Elizabeth von Arnim Un incantevole aprile Bollati Boringhieri Prima edizione settembre 1993 © 1993 Bollati Boringhieri editore s.r.l. isbn 88-339-0791-0 Titolo originale The Enchanted April Traduzione di Luisa Balacco Trama Un discreto annuncio pubblicitario apparso sul «Times» è il preludio a un mese rivelatore per quattro donne dalla personalità assai diversa. A picco su una baia della Riviera, tra giardini di calle, violacciocche e acacie, si staglia il castello medievale di San Salvatore. Alla ricerca disperata di sollievo dalle preoccupazioni quotidiane, Mrs Wilkins, Mrs Arbuthnot, Mrs Fisher e Lady Caroline Dester si lasciano allettare da quel paradiso terrestre. Cullate dalla primavera mediterranea, dai monti ammantati di violette e fiori dal dolce profumo, queste donne abbandonano a poco a poco i formalismi di società e scoprono un'armonia da tutte anelata e tuttavia mai conosciuta. Pubblicato nel 1922, e simile per vari aspetti a Il giardino di Elizabeth, questo romanzo è imbevuto di quella capacità descrittiva e di spensierata irriverenza che costituiscono il tratto tipico della scrittura di Elizabeth von Arnim. Un incantevole aprile Tutto ebbe inizio in un club per signore di Londra, un pomeriggio di febbraio - il club era modesto e il pomeriggio deprimente -, quando Mrs Wilkins, giunta da Hampstead per fare acquisti, dopo aver pranzato al club di cui faceva parte prese il «Times» da un tavolo della sala fumatori e, scorrendo con occhio distratto la colonna degli annunci personali, vide questo annuncio: «Per gli amanti del glicine e del sole. Piccolo castello medievale italiano sulle coste del Mediterraneo affittasi ammobiliato per il mese di aprile. Servitù inclusa. C.P. 1000, "The Times"». Così nacque l'idea; ma, come spesso accade, chi la concepiva, in quel momento non ne era affatto consapevole. Del tutto ignara di come in quel preciso istante si fosse per lei deciso l'aprile di quell'anno, Mrs Wilkins lasciò cadere il giornale con un gesto tra l'irritato e il rassegnato e, avvicinatasi alla finestra, si mise a fissare con tristezza la strada bagnata. Non per lei erano i castelli medievali, neppure quelli intenzionalmente descritti come piccoli; non per lei le coste del Mediterraneo in aprile, il glicine e il sole. Simili delizie erano solo per i ricchi. Eppure l'inserzione si rivolgeva alle persone che amano queste cose, e quindi anche a lei, che di certo le amava, e più di quanto fosse noto, più di quanto avesse mai detto. Ma era povera. Di suo possedeva novanta sterline in tutto, risparmiate anno dopo anno, messe da parte con cura, sterlina su sterlina, dalle spese per il vestiario. Era una somma racimolata a fatica su suggerimento del marito, come protezione e rifugio per i tempi duri. Il denaro per i vestiti, che riceveva dal padre, ammontava a cento sterline l'anno, gli abiti di Mrs Wilkins erano pertanto ciò che il marito, spingendola a risparmiare, definiva modesti ma appropriati, e che i suoi conoscenti, se e quando parlavano di lei, cosa che avveniva di rado perché passava del tutto inosservata, chiamavano modelli esclusivi. Mr Wilkins, un avvocato, esortava sempre alla parsimonia, eccetto quando si trattava del suo cibo. Allora non la chiamava più parsimonia, ma cattiva economia domestica. Al contrario, esprimeva grandi elogi per quella parsimonia che, come le tarme, penetrava negli abiti di Mrs Wilkins rovinandoli. «I momenti difficili sono come i giorni di pioggia, - diceva. - Non si sa mai quando arrivano: potrebbe farti comodo avere da parte un gruzzoletto. Anzi, potrebbe far comodo a tutti e due». Guardando Shaftesbury Avenue dalla finestra del club - il suo era un club poco costoso ma comodo sia per Hampstead, dove viveva, sia per Schooibred, dove andava a fare spese, - Mrs Wilkins, che per un po' era rimasta in piedi pervasa di tristezza pensando al Mediterraneo in aprile, al glicine e alle invidiabili possibilità dei ricchi, lo sguardo alla pioggia fuligginosa e violenta che si riversava incessante sugli ombrelli frettolosi e sugli autobus che schizzavano tutt'intorno, si domandò all'improvviso se per caso non fosse questo il giorno di pioggia per cui Mellersh - Mellersh era Mr Wilkins l'aveva tanto spinta a prepararsi, e se per caso la Provvidenza non avesse stabilito sin dall'inizio che lei dovesse utilizzare i suoi risparmi per evadere da quel clima e raggiungere il piccolo castello medievale. Solo una parte dei suoi risparmi, naturalmente, forse una piccolissima parte. Il castello, essendo medievale, poteva essere anche in rovina, e le rovine costavano sicuramente poco. Un po' di rovine non le sarebbero dispiaciute affatto, perché esistendo già non si pagavano; al contrario, erano loro a ripagarti facendo diminuire il prezzo. Ma che pensieri sciocchi… Si allontanò dalla finestra con quello stesso gesto misto di irritazione e rassegnazione con cui aveva posato il «Times», e attraversò la stanza dirigendosi verso la porta decisa a prendere impermeabile e ombrello, farsi largo in uno di quegli autobus sovraffollati, quindi passare da Schooibred lungo la strada di casa e comprare delle sogliole per la cena di Mellersh - in fatto di pesce, Mellersh aveva gusti difficili: oltre al salmone, gli piacevano solo le sogliole, - quando vide Mrs Arbuthnot, una signora che conosceva di vista perché anche lei viveva ad Hampstead e frequentava il club; era seduta al tavolo nel centro della stanza sul quale si tenevano giornali e riviste, immersa, a sua volta, nella prima pagina del «Times». Mrs Wilkins fino ad allora non aveva mai parlato con Mrs Arbuthnot, che faceva parte di uno dei tanti gruppi di parrocchiani e che analizzava, classificava, divideva e registrava i poveri; lei e Mellersh, invece, quando uscivano andavano ai ricevimenti dei pittori impressionisti, che ad Hampstead Heath erano numerosi. La sorella di Mellersh ne aveva sposato uno ed era andata a vivere proprio ad Hampstead e, a causa di questa parentela, Mrs Wilkins era stata trascinata in un ambiente a lei del tutto estraneo e aveva imparato a temere i quadri. Bisognava sempre commentarli, e lei non sapeva mai cosa dire; così di solito mormorava: «Meraviglioso» e tutte le volte aveva la sensazione che non fosse abbastanza. Ma nessuno le badava. Nessuno la ascoltava. Nessuno prestava la minima attenzione a Mrs Wilkins, il tipo di persona che ai ricevimenti non si nota. I suoi abiti, infestati dalla parsimonia, la rendevano praticamente invisibile; il suo viso non faceva colpo; era reticente alla conversazione: era timida. E se gli abiti, il viso e la conversazione di una persona passano inosservati, pensava Mrs Wilkins, chi si sarebbe accorto dei suoi limiti? Che cosa resta, ai ricevimenti, di una persona del genere? Inoltre era sempre con Wilkins, un uomo di bell'aspetto e perfettamente rasato, la cui sola presenza dava lustro a una festa. Wilkins era molto rispettabile. Era noto per la grande stima di cui godeva tra i colleghi più anziani. Nell'ambiente della sorella tutti lo ammiravano. Egli esprimeva giudizi intelligenti quanto basta sull'arte e sugli artisti. Era conciso e avveduto: non diceva mai una parola di troppo né, d'altro canto, mai una di meno. Dava l'impressione di serbare una copia di ogni cosa che dicesse; e ispirava fiducia in modo così naturale che accadeva spesso che qualcuno, dopo averlo incontrato a uno di questi ricevimenti, cominciasse a essere insoddisfatto del proprio avvocato e dopo un periodo di irrequietezza se ne liberasse per rivolgersi a lui. Era ovvio che Mrs Wilkins ne fosse offuscata. «Lei dovrebbe restarsene a casa», diceva la sorella di lui, con un che di perentorio, sentenzioso e irrevocabile nei modi. Ma Wilkins riteneva impossibile lasciare la moglie a casa, era un avvocato di cause familiari, e questi hanno tutti una moglie da mostrare in pubblico. Con la sua, andava ai ricevimenti durante la settimana e in chiesa la domenica. Ancora piuttosto giovane - aveva trentanove anni - e desideroso di farsi notare dalle signore più anziane per ora poco numerose tra la sua clientela, non poteva permettersi di non andare in chiesa, e fu proprio là che Mrs Arbuthnot divenne familiare a Mrs Wilkins, sebbene non si fossero mai scambiate una parola. La osservava mentre schierava i bambini poveri nei banchi. Entrava in testa alla processione dal Catechismo domenicale cinque minuti esatti prima del coro, disponeva i bambini e le bambine in ordine perfetto nei posti assegnati, li faceva mettere in ginocchio per la preghiera preliminare e poi di nuovo in piedi, quando le note dell'organo si levavano alte, proprio mentre la porta della sagrestia si apriva e comparivano il coro e i sacerdoti, resi maestosi dalle litanie e dai versetti che si accingevano a recitare. Sebbene avesse un viso triste, era molto efficiente; questa combinazione meravigliava Mrs Wilkins perché, nei giorni in cui riusciva a trovare soltanto la platessa, Mellersh le diceva che con l'efficienza si elimina la depressione, e che facendo bene il proprio lavoro si diventa automaticamente brillanti e decisi. Mrs Arbuthnot non aveva niente di brillante e di deciso, benché il suo modo di fare con i bambini del Catechismo domenicale avesse molto di meccanico; ma quando Mrs Wilkins, allontanandosi dalla finestra, la scorse nel club, non vi era in lei nulla di meccanico, anzi, guardava fisso un pezzo della prima pagina del «Times», tenendo il giornale immobile e senza muovere gli occhi. Lo fissava soltanto; e il suo volto, come sempre, pareva quello di una Madonna paziente e delusa. Obbedendo a un impulso di cui si meravigliò nel momento stesso in cui lo seguiva, Mrs Wilkins, la timida e schiva, invece di dirigersi, come si era proposta, al guardaroba e di qui da Schoolbred in cerca del pesce per Mellersh, si fermò al tavolo e si sedette esattamente di fronte a Mrs Arbuthnot, con cui non aveva mai parlato in vita sua. Era un tavolo lungo e stretto come quelli dei refettori, sicché si ritrovarono molto vicine l'una all'altra. Mrs Arbuthnot, tuttavia, non alzò lo sguardo. Continuò a fissare con insistenza un unico punto del «Times», gli occhi sognanti. Mrs Wilkins la osservò per qualche istante, tentando di raccogliere il coraggio necessario a rivolgerle la parola. Voleva chiederle se avesse visto l'annuncio, non sapeva perché, ma desiderava farlo. Che stupida non riuscire a parlarle, sembrava così gentile, così infelice. Perché due persone infelici non possono sostenersi a vicenda nell'arido mestiere della vita con una chiacchieratina, una chiacchierata sincera e spontanea sui loro sentimenti, i desideri, le speranze che ancora possiedono? E non potè fare a meno di pensare che anche Mrs Arbuthnot stesse leggendo quel medesimo annuncio, teneva gli occhi proprio su quella parte del giornale. Stava forse immaginando anche lei come sarebbe stato? I colori, i profumi, la luce, il mare che lambisce dolcemente i piccoli scogli assolati? I colori, i profumi, la luce, il mare, niente più Shaftesbury Avenue, autobus bagnati, reparto del pesce da Schoolbred, metropolitana fino ad Hampstead e cena, e domani lo stesso e il giorno dopo lo stesso e per sempre lo stesso… D'un tratto Mrs Wilkins si ritrovò protesa sul tavolo. «State per caso leggendo del castello medievale e del glicine?», sentì la propria voce formulare questa domanda. Va da sé che Mrs Arbuthnot rimase sorpresa; non più sorpresa però di quanto non lo fosse Mrs Wilkins di se stessa. Mrs Arbuthnot non aveva ancora posato gli occhi sulla figura scialba, esile e trasandata seduta di fronte a lei, quel viso piccolo e lentigginoso e i grandi occhi grigi che quasi scomparivano sotto un cappello da pioggia sgualcito; la guardò per un attimo senza rispondere. Stava proprio leggendo del castello medievale e del glicine, o piuttosto, ne aveva letto dieci minuti prima e da allora si era perduta nei sogni: la luce, i colori, i profumi, il mare che lambisce dolcemente i piccoli scogli assolati… «Perché me lo chiedete?» disse con quel suo tono serio, poiché l'esperienza a contatto dei poveri l'aveva resa seria e paziente. Mrs Wilkins arrossì e apparve eccessivamente timida e impaurita. «Oh, solo perché l'ho visto anch'io, e ho pensato che forse… be', ho pensato che magari…», balbettò. Al che Mrs Arbuthnot, avvezza a catalogare e a suddividere le persone, mentre fissava pensierosa Mrs Wilkins valutò, come sua abitudine, in che sezione sarebbe stato opportuno inserirla nel caso avesse dovuto classificarla. «Io vi conosco di vista, continuò Mrs Wilkins che, come tutti i timidi, una volta cominciato si gettava a capofitto, spinta a parlare sempre di più dalla paura del suono delle sue ultime parole che le ronzavano nelle orecchie. - Sapete, vi vedo tutte le domeniche… vi vedo in chiesa tutte le domeniche…» «In chiesa?» fece eco Mrs Arbuthnot. «E sembra così incantevole… quell'annuncio sul glicine… e…» Mrs Wilkins, che doveva avere almeno trent'anni, si interruppe, agitandosi sulla sedia con i movimenti di una scolaretta goffa e imbarazzata. «Sembra così incantevole, riprese di botto, - e… oggi il tempo è così triste…» Poi si sedette guardando Mrs Arbuthnot con l'espressione di un cane bastonato. «Questa poveretta, - pensò Mrs Arbuthnot, che passava la vita ad aiutare e a consolare, - ha bisogno di un consiglio». Perciò si apprestò con pazienza a darglielo. «Immagino che viviate anche voi ad Hampstead, - disse, gentile e premurosa, - se mi vedete in chiesa». «Sì, certo», disse Mrs Wilkins. E lo ripetè, inclinando un poco la testa sul collo lungo e sottile, quasi che il richiamo ad Hampstead gliela piegasse. «Certo». «Dove?» chiese Mrs Arbuthnot che, quando serviva un consiglio, iniziava istintivamente con l'ordinare i fatti. Ma Mrs Wilkins, che aveva posato la mano con dolcezza e accarezzava la parte del «Times» su cui era l'annuncio, come se le semplici parole stampate fossero preziose, disse soltanto: «Ecco forse perché … questo mi sembra così incantevole». «No… Penso che lo sia comunque», disse Mrs Arbuthnot, con un debole sospiro, dimentica dei fatti. «Allora lo stavate proprio leggendo». «Sì», disse Mrs Arbuthnot, lo sguardo di nuovo perso nel sogno. «Non sarebbe incantevole?» mormorò Mrs Wilkins. «Incantevole», disse Mrs Arbuthnot, e il suo volto, che si era acceso, scolorì di nuovo nella pazienza. «Davvero incantevole, disse. - Ma non serve a niente perdere tempo pensando a queste cose». «Oh, invece sì che serve», fu la risposta pronta e sorprendente di Mrs Wilkins; sorprendente perché così diversa da lei: dalla giacca e dalla gonna ordinarie, dal cappello spiegazzato, dalla ciocca incerta di capelli che ne fuoriusciva disordinata. «E anche solo pensarci può servire a qualcosa… un tale cambiamento da Hampstead… a volte penso… penso proprio che… che basti essere convinti per ottenere le cose». Mrs Arbuthnot la osservò con pazienza. In che categoria, avesse dovuto farlo, l'avrebbe collocata? «Forse è il caso, - disse, piegandosi un poco in avanti, - che mi diciate come vi chiamate. Se dobbiamo diventare amiche, - fece il suo solito sorriso serio, - come spero diventeremo, faremmo bene a cominciare dall'inizio». «Oh certo… molto gentile da parte vostra. Io mi chiamo Mrs Wilkins, - disse Mrs Wilkins, - non credo, - aggiunse arrossendo, mentre Mrs Arbuthnot taceva, - che il mio nome vi dica qualcosa. A volte… a volte non dice niente neanche a me. Comunque… - si guardò attorno come in cerca di aiuto, - io mi chiamo Mrs Wilkins». Non amava il suo nome, troppo corto e insignificante, con una sorta di piega ridicola verso la fine, pensava, simile alla curva in su della coda di un carlino. Ma era quello, non c'era niente da fare. Wilkins era e Wilkins sarebbe rimasta; e sebbene il marito l'avesse esortata a presentarsi sempre come Mrs Mellersh Wilkins, lei lo faceva solo quando lui la poteva sentire, perché pensava che Mellersh peggiorasse Wilkins enfatizzandolo, come la parola Chatsworth{1} sui pilastri del cancello enfatizza la villa. La prima volta che le suggerì di aggiungere Mellersh, lei gli fece questa obiezione ed egli, facendo una pausa - Mellersh era così prudente, che non parlava se non dopo una pausa, durante la quale forse preparava nella sua mente la copia precisa di ciò che avrebbe detto -, egli disse, con tono dispiaciuto: «Ma io non sono una villa», e la guardò come uno che, forse per l'ennesima volta, spera di non aver sposato una stupida. Certo che non era una villa, lo rassicurò Mrs Wilkins; non aveva mai creduto che lo fosse, non le era passato per la testa di voler dire quello… stava solo pensando che… Più lei spiegava, più ardente diventava la speranza di Mellersh, in lui ormai consueta essendo suo marito da due anni, di non avere, per caso, sposato un'idiota; ed ebbero una lite interminabile - se così si può definire una lite in cui una parte rimane in decoroso silenzio e l'altra si scusa con insistenza -, sul fatto che fosse vero o meno che Mrs Wilkins avesse voluto insinuare che Mr Wilkins fosse una villa. «Sono certa, - aveva pensato quando finalmente terminò la lite, e ci volle del tempo, - che chiunque litigherebbe per qualsiasi cosa quando si tratta di persone che per due anni non sono state lontane l'una dall'altra neppure per un giorno. E tutti e due abbiamo bisogno di una vacanza». «Mio marito, - continuò Mrs Wilkins quasi a voler mettere se stessa in una luce migliore, - è un avvocato. Lui…», si guardò intorno cercando qualcosa che meglio qualificasse Mellersh, e trovò: «E molto bello». «Be', - disse Mrs Arbuthnot con gentilezza, - dev'essere un gran piacere per voi». «Perché?» chiese Mrs Wilkins. «Be', - disse Mrs Arbuthnot presa alla sprovvista, abituata com'era, dai continui rapporti con i poveri, a non essere mai contraddetta, - perché la bellezza… la bellezza di un uomo… è un dono come un altro, e se lo si usa come si deve…» Scivolò nel silenzio. I grandi occhi grigi di Mrs Wilkins erano fissi su di lei, e a Mrs Arbuthnot d'un tratto venne il sospetto che forse, per via di quel pubblico che in genere aveva davanti - persone costrette ad acconsentire, e timorose, anche nel caso avessero desiderato, di interromperla, che non sapevano di essere, ma di fatto erano, alla sua mercé -, si stava irrigidendo nella consuetudine a spiegare, e spiegare come fanno le bambinaie. Ma Mrs Wilkins non la stava ascoltando; proprio allora, per quanto assurdo potesse sembrare, un'immagine le era balenata in mente, e in essa due figure stavano sedute insieme sotto un grande glicine rampicante che si stendeva tra i rami di un albero a lei sconosciuto, ed erano lei e Mrs Arbuthnot: le vedeva, le vedeva coi suoi occhi. E alle loro spalle, splendenti alla luce del sole, erano antiche mura grigie - il castello medievale -, lo vedeva, loro due erano là… Fissava quindi Mrs Arbuthnot senza udire una sola parola di quel che diceva. E anche Mrs Arbuthnot fissava Mrs Wilkins, trattenuta dall'espressione del suo viso, che era dominato dall'euforia di quella visione e luminoso e mutevole come l'acqua alla luce del sole quando viene increspata da un refolo di vento. In quel momento se Mrs Wilkins si fosse trovata a un ricevimento, l'avrebbero guardata di certo con interesse. Si fissarono: Mrs Arbuthnot sorpresa e con sguardo indagatore, Mrs Wilkins con gli occhi di chi ha avuto una rivelazione. Ecco, così bisognava fare. Lei sola, lei senza nessuno, non poteva permetterselo. E non sarebbe riuscita, avesse anche potuto, ad andarci per conto suo; ma lei e Mrs Arbuthnot insieme… Si piegò in avanti. «Perché non proviamo a prenderlo noi?» sussurrò. Mrs Arbuthnot sgranò ancora di più gli occhi. «Prenderlo noi?» ripetè. «Sì», disse Mrs Wilkins, quasi temesse ancora di farsi sentire. «E inutile stare qui a dire "incantevole" e poi tornare a casa ad Hampstead senza aver mosso neanche un dito, tornare a casa come al solito e pensare alla cena e al pesce, come facciamo da anni e continueremo per chissà quanti ancora. Ecco tutto», disse Mrs Wilkins, arrossendo fino alla radice dei capelli, per lo spavento del suono di ciò che diceva, di ciò che iniziava a venir fuori, senza che riuscisse a fermarlo. «Non vedo una fine a tutto questo. Non c'è una fine. Ecco perché dovrebbe esserci una pausa, dovrebbero esserci interruzioni, nell'interesse di tutti. Infatti! Non sarebbe un atto di egoismo andarsene ed essere felici per un po', perché poi, al ritorno, saremmo molto più gentili. Capite, dopo un po' tutti hanno bisogno di una vacanza». «Ma… cosa intendete per prenderlo noi?» chiese Mrs Arbuthnot. «Appropriarcene», disse Mrs Wilkins. «Appropriarcene?» «Affittarlo. Disporne. Andarci». «Ma… intendete voi e io?» «Sì, noi due. Insieme, così costerebbe soltanto la metà, e poi voi… sembra proprio che voi ci teniate almeno quanto ci tengo io… sembra che abbiate bisogno di riposare… bisogno che vi succeda qualcosa di bello». «Ma come, noi neppure ci conosciamo». «Pensate a come diventeremmo amiche se andassimo via insieme per un mese! Ho risparmiato nell'attesa di un giorno di pioggia, e credo che anche voi l'abbiate fatto, questo è il giorno di pioggia, guardate fuori…» «È una squilibrata», pensò Mrs Arbuthnot; tuttavia si sentì stranamente eccitata. «Provate a pensare: andarsene via per un mese intero… via da tutto… in paradiso…» «Cose del genere non le dovrebbe dire, - pensò Mrs Arbuthnot. - Il vicario…» eppure si sentì stranamente eccitata. Sarebbe stato davvero magnifico concedersi un po' di riposo, una pausa. E tuttavia l'abitudine prese di nuovo il sopravvento, e anni di rapporti con i poveri le fecero dire, con la superiorità leggera e nondimeno cordiale di chi spiega: «Ma vedete, il paradiso non è altrove. È qui, e adesso. Così ci insegnano». Si fece molto seria, come accadeva quando cercava pazientemente di aiutare e di illuminare i poveri. «Il cielo è dentro di noi, - disse con la sua voce bassa e delicata, - ce lo insegna l'autorità più sacra. Voi conoscete i versetti sulle affinità, vero?…» «Oh, certo che li conosco!», interruppe Mrs Wilkins con impazienza. «Le affinità tra il paradiso e la nostra dimora, - continuò Mrs Arbuthnot, abituata a concludere le frasi. - Il paradiso è nella nostra dimora». «Non è vero», disse Mrs Wilkins, ancora una volta inaspettatamente. Mrs Arbuthnot fu presa alla sprovvista. Poi disse con calma: «Oh, invece sì. E lì se noi lo vogliamo, se ci sforziamo». «Io lo voglio e mi sforzo, ma non c'è», disse Mrs Wilkins. Quindi Mrs Arbuthnot restò in silenzio, perché anche lei a volte aveva dei dubbi in proposito. Rimase seduta guardando Mrs Wilkins con disagio, sempre più assillata dall'esigenza di classificarla. Se solo fosse riuscita a classificare Mrs Wilkins, a metterla al sicuro nella giusta sezione, sentiva che avrebbe riacquistato il proprio equilibrio, che, inaspettatamente, pareva scivolare tutto da un lato. Erano anni infatti che anche lei non si concedeva una vacanza, e appena aveva visto l'annuncio aveva incominciato a sognare; l'euforia di Mrs Wilkins era contagiosa, e lei aveva la sensazione, ascoltando il suo discorso appassionato e bizzarro e guardandole il viso illuminato, di venire scossa dal torpore. Chiaramente Mrs Wilkins era squilibrata, ma Mrs Arbuthnot ne aveva già incontrati tanti - in verità ne incontrava di continuo, - eppure non avevano influenzato minimamente il suo equilibrio; invece in questo caso si sentiva vacillare, proprio come se essere distante, lontano dai suoi punti cardinali: Dio, Marito, Casa e Dovere - aveva l'impressione che Mrs Wilkins non intendesse far venire Mr Wilkins - e per una volta nella vita essere felice, fosse giusto e desiderabile. Il che sicuramente non era, sicuramente non poteva esserlo. Anche lei aveva un gruzzoletto, depositato lentamente alla posta, ma era davvero assurdo pensare che avrebbe dimenticato il proprio dovere al punto da prelevare quei soldi e spenderli per se stessa. Davvero non lo avrebbe fatto, non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere? Davvero non avrebbe dimenticato, non avrebbe mai potuto dimenticare i suoi poveri, e con questi anche le miserie e le malattie? Senza dubbio un viaggio in Italia sarebbe stato straordinariamente piacevole, ma esistevano molte cose piacevoli che tutti avrebbero voluto fare, e a che scopo ci veniva data la forza se non per aiutarci a non farle? Saldi come i punti cardinali erano per Mrs Arbuthnot le quattro grandi realtà della vita: Dio, Marito, Casa e Dovere. Anni addietro, dopo un periodo particolarmente infelice, aveva trovato ristoro in queste realtà, la testa appoggiata su di loro come su di un cuscino; ed era vissuta nel terrore di venire risvegliata da una simile condizione di sicurezza e tranquillità. Eccola dunque cercare assiduamente una sezione in cui collocare Mrs Wilkins e così illuminare e rafforzare la propria mente; e sedendo là a guardarla, turbata dopo l'ultimo commento di lei, sentendosi sempre più squilibrata e insicura, decise pro tem, come diceva il vicario agli incontri, di collocarla nella sezione «Nervosi». Forse poteva andare direttamente nella categoria «Isterici», spesso anticamera di quella dei «Pazzi», ma Mrs Arbuthnot aveva imparato a non mettere subito le persone nelle categorie estreme, avendo scoperto con sgomento in più di un'occasione di aver sbagliato e ricordandosi di quanto fosse stato difficile porre dei rimedi, e di quali terribili rimorsi l'avessero dilaniata. Sì. Nervosi. Di certo non faceva niente per gli altri, pensò Mrs Arbuthnot; nessuna azione che la distogliesse da se stessa. Evidentemente le mancava una guida, era trascinata dagli accessi, dagli impulsi. Rientrava, era quasi sicura, nella categoria dei Nervosi, o vi sarebbe finita presto se nessuno l'avesse aiutata. Poverina, pensò Mrs Arbuthnot riacquistando l'equilibrio di pari passo con la compassione e senza riuscire a vedere, a causa del tavolo, la lunghezza delle gambe di Mrs Wilkins. Ne scorgeva soltanto il volto minuto, impaziente e timido, le spalle magre, e lo sguardo dal desiderio infantile di qualcosa che era certa l'avrebbe resa felice. No, queste cose non rendevano felice una persona, erano così passeggere. Nella sua lunga vita con Frederick - era suo marito, lo aveva sposato a vent'anni e ora ne aveva trentatré - Mrs Arbuthnot aveva imparato dove si può trovare la vera gioia. Adesso lo sapeva: la si trova solo vivendo ogni giorno, ogni istante, per gli altri; la si trova solo ai piedi di Dio. Non vi si era forse recata mille volte, nei momenti di delusione e di sconforto, per poi venirne via consolata? Frederick era uno di quei mariti la cui moglie non può che rivolgersi presto ai piedi di Dio. Tra lui e quest'ultimo il cammino era stato breve, seppure doloroso. Ripensandoci ora le sembrava breve, ma in realtà l'aveva impegnata per tutto il primo anno di matrimonio: ogni passo era stato una battaglia ed era macchiato, le pareva allora, del sangue che aveva dovuto versare. Acqua passata ormai: da un pezzo aveva trovato la pace, e Frederick, lo sposo un tempo amato appassionatamente, il giovane e adorato marito, adesso veniva dopo Dio nel suo elenco di doveri e di sopportazioni. Eccolo là: secondo per importanza, un essere esangue ridotto allo stremo a causa delle preghiere di lei. Per anni era riuscita a essere felice solo dimenticando la felicità, e voleva continuare. Voleva tenere lontano tutto quel che le avrebbe ricordato la bellezza, che l'avrebbe di nuovo indotta a desiderare, ad anelare… «Vorrei tanto che fossimo amiche, - disse con convinzione. - Perché non venite a trovarmi qualche volta, o forse preferite che sia io a venire da voi? Quando sentite il bisogno di parlare con qualcuno. Vi lascio il mio indirizzo, - cercò nella borsetta, - così non ve lo dimenticate». Trovò un biglietto da visita e lo tirò fuori. Mrs Wilkins ignorò il biglietto da visita. «E strano, - disse Mrs Wilkins, come se non l'avesse sentita, - eppure vedo proprio noi due, voi e io, ad aprile nel castello medievale». Mrs Arbuthnot ripiombò nell'inquietudine. «Davvero?» disse, facendo uno sforzo per rimanere calma davanti a quello sguardo allucinato di quegli occhi grigi e brillanti. «Davvero?» «Non vi capita mai di vedere le cose come in un lampo prima che accadano?» chiese Mrs Wilkins. «No, mai», disse Mrs Arbuthnot. Tentò di sorridere, in quel modo comprensivo e insieme saggio e tollerante con cui era abituata ad ascoltare le visioni inevitabilmente distorte e frammentarie dei poveri. Ma non ci riuscì, il sorriso si smorzò con un fremito. «Certo, - disse sottovoce, quasi temesse che il vicario e la banca la stessero ascoltando, - sarebbe davvero stupendo… davvero stupendo…» «Anche se fosse sbagliato, - disse Mrs Wilkins, - si tratterebbe poi solo di un mese». «Ma questo…» iniziò Mrs Arbuthnot, alludendo chiaramente a quanto fosse riprovevole un simile ragionamento; ma Mrs Wilkins la fermò prima che potesse continuare. «Comunque, - disse Mrs Wilkins, interrompendola, - sono sicura che sia sbagliato essere buoni per troppo tempo, fino alla disperazione. E vedo che voi lo siete stata per anni e anni, perché sembrate così infelice, - Mrs Arbuthnot aprì bocca per protestare… - e io… io non ho avuto altro che doveri, non ho fatto che cose per gli altri, sin da quando ero ragazza, e credo che nessuno mi ami neanche un po'… forse un pochino… al massimo… e vorrei tanto… oh, vorrei tanto… qualcos'altro… sì, qualcos'altro…» Avrebbe pianto? Mrs Arbuthnot, profondamente a disagio e commossa sperò che non si mettesse a piangere. Non lì, non in quella sala ostile, in presenza di estranei che entravano e uscivano. Allora Mrs Wilkins, dopo essersi affannata per prendere dalla tasca un fazzoletto che non voleva uscire, riuscì infine a far finta di soffiarsi solo il naso, poi, sbattendo velocemente gli occhi alcune volte, guardò tremante Mrs Arbuthnot con un'aria dimessa e spaventata, quasi volesse scusarsi, e sorrise. «Credetemi, - sussurrò, cercando di controllare le labbra, ed evidentemente vergognandosi molto di se stessa, - mai in vita mia ho parlato così con qualcuno. Non riesco a capire, davvero non so, cosa mi sia accaduto». «E per l'annuncio», disse Mrs Arbuthnot, facendo un cenno serio col capo. «Sì, - disse Mrs Wilkins, asciugandosi furtivamente gli occhi, ed è che noi siamo così… - si soffiò ancora un poco il naso, - così infelici». Mrs Arbuthnot non era infelice come avrebbe potuto esserlo, si chiese, quando Dio si prendeva cura di lei? - ma per il momento accettò quell'osservazione senza ribattere, convinta che vi fosse un'altra creatura ad avere urgente bisogno del suo aiuto; e questa volta non doveva soltanto provvedere a stivali, coperte e a una sistemazione più igienica, ma a un aiuto più delicato: doveva comprendere e trovare le parole adatte. E queste parole, se ne accorse subito dopo aver provato ad accennare alla vita per gli altri, alle preghiere e alla pace che si può trovare mettendosi senza riserve nelle mani di Dio - argomenti ai quali Mrs Wilkins replicò trovando altri esempi, incoerenti e tuttavia difficili da contestare, almeno per il momento, senza altro tempo a disposizione -, le parole adatte consistettero nel suggerimento