindaya, il cui nome reale è Shwe
Oo Min Pagoda, un complesso di
grotte e cunicoli in roccia carsica,
straripante di statue di Buddha
(oltre 8000), realizzate in ogni possibile forma, dimensione e materiale
e collocate nelle nicchie naturali che
così si trasformano in cappelle di
meditazione. Alcune immagini sono
antiche, altre più recenti e in continuo
aumento, offerte da devoti di tutto il
mondo.
Attraversiamo in auto una delle aree
più intensamente coltivate di tutto il
Myanmar: un mosaico di campi dai
colori variegati distesi su dolci colline,
movimentati da carri stracolmi di
cavoli trainati da bufali, contadini
Myanmar
119
Rubriche
Valtellinesi nel mondo
Trasporto cavoli con carretto (17 ottobre 2013).
Il “Freccia Rossa” del Myanmar (17 ottobre 2013).
Aratura dei campi con i buoi (17 ottobre 2013).
Anziana di etnia Pa-o al telaio (18 ottobre 2013).
Bambina con il suo animale da compagnia (18 ottobre 2013).
Ombrelli di carta di bambù (17 ottobre 2013).
Pescatore che rema con i piedi al lago Inle (19 ottobre 2013).
La raccolta delle patate (17 ottobre 2013).
che arano ancora manualmente con
l’aiuto di grossi bovini, donne di etnia
Danu con tuniche nere e di etnia
Pa-o con foulard a scacchi in testa,
piccoli camioncini che trasportano sul
cassone gente e mercanzie in precario
equilibrio!
Sostiamo anche presso un laboratorio dove viene lavorata la carta
ottenuta dal bambù. Delle signore
ci mostrano il procedimento: i fusti
tranciati sono messi a macerare in
acqua per diverso tempo, fino a che
non si trasformano in una poltiglia
grigiastra che viene poi sgocciolata
usando una rete a maglie finissime.
L’impasto, decorato con foglie e fiori,
è poi lasciato asciugare fino a completa
essiccazione, cosicché le decorazioni
colorate formano un tutt’uno con la
carta. Con questi fogli si costruiscono
ombrelli, ventagli, diari, segnalibri,
cornici ecc.
Dopo pranzo è la volta del mercato
cittadino. Anche questo, come tutti i
120
LE MONTAGNE DIVERTENTI mercati popolari del Myanmar, offre
bellissime scene di vita quotidiana
ed esperienze indimenticabili: pesce
e carne esposti senza refrigerazione,
merce pesata con l’antica stadera,
verdure e frutti sconosciuti dall’aroma molto pungente, personaggi che
sembrano usciti da un libro di storia!
Dirigendoci verso Kalaw, un
piccolo villaggio fra le colline, punto
di partenza per il trekking di due
giorni al lago Inle, finalmente vediamo
anche il famoso treno birmano. Dai
tempi dell’indipendenza dall’Inghilterra, dopo la seconda guerra
mondiale, non è stata più fatta manutenzione e i vagoni e le motrici sono
rimasti praticamente gli stessi, così il
convoglio procede molto lentamente
e impiega un’infinità a percorrere
brevi tratte.
Di buon mattino iniziamo il tour
con una guida locale di nome Wanna.
Camminiamo lungo sentieri e piccole
mulattiere che serpeggiano fra svariate
piantagioni: cavoli, patate, pomodori, peperoni, riso, ginger e sesamo.
Incontriamo persone di tre differenti
etnie che si distinguono facilmente
per il costume indossato. Sono gentilissime, sempre sorridenti e disponibili a farsi fotografare. Un’anziana
signora Pa-o, ferma a bordo strada
sotto una tettoia a lavorare al telaio,
ci offre premurosamente un tè e per
ricompensarla acquistiamo una borsa
da lei prodotta.
Ad un certo punto Wanna strappa
un piccolo ramo da un arbusto e soffia
sulla linfa che ne esce. Si formano
delle bellissime bolle di sapone naturale. Siamo proprio nel paese delle
meraviglie!
All’ora di pranzo sostiamo in un
villaggio, in una grande casa, il cui
proprietario gentilmente ci consente
di preparare noodle (una sorta di
spaghetti) e verdure nella sua cucina.
Riposati e rifocillati riprendiamo il
cammino sotto una lieve pioggerella.
Estate 2014
Nel tardo pomeriggio arriviamo
al monastero di Te-Teng dopo
aver percorso venti chilometri nella
campagna. Entriamo nella grande
pagoda e veniamo accolti da un
vecchio monaco, non più in grado
di camminare, seduto su un divano.
Gentilmente ci indica l’angolo del
tempio dove possiamo stendere i
materassi per la notte.
Alle quattro di mattina iniziano
ad arrivare i fedeli a pregare perché
oggi è un giorno molto importante
in Myanmar: è la festa del plenilunio
d’autunno e quasi nessuno lavora. Si
va ai monasteri con omaggi di fiori e
frutta e poi in visita ai parenti.
Oggi il percorso è quasi completamente in discesa: infatti passiamo dai
1350 metri del monastero agli 850
del lago Inle. Dall’altipiano coltivato ci abbassiamo fino alla strada
che costeggia il lago. Finalmente,
dopo sedici chilometri, raggiungiamo un piccolo canale dove ingagLE MONTAGNE DIVERTENTI giamo un barcaiolo che ci trasferirà
a Nyaungshwe, il villaggio principale
della zona, e ci farà da guida nei prossimi due giorni.
Procediamo per angusti canali
circondati da palafitte e orti galleggianti e vediamo gli uomini che
remano con i piedi, in modo da avere
le mani libere per pescare!
Finalmente lo stretto corso d’acqua
si immette nel grande lago Inle e
nel primo pomeriggio siamo a destinazione. Salutiamo con tristezza
la nostra guida Wanna che ci ha
permesso di scoprire i lati più nascosti
di questa terra.
Ben rifocillati da una buonissima
pizza al ristorante di cucina italiana
Golden Kite, camminiamo per oltre
un chilometro in direzione nord
fino al monastero Shwe Yaunghwe
Kyaung. La sua antica sala delle ordinazioni (Thein) è completamente in
tek e ha delle bellissime finestre ovali,
da cui si affacciano i monaci per scru-
tare quello che succede all’esterno.
La mattina seguente, all’alba, anche
se diluvia, salpiamo con la canoa
in direzione sud, quasi all’estremità meridionale del lago. Alle sette
siamo al villaggio di Maing Pyo dove
attendiamo il passaggio del corteo
del Phaung Daw Oo festival. Siamo
venuti in ottobre proprio per assistere
a questa manifestazione. Per diciotto
giorni, quattro statue in oro massiccio
raffiguranti Buddha vengono esibite
nei vari villaggi del lago, scortate da
uno scenografico corteo di barche.
Inizialmente le statue erano cinque,
poi un giorno la barca che le trasportava si capovolse e dal lago ne furono
ripescate solamente quattro. Miracolosamente la quinta fu ritrovata al
suo posto presso la Phaung Daw Oo
Pagoda. Da allora solo quattro statue
vengono portate in processione.