che non si faceva niente di male rispondendo all'annuncio. Senza impegno, solo per informazioni. E ciò che inquietò maggiormente Mrs Arbuthnot in questo suggerimento fu che non lo propose solo per consolare Mrs Wilkins, ma per lo strano desiderio che lei stessa aveva del castello medievale. Era davvero inquietante. Lei, abituata a dirigere, a guidare, a consigliare e a sostenere, - tutti tranne Frederick, da molto tempo aveva imparato a lasciare Frederick nelle mani di Dio, - si ritrovava lì guidata a sua volta, influenzata e messa in ginocchio da un semplice annuncio, da un'incoerente sconosciuta. Davvero inquietante. Non riuscì a comprendere che, dopo tutto, sentiva improvvisamente solo il bisogno di soddisfare un suo desiderio, giacché per anni nessun sentimento simile le era penetrato nel cuore. «Non c'è niente di male a chiedere», disse sottovoce, come se il vicario, la banca e tutti i poveri che la attendevano e dipendevano da lei la stessero ascoltando e condannando. «Non sarebbe affatto un impegno», disse Mrs Wilkins, anche lei molto piano, ma la sua voce ebbe un tremito. Si alzarono insieme - Mrs Arbuthnot rimase sorpresa per l'altezza di Mrs Wilkins - e si avvicinarono a uno scrittoio, Mrs Arbuthnot scrisse a C.P. 1000, «The Times», per i particolari. Chiese ogni minimo dettaglio, ma il solo che davvero interessava loro era quello riguardante l'affitto. Pensarono entrambe che dovesse essere Mrs Arbuthnot a scrivere la lettera e a occuparsi dell'aspetto economico. Non solo aveva senso pratico ed era abituata a organizzare, ma era anche più anziana e sicuramente più calma; e lei stessa non dubitava di essere la più saggia; né Mrs Wilkins nutriva dubbi in proposito: già il modo in cui Mrs Arbuthnot si faceva la scriminatura suggeriva una grande calma che poteva derivare soltanto dalla saggezza. Ma se Mrs Arbuthnot era più saggia, più anziana e più calma, nondimeno la sua nuova amica le sembrava più infervorata. Incoerente, tuttavia infervorata. Pareva possedere, a parte il grande bisogno di aiuto, un carattere agitato, curiosamente contagioso; poteva trascinare chiunque. Ed era davvero sconcertante il modo in cui la sua mente instabile giungeva alle conclusioni, sempre sbagliate, naturalmente, bastava vedere come era arrivata a dimostrare che lei, Mrs Arbuthnot, fosse infelice. Comunque ella fosse e qualunque fosse la sua instabilità, Mrs Arbuthnot si ritrovò, tuttavia, a partecipare al suo entusiasmo e al suo desiderio; e quando la lettera, una volta imbucata nella cassetta dell'atrio, non fu più recuperabile, sia lei sia Mrs Wilkins provarono lo stesso senso di colpa. «Questo non fa che dimostrare, sussurrò Mrs Wilkins mentre si allontanavano dalla cassetta delle lettere, - che siamo state buone e immacolate tutta la vita. La prima volta che facciamo qualcosa all'insaputa dei nostri mariti ci sentiamo subito in colpa». «Temo di non poter dire di essere stata buona e immacolata», protestò piano Mrs Arbuthnot, un po' a disagio per questo chiaro esempio di come la sua amica giungesse direttamente alle conclusioni, giacché lei non aveva detto una sola parola sul fatto che si sentiva in colpa. «Oh, sono sicura invece che lo siete stata - lo vedo che siete stata buona - ed è per questo che non siete felice». «Non dovrebbe dire cose simili, pensò Mrs Arbuthnot. - Devo aiutarla affinchè non lo faccia più». Disse a voce alta e con serietà: «Non capisco per quale motivo insistiate a sostenere che non sono felice, quando mi conoscerete meglio vi renderete conto che lo sono; e credo non intendiate davvero affermare che la bontà, se fosse concesso di raggiungerla, rende infelici». «Certo che intendo quello, - disse Mrs Wilkins, - perlomeno il nostro genere di bontà. Noi l'abbiamo raggiunta, e siamo infelici. Esiste un genere di bontà infelice e uno felice: al castello medievale, per esempio, ci toccherà quello felice». «Ammesso che ci andremo», disse Mrs Arbuthnot, come a smorzare il suo entusiasmo; sentiva che Mrs Wilkins aveva bisogno di essere tenuta a freno. «Dopo tutto, abbiamo scritto solo per informazioni; chiunque lo può fare, e penso che probabilmente le condizioni saranno per noi impossibili e, anche se non lo fossero, magari domani non avremo neanche più voglia di andarci». «Vedo già noi due, là», fu la risposta di Mrs Wilkins. Tutto ciò fu sconvolgente. Mrs Arbuthnot, sollevando spruzzi dalle strade bagnate mentre si recava a un incontro, dove avrebbe dovuto tenere un discorso, era in uno stato d'animo insolitamente inquieto. Sperava di essersi mostrata molto calma davanti a Mrs Wilkins, molto assennata, con molto senso pratico, e di aver celato la propria eccitazione. Ma in realtà era scossa, si sentiva felice, in colpa e impaurita, provava tutte le sensazioni, sebbene non lo sapesse, di una donna che fa ritorno da un incontro segreto con l'amante. Così effettivamente apparve quando giunse, in ritardo, sul palco; quella sua espressione aperta sembrò quasi furtiva quando posò gli occhi sui volti fissi e inespressivi in attesa di ascoltarla mentre tentava di persuaderli a fare offerte per le necessità dei poveri di Hampstead, convinti di essere loro stessi ad aver bisogno di aiuto. Sembrava che nascondesse qualcosa di vergognoso, e tuttavia di piacevole, era svanita la sua espressione usuale e aperta di candore, e al suo posto c'era una specie di gioia repressa e spaurita, nella quale un pubblico più attento alle cose terrene avrebbe immediatamente letto un recente e con molta probabilità appassionato incontro d'amore. Bellezza, bellezza, bellezza… queste parole continuavano a ronzarle nelle orecchie mentre, in piedi sul palco, raccontava cose tristi al pubblico sparuto. Non era mai stata in Italia. Era davvero quello il modo di spendere il suo gruzzoletto? Sebbene non potesse approvare la maniera in cui Mrs Wilkins introduceva l'idea della predestinazione nel suo immediato futuro, come se non avesse possibilità di scelta, come se lottare, o anche solo riflettere, fosse inutile, tuttavia ne era influenzata. Gli occhi di Mrs Wilkins erano sembrati quelli di una veggente; persone del genere esistevano, Mrs Arbuthnot lo sapeva, e se Mrs Wilkins l'aveva davvero vista al castello medievale, allora forse lottare sarebbe stata una perdita di tempo. Eppure, spendere il suo gruzzolo per soddisfare un desiderio… L'origine di questi risparmi era immorale, ma lei aveva pensato che almeno la loro fine dovesse essere lodevole. Li avrebbe davvero sviati dal fine prestabilito, la sola cosa che ai suoi occhi poteva giustificare il fatto stesso di risparmiare, li avrebbe spesi per il proprio piacere? Mrs Arbuthnot andò avanti a parlare, talmente esperta in quel genere di discorsi che avrebbe potuto pronunciarli nel sonno, e alla fine dell'incontro, gli occhi abbagliati dalle sue segrete visioni, si accorse a mala pena che nessuno fu mosso a nulla, tanto meno alle offerte. Ma il vicario se ne accorse, e ne fu deluso. Di solito la sua buona amica, la sua sostenitrice Mrs Arbuthnot sapeva fare di meglio; e, cosa ancora più insolita, sembrava che neanche le importasse, notò. «Non riesco a capire, - le disse in tono risentito mentre si lasciavano, perché era irritato sia da lei che dal pubblico, - per quale motivo queste persone continuino a venire. Sembra che niente riesca a smuoverle». «Forse hanno bisogno di una vacanza», suggerì Mrs Arbuthnot. «Che risposta singolare, e poco convincente», pensò il vicario. «In febbraio?» replicò lui con sarcasmo. «Oh, no… non fino ad aprile», disse Mrs Arbuthnot voltandosi. «Molto strano, - pensò il vicario. - Molto strano davvero». E tornò a casa e forse non si comportò da buon cristiano con la moglie. Quella notte nelle sue preghiere Mrs Arbuthnot domandò una guida. Sapeva che avrebbe dovuto chiedere, in modo diretto ed esplicito, che il castello medievale fosse già stato preso da qualcun'altro, e così si sarebbe sistemata l'intera faccenda, ma le mancò il coraggio. E se le sue preghiere fossero state esaudite? No, non poteva chiedere una cosa simile; non poteva correre questo rischio. Dopo tutto - pareva quasi volesse rammentarlo a Dio - se avesse speso il suo attuale gruzzolo in una vacanza, ne avrebbe potuto accumulare subito un altro. Frederick le avrebbe passato i soldi; e sarebbe soltanto accaduto che, mentre racimolava un secondo gruzzoletto, per un certo periodo le sue offerte alla parrocchia sarebbero diminuite. Quindi poteva essere il prossimo gruzzolo quello la cui corruzione originaria sarebbe stata purgata dall'uso al quale veniva destinato. Mrs Arbuthnot infatti, non possedendo denaro proprio, era costretta a vivere dei proventi dell'attività di Frederick, e i suoi risparmi non erano che il frutto, maturato a posteriori, di un antico peccato. Il modo in cui Frederick si guadagnava da vivere era per lei una pena costante. Egli scriveva con regolarità, ogni anno, biografie estremamente popolari delle amanti dei re. Nella storia c'erano stati numerosi re che avevano avuto delle amanti, e ancora più numerose erano state le amanti che avevano avuto dei re. Gli era dunque riuscito di pubblicare un libro di memorie ogni anno della sua vita coniugale, e nonostante ciò c'era ancora una lunga lista di signore che aspettavano di essere prese in considerazione. Mrs Arbuthnot non aveva scampo, che le piacesse o no, era costretta a vivere di quei proventi. Una volta, dopo il successo delle memorie della Du Barri, lui le regalò un divano orribile, con cuscini gonfi e sedili soffici e avvolgenti, e lei trovò assai triste che proprio lì in casa sua, dovesse far mostra di sé questa reincarnazione di una vecchia peccatrice francese ormai scomparsa. Ingenuamente convinta che la moralità stesse alla base della felicità, era per lei un motivo segreto di disperazione dover trarre, assieme a Frederick, il proprio sostentamento dal peccato, per quanto purgato dal passare dei secoli. Tanto più le protagoniste delle memorie erano state lascive, tanto più i libri su di loro venivano letti ed egli diventava generoso con sua moglie, la quale spendeva il denaro che riceveva da lui - tranne una piccolissima parte destinata al gruzzolo, poiché nutriva la speranza che un giorno la gente avrebbe smesso di leggere storie immorali, e allora Frederick avrebbe dovuto farsi mantenere - lo spendeva interamente per aiutare i poveri. La parrocchia prosperava grazie al comportamento indecoroso, per citare a caso, delle signore Du Barri, Montespan, Pompadour, Ninon de l'Enclos e persino dell'erudita Maintenon. I poveri erano il filtro attraverso il quale doveva passare il denaro per uscirne, sperava Mrs Arbuthnot, purificato. Lei non avrebbe potuto fare altro. Vi erano stati giorni in cui aveva provato a riflettere sulla situazione, per scoprire la strada giusta da intraprendere, ma le era sembrata troppo ardua, e l'aveva lasciata, Frederick compreso, a Dio. Niente di questo denaro fu speso per la casa o per i vestiti: questi rimasero, ad eccezione del divano grande e soffice, disadorni e semplici. Erano i poveri a trarne profitto, e i loro stivali erano irrobustiti dal peccato. Ma com'era stato difficile! Implorando una guida, Mrs Arbuthnot si consumò nella preghiera. Doveva forse rifiutarsi di toccare il denaro, evitarlo come avrebbe fatto con i peccati dai quali proveniva? E gli stivali della parrocchia, allora? Chiese al vicario cosa ne pensasse e questi, in modo delicato, cauto ed evasivo, le fece capire di essere favorevole agli stivali. Quando Frederick intraprese la sua tremenda e fortunata carriera - la iniziò dopo il matrimonio: quando lo sposò, lui era un irreprensibile impiegato addetto alla biblioteca del British Museum - lei riuscì almeno a convincerlo a pubblicare le memorie con uno pseudonimo, così da non essere marchiata pubblicamente. Ad Hampstead i suoi libri venivano letti con piacere, e nessuno poteva sospettare che l'autore vivesse tra di loro. Qui nessuno conosceva Frederick, neanche di vista. Non partecipava affatto alla vita della comunità; i suoi momenti di svago, quali che fossero, li trascorreva a Londra, e non parlava mai di ciò che aveva fatto o di chi aveva visto; a giudicare dai cenni che faceva con sua moglie pareva non avesse un solo amico. Solo il vicario conosceva la provenienza del denaro per la parrocchia e, come diceva a Mrs Arbuthnot, riteneva che fosse una questione d'onore non farne menzione. La sua casa, almeno, non era infestata dagli spettri di quelle signore dissolute, perché Frederick lavorava altrove: possedeva due stanze nei pressi del British Museum, il luogo delle sue esumazioni; vi si recava ogni mattina e quando tornava sua moglie dormiva già da molto. A volte non tornava affatto, a volte lei non lo vedeva per giorni interi. Poi compariva all'improvviso a colazione, dopo essere rientrato durante la notte col suo mazzo di chiavi, di ottimo umore, cordiale e generoso, e felice se lei accettava i suoi regali: un uomo ben nutrito e in pace col mondo, gioviale, esuberante e soddisfatto. E lei era sempre gentile, e preoccupata che il caffè fosse come piaceva a lui. Lui sembrava molto felice. Per quanto la si volesse classificare, pensava spesso Mrs Arbuthnot, la vita continuava a rimanere un mistero; vi erano sempre persone impossibili da collocare, e Frederick era una di queste. Pareva non avesse niente in comune con il Frederick di una volta, pareva non sentisse il minimo bisogno di ciò che un tempo riteneva bello e importante: l'amore, la casa, la comunione assoluta dei pensieri e la completa immersione negli interessi reciproci. Dopo quei dolorosi tentativi iniziali di trattenerlo nel punto in cui, mano nella mano, si erano messi in cammino in modo così meraviglioso, - tentativi dai quali lei era uscita profondamente ferita e lui, il Frederick che credeva d'aver sposato, così dilaniato da essere irriconoscibile, - finì per farne l'oggetto principale delle sue preghiere ai piedi del letto e, eccetto che per queste, lo abbandonò interamente a Dio. Aveva amato Frederick così intensamente che ora non poteva fare altro che pregare per lui. Lui non sapeva di non essere mai uscito di casa senza che la benedizione di lei lo accompagnasse, sospesa intorno a quella testa un tempo cara come una piccola eco di amore passato. Lei non osava pensare a com'era un tempo, a come le era sembrato in quel primo periodo meraviglioso del loro corteggiamento, del loro matrimonio. Il suo bambino era morto e lei non aveva niente, non aveva nessuno a cui dedicarsi. I poveri divennero i suoi bambini, e Dio l'oggetto del suo amore. Che cosa poteva esserci di più felice di una simile vita, si domandava a volte. Ma il suo viso, e soprattutto i suoi occhi, rimanevano tristi. «Forse quando saremo vecchi… forse quando saremo tutti e due molto vecchi…» pensava con malinconia. Il proprietario del castello medievale era un inglese, un certo Mr Briggs, che in quel periodo si trovava a Londra; scrisse che c'erano posti letto per otto persone, servitù esclusa, tre salotti, merli, torri e luce elettrica. L'affitto era sessanta sterline al mese, salari della servitù a parte, ed egli pretendeva delle referenze, voleva garanzie che la seconda metà dell'affitto sarebbe stata pagata, mentre la prima doveva essere versata in anticipo; richiedeva inoltre le referenze di un avvocato, di un medico o di un sacerdote. Nella lettera fu molto cortese: spiegò che le referenze erano una pratica abituale e dovevano essere considerate una semplice formalità. Mrs Arbuthnot e Mrs Wilkins non avevano mai pensato alle referenze, né si erano immaginate che un affitto potesse essere così elevato. Le cifre che gli giravano in testa erano nell'ordine delle tre ghinee la settimana, o anche meno, dato che il posto era vecchio e piccolo. Sessanta sterline per un solo mese. Erano sconcertate. Davanti agli occhi di Mrs Arbuthnot si levarono gli stivali: una fila interminabile di robusti stivali che si potevano comprare con sessanta sterline; e oltre all'affitto c'era la servitù, il cibo e il viaggio di andata e ritorno in treno. Quanto alle referenze, queste sembravano davvero un intoppo: pareva impossibile procurarsene senza dare al loro progetto più pubblicità del voluto. Avevano pensato entrambe persino Mrs Arbuthnot, allettata ad abbandonare per una volta la sua sincerità assoluta, essendosi resa conto che spiegazioni imprecise le avrebbero evitato innumerevoli problemi e critiche - avevano pensato che sarebbe stata una buona idea annunciare alla cerchia dei loro rispettivi conoscenti, per fortuna diversi, che ognuna sarebbe andata da un'amica, che possedeva una casa in Italia. Dopo tutto si trattava della verità, affermò Mrs Wilkins, ma Mrs Arbuthnot pensò che le cose non stessero esattamente così; e poi era l'unico modo per tenere un po' tranquillo Mellersh, disse Mrs Wilkins, il quale si sarebbe indignato venendo a sapere che lei spendeva anche solo una parte del proprio denaro per recarsi in Italia. Mrs Wilkins preferiva non pensare a cosa avrebbe detto se avesse saputo che invece affittava a proprie spese parte di un castello medievale. Ci sarebbero voluti parecchi giorni per spiegargli ogni cosa, e questo sebbene il denaro fosse interamente suo e non un solo centesimo gli fosse mai appartenuto. «Credo che sia così anche vostro marito, - disse. - Alla fin fine i mariti sono tutti uguali». Mrs Arbuthnot non disse nulla perché il motivo per cui non voleva che Frederick sapesse era esattamente opposto: Frederick sarebbe stato felice della sua partenza, non gli sarebbe affatto dispiaciuta, anzi, avrebbe accolto il manifestarsi in lei del desiderio di soddisfare i propri desideri e di mondanità con un entusiasmo che la feriva, e l'avrebbe esortata a divertirsi e a non avere fretta di tornare con un distacco insopportabile. Molto meglio Mellersh, pensò, che sentiva la mancanza della moglie, piuttosto che Frederick che la incitava a partire. Mancare a qualcuno, qualcuno che senta bisogno di te per un motivo qualsiasi, era meglio, pensava, della solitudine assoluta, di non mancare a nessuno, nessuno che senta bisogno di te. Perciò non disse nulla, e lasciò che Mrs Wilkins giungesse indisturbata alle conclusioni. Ma per un giorno intero sentirono, sentirono entrambe, che l'unica cosa da fare era rinunciare al castello medievale; e fu soltanto prendendo questa amara decisione che si accorsero dell'intensità del loro desiderio. Allora Mrs Arbuthnot, la cui mente era avvezza a trovare vie d'uscita per ogni difficoltà, ne trovò una al problema delle referenze; contemporaneamente Mrs Wilkins ebbe una visione che le rivelò come ridurre le spese per l'affitto. Il piano di Mrs Arbuthnot era semplice e di sicura riuscita. Portò lei stessa al proprietario l'intera somma dell'affitto, prelevandola dalla banca dove si comportò di nuovo in modo furtivo e apologetico, come se l'impiegato sapesse che il denaro le serviva per soddisfare i propri desideri e dirigendosi personalmente, con le sei banconote da dieci sterline nella borsetta, all'indirizzo vicino a Brompton Oratory dove viveva il proprietario, gli consegnò il denaro, rinunciando al diritto di pagare soltanto la prima metà. Quando lui la vide, con quei suoi capelli con la scriminatura, gli occhi dolci e scuri e l'abbigliamento sobrio, e sentì la sua voce seria, le disse di non preoccuparsi per le referenze. «Andrà tutto bene, - disse, scarabocchiando una ricevuta per l'affitto. - Sedetevi, prego. Brutta giornata, vero? Vedrete che al vecchio castello c'è molto sole, quello di sicuro non mancherà. Viene anche vostro marito?» Mrs Arbuthnot, poco abituata a non essere sincera, sembrò turbata da questa domanda e iniziò a balbettare in modo sconnesso, al che il proprietario concluse subito che fosse vedova - sicuramente di guerra, perché le altre erano più anziane - e che era stato uno stupido a non immaginarlo. «Oh, mi dispiace, - disse, arrossendo fino alla punta dei suoi capelli biondi. - Non intendevo… ehm, ehm, ehm…» Andò con gli occhi alla ricevuta che aveva scritto. «Sì, penso che vada bene», disse, alzandosi e porgendogliela. «Adesso, - aggiunse prendendo le sei banconote che lei gli tendeva e sorridendole, perché era piacevole guardare Mrs Arbuthnot io sono più ricco e voi più felice, io ho il denaro e voi San Salvatore. Chissà cos'è meglio». «Penso che voi lo sappiate», disse Mrs Arbuthnot con il suo sorriso dolce. Rise e le aprì la porta. Era un peccato che il colloquio fosse terminato. Avrebbe voluto invitarla a pranzo. Gli ricordava sua madre, la sua bambinaia, tutto ciò che era dolce e confortante, e per di più possedeva il fascino di non essere né sua madre né la sua bambinaia. «Spero che vi piaccia quel vecchio posto», disse sulla porta, trattenendole per un attimo la mano. La sensazione della sua mano, anche attraverso il guanto, era rassicurante; era il genere di mano, pensò, che i bambini vorrebbero stringere al buio. «In aprile, sapete, è tutto un fiore, e poi c'è il mare. Dovreste vestirvi di bianco, stareste bene. Laggiù ci sono parecchi vostri ritratti». «Ritratti?» «Sì, Madonne. Ce n'è una sulle scale, identica a voi». Mrs Arbuthnot sorrise, lo salutò e lo ringraziò. L'aveva collocato immediatamente e senza alcuna fatica nella sua giusta categoria: era un artista, e di temperamento vivace. Gli strinse la mano e se ne andò, e lui avrebbe voluto che fosse rimasta. Dopo che se ne fu andata lui pensò che avrebbe dovuto chiederle le referenze, per evitare che lei potesse considerarlo poco professionale, ma con questa signora seria e dolce sarebbe stato come pretendere referenze da un santo con l'aureola. Rose Arbuthnot. La lettera con cui richiedeva un appuntamento era sul tavolo. Un bel nome. Quell'ostacolo era dunque superato. Ma rimaneva l'altro: l'effetto devastante di questa spesa sui loro risparmi, soprattutto su quelli di Mrs Wilkins che, nei confronti di quelli di Mrs Arbuthnot, erano per dimensioni come un uovo di pavoncella rispetto a uno di anatra; ma riuscirono a superare anche questo impedimento grazie a una visione accordata a Mrs Wilkins, che rivelò la strada da seguire. Ora che disponevano di San Salvatore - questo nome così bello e religioso le affascinava entrambe - avrebbero messo a loro volta un'inserzione negli annunci personali del «Times» per trovare altre due signore che avessero desideri simili e che si unissero a loro per dividere le spese. D'un colpo il consumo dei risparmi si sarebbe ridotto da metà a un quarto. Mrs Wilkins era pronta a gettarsi a capofitto nell'avventura con tutto il suo gruzzolo, ma si rese conto che se avesse dovuto spendere anche solo sei centesimi di più delle novanta sterline che possedeva, la sua situazione sarebbe diventata tragica. Dover andare da Mellersh a dire: «Ho un debito!»; guai se un giorno le circostanze l'avessero costretta ad ammettere: «Non ho più risparmi», ma se non altro in tal caso l'avrebbe confortata la certezza che quei risparmi le appartenevano interamente. Pertanto, benché fosse pronta a gettarsi nell'avventura spendendo fino all'ultimo centesimo del suo denaro, non avrebbe fatto altrettanto con un solo farthing{2} che non fosse innegabilmente suo, e sapeva che se la sua quota di affitto si fosse ridotta a sole quindici sterline, le sarebbe rimasto un margine sicuro per le altre spese. Senza contare che avrebbero potuto fare grosse economie sul cibo: raccogliere e mangiare le olive dei loro alberi, per esempio, e magari andare a pesca. Certo, come notarono entrambe, aumentando il numero delle partecipanti avrebbero ridotto l'affitto a una somma trascurabile; volendo, avrebbero potuto chiamare altre sei signore invece di due, dato che c'erano otto letti. Ma se gli otto letti fossero stati disposti a coppie in quattro camere? Passare la notte con un estraneo non era affatto quel che desideravano. Pensarono inoltre che non ci sarebbe stata molta tranquillità se fossero state così numerose. In fin dei conti, andavano a San Salvatore in cerca di pace, di riposo e di felicità, e sei signore in più, soprattutto dovendo dividere la camera da letto, avrebbero rovinato tutto. A ogni modo, sembrava che in quel momento ci fossero in Inghilterra solo due signore desiderose di unirsi a loro, perché ricevettero soltanto due risposte all'annuncio. «Bene, ce ne bastano due», disse Mrs Wilkins, riprendendosi subito, perché si era immaginata una pioggia di richieste. «Secondo me sarebbe stato meglio avere più scelta», disse Mrs Arbuthnot. «Intendete dire che in tal caso non avremmo dovuto accettare Lady Caroline Dester?» «Non ho detto questo», protestò con garbo Mrs Arbuthnot. «Dopotutto, possiamo non accettarla, - disse Mrs Wilkins. - Una sola persona in più sarà già di grande aiuto per l'affitto. Non siamo obbligate a prenderne due». «Ma perché non prenderla? Sembra che faccia al caso nostro». «Sì… così sembra, a giudicare dalla lettera», disse Mrs Wilkins dubbiosa. Si sentiva fortemente intimidita nei confronti di Lady Caroline; Mrs Wilkins non si era mai imbattuta in nessun membro dell'aristocrazia, per quanto ciò possa sembrare incredibile, data la loro presenza ovunque. Ebbero un colloquio con Lady Caroline, e poi con l'altra candidata, una certa Mrs Fisher. Lady Caroline si presentò al club in Shaftesbury Avenue, e sembrò in preda a un unico grande desiderio, il desiderio di allontanarsi da tutti quelli che conosceva. Quando vide il club, Mrs Arbuthnot e Mrs Wilkins, fu certa che si trattava esattamente di quel che cercava. Sarebbe andata in Italia, luogo che adorava, e non in albergo, luogo che detestava; non si sarebbe trovata in compagnia di amici, tutte persone che non le piacevano, ma di estranei che non avrebbero mai nominato una sola persona a lei nota, per la semplice ragione che non ne avevano mai incontrate, né avrebbero potuto o voluto. Pose alcune domande a proposito della quarta signora, e fu soddisfatta delle risposte: Mrs Fisher, di Prince of Wales Terrace, una vedova. Anche lei non conosceva sicuramente nessuno dei suoi amici. Lady Caroline non sapeva neppure dove si trovasse Prince of Wales Terrace. «E a Londra», disse Mrs Arbuthnot. «Davvero?» disse Lady Caroline. Tutto sembrava andare per il meglio. Mrs Fisher non potè venire al club perché, spiegava nella lettera, non riusciva a camminare senza bastone; furono quindi Mrs Arbuthnot e Mrs Wilkins a recarsi da lei. «Ma se non può venire fino al circolo, come potrà andare in Italia?» si domandò stupita Mrs Wilkins, a voce alta. «Lo sapremo da lei», disse Mrs Arbuthnot. Da Mrs Fisher seppero soltanto, in risposta alle loro domande molto discrete, che stare seduti in treno non era come camminare, cosa che già sapevano. Comunque, a parte il bastone, sembrò la quarta persona ideale: tranquilla, educata e anziana. Era molto più vecchia sia di loro sia di Lady Caroline - Lady Caroline aveva precisato di avere ventotto anni - ma non così vecchia da non possedere più una mente sveglia. Era una persona assai rispettabile, indossava ancora un completo nero, nonostante il marito fosse morto, così aveva detto, undici anni prima. La sua casa era piena di fotografie con l'autografo di illustri personaggi vittoriani ormai scomparsi, che disse di aver conosciuto da piccola. Il padre era stato un critico eminente, e in casa sua aveva visto praticamente chiunque si fosse fatto un nome nelle arti e nelle lettere. Carlyle l'aveva guardata torvo; Matthew Arnold l'aveva tenuta sulle ginocchia; Tennyson l'aveva presa in giro a gran voce per la lunghezza della sua treccia. Si animò nel mostrare loro le fotografie, appese a tutte le pareti, indicando gli autografi col bastone, e non disse nulla del marito, né si informò dei mariti delle sue ospiti; il che fu un gran sollievo. In verità, sembrò pensare che anche loro fossero vedove, perché quando chiese chi fosse la quarta signora, e le risposero che si trattava di una certa Lady Caroline Dester, domandò: «Anche lei vedova?» E quando seppe che non lo era, giacché non si era ancora sposata, osservò con distratta affabilità: «Ogni cosa al momento giusto». Eppure la maggiore preoccupazione di Mrs Fisher - che appariva interessarsi per lo più agli illustri personaggi che aveva conosciuto e alle loro fotografie commemorative occupando gran parte del colloquio col ricordo di aneddoti su Carlyle, Meredith, Matlliew Arnold, Tennyson e molti altri la sua maggiore preoccupazione era di realizzare il suo unico desiderio: chiedeva soltanto, disse, di potersene rimanere seduta tranquilla al sole a ricordare. E ciò era anche quel che Mrs Arbuthnot e Mrs Wilkins pretendevano dalle loro compagne. La loro compagna ideale, infatti, sarebbe rimasta seduta tranquilla al sole a ricordare e si sarebbe alzata soltanto il sabato sera, per pagare la sua quota di spese. Mrs Fisher era anche, come spiegò, appassionata di fiori e una volta, durante un fine settimana con suo padre a Box Hill… «Chi abitava a Box Hill?» la interruppe Mrs Wilkins, rapita dai ricordi di Mrs Fisher e sensibilmente eccitata per aver incontrato una persona che aveva avuto rapporti intimi con personaggi di vera e indubbia grandezza, che li aveva proprio visti, sentiti parlare, toccati. Mrs Fisher la guardò un po' sorpresa da sopra gli occhiali. Mrs Wilkins, impaziente di carpire al più presto l'essenza dei ricordi di Mrs Fisher e temendo che Mrs Arbuthnot la portasse via da un momento all'altro impedendole di sentire il resto, aveva già interrotto parecchie volte con domande che a Mrs Fisher erano sembrate sciocche. «Meredith, ovviamente», disse Mrs Fisher tagliando corto. «Ricordo in particolare un fine settimana, continuò. - Mio padre mi portava spesso con sé, ma mi viene sempre in mente questo fine settimana…» «Avete conosciuto Keats?» interruppe con impazienza Mrs Wilkins. Mrs Fisher, dopo una pausa, disse con sarcastica reticenza che non aveva conosciuto né Keats né Shakespeare. «Ma certo… che sciocca! - gridò Mrs Wilkins, diventando paonazza. È perché… - s'impappinò, - perché questi immortali in un certo senso sembrano ancora vivi, vero?… quasi fossero qui e dovessero entrare nella stanza da un momento all'altro… e ci si dimentica che sono morti. In effetti sappiamo benissimo che non sono morti… tutt'altro che morti, come noi due in questo momento», disse rassicurando Mrs Fisher, che la osservava da sopra il bordo degli occhiali. «L'altro giorno mi è sembrato di vedere Keats», continuò Mrs Wilkins in modo sconnesso, mossa dallo sguardo di Mrs Fisher da sopra gli occhiali. «Ad Hampstead… che attraversava la strada di fronte alla casa… sapete… la casa in cui viveva…» Mrs Arbuthnot disse che dovevano andare. Mrs Fisher non fece nulla per fermarle. «Mi è sembrato davvero di vederlo», protestò Mrs Wilkins, rivolgendosi prima a una poi all'altra perché la credessero, mentre ondate di colori le passavano sul viso, e del tutto incapace di fermarsi a causa degli occhiali di Mrs Fisher e di quel suo sguardo che la fissava al di sopra di essi. «Credo proprio di averlo visto… era vestito con un…» Adesso la guardava anche Mrs Arbuthnot, e molto gentilmente disse che sarebbero arrivate in ritardo per il pranzo. Fu allora che Mrs Fisher domandò delle referenze. Non aveva alcuna voglia di ritrovarsi per quattro settimane con una persona che aveva le visioni. È vero che a San Salvatore c'erano tre salotti, oltre al giardino e ai merli, sicché sarebbe stato possibile sfuggire a Mrs Wilkins; ma sarebbe stato spiacevole per Mrs Fisher se, per esempio, Mrs Wilkins avesse affermato all'improvviso di aver visto Mr Fisher: egli era morto, ed era meglio lasciare che rimanesse tale; non aveva affatto voglia di sentirsi dire che passeggiava per il giardino. L'unica referenza che richiedeva, dato che era troppo vecchia e con una posizione così solida in questo mondo per preoccuparsi della moralità delle sue compagne, riguardava la salute di Mrs Wilkins. Era una persona sana? Una donna solitamente normale e assennata? Mrs Fisher sapeva che le sarebbe bastato l'indirizzo per scoprire ciò che le interessava. Chiese pertanto le referenze, e le sue ospiti parvero colte così alla sprovvista, - Mrs Wilkins, invero, si calmò all'istante - che aggiunse: «E la prassi». Mrs Wilkins fu la prima a riprendersi. «Ma, - disse, - non dovremmo essere noi a chiedervele?» E anche Mrs Arbuthnot pensò che fosse quella la prassi da seguire: erano loro ad accettare Mrs Fisher nel gruppo e non di certo Mrs Fisher ad accettare loro. Per tutta risposta Mrs Fisher, appoggiandosi al bastone, si avvicinò allo scrittoio, scrisse con mano ferma tre nomi e li porse a Mrs Wilkins; i nomi erano così importanti, o meglio, così altisonanti, addirittura maestosi, che fu sufficiente leggerli: il Presidente della Royak Academy, l'Arcivescovo di Canterbury e il Governatore della Banca d'Inghilterra; chi avrebbe osato interrompere i pensieri di simili personalità per chiedere se una loro amica era davvero quel che avrebbe dovuto essere? «Mi conoscono da quando ero piccola», disse Mrs Fisher; pareva che tutti conoscessero Mrs Fisher da quando era piccola. «A mio parere le referenze non sono per nulla una cosa piacevole tra… tra donne normali e dignitose», sbottò Mrs Wilkins, prendendo coraggio dal fatto di trovarsi, come sentiva, con le spalle al muro; ben sapeva che la sola referenza che avrebbe potuto dare senza finire nei guai era Schoolbred, e vi riponeva poca fiducia, dato che si sarebbe fondata unicamente sul pesce di Mellersh. «Noi non siamo uomini d'affari, non abbiamo motivo di diffidare le une delle altre…» Allora Mrs Arbuthnot, con una dignità non priva tuttavia di dolcezza, disse: «Temo che le referenze introducano nella nostra vacanza un'atmosfera che non corrisponde precisamente a quella che ci aspettiamo, e penso che non potremo accettare le vostre, né fornirvi le nostre. Pertanto suppongo che non vorrete unirvi a noi». E allungò la mano per salutare. Mrs Fisher, fissando Mrs Arbuthnot, che ispirava fiducia e simpatia anche agli impiegati della metropolitana, sentì a questo punto che sarebbe stato stupido lasciarsi scappare l'opportunità di andare in Italia, date le circostanze eccezionali che si presentavano, e che insieme con questa donna dall'espressione pacata sarebbe riuscita sicuramente a tenere l'altra a freno quando le fosse preso uno di quei suoi accessi. Pertanto, stringendo la mano che le porgeva Mrs Arbuthnot, disse: «D'accordo, rinuncio alle referenze». E così fece. Camminando verso la stazione in Kensington High Street, le due donne non poterono fare a meno di pensare che un simile modo di comportarsi fosse altezzoso. Persino Mrs Arbuthnot, sempre prodiga nel perdonare gli altrui errori, pensò che Mrs Fisher avrebbe potuto usare altre parole; e quando Mrs Wilkins giunse alla stazione, sentendosi ribollire il sangue per la camminata e per la battaglia con gli ombrelli degli altri passanti sulla banchina affollata, suggerì addirittura di rinunciare a Mrs Fisher. «Se c'è da rinunciare a qualcosa, dobbiamo essere noi a decidere cosa», disse con impazienza. Ma Mrs Arbuthnot, come al solito, non badò a Mrs Wilkins, la quale subito dopo, in treno, si calmò e proclamò che a San Salvatore Mrs Fisher si sarebbe addolcita. «La vedo già laggiù, che si addolcisce», disse, con gli occhi che brillavano. Al che Mrs Arbuthnot, che sedeva con le mani giunte e immobili, meditò a lungo su come avrebbe potuto aiutare Mrs Wilkins a non avere più tante visioni; o perlomeno, se proprio non poteva farne a meno, ad averle in silenzio. Mrs Arbuthnot e Mrs Wilkins avevano stabilito di viaggiare insieme e di arrivare a San Salvatore la sera del 31 marzo; il proprietario, che aveva spiegato loro come arrivarci, capì la loro riluttanza a iniziare il soggiorno il primo aprile. Lady Caroline e Mrs Fisher invece, che non si conoscevano ancora e quindi non erano obbligate a sopportarsi a vicenda durante il viaggio, avrebbero scoperto chi erano davvero soltanto verso la fine, dopo essersi passate al setaccio reciprocamente dovevano arrivare la mattina del 1°aprile. In tal modo tutto sarebbe stato preparato per bene per le altre due che, sebbene pagassero come loro, sembravano rimanere nella posizione di ospiti. Verso la fine di marzo si verificarono alcuni episodi sgradevoli, quando Mrs Wilkins, col cuore in gola e un'espressione confusa di colpa, terrore e risolutezza sul volto, comunicò al marito che era stata invitata in Italia, e lui si rifiutò di crederle. Non poteva crederle: prima d'allora mai nessuno aveva invitato sua moglie in Italia. Non vi erano precedenti, e lui esigeva delle prove. L'unica prova era Mrs Arbuthnot, e così Mrs Wilkins gliel'aveva presentata, ma dopo quante suppliche, dopo quanta appassionata insistenza! Mrs Arbuthnot, infatti, non aveva immaginato di dover affrontare Mr Wilkins per dargli a intendere cose non vere, e tornò a casa con la certezza di quel che fino ad allora aveva solo sospettato: si stava allontanando sempre più da Dio. Tutto il mese di marzo, a dire il vero, fu colmo di momenti spiacevoli e angosciosi, fu un mese agitato. La coscienza di Mrs Arbuthnot, resa sensibile da anni trascorsi a confortare gli altri, non poteva conciliare quanto stava facendo col suo forte senso di giustizia. E non le dava pace, la tormentava durante le preghiere, si intrometteva nelle suppliche per una guida divina con domande sconcertanti: «Non sei forse un'ipocrita? Desideri davvero ciò che chiedi? Sii sincera, non rimarresti delusa se la tua preghiera venisse esaudita?» Anche il brutto tempo e la pioggia continua presero le parti della sua coscienza, causando tra i poveri più malanni del solito. Avevano la bronchite e la febbre: non c'era fine alle loro sofferenze. E in una situazione simile lei partiva, spendeva il suo prezioso denaro per andarsene, solo e unicamente per la sua felicità. Una donna, un'unica donna felice, e di fronte a lei questa pietosa moltitudine… Non riusciva più a guardare in faccia il vicario. Lui non sapeva, nessuno sapeva ciò che stava per fare, e lei sin dall'inizio non riuscì più a sostenere lo sguardo di nessuno. Decise di interrompere le conferenze con le quali chiedeva denaro. Come poteva presentarsi alla gente a chiedere denaro quando lei stessa ne spendeva così tanto per il suo solo piacere? Né le venne in aiuto o la tranquillizzò il fatto che avendo detto a Frederick che avrebbe accettato con gratitudine del denaro da lui, ansiosa com'era di recuperare ciò che stava sperperando, lui le avesse dato prontamente un assegno da cento sterline senza fare domande. Arrossì, e Frederick la osservò per un attimo e poi distolse lo sguardo. Era un sollievo per lui poterle dare del denaro. Lo donò subito tutto all'organizzazione della quale faceva parte, e si ritrovò ancor più divorata dai dubbi. Mrs Wilkins, al contrario, di dubbi non ne aveva. Era assolutamente certa che una vacanza fosse la cosa più opportuna, e che fosse altrettanto giusto, oltre che piacevole, spendere per la propria felicità i risparmi racimolati a fatica. «Pensate a come saremo gentili quando torneremo», disse a Mrs Arbuthnot, incoraggiando quella pallida signora. No, Mrs Wilkins non aveva dubbi, solo timori, e marzo fu anche per lei un mese d'angoscia, con l'ignaro Mr Wilkins che ogni giorno tornava a cena e mangiava il suo pesce nel silenzio di una presunta sicurezza. A volte le cose accadono così a sproposito! È davvero sorprendente come accadano a sproposito! Mrs Wilkins, che per tutto il mese badò di prepare a Mellersh soltanto il cibo che preferiva, acquistandolo e dedicandosi alla sua preparazione con zelo straordinario, raggiunse ottimi risultati che soddisfecero Mellersh; lo soddisfecero così appieno che egli iniziò a pensare che dopo tutto aveva sposato la moglie giusta e non, come aveva sempre sospettato, quella sbagliata. Accadde allora che la terza domenica di quel mese, che ne aveva cinque, - Mrs Wilkins aveva deciso con trepidazione di comunicare a Mellersh il suo invito la quarta domenica, mentre lei e Mrs Arbuthnot sarebbero partite la quinta - la terza domenica quindi, dopo un pranzo riuscito particolarmente bene, durante il quale lo Yorkshire pudding gli si era sciolto in bocca e la crostata di albicocche era così squisita che l'aveva mangiata tutta, Mellersh disse, fumando il sigaro accanto al fuoco che scoppiettava vivace mentre scrosci di grandine battevano alle finestre: «Sto pensando di portarti in Italia per Pasqua». E si fermò, aspettandosi che lei andasse in estasi per lo stupore e la gratitudine. Ma ciò non accadde. Nella stanza, se non per la grandine che picchiava contro le finestre e per l'allegro crepitare del fuoco, cadde un silenzio assoluto. Mrs Wilkins non riuscì ad aprire bocca, era ammutolita. Aveva pensato di comunicargli la notizia la domenica seguente e non si era neanche ancora preparata le parole con cui comunicargliela. Mr Wilkins, che non andava all'estero da prima della guerra e ora, con crescente disgusto, al susseguirsi delle settimane di pioggia e di vento, notava la particolare persistenza del brutto tempo, aveva lentamente concepito il desiderio di andar via dall'Inghilterra per Pasqua. Gli affari andavano molto bene e poteva permettersi un viaggio. La Svizzera ad aprile non era indicata e l'idea di una Pasqua in Italia aveva qualcosa di familiare. Sarebbe andato in Italia, e poichè ci sarebbero state delle chiacchiere se non avesse portato la moglie con sé, doveva portarsela dietro; e poi in fin dei conti gli sarebbe tornata utile: in un paese di cui non si parla la lingua, una seconda persona è sempre utile per tenere d'occhio le cose, per aspettare accanto ai bagagli. Si era aspettato un'esplosione di eccitazione e gratitudine; era incredibile che non accadesse. Di certo non ha sentito, concluse; probabilmente era assorta in uno di quei suoi sciocchi sogni a occhi aperti. Era deplorevole che fosse rimasta così infantile! Si voltò a guardarla, le loro sedie erano di fronte al fuoco, e lei stava fissando le fiamme, senza dubbio era questo il motivo per cui il suo volto era così arrossato. «Sto pensando, - ripetè, alzando il tono della sua voce chiara e ben impostata e parlando con asprezza, perché in un momento simile non ammetteva disattenzioni, - di portarti in Italia per Pasqua. Mi hai sentito o no?» Sì, lo aveva sentito, e si era meravigliata per la straordinaria coincidenza, - davvero straordinaria stava proprio per dirgli che… che era stata invitata… un'amica l'aveva invitata… proprio per Pasqua… Pasqua era ad aprile, no?… la sua amica… la sua amica aveva una casa laggiù. In effetti Mrs Wilkins, spinta dal terrore, dalla colpa e dalla sorpresa, risultò più incoerente del solito, se ciò era possibile. Fu un pomeriggio terribile. Mellersh, profondamente indignato, avendo visto il suo progetto ritorcersi contro di lui come una maledizione, la interrogò con la massima severità. Pretese che declinasse l'invito. Pretese, essendosi dimostrata così offensiva da accettare senza interpellarlo, che scrivesse ritirando la sua disponibilità. Ma trovandosi di fronte a un inaspettato e sconvolgente muro di ostinazione, rifiutò addirittura di credere che fosse stata invitata in Italia. Rifiutò di credere a questa Mrs Arbuthnot, della quale fino ad allora non aveva mai sentito parlare; e cominciò a crederle soltanto quando si trovò davanti questa delicata creatura, che confermò le affermazioni di sua moglie; e per Mrs Arbuthnot fu così difficile che le venne voglia di rinunziare a tutto pur di non ingannare Mr Wilkins nascondendogli la verità. Era impossibile non crederle: fece su di lui la stessa impressione che faceva agli impiegati della metropolitana; non le fu nemmeno necessario parlare, ma questo non cambiava niente per la sua coscienza, che sapeva e che non le permetteva di scordarsi di avergli dato un'impressione inesatta. «Che differenza c'è, - chiese la sua coscienza, - fra un'impressione inesatta e una vera e propria menzogna? Dio non ne vede». I giorni che restavano di marzo trascorsero come un sogno brutto e confuso. Sia Mrs Arbuthnot che Mrs Wilkins erano a pezzi; per quanto cercassero di evitarlo, si sentivano terribilmente in colpa e quando finalmente partirono, la mattina del 30, non provarono nessun entusiasmo, nessuna sensazione di vacanza. «Siamo state troppo buone… davvero troppo buone, - continuava a mormorare Mrs Wilkins mentre camminavano su e giù lungo la banchina della stazione Victoria, dove erano arrivate un'ora prima del dovuto, - ecco perché ci sembra di fare qualcosa di male. Siamo intimorite… non siamo più esseri umani. I veri esseri umani non sono sempre buoni, come lo siamo state noi. Oh, - si strinse le mani scarne, - e pensare che ora dovremmo essere così felici, finalmente alla stazione, davvero in partenza, e invece non lo siamo, e la causa di tutto è semplice: li abbiamo viziati! Cos'abbiamo fatto, dopo tutto… cos'abbiamo fatto di male? Vorrei proprio saperlo, - chiese sdegnosamente a Mrs Arbuthnot, una volta tanto siamo volute andare via da sole, per starcene un po' in pace senza di loro!» Mrs Arbuthnot, che stava passeggiando pacatamente, non chiese chi intendesse con loro, perché lo sapeva. Mrs Wilkins intendeva i mariti, ostinandosi nella sua supposizione che Frederick fosse indignato quanto Mellersh per la partenza della moglie, mentre Frederick non sapeva neppure che sua moglie se n'era andata. Mrs Arbuthnot, abituata a non parlare di lui, non aveva detto nulla a Mrs Wilkins. Frederick era troppo in fondo al suo cuore perché potesse parlare di luì. Impegnatissimo a terminare un altro di quei libri spaventosi, nelle ultime settimane era stato praticamente sempre via, e si trovava ancora via quando lei partì. Perché avrebbe dovuto comunicarglielo in anticipo? Era così tristemente sicura che lui non avrebbe trovato niente da ridire sulle sue decisioni, che gli scrisse soltanto un appunto lasciandoglielo in vista sul tavolo d'ingresso, se e quando fosse tornato a casa. Disse che andava in vacanza per un mese perché aveva bisogno di riposare ed era tanto che non lo faceva, che aveva dato disposizioni a Gladys, la loro efficiente cameriera, affinchè si occupasse di lui. Non disse dove andava, non ce n'era motivo; a lui non sarebbe interessato, non gli sarebbe affatto importato. Il tempo era brutto, pioveva a dirotto; la traversata fu tremenda e si sentirono male tutte e due. Ma, dopo aver tanto sofferto, il solo fatto di arrivare a Calais e di star bene le rese felici; fu là che per la prima volta lo splendore di quel che stavano facendo incominciò a riscaldare il loro animo intorpidito. Innanzitutto l'entusiasmo si impossessò di Mrs Wilkins, poi come una fiamma tinta di rosa passò da lei alla sua pallida compagna. A Calais, dove si ristorarono con delle sogliole, perché Mrs Wilkins voleva mangiare una sogliola che Mellersh non stesse mangiando, a Calais Mellersh aveva già cominciato a scomparire e a sembrare meno importante. Nessun facchino francese lo conosceva, non c'era un solo impiegato a cui importasse un fico di Mellersh. A Parigi non ci fu tempo di pensare a lui perché il treno era in ritardo, riuscirono a mala pena a prendere la coincidenza per Torino alla Gare de Lyon; e quando arrivarono in Italia, il pomeriggio del giorno seguente, l'Inghilterra, Frederick, Mellersh, il vicario, i poveri, Hampstead, il club, Schoolbred, tutto e tutti, quella desolazione triste e intensa, tutto era svanito nella vaghezza di un sogno. In Italia era nuvolo, e siccome si aspettavano un sole splendente ne restarono sorprese. Ma non importava: era l'Italia, e anche le nubi parevano più belle. Nessuna delle due vi era mai stata prima, e ora guardavano fuori dai finestrini con occhi rapiti. Le ore volarono per tutta la giornata, e poi sopraggiunse l'eccitazione di avvicinarsi, avvicinarsi sempre più, di arrivare. A Genova aveva cominciato a piovere… Genova! Trovarsi davvero lì e vedere quel nome scritto sulla stazione come un nome qualsiasi… a Nervi diluviava, e quando infine giunsero a Mezzago, verso mezzanotte poiché il treno era di nuovo in ritardo, scendeva una pioggia torrenziale. Ma erano in Italia, e niente poteva più essere brutto. Anche la pioggia era diversa: cadeva dritta sull'ombrello, non come quelle violente raffiche inglesi che penetravano dappertutto; ma di tanto in tanto cessava, ed ecco allora lo spettacolo del terreno ricoperto di rose! Mr Briggs, il proprietario di San Salvatore, aveva detto: «Scendete a Mezzago e proseguite in carrozza». Ma aveva dimenticato quel che pure sapeva bene, che in Italia i treni qualche volta sono in ritardo, e aveva immaginato che le sue affittuarie arrivando a Mezzago alle otto avrebbero trovato una fila di carrozze da nolo tra cui scegliere. Il treno invece era in ritardo di quattro ore, e quando Mrs Arbuthnot e Mrs Wilkins scesero a fatica dagli alti scalini della loro carrozza, quasi una scala, e si ritrovarono sotto un cupo acquazzone - lasciando che le gonne strisciassero dentro le grandi pozzanghere fangose, perché avevano le mani occupate dalle valigie - non fosse stato per l'accortezza di Domenico, il giardiniere di San Salvatore, non avrebbero trovato nessun passaggio. Tutti i vetturini in servizio erano già a casa da un pezzo e Domenico, prevedendolo, aveva mandato la carrozza di sua zia condotta da suo cugino, figlio di lei; zia e vetturino vivevano a Castagneto, il paesello ai piedi di San Salvatore; quindi, per quanto il treno fosse in ritardo, il vetturino non avrebbe osato tornare a casa senza quel che lo avevano mandato a prendere. Il cugino di Domenico, Beppo, comparve nel buio in cui si trovavano Mrs Arbuthnot e Mrs Wilkins, incerte sul da farsi dacché il treno era partito, perché non vedevano neppure un facchino e avevano l'impressione di non trovarsi su una banchina, quanto piuttosto nel bel mezzo di un binario. Beppo, che le stava cercando, emerse allora dal buio con una sorta di balzo, parlando a gran voce in italiano. Era un giovane rispettabile, anche se dall'aspetto non lo si sarebbe detto, soprattutto nell'oscurità e con quel cappello gocciolante calato su un occhio. Le due donne non gradirono il modo in cui prese le valigie: non poteva essere un facchino, pensarono. Ma riuscirono subito a distinguere nel suo fiume di parole il nome di San Salvatore e presero a ripeterglielo, visto che era l'unica parola che conoscevano di italiano, precipitandosi dietro di lui per non perdere di vista le valigie e inciampando tra rotaie e pozzanghere, finché furono in strada dove le attendeva una carrozza piccola e alta. La capote era alzata e il cavallo pareva meditabondo. Salirono, e appena sistemate - a dire il vero, Mrs Wilkins non era ancora del tutto sistemata - il cavallo si ridestò con uno scatto dal suo fantasticare e in quello stesso istante si avviò di buon passo verso casa; senza Beppo, senza le valigie. Beppo gli si lanciò dietro, facendo riecheggiare le sue urla nella notte, e riuscì appena in tempo ad afferrare le briglie che pendevano. Spiegò con orgoglio e, come lui credeva, con estrema chiarezza, che il cavallo faceva sempre così, perché era un animale di razza, ben nutrito e focoso; che lui se ne prendeva cura come di un figlio e che le due signore non dovevano spaventarsi: aveva notato che si tenevano strette l'una all'altra; ma per quanto fosse prodigo di parole e parlasse forte e chiaro, loro non facevano che fissarlo con aria assente. Continuò a parlare anche mentre ammassava le valigie intorno a loro, sicuro che prima o poi lo avrebbero capito, soprattutto se badava a parlare forte e ad accompagnare tutto ciò che diceva con semplici gesti di spiegazione, ma loro non smisero un attimo di fissarlo. Si accorse con simpatia che avevano entrambe il volto pallido e affaticato e occhi grandi ancor più stanchi. Due belle signore, pensò, e i loro occhi, che lo fissavano da sopra le valigie seguendo ogni suo movimento - non c'erano bauli, solo un gran numero di valigie erano come quelli della Vergine. Tutto ciò che le due donne sapevano dire, e da quando erano partiti lo ripetevano costantemente toccandolo appena per richiamare la sua attenzione mentre sedeva a cassetta, era: «San Salvatore?» E lui ogni volta rispondeva ad alta voce, come a incoraggiarle: «Sì, sì1… San Salvatore». «Non siamo sicure che ci stia portando davvero là», disse infine Mrs Arbuthnot sottovoce, quando parve loro di viaggiare già da molto tempo e si ritrovarono lungo una strada tortuosa, dopo aver superato il lastricato della città avvolta nel sonno, in cui riuscivano a scorgere soltanto un muretto basso sulla loro sinistra, oltre il quale era un immenso vuoto nero e il rumore del mare. Alla loro destra c'era qualcosa di molto vicino e scosceso, alto e nero… forse delle rocce, si sussurrarono, rocce enormi. «No, non siamo sicure», convenne Mrs Wilkins, sentendo un leggero brivido salirle lungo la schiena. Furono prese dallo sgomento: era così tardi, così buio, e la strada desolata. E se si fosse sfilata una ruota? Se si fossero imbattuti nei fascisti, o nei loro avversari? Come si pentivano di non aver dormito a Genova e di non essere arrivate la mattina seguente con la luce del sole! «Ma sarebbe stato il 1° aprile», disse Mrs Wilkins sottovoce. «Lo è già», disse Mrs Arbuthnot senza fiato. «Già, è vero», mormorò Mrs Wilkins. Rimasero in silenzio. Beppo, seduto a cassetta, si voltò, - un'abitudine che avevano già notato e che le terrorizzava, perché quello era un cavallo da non perdere d'occhio, - e di nuovo rivolse loro la parola con quella che credeva chiarezza: niente dialetto e aiutandosi con gesti chiarificatori. Come avrebbero desiderato che le loro madri avessero fatto loro studiare l'italiano da piccole! Se solo in quel momento avessero saputo dire: «Vi prego, voltatevi dalla parte giusta e badate al cavallo». Ma non sapevano neppure come si dicesse cavallo in italiano. Era vergognoso essere così ignoranti! In preda all'angoscia, perché la strada serpeggiava tra grandi rocce sporgenti, e soltanto un muretto alla loro sinistra le avrebbe protette dal mare se fosse accaduto qualcosa, si misero anche loro a gesticolare, agitando le mani verso Beppo per indicare la strada davanti a loro. Volevano che si girasse in direzione del cavallo, nient'altro; lui pensò invece che volessero andare più in fretta, e seguirono dieci minuti di terrore durante i quali credette di far loro cosa gradita. Era orgoglioso del suo cavallo, poteva andare così veloce! Si alzò in piedi e schioccò la frusta, il cavallo si slanciò con un balzo, le rocce avanzarono verso di loro e la piccola carrozza oscillò facendo traballare le valigie, mentre Mrs Arbuthnot e Mrs Wilkins si tenevano strette. Procedettero così, oscillando, traballando, sferragliando e stringendosi l'una all'altra, finché a un certo punto raggiunsero i piedi di una salita vicino a Castagneto, al che il cavallo, che conosceva ogni centimetro della strada, si arrestò di colpo, mettendo completamente sottosopra l'interno della carrozza, e proseguì salendo a passo lentissimo. Beppo si voltò, sicuro di ricevere la loro ammirazione e ridendo orgoglioso per il suo cavallo. Non ci fu alcun riso di risposta delle due belle signore; i loro occhi, fissi su di lui, apparivano più grandi che mai, e il loro volto contro il nero della notte sembrava di latte. Qui almeno, in cima al pendio, c'erano delle case. Le rocce avevano lasciato il posto alle abitazioni; il mare era scomparso e non se ne sentiva più il rumore, la desolazione della strada era svanita. Certo non c'erano luci in alcun luogo, e nessuno a testimoniare del loro passaggio; e appena iniziarono le case, Beppo, dopo essersi voltato a gridare «Castagneto» alle signore, si rialzò e, facendo schioccare la frusta, spronò di nuovo il cavallo. «Tra un attimo ci saremo», disse tra sé Mrs Arbuthnot, tenendosi forte. «Arriveremo presto, ormai», disse tra sé Mrs Wilkins, tenendosi forte. Non parlarono, perché non si sarebbe sentito niente oltre lo schioccare della frusta, lo sferragliare delle ruote e il baccano che faceva Beppo per spronare il cavallo. Con trepidazione, si sforzarono di scorgere un indizio che annunciasse San Salvatore. Avevano pensato e sperato che dopo un bel tratto di villaggio un arco medievale sarebbe apparso di fronte a loro, e che, attraversatolo, sarebbero entrate in un giardino giungendo a una porta aperta, invitante e inondata di luce, dove le avrebbe attese quella servitù che secondo l'annuncio si era trattenuta. La carrozza invece si arrestò all'improvviso. Sbirciando fuori si accorsero di trovarsi ancora sulla strada del villaggio costeggiata ai due lati da case piccole e scure; Beppo, abbandonando le briglie sul dorso del cavallo come se questa volta fosse assolutamente certo di non procedere oltre, scese da cassetta. Nello stesso istante, spuntando dal nulla, un uomo e numerosi ragazzini comparvero intorno alla carrozza e cominciarono a scaricare le valigie. «No, no… San Salvatore, San Salvatore», esclamò Mrs Wilkins, sforzandosi come riusciva di trattenere le valigie. «Sì, sì… San Salvatore, San Salvatore», gridarono tutti continuando a tirare. «Non può essere San Salvatore», disse Mrs Wilkins, voltandosi verso Mrs Arbuthnot, che sedeva immobile osservando le valigie che si allontanavano, con la rassegnazione che riservava ai mali minori. Sapeva che se questi uomini fossero stati malintenzionati e decisi a impadronirsi delle sue valigie, non ci sarebbe stato niente da fare. «No, non può essere», convenne, e non potè trattenere un sentimento di meraviglia dinanzi alle vie del Signore. Davvero era stata condotta in quel posto, assieme alla povera Mrs Wilkins, dopo aver tanto penato per organizzare tutto, dopo tante difficoltà e preoccupazioni, dopo aver intrapreso la cattiva strada della menzogna e dell'inganno, soltanto per essere… Cercò di non pensarci e rivolgendosi gentilmente a Mrs Wilkins, mentre i ragazzini vestiti di stracci si dileguavano nella notte con le valigie e l'uomo con la lanterna aiutava Beppo a toglierle di dosso la coperta da viaggio, disse che erano entrambe nelle mani di Dio e Mrs Wilkins per la prima volta, nell'udire queste parole, ebbe paura. Non potevano far altro che uscire, era inutile restare sedute nella carrozza a ripetere San Salvatore. Ogni volta che lo pronunciavano la loro voce si indeboliva, e Beppo e gli altri non facevano che ripeterlo in un susseguirsi di schiamazzi. Se solo avessero imparato l'italiano da piccole! Se solo avessero saputo dire: «Accompagnateci alla porta!» Ma non sapevano neppure come si dicesse porta in italiano. Una tale ignoranza non soltanto era vergognosa, era, e se ne accorgevano ora, estremamente pericolosa. Inutile però lamentarsi adesso. Inutile tentare di sfuggire a ciò che doveva accadere, rimanendo sedute nella carrozza. E così uscirono. I due uomini aprirono gli ombrelli e glieli porsero, e ciò le rassicurò un poco, perché era impensabile che una persona malintenzionata si preoccupasse di aprire l'ombrello. Poi l'uomo con la lanterna fece cenno di seguirlo, parlando a voce alta e rapidamente, mentre Beppo, come notarono, era rimasto indietro. Avrebbero dovuto pagarlo? No di certo, pensarono, se stavano per essere derubate e magari uccise, in simili circostanze non si dava la mancia; e in fin dei conti non le aveva condotte a San Salvatore: questa non poteva essere la loro meta. Egli poi non mostrava alcun desiderio di venire pagato: lasciò che si allontanassero nella notte senza protestare. Non poterono trattenersi dal pensare che questo fosse un brutto segno: non aveva chiesto nulla perché tra poco avrebbe ricevuto molto. Arrivarono a degli scalini; la strada terminava improvvisamente di fronte a una chiesa e di lì scendevano alcuni gradini. L'uomo teneva la lanterna bassa perché riuscissero a vederli. «San Salvatore?», disse ancora una volta sottovoce Mrs Wilkins, prima di avventurarsi per gli scalini. Era inutile farne menzione proprio ora, ma non poteva scendere nel silenzio assoluto. Nessun castello medievale, era sicura, era mai stato costruito in fondo a una scalinata. Ma giunse di nuovo l'eco delle grida: «Sì, sì…San Salvatore». Scesero con circospezione, tenendo sollevata la gonna come se potesse ancora servire, come se quella non fosse l'ultima volta che la indossavano. Gli scalini terminavano in un sentiero estremamente ripido con al centro lastroni piatti. Continuavano a scivolare sulle pietre bagnate e l'uomo con la lanterna, che seguitava a parlare a voce alta e rapidamente, le sorresse con premura e delicatezza. «Forse, - disse sottovoce Mrs Wilkins a Mrs Arbuthnot, - sta andando tutto per il meglio». «Siamo nelle mani di Dio», ripetè Mrs Arbuthnot, e di nuovo Mrs Wilkins ebbe paura. Il ripido sentiero era terminato e la luce tremula della lanterna illuminò uno spazio aperto circondato da case su tre lati e sul quarto dal mare, che avanzava e si ritirava pigramente sui ciottoli. «San Salvatore», disse l'uomo, indicando con la lanterna una massa nera curva sull'acqua come in un abbraccio. Guardarono con attenzione e videro quella massa scura, e in cima una luce. «San Salvatore?» ripeterono entrambe, incredule; ma dov'erano le valigie, e per quale ragione erano state costrette a scendere dalla carrozza? «Sì, sì…{3} San Salvatore». Proseguirono lungo quello che sembrava un molo, proprio sul pelo dell'acqua. Non c'era neppure un muretto qui, niente che impedisse all'uomo con la lanterna, se avesse voluto, di gettarle in mare, ma non lo fece. Forse stava andando tutto per il meglio, suggerì di nuovo - avendo notato il rischio che correvano - Mrs Wilkins a Mrs Arbuthnot, la quale incominciava a crederci e non disse più nulla sulle mani di Dio. La luce tremula della lanterna danzava tutt'intorno, riflettendosi sul lastricato bagnato del molo. In lontananza sulla sinistra, nel buio, vi era una luce rossa, sicuramente all'estremità di un pontile. Giunsero a un arco che aveva un pesante cancello di ferro. L'uomo con la lanterna spinse per aprirlo; questa volta, anziché scendere, salirono fino sulla sommità di una scalinata, dove un piccolo sentiero s'inerpicava serpeggiando tra i fiori. Non riuscivano a vedere i fiori, ma sicuramente il luogo ne era pieno. A Mrs Wilkins venne in mente che la carrozza forse non le aveva condotte fino alla porta perché