Aprono il corteo delle lunghe e
strette imbarcazioni con a bordo
gente dei diversi villaggi, ognuna coi
Myanmar
121
Rubriche
Valtellinesi nel mondo
centoquarantamila donazioni
Trasporto dei Buddha dorati al festival Phaung Daw Oo (20 ottobre 2013).
1954-2014
da 60 anni
prezioso sostegno
alla rete
della solidarietà
avis comunale sondrio
[email protected]
122
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
Donna di etnia Paduang con gli anelli al collo (21 ottobre 2013).
propri colori e insegne. Cantano,
ballano e gareggiano. Poi arriva
la navicella dorata con i monaci e
infine la grande barca Hintha, ricoperta d’oro e recante a prua l’effige
del drago (in realtà sembra più un
pollo), che trasporta le quattro statue.
Il canale che conduce alla pagoda è
molto stretto, per cui solo quella sacra
vi può accedere, trainata con corde da
due file di uomini che avanzano lungo
le sponde.
Ci avviamo di corsa sull’argine in
modo da arrivare al tempio prima
dell’imbarcazione sacra che, attraccata
al molo, viene scaricata con l’aiuto di
numerosi fedeli, essendo le statue assai
pesanti. Ricevuta la benedizione dei
monaci, i Buddha vengono portati
nella pagoda e posti su un altare al
centro della struttura. Tutt’intorno
migliaia di fedeli si inginocchiano
in preghiera. Anch’io, per mimetizzarmi e riuscire ad avvicinarmi all’altare, mi accomodo tra i devoti. Finite
le orazioni, gli uomini si avvicinano
alle statue e applicano loro delle sottili
lamine d’oro: nel corso degli anni
il loro peso è aumentato di molto a
causa di questa pratica! L’indomani a
In Phaw Khone rivedremo il corteo
che sarà ancora più maestoso e spettacolare anche per la presenza di sinuose
danzatrici nei costumi tipici.
Quindi con la canoa ci rechiamo
in un villaggio vicino per assistere
alla lavorazione del loto. Coltivata
direttamente nelle acque del lago,
questa pianta viene sfilacciata al fine
di ottenere delle sottilissime fibre che
poi vengono intrecciate e lavorate
LE MONTAGNE DIVERTENTI al telaio. È un processo molto lungo
e che richiede una gran quantità di
materia prima, per cui i tessuti ricavati
sono assai costosi.
La sosta successiva è presso un
laboratorio dove vengono costruite
le classiche canoe che solcano il lago.
Completamente in legno di tek,
richiedono circa un mese per la loro
fabbricazione. Nella stessa struttura
vengono confezionati anche i sigari:
abilissime ragazze impiegano meno di
un minuto ad arrotolare foglie intere
di tabacco con all’interno il trinciato.
Nel villaggio di Tha Ley che ospita
anche la Phaung Daw Oo Pagoda,
sede abituale dei cinque Buddha
d’oro, ci fermiamo presso un negozio
di souvenir attratti da commesse particolari: donne di etnia Paduang, conosciute anche come “donne-giraffa”
per via del collo allungato dai numerosi anelli di ottone che vengono loro
applicati fin da bambine. Questa
pratica in origine serviva per rendere
meno attraenti le donne di tali tribù
in modo che non venissero rapite
dalle popolazioni vicine. Oggi, invece,
capita spesso che questo rituale venga
perseguito a scopi turistici.
Continuiamo verso nord alla volta
dei famosi orti galleggianti, grandi
filari di terra intrecciata con canne di
bambù, che galleggiano sopra le basse
acque del lago su cui gli intha coltivano fiori, pomodori, zucche e altre
verdure.
Rientrati sulla terraferma, noleggiamo due biciclette. Abbiamo letto
di una casa vinicola non troppo
lontana e decidiamo di visitarla
con le due ruote. Dopo qualche
problema iniziale, legato alla segnaletica in carattere birmano, troviamo
la strada corretta e in mezz’oretta
siamo a destinazione. Si tratta di una
grande azienda con diverse centinaia
di filari di vitigni pregiati. L’ottimo
clima temperato del lago è l’ideale per
questo tipo di coltura. Assaggiamo
quattro tipi differenti di vino: bianco,
rosé, rosso leggero e rosso corposo,
tutti molto buoni.
Ripartiamo per il villaggio di
Inthein, famoso per le numerose
ed antiche pagode disseminate nei
dintorni. A piedi risaliamo la scalinata che conduce sulla sommità della
collina dove c’è la Shwe Inn Thein
Paya, un complesso di oltre mille zedi
(tipo santelle) costruiti tra il diciassettesimo e il diciottesimo secolo.
Salutato il magnifico lago Inle
voliamo alla volta di Mandalay,
seconda città della Birmania con due
milioni di abitanti, dove sosteremo un
paio di giorni. È molto caotica con le
strade invase da migliaia di motorini
e nessuno che rispetta le precedenze.
Dapprima ci rechiamo alla Mahamuni Paya, un monastero molto
vasto la cui principale attrazione è la
grande statua del Buddha Mahamuni
risalente al primo secolo dopo Cristo.
Si tratta di una scultura in bronzo alta
circa quattro metri, ricoperta d’oro.
Le foglie applicate dai devoti nel corso
dei secoli hanno creato uno strato
di metallo prezioso spesso quindici
centimetri. All’esterno della Paya ci
sono botteghe di scalpellini che con
grande abilità lavorano diversi tipi di
Myanmar
123
Rubriche
Valtellinesi nel mondo
Il tempio Umin Thounzeh a Sagaing (22 ottobre 2013).
Processione alla Mahamuni Paya di Mandalay (22 ottobre 2013).
Monaci in fila per il pranzo ad Amarapura (22 ottobre 2013).
Il monastero Htilaingshin Payadi Inwa (22 ottobre 2013).
Taxi locale a Mingun (22 ottobre 2013).
Cucina del monastero ad Amarapura (22 ottobre 2013).
Il tempio Sulamani Patho di Bagan (25 ottobre 2013).
Il lunghissimo U Bein’s bridge di Amarapura (22 ottobre 2013).
pietra, eseguondo quasi tutto il lavoro
con martello e scalpello.
In taxi ci trasferiamo ad Amarapura, una delle tre antiche città che
sorgono nei pressi di Mandalay.
Penultima capitale del regno del
Myanmar, sorge sulla sponda occidentale del lago Taugthaman. Qui
assistiamo a un rituale di grande
suggestione: ogni giorno alle dieci e
mezza circa milleduecento monaci
escono dalle case che li ospitano e si
recano in processione lungo la strada
fino alla grande mensa dove ricevono
l’unico pasto della giornata. Visitiamo
anche le cucine della mensa ma, vista
la scarsa igiene, decidiamo di non
fermarci a pranzo!
Andiamo quindi alla scoperta della
seconda città antica, eretta su di un
isolotto nel fiume: Inwa, che fu capitale del regno birmano per circa quattrocento anni . Non essendoci strade
asfaltate, i trasporti interni vengono
effettuati con piccoli carretti trainati
124
LE MONTAGNE DIVERTENTI da cavalli. Prima sosta al monastero
in tek di Bagaya Kyaung, risalente al
1834, sicuramente l’attrazione principale dell’isola. L’interno scuro e
fresco rimanda ai tempi in cui numerosi monaci lo occupavano. Ora ne
scorgiamo solo alcuni in meditazione e un anziano che insegna a una
decina di piccoli bambini. Proseguendo il tour incontriamo prima la
torre pendente di Nanmyin, alta 27
metri, tutto quello che rimane di un
antico palazzo, poi il monastero Maha
Aungnye Bozan, una grande struttura in mattoni e stucco: tali materiali lo hanno preservato per molti
secoli dalle intemperie, dai terremoti
e soprattutto dal fuoco.