non c'era una strada, solo un sentiero, e così si sarebbe spiegata anche la scomparsa delle valigie. Iniziò a convincersi che, arrivando in cima, avrebbero trovato le loro valigie ad aspettarle. San Salvatore, come si addice a un castello medievale, sembrava ergersi sulla sommità di una collina. A una svolta del sentiero scorsero sopra di loro, ora molto più vicina e più brillante, la luce che avevano visto dal molo. Mrs Wilkins comunicò quanto aveva pensato a Mrs Arbuthnot, la quale disse che poteva aver ragione. Mrs Wilkins, indicando in alto la sagoma nera che si stagliava contro il cielo appena più chiaro, disse di nuovo, ma adesso con tono davvero fiducioso: «San Salvatore?» E ancora giunse l'eco delle rassicurazioni, ma questa volta più confortante e incoraggiante: «Sì, sì… San Salvatore». Attraversarono un ponticello, sospeso su quel che sembrava un burrone, e poi incontrarono un tratto di piano, circondato dall'erba alta e da moltissimi fiori. Sentivano la carezza dell'erba bagnata sulle calze, e ovunque erano fiori invisibili. Poi ripresero la salita tra gli alberi, lungo un sentiero a zigzag impregnato del profumo dei fiori che non riuscivano a vedere; quella pioggia calda stava liberando tutta la loro fragranza. Salirono sempre più, immerse in questa dolce oscurità, e la luce rossa sul pontile sprofondò lontano sotto di loro. Il sentiero s'inerpicò dall'altro lato di quella che pareva una piccola penisola; il pontile e la luce rossa scomparvero del tutto e distante, oltre il vuoto alla loro sinistra, si videro delle luci. «Mezzago», disse l'uomo agitando la lanterna in direzione delle luci. «Sì, sì», risposero, dato che avevano imparato a dirlo. Al che l'uomo si congratulò con un fiume di parole gentili, di cui non riuscirono a capire nulla, per il loro italiano splendido; si trattava di Domenico, il giardiniere premuroso e intelligente di San Salvatore, il sostegno di quell'edificio, lo scaltro, l'ingegnoso, l'eloquente e cortese Domenico. Ma loro non potevano ancora saperlo; e al buio, e a volte anche alla luce, con la sua carnagione scura, i lineamenti affilati e i movimenti rapidi come quelli di una pantera, egli pareva davvero una persona malvagia. Percorsero un altro tratto di sentiero in piano, mentre sulla destra torreggiava una sagoma nera, simile a un alto muro; poi il sentiero salì di nuovo passando sotto alcuni graticci, e ramoscelli pendenti di piante odorose le sfiorarono lasciando cadere gocce di pioggia; la luce della lanterna tremolò sui gigli e s'imbatterono infine in un'antica rampa di scalini consumati dai secoli e in un altro cancello di ferro; lo varcarono, continuando però a salire per una scala tortuosa di scalini di pietra chiusa su entrambi i lati da antiche mura, simili alle mura di un torrione, con un soffitto a volta. In cima, un portone di ferro battuto lasciava filtrare un fascio di luce elettrica. «Ecco», disse Domenico, salendo agilmente gli ultimi scalini e aprendo la porta con una spinta. Erano arrivate! Erano a San Salvatore, avevano trovato le loro valigie ad aspettarle e non erano state uccise! Bianche in viso, si lanciarono un solenne sguardo d'intesa. Fu un momento particolare, meraviglioso. Eccole finalmente nel loro castello medievale, i loro piedi ne toccavano le pietre. Mrs Wilkins mise un braccio intorno al collo di Mrs Arbuthnot e la baciò. «La prima cosa da fare in questa casa, - disse dolcemente ma con solennità, - è darci un bacio». «Cara Lotty», disse Mrs Arbuthnot. «Cara Rose», disse Mrs Wilkins con gli occhi traboccanti di gioia. Domenico era felice, gli piaceva vedere delle belle signore che si baciavano. Tenne un memorabile discorso di benvenuto mentre loro, abbracciate e sorreggendosi l'un l'altra per la stanchezza, lo guardavano sorridendo, senza capire una parola. La mattina seguente, dopo essersi svegliata, Mrs Wilkins rimase nel letto alcuni minuti prima di alzarsi e aprire le imposte. Che cosa avrebbe visto affacciandosi alla finestra? Un mondo di sole oppure di pioggia? Sarebbe stato stupendo, in ogni caso sarebbe stato stupendo. Si trovava in una piccola camera da letto, le pareti erano bianche e spoglie, col pavimento di pietra e pochi mobili antichi. I letti - ve n'erano due - erano di ferro, verniciati di nero e decorati con mazzi di fiori vivaci. Rimase distesa, rimandando quel grande momento in cui sarebbe andata alla finestra, come si rimanda il momento dell'apertura di una lettera preziosa, divorandola con gli occhi. Non aveva idea di che ora fosse, si era dimenticata di caricare l'orologio dall'ultima volta in cui, secoli prima, aveva dormito ad Hampstead. Nella casa non si sentivano rumori e quindi immaginò che fosse molto presto, anche se le sembrava di aver dormito a lungo: era perfettamente riposata, completamente appagata. Rimase distesa con le braccia dietro la testa pensando a quanto fosse felice, le labbra curvate all'insù, in un sorriso compiaciuto. Da sola nel letto, che delizia! Dopo cinque anni, era la prima volta che dormiva senza Mellersh; che freschezza, e quanto spazio! Potersi muovere liberamente e con noncuranza, con audacia, dare uno strattone alle coperte se lo si desiderava, o sistemare i cuscini nel modo più comodo! Le sembrava di scoprire una gioia completamente nuova. Mrs Wilkins non vedeva l'ora di alzarsi e di aprire le imposte, eppure era davvero delizioso rimanere lì. Sospirò per la felicità, e continuò a rimanere distesa guardandosi intorno, osservando ogni cosa nella stanza, la sua stanzetta, tutta per sé, da sistemare come le piaceva per questo mese di beatitudine, la sua stanza, comprata con i suoi risparmi, frutto di continue rinunce; e volendo, le sarebbe bastato chiudere la porta col catenaccio che nessuno avrebbe avuto il diritto di entrare. Era una stanza così piccola e strana, diversa da tutte quelle che aveva visto, così graziosa. Sembrava una cella e, tranne che per i due letti, suggeriva una gioia austera. «Il nome della camera, pensò, citando e sorridendo, - era Pace». Era davvero delizioso starsene lì distesa pensando a quanto fosse felice, eppure oltre quelle imposte sarebbe stato tutto ancora più delizioso. Balzò in piedi, s'infilò le pantofole, perché sul pavimento di pietra c'era solo un tappetino, e si precipitò alla finestra a spalancare le imposte. «Oh!», esclamò Mrs Wilkins. Lo splendore dell'aprile italiano era ai suoi piedi. Il sole la inondava di luce e il mare giaceva addormentato, muovendosi debolmente. Al di là della baia, anche le incantevoli montagne, dai colori squisitamente variegati, erano addormentate nella luce; e sotto la sua finestra, in fondo al pendio erboso costellato di fiori dal quale si ergevano le mura del castello, un grande cipresso si stagliava come un'enorme spada nera contro le tenui sfumature azzurre, violette e rosa delle montagne e del mare. Restò a bocca aperta. Una simile bellezza… e lei lì ad ammirarla. Una simile bellezza… e lei lì, viva, a parteciparne. Il suo volto era immerso nella luce. Profumi deliziosi salivano alla finestra e l'accarezzavano, una brezza leggera le sollevava dolcemente i capelli. Laggiù nella baia un gruppo di barche da pesca quasi immobili stavano sospese sul mare calmo, come uno stormo di uccelli bianchi. Che meraviglia, che splendore! Non essere morta prima… aver avuto la possibilità di vedere, respirare, sentire tutto questo… Restò a bocca aperta, incantata. Era la felicità? Com'era povera e mediocre la vita di tutti i giorni. Ma cosa dire, come descriverla? Non stava più nella pelle, era come se fosse troppo piccola per contenere tutta quella felicità, come trovarsi in un bagno di luce. Era sorprendente provare questa beatitudine totale, perché qui lei si trovava, e non faceva né avrebbe fatto una sola cosa per gli altri, non doveva fare nulla che non avrebbe desiderato. A sentire le persone che era solita frequentare, avrebbe dovuto perlomeno avere dei dolori. E invece neanche uno. C'era qualcosa di strano. Era incredibile che a casa fosse sempre così buona, così tremendamente buona, e ne avesse soltanto sofferenze; là si dedicava interamente agli altri ed era vittima di malesseri di ogni sorta: fitte, dolori e momenti di sconforto. E ora che si era spogliata di tutta la sua bontà e l'aveva lasciata alle spalle come un mucchio di vestiti inzuppati di pioggia, non provava che gioia. Denudata della bontà, godeva nel ritrovarsi nuda. Era svestita e raggiante. E laggiù nel buio umido di Hampstead, c'era Mellersh in collera. Cercò di raffigurarsi Mellersh, di vederlo mentre faceva colazione e pensava cose poco piacevoli di lei; ed ecco! anche Mellersh incominciava a luccicare, a colorarsi di rosa, di un tenue violetto e di un azzurro incantevole, cominciava a perdere forma e a diventare iridescente. Ora Mellersh, dopo un breve fremito, era immerso nella luce. «Bene», pensò Mrs Wilkins, fissando lo sguardo, per così dire, su di lui. Era straordinario non riuscire a raffigurarsi Mellersh; proprio lei che ne conosceva a memoria ogni lineamento, ogni espressione. Non riusciva assolutamente a vederlo com'era davvero. Riusciva a vederlo soltanto dissolto nella bellezza, fuso nell'armonia con tutto il resto. Le parole della preghiera di Ringraziamento, a lei familiari, le vennero in mente in modo spontaneo, e si ritrovò a benedire Dio per averla creata e preservata, per tutti i doni della sua vita, ma sopra ogni cosa per il Suo inestimabile Amore; le disse a voce alta, in un impeto di riconoscenza. Intanto Mellersh, che in quel momento si stava infilando con rabbia gli stivali prima di uscire sulle strade bagnate, stava davvero pensando cose spiacevoli di lei. Incominciò a vestirsi, scegliendo abiti bianchi e lindi in onore di quella giornata estiva, disfando le valigie e mettendo ordine nella sua adorata stanzetta. Si muoveva con passi veloci e decisi, tenendo eretto il corpo lungo e sottile e il volto minuto, a casa sempre corrugato per la fatica e l'apprensione, era ora disteso. Tutto quel che era stata, che aveva fatto fino a quella mattina, i suoi sentimenti e le sue preoccupazioni, erano svaniti. Le sue ansie si comportavano come l'immagine di Mellersh, dissolvendosi nei colori e nella luce. Si accorse di cose di cui non si accorgeva da anni; pettinandosi davanti allo specchio notò i suoi capelli e pensò: «Come sono belli». Da anni si era scordata di averli, ogni sera li raccoglieva in una treccia, che al mattino disfava con la stessa fretta e noncuranza con cui si allacciava e slacciava le scarpe. Ora li vide all'improvviso e se li attorcigliò intorno al dito davanti allo specchio, contenta che fossero così belli. Di certo non li aveva visti neanche Mellersh, perché non ne aveva mai fatto cenno. Bene, una volta tornata a casa glieli avrebbe fatti notare. «Mellersh, - avrebbe detto, - guarda i miei capelli, non sei contento di avere una moglie con dei riccioli color del miele?» Rise. Non aveva mai detto niente di simile a Mellersh, e la sola idea la divertiva. Ma perché non l'aveva mai fatto? Oh, certo, aveva paura di lui. Buffo aver paura di qualcuno, soprattutto del proprio marito, che conosciamo nei momenti di maggiore intimità, per esempio mentre dorme, e magari respira male dal naso. Quando fu pronta aprì la porta per andare a vedere se Rose, che la notte precedente era stata accompagnata in una cameretta di fronte da una cameriera assonnata, fosse sveglia. Le avrebbe dato il buongiorno e sarebbe corsa giù per sedersi accanto a quel cipresso finché la colazione non fosse stata pronta, e dopo non avrebbe fatto altro che guardare da una finestra e aiutare Rose a fare i preparativi per Lady Caroline e Mrs Fisher. C'era molto da fare quel giorno: bisognava sistemare e ordinare le stanze, e lei non voleva che Rose facesse tutto da sola. Avrebbero reso ogni cosa piacevole per le due signore che dovevano arrivare, mandandole in estasi alla vista delle camerette rallegrate dai fiori, preparate per loro. Ricordò di aver desiderato che Lady Caroline non venisse; che assurdità voler escludere una persona dal paradiso per paura di esserne intimidita! Come se questo avesse importanza, come se fosse assolutamente sicura della sua timidezza. E poi, che stupido motivo. In quell'occasione non poteva rimproverarsi di essere stata troppo buona. E si ricordò che non avrebbe voluto neanche Mrs Fisher, perché sembrava troppo altera. Che strana era stata! Che strano preoccuparsi di cose così insignificanti, dandogli importanza. Le camere da letto e due salotti di San Salvatore erano al piano superiore, e si affacciavano su un salone spazioso, delimitato a nord da un'ampia vetrata. San Salvatore era ricco di giardinetti disposti un po' dovunque e su diversi livelli. Il giardino su cui guardava questa vetrata era ricavato nella parte più alta delle mura, ed era raggiungibile soltanto attraverso il corrispondente atrio del piano inferiore. Quando Mrs Wilkins uscì dalla sua stanza, questa finestra era spalancata, e al di là di essa, al sole, vi era un albero di Giuda in fiore. Non c'era segno di vita, non un rumore, né voci o passi. Sul pavimento di pietra vi erano mastelli pieni di calle, e su un tavolo splendeva un grosso mazzo di nasturzi. Questo grande spazio fiorito e silenzioso, delimitato da quell'ampia finestra che si apriva sul giardino, con l'albero di Giuda di una bellezza irreale nella luce del sole, sembrò a Mrs Wilkins, che si fermò mentre stava andando da Mrs Arbuthnot, troppo bello per essere vero. Davvero avrebbe trascorso un mese intero in un posto simile? Finora aveva dovuto cogliere la bellezza quando le si offriva sul suo cammino, tentando d'afferrarne piccoli frammenti quando vi si imbatteva: una macchia di margherite in un campo di Hampstead in una bella giornata, uno squarcio di tramonto tra due comignoli. Non era mai stata in luoghi decisamente, assolutamente belli. Non era mai stata neppure in una casa antica, e cose del tipo di una stanza inondata di fiori erano fuori della sua portata. Talvolta in primavera comprava sei tulipani da Schoolbred, non riuscendo a resistere, consapevole che se Mellersh avesse saputo quanto costavano, l'avrebbe considerato imperdonabile; ma subito appassivano e non ne rimaneva nulla. Quanto all'albero di Giuda, non aveva idea di cosa fosse, e lo fissava, stagliato là fuori contro il cielo, con l'espressione rapita di chi ha una visione celestiale. Mrs Arbuthnot, uscendo dalla sua stanza, la trovò così, in piedi in mezzo all'atrio con lo sguardo fisso. «Chissà cosa crede di vedere adesso», pensò Mrs Arbuthnot. «Siamo nelle mani di Dio», disse con convinzione Mrs Wilkins, voltandosi verso di lei. «Oh!», esclamò Mrs Arbuthnot il cui viso, sorridente quando era uscita dalla stanza, si rabbuiò subito. «Perché, cos'è successo?» Mrs Arbuthnot si era svegliata con una tale piacevole sensazione di sicurezza e di sollievo, che temeva di scoprire che il pericolo non era ancora passato. Non aveva neppure sognato Frederick. Per la prima volta in tanti anni le era stato risparmiato il sogno di ogni notte - lui era accanto a lei e si amavano - da cui si risvegliava disperata. Aveva dormito come una bambina e si era svegliata fiduciosa, scoprendo che non c'era nulla che avrebbe voluto dire nella sua preghiera del mattino se non grazie. Era sconcertante sentirsi dire che erano ancora nelle mani di Dio. «Spero che non sia successo niente», disse con ansia. Mrs Wilkins la guardò per un attimo, e rise. «Che strano», disse, baciandola. «Cosa c'è di strano?» chiese Mrs Arbuthnot, e il suo viso si rischiarò perché Mrs Wilkins stava ridendo. «Noi. Questo posto. Ogni cosa. E tutto così incantevole. E così strano e delizioso essere qui. Oserei dire che quando infine raggiungeremo il paradiso - quello di cui parlano tanto - non potremo trovarlo più bello». Mrs Arbuthnot tornò a sorridere rassicurata. «Non è divino?» disse. «In vita tua, sei mai stata così felice?» chiese Mrs Wilkins, prendendola per un braccio. «No», disse Mrs Arbuthnot. Non lo era mai stata, proprio mai, neppure nei primi tempi del suo amore per Frederick. Perché quella felicità era sempre stata minacciata dal dolore, pronto a torturarla con i dubbi, persino col suo troppo amore; mentre questa era autentica felicità, armonia completa con la natura circostante, la felicità che non ha bisogno di nulla, che semplicemente accetta, respira, esiste. «Andiamo a vedere quell'albero da vicino, - disse Mrs Wilkins, - mi pare incredibile che sia solo un albero». Attraversarono il salone sottobraccio e i loro mariti non le avrebbero riconosciute tanto i loro visi erano ringiovaniti dal desiderio; rimasero tutte e due davanti alla finestra aperta e quando, saziate da quella meraviglia rosa dell'albero lasciarono spaziare gli occhi sulle bellezze del giardino, scorsero Lady Caroline che, seduta sull'estremità orientale del muretto, fissava la baia e aveva i piedi in mezzo ai gigli. Rimasero stupite. Per lo stupore non dissero una parola ma restarono ferme immobili, sottobraccio, ad osservarla. Anche lei indossava un abito bianco, ed era a capo scoperto. Quel giorno che l'avevano vista a Londra con il cappello calato sul naso e la pelliccia rialzata fin sulle orecchie, non avevano immaginato che fosse così bella. Avevano solo pensato che fosse diversa dalle altre signore del club e altrettanto queste e così pure le cameriere che l'avevano sbirciata più volte mentre passavano davanti all'angolo in cui si era seduta a parlare; ma non avevano immaginato che fosse così bella. Era straordinariamente bella, e ogni suo dettaglio era accentuato: i capelli biondi erano biondissimi, gli occhi grigi ed espressivi erano particolarmente grigi ed espressivi, le ciglia scure erano molto scure, la pelle chiara molto chiara, la bocca rossa molto rossa. Era incredibilmente esile, sottile come un filo, ma non priva di lievi curve sotto quell'abito leggero, dove era giusto che vi fossero. Stava guardando verso la baia, e si stagliava nettamente sullo sfondo di vuoto azzurro. Era in pieno sole e dondolava i piedi tra le foglie e i fiori dei gigli come incurante di piegarli o rovinarli. «Avrà mal di testa, - sussurrò infine Mrs Arbuthnot, - a star seduta al sole in quel modo». «Dovrebbe portare un cappello», sussurrò Mrs Wilkins. «Sta pestando i gigli». «Sono suoi quanto nostri». «Solo per un quarto». Lady Caroline si voltò. Rimase un istante a guardarle, sorpresa di vederle molto più giovani di quanto le fossero sembrate quel giorno al club, e molto meno brutte. In verità, erano quasi attraenti, se è possibile esserlo indossando gli abiti sbagliati. Con una rapida occhiata colse ogni loro dettaglio, e un secondo dopo sorrise e agitò la mano gridando «Buongiorno». Non parevano persone di grande interesse a giudicare dai loro abiti, notò subito. Non lo pensò consapevolmente, perché si stava ribellando con forza ai bei vestiti e alla schiavitù che essi imponevano; l'esperienza le aveva insegnato infatti che nell'istante in cui li indossi s'impossessano di te e non ti danno pace fino a che non siano andati ovunque per farsi ammirare da tutti. Non sei tu che hai portato un abito a un ricevimento, è lui che ha portato te. Era un errore pensare che una donna, una donna davvero elegante, possa logorare i suoi abiti, sono gli abiti che logorano lei, trascinandola in giro a qualunque ora del giorno e della notte. Non c'era da stupirsi che gli uomini restassero giovani più a lungo; un paio di pantaloni nuovi non poteva di certo scombussolarli. Non considerava che anche un paio di pantaloni nuovi potesse comportarsi allo stesso modo, rivoltandosi contro chi li indossava. Erano immagini confuse, ma lei seguiva il filo dei suoi pensieri scegliendo quelle che preferiva. Scendendo dal muretto e avvicinandosi alla finestra, pensò che sarebbe stato riposante trascorrere un mese intero insieme a persone vestite con abiti che le ricordavano vagamente quelli di cinque estati prima. «Sono arrivata ieri mattina», disse guardandole e sorridendo. Era davvero affascinante. Aveva tutto in regola, anche una fossetta. «E un vero peccato, - disse Mrs Arbuthnot sorridendole a sua volta, perché volevamo scegliere per voi la camera più bella». «Oh! Ma l'ho fatto io, - disse Lady Caroline. - O almeno credo che sia la più piacevole. Dà su due lati e io adoro le camere che danno su due lati, voi no? A ovest sul mare e a nord su questo albero di Giuda». «E avevamo intenzione di abbellirla per voi con dei fiori», disse Mrs Wilkins. «Oh, l'ha già fatto Domenico. Gliel'ho detto appena sono arrivata. E il giardiniere, una persona incantevole». «Certo, è una bella cosa essere indipendenti, - disse Mrs Arbuthnot un po' esitante, - e sapere esattamente cosa si vuole». «Sicuro, si evitano molte seccature», convenne Lady Caroline. «Però non si dovrebbe essere così indipendenti, — disse Mrs Wilkins, da non lasciare agli altri la possibilità di dimostrare la loro gentilezza». Lady Caroline, che aveva guardato solo Mrs Arbuthnot, si volse ora verso Mrs Wilkins. Quel giorno in quel club bizzarro aveva avuto solo un'impressione confusa di Mrs Wilkins, perché aveva sempre parlato l'altra, e questa le era parsa così timida e impacciata che aveva ritenuto meglio non badarle. Non era neppure riuscita a salutare con disinvoltura, ma era arrossita e aveva fatto un saluto spento e impacciato. Perciò adesso la guardò con un certo stupore, e fu ancora più sorpresa quando Mrs Wilkins aggiunse, fissandola con la più sincera ammirazione e parlando con una convinzione che esigeva una risposta: «Non mi ero accorta che foste così bella». Squadrò Mrs Wilkins: aveva parlato in modo così diretto ed esplicito che lei, per quanto abituata a sentirselo dire - impossibile non esserlo dopo ben ventotto anni rimase sorpresa da una simile schiettezza da parte di una donna. «Molto gentile da parte vostra», disse «Be', siete carina, - continuò Mrs Wilkins, - davvero molto carina». «Spero, - disse Mrs Arbuthnot amabilmente, - che sfruttiate al meglio la vostra bellezza». Allora Lady Caroline fissò Mrs Arbuthnot. «Oh, sì, - disse, - al meglio. L'ho sempre fatto per quanto mi ricordi». «Perché, - disse Mrs Arbuthnot sorridendo e alzando l'indice in segno di ammonimento, - non durerà». A questo punto Lady Caroline cominciò a temere che quelle due fossero delle eccentriche. Se così era, si sarebbe annoiata perché niente l'annoiava tanto quanto le persone che insistevano nel dimostrarsi eccentriche, che arrivavano e attaccavano bottone facendole perdere tempo con le loro stranezze. E sarebbe stato davvero fastidioso se la donna che l'ammirava l'avesse seguita a ogni passo per guardarla. Quel che voleva da questa vacanza era fuggire completamente da tutto ciò che aveva sempre avuto, voleva riposarsi in una situazione assolutamente insolita. E per lei non era insolito essere ammirata e seguita, era un'abitudine; temeva inoltre che ritrovarsi con due persone eccentriche in cima a una collina scoscesa, in un castello medievale costruito col preciso scopo di impedire facili va e vieni, non sarebbe stato particolarmente riposante. Forse avrebbe fatto meglio a essere un po' meno cordiale. Quel giorno al club le erano sembrate entrambe creature così timide, anche la bruna - non riusciva a ricordare come si chiamassero - che aveva pensato di non correre rischi mostrandosi amichevole. Ed ecco che qui erano uscite dal loro guscio, di già; e subito. Qui non c'era segno di timidezza in nessuna delle due; se al primissimo contatto erano subito uscite dal loro guscio così rapidamente, se non le teneva a freno, avrebbero cominciato immediatamente a tormentarla, e allora addio al suo sogno di trenta giorni di riposo e di silenzio, distesa beatamente al sole senza nessuno a parlarle, nessuno a servirla, nessuno per conquistarla e dirigerla, ma potersi semplicemente riprendere dalla stanchezza, dalla profonda e melanconica stanchezza dell'eccesso. E poi c'era Mrs Fisher. Bisognava tenere a freno anche lei. Lady Caroline era partita due giorni prima del previsto per due ragioni: innanzitutto voleva arrivare prima delle altre per scegliere la stanza, o le stanze, che preferiva, e poi aveva pensato che altrimenti avrebbe dovuto viaggiare con Mrs Fisher; e non voleva né viaggiare né arrivare con lei. Non capiva per quale ragione avrebbe dovuto anche per un solo attimo avere a che fare con Mrs Fisher. Purtroppo anche Mrs Fisher nutriva il desiderio di arrivare a San Salvatore per prima e di scegliere la stanza, o le stanze, che preferiva e alla fine lei e Lady Caroline viaggiarono insieme. Già a Calais cominciarono a sospettarlo, a Parigi lo temettero, a Modane lo seppero con certezza, a Mezzago fecero finta di niente, dirigendosi a Castagneto con due carrozze diverse, che quasi si toccarono per tutto il tragitto. Ma quando la strada s'interruppe improvvisamente, davanti alla chiesa e agli scalini, fu impossibile continuare a evitarsi, e di fronte a quest'ultimo tratto del viaggio ripido e difficoltoso furono costrette a unirsi. A causa del bastone di Mrs Fisher, Lady Caroline dovette occuparsi di tutto. Mrs Fisher avrebbe voluto essere attiva, spiegò dalla carrozza quando la situazione le fu chiara, ma il bastone le impediva di attuare i suoi propositi. I due vetturini dissero a Lady Caroline che i bagagli dovevano essere portati al castello dai ragazzini, e lei andò a cercarne qualcuno mentre Mrs Fisher aspettava nella carrozza a causa del bastone. Mrs Fisher sapeva l'italiano, come spiegò, tuttavia soltanto l'italiano di Dante, che Matthew Arnold soleva leggere con lei quand'era ragazza, ma pensò che era al di sopra delle possibilità dei ragazzini. Perciò fu Lady Caroline, che parlava molto bene l'italiano corrente, a dover fare ogni cosa. «Sono nelle vostre mani, - disse Mrs Fisher sedendo saldamente nella sua carrozza. Vi prego, consideratemi soltanto un'anziana signora con il bastone». E subito, giù per gli scalini e per i ciottoli fino alla piazza, lungo il molo e su per il sentiero a zigzag, Lady Caroline fu costretta a camminare lentamente con Mrs Fisher come se fosse sua nonna. «È il mio bastone», osservava a tratti Mrs Fisher compiaciuta. E quando si riposarono in quelle curve del sentiero a zigzag dove c'erano delle panchine, Lady Caroline, che avrebbe voluto mettersi a correre e arrivare subito in cima, fu obbligata dal comune senso di umanità a rimanere con Mrs Fisher, per via del suo bastone, e allora Mrs Fisher le disse di come una volta fosse stata per un sentiero a zigzag con Tennyson. «Non trovate che giochi a cricket in modo meraviglioso?» disse Lady Caroline distrattamente. «Ho detto Tennyson», ripetè Mrs Fisher, girandosi e osservandola per un attimo da sopra gli occhiali. «Non lo credete?» chiese Lady Caroline. «Sto parlando, - disse Mrs Fisher, - di Alfred». «Oh!» esclamò Lady Caroline. «E curiosamente anche quel sentiero, - continuò Mrs Fisher con severità, - era simile a questo. Certo, non c'era un eucalipto, ma per il resto gli assomigliava curiosamente. E a una curva lui si girò e mi disse… lo vedo ancora mentre si gira e mi dice…» Sì, bisognava tenere a freno Mrs Fisher, e altrettanto quelle due alla finestra. Le conveniva cominciare subito. Si pentì di aver abbandonato il muretto, avrebbe dovuto limitarsi ad agitare la mano aspettando che fossero loro a scendere e a uscire in giardino per venire da lei. Ignorò pertanto l'osservazione e l'indice alzato di Mrs Arbuthnot e disse con freddezza marcata perlomeno tentò di marcarla - che immaginava dovessero fare colazione, mentre lei l'aveva già fatta; ma era destino che per quanto tentasse di parlare con freddezza, ogni sua parola risuonasse calda e piacevole. Questo perché aveva una voce delicata e amichevole, dovuta unicamente alla particolare conformazione della gola e del palato, e non aveva nulla a che fare con i suoi sentimenti. In tal modo mai nessuno si accorgeva di essere trattato male. Era davvero seccante! Quando lanciava sguardi gelidi, questi apparivano tutt'altro che gelidi, perché i suoi occhi, di per sé già molto belli, erano abbelliti da ciglia morbide, scure e lunghissime. Da occhi come quelli non potevano uscire sguardi gelidi, venivano catturati dalla dolcezza delle ciglia e lì si perdevano, e le persone che ella guardava non potevano che sentirsi osservate con un'attenzione intensa e lusinghiera. E quando era di cattivo umore oppure decisamente adirata - e chi non lo sarebbe stato ogni tanto in un mondo simile? - diventava così commovente che tutti accorrevano a consolarla, se possibile con dei baci. E ancor più che seccante, un vero e proprio tormento! La natura aveva deciso che lei dovesse apparire e suonare angelica, non le riusciva mai di mostrarsi sgradevole o sgarbata senza essere completamente fraintesa. «Ho fatto colazione in camera mia, - disse con la maggiore asciuttezza possibile. - Magari ci vediamo più tardi». Fece un cenno col capo e tornò al muretto, nel punto in cui era seduta prima, con i gigli freschi che le accarezzavano i piedi. La seguirono con occhi colmi di ammirazione, non avevano capito di essere state snobbate. Certo era una delusione scoprire che lei le aveva precedute, che non avrebbero avuto il piacere dei preparativi, di godersi la sua faccia all'arrivo al vedere le cose per la prima volta, ma restava ancora Mrs Fisher. Si sarebbero concentrate su Mrs Fisher perciò e avrebbero guardato la sua, di faccia; tuttavia avrebbero preferito, come tutti, guardare quella di Lady Caroline. A quel punto, visto che Lady Caroline ne aveva parlato, avrebbero fatto meglio ad andare a far colazione, perché c'era troppo da fare quel giorno per passare altro tempo ammirando il panorama: bisognava conoscere la servitù, visitare e ispezionare la casa, e infine preparare e abbellire la stanza per Mrs Fisher. Agitarono le mani salutando allegramente Lady Caroline, che pareva assorta e non badò a loro, e voltandosi si trovarono di fronte la cameriera della sera prima che si era avvicinata alle loro spalle silenziosamente, in pantofole di stoffa con le suole di corda. Era Francesca, la cameriera più anziana, che da anni era presso il proprietario, così aveva detto lui, e la cui presenza rendeva superfluo l'inventario della casa; dopo aver dato loro il buongiorno ed essersi augurata che avessero dormito bene, disse che la colazione era pronta nella sala da pranzo al piano di sotto, e di seguirla, che le avrebbe guidate. Non capirono una sola parola delle tante con cui Francesca infiorò questa semplice informazione ma la seguirono, perché almeno questo lo avevano capito; scesero le scale, attraversarono l'ampio atrio simile a quello del piano di sopra, tranne che per le porte a vetri che si aprivano sul giardino invece della finestra, e vennero introdotte nella sala da pranzo; qui, seduta a capotavola intenta a fare colazione, c'era Mrs Fisher. Questa volta si lasciarono sfuggire un'esclamazione. Persino Mrs Arbuthnot, sebbene si fosse limitata a un «Oh!». L'esclamazione di Mrs Wilkins fu più articolata: «Insomma! È come se ti togliessero il pane di bocca!» esclamò. «Salve! - disse Mrs Fisher. - Non posso alzarmi per via del bastone». E allungò la mano attraverso il tavolo. Si fecero avanti e gliela strinsero. «Non sapevamo foste qui», disse Mrs Arbuthnot. «Sì, - disse Mrs Fisher tornando alla sua colazione. - Eccomi». E ruppe con compostezza la parte superiore del suo uovo. «È davvero una grande delusione, - disse Mrs Wilkins. Volevamo darvi un bel benvenuto». Questa, ricordò Mrs Fisher osservandola per un attimo, è quella che a Prince of Wales Terrace disse di aver visto Keats. Doveva essere cauta con lei, tenerla a freno sin dall'inizio. Ignorò pertanto Mrs Wilkins e disse seria, con un'espressione di calma impenetrabile sul viso rivolto verso il suo uovo: «Sì, sono arrivata ieri con Lady Caroline». «È tremendo, - disse Mrs Wilkins come se non fosse appena stata ignorata. - Non è rimasto nessuno a cui preparare qualcosa. Mi sento tarpata, come se mi avessero tolto il pane di bocca proprio quando stavo per mangiarmelo allegramente». «Dove preferite sedervi?» chiese Mrs Fisher a Mrs Arbuthnot, esplicitamente a Mrs Arbuthnot; il paragone con il pane le sembrò particolarmente sgradevole. «Oh, grazie…», disse Mrs Arbuthnot, sedendo quasi immediatamente accanto a lei. Vi erano soltanto due posti in cui si sarebbe potuta sedere, ai due lati di Mrs Fisher, quindi lei ne occupò uno e Mrs Wilkins quello di fronte. Mrs Fisher sedeva a capotavola. Il caffè e il té erano disposti intorno a lei. E vero che dividevano equamente le spese di San Salvatore, ma erano state lei e Lotty, riflettè calma Mrs Arbuthnot, a trovare il castello, a darsi da fare per affittarlo e a decidere di accettare Mrs Fisher. Senza di loro, non potè fare a meno di pensare, Mrs Fisher non si sarebbe trovata lì, quindi moralmente era un'ospite. Fra loro non c'era una padrona di casa, ma dovendone scegliere una, questa non sarebbe stata né Mrs Fisher né Lady Caroline, ma lei o Lotty. Mrs Arbuthnot non potè non pensarlo mentre si sedeva e quando Mrs Fisher, con la mano che aveva stretto quella di Ruskin sospesa sui bricchi davanti a lei, chiese: «Té o caffè?» E ancora di più quando Mrs Fisher suonò un piccolo gong accanto a lei sul tavolo come se sin da piccola fosse abituata a quel gong e a quel tavolo, e all'apparire di Francesca le ordinò con l'idioma di Dante di portare altro latte. Mrs Fisher si comportava in modo curioso, notò Mrs Arbuthnot, come fosse la padrona di tutto; e se non fosse stata così felice si sarebbe forse preoccupata. Anche Mrs Wilkins lo notò, ma la sua mente svagata non potè che indurla a pensare cose strambe. Senza dubbio, se fosse stata nervosa e intimidita come l'ultima volta che aveva visto Mrs Fisher, avrebbe subito incominciato a dire delle cose strambe, a ruota libera, in modo folle e inarrestabile. Ma la felicità aveva scacciato la timidezza e lei, finalmente serena, riusciva ora a controllare i suoi discorsi; non era più costretta ad ascoltare inorridita se stessa dire cose che al momento di parlare non aveva intenzione di dire, si sentiva spontanea e del tutto a suo agio. La delusione di non aver potuto preparare il benvenuto a Mrs Fisher si era dileguata subito, perché era impossibile provare a lungo una delusione in paradiso. Né le importava il suo comportarsi da padrona. Lei e Mrs Arbuthnot, perciò, si sedettero a fianco di Mrs Fisher più volentieri di quanto avrebbero fatto in altre occasioni, il sole, attraverso le due finestre esposte a est sulla baia, inondava il pavimento e una porta aperta dava sul giardino, che era colmo di delizie, soprattutto di fresie. La fragranza dolce e delicata delle fresie entrò dalla porta e pervase le narici estasiate di Mrs Wilkins. A Londra le fresie erano al di sopra delle sue possibilità; talvolta entrava in un negozio e chiedeva il prezzo, solo per poterne prendere un mazzo e sentire il profumo, ben sapendo che costavano una cifra spaventosa, magari uno scellino per tre fiori. Qui ce n'erano dappertutto, spuntavano in ogni angolo e tappezzavano i roseti. Incredibile! Poter raccogliere bracciate di fresie, tante quante volevi, con un sole stupendo che inondava la stanza, indossare abiti estivi, e si era solo al primo aprile! «Vi rendete conto, vero, che siamo in paradiso?» disse sorridendo radiosamente a Mrs Fisher con l'intimità di un angelo custode. «Sono molto più giovani di quanto avessi pensato, - pensò Mrs Fisher, - e non così insignificanti». E meditò per un attimo, senza badare all'esuberanza di Mrs Wilkins, su come quel giorno a Prince of Wales Terrace si erano agitate subito rifiutando di fornire o di accettare qualsiasi referenza. Niente poteva nuocerle, naturalmente; niente e nessuno. Era ben barricata nella propria rispettabilità. Alle sue spalle si ergevano imponenti e terribili quei tre grandi nomi che aveva offerto, e questi non erano i soli a cui poteva ricorrere per ottenere appoggio e sostegno. Anche se queste giovani donne - non aveva motivo di credere che quella fuori in giardino fosse davvero Lady Caroline Dester, dopo tutto l'aveva solo sentito dire - anche se queste giovani donne fossero risultate quel che Browning era solito definire farfalle notturne - come ricordava bene il suo modo divertente e delizioso di descrivere le cose - cosa le sarebbe importato? Che svolazzassero pure tutta la notte, se lo desideravano. Non aveva sessantacinque anni per niente. E comunque sarebbe durato solo quattro settimane, al termine delle quali non le avrebbe mai più riviste. E nel frattempo qui non mancavano i luoghi dove avrebbe potuto starsene a sedere tranquilla, lontano da loro, a ricordare. Vi era un salotto tutto per lei, un bellissimo salotto con mobili color miele e molti quadri, con le finestre affacciate sul mare verso Genova e una porta che si apriva sui merli. La casa aveva due salotti, e lei aveva spiegato a Lady Caroline, quella bella creatura - davvero bella, chiunque ella fosse, Tennyson si sarebbe divertito a portarla in giro per la campagna - che forse ambiva ad appropriarsi della stanza color miele, che aveva bisogno di un piccolo rifugio tutto per sé, a causa del bastone. «A nessuno piace vedere in giro una donna anziana che zoppica, - aveva detto. - Sarei felice di poter trascorrere la maggior parte del tempo qui da sola, oppure seduta fuori su quei comodi merli». E anche la camera da letto era molto carina: guardava in due direzioni, sulla baia illuminata dal sole del mattino - le piaceva il sole del mattino - e sul giardino. Nella casa vi erano solo due camere da letto con la doppia vista, avevano scoperto lei e Lady Caroline, e queste erano di gran lunga le più ariose. Ognuna aveva due letti, e loro avevano subito fatto spostare in altre due stanze i letti in più; in questo modo c'era molto più spazio e si stava più comodi. Lady Caroline, in pratica, aveva trasformato la sua camera da letto in un salotto, prendendo dal soggiorno principale il divano, lo scrittoio e la sedia più comoda, Mrs Fisher invece non ebbe bisogno di farlo perché aveva un salotto personale, ammobiliato con tutto il necessario. All'inizio Lady Caroline aveva pensato di prendere per sé il salone principale, tra un pasto e l'altro le altre due persone potevano benissimo stare sedute nella sala da pranzo del piano inferiore, una stanza molto piacevole con delle belle sedie, ma non le era piaciuta la forma del salone, una stanza rotonda ricavata nella torre, con profonde feritoie che si aprivano nelle mura massicce, un soffitto cordonato a cupola fatto apposta per assomigliare a un ombrello aperto e inoltre sembrava un po' buia. Lady Caroline aveva guardato con desiderio la stanza color miele, e se solo Mrs Fisher fosse stata meno risoluta, vi si sarebbe insediata lei. Cosa del tutto assurda. «Mi auguro, - disse Mrs Arbuthnot sorridendo e tentando di far capire a Mrs Fisher che per quanto lei, Mrs Fisher, non fosse propriamente un'ospite, tuttavia non aveva di certo il diritto di comportarsi da padrona di casa, - che la vostra stanza sia comoda». «Lo è proprio, - disse Mrs Fisher, - gradite altro caffè?» «No grazie, e voi?» «No grazie. Nella mia camera c'erano due letti che la riempivano inutilmente e ne ho fatto togliere uno. Così va molto meglio». «Oh, ecco perché io ho due letti in camera!», esclamò Mrs Wilkins, illuminata; un secondo letto in quella sua stanza piccola era parso subito un oggetto innaturale e fuori luogo. «Non ho dato istruzioni precise, disse Mrs Fisher rivolgendosi a Mrs Arbuthnot, - ho solo chiesto a Francesca di spostarlo». «Ma anch'io ho due letti in camera!» disse Mrs Arbuthnot. «Il secondo dev'essere quello di Lady Caroline, anche lei ne ha fatto togliere uno, - disse Mrs Fisher. - È stupido avere nella stanza più letti di quelli che servono». «Ma neanche noi siamo qui con i nostri mariti, - disse Mrs Wilkins, - e non vedo la ragione di tenere un letto in più in camera se non c'è un marito da metterci. Non potremmo spostarli anche noi?» «Non si può spostare i letti da una stanza all'altra, - puntualizzò Mrs Fisher con freddezza. - Devono pur stare in qualche posto». Mrs Fisher trovava infelice ogni osservazione di Mrs Wilkins, ogni volta che apriva bocca diceva qualcosa che sarebbe stato meglio non dire. Nella cerchia di Mrs Fisher le chiacchiere sui mariti non erano mai state apprezzate. Negli anni ottanta, il suo periodo di maggior rigoglio, i mariti venivano presi sul serio, come unici veri ostacoli al peccato. Anche i letti, se proprio si dovevano menzionare, venivano trattati con cautela, e con decoroso riserbo si evitava sempre di parlare di letti e mariti in una sola volta. Si rivolse esplicitamente a Mrs Arbuthnot. «Permettetemi di offrirvi ancora un po' di caffè», disse. «No, grazie. E voi non ne gradireste ancora un po'?» «No davvero. A colazione non prendo mai più di due tazze. Desiderate un'arancia?» «No, grazie, e voi?» «No, non mangio frutta a colazione. È una moda americana che sono troppo vecchia per seguire. Volete qualcos'altro?» «Assolutamente no. E voi?» Mrs Fisher fece una pausa prima di rispondere. Che fosse un'abitudine, questo trucco di rispondere a una domanda con la stessa domanda? Se era così, bisognava provvedere, perché nessuno poteva vivere quattro settimane in pace assieme a persone con una simile abitudine. Osservò Mrs Arbuthnot: i suoi capelli con la scriminatura e l'espressione gentile la rassicurarono. No, era il caso, non l'abitudine che aveva generato questi echi. Pensò che le abitudini di Mrs Arbuthnot non potessero essere più fastidiose di quelle di una colomba. E riflettendo su di lei, immaginò che moglie ideale sarebbe stata per il povero Carlyle. Di gran lunga migliore di quella orribile intelligentona di Jane. Lo avrebbe consolato. «Allora possiamo andare?» suggerì. «Lasciate che vi aiuti ad alzarvi», disse Mrs Arbuthnot, tutta premurosa. «Oh, grazie… ci riesco perfettamente. Solo ogni tanto il bastone mi impedisce di…» Mrs Fisher si alzò con estrema facilità, Mrs Arbuthnot si era preoccupata inutilmente. «Io invece mangerò uno di queste splendide arance», disse Mrs Wilkins, rimanendo dov'era e allungandosi verso un vassoio nero che ne era colmo. «Rose, come fai a resistere. Guarda… guarda questa! Mangia questa, è stupenda…» E gliene porse una molto grande. «No, devo occuparmi di alcune faccende, - disse Mrs Arbuthnot, avviandosi verso la porta. - Mi perdonate se vi lascio, vero?» aggiunse con gentilezza rivolgendosi a Mrs Fisher. Anche Mrs Fisher si avviò alla porta; con estrema facilità, quasi velocemente; il bastone non la intralciò affatto. Non aveva alcuna intenzione di rimanere sola con Mrs Wilkins. «A che ora vorreste pranzare?» le chiese Mrs Arbuthnot, cercando di tenersi a galla e di sembrare, se non proprio la padrona di casa, almeno non un'ospite. «Il pranzo, - disse Mrs Fisher, - è alle dodici e trenta». «Allora mangeremo alle dodici e trenta, - disse Mrs Arbuthnot, - lo dirò alla cuoca. Sarà una lotta dura, continuò, sorridendo, - ma ho portato un dizionarietto…» «La cuoca, - disse Mrs Fisher, lo sa». «Come?» fece Mrs Arbuthnot. «Gliel'ha già detto Lady Caroline», disse Mrs Fisher. «Come?» ripetè Mrs Arbuthnot. «Sì. Lady Caroline parla un italiano che i cuochi riescono a capire. Il bastone mi impedisce di entrare in cucina, e anche se riuscissi ad andarci, temo che non mi capirebbero». «Ma…», iniziò Mrs Arbuthnot. «Ma è troppo stupendo!» Concluse per lei Mrs Wilkins dal tavolo, ben lieta che la sua vita e quella di Rose fossero così ina spettatamente semplificate. «Be', qui non abbiamo praticamente nulla da fare, né l'una né l'altra, se non essere felici. Non ci credereste, - disse, girandosi e rivolgendosi direttamente a Mrs Fisher, con pezzetti di arancia in entrambe le mani, - quanto Rose e io siamo state tremendamente buone per anni e anni, senza interruzione, e quanto adesso abbiamo bisogno di assoluto riposo». E Mrs Fisher, uscendo dalla stanza senza risponderle, disse a se stessa: «Bisognerà assolutamente tenerla a freno». Appena Mrs Wilkins e Mrs Arbuthnot, sgravate di ogni dovere, cominciarono ad andarsene in giro, giù per gli scalini di pietra consumata e sotto il pergolato fino al giardino più in basso, Mrs Wilkins disse a Mrs Arbuthnot, che pareva pensierosa: «Non credi che se c'è qualcun altro a dare gli ordini noi saremo più libere?» Mrs Arbuthnot disse che era vero, ma che nondimeno trovava sciocco lasciarsi togliere di mano ogni cosa. «Adoro farmi togliere le cose di mano», disse Mrs Wilkins. «Ma siamo state noi a trovare San Salvatore, - disse Mrs Arbuthnot, - ed è davvero stupido che Mrs Fisher si comporti come se appartenesse soltanto a lei». «Quel che trovo stupido, - disse Mrs Wilkins con grande serenità, - è preoccuparsi. Non vedo alcun vantaggio nell'esercitare il potere a prezzo della propria libertà». Al che Mrs Arbuthnot non rispose nulla per due ragioni: innanzitutto fu colpita dalla calma crescente e ammirevole di Lotty, che finora era stata incoerente ed eccitata, e poi per la singolare bellezza di quel che stava guardando. Su entrambi i lati della scalinata di pietra vi erano pervinche in fiore, e adesso riusciva a vedere quel che la notte prima le era venuto addosso, umido e profumato, carezzandole il viso. Era glicine. Glicine e sole… ricordò l'annuncio. Di certo qui ce n'era a profusione. Il glicine ricadeva su se stesso in un eccesso di vitalità, in una prodigalità di fioritura; e dove finiva il pergolato il sole splendeva su cespugli di gerani scarlatti, masse di nasturzi, calendole così accese che pareva stessero bruciando, bocche di leone rosse e rosa, tutti uno più bello dell'altro per la vivacità e la forza dei colori. Oltre questo spettacolo fiammeggiante il terreno degradava a terrazze verso il mare, e ogni terrazza era un piccolo frutteto dove tra gli ulivi crescevano le viti sui graticci, alberi di fico, peschi e ciliegi. I ciliegi e i peschi erano in fiore: un'incantevole cascata di bianco e di rosa intenso tra la delicatezza tremolante degli ulivi; le foglie di fico erano già grandi a sufficienza da emanare il loro profumo, i germogli di vite facevano appena capolino. Sotto queste piante vi erano gruppi di iris blu e viola, cespugli di lavanda e cactus verdi e acuminati, e l'erba era fitta di denti di leone e margherite, e proprio giù in fondo c'era il mare. Pareva che avessero rovesciato ovunque del colore: di ogni genere, in gran quantità, a fiumi - pervinche sembrava che ne avessero rovesciate a profusione ai lati della scalinata - e fiori che in Inghilterra crescevano soltanto nelle aiuole, fiori superbi, come i grandi iris blu e la lavanda, che lassù se ne stavano in disparte, qui si accalcavano con molti altri più comuni, piccoli e lucenti, come i denti di leone, le margherite e la campanule bianche della cipolla selvatica, e pareva che non potessero esistere un colore più bello e una vegetazione più rigogliosa. Rimasero in piedi a guardare in silenzio questa incantevole varietà, questa felice mescolanza. No, quel che faceva Mrs Fisher non importava, non qui, non tra una tale bellezza. Il turbamento di Mrs Arbuthnot si dileguò. Come rimanere turbati nel calore e nella luce di quel che vedeva, di quanto per lei era una manifestazione, un aspetto interamente nuovo di Dio? Se solo Frederick fosse stato con lei, se anche lui avesse visto tutto questo, con gli occhi dei primi tempi del loro amore, quando vedeva quel che lei vedeva, e amava quel che lei amava… Sospirò. «Non si sospira in paradiso, disse Mrs Wilkins, - non bisogna farlo». «Pensavo come si vorrebbe dividere tutto questo con la persona amata», disse Mrs Arbuthnot. «Non si deve avere desideri in paradiso, - disse Mrs Wilkins. - Si dovrebbe essere assolutamente perfetti. Questo è il paradiso, non credi Rose? Guarda come tutto convive in armonia, - i denti di leone e gli iris, il comune e il superiore, io e Mrs Fisher - ogni cosa è benvenuta, tutto è ben assortito e visibilmente felice e ci dà gioia». «Mrs Fisher non sembra felice… perlomeno non lo dà a vedere», disse Mrs Arbuthnot sorridendo. «Comincerà presto, vedrai». Mrs Arbuthnot disse che non credeva che dopo una certa età le persone potessero cominciare qualcosa. Mrs Wilkins disse che era sicura che nessuno, per quanto vecchio e irrigidito, poteva resistere agli effetti della bellezza assoluta. Non sarebbero passati molti giorni, forse neppure molte ore, e Mrs Fisher sarebbe scoppiata in un'esuberanza incontrollabile. «Sono certa, - disse Mrs Wilkins, - che siamo in paradiso, e non appena Mrs Fisher si accorgerà di dove è finita, sarà costretta a cambiare. Vedrai, smetterà di essere così inflessibile e diventerà dolce e arrendevole, e noi… be', non mi sorprenderebbe che arrivassimo a volerle molto bene». L'idea che Mrs Fisher potesse scoppiare in qualcosa, lei che sembrava incrollabile e sempre rigidamente abbottonata, fece ridere Mrs Arbuthnot. Perdonò a Lotty quel suo modo leggero di chiacchierare del paradiso, giacché in un luogo simile, in una tale mattina, il perdono era nell'aria. E in quelle circostanze, chi non l'avrebbe fatto! Lady Caroline, che sedeva sul muretto dove l'avevano lasciata prima di colazione, quando sentì le risate lanciò loro un'occhiata e le vide sul sentiero sotto di lei; ritenne una fortuna che se ne stessero laggiù a ridere e non fossero salite accanto a lei. Non amava in genere le risate, ma al mattino addirittura le odiava, soprattutto se erano vicine, soprattutto se le ronzavano nelle orecchie. Si augurò che le due eccentriche signore stessero per andare a fare una passeggiata, e che non fossero già di ritorno. Ridevano sempre di più. Cosa poteva esserci tanto da ridere? Guardò verso di loro con il volto serio, poiché il pensiero di trascorrere un mese assieme a delle persone ridanciane era ben triste e loro, come se si fossero sentite addosso i suoi occhi, d'un tratto si girarono di scatto e guardarono verso l'alto. Com'era terribile la giovialità di quelle donne… Tentò di sfuggire ai loro sorrisi e ai gesti di saluto, ma non poteva sottrarsi alla loro vista se non sprofondando tra i gigli. Non rispose né con un sorriso né con un saluto, ma volse lo sguardo alle montagne lontane continuando a tenerle d'occhio prudentemente, fino a che le due, stanche di salutare, si allontanarono lungo il sentiero, voltarono l'angolo e scomparvero. Questa volta tutte e due si accorsero di non essere state neppure ricambiate. «Se non fossimo in paradiso, disse Mrs Wilkins serenamente, direi che siamo state trattate male, ma siccome là nessuno può trattar male nessuno, di certo non è accaduto». «Forse è infelice», disse Mrs Arbuthnot. «Comunque sia, stando qui le passerà», disse Mrs Wilkins convinta. «Dobbiamo provare ad aiutarla», disse Mrs Arbuthnot. «Oh, ma in paradiso non ci si aiuta. È tutto superato. Non si cerca di essere o di fare. Semplicemente si è». Mrs Arbuthnot non voleva approfondire, non qui, non oggi. Il vicario, lo sapeva bene, avrebbe definito frivoli i discorsi di Lotty, se non addirittura blasfemi. Come sembrava vecchio il vicario da qui, vecchio, molto vecchio. Abbandonarono il sentiero e si avventurarono giù per le terrazze d'ulivi, sempre più giù fino in fondo, dove il mare caldo e sonnacchioso si gonfiava dolcemente tra gli scogli. Lì un pino era cresciuto vicino all'acqua. Si sedettero alla sua ombra e alcuni metri più in là un peschereccio verde e panciuto giaceva immobile sull'acqua. Ai loro piedi le increspature del mare producevano piccoli gorgoglii. Strizzarono gli occhi per riuscire a vedere, in piena luce, oltre l'ombra dell'albero. Sentivano sul viso l'odore forte degli aghi di pino e dei cuscinetti di timo selvatico che imbottivano gli spazi tra gli scogli, e talvolta un odore intenso di miele proveniva da un gruppo di iris caldi di sole alle loro spalle. Mrs Wilkins si tolse subito scarpe e calze e mise i piedi nell'acqua. Dopo averla osservata per un po', Mrs Arbuthnot fece lo stesso. A quel punto la loro felicità era perfetta; i loro mariti non le avrebbero riconosciute. Smisero di parlare e di menzionare il paradiso: erano come vasi aperti a ogni dono. Intanto Lady Caroline, sempre sul muretto, stava considerando la sua situazione. Il giardino in cima alle mura era delizioso, ma il luogo in cui era situato lo rendeva insicuro e privo di ripari. In qualsiasi momento poteva arrivare chiunque e pretendere di usarlo, perché sia il salone sia la sala da pranzo si aprivano direttamente su di esso. Forse, pensò Lady Caroline, poteva fare in modo che diventasse soltanto suo. Mrs Fisher aveva i merli rallegrati dai fiori, e una torre d'osservazione tutta per sé, oltre a essersi presa l'unica stanza davvero bella della casa. C'erano moltissimi posti in cui le due eccentriche sarebbero potute andare, lei stessa aveva visto almeno altri due giardinetti, mentre la collina su cui si ergeva il castello era di per sé un giardino, con sentieri e luoghi in cui sedersi. Perché questo posto non sarebbe potuto diventare esclusivamente suo? Le piaceva, le piaceva più di tutti gli altri. Possedeva l'albero di Giuda e un pino a ombrello, le fresie e i gigli, una tamerice che cominciava ad accendersi di rosa, un comodo muretto su cui sedersi e sui tre lati un panorama tra i più stupendi: a est la baia e le montagne, a nord il paese, situato oltre l'acqua verde, limpida e tranquilla del porticciolo e le colline punteggiate di case bianche e di boschetti di aranci, a ovest la sottile striscia di terra attraverso la quale San Salvatore era collegato alla terraferma, e poi il mare aperto e la costa oltre Genova, che si stendeva fino a perdersi nell'azzurra oscurità della Francia. Sì, avrebbe detto che voleva questo angolo tutto per sé. Era ragionevole che ognuna di loro avesse un luogo proprio in cui sedere e starsene in disparte. Era essenziale per la sua tranquillità potersene stare in disparte, rimanere da sola, senza che nessuno le parlasse. Anche le altre avrebbero dovuto preferirlo. Perché dover stare insieme? Già in Inghilterra era diventato insopportabile dover sempre stare con parenti e amici - oh, quanti! - che incalzavano ininterrottamente. Dopo essere riuscita a sfuggire loro per quattro settimane, perché continuare a unirsi, e a persone che non avevano il minimo diritto su di te? Accese una sigaretta. Incominciava a sentirsi sicura. Quelle due erano andate a fare una passeggiata e non c'era traccia di Mrs Fisher. Com'era piacevole! Qualcuno uscì dalla porta a vetri, proprio mentre stava tirando un profondo sospiro di sollievo sentendosi al sicuro. Non poteva certo essere Mrs Fisher che desiderava sedere con lei. Mrs Fisher aveva i suoi merli; avrebbe dovuto rimanere là, visto che se n'era impossessata. Sarebbe stato estremamente irritante se non l'avesse fatto, se non solo avesse voluto tenere i merli e il salotto, ma anche insediarsi in questo giardino. No, non era Mrs Fisher, era la cuoca. Aggrottò le ciglia. Avrebbe dovuto continuare lei a dare disposizioni per i pasti? Di certo adesso l'avrebbe fatto una di quelle due donne che agitavano le mani per salutarla. La cuoca, che aveva aspettato in cucina con crescente agitazione, vedendo che l'orologio si avvicinava all'ora di pranzo mentre lei ancora non sapeva che cosa cucinare, era andata infine da Mrs Fisher, che l'aveva subito mandata via con un gesto. Aveva quindi vagato per la casa in cerca di una padrona, di una qualsiasi padrona che le dicesse che cosa cucinare, e non aveva trovato nessuno; poi, indirizzata da Francesca che sapeva sempre dove si trovassero tutti, era uscita per venire da Lady Caroline. Era stato Domenico a procurare questa cuoca. Si chiamava Costanza ed era la sorella di un suo cugino che aveva un ristorante giù in piazza. Quando non aveva altri lavori aiutava il fratello in cucina e conosceva tutti quei piatti italiani grassi e misteriosi che amavano mangiare i lavoratori di Castagneto che affollavano il ristorante a mezzogiorno e gli abitanti di Mezzago quando arrivavano la domenica. Era una zitella ossuta di cinquant'anni con i capelli grigi, sveglia e loquace. Pensava che Lady Caroline fosse la persona più bella che avesse mai visto e della stessa opinione erano Domenico e Giuseppe, il ragazzo che lo aiutava e che, tra l'altro, era suo nipote, e anche Angela, la ragazza che aiutava Francesca e che pure era nipote di Domenico, e con loro la stessa Francesca. Domenico e Francesca, i soli ad aver visto le due signore arrivate per ultime, le trovavano molto belle, ma in confronto alla giovane signora bionda arrivata per prima erano come candele accanto alla luce elettrica che era stata appena installata, erano come le tinozze di stagno nelle camere da letto accanto a quei bagni nuovi e stupendi che il loro padrone aveva fatto sistemare durante la sua ultima visita. Lady Caroline lanciò uno sguardo torvo alla cuoca. Lo sguardo, come di consueto, fu trasformato nel tragitto in ciò che apparve una serietà assorta e armoniosa, e Costanza alzò le mani al cielo e ad alta voce prese a testimoni i santi che qui c'era il ritratto della Vergine. Lady Caroline le chiese in malo modo cosa volesse, e Costanza inclinò il capo per il piacere di ascoltare la pura musica della sua voce. Dopo aver atteso un attimo nel caso la musica continuasse, perché non voleva perderne una nota, disse che aspettava ordini e che era già stata dalla madre della Signorina{4}, ma invano. «Non è mia madre», sottolineò Lady Caroline con una rabbia che suonò come il lamento melodioso di un orfano sconsolato. Costanza le riversò tutta la sua compassione. Anche lei, spiegò, era senza madre… Lady Caroline la interruppe informandola seccamente che sua madre era a Londra viva e vegeta. Costanza ringraziò Dio e tutti i santi che la giovane signora non sapesse ancora cosa significasse essere senza madre. Le disgrazie accadevano sempre quando meno le si aspettava; senza dubbio la giovane signora aveva già un marito. «No», disse Lady Caroline gelidamente. Più ancora delle risate di mattina odiava l'idea di un marito. E tutti cercavano sempre di affibbiargliene uno, i parenti, gli amici, i giornali della sera. In fin dei conti, poteva sposarne uno soltanto, ma dal modo in cui tutti ne parlavano, e specialmente chi voleva essere suo marito, veniva da pensare che ne avrebbe potuti sposare almeno una dozzina. Il suo «no» debole e patetico si guadagnò tutta la comprensione di Costanza che stava in piedi accanto a lei. «Povera piccola, disse Costanza, così commossa da darle colpetti di incoraggiamento sulla spalla, - abbiate speranza. C'è ancora tempo». «Per pranzo, - disse Lady Caroline con tono glaciale, meravigliandosi mentre parlava dei colpetti che riceveva, lei che si era data così tanta pena per venire in un luogo remoto e misterioso, in cui era certa che tra le altre cose che la opprimevano non ci sarebbero stati neanche i colpetti sulla spalla, - per pranzo farete…» Costanza divenne efficiente e la interruppe con suggerimenti tutti eccellenti e tutti costosi. Lady Caroline non sapeva che fossero costosi, e li accettò senza pensarci. Sembravano molto invitanti; comprendevano ogni tipo di frutta e di verdura fresca, molto burro, una gran quantità di panna e un numero incredibile di uova. Alla fine Costanza disse con entusiasmo, come tributo a questa disponibilità, che tra le molte signore e signori per cui aveva lavorato saltuariamente come adesso, quelli che preferiva erano le signore e i signori inglesi. Non solo li preferiva, ma provava per loro una vera e propria devozione: sapevano che cosa ordinare, non lesinavano e si astenevano dallo sfruttare i poveri. Lady Caroline dedusse di essere stata troppo prodiga, e diede subito ordine di annullare la panna. Il viso di Costanza si rabbuiò perché un suo cugino aveva una mucca e alla panna avrebbero provveduto loro. «E forse sarebbe meglio rinunciare al pollo», disse Lady Caroline. Il viso di Costanza si rabbuiò ancora di più perché suo fratello teneva i polli nel cortile sul retro del ristorante, e molti erano pronti per essere uccisi. «E non comprate neanche le fragole fino a che non mi sono consultata con le altre signore», disse Lady Caroline, ricordando che era solo il primo aprile e che magari le due persone di Hampstead erano povere, anzi, lo erano di sicuro, altrimenti perché vivere ad Hampstead? «Non sono io la padrona di casa qui». «E quella anziana?» chiese Costanza, scura in viso. «No», disse Lady Caroline. «E quale delle altre due signore?» «Nessuna», disse Lady Caroline. Allora Costanza tornò a sorridere, perché la giovane signora stava prendendosi gioco di lei e le faceva uno scherzo. Glielo disse, nel suo fare amichevole tipicamente italiano e fu sinceramente contenta. «Non faccio mai scherzi, - disse secca Lady Caroline. - Fareste meglio ad andare, altrimenti il pranzo non sarà pronto per le dodici e trenta». Queste parole brusche le uscirono con un suono così dolce che Costanza le interpretò come complimenti, dimenticò la propria delusione per la panna e i polli, e se ne andò sorridendo piena di gratitudine. «Non accadrà mai più niente di simile, - pensò Lady Caroline. - Non sono venuta qui per occuparmi della casa, e non voglio farlo». Richiamò Costanza, che venne di corsa. Il suono del suo nome pronunciato da quella voce la ammaliava. «Oggi ho dato io gli ordini per il pranzo, - disse Lady Caroline con quel viso serio da angelo, che aveva quand'era arrabbiata, - e anche per la cena, ma d'ora innanzi dovrete rivolgervi a una delle altre signore. Io non lo farò più». L'idea di continuare a dare ordini era davvero assurda. A casa non ne dava mai, là nessuno si sarebbe sognato di chiederle di fare qualcosa. Era ridicolo che qui le venisse affidata un'occupazione tanto noiosa solo perché sapeva l'italiano. Che fossere le due eccentriche a dare gli ordini, se si rifiutava Mrs Fisher, la quale peraltro era stata sicuramente designata dalla natura a tal fine; aveva infatti l'aria della persona competente in faccende domestiche, i suoi abiti erano gli abiti di una donna di casa, così come il modo in cui si pettinava. Avendo pronunciato il suo ultimatum con asprezza, che diventò subito dolce, e avendolo accompagnato con un gesto perentorio di commiato, che aveva la grazia e l'affettuosità di una benedizione, la