Tocchiamo infine la terza città
antica: Sagaing, abitata attualmente
solo da monaci e monache. La collinetta dove sorge la cittadina è occupata da circa 500 stupa e altrettanti
monasteri che ospitano mediamente
seimila religiosi. È qui che si recano
i credenti buddhisti nei momenti
di difficoltà per avere conforto. Qui
sorge il gioiello l’Umin Thounzeh,
un tempio che ospita 45 statue di
Buddha disposte lungo un colonnato
a forma di mezzaluna.
Riattraversato l’Ayerwady, torniamo
a Amarapura per godere dell’U
Bein’s bridge, un ponte in legno di
tek lungo 1200 metri che attraversa il
lago Taungthaman. Vi è un via vai di
persone che transitano nelle due direzioni. Tra di essi spiccano i monaci,
nelle vivaci tuniche arancioni. In
attesa del tramonto lo percorriamo e
scendiamo su di un isolotto sabbioso
per scattare foto ai pescatori immersi
nelle acque del lago fino alle ascelle!
Con un battello raggiungiamo
Mingun, piccolo villaggio che sorge
sulla riva opposta dell’Ayerwady. Qui
visitiamo la Mingun Paya che avrebbe
dovuto essere la più grande pagoda
del Myanmar, ma a causa della prematura morte del re Bodawpaya, che ne
Estate 2014
aveva ordinato la costruzione, rimase
incompiuta. Oggi praticamente è una
immensa pila di mattoni che misura
72 metri per lato. Una grossa crepa,
causata dal terremoto del 1838, taglia
in due una facciata dell’imponente
struttura. In questo villaggio ci sbalordisce la Mingun Bell, un’enorme
campana del peso di 90 tonnellate:
alta circa 4 metri e con diametro alla
base che supera i 5 metri è la seconda
campana più grande al mondo. Chi
si trova all’interno, viene scioccato
dal potente suono prodotto da un
suo rintocco! Da vedere è la circolare
Hsinbyume Paya, stupa dalla forma
insolita: attorniata da sette terrazze
bianche concentriche che rappresentano le catene montuose che circondano il monte Meru (la montagna
che si erge al centro dell’universo
secondo la cosmologia buddhista).
Sulla sommità sono collocati alcuni
Buddha seduti uno dietro l’altro in
ordine decrescente di altezza.
LE MONTAGNE DIVERTENTI Riattraversato il fiume, andiamo a
visitare la Kuthodaw Paya, definita
il libro più grande del mondo. Infatti
è attorniata da 729 lastre di marmo
(ognuna custodita in un piccolo
stupa) su cui sono trascritti i 15 libri
che compongono i Tripitaka (scritture
buddhiste classiche). Leggendo per 8
ore al dì, una persona impiegherebbe
450 giorni per scorrerle tutte!
Navigando sul fiume Ayerwady,
verso sud, raggiungiamo Bagan,
patrimonio dell’Unesco, il posto più
grandioso del Myanmar e sicuramente il più visitato. In circa 230 anni
sono stati eretti oltre 4400 templi
sulla vasta pianura. A causa dei terremoti, degli agenti atmosferici e delle
distruttive invasioni mongole, ad oggi
ne restano in piedi circa 2200 di cui
alcuni in ottime condizioni e altri in
attesa di restauro. Presso un laboratorio artigianale assistiamo alla lavorazione della lacca, un tipico prodotto
birmano. Ricavata della linfa nera
della pianta omonima, viene utilizzata per ricoprire oggetti di legno e
ceramica. Nell’arco di sei mesi essi
vengono immersi diciotto volte in
bagni di lacca fino ad ottenere un
determinato spessore che verrà successivamente inciso e decorato con vari
colori.
Con un altro volo giungiamo a
Ngapali Beach, un piccolo villaggio
sulla riva del mare delle Andamane,
dove trascorriamo gli ultimi quattro
giorni in oriente. Alcuni sostengono
che il nome del villaggio derivi dalla
città di Napoli, anche se con la città
italiana non ha niente a che vedere
tranne il fatto di sorgere in riva al
mare. Una spiaggia bianchissima
dove passeggiare, un mare limpido e
caldo dove tuffarsi e fare snorkeling e
soprattutto un'ottima cucina a base
di pesce ci permettono di rilassarci e
riacquistare energia dopo aver passato
oltre due settimane alla scoperta di
questo fantastico paese!
Myanmar
125
Rubriche
Vipere
tra leggende e realtà
testi e foto Matteo Di Nicola
Vipera delle Alpi (Vipera aspis atra). Esemplare
melanotico (quasi completamente nero)
incontrato in Piemonte nel luglio 2011.
126
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Vipere
127
Rubriche
Fauna
L
e vipere appartengono alla famiglia dei
viperidi, serpenti dotati di ghiandola
velenifera ben sviluppata che conferisce alla
testa una peculiare forma allargata e spesso
triangolare. Diffusi in America, Africa ed
Eurasia, hanno dimensioni che variano da
poche decine di centimetri fino ad oltre tre
metri. Ogni specie presenta notevoli differenze: qui saranno considerati solo i tratti di
quelle presenti sul nostro territorio, accomunate da dimensioni modeste (con lunghezze
medie tra i 40 e i 90 centimetri) e da un
comportamento schivo ed elusivo.
In ogni caso un trattato zoologico sulle
vipere non è lo scopo di questo articolo, per
cui proverò a parlare di qualche caratteristica
in un modo alternativo, partendo da alcune
dicerie della gente del posto, che non manco
mai di interrogare durante le uscite erpetologiche fingendomi un turista incuriosito e chiedendo quali serpenti vedano nelle loro aree e
cosa ne pensino.
Occhio al sentiero, è pieno di vipere!
Quanti di voi avranno sentito o esclamato
questa frase durante un’escursione? Nei rifugi
non è poi raro trovare cartelli di attenzione,
che illustrano come distinguere i serpenti velenosi dagli altri e cosa fare in caso di morso.
Ma prima: perché parlo di vipere? Perché
dedico ore e centinaia di chilometri per
cercarle, osservarne i comportamenti e fotografarle, se sono creature viscide e pericolose
da tenere lontano o da “badilare” a tutti i costi?
Inizio chiarendo che i serpenti non sono
viscidi, la loro pelle non è né umida né molle.
Qualcuno, purtroppo, potrà constatarlo sfiorando la propria borsa o cintura di pitone.
Per rispondere al resto, ritengo doverosa una
premessa: l’uomo teme ciò che non conosce
e di cui non ha il pieno controllo, l’imprevedibilità fa paura. Le molteplici fobie riguardanti le vipere derivano infatti da una pessima
conoscenza di tali soggetti, etichettati negativamente a priori, anche per retaggio di obsoleti pensieri del cristianesimo in cui i serpenti
erano considerati creature del male. A causa
di questo, i loro aspetti positivi rimangono
troppo spesso inconsiderati.