infastidiva che Costanza rimanesse in piedi immobile con la testa inclinata continuando a fissarla compiaciuta. «Oh, se ne vada!» esclamò Lady Caroline in inglese, improvvisamente esasperata. Quella mattina una mosca nella sua camera da letto l'aveva tormentata come faceva ora Costanza; era una soltanto, ma potevano essere mille da quanto l'aveva infastidita sin dalle prime ore dell'alba. Voleva posarsi sul suo viso, e lei proprio non voleva permetterglielo. La sua insistenza era incredibile; l'aveva svegliata e non le permise più di dormire. Allora cercò di colpirla, ma la mosca le sfuggì tranquillamente e senza sforzo, con noncuranza quasi palese, e lei colpì soltanto se stessa. Ritornò dopo un attimo e con un forte ronzio si posò sulla sua guancia. Lei cercò ancora di colpirla e si fece male, mentre la mosca svolazzava via elegantemente. Perse la pazienza, si sedette nel letto e aspettò, cercando il momento per infliggerle il colpo fatale. Continuò a colpirla con furia crescente e con tutte le sue forze, come se fosse un nemico reale che tentava deliberatamente di farla impazzire; e sempre, a ogni colpo, la mosca svolazzava via senza neppure arrabbiarsi, per fare ritorno un attimo dopo; e ogni volta riusciva a posarsi sul viso, del tutto incurante di essere stata scacciata tutte quelle volte. Ecco la ragione per la quale si era vestita ed era uscita così presto. Aveva subito detto a Francesca di sistemare una zanzariera sul letto, perché non aveva intenzione di lasciarsi infastidire un'altra volta in quel modo. Le persone erano esattamente come le mosche; avrebbe desiderato delle zanzariere per tenere lontano anche loro. Cercava di colpirle a parole e aggrottando le ciglia ma, come la mosca, sfuggivano incolumi ai suoi colpi. Peggio ancora della mosca, sembravano non accorgersi nemmeno dei suoi tentativi di colpirle. La mosca almeno se ne andava via per un attimo, mentre l'unico modo per liberarsi degli esseri umani era di andarsene via lei. Ecco quel che, essendo così stanca, aveva deciso di fare questo aprile; ma una volta arrivata a San Salvatore e appreso ogni particolare della vita che vi si conduceva, le sembrò che anche qui non sarebbe stata lasciata in pace. Da lontano, da Londra, sembrava che a San Salvatore non ci fossero particolari da considerare, pareva un vuoto assoluto e incantevole. Tuttavia, dopo sole ventiquattro ore, stava scoprendo come fosse tutt'altro che un vuoto, e come lei fosse costretta a proteggersi con la forza di sempre. Era già stata tormentata abbastanza. Mrs Fisher l'aveva tormentata per quasi tutto il giorno precedente e questa mattina non aveva avuto pace, non era stata sola neppure dieci minuti di seguito. Certo, Costanza dopo un po' se n'era dovuta andare a cucinare, ma si era appena allontanata quando giunse Domenico. Veniva a innaffiare e a legare le piante. In questo non c'era niente di strano dato che era il giardiniere, ma innaffiò e legò tutte quelle che si trovavano più vicino a lei, le gironzolò intorno con insistenza sempre maggiore, innaffiò a dismisura e legò piante dritte e salde come frecce. Se non altro, essendo un uomo, non era così fastidioso, e in risposta al suo buongiorno radioso ricevette un sorriso, al che Domenico dimenticò famiglia, moglie, madre, i figli già grandi e tutti i suoi doveri, e desiderò soltanto baciare i piedi di questa giovane signora. Non poteva farlo, purtoppo, ma lavorando poteva parlare e lo fece in modo prolisso, rivelando informazioni di ogni genere e illustrando ciò che diceva con gesti così animati che fu costretto a posare l'innaffiatoio rimandando l'innaffiatura. Lady Caroline per un po' lo sopportò, ma poi non ne fu più capace, e poiché lui non si decideva ad andarsene e lei non poteva dirgli di farlo, visto che era impegnato nel suo lavoro, ancora una volta fu lei a doversi allontanare. Scese dal muretto e si diresse dall'altra parte del giardino, dove sotto una tettoia di legno c'erano alcune comode poltroncine di bambù. Tutto ciò che desiderava era voltarne una, girando le spalle a Domenico, e guardare il mare verso Genova. Era un desiderio così piccolo! Pareva facile da esaudire. Invece lui, che osservava ogni suo movimento, appena vide che si avvicinava alle poltroncine si lanciò dietro di lei, ne prese una e chiese dove dovesse posarla. Si sarebbe mai liberata di chi la servisse, di chi la facesse sentire comoda, di chi le chiedesse dove preferiva le cose, dal dover ringraziare? Fu molto brusca con Domenico, che concluse che il sole le avesse fatto venire mal di testa, corse dentro a prenderle un parasole, un cuscino e un poggiapiedi, e si dimostrò straordinariamente utile, un gentiluomo innato. Lei chiuse gli occhi con rassegnazione. Non poteva essere sgarbata con Domenico, non poteva alzarsi ed entrare come avrebbe fatto se si fosse trattato di qualcun altro. Domenico era intelligente e abile. Si era accorta subito che era lui a mandare avanti la casa, a occuparsi di tutto. Il suo modo di fare era senz'altro gradevole ed era indubbiamente una persona affascinante. Ma lei desiderava così tanto rimanere sola! Se soltanto l'avessero lasciata tranquilla per questo mese, sentiva che avrebbe capito qualcosa di se stessa. Tenne gli occhi chiusi, così lui avrebbe pensato che voleva dormire e se ne sarebbe andato. La romantica anima italiana di Domenico s'intenerì profondamente a quella visione, perché gli occhi chiusi le donavano straordinariamente. Rimase in piedi immobile, estasiato, e lei pensò che se ne fosse andato e riaprì gli occhi. No, eccolo lì, che la fissava. Anche lui! Non c'era modo di sottrarsi agli sguardi degli altri. «Ho mal di testa», disse richiudendo gli occhi. «È il sole, - disse Domenico, - e star seduta sul muretto senza cappello». «Vorrei dormire». «Sì, signorina{5}», disse lui con comprensione, e andò via senza far rumore. Aprì gli occhi con un sospiro di sollievo. Vide che lui aveva chiuso delicatamente la porta a vetri, e capì non solo che se n'era andato, ma anche che l'aveva chiusa fuori in giardino, così che non potesse venire disturbata. Ora forse sarebbe rimasta sola fino all'ora di pranzo. Stranamente, e nessuno al mondo ne sarebbe rimasto più sorpreso di lei, sentiva il desiderio di pensare. Prima d'allora non aveva mai provato questo desiderio. In vari momenti della sua vita aveva desiderato fare o fatto tutto ciò che non comportava troppo impegno, ma mai prima di allora aveva sentito il desiderio di pensare. Era venuta a San Salvatore con la sola intenzione di restare distesa al sole, come in letargo, per quattro settimane, in un luogo in cui non c'erano né genitori né amici, avvolta dall'oblio, e di alzarsi soltanto per mangiare; ed era lì soltanto da poche ore quando questo desiderio nuovo e singolare s'impossessò di lei. La notte precedente c'era stato uno stellato stupendo, e lei dopo cena era uscita nel giardino in alto, lasciando Mrs Fisher sola con le sue noci e il vino e, sedendosi sul muretto nel luogo in cui si ammucchiavano le cime spettrali dei gigli, aveva guardato nell'abisso della notte e le era sembrato improvvisamente che la sua vita fosse stata un gran rumore per nulla. Ne era rimasta profondamente sorpresa. Sapeva che le stelle e l'oscurità potevano generare emozioni insolite perché l'aveva visto succedere negli altri, ma mai era accaduto a lei stessa. Un gran rumore per nulla. Era proprio sicura di stare bene? si era domandata. Per molto tempo in passato era stata consapevole che la sua vita fosse un rumore, ma le era sembrato destinato a qualcosa; un rumore, a dire il vero, riguardo a tante cose, che sentiva di doversi allontanare per un po', altrimenti ne sarebbe stata completamente, e forse irrimediabilmente assordata. E se invece fosse stato soltanto un rumore per nulla? Una domanda simile non le era mai venuta in mente; ed ecco che l'aveva subito fatta sentire sola. Desiderava stare sola, ma non sentirsi sola. Questo era molto diverso, era una sensazione che faceva male, che feriva spaventosamente nel profondo, era ciò che spaventava di più. Era il motivo per cui si andava a tutti quei ricevimenti, e negli ultimi tempi anche i ricevimenti qualche volta non erano sembrati un rifugio del tutto sicuro. Ci si poteva sentire soli indipendentemente dalle situazioni, ma dipendeva forse dal modo in cui le si affrontava? Forse era meglio se andava a letto, aveva pensato, forse non stava bene. Andò a letto; e la mattina seguente, sfuggita alla mosca e fatta colazione, uscì di nuovo in giardino e provò ancora la stessa sensazione, e in pieno giorno. Ancora una volta le venne il terribile sospetto che finora la sua vita fosse stata non solo chiassosa, ma anche vuota. Bene, se le cose stavano così, e se i suoi primi ventotto anni - i migliori - se n'erano andati in un rumore senza significato, avrebbe fatto neglio a fermarsi un istante e guardarsi intorno; prendersi una pausa, come si dice nei romanzi noiosi, e meditare. Non aveva a disposizione molti periodi di ventotto anni. Ancora uno e sarebbe diventata come Mrs Fisher, altri due e… Sbarrò gli occhi. Sua madre si sarebbe preoccupata se avesse saputo, l'adorava. Anche suo padre si sarebbe preoccupato, perché anche lui l'adorava. L'adoravano tutti. E quando, con fare ostinato e voce melodiosa, aveva insistito per andarsi a seppellire in Italia per un mese intero con delle persone bizzarre che aveva trovato in un annuncio, rifiutando persino di portare con sé la sua cameriera, l'unica spiegazione che i suoi amici riuscivano a immaginare era che la povera Scrap così la chiamavano - avesse esagerato e si sentisse un po' nervosa. Sua madre era molto angosciata dalla sua partenza. La trovava una scelta strana, segno di una delusione. Lasciò che la gente pensasse che si trovava sull'orlo di un esaurimento nervoso. Se avesse potuto vedere la sua adorata Scrap, la più incantevole di tutte le figlie, il principale oggetto del suo orgoglio, l'origine di tutte le sue più ardenti speranze, seduta a fissare il vuoto meriggio mediterraneo, meditando sui tre possibili periodi di ventotto anni, si sarebbe disperata. Partire da sola era brutto, pensare era peggio ancora. Non poteva uscire niente di buono dai pensieri di una donna giovane e bella. Ne sarebbero sorte complicazioni a non finire, non avrebbe portato a niente di buono. I pensieri delle persone belle erano destinati a generare riluttanza, esitazione e infelicità. E qui, se lei l'avesse potuta vedere, sedeva la sua Scrap immersa nei pensieri. E quali pensieri! Pensieri da vecchi. Cose che non venivano in mente a nessuno prima dei quarant'anni. Il salotto che Mrs Fisher aveva scelto tra i due esistenti era una stanza piena di fascino e di carattere. Entrandovi dopo colazione, la esaminò soddisfatta e fu contenta di averla scelta. Aveva un pavimento di piastrelle e pareti chiare come il miele; i mobili intarsiati erano del colore dell'ambra, e vi erano libri sbiaditi, molti con la copertina color avorio o limone. Una grande finestra dominava il mare verso Genova, e attraverso una porta a vetri lei poteva accedere ai merli e costeggiare la torre d'osservazione, una stanza vera e propria, attraente e originale con sedie e scrittoio, e giungere sull'altro lato della torre, dove i merli terminavano in un sedile di marmo; da lì si distingueva la baia occidentale e il promontorio dal quale iniziava il Golfo di La Spezia. Verso sud, tra questi due tratti di mare, si scorgeva un'altra collina, l'ultima di una piccola penisola, più alta di San Salvatore e sormontata dalle torricelle di un castello meno grande e disabitato, sulle quali al tramonto brillava ancora il sole quando ogni altro luogo era già sprofondato nell'oscurità. Sì, era proprio ben sistemata, e dei vasi pieni di fiori Mrs Fisher non li esaminò da vicino, ma sembravano ciotoline di pietra o forse piccoli sarcofagi - circondavano i merli. Questi merli, pensò, riflettendoci sopra, sarebbero stati per lei il luogo ideale per passeggiare tranquilla avanti e indietro quando meno avesse sentito il bisogno del bastone, oppure per sedersi sul sedile di marmo dopo avervi posto un cuscino, se per disgrazia non vi fosse stata una seconda porta a vetri che si apriva su di essi disturbando la loro assoluta intimità e sciupando la sensazione di avere quel posto interamente per sé. Questa seconda porta apparteneva al salone rotondo, che sia lei sia Lady Caroline avevano scartato perché era buio. Probabilmente avrebbero occupato quella stanza le due donne di Hampstead, e temeva che non si sarebbero limitate a quello, ma sarebbero uscite attraverso la porta a vetri invadendo i suoi merli, che secondo lei sarebbero stati irrimediabilmente rovinati da questa invasione; o forse, se non proprio da un'invasione, dagli sguardi di chi si trovava nella stanza. Come si poteva stare a proprio agio sapendo che una persona stava osservando o che comunque era lì? Quel che voleva e a cui aveva pieno diritto era l'intimità. Non nutriva il minimo desiderio di intromettersi nella vita altrui; perché allora gli altri avrebbero dovuto farlo? Avrebbe sempre potuto rinunciare a un po' della sua intimità se, dopo aver conosciuto meglio le sue compagne, avesse ritenuto che ne valeva la pena, ma dubitava che fra le tre qualcuna potesse trasformarsi così tanto da indurla a pensare che ne valesse la pena. Poche cose avevano valore, riflettè Mrs Fisher, oltre al passato. La superiorità del passato rispetto al presente la sorprendeva, era semplicemente incredibile. Quei suoi amici a Londra, persone integerrime della sua età, condividevano il suo stesso passato e potevano parlarne con lei, confrontarlo come faceva lei al chiassoso presente e ricordando i grandi, dimenticare per un attimo l'arida superficialità dei giovani, che nonostante la guerra sembravano affollare il mondo. Non era venuta via da questi amici, da queste persone mature con cui era piacevole conversare, per trascorrere il tempo in Italia a chiacchierare con tre donne di un'altra generazione e completamente prive di esperienza; era venuta via soltanto per sfuggire alle insidie di un aprile londinese. Quel che aveva detto alle due signore che erano andate da lei a Prince of Wales Terrace era vero: a San Salvatore desiderava solo starsene seduta in pace al sole a ricordare. Loro lo sapevano, glielo aveva detto; l'aveva dichiarato esplicitamente ed esse lo avevano capito perfettamente. Quindi aveva ragione ad aspettarsi che rimanessero dentro il salone rotondo senza uscire sui suoi merli a disturbarla. E se l'avessero fatto? Questo dubbio le rovinò la mattinata. Solo verso l'ora di pranzo trovò una via d'uscita. Suonò per chiamare Francesca e le ordinò in un italiano lento e maestoso di chiudere le imposte della porta a vetri nel salone rotondo. Quindi, recatasi con lei nella stanza, che era diventata ancora più buia, ma che grazie a questo buio completo, osservò Mrs Fisher rivolgendosi a Francesca la quale stava diventando loquace, sarebbe rimasta anche piacevolmente fresca, e dopo tutto la luce poteva filtrare dalle numerose feritoie ai muri… e cosa ne poteva lei se non ne entrava abbastanza, diede istruzioni di spostare un mobiletto davanti alla porta all'interno. Questo avrebbe scoraggiato l'uscita. Poi suonò per chiamare Domenico, e gli fece spostare un sarcofago pieno di fiori davanti alla porta all'esterno. Questo avrebbe scoraggiato l'entrata. «Nessuno, - disse esitando Domenico, - potrà più usare quella porta». «Nessuno, - disse Mrs Fisher con fermezza, - vorrà farlo». Si ritirò poi nel suo salotto, e da una sedia disposta in modo da poter osservare i suoi merli, di cui adesso si era appropriata interamente, rimase a guardarli con calma soddisfatta. Questo posto, riflettè serenamente, costava molto meno che l'albergo e, riuscendo a tenere lontane le altre, era anche infinitamente più piacevole. Pagava le sue stanze estremamente gradevoli, ora che vi si era sistemata - tre sterline la settimana, che significavano circa ottanta scellini il giorno: merli, torre d'osservazione e tutto quanto. In quale altro posto all'estero sarebbe riuscita a vivere per soli otto scellini il giorno, facendo il bagno tutte le volte che voleva? Naturalmente non sapeva ancora quanto avrebbe speso per i pasti, ma avrebbe procurato che si risparmiasse, insistendo affinchè la parsimonia fosse combinata alla qualità. Le due cose erano perfettamente compatibili se la persona incaricata ci stava attenta. La retribuzione della servitù, aveva appurato, era trascurabile grazie al cambio vantaggioso, pertanto l'unica preoccupazione rimaneva il cibo. Avesse notato segni di sperpero, avrebbe proposto che ognuna di loro consegnasse settimanalmente a Lady Caroline una somma ragionevole per le spese e quanto non veniva utilizzato doveva essere restituito, e se vi fosse stato sperpero, le spese in più le avrebbe sostenute il responsabile dell'approvvigionamento. Mrs Fisher era ricca e desiderava gli agi adatti alla sua età, ma detestava le spese. Era così ricca che volendo poteva andare a vivere in un quartiere elegante di Londra e viaggiare in Rolls–Royce. Ma questi non erano i suoi desideri. Una casa in un quartiere elegante e una Rolls–Royce richiedevano molta più vitalità di quanta fosse necessaria per la sola agiatezza. Proprietà simili andavano di pari passo con ogni sorta di preoccupazioni, e di conti, per giunta. Nella sobria oscurità di Prince of Wales Terrace poteva godere indisturbata di un'agiatezza parca ma autentica, senza essere derubata da servitori rapaci o assediata da postulanti, e alla fine della sua strada vi era una comodissima stazione di taxi. Le spese annuali erano limitate e la casa l'aveva ereditata; la morte l'aveva arredata per lei. In sala da pranzo camminava sul tappeto turco del padre; regolava le proprie giornate sul precisissimo orologio di marmo nero del caminetto, orologio che ricordava sin dall'infanzia; le pareti erano interamente ricoperte delle fotografie che i suoi illustri amici estinti avevano donato o a lei o a suo padre, tutte dedicate in basso, e le finestre erano nascoste da tende amaranto che aveva sempre visto arricchite ai lati da quegli stessi acquari a cui doveva le sue prime nozioni sulla vita marina, e dove nuotavano ancora lenti i pesci rossi della sua giovinezza. Erano ancora gli stessi pesci rossi? Non lo sapeva. Forse, come le carpe, sopravvivevano a tutti. Forse invece, col passare degli anni, ogni tanto si erano ritirati in quella vegetazione d'alto mare posta appositamente sul fondo, e altri li avevano rimpiazzati. Erano gli stessi pesci rossi, si domandava a volte contemplandoli durante i suoi pasti solitari, di quel giorno in cui Carlyle com'era nitido il ricordo - si era avvicinato a loro a grandi passi nel mezzo di una discussione particolarmente animata con suo padre, e incollerito li aveva fatti fuggire con un gran pugno sul vetro, e mentre scappavano aveva urlato: «Ah! Eccovi qui, diavoletti! Beati voi, che siete sordi e non potete sentire tutte queste maledette sciocchezze, le ciance e le bazzecole insensate che dice il vostro padrone!» O parole altrettanto efficaci. Caro Carlyle, dall'animo nobile! Così genuinamente esuberante, così vivace e sublime. Rude, se volete: sì, senza dubbio talvolta un po' rude, e spaventoso in un salotto, comunque sempre magnifico. Chi gli poteva stare al fianco oggi? Quale nome si poteva fare accanto al suo? Suo padre, che in quanto a fiuto non era secondo a nessuno, aveva detto: «Thomas è immortale». Ed eccola qui questa generazione, questa generazione meschina, che levava la sua debole voce solo per dubitare, oppure, peggio ancora, che non faceva neanche questo sforzo, che non si curava nemmeno - pareva incredibile, ma così le avevano riferito - di leggerlo. Neanche Mrs Fisher lo leggeva, ma nel suo caso era diverso. Lei lo aveva letto, certo che lo aveva letto! Non poteva non essere così: ecco, Teufelsdròck {6}! Ricordava molto bene un sarto che si chiamava così. Era tipico di Carlyle dare un nome del genere. Sì, lo aveva letto sicuramente, ma adesso era naturale che le sfuggissero i particolari. Il gong risuonò. Persa nei ricordi, Mrs Fisher non si era accorta che il tempo passava, e si affrettò in camera per lavarsi le mani e darsi una lisciata ai capelli. Non voleva arrivare in ritardo e dare il cattivo esempio, e magari trovare occupato il suo posto a capo–tavola. Non ci si poteva fidare dell'educazione delle giovani generazioni; soprattutto nel caso di quella Mrs Wilkins. Fu la prima, tuttavia, ad arrivare in sala da pranzo. Francesca, con un grembiule bianco, era in piedi con un enorme piatto di splendidi maccheroni caldi e fumanti, ma nessuno era lì a mangiarli. Mrs Fisher si sedette, con aria severa. Che maleducazione! «Servitemi», disse a Francesca, che pareva intendesse aspettare le altre. Francesca la servì. Tra tutte Mrs Fisher era quella che le piaceva meno, anzi, non le piaceva affatto. Era la sola delle quattro donne a non aver ancora sorriso. D'accordo che era anziana e non bella, d'accordo che perciò non avesse motivo di sorridere, ma le signore gentili sorridevano, con o senza motivo. Sorridevano, non perché fossero felici ma per fare felici gli altri. Delle quattro donne quindi, decise Francesca, questa era sicuramente la meno gentile, pertanto le servì i maccheroni sgarbatamente perché era incapace di nascondere i suoi sentimenti. Erano molto buoni, ma a Mrs Fisher non erano mai piaciuti i maccheroni, soprattutto questi lunghi a forma di vermi. Li mangiò con molta difficoltà: erano scivolosi, si dimenavano sfuggendole dalla forchetta e si accorgeva che ogni boccone la faceva apparire assai poco dignitosa perché c'era sempre una parte che riusciva a sfuggirle. Inoltre mentre li mangiava le veniva in mente Mr Fisher. Durante il loro matrimonio il suo comportamento era stato molto simile a quello dei maccheroni. Era scivolato via sfuggendole e facendola sentire poco dignitosa, e quando infine pensava di averlo in pugno, c'erano sempre e immancabilmente pezzetti di lui che, come adesso, le sfuggivano. Dalla credenza Francesca osservava scoraggiata Mrs Fisher alle prese con i maccheroni, e si scoraggiò ancora di più quando alla fine la vide tirare fuori il coltello e tagliarli a pezzetti. Mrs Fisher non sapeva come cavarsela diversamente. Sapeva che in una simile circostanza i coltelli erano fuori luogo, ma dopo un po', uno perdeva la pazienza! A Londra non permetteva che i maccheroni arrivassero in tavola; oltre che difficili da mangiare, non le piacevano neanche e avrebbe detto a Lady Caroline di non ordinarli più. Ci vorrebbero anni di pratica, meditò Mrs Fisher mentre li tagliava a pezzetti, anni vissuti in Italia per imparare il trucco. Browning mangiava i maccheroni in modo incantevole; ricordò di averlo visto un giorno, quando venne a pranzo da suo padre e gliene fu preparato un piatto in omaggio ai suoi legami con l'Italia. Affascinante, il modo in cui li portava alla bocca! Nessun inseguimento intorno al piatto, niente che scivolava dalla forchetta e quindi nessuna estremità penzolante: un semplice affondo, una stoccata, una rapida torsione e un solo boccone, ed ecco, un altro poeta era stato nutrito! «Devo andare a cercare la signorina?», chiese Francesca, che non sopportava più di vedere tagliare col coltello quegli squisiti maccheroni. Mrs Fisher si staccò a fatica dai suoi ricordi. «Lo sa che il pranzo è alle dodici e trenta, - disse. - Lo sanno tutte». «Magari si è addormentata, disse Francesca. - Le altre signore si sono allontanate, lei invece è qui vicino». «Allora provi a suonare di nuovo il gong», disse Mrs Fisher. Che modi, pensò, che modi! Non era un albergo, e bisognava avere rispetto. Doveva ammettere che si stupì di Mrs Arbuthnot, le era sembrata una persona puntuale. E Lady Caroline: se non altro era parsa affabile ed educata. Dall'altra naturalmente, non ci si poteva aspettare nulla. Francesca andò a prendere il gong, lo portò in giardino e si avvicinò, continuando a farlo risuonare, a Lady Caroline, la quale, ancora allungata nella poltroncina, attese che si interrompesse, poi si voltò e con estrema dolcezza espresse ciò che pareva musica ma era invece un rimprovero. Francesca non si accorse che da quelle labbra fluiva un rimprovero; come avrebbe potuto, quando aveva un suono come quello? e tutta sorridente, perché non poteva non sorridere guardando questa giovane signora, le disse che i maccheroni stavano diventando freddi. «Quando non vengo ai pasti è perché non desidero venirci, - disse irritata Scrap, - d'ora in poi non voglio più essere disturbata». «Non si sente bene?», chiese Francesca con apprensione ma senza riuscire a smettere di sorridere. Mai in vita sua aveva visto capelli così belli, sembravano puro lino, come i capelli dei bambini del nord. Una testa così piccola non poteva che ricevere benedizioni, sarebbe stata degna di portare l'aureola dei santi più benedetti. Scrap chiuse gli occhi e si rifiutò di rispondere. Fu un comportamento imprudente, perché ottenne l'effetto di convincere Francesca, che corse via tutta preoccupata per riferire a Mrs Fisher che non si sentiva bene. Mrs Fisher spiegò che il bastone le impediva di andare di persona da Lady Caroline e vi mandò le altre due signore giunte proprio allora, accaldate e senza fiato, scusandosi del ritardo; intanto lei passò alla portata successiva, che era una frittata dall'aspetto magnifico, piacevolmente rigonfia di piselli freschi. «Servitemi», comandò a Francesca che pareva intendesse di nuovo aspettare le altre. «Oh, perché non mi lasciano in pace… perché non vogliono lasciarmi in pace?» si chiese Scrap che sentendo altri scricchiolii di passi sulla ghiaia prima del prato, si accorse che qualcun altro si stava avvicinando. Questa volta tenne gli occhi chiusi. Perché mai doveva andare a pranzo se non ne aveva voglia? Questa non era una casa privata, e lei non era legata da alcun obbligo verso una padrona di casa insopportabile. Per ogni questione pratica San Salvatore era un albergo, e lei doveva essere libera di mangiare o di non mangiare come se si trovasse davvero in un albergo. Ma la sfortunata Scrap non poteva starsene seduta tranquillamente con gli occhi chiusi senza far nascere in chi la vedeva il desiderio di accarezzarla e coccolarla, cosa a cui era sin troppo abituata. Anche la cuoca l'aveva accarezzata. E ora una mano delicata le si era posata sulla fronte… Come conosceva bene le mani delicate, e come le temeva! «Temo che non stiate bene», disse una voce che non era quella di Mrs Fisher e doveva quindi appartenere a una delle due eccentriche. «Ho mal di testa», mormorò Scrap. Forse conveniva dire così; forse quello era il modo migliore per tagliar corto e starsene in pace. «Mi dispiace davvero tanto», disse piano Mrs Arbuthnot, poiché era sua la mano delicata. «E io, - disse Scrap tra sé, - che pensavo che venendo qui sarei sfuggita alle madri!» «Non pensate che un po' di té vi farebbe bene?» chiese Mrs Arbuthnot con tenerezza. Té? La sola idea la disgustava. Bere del té con questo caldo, e a metà giornata… «No», mormorò. «Sono certa che la cosa che più vorrebbe, - disse un'altra voce, - è essere lasciata in pace». Che saggia, pensò Scrap, e aprì leggermente un occhio per vedere chi stesse parlando. Era l'eccentrica con le lentiggini. La bruna, perciò, era quella della mano. Quella con le lentiggini si guadagnò la sua stima. «Non posso sopportare l'idea che abbiate mal di testa e non si faccia niente, - disse Mrs Arbuthnot. - Forse una tazza di caffè forte…?» Scrap non parlò. Attese, immobile e muta, che Mrs Arbuthnot togliesse la mano. In fin dei conti, non poteva rimanere lì tutto il giorno, e quando se ne fosse andata avrebbe dovuto portare con sé anche la mano. «Penso proprio, - disse quella con le lentiggini, - che voglia solo starsene in pace». Forse quella con le lentiggini tirò per la manica quella della mano perché la mano fu ritirata dalla fronte di Scrap e, dopo un minuto di silenzio, durante il quale di sicuro la stavano contemplando -c'era sempre qualcuno che la contemplava - essa sentì di nuovo lo scricchiolio di passi sui ciottoli, che si attenuò fino a scomparire. «Lady Caroline ha mal di testa», disse Mrs Arbuthnot, rientrando in sala da pranzo e sedendo al proprio posto accanto a Mrs Fisher. «Non riesco a convincerla neanche a prendere un té, o del caffè. Sapete come si dice aspirina in italiano?» «La cura più adatta per il mal di testa, - disse Mrs Fisher severa, - è l'olio di ricino». «Ma non ha mal di testa», disse Mrs Wilkins. «Carlyle, - disse Mrs Fisher, che aveva finito la sua frittata e poteva parlare nell'attesa della portata successiva, - per un certo periodo soffrì di terribili mal di testa e per curarsi prese costantemente l'olio di ricino. Lo prese, oserei dire, quasi con smoderatezza; seguendo la sua divertente abitudine, gli cambiò nome e lo chiamò, ricordo bene, l'olio del dolore. Mio padre disse che per un periodo influenzò la sua visione della vita, la sua filosofia. Ma questo accadde perché ne prese troppo. Ciò che serve a Lady Caroline è una dose, una soltanto. E sbagliato prenderne di continuo». «Sapete come si dice in italiano?» chiese Mrs Arbuthnot. «Ah, temo di no. Comunque, lo saprà lei. Potete chiederglielo». «Ma non ha mal di testa, - ripetè Mrs Wilkins, lottando con i maccheroni. - Vuole solo essere lasciata in pace». Si girarono tutte e due a guardarla. Vedendo Mrs Wilkins in azione, a Mrs Fisher venne in mente il termine ingozzarsi. «Allora perché dovrebbe dire che ce l'ha?» chiese Mrs Arbuthnot. «Perché sta ancora sforzandosi di essere gentile. Tra un po' non dovrà più farlo, quando questo posto avrà fatto effetto su di lei lo sarà davvero. Senza sforzi, spontaneamente». «Deve sapere che Lotty, - spiegò Mrs Arbuthnot, sorridendo a Mrs Fisher, seduta impietrita aspettando pazientemente la portata successiva, che ritardava perché Mrs Wilkins continuava con i maccheroni, meno invitanti che mai adesso che erano anche freddi, - deve sapere che Lotty ha una sua teoria su questo posto…» Ma Mrs Fisher non aveva il minimo desiderio di sentire nessuna teoria di Mrs Wilkins. «Davvero non so, - interruppe, guardando con severità Mrs Wilkins, - perché dovete presumere che Lady Caroline non dica la verità». «Non lo presumo… lo so», disse Mrs Wilkins. «E di grazia, come fate a saperlo?» chiese Mrs Fisher gelidamente, poiché Mrs Wilkins si stava servendo di altri maccheroni che le erano stati offerti una seconda volta da Francesca in modo davvero inopportuno. «Proprio ora, quando sono uscita, ho visto dentro di lei». Mrs Fisher non aveva nessuna intenzione di continuare a parlarne, di prendersi la briga di replicare a una idiozia bell'e buona. Improvvisamente diede invece un colpo al piccolo gong da tavolo accanto a lei, nonostante Francesca fosse in piedi vicino alla credenza, e disse, stufa di aspettare la portata successiva: «Servitemi». E Francesca forse intenzionalmente - le offrì di nuovo i maccheroni. A San Salvatore non c'era modo di entrare o uscire dal giardino più alto se non attraverso le due porte a vetri della sala da pranzo e dell'atrio, che purtroppo erano una di fianco all'altra. Non ci si poteva allontanare dal giardino senza essere visti, senza incontrare lungo il percorso la persona che si voleva evitare. Era un giardino piccolo e oblungo, in cui era impossibile nascondersi. Tutti gli alberi - l'albero di Giuda, la tamarice e il pino a ombrello - crescevano vicino ai bassi parapetti. I cespugli di rose non offrivano riparo; un passo a destra o a sinistra e chi cercava di rimanere nascosto era scoperto. Solo nell'angolo a nord–ovest vi era un cantuccio che sporgeva dal muraglione, una sorta di escrescenza o di occhiello, senza dubbio usato per stare di vedetta nei giorni insidiosi di una volta, e dove ci si poteva sedere al sicuro senza essere scorti, perché tra questo e la casa c'era una fitta macchia di dafne. Scrap, dopo essersi guardata intorno per assicurarsi che nessuno la stesse osservando, si alzò e portò là la sedia con fare circospetto e in punta di piedi, quasi si trattasse di un ladro malintenzionato. Nell'angolo a nord– est delle mura vi era un'escrescenza analoga, che tuttavia, nonostante godesse di una vista quasi migliore, perché si potevano vedere la baia e le incantevoli montagne dietro a Mezzago, era esposta allo sguardo di tutti. Non vi crescevano cespugli, né vi erano recessi. L'ansa a nord–ovest fu così quella dove si sarebbe seduta: vi si sistemò, appoggiò la testa sul cuscino e poggiando comodamente i piedi sul parapetto - che agli abitanti del villaggio sottostante parvero, dalla piazza, due colombe bianche - pensò che adesso sarebbe stata sicuramente al sicuro. Mrs Fisher, guidata dall'odore della sigaretta, la trovò lì. L'imprudente Scrap non ci aveva pensato. Mrs Fisher non fumava, e sentiva ancora più distintamente l'odore del fumo. S'imbattè in quell'odore forte subito dopo pranzo, appena uscì in giardino dalla sala da pranzo per prendere il caffè. Aveva ordinato a Francesca di servire il caffè all'ombra della casa, appena fuori della porta a vetri, e quando Mrs Wilkins vedendo che veniva portato là un tavolino le ricordò, secondo Mrs Fisher in modo importuno e privo di tatto, che Lady Caroline voleva essere lasciata sola, ribattè - e come aveva ragione! - che il giardino era di tutti. Quindi vi si recò e si accorse immediatamente che Lady Caroline stava fumando. Disse tra sé: «Queste giovani moderne», e proseguì nella sua ricerca; il bastone, adesso che il pranzo era terminato, non era più un intralcio all'azione, come lo era stato prima che il pasto fosse stato, come disse Browning una volta - era davvero Browning? sì, ricordò come l'aveva fatta divertire - fermamente assicurato. Nessuno riusciva più a divertirla, riflettè Mrs Fisher, dirigendosi difilato verso la macchia di dafne; il mondo era diventato noioso, aveva perso completamente il senso dell'umorismo. Forse queste persone sapevano ancora scherzare, - in effetti sapeva che lo facevano, poiché il «Punch» continuava a uscire; ma com'era diverso, e che scherzi. Thackeray, in quel suo modo impareggiabile, avrebbe fatto polpette di questa generazione, la quale naturalmente non si rendeva neanche conto del bisogno che aveva delle proprietà corroboranti di quella penna severa. E che non nutriva neanche più - almeno così le era stato riferito - la minima stima per lui. Be', non poteva essere lei a dare a questa generazione occhi per vedere, né orecchie per sentire o un cuore per capire, ma poteva e voleva darle, e Lady Caroline la impersonava e ne era la diretta rappresentante, una buona dose di una sana medicina. «Ho sentito che non vi sentite bene», disse, rimanendo in piedi nello stretto accesso al suo nascondiglio e guardando in basso verso Scrap, immobile ed evidentemente addormentata, con l'espressione inflessibile di chi è determinato a fare del bene. Mrs Fisher possedeva una voce profonda, molto simile a quella di un uomo, perché era stata sorpresa da quella strana mascolinità che talvolta perseguita le donne nelle ultime tappe della vita. Scrap faceva finta di dormire, ma in quel caso la sigaretta non sarebbe stata tra le sue dita, ma per terra. Se n'era dimenticata. Ma non Mrs Fisher, che entrò e si sedette su uno stretto sedile di pietra scavato nel muro. Per un po' poteva stare seduta, per un po', finché il freddo non si fosse fatto sentire. Contemplò la figura che aveva di fronte. Era indubbiamente una bella creatura, che a Farringford avrebbe avuto successo. Strano come anche i più grandi uomini fossero attratti facilmente dall'aspetto esteriore. Aveva visto coi suoi occhi Tennyson allontanarsi da tutti, voltare la schiena, nel vero senso della parola, a una folla di persone eminenti riunite per onorarlo, e appartarsi nel vano di una finestra con una giovane di cui nessuno aveva mai sentito parlare, che era là casualmente e il cui solo merito - se può essere un merito ciò che viene conferito dal caso - era la bellezza. Bellezza! Di fronte a te tutto si trasforma! Questione, si potrebbe quasi dire, di minuti. Be', finché durava sembrava capace di fare degli uomini ciò che voleva. E neanche gli uomini sposati ne erano immuni. Vi erano stati episodi nella vita di Mrs Fisher… «Credo che il viaggio vi abbia agitata, - disse con quella sua voce profonda. - Ciò di cui avete bisogno è una buona dose di una medicina semplice. Chiederò a Domenico se in paese è possibile trovare dell'olio di ricino». Scrap aprì gli occhi e guardò dritto Mrs Fisher. «Ah, - esclamò Mrs Fisher, sapevo che non dormivate. Altrimenti avreste lasciato cadere la sigaretta». Scrap gettò la sigaretta al di là del parapetto. «Che spreco, - disse Mrs Fisher. Non mi piacciono le donne che fumano, ma ancora meno mi piace lo spreco». «Cosa si fa con una persona così?» si domandò Scrap, gli occhi fissi su Mrs Fisher con uno sguardo che credeva sdegnato ma che a Mrs Fisher sembrò esprimere un'affascinante arrendevolezza. «Adesso dovete seguire il mio consiglio, - disse Mrs Fisher preoccupata, - e non trascurate ciò che potrebbe benissimo trasformarsi in una vera e propria malattia. Siamo in Italia, sapete, e bisogna avere riguardo. Tanto per cominciare, dovreste andare a riposarvi». «Non vado mai a riposarmi», sbottò Scrap; e le sue parole suonarono commoventi e sconsolate come quelle che molti anni addietro aveva pronunciato un'attrice nella parte della Povera Jo in una versione teatrale di Bleak House: «Sono sempre in cammino», diceva la Povera Jo in questa rappresentazione, incalzata da un poliziotto; e Mrs Fisher, che allora era ragazza, aveva posato il capo sul parapetto di velluto rosso del palco e aveva pianto singhiozzando. La voce di Scrap era incantevole. Le aveva ottenuto, nei dieci anni della sua vita in società, tutti i trionfi che possono derivare dall'intelligenza e dall'ingegno, perché rendeva memorabile ogni sua parola. Avrebbe dovuto diventare una cantante, con corde vocali come quelle, ma in ogni genere di musica Scrap era muta, tranne quando parlava con la sola musica della sua voce; di che fascino, di che magia era pervasa! Il suo volto era così aggraziato e il colorito così bello che non esisteva uomo nei cui occhi, vedendola, non si accendesse la fiamma del più vivo interesse; ma quando udiva la sua voce, la fiamma negli occhi di quell'uomo veniva catturata e fissata. Era lo stesso con ogni sorta di uomini, istruiti o incolti, vecchi, giovani, attraenti o sgradevoli, uomini del suo ambiente o conducenti d'autobus, generali o soldati semplici - per lei il periodo della guerra era stato molto imbarazzante - vescovi come pure sagrestani - durante la sua cresima erano accaduti fatti sorprendenti -, integri o corrotti, ricchi o squattrinati, brillanti o stupidi; e non faceva affatto differenza che cosa facessero, da quanto tempo fossero sposati, e con quale risultato; negli occhi di tutti loro, quando la vedevano, si accendeva questa fiamma, e quando la sentivano parlare la fiamma vi rimaneva. Scrap ne aveva abbastanza di questi sguardi. Le creavano soltanto difficoltà. All'inizio l'avevano divertita: ne usciva eccitata e trionfante. Apparire incapace di dire o fare una sola cosa sbagliata, essere applaudita, ascoltata, coccolata, adorata dovunque andasse, e tornando a casa non trovarvi che affetto orgoglioso e benevolo; oh, sì, com'era piacevole! E poi era così facile. Non serviva prepararsi per una simile conquista, non si doveva faticare né c'era qualcosa da imparare. Non c'era bisogno di preoccuparsi. Doveva solo apparire e dire subito qualcosa. Ma a poco a poco fece esperienza. Dopo tutto, era costretta a preoccuparsi, e sforzarsi perché, come scoprì con rabbia e stupore, doveva difendersi. Sapeva che quegli sguardi, sguardi insistenti, l'avrebbero imprigionata. Alcuni di quegli uomini erano più umili di altri, soprattutto se erano giovani, ma tutti quanti, ognuno con le proprie diverse possibilità, la imprigionavano; e lei, che aveva fatto il suo ingresso nel mondo con tanta allegria, a testa alta e con cieca fiducia in ogni persona con i capelli grigi, cominciò a diffidare, a disprezzare, e presto a sgusciare via da chiunque e a diventare subito sdegnosa. A volte sembrava che lei non appartenesse più a se stessa, che non fosse interamente sua, ma fosse considerata un oggetto universale, una sorta di bellezza per gli altri. Davvero gli uomini… si ritrovò coinvolta in liti strane e confuse, curiosamente si ritrovò a essere odiata. E le donne… quando sopraggiunse la guerra lei vi si gettò a capofitto, come tutti gli altri, e ne uscì distrutta. E i generali… La guerra distrusse Scrap. Uccise l'unico uomo con cui si sentiva al sicuro e che avrebbe sposato, la guerra arrivò a farle detestare l'amore. Da allora non provò che amarezza. Lottava tra le dolcezze della vita con la stessa rabbia di una vespa imprigionata nel miele, e altrettanto disperatamente tentava di scollare le ali. Non le dava alcun piacere il fatto di superare le altre donne, i loro uomini fastidiosi proprio non li desiderava. E che farsene degli uomini una volta conquistati? Nessuno di loro le parlava mai di niente se non d'amore, e dopo un po' questo diventava ridicolo e faticoso. Era come se a una persona sana con un appetito normale non venisse dato da mangiare altro che zucchero. Amore, amore… la sola parola le faceva venire voglia di prendere a schiaffi qualcuno. «Perché dovrei amarvi? Perché mai?» domandava a volte stupita quando qualcuno tentava - vi era sempre qualcuno che tentava di chiederle la mano. Ma non otteneva mai una risposta vera, soltanto altra incoerenza. Un profondo cinismo s'impossessò dell'infelice Scrap. Nel suo intimo invecchiò per la delusione, mentre il suo aspetto grazioso e affascinante continuava a rendere il mondo più bello. Che cosa aveva in serbo per lei il futuro? Non sarebbe stata capace, dopo simili premesse, di padroneggiarlo. Non era adatta a niente; aveva sprecato tutto il suo tempo a essere bella. Tra poco la bellezza sarebbe scomparsa, e allora? Scrap non sapeva cosa sarebbe accaduto, e il solo pensiero la atterriva. Pur essendo stufa di attirare l'attenzione, nondimeno ne era abituata, non aveva mai conosciuto nient'altro; e forse sarebbe stato ben doloroso non dare più nell'occhio, diventare insignificante, scialba e spenta. E una volta cominciato, quanti anni, anni interminabili, ci sarebbero stati! Come immaginare, pensò Scrap, di trascorrere la maggior parte della propria vita dalla parte sbagliata. Come immaginare di essere vecchi il doppio o il triplo di quel che si è stati giovani. Assurdo, assurdo, era tutto assurdo. Non c'era una sola cosa che volesse fare. E mille che non voleva fare. La fuga, il silenzio, l'invisibilità, se possibile l'inconsapevolezza - questi rifiuti erano tutto ciò che chiedeva in quel momento; e qui, persino qui, non le era concesso un attimo di pace, e questa ridicola donna doveva venire da lei fingendo di credere che lei si sentisse male, soltanto per il suo desiderio di imporsi, di farla andare a letto e di farle bere - che disgusto! dell'olio di ricino. «Sono sicura, - disse Mrs Fisher, che cominciava a sentire il freddo della pietra e sapeva che non sarebbe riuscita a stare seduta ancora per molto, - che farete la cosa più ragionevole. Vostra madre di sicuro lo vorrebbe… avete una madre?» Una meraviglia indistinta velò gli occhi di Scrap. Avete una madre? Se c'era qualcuno che aveva una madre, questa era Scrap. Non le era mai venuto in mente che ci potesse essere qualcuno che non aveva mai sentito parlare di sua madre, una marchesa molto importante - c'erano infatti, e nessuno lo sapeva meglio di Scrap, marchese e marchese - che aveva occupato posizioni di rilievo a corte. Anche suo padre ai suoi tempi era stato molto importante; ma ormai era acqua passata, povero caro, perché in guerra aveva commesso alcuni gravi errori, senza contare che adesso era vecchio; eppure continuava a rimanere una persona molto nota. Com'era riposante, straordinariamente riposante, aver trovato qualcuno che non aveva mai sentito parlare di nessuno dei suoi, o che almeno non la aveva ancora associata a loro. Mrs Fisher cominciò a piacerle. Forse neanche le due eccentriche sapevano nulla di lei. La prima volta che aveva scritto loro, firmandosi col proprio nome - il grande nome dei Dester, intrecciato alla storia inglese con un filo di sangue, perché chi lo portava era inesorabilmente causa di morte - aveva dato per scontato che dovessero sapere chi fosse; e al colloquio in Shaftesbury Avenue ne aveva avuto conferma, perché non avevano chiesto, come altrimenti avrebbero fatto, nessuna referenza. Scrap cominciò a rallegrarsi. Se a San Salvatore nessuno aveva mai sentito parlare di lei, se per un mese intero fosse riuscita a lasciarsi andare, a liberarsi di ogni cosa legata alla sua vita, se le fosse stato concesso davvero di dimenticare i legami, gli impegni e tutto quel chiasso, forse allora avrebbe potuto, in fin dei conti, fare qualcosa di se stessa. Avrebbe potuto pensare, schiarirsi le idee, giungere a una conclusione. «Quel che voglio qui…, - disse sporgendosi in avanti sulla sedia, cingendosi le ginocchia con le mani e guardando Mrs Fisher seduta più in alto di lei, e parlando quasi con fervore talmente era contenta che Mrs Fisher non sapesse nulla di lei, - … è arrivare a una conclusione. Nient'altro. Non pretendo molto, vero? Voglio soltanto questo». Fissò Mrs Fisher, e pensò che forse si sarebbe accontentata di qualsiasi conclusione; l'importante era impossessarsi di qualcosa, prendere una cosa e tenerla stretta, smetterla di lasciarsi trasportare. Gli occhietti di Mrs Fisher la scrutarono. «Direi, - disse, - che ciò di cui ha bisogno una giovane come voi sono un marito e dei bambini». «Bene, è una delle cose che prenderò in considerazione, - disse Scrap affettuosamente, - ma non credo che potrà costituire una conclusione». «E nel frattempo, - disse Mrs Fisher alzandosi, perché adesso sentiva tutto il freddo della pietra, - se fossi in voi non mi romperei la testa con tante considerazioni e conclusioni. La testa delle donne non è fatta per troppi pensieri, ve lo assicuro. Andrei a letto per rimettermi in sesto». «Ma io sto bene», disse Scrap. «Allora perché avete fatto dire che stavate male?». «Non è vero che l'ho fatto». «Quindi mi sono data la pena di venire fin qui per niente». «Ma non è meglio essere venuta fin qui e aver scoperto che sto bene anziché male?» chiese Scrap, sorridendo. Quel sorriso riuscì a conquistare anche Mrs Fisher. «D'accordo, siete una bella creatura, - disse con indulgenza. - E un peccato che non siate nata cinquant'anni fa. Ai miei amici sarebbe piaciuto guardarvi». «Sono molto contenta che non sia accaduto, - aggiunse Scrap. - Non amo che mi si guardi». «Che assurdità, - disse Mrs Fisher, tornando severa. - È a questo che servite, voi e tutte le giovani come voi. Per cos'altro, di grazia? E vi assicuro che se i miei amici vi avessero guardata, vi avrebbero guardata persone molto importanti». «Non mi piacciono le persone importanti», disse Scrap, accigliata. Da poco era accaduto un incidente: dei veri altolocati… «Ciò che non piace a me, - disse Mrs Fisher, diventata fredda come la pietra dalla quale si era alzata, - è l'atteggiamento delle giovani di oggi. Mi sembra penoso, sicuramente penoso, nella sua stupidità». E facendo scricchiolare i ciottoli col bastone si allontanò. «Finalmente!», disse tra sé Scrap, ritornando alla sua comoda posizione con la testa nel cuscino e i piedi sul parapetto; bastava che le persone se ne andassero, non le importava minimamente la ragione per la quale lo facessero. «Non pensi che la cara Scrap stia diventando un po' strana, appena un pochino?» aveva chiesto sua madre a suo padre poco prima di quell'ultima stranezza della fuga a San Salvatore; la madre era impensierita per le stranezze che diceva Scrap e per l'abitudine che aveva preso di dileguarsi ogni volta che poteva evitando chiunque tranne - un segno dell'età - gli uomini giovani, quasi ragazzini. «Eh? Cosa? Strana? Be', lascia che sia strana, se le piace. Una donna con quell'aspetto può permettersi di essere tutto ciò che vuole!» fu la risposta appassionata. «Ma io la lascio fare», disse la madre con sottomissione; e in caso contrario, cosa sarebbe cambiato? A Mrs Fisher dispiaceva di aver importunato Lady Caroline. Attraversò l'atrio dirigendosi verso il suo salotto privato e mentre camminava, colpiva con il bastone il pavimento di pietra con un vigore che si accordava ai suoi sentimenti. Davvero stupidi questi atteggiamenti. La facevano spazientire. Incapaci di essere o di fare qualcosa di se stessi, i giovani di questa generazione tentavano di dimostrare la loro intelligenza denigrando tutto ciò che era di grandezza e importanza indiscutibile e lodando tutto ciò che, nonostante il valore discutibile, era diverso. Scimmiotti, pensò Mrs Fisher, irritata. Scimmiotti, sono solo scimmiotti. E nel suo salotto ne trovò altri, o così le parvero, dato l'umore di quel momento, perché vi era Mrs Arbuthnot che beveva tranquillamente una tazza di caffè, mentre allo scrittoio, lo scrittoio che lei aveva già decretato essere sacro, sedeva Mrs Wilkins, e stava scrivendo con la sua penna, la sua penna personale che si era portata appositamente da Prince of Wales Terrace; era al tavolino, nella sua stanza e con la sua penna. «Non è un posto incantevole?, disse Mrs Arbuthnot cordialmente. Lo abbiamo appena scoperto». «Sto scrivendo a Mellersh», disse Mrs Wilkins, altrettanto cordialmente e voltandosi. Come se, pensò Mrs Fisher, le importasse qualcosa di sapere a chi scrivesse Mrs Wilkins e se comunque conoscesse la persona che lei aveva chiamato Mellersh. «Vorrà sapere, - disse Mrs Wilkins, che l'ambiente rendeva ottimista, - se sono arrivata qui sana e salva». I dolci profumi che si sentivano ovunque a San Salvatore bastavano da soli a creare armonia. Arrivavano al salotto dai fiori dei merli e s'incontravano con quelli dei fiori presenti nella stanza; pareva quasi di vederli, pensò Mrs Wilkins, mentre si salutavano con un bacio divino. Chi poteva essere arrabbiato in mezzo a tanta grazia? Chi, in una simile profusione di bellezza, poteva essere avido o egoista, al modo in cui lo era nella vecchia, inasprita Londra? Eppure Mrs Fisher sembrava essere tutte e tre le cose. La bellezza era tale e tanta da superare di gran lunga le esigenze di ciascuno, sicché il tentativo di accaparrarsela appariva inutile. Eppure era quel che cercava di fare Mrs Fisher, che se ne era ritagliata una parte per il suo esclusivo godimento. Be', avrebbe smesso presto, dopo qualche giorno trascorso nella straordinaria pace di quel luogo, doveva smettere per forza, Mrs Wilkins ne era certa. Intanto però quel momento era ancora lontano per Mrs Fisher, che continuava a rimanere in piedi fissando lei e Rose con un'espressione di rabbia negli occhi. La rabbia, che assurdità! Uno di quei sentimenti sciocchi ed esasperanti della vecchia Londra, pensò Mrs Wilkins, che si immaginava la stanza traboccante di quei baci, grandi baci per tutti, sia per Mrs Fisher sia per lei e Rose. «Non siete contenta di trovarci qui, - osservò Mrs Wilkins, alzandosi e, com'era sua abitudine, dicendo subito le cose come stavano. Perché?» «Pensavo, - disse Mrs Fisher appoggiandosi al bastone, - che vi sareste accorte che questa era la mia stanza». «Alludete di certo alle fotografie», disse Mrs Wilkins. Anche Mrs Arbuthnot si alzò, un po' rossa in viso e con un'espressione sorpresa. «E la carta da lettere, - disse Mrs Fisher. - La carta da lettere con il mio indirizzo di Londra. Quella penna…» La indicò. Mrs Wilkins la teneva ancora in mano. «È vostra? Mi dispiace davvero», disse Mrs Wilkins posandola sul tavolino. E sorridendo aggiunse che con quella penna aveva appena scritto delle parole molto affettuose. «Ma perché, - chiese Mrs Arbuthnot, che non si rassegnava ad accettare le disposizioni di Mrs Fisher senza discutere, - non dovremmo rimanere qui? Questo è un salotto». «Ce n'è un altro, - replicò Mrs Fisher. - Voi e la vostra amica non potete occupare due salotti contemporaneamente, e se io non mi permetto di disturbarvi nel vostro non vedo per quale ragione voi dovreste disturbare me nel mio». «Ma perché…», riprese Mrs Arbuthnot. «È semplice», la interruppe Mrs Wilkins, visto che Rose si ostinava; e rivolgendosi a Mrs Fisher disse che sebbene fosse piacevole condividere le cose con i propri amici, comprendeva che lei, attaccata com'era agli usi di Prince of Wales Terrace, per ora non volesse farlo, ma era sicura che in poco tempo li avrebbe superati e si sarebbe sentita un'altra. «Presto sarete voi a chiedercelo, -disse Mrs Wilkins in tono rassicurante. - Arriverete addirittura a chiedermi di usare la vostra penna, sapendo che non ne possiedo una». Queste parole colpirono Mrs Fisher fino quasi a farle perdere il controllo di sé. Una donna giovane e instabile di Hampstead che le dava colpetti gioviali sulle spalle, convinta che molto presto sarebbe migliorata! Be', questa donna la irritava profondamente, più di qualunque altra cosa da quando aveva scoperto che Mr Fisher non era ciò che sembrava. Bisognava assolutamente tenere a freno Mrs Wilkins. Ma come? In lei vi era qualcosa di impenetrabile. Adesso, per esempio, sorrideva con un viso così amabile e sereno, come se quel che diceva non fosse minimamente inopportuno. Avrebbe capito che doveva trattenersi? E se non l'avesse capito? Se fosse stata troppo insensibile per rendersene conto? Allora, non rimaneva che evitarla, standosene in pace nel proprio salotto. «Sono una donna anziana, disse Mrs Fisher, - e ho bisogno di una stanza per me. A causa del bastone non posso andare in giro, quindi devo stare seduta. E perché non potrei starmene seduta tranquilla e indisturbata, come a Londra vi dissi che volevo fare? Con un simile viavai di gente che per tutto il giorno chiacchiera e lascia le porte aperte, il patto secondo cui io dovevo stare tranquilla non viene rispettato». «Ma noi non vogliamo assolutamente…» iniziò Mrs Arbuthnot, e venne di nuovo interrotta da Mrs Wilkins. «Siamo davvero molto contente, - disse Mrs Wilkins, - che abbiate questa stanza, se ciò vi può fare felice. Non lo sapevamo, tutto qui. Altrimenti, non saremmo mai entrate… perlomeno non fino a che non ci avreste invitate voi. E credo, concluse fissando Mrs Fisher con un'espressione gioiosa, - che lo farete presto». E raccolta la sua lettera prese per mano Mrs Arbuthnot e la condusse verso la porta. Mrs Arbuthnot non voleva andarsene. Lei, la più mite delle donne, fu pervasa da uno strano desiderio, sicuramente poco cristiano, di restare a lottare. Certo non per davvero, né con parole aggressive. No, avrebbe soltanto voluto far ragionare Mrs Fisher, con calma. Sentiva che bisognava dire qualcosa, che non doveva lasciarsi rimproverare e mandar fuori come una scolaretta sorpresa dall'Autorità a comportarsi male. Mrs Wilkins, invece, fu risoluta nel condurla alla porta e a farla uscire, e ancora una volta Rose si meravigliò di Lotty, del suo equilibrio, del suo temperamento dolce e sereno, proprio lei che in Inghilterra era spesso preda di accessi d'ira. Da quando erano arrivate in Italia, era stata Lotty a sembrare la più vecchia. Si sentiva certo molto felice, anzi, beata. Ma la felicità proteggeva davvero le persone in modo così totale? Le rendeva davvero tanto sagge e invulnerabili? Anche Rose era felice, ma niente a che vedere con quella felicità. Ed era evidente, non solo perché voleva combattere con Mrs Fisher, ma anche perché sentiva il bisogno di qualcos'altro, qualcosa di più di questo luogo incantevole, qualcosa che lo completasse: voleva Frederick. Per la prima volta in vita sua era circondata dalla bellezza assoluta, e il suo unico pensiero era di mostrarla a lui, di condividerla con lui. Voleva Frederick, lo desiderava ardentemente. Oh! Se solo Frederick… «Povera vecchina, - disse Mrs Wilkins, chiudendo delicatamente la porta su Mrs Fisher e sul suo trionfo. - Che assurdità in una giornata simile». «È una vecchina molto sgarbata», disse Mrs Arbuthnot. «Le passerà. Mi dispiace che abbiamo scelto di andare a sederci proprio nella sua stanza». «E di gran lunga la più bella, disse Mrs Arbuthnot. - E non è sua». «Oh, ma ci sono molti altri posti, e lei è così vecchierella, poveretta. Lasciamo che si prenda quella stanza. Che cosa ci importa?» E Mrs Wilkins disse che stava scendendo in paese in cerca dell'ufficio postale per imbucare la lettera a Mellersh, e che sarebbe stata contenta che Rose l'accompagnasse. «Ho pensato a Mellersh», disse Mrs Wilkins mentre camminavano una dietro l'altra per lo stretto sentiero a zigzag sul quale la notte precedente si erano arrampicate sotto la pioggia. La precedette, e Mrs Arbuthnot, con naturalezza, la seguì. In Inghilterra era esattamente il contrario: Lotty, timida ed esitante, tranne quando scoppiava in uno dei suoi discorsi impacciati, stava dietro alla calma e ragionevole Rose ogni volta che poteva. «Ho pensato a Mellersh», ripetè Mrs Wilkins voltandosi, perché sembrava che Rose non avesse sentito. «Davvero?» disse Rose con voce vagamente ostile, perché la sua esperienza con Mellersh non gliene rendeva gradevole il ricordo. Lo aveva ingannato, per questo non gli piaceva. Non si rendeva conto che era questo il motivo della sua avversione, e pensava invece che dipendesse dal fatto che le era sembrato lontano dalla Grazia di Dio, anzi, del tutto estraneo ad essa. Ma che brutto sentimento il suo, si rimproverò, e che arroganza! Senza dubbio il marito di Lotty era molto, molto più vicino a Dio di quanto probabilmente non lo fosse mai stata lei. Eppure non le piaceva. «Mi sono comportata come un cane», disse Mrs Wilkins. «Cosa?» si stupì Mrs Arbuthnot, non credendo alle sue orecchie. «Venire qui a godermi il paradiso lasciando lui in quel posto orrendo. Aveva deciso di portarmi in Italia per Pasqua. Te l'avevo detto?» «No», disse Mrs Arbuthnot, a dire il vero era stata lei a scoraggiare qualsiasi conversazione sui mariti. Ogni volta che Lotty aveva cominciato a fare dei cenni lei aveva cambiato immediatamente discorso. Sentiva che da un marito si sarebbe passati all'altro, sia nei discorsi sia nella vita, e lei non poteva né voleva parlare di Frederick. Non l'aveva mai nominato, se non per dire che esisteva. Di Mellersh invece, per via della sua opposizione, si era dovuto parlare per forza, ma lei era stata ben attenta che non si oltrepassassero i limiti della necessità. «Ebbene, proprio così, - disse Mrs Wilkins, - ed era la prima volta in vita sua che lo faceva, e io sono rimasta impressionata. Che strano… proprio quando anch'io avevo deciso di venirci». Si fermò sul sentiero e guardò in su verso Rose. «Sì», disse Rose, cercando di pensare a qualcos'altro di cui parlare. «Adesso capisci perché dico che mi sono comportata come un cane. Lui aveva deciso di venire in vacanza in Italia con me, e io avevo deciso di venire in vacanza in Italia lasciandolo a casa. Credo, - continuò, con gli occhi fissi su Rose, - che Mellersh abbia tutte le ragioni per essere arrabbiato e anche offeso». Mrs Arbuthnot era sorpresa, la straordinaria rapidità con cui Lotty, col passare delle ore e sotto i suoi occhi, diventava più altruista la sconcertava. Si stava trasformando in qualcosa di incredibilmente simile a una santa. Eccola lì a mostrare affetto per Mellersh, che soltanto quella mattina, mentre stavano con i piedi nel mare, le era sembrato una mera iridescenza, una vaga foschia, come le aveva detto Lotty. Questo era accaduto soltanto quella mattina, ma già dopo pranzo Lotty era così mutata che lo trovava di nuovo concreto e gli scriveva una lunga lettera. E adesso, pochi minuti dopo, annunciava che lui aveva tutte le ragioni per essere arrabbiato con lei e offeso, e che si era comportata l'espressione era insolita, ma esprimeva un vero pentimento - come un cane. Rose la fissò sorpresa. Di questo passo presto avrebbe avuto un'aureola sulla testa, anzi, pareva che ci fosse già, se non si fosse saputo che era il sole che, insinuandosi tra gli alberi, le accendeva i capelli fulvi. Un grande desiderio d'amore e d'amicizia, di amare ed essere amica di chiunque, sembrava pervadere Lotty, un desiderio di bontà assoluta. Secondo l'esperienza di Rose, la bontà la si raggiungeva, si riusciva a essere buoni, soltanto attraverso fatiche e sofferenze. Ci voleva molto tempo; in realtà, non la si raggiungeva mai oppure, se per un solo istante si riusciva, era solo per quell'unico istante. Ci voleva una perseveranza disperata per lottare lungo il suo cammino, e la strada era punteggiata da dubbi. Lotty invece la percorreva svolazzando con leggerezza. Di sicuro, pensò Rose, non si era liberata della sua impulsività, che aveva solo preso un'altra direzione. Ora stava impulsivamente diventando una santa. Si poteva davvero raggiungere la bontà in modo così violento? Non vi sarebbe stata una reazione altrettanto violenta? «Non sarei… - esitò Rose, guardando in basso gli occhi luccicanti di Lotty, il sentiero era molto ripido così che Lotty era molto più in basso di lei, - Non ne sarei troppo sicura». «Ma io sì, e gli ho scritto per dirglielo». Rose sbarrò gli occhi. «Ma se solo questa mattina…», iniziò. «E tutto qui dentro», la interruppe Lotty picchiettando sulla busta con espressione compiaciuta. «Come… tutto?» «Vuoi sapere se gli ho detto dell'annuncio e del fatto che spendo i miei risparmi? Oh, no, quello no… non ancora. Ma gli dirò tutto appena arriva». «Appena arriva?» ripetè Rose. «L'ho invitato a venire a stare qui con noi». Rose non poteva che continuare a sbarrare gli occhi. «È il minimo che possa fare. E poi… guarda tutto questo, - Lotty fece un gesto con la mano. - E disgustoso non condividerlo. Mi sono comportata come un cane andandomene e lasciandolo solo ma, che io sappia, nessun cane si è mai comportato tanto male quanto farei io se non cercassi di convincere Mellersh a raggiungermi e a godere anche lui di tutto questo. E il minimo che anche lui possa approfittare del mio gruzzoletto. Dopo tutto, mi ha dato un tetto e mi ha nutrita per anni. Non bisogna essere meschini». «Ma… pensi