“Le vipere si aggirano nei pascoli alpini per
bere il latte dalle mammelle del bestiame; se
entra una vipera in una cantina e la si vuole
catturare bisogna usare il latte come esca”:
le nostre vipere colonizzano una grande
varietà di ambienti, comprese pietraie, praterie
e pascoli alpini, dove la mancanza di copertura arborea agevola l’esposizione al sole per
la termoregolazione (sono animali ectotermi,
obbligati a regolare la temperatura corporea
tramite quella ambientale). Possono quindi
trovarsi in aree battute da bovini ed ovini, ma
non per bere il loro latte: le vipere si nutrono
esclusivamente di piccoli animali, quali roditori, anfibi, rettili, uccelli o anche invertebrati,
che cacciano attivamente. Per lo stesso motivo
l’esca a base di latte sarebbe del tutto inutile.
U
no dei motivi che mi spingono a parlare
di questi animali, importanti per la
biodiversità del fragile ecosistema alpino, è
dunque il desiderio di farli conoscere anche a
chi non è del settore, così da evitare che continuino ad essere oggetto di persecuzioni ingiustificate e da rendere più serene le escursioni.
Ad appassionarmi dei serpenti sono la sinuosità delle forme, il potere catturante dello
sguardo, il portamento fiero, i pochi movimenti volti a non sprecare energia e la diversità delle livree, quasi fossero impronte digitali.
Caratteristiche che spero di riuscire a comunicare anche tramite la fotografia, che sa
restituire con immediatezza sfumature inesprimibili con le parole.
Alla base della paura per i serpenti c’è
una mancanza di conoscenza: innanzitutto,
essendo gli ofidi rari e fugaci, poche persone
li hanno visti accuratamente dal vivo e ancora
meno hanno potuto osservare il loro comportamento in natura. Inoltre, le nozioni di erpetologia (così si chiama la scienza che studia i
rettili) sono escluse dai normali programmi
didattici, già deficitari di nozioni di conservazione naturale in genere. Così la gente si basa
su vecchie quanto assurde leggende diffuse in
ogni regione, con curiose varianti a seconda
delle interpretazioni locali: stranezze per le
quali un minimo di nozioni di ecologia basterebbe a smascherarne l’infondatezza.
128
LE MONTAGNE DIVERTENTI Visione d'insieme delle diverse livree delle 6 specie/sottospecie di vipere italiane.
A sinistra, dall'alto verso il basso:
- vipera delle Alpi (Vipera aspis atra): ascritta da recenti studi alla sottospecie
nominale (V. aspis aspis), è la vipera che raggiunge le altitudini maggiori (fino ad
oltre m 2000) dove non è presente il marasso. Vive nel nord-ovest dell'Italia ed è
frequente in diversi ambienti alpini tra cui pietraie e pascoli;
- vipera di Redi (Vipera aspis francisciredi);
- vipera del Meridione (Vipera aspis hugyi): endemismo del Sud Italia, questa specie
è presente in Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia ma anche sull'isola di Montecristo,
dove sembra esser stata introdotta in tempi passati.
Estate 2014
A destra, dall'alto verso il basso:
- vipera dal corno (Vipera ammodytes): subito riconoscibile per la presenza del
caratteristico corno, è una delle specie più affascinanti e di dimensioni maggiori. È
presente principalmente nel settore alpino e pre-alpino del Friuli Venezia Giulia, ma
anche in Alto Adige e nel settore settentrionale Veneto;
- marasso (Vipera berus): legato agli ambienti montanti, il marasso è la specie che
raggiunge le altitudini maggiori (fino a m 3000);
- vipera dell'Orsini (Vipera ursinii): con una lunghezza media di 30-40 centimetri è la
più piccola delle vipere italiane. La sua dieta include invertebrati come insetti ortotteri.
Vive in praterie montane di ambienti calcarei del centro Italia fino oltre i m 2300.
LE MONTAGNE DIVERTENTI “Se una vipera si abbevera in un ruscello
ne avvelena l’acqua”:
Utilizzato per uccidere le prede (coadiuvandone la digestione grazie a specifici enzimi)
ed eventualmente per difesa, il veleno è una
miscela complessa, prodotta da una ghiandola specializzata, che varia per composizione
e quantità a seconda della specie. In generale
contiene numerose sostanze tra cui acqua, ioni
metallici e non, amminoacidi, proteine enzimatiche come fosfolipasi, esterasi, proteasi ed
enzimi di tipo trombinico. Gli effetti causati
sono sostanzialmente emotossici, neurotossici, citotossici e cardiotossici. L’inoculazione, permessa da una apposita muscolatura,
avviene tramite zanne mobili canalicolate
che all’apertura della bocca possono disporsi
a 90 gradi rispetto alla mascella, mentre
Vipere
129
Rubriche
Fauna
alla chiusura si ripiegano contro il palato.
Questo avviene secondo la volontà dell’animale, che può anche aprire la bocca mantenendo le zanne ripiegate. Considerato che
la fuoriuscita del veleno è controllata, che la
sua produzione comporta un ingente sforzo
metabolico e che la sua quantità è ridotta a
pochi milligrammi, quale vantaggio avrebbe
l’animale a rilasciare veleno in acqua e,
inoltre, che quantità servirebbero per avvelenare un intero bacino?
“Le vipere partoriscono sugli alberi in
modo che i piccoli cadano al suolo senza
mordere fatalmente la madre”
Il genere Vipera è esclusivamente viviparo:
la madre genera piccoli già formati e con
veleno attivo, in quanto dovranno da subito
provvedere a procurarsi le prede.
Sebbene sia possibile scorgere individui
tra i rami della vegetazione, l’arrampicarsi
non è certo una peculiarità delle vipere. La
loro vita si svolge prettamente al suolo, così
come i parti, ed i piccoli non hanno certo
l’istinto di mordere la madre dal nulla: come
prima spiegato, il veleno ha precise funzioni
tra cui non compare quella di offendere
casualmente.
VIPERA
COLUBRIDE
“Le vipere nere sono le più velenose”
L’eccesso di pigmentazione scura nella pelle
è un fenomeno ricorrente in alcuni individui
(definiti melanici), per cui risulta migliore la
termoregolazione negli ambienti freddi. Non
sono invece note differenze nell’azione del
veleno rispetto a individui più chiari.
“La velenosità di un serpente si riconosce
dalla pupilla verticale”
Rimanendo in territorio nazionale, è
un’affermazione parzialmente vera. Le
vipere hanno pupille ellittiche verticali, gli
altri ofidi italiani, tutti colubridi, le hanno
circolari (ad eccezione del telescopo, timida
specie presente solo vicino Trieste). In Italia
oltre alle vipere c’è il colubro lacertino, che,
sebbene confinato alla Liguria occidentale
e non particolarmente pericoloso, è dotato
di veleno. Nel mondo sono però molti i
serpenti velenosi con pupilla circolare: è
bene quindi adottare tale regola solo vicino
a casa. Sempre in ambito italiano, le vipere si
distinguono dai colubridi in base a:
- testa a forma triangolare con squame più
piccole e numerose sul capo;
- corpo generalmente più corto e tozzo
e presenza di squame carenate (condivise
anche da alcuni colubridi quali natrici e
cervone).
130
LE MONTAGNE DIVERTENTI Principali differenze morfologiche tra una vipera (a sx) ed un colubride (a dx).
- forma e proporzioni del corpo;
- forma della testa e della pupilla;
Estate 2014
- forma e numero di squame sul capo; superficie delle squame del tronco (alcuni
colubridi, come Natrix ssp. ed Elaphe quatuorlineata presentano anch'essi squame
carenate).
LE MONTAGNE DIVERTENTI “Le vipere vengono lanciate nei boschi
dagli elicotteri dei guardaparco al fine di
ripopolamento”
Se le altre leggende variano molto da luogo a
luogo, quella degli elicotteri è invece citata da
tutti. Pochi sono gli angoli dove non sia conosciuto il misterioso fenomeno e non manca chi
è talmente suggestionato da affermare di aver
assistito con i propri occhi.
Assumendo che ci siano ripopolamenti di
vipere in una data zona, fatico a comprendere perché dovrebbero avvenire usando un
elicottero, mezzo ben visibile e rumoroso
(c’è chi afferma sia usato per tenere nascosto
l’evento), ma soprattutto costosissimo,
cadendo dal quale gli animali si danneggerebbero nello schianto al suolo o comunque, in
caso di discesa lenta mediante ingegnose casse
paracadutate (in molti ne testimoniano l’utilizzo) non ci sarebbe la benché minima precisione di posizionamento: non sarebbe meglio
un’azione da terra? Tenendo poi conto che
in ogni angolo d’Italia si afferma la presenza
di rilasci dai velivoli, il dispendio economico
sarebbe superiore a qualsiasi altra attività mai
svolta dallo Stato! Un po’ esagerato, no? Ironia
a parte, allevare rettili è un’operazione che
richiede tempo e denaro e i ripopolamenti di
animali non sono sempre facili da realizzare per
problematiche sia economiche che ecologiche
(ad esempio l’adattamento degli individui ai
nuovi territori nonché l’inquinamento genetico delle popolazioni).
Potrei continuare ad elencare leggende per
pagine, ma concludo con quella legata all’inizio
dell’articolo: esistono davvero sentieri “pieni
di vipere” dove sia pericoloso transitare?
Le popolazioni italiane di Vipera sono minacciate di diminuzione dall’alterazione antropica degli habitat nonché dalle persecuzioni
dirette. Non è facile incontrare sistematicamente questi serpenti se non si sa come cercarli
e, sebbene esistano aree dove effettivamente lo
status di popolazione non sia carente, le zone
sovrabbondanti risiedono solo nella mente di
chi, avendone viste alcune nell’arco di anni, è
rimasto così suggestionato da interpretare l’accaduto in maniera decisamente sovrastimata.
Incontrare una vipera non dev’essere considerata una tragedia, bensì un evento fortunato
dove provare, magari, a scattare una fotografia rimanendo a debita distanza. Certo, se
vengono messe alle strette o molestate provano
a difendersi mordendo, altrimenti preferiscono
il mimetismo o la fuga nel primo nascondiglio disponibile. Camminare con scarponi
da montagna sarà sufficiente a scongiurare il
pericolo di morsi accidentali. Comunque, nel
Vipere
131
Rubriche
Fauna
malaugurato caso di morso (le fatalità possono accadere soprattutto se si
espongono gli arti nudi ad anfratti o
zone con erba alta senza prima guardare) è necessario rimanere tranquilli,
tenendo fermo l’arto interessato e
chiamare i soccorsi. La consapevolezza
che in un soggetto sano adulto gli
effetti del veleno siano trattabili anche
dopo diverse ore deve aiutare a non
farsi prendere dal panico.
L'Italia vanta la presenza di quattro
diverse specie di vipera:
• l’aspide comune (Vipera aspis),
presente su tutto il territorio ad
eccezione della Sardegna;
• il marasso (Vipera berus) diffuso
sulle Alpi centrali e orientali;
• la vipera dal corno (Vipera
ammodytes) del Friuli Venezia
Giulia e di alcune aree di Veneto
e Alto Adige;
• la vipera dell’Orsini (Vipera
ursinii) caratteristica di Abruzzo,
Marche, Umbria e Lazio.
Per quanto riguarda l’aspide
comune, sono presenti 3 sottospecie:
vipera delle Alpi (Vipera aspis atra,
recentemente ascritta alla sottospecie
Vipera aspis aspis) nell’Italia nordoccidentale; vipera di Redi (Vipera
aspis francisciredi) nel resto della penisola eccetto Calabria e Sicilia; vipera
del meridione (Vipera aspis hugyi) in
Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia.
Sebbene ad un occhio poco allenato
questi animali possano apparire abbastanza simili per atteggiamento, forma
generale, dimensioni e colorazione
(apparentemente) poco appariscente,
i caratteri distintivi sono diversi,
comprendenti ecologia, etologia e
morfologia.
Le differenze non vi sono solo tra
specie/sottospecie bensì anche tra
individui. Ogni esemplare non è mai
uguale ad un altro: le tonalità cromatiche e il motivo dell’ornamentazione
sono sempre variabili, più o meno
evidentemente. Questa mutevolezza
mi affascina ed è uno dei motivi che
mi porta a insistere nella ricerca di
stesse specie anche dopo aver osservato
decine e decine di esemplari.
Per ulteriori curiosità o per identificazioni scrivetemi all’indirizzo
[email protected]
132
LE MONTAGNE DIVERTENTI FEMMINA
MASCHIO
Vipera delle Alpi (Vipera aspis atra) fotografata nella Lombardia nordorientale nel settembre 2013. Ascritta da recenti studi alla sottospecie
nominale (V. aspis aspis), è la vipera che raggiunge le altitudini
maggiori nelle aree del Paese dove non è presente il marasso (fino ad
oltre m 2000). Vive nel nord-ovest del paese ed è frequente in diversi
ambienti alpini tra cui pietraie e pascoli.
Marasso (Vipera berus) ritratto in Lombardia nell'agosto 2013.
È il protagonista degli “incontri con una vipera in quota” sull'arco alpino
centrale e occidentale. È possibile osservarlo in diversi ambienti tra cui
pietraie, pascoli e torbiere, come questo esemplare, fotografato subito
dopo un temporale estivo.
Il nuovo libro fotografico di Matteo Di Nicola
e Marco Colombo.
Edito dall' Archivio Fotografico Italiano, stampato
con il contributo del Parco Locale di Interesse
Sovracomunale Rile-Tenore-Olona e patrocinato
dalla Societas Herpetologica Italica (SHI), si tratta
del primo libro fotografico dedicato ai rettili e agli
anfibi selvatici d’Italia, tutti fotografati nei loro
ambienti naturali.
Caratteristiche: 28x28 cm, copertina rigida,
112 pagine
Editore: Punto Marte
Collana: Archivio Fotografico Italiano
Costo: 25 euro (spese di spedizione escluse)
Per visualizzare un’anteprima online e ordinare
consultare il sito:
http://paludiesquame.wix.com/paludiesquame
oppure inviare una mail a:
[email protected]
Maschio o femmina? La distinzione del sesso nelle vipere è a volte possibile, con un po' di
esperienza, dalla sola osservazione della livrea: generalmente i maschi hanno una colorazione
più marcata e disegni più contrastati (foto in basso). Questa caratteristica è però molto variabile
(dipendente anche dalla prossimità o meno dalla fase di muta dell'individuo) e non è ad esempio
applicabile in presenza di individui melanici o monocromatici.
Un metodo più sicuro è l'osservazione della coda: la presenza degli emipeni nei maschi conferisce
maggiori spessore e lunghezza nel tratto posteriore alla cloaca (foto in basso). Al contrario nelle
femmine la coda si stringe prima ed è più corta (foto in alto).
Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Vipere
133
l'ora blu
Rubriche
L'arte della fotografia
«V
orrei scattare una foto simile a quelle che avete realizzato in Engadina, con le stelle e con l'ultima luce del tramonto o dell'alba? Ci
sono tecniche particolari, come la sovrapposizione di vari scatti, oppure si
tratta di un preciso momento? Se fosse così, sapete dirmi quanto tempo è
necessario aspettare dopo il calare o prima del sorgere del sole?»
risposta a cura dell'agenzia fotografica Clickalps
134
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
L'ora
blu mattutina
da Soglio guardando verso Cengalo, Badile e Sciore (20 agosto 2013 - ore 4:58, foto Roberto Moiola).
LE MONTAGNE
DIVERTENTI
L'ora blu
135
L'arte della fotografia
Rubriche
L'ora blu dalle baite Splüga verso il piz da la Margna (20 febbraio 2014 - ore 18:58, foto Roberto Moiola). Per realizzare si è utilizzato ISO 2000
(ormai al limite dell'accettabilità per Canon Mark III se parliamo di qualità analizzata al 100% per scopi di stampe a medio-grandi dimensioni)
impostando sullo Zeiss Distagon T*15mm una focale di f/2,8. Scattando 10 minuti prima con ISO 200 e f/8 le stelle erano solamente accennate.
D
a alcuni anni la notte ci affascina sempre più. Il tutto
grazie alle strabilianti fotografie che
molti "mannari della reflex" propongono giornalmente sui social network.
Sono molteplici le interpretazioni
della notte: si va dalle classiche immagini in assenza di luna, alla ormai
inflazionata via lattea, alle artistiche
scie di stelle meglio conosciute come
"startrail", sino ai più flebili incontri
tra la notte e il dì.
Proprio questo ultimo caso è quello
che stuzzica la mia sensibilità per il
bello ed è l'istante che per me restituisce le immagini più veritiere, con
la presenza di colori più affascinanti
se si vuole trasmettere la magia della
fotografia notturna. Se l'inverno è la
stagione migliore per questo genere di
immagini, soprattutto in montagna
con la presenza di un candido
lenzuolo di neve fresca, anche le altre
stagioni si prestano bene, specialmente perché non costringono a lotte
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI contro il freddo pungente. I momenti
più adatti della giornata sono quello
che segue il tramonto e che precede
il buio più cupo, oppure quello che
anticipa l'alba appena prima che
rischiari il cielo.
Queste due situazioni sono note in
fotografia come l'ora blu.
Nel corso del mese vi è una settimana che meglio delle altre va sfruttata per realizzare certe cartoline al
tramonto: la prima di luna calante.
Una discorso analogo vale per l'alba e
la settimana che precede il plenilunio.
Occorre essere pronti allo scatto
sin dal momento del tramonto o ben
prima dell'alba. Una volta decisa la
postazione e la composizione, non
resta che scattare a circa un'ora dal
momento in cui l'ultima/la prima
luce accarezza le cime. Saremo allora
pronti ad immortalare una situazione
molto simile a quella che vedete in
queste fotografie.
La presenza o meno della luna è
un fattore che determina emozionalmente lo scatto, ma condiziona pure
la scelta dell'esposizione. L'assenza
della luna impone via via, col passare
dei minuti, l'utilizzo di ISO sempre
più spinti a focali totalmente aperte.
La direzione migliore per realizzare uno scatto dai colori vividi la
si ha guardando verso sud-ovest al
tramonto: a ovest l'attenzione è catturata dall'ultimo bagliore della luce che
si nasconde ormai all'orizzonte, verso
sud sarà la comparsa delle stelle a
dare importanza alla scatto. Analoghe
considerazioni portano ad inquadrare
a sud-est all'alba.
Possiamo infine programmare lo
scatto già da casa, affidandoci a strumenti come Google Earth o TPE.
Tanto per capirci: posizionandosi
virtualmente in una data località si
riesce a simulare sia la visuale che la
direzione della luce del sole e della
luna.
L'ora blu
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Poesie
Alba al Pian Dei Cavalli
Ascolta...
E' cessato,
improvviso,
il respiro del vento.
Ogni stelo si copre
di fresca rugiada,
e già il lago si tinge
dei colori del cielo.
Poi un raggio di sole
ti trafigge il cuore,
mentre l'acqua si vela
di argentea purezza.
E sei vivo di luce.
Sei dorato silenzio.
Sei un'aquila in volo,
che maestosa si libra
nel sereno splendore
di quell'alba infinita.
Lorenza Falcinella
Il lago Bianco al Pian dei Cavalli
(11 agosto 2009, foto Enrico Minotti).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Poesie
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IL MIGLIOR FOTOGRAFO
LE FOTO DEI LETTORI
Rubriche
Val di Mello (19 giugno 2013, foto Paolo Sertorelli).
Recensione (a cura di Beno)
Il fotografo - Paolo Sertorelli
Chi apprezza il profumo del maggiociondolo, del muschio sul granito e sui
tronchi dei faggi, la carezza delle felci, lo scrosciare e i freschi schizzi delle
acque del torrente non può che diventare un appassionato frequentatore
della val di Mello dove tutti questi elementi giocano con l'escursionista che
d'estate ne percorre i sentieri.
Questa immagine di Paolo immerge nello scenario della valle a tal punto
da risvegliare pure tatto, olfatto e udito, quasi a voler smentire che la
fotografia è solo arte visiva. La resa "naturale" dipende innanzitutto dal
tempo di esposizione scelto, che riproduce lo scrosciare dell'acqua in
modo del tutto simile alla vista umana. Inoltre le linee prospettiche date
da torrente e muretti vanno tutte a spegnersi nella folta vegetazione e
riportano velocemente l'attenzione sulla cornice costituita da una visione
parziale di maggiociondolo in fiore, muretto di sassi e faggio. Ciò restituisce
all'osservatore l'illusione di trovarsi all'interno dell'immagine.
Ardennese, classe 1982, mi avvicino alla fotografia in
maniera puramente casuale. Il furto della mia Bianchi
“Nirone” sancisce la fine della mia “carriera” ciclistica,
un volantino pubblicitario trovato nella buca delle
lettere mi catapulta nel magico mondo della fotografia
digitale … parte così nel 2012 l’acquisto della mia
prima reflex.
Apprendo i rudimenti grazie a mille letture,
mi appassiono sempre di più a tutto ciò che è
riconducibile alla fotografia (corpi macchina, obiettivi,
tecniche fotografiche, software per la post produzione)
e decido di compiere il grande salto acquistando la
mia attuale compagna di avventure: una reflex full
frame che mi sta dando molte soddisfazioni.
Gli scatti che prediligo sono quelli a diretto contatto
con la natura: un debole per i laghetti alpini, una certa
attrazione per la foto di strada, curiosità per la macro
fotografia e una sorta di avversione per i ritratti, forse
perché ho sempre detestato essere fotografato!
www.juzaphoto.com/p/PaoloSertorelli
Fotocamera Lunghezza focale Tempo di esposizione Apertura del diaframma ISO Canon 550D
55mm
1/90 s
f. 5.6
160
MANDA LE TUE FOTOGRAFIE
Due sezioni dedicate ai nostri lettori:
· una che premia il fotografo più bravo tra quelli che invieranno, con oggetto "miglior fotografo",
i loro scatti inerenti i monti di Valtellina e Valchiavenna all'indirizzo email [email protected].
Una delle sue foto verrà pubblicata con recensione e scheda di presentazione del fotografo. Premio: abbonamento annuale alla rivista.
· una che mostra chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo; le foto vanno inviate all'indirizzo email
[email protected] e devono avere un soggetto umano, la rivista (o un oggetto personalizzato LMD, come il
retro della nuova mappa della Valmalenco) e uno scorcio del luogo.
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
Valchiavenna - Laura, tra montagne divertenti e montagne di neve all'alpe Lendine (7 marzo 2014).
Turchia - Un saluto e un ricordo da Luciano, Annamaria, Adele
e Alex da Istanbul (20 aprile 2014).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Messico - Carlo e Alessandra portano "Le montagne divertenti" in
vacanza oltreoceano (23 gennaio 2014).
Le foto dei lettori
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LE FOTO DEI LETTORI
Rubriche
Valchiavenna - Dopo tre ore di ciaspolata,
io e la rivista siamo all'alpe Lendine
(9 marzo 2014).
Le foto dei lettori
Sondrio - II A e II B dell'istituto tecnico Geometri studiano "Le Montagne Divertenti"
(28 marzo 2014).
Lapponia e isole Mauritius - Dal gelido e bianco Nord al tepore tropicale, Denny e Elena in viaggio di nozze (20 gennaio e 1 febbraio 2014).
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
Isola di Salina - I šc'iupàt (26 settembre 2013).
Isole Eolie - Di notte in coppa u' Stromboli aspettandone il rutto
lavico (27 settembre 2013).
Valmalenco - Paolo, Giorgio e Mauro giungono in vetta al pizzo Bernina
(m 4049) dalla cresta nord, la celebre Biancograt (27 luglio 2013).
Siria - Speriamo che la pace torni presto a far vivere questa terra
e con essa tutti gli altri paesi soffocati dall'odio e dalla violenza
(Palmira - 9 novembre 2008).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori
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LE FOTO DEI LETTORI
Rubriche
Le foto dei lettori
Capo Nord - Alessandro e Giulia baciati dal sole
di mezzanotte a Nordkapp nel loro viaggio di
nozze (27 giugno 2013).
Lapponia - Valtellina, Valchiavenna, Ticino, Milano e Modena confluiscono nella terra di
Babbo Natale a Yllas (14 marzo 2014).
Valmalenco - Franca Bertoli e "Le Montagne
Divertenti" all'alpe Campagneda (2 marzo 2014).
Valmalenco - Giorgio e un'allegra combricola di amici brindano per "Le Montagne
Divertenti" al rifugio Ca' Runcasch di Campagneda (30 marzo 2014).
Valchiavenna - Pascal in val Bodengo presso la sosta Pincée
(25 luglio 2013).
Sudafrica - Luca e Marta presso il Blyde River
Canyon (14 gennaio 2014).
Roma - Marta, Flavia e Renata in piazza Sant'Uffizio con le guardie svizzere in occasione
della consegna della statua "Modonna che scioglie i nodi" a Papa Francesco (aprile 2014).
Spagna - Simone e i suoi compagni di 5aC dell'ITIS Enea Mattei di Sondrio in
Alta Valtellina - Tipi "very in" sulla vetta del Gran Zebrù:
Cagnin, Sgabelin, Lurenzin, Giacumin e Catelin (6 aprile 2014). gita a Barcellona , qui in Plaza de Catalunya. (3 aprile 2014).
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Trentino - Chicca, Jacopo e combricola in cima al sass Pordoi
(23 febbraio 2014).
Le foto dei lettori
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LE FOTO DEI LETTORI
Rubriche
Como - Riccardo, Lorenzo, Mattia e Pietro a tutto divertimento in falesia a Carate Urio
(12 aprile 2014).
Le foto dei lettori
Mazzo di Valtellina - La piccola Ginevra in un
momento di relax, mentre si dedica a una precoce
quanto curiosa "lettura" del nostro giornale.
Alto Lario - Luciano Bruseghini e l'Otzi Team sul monte Bregagno (12 gennaio 2014).
Indonesia - Luciano porta la rivista a visitare la stazione elettrica di
Cikampek (8 marzo 2014).
Indonesia - Alexander e Luca Guder portano una ventata di
montagne sull'isola di Gili Meno (6 gennaio 2014).
Valfurva - Rifugio Pizzini - I collaboratori de "Le Montagne Divertenti" sono proprio strani! Alpi Graie - Nardo insieme al CAI di Tirano sulla vetta
del Gran Paradiso (30 marzo 2014).
(8 marzo 2014).
Ischia - Alessandro, Maria Clorinda, Dorotea e Silvio a
Sant'Angelo (6 aprile 2014).
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LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
Verona - Il gruppo allevatori "Bruna" in occasione della mostra
internazionale della razza bruna. Special guest: "Le Montagne
Divertenti", naturalmente! (9 febbraio 2014).
Valmalenco - Alberto, Martina e Lella in cima al pizzo Scalino, m 3323
(16 aprile 2014).
Le foto dei lettori
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LE FOTO DEI LETTORI
Rubriche
Bosnia Erzegovina - Luciano insieme al CAI di Valfurva sulle spettacolari montagne
bosniache (17 marzo 2014).
Le foto dei lettori
Stazione di Milazzo - Nicola e Luigi di Trekking
Italia (28 settembre 2013).
Sardegna - "Country for fun" in Sardegna (31 agosto 2013).
Cile - Giovanna, Silvana, Germano e Nello del CAI Valmalenco alle torri del Paine
(20 gennaio 2014).
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Sondrio - Eleonora e Dona presso il centro per
autistici della città (29 marzo 2014).
Estate 2014
Chiesa in Valmalenco - Due investigatori speciali, Michele e Valerio Schenatti, hanno scovato l'auto de "Le Montagne Divertenti"
(23 dicembre 2013).
Islanda - Un caldo saluto da Cristina, Bruno, Loredana, Andrea,
Angela, Giovanni, Francesca, Alberto e Giuseppe nella fantastica
"terra del ghiaccio" (24 agosto 2013).
Austria - Erika e Georg presentano la biblioteca monastica
più grande d'Europa, ad Ammont; Lucia e Roberto ricambiano
diffondendo "Le Montagne Divertenti" oltre confine (agosto 2012).
Valmalenco - Eliana e Nemo Canetta con l'amica Larissa e Beppe
Dell'Andrino al rifugio Palù, finalmente riaperto (13 gennaio 2014).
Engadina - Paolo, Simona, Mario, Tita riposano dopo la ciaspolata
(29 marzo 2014).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori
149
Rubriche
soluzioni del n.28
Vincitori e
vinti
Sondrio: Carnevale 1898
La foto d'epoca (archivio
Maurizio Cittarini) è stata scattata dalla finestra della terrazza
della stazione ferroviaria di
Sondrio e guarda verso gli
stabili sulla destra (E) di piazzale Bertacchi.
La vincitrice è:
Marina Berti
in quanto abbiamo deciso di
premiare la risposta migliore e
più precisa tra quelle pervenute
nei tempi regolamentari.
Ha inoltre indovinato:
Paola Civati.
In basso: foto comparativa realizzata da Matteo Gianatti il 23 aprile 2014 dal terrazzo della stazione.
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori
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soluzioni del n.28
Vincitori e
Giochi
vinti
Che scimma l'è?
El ciüsè olt
La cima più alta visibile in questa immagine, scattata dalla
ciana di Cavai a Montagna in Valtellina il 6 febbraio 2014, è
il pizzo Alto (m 2512). In primo piano è il nostro collaboratore Giovanni Rovedatti che il 18 maggio 2014 ha concluso
una lunga avventura durata 27 anni e che lo ha portato a
salire tutti gli 82 quattromila delle Alpi.
I vincitori del concorso sono:
1 - Daniele Fornera
2 - Fabio Fanoni
3 - Pippo
Questa
4 - Luca Gottifredi
5 - Simone Nonini
Hanno inoltre indovinato:
Sergio Proh, Francesco Fanchetti, Carlo Busnelli, Francesca
Manni, Annamaria Grossi, Roberta Baldini, Bruna Fiorina,
Daniele Corazza, Matteo Corazza, Cristiano Vaninetti,
Leonardo Gianola, Rosa, Mauro Duca e Bruno Ferrari.
In anticipo o in ritardo hanno indovinato anche: Albina,
Mathias, Giulia Pedroli e Antonietta Parolo.
Ma ch'el?
Ma ch'el?
Cos'è e a cosa serve?
Il 2 più veloci dalle ore 21:00 del 3 luglio
2014 riceveranno uno zaino tecnico della
Skitrab personalizzato Le Montagne Divertenti. Il 3° classificato avrà un abbonamento
annuale a Le Montagne Divertenti, il 4° e il
5° la nuova maglietta personalizzata LMD e
L'oggetto è un contenitore in pietra ollare (lavéc ' o furàgn o
ùla) utilizzato per conservare burro cotto, lardo, cunsc, ecc.
I vincitori sono:
1 - Fabio Pedroli
2 - Antonietta Parolo
3 - Ivan Andreoli
4 - Sergio Proh
5 - Simone Nonini
un puzzle fotografico.
Scrivi la tua risposta su
www.lemontagnedivertenti.com/concorsi/
Hanno inoltre indovinato:
Luca Gottifredi, Morena, Giulia Pedroli, Valeria Della Vedova,
Gabriele Nana, Martino Taloni, Angelo, Veronica, Doris
Varisto, Mario Del Marco, Paolo Gorla, Alepiani, Marco
Fanchetti, Pippo, Angela.
abbiamo posticipato le date dei concorsi per
permettere agli abbonati vittime dei disservizi
postali di partecipare ai giochi.
ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE
In anticipo o in ritardo ha indovinato anche: Mauro.
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LE MONTAGNE DIVERTENTI volta vi frego tutti! Vediamo se indovinate che cima è quella innevata
sullo sfondo. Come aiutino vi dico che è una foto fatta a fine aprile 2014.
I 2 più veloci dalle ore 21:00 del 5 luglio 2014 riceveranno uno zaino tecnico
della Skitrab personalizzato Le Montagne Divertenti. Il 3° classificato avrà un
abbonamento annuale a Le Montagne Divertenti, il 4° e il 5° la nuova maglietta
personalizzata LMD e un puzzle fotografico.
Scrivi la tua risposta su www.lemontagnedivertenti.com/concorsi/
Estate 2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI Giochi
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Rubriche
LE RICETTE
DELLA NONNA
Le virtù del timo
Beno
Il timo è una pianta perenne molto frequente nella provincia di Sondrio, dove può essere trovata dal fondovalle
fino a duemila metri, specialmente in luoghi asciutti e soleggiati. Forma dei cespugli piuttosto compatti; le
foglie sono piccoline e verdi-argentate. Ciò che è inconfondibile è il suo profumo, gradevole e balsamico, che
generalmente aumenta di intensità con la quota a cui lo si coglie. I suoi utilizzi sono svariati. C'è chi ne usa le
foglioline per aromatizzare le carni, chi ne raccoglie le infiorescenze rosa per farci un tè molto rilassante. Per gli
antichi Egizi il timo era una sostanza fondamentale nel processo di imbalsamazione.
Io, non potendo imbalsamare nessuno, ho sperimentato la sua azione disinfettante applicandone il decotto su
una brutta ferita, che così si è velocemente rimarginata senza infezioni. Il timo è anche efficace contro tosse e
catarro, oltre che per le infezioni delle vie urinarie.
Tè al timo
• sommità di timo fiorite, secche o fresche
Trovandosi il timo a quote molto differenti,
si possono cogliere i fiori da inizio maggio nel
fondovalle, ad agosto in alta montagna. Con
sommità fiorite si intendono i fiori con 5-6 cm
di gambo e foglie. Per conservare il timo, va fatto
seccare in un luogo asciutto e areato distendendolo su un panno o su un foglio di carta, preferibilmente non al sole.
Per preparare il tè, appena l'acqua raggiunge il
bollore, vi si buttano i fiori, la si toglie dal fuoco
e si coperchia la pentola. Il tè vien pronto dopo
circa 5 minuti di infusione. Il suo sapore è delicato così come il colore. È una bevanda molto
rilassante e gradevole.
Liquore al timo
•
•
•
•
•
•
30 g di sommità fiorite fresche
3 g di lavanda (opzionale)
3 g di corteccia di cannella
550 g di zucchero
250 ml di alcol
600 ml di acqua
Si mette il timo a macerare nell'alcol per 10
giorni.
Si scioglie lo zucchero nell'acqua e si unisce la
soluzione al macerato.
Dopo 24 ore si passa con dei filtri di carta e
si imbottiglia. Il liquore va fatto riposare per
almeno 3 mesi prima di consumarlo. Ha un
colore verdognolo e un profumo intenso. È
ottimo digestivo, ma anche consigliato in piccole
dosi per liberarsi dal raffreddore.
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Timo a varie quote, in vari stadi vegetativi (22 maggio 2014, foto Beno).
Estate 2014
L'uomo moderno
quando non fa le cose in fretta crede di perdere
qualcosa - il tempo;
eppure non sa che cosa fare del tempo
che guadagna, tranne che ammazzarlo.
Erich Fromm (1900-1980), sociologo
LE MONTAGNE DIVERTENTI 157