che verrà?» «Oh, lo spero tanto», disse Lotty con la massima sincerità, e aggiunse: «Povero agnellino». Al che Rose sentì di doversi sedere. Mellersh un povero agnellino? Quello stesso Mellersh che qualche ora prima non era che un lontano bagliore? C'era una panca sulla curva del sentiero, e Rose si avvicinò e si sedette. Voleva riprendere fiato, guadagnare tempo. Con un po' di tempo forse sarebbe riuscita a raggiungere la precipitosa Lotty, e a fermarla prima che si impegnasse in qualcosa di cui probabilmente si sarebbe pentita subito dopo. Mellersh a San Salvatore? Mellersh, da cui Lotty si era appena data tanta pena per allontanarsi? «Lo vedo già qui», disse Lotty come rispondendo ai suoi pensieri. Rose la guardò preoccupata, perché ogni volta che Lotty diceva «Vedo» con quella voce convinta, quel che vedeva si realizzava. Quindi si doveva supporre che tra poco anche Mr Wilkins si sarebbe realizzato. «Come vorrei capirti», disse Rose con ansia. «Non provarci», disse Lotty sorridendo. «Ma devo, perché ti voglio bene». «Cara Rose», disse Lotty, piegandosi agilmente e baciandola. «Sei così rapida, - disse Rose, che non riesco a seguire i tuoi cambiamenti. Non riesco a stare al passo. £ la stessa cosa che successe con Freder…» Si interruppe con un'espressione atterrita. «Se abbiamo deciso di venire qui, - riprese, perché sembrava che Lotty non si fosse accorta di niente, - è stato solo per andarcene via, ricordi? Bene, ce ne siamo andate via. E adesso, dopo soltanto un giorno, vuoi scrivere proprio a quelle persone…» Si fermò. «Proprio a quelle persone dalle quali ci volevamo allontanare, concluse Lotty. - È vero. Sembra idiota e illogico, ma io sono così felice, mi sento così terribilmente bene. Questo luogo… be', mi fa sentire sommersa di amore». E fissò Rose in una sorta di raggiante sorpresa. Rose rimase in silenzio per un attimo, poi disse: «E pensi che avrà lo stesso effetto su Mr Wilkins?» Lotty rise. «Non so, - disse. - Ma se anche non l'avesse, c'è abbastanza amore per sommergerne almeno cinquanta, di Mr Wilkins, come lo chiami tu. L'importante è che ci sia molto amore intorno. Trovo, continuò, - e mi succede qui, mentre a casa non mi succedeva, che non abbia importanza chi ama, basta che lo faccia qualcuno. A casa ero così meschina che sembravo una bestia, non facevo che misurare e contare. Ero ossessionata dalla giustizia. Come se la giustizia importasse, come se fosse distinguibile dalla vendetta. Solo l'amore ha un senso. A casa non amavo Mellersh se lui non mi ricambiava, se non ricevevo da lui altrettanto amore, in uguale misura. Anche per te era così? E poiché lui non me ne dava, neppure io ne davo a lui, ed ecco l'aridità di quella casa! L'aridità…» Rose non parlò. Era sconcertata da Lotty. Uno degli strani effetti che San Salvatore aveva avuto sulla sua amica che cambiava così in fretta era nella libertà con cui all'improvviso fece uso di parole forti. Ad Hampstead non le aveva mai usate. Cane e bestia erano più forti di quanto ad Hampstead fosse ammesso. Anche nel parlare Lotty si era liberata delle sue catene. E come avrebbe voluto, oh, quanto Rose avrebbe desiderato poter scrivere anche lei a suo marito per dirgli: «Vieni»! Il ménage Wilkins, per quanto Mellersh potesse essere pomposo - e a Rose era sembrato lo fosse molto - si fondava su di un rapporto più sano e più sincero del suo. Lotty poteva scrivere a Mellersh e ricevere una risposta. Lei invece non poteva scrivere a Frederick, perché sapeva sin troppo bene che non le avrebbe risposto. Magari le avrebbe anche risposto: due righe frettolose, che dimostravano quanto si fosse annoiato a scriverle per ringraziarla della lettera. E quello sarebbe stato peggio di nessuna risposta, perché la sua calligrafia e il nome di lei su una busta imbucata da lui, le spezzavano il cuore. Con troppa forza le richiamavano alla memoria le lettere dei loro primi tempi, lettere permeate di tristezza per la loro separazione, di pene d'amore e di desiderio. Vedersi arrivare una lettera in apparenza così simile a quelle, e poi aprirla e leggere: «Cara Rose, grazie per la tua lettera. Sono contento che ti stia divertendo. Non aver fretta di tornare. Fammi sapere se hai bisogno di altro denaro. Qui va tutto bene. Tuo Frederick» … no, non l'avrebbe sopportato. «No, non credo che oggi scenderò al villaggio con te, - disse, guardando Lotty con occhi improvvisamente offuscati. - Ho voglia di starmene un po' a pensare». «D'accordo, - disse Lotty, avviandosi di buon passo giù per il sentiero. - Ma non stare troppo a pensare, - le urlò voltandosi. Scrivigli subito e invitalo». «Invitare chi?» chiese Rose e trasalì. «Tuo marito». A cena, quando per la prima volta sedettero tutte e quattro insieme intorno al tavolo, comparve Scrap. Comparve in perfetto orario e con una di quelle leggere vesti da camera, o vestaglie, che spesso vengono definite seducenti. Questa lo era davvero, e sicuramente sedusse Mrs Wilkins, che non poteva togliere gli occhi di dosso all'incantevole figura di fronte a lei. Era un abito rosa conchiglia, e aderiva alla adorabile Scrap come se anch'esso la amasse. «Che bel vestito!» esclamò Mrs Wilkins con fervore. «Cosa… questo vecchio straccio? - disse Scrap, dandogli un'occhiata per vedere quale aveva indosso, - ce l'ho da cent'anni». E si concentrò sulla sua minestra. «Dovete avere molto freddo con quello addosso», disse Mrs Fisher a denti stretti; infatti il vestito le lasciava scoperte molte parti del corpo: le braccia, per esempio; ed era così leggero che lasciava intravedere anche le parti che copriva. «Chi… io? - disse Scrap, alzando lo sguardo per un istante. -Oh, niente affatto». E continuò con la minestra. «State attenta a non prendere un raffreddore, - disse Mrs Arbuthnot, sicura che una tale bellezza dovesse essere preservata intatta a ogni costo, - c'è una bella differenza qui quando cala il sole». «Ho molto caldo», disse Scrap indaffarata a mangiare la sua minestra. «Sembra che sotto non abbiate niente», disse Mrs Fisher. «Infatti. Perlomeno, quasi niente», disse Scrap finendo la minestra. «Davvero molto imprudente, disse Mrs Fisher, - per non parlare dell'indecenza». Al che Scrap si mise a fissarla. Mrs Fisher era arrivata a cena ben disposta nei confronti di Lady Caroline, che almeno non si era introdotta nella sua stanza, non si era seduta al suo tavolino né aveva scritto con la sua penna. Lei sapeva, aveva pensato Mrs Fisher, come ci si deve comportare. Adesso invece dimostrava di non saperlo, perché era forse educazione andare a cena vestita - anzi, svestita - in quel modo? Un tale comportamento oltre che estremamente indecente, era anche assai irrispettoso, perché quella creatura senza riguardo di certo si sarebbe presa un raffreddore, e poi avrebbe infettato tutte quante. Mrs Fisher trovava sempre da ridire sui raffreddori degli altri; erano sempre causati da imprudenze, e poi passavano a lei, che non aveva fatto nulla per meritarli. «Che civettuola, - pensò Mrs Fisher, osservando Lady Caroline con severità. - Non pensa ad altro che alla bellezza». «Ma qui non ci sono uomini, disse Mrs Wilkins, - come potrebbe quindi essere indecente? Avete notato, - si rivolse a Mrs Fisher, che tentava di far finta di non sentire, com'è difficile essere indecenti quando non ci sono uomini?» Mrs Fisher non rispose né la guardò; ma la guardò Scrap, e le comparve sulla bocca un'espressione che in ogni altra persona sarebbe sembrata forse un ghigno. In lei invece, visto da oltre il vaso di nasturzi, risultava il più bello dei sorrisi, appena accennato e con le fossette. Questa donna possedeva un viso particolarmente vivo, pensò Scrap osservando Mrs Wilkins, che cominciava a interessarla, era come un campo di grano sfiorato da ombre e luci. Sia lei sia la bruna, notò Scrap, si erano cambiate d'abito, ma solo per indossare uno scamiciato di seta. Con lo stesso sforzo potevano vestirsi meglio, riflettè Scrap, invece con quegli scamiciati non facevano nessuna figura. Com'era vestita Mrs Fisher non aveva importanza; infatti, il solo abito adatto a lei, tolte le piume e l'ermellino, era quello che indossava. Ma queste due erano ancora giovani, e molto carine. Avevano indubbiamente un bel viso. Come sarebbe stata diversa la loro vita se avessero tratto da se stesse tutto il possibile, anziché il minimo indispensabile. E invece… D'un tratto Scrap si sentì infastidita, scacciò i propri pensieri e mangiò distrattamente un crostino. Cosa importava? Traendo il meglio da noi stessi otteniamo di essere circondati da una folla di persone che alla fine vuole solo impossessarsi di noi. «Ho passato una giornata meravigliosa», iniziò Mrs Wilkins, gli occhi che brillavano. Scrap abbassò lo sguardo. «Oh, pensò, - ecco che prende a farneticare». «Come se a qualcuno interessasse la sua giornata», pensò Mrs Fisher, anche lei abbassando lo sguardo. Per la verità, ogni volta che Mrs Wilkins apriva bocca, Mrs Fisher abbassava lo sguardo intenzionalmente; così esprimeva la sua disapprovazione, senza contare che pareva l'unica cosa prudente da fare, perché nessuno sapeva che cosa avrebbe detto in seguito quella creatura indomita. Ciò che aveva appena affermato sugli uomini, per esempio, e oltretutto rivolgendosi a lei, che cosa poteva significare? Meglio non fare congetture, pensò Mrs Fisher e, sebbene tenesse gli occhi abbassati, vide tuttavia Lady Caroline che allungava la mano verso il fiasco di Chianti e si riempiva di nuovo il bicchiere. Di nuovo. L'aveva già riempito una volta, e il pesce stava uscendo appena adesso dalla stanza. Mrs Fisher si accorse che anche l'altra signora rispettabile del gruppo, Mrs Arbuthnot, lo stava notando. Mrs Arbuthnot era, lo sperava e ci credeva, rispettabile e ben intenzionata. È vero che anche lei aveva invaso il suo salotto, ma senza dubbio vi era stata trascinata dall'altra, e Mrs Fisher aveva poco o niente da dire contro Mrs Arbuthnot, la quale, osservò con approvazione, beveva soltanto acqua. Era così che ci si doveva comportare. E anzi, bisognava renderle merito, faceva così anche la lentigginosa; quel che era giusto per la loro età. Lei invece beveva vino, ma con moderazione: un bicchiere a pasto. E comunque a sessantacinque anni aveva tutti i diritti di berne almeno due, anzi, le avrebbero addirittura giovato. «Quello, - disse a Lady Caroline, interrompendo di netto il racconto di Mrs Wilkins sulla sua giornata meravigliosa e indicando il bicchiere di vino, - vi fa molto male». Era impossibile però che Lady Caroline avesse sentito, visto che, coi gomiti sul tavolo, continuava a sorseggiare ascoltando ciò che diceva Mrs Wilkins. Come? Cosa diceva? Aveva invitato una persona qui? Un uomo? Mrs Fisher non poteva credere alle sue orecchie. Eppure era proprio un uomo, perché ne parlava dicendo «lui». All'improvviso e per la prima volta, - ma adesso era troppo importante, - Mrs Fisher si rivolse a Mrs Wilkins direttamente. Aveva sessantacinque anni, e non le importava affatto di che tipo fossero le signore con cui le era capitato di trascorrere un mese, ma se a queste dovevano unirsi degli uomini la questione cambiava radicalmente. Non aveva nessuna intenzione di far la parte di una marionetta, non era andata lì per sancire con la sua presenza ciò che ai suoi tempi soleva essere definito comportamento dissoluto. A Londra, nel colloquio, non si era fatto alcun cenno riguardo agli uomini; se ve ne fossero stati non avrebbe accettato, naturalmente, di venire. «Come si chiama?» chiese Mrs Fisher, intromettendosi bruscamente. Mrs Wilkins si voltò verso di lei leggermente sorpresa. «Wilkins», disse. «Wilkins?» «Sì». «Il vostro nome». «E il suo». «Un familiare?» «Non consanguineo». «Un parente?» «Un marito». Mrs Fisher abbassò ancora una volta lo sguardo. Non poteva parlare con Mrs Wilkins. C'era qualcosa nelle cose che diceva… «Un marito». Faceva pensare a uno dei tanti. Quella inclinazione a rendere tutto indecente. Perché non poteva dire: «Mio marito»? Per di più Mrs Fisher aveva preso le giovani signore di Hampstead, neppure lei sapeva il perché, per due vedove. Vedove di guerra. Durante il colloquio i mariti non erano mai stati menzionati, il che non sarebbe accaduto, pensò, se fossero esistiti. E se un marito non era un familiare, allora chi era? «Non consanguineo», che maniera di esprimersi! Un marito era il primo, tra tutti i familiari. Come ricordava bene Ruskin… no, non era stato Ruskin, ma la Bibbia, a dire che un uomo doveva abbandonare padre e madre per essere devoto soltanto a sua moglie; dimostrando che con il matrimonio lei era divenuta ancor più importante di un consanguineo. E se per il marito il padre e la madre non dovevano avere più nessun valore rispetto alla moglie, ancora meno rispetto al marito dovevano avere per lei i rispettivi padre e madre. Lei stessa non era riuscita ad abbandonare i suoi genitori per essere devota unicamente a Mr Fisher, perché quando si sposò non erano più in vita, ma l'avrebbe fatto sicuramente se ci fossero stati. Non consanguineo… che stupidaggine! La cena era molto buona. Una squisitezza dietro l'altra. Per la prima settimana Costanza aveva deciso di fare di testa sua in quanto a panna e uova, e di vedere cosa sarebbe accaduto alla fine, quando si sarebbero dovute pagare le spese. Sapeva per esperienza che con gli Inglesi si poteva stare tranquilli a questo riguardo. Erano di poche parole e si fidavano ciecamente. E poi, chi era qui la padrona di casa? Non essendocene una, a Costanza venne in mente che poteva benissimo sostituirsi lei. Ed è quel che fece, così scelse lei cosa preparare per cena, ottenendo ottimi risultati. Le quattro donne, tuttavia, erano così prese dalla loro conversazione che mangiarono tutto senza accorgersi di quanto fosse buono. Non se ne accorse neanche Mrs Fisher, proprio lei che su queste cose non transigeva. Mangiò tutte quelle prelibatezze come se non fossero esistite: il che dimostra quanto doveva essere irritata. Irritata lo era davvero, e per quella Mrs Wilkins. Bastava a irritare chiunque. E indubbiamente era incoraggiata da Lady Caroline che, a sua volta, era influenzata senza dubbio dal Chianti. Mrs Fisher era molto contenta che non vi fossero uomini, perché sicuramente avrebbero perso la testa per Lady Caroline. Era proprio il tipo di ragazza che li faceva impazzire; soprattutto, riconobbe Mrs Fisher, in momenti come quello. Forse era il Chianti che intensificava temporaneamente la sua personalità, ma non si poteva negare che ella fosse attraente; e vi erano poche cose che Mrs Fisher detestava di più del dover vedere uomini assennati e intelligenti, che un attimo prima parlavano in modo serio e interessante di questioni concrete, perdere semplicemente l'uso della ragione e cominciare a sorridere come degli idioti - li aveva proprio visti sorridere come degli idioti soltanto perché era arrivata una bella civettuola. Persino Mr Gladstone, uno statista così grande e saggio la cui mano per un istante memorabile si era posata con solennità sulla sua testa, vedendo Lady Caroline avrebbe smesso, sentiva Mrs Fisher, di dire cose sensate e si sarebbe imbarcato in un fiume di insopportabili scherzi. «Vedete», disse Mrs Wilkins, un vezzo sciocco con cui aveva l'abitudine di cominciare ogni frase e a cui tutte le volte Mrs Fisher avrebbe voluto ribattere dicendo: «Chiedo scusa… ma non vedo, sento». Ma perché scomodarsi? «Vedete, - disse Mrs Wilkins, allungandosi verso Lady Caroline, - lo avevamo stabilito a Londra, ricordate? che se le altre erano d'accordo ognuna di noi poteva invitare un ospite. Ed è quello che sto facendo». «Questo non lo ricordo affatto», disse Mrs Fisher tenendo gli occhi sul piatto. «Oh, eppure l'avevamo deciso… vero, Rose?» «Sì… me lo ricordo bene, - disse Lady Caroline. - Solo che pareva incredibile che qualcuno desiderasse fare una cosa del genere! La nostra sola intenzione era fuggire dai nostri amici». «E dai nostri mariti». Ecco di nuovo quel plurale tanto sconveniente. Davvero sconveniente, pensò Mrs Fisher, e con molte implicazioni. Era chiaro che la pensava come lei anche Mrs Arbuthnot, perché era arrossita. «E dagli affetti familiari», disse Lady Caroline… era forse il Chianti a parlare? Certo, non poteva che essere il Chianti! «E dalla mancanza di affetti familiari», disse Mrs Wilkins… quale luce stava gettando sulla sua vita privata e sulla sua vera personalità! «Questo non sarebbe poi tanto male, - disse Lady Caroline. - Io accetterei volentieri. Almeno ci rimarrebbe un po' di spazio». «Oh, no… invece è terribile, gridò Mrs Wilkins. - È come essere svestiti». «Ma a me piace sentirmi così», disse Lady Caroline. «Credo…», fece Mrs Fisher. «E una sensazione divina, liberarsi dalle cose», disse Lady Caroline, che adesso si rivolgeva soltanto a Mrs Wilkins e non prestava la minima attenzione alle altre due. «Oh, ma quando ci si trova in una bufera, con niente addosso e sapendo che non si avrà mai niente, ma che si avrà sempre più freddo fino a morirne… ecco cosa vuol dire vivere con una persona che non ti ama». Queste confidenze, pensò Mrs Fisher… non c'erano pretesti per Mrs Wilkins, ma lei le faceva a titolo gratuito. Mrs Arbuthnot, a giudicare dall'espressione del viso, condivideva appieno la disapprovazione di Mrs Fisher, perché stava sulle spine. «Ma non vi amava?» chiese Lady Caroline, che a ogni istante diventava più sfacciata e meno reticente, proprio come Mrs Wilkins. «Mellersh? Non lo dimostrava minimamente». «Delizioso», mormorò Lady Caroline. «Credo…», fece Mrs Fisher. «Per me non era affatto delizioso. Ero infelice. E adesso, da quando sono qui, mi stupisco di quanto mi sentivo infelice. Profondamente infelice, e per Mellersh». «Intendete dire che non ne vale la pena?» «Credo…», fece Mrs Fisher. «No, non è quello, ma solo che improvvisamente mi sono sentita bene». Lady Caroline, ruotando tra le dita lo stelo del bicchiere, scrutò il volto illuminato di fronte a lei. «E adesso che sto bene sento che non posso stare seduta qui a esultare tutta sola. Non posso essere felice escludendolo, devo condividere con lui. Capisco perfettamente come doveva sentirsi la Blessed Damozel». «Che cos'è la Blessed Damozel?» chiese Scrap. «Credo…», fece Mrs Fisher, e questa volta con una tale enfasi che Lady Caroline si voltò verso di lei. «Sono tenuta a saperlo? - chiese. Non conosco niente di storia naturale. E quello sembra il nome di un uccello». «È una poesia», disse Mrs Fisher con freddezza glaciale. «Oh», esclamò Scrap. «Vi presterò il libro», disse Mrs Wilkins, il volto increspato dal riso. «No», rispose Scrap. «E l'autore, - disse Mrs Fisher gelida, - sebbene forse non così assiduamente quanto si sarebbe potuto desiderare, sedeva spesso alla tavola di mio padre». «Chissà che noia per voi, - disse Scrap. - Invitare gli scrittori è la passione di tutte le madri. Io odio gli scrittori. Non mi dispiacerebbero tanto, se non scrivessero libri. Continuate con Mellersh», disse rivolgendosi a Mrs Wilkins. «Credo…», fece Mrs Fisher. «Tutti quei letti vuoti», disse Mrs Wilkins. «Quali letti vuoti?» chiese Scrap. «Quelli di questa casa. Be', ogni letto dovrebbe ospitare una persona felice. Otto letti e quattro persone soltanto. È terribile, è spaventoso essere così avidi, tenere tutto per sé. Voglio che anche Rose inviti suo marito. Perché voi e Mrs Fisher, che non avete un marito, non date l'opportunità a una vostra amica di trascorrere dei giorni indimenticabili?» Rose si morse le labbra. Arrossì, poi impallidì. Se solo Lotty stesse un po' zitta, pensò. Va bene che improvvisamente fosse diventata una santa e volesse amare il mondo intero, ma doveva proprio essere così indiscreta? Rose sentì di essere stata toccata nel vivo. Se solo Lotty fosse stata zitta… E Mrs Fisher, con una freddezza ancora più glaciale di quella con cui aveva reagito all'ignoranza di Lady Caroline riguardo alla Blessed Damozel, disse: «In questa casa c'è una sola camera da letto libera». «Una sola? - fece eco Mrs Wilkins, stupita. - E tutte le altre chi le occupa?» «Noi», rispose Mrs Fisher. «No, noi non le occupiamo tutte. Ce ne sono almeno sei. Quindi ne rimangono due, e il proprietario ci aveva detto che c'erano otto letti… vero, Rose?» «Ci sono sei camere da letto», disse Mrs Fisher, perché, appena arrivate, sia lei che Lady Caroline avevano perlustrato a fondo la casa per vedere quale fosse la zona più comoda, e sapevano entrambe che vi erano sei camere da letto, due delle quali molto piccole, che in una di queste dormiva Francesca in compagnia di una sedia e di un cassettone, e che l'altra, ammobiliata in modo simile, era vuota. Mrs Wilkins e Mrs Arbuthnot avevano a mala pena visto la casa, avendo trascorso la maggior parte del tempo fuori a osservare a bocca aperta il paesaggio; e quando per la prima volta avevano preso accordi per San Salvatore, distratte dalla loro agitazione si erano messe in testa l'idea sbagliata che gli otto letti di cui aveva parlato il proprietario corrispondessero a otto camere da letto. Di fatto vi erano otto letti, ma due di questi erano nella camera di Mrs Wilkins e due in quella di Mrs Arbuthnot. «Ci sono sei camere da letto, - ripetè Mrs Fisher. - Noi ne abbiamo quattro, Francesca ha la quinta e la sesta è vuota». «Così, - disse Scrap, - anche se avessimo desiderato essere ospitali, non potremmo. Non è una fortuna?» «Ma allora c'è posto solo per una persona?» chiese Mrs Wilkins, guardando a turno i tre volti di fronte a lei. «Sì, e può starci lui», disse Scrap. Mrs Wilkins era sconcertata. Questa faccenda dei letti la coglieva di sorpresa. Invitando Mellersh si era proposta di farlo dormire in una delle quattro camere che credeva disponibili. Con tutte quelle camere e servitù a sufficienza, non vi era ragione di dividere la stanza, come facevano a casa, che era piccola e con due soli domestici. L'amore, anche l'amore universale, il genere d'amore da cui si sentiva sommersa, non doveva essere messo alla prova. Il sonno dei coniugi aveva bisogno di molta pazienza e altrettanta modestia per una buona riuscita. E servivano anche la calma e una fede profonda. Lei sapeva che avrebbe amato di più Mellersh, e che lui non sarebbe stato così maldisposto verso di lei, se di notte non fossero stati rinchiusi nella stessa stanza, se al mattino si fossero potuti incontrare con quell'affetto cordiale degli amici, non adombrato da screzi per la finestra e per i turni in bagno, oppure dall'accumulo di piccoli rancori assurdi per qualcosa che a uno dei due era sembrato ingiusto. Sentiva che la sua felicità, la sua capacità di essere amica di chiunque, provenivano da una libertà per lei nuova, e dalla pace che ne conseguiva. Avrebbe provato quella sensazione di libertà, quella pace, dopo una notte in camera con Mellersh? Al mattino avrebbe saputo donargli, come avrebbe potuto in quell'istante, tutto il suo amore? In fondo, non era in paradiso da molto; e se questo periodo non fosse bastato a rendere salda la sua amorevolezza? E quella mattina al risveglio che gioia incontenibile aveva provato nel ritrovarsi sola, e nel poter sistemare le coperte come le pareva! Francesca dovette darle un leggero colpetto, era così assorta che non aveva visto il pudding. «Se divido la camera con Mellersh, - pensò Mrs Wilkins, servendosi distrattamente, - rischio di rovinare tutto quel che provo per lui adesso. D'altro canto se lo faccio dormire nell'unica camera libera, impedisco a Mrs Fisher e a Lady Caroline di far felice un'altra persona. È vero che per ora non sembrano interessate, ma è probabile che prima o poi in un posto come questo una delle due venga presa dal desiderio di rendere felice qualcuno, e allora non potrà realizzarlo a causa di Mellersh». «Che problema», disse forte, con espressione accigliata. «Quale?» chiese Scrap. «Dove mettere Mellersh». Scrap sgranò gli occhi. «Perché, una camera non gli basta?» chiese. «Oh, certo. Ma poi non rimangono altre camere libere… nel caso una di voi volesse invitare qualcuno». «Io non intendo invitare nessuno», disse Scrap. «Allora voi, - disse Mrs Wilkins a Mrs Fisher. - Rose, naturalmente, non conta. Sono sicura che vorrebbe dividere la camera con suo marito; ce l'ha scritto in faccia». «Credo che…», fece Mrs Fisher. «Cosa credete?» chiese Mrs Wilkins voltandosi verso di lei speranzosa, pensando che questa volta l'espressione volesse introdurre un suggerimento utile. Ma non erano queste le sue intenzioni. Quell'espressione era fine a se stessa, e racchiudeva la stessa freddezza di tutte le altre volte. Sentendosi sfidata, tuttavia, Mrs Fisher fu costretta a legarvi una frase. «Credo di capire, - disse, - che intendete riservare l'unica camera disponibile all'uso esclusivo della vostra famiglia». «Non è la mia famiglia, - disse Mrs Wilkins. - È mio marito. Vedete…» «Io non vedo niente, - questa volta Mrs Fisher non riuscì a trattenersi dall'interromperla: era un vezzo davvero intollerabile. - Al limite sento, e con riluttanza». Ma Mrs Wilkins, troppo concentrata per ribattere, come temeva Mrs Fisher, iniziò subito a ripetere quella formula fastidiosa e si avventurò in un discorso lungo ed estremamente indelicato sul posto migliore in cui far dormire la persona che chiamava Mellersh. A quanto pareva, Mellersh - Mrs Fisher, ricordando i Thomas, i John, gli Alfred e i Robert dei suoi tempi, nomi comuni divenuti tuttavia gloriosi, pensò che avere Mellersh come nome di battesimo fosse pura e semplice affettazione - era il marito di Mrs Wilkins, e quindi era presto deciso dove dovesse stare. Perché tutti questi discorsi? Lei stessa oltretutto, quasi prevedendo l'arrivo di lui, aveva fatto mettere un secondo letto nella camera di Mrs Wilkins. Nella vita esistevano delle cose di cui non si doveva mai parlare. Non si doveva mai parlare, per esempio, di quel che riguardava i mariti; e discutere per tutta la cena su dove dovesse dormire uno di loro era un affronto alla decenza. Come e dove dormisse un marito doveva essere noto soltanto alla moglie. A volte, quando neanche questa lo sapeva, il matrimonio attraversava un periodo non molto felice; ma era meglio non parlare neanche di questi periodi: bisognava mantenere la decenza. Ai suoi tempi, almeno, era così. Dover ascoltare se Mr Wilkins avrebbe dovuto o no dormire con Mrs Wilkins, e le ragioni per cui avrebbe dovuto farlo, era indelicato oltre che poco interessante. Sarebbe riuscita a imporre un certo decoro e a cambiare argomento se non fosse stato per Lady Caroline, che incoraggiava Mrs Wilkins e si gettava nella discussione con sempre minore riservatezza, allo stesso modo di Mrs Wilkins. Senza dubbio era spinta dal Chianti, ma qualunque fosse la causa, il risultato era quello. Stranamente poi, Lady Caroline era d'accordissimo a lasciare l'unica camera disponibile a Mr Wilkins. Le pareva scontato. Qualunque altra sistemazione sarebbe stata impossibile, disse, usando l'espressione «barbaro». Non aveva mai letto la Bibbia, Mrs Fisher fu tentata di chiedere… «E loro due saranno un solo corpo?» Quindi anche una sola camera. Ma Mrs Fisher non chiese nulla. Non volle neanche alludere a testi simili con una persona non sposata. Esisteva comunque un modo per obbligare Mr Wilkins ad andare nel luogo più appropriato a lui salvando la situazione: avrebbe potuto dire che voleva invitare un'amica. Era suo diritto, l'avevano detto tutte. Decoro a parte, era mostruoso che Mrs Wilkins volesse monopolizzare l'unica stanza disponibile, quando in camera sua vi era il necessario per il marito. E magari lei avrebbe invitato davvero qualcuno, non proprio invitato, ma suggerito di venire. C'era Kate Lumley, per esempio. Kate poteva permettersi benissimo di venire pagando la sua parte, aveva la sua stessa età e un tempo conosceva molte delle persone che, un tempo, conosceva anche lei. Naturalmente Kate era rimasta da parte, veniva invitata soltanto ai ricevimenti importanti, non a quelli più ristretti, e anche adesso continuava a rimanere da parte. Esistevano persone che ci rimanevano sempre, e Kate era una di queste. Spesso, tuttavia, la loro compagnia alla lunga risultava più gradevole di altre, perché si dimostravano riconoscenti. Sì, poteva davvero prendere in considerazione Kate. La poveretta non si era mai sposata, d'altronde a quei tempi non tutte potevano pretendere di sposarsi, e viveva agiatamente, non troppo, ma abbastanza da pagarsi le spese nel caso fosse venuta, e da esserne riconoscente. Sì, Kate era l'ideale. Se fosse venuta, pensò Mrs Fisher, in un colpo solo i Wilkins sarebbero stati sistemati e Mrs Wilkins non avrebbe potuto avere più stanze di quante le spettavano. Inoltre, Mrs Fisher si sarebbe salvata dal completo isolamento, naturalmente un isolamento spirituale. Tra un pasto e l'altro le piaceva isolarsi, ma detestava l'isolamento dello spirito. E temeva che ne avrebbe sicuramente sofferto, con tre giovani donne a lei così estranee. Anche Mrs Arbuthnot, in ragione della sua amicizia con Mrs Wilkins, le era inevitabilmente estranea. In Kate invece avrebbe trovato un sostegno. Kate, senza invadere il suo salotto, essendo una persona a modo, sarebbe stata presente ai pasti per sostenerla. Per il momento non disse nulla; ma subito dopo, quando si riunirono in salone intorno al caminetto - Mrs Fisher aveva scoperto che nel suo salotto non c'era il caminetto e che quindi, finchè le serate restavano fredde, sarebbe stata costretta a trascorrerle nell'altra stanza - subito dopo, mentre Francesca serviva il caffè e Lady Caroline avvelenava l'aria con il fumo, Mrs Wilkins, con espressione sollevata e compiaciuta, disse: «Bene, se davvero nessuno vuole quella stanza, e comunque non deve essere usata diversamente, sarò molto lieta che la prenda Mellersh». «Deve assolutamente prenderla lui», disse Lady Caroline. Al che parlò Mrs Fisher. «Io ho un'amica», disse con voce profonda, e improvvisamente tra le altre cadde il silenzio. «Kate Lumley», disse Mrs Fisher. Nessuno parlò. «Forse, - continuò Mrs Fisher rivolgendosi a Lady Caroline, - la conoscete?» No, Lady Caroline non conosceva Kate Lumley; e Mrs Fisher, senza chiedere alle altre se la conoscessero, giacché era certa che non potevano conoscere nessuno, proseguì: «Desideravo invitarla qui con me». Silenzio assoluto. Poi Scrap disse, voltandosi verso Mrs Wilkins: «Con ciò Mellersh è sistemato». «Ed è sistemato il problema di Mrs Wilkins, - disse Mrs Fisher, sebbene non riesca a capire perché debbano esserci problemi quando esiste già una soluzione». «Temo che non possiate che accettare, - disse Lady Caroline, sempre rivolta a Mrs Wilkins. Altrimenti, - aggiunse, - non potrà venire». Ma Mrs Wilkins, con espressione turbata - e se dopo tutto, non fosse ancora ben salda in paradiso? - riuscì a dire soltanto, un po' a disagio: «Lo vedo già qui». Le giornate monotone - solo apparentemente monotone scivolarono via inondate di sole e, osservando le quattro signore, la servitù giunse alla conclusione che ci fosse in loro ben poca vitalità. Alla servitù San Salvatore sembrava addormentato. Nessuno veniva per il té, né le signore andavano a prenderlo da qualche parte. Altri affittuari in altre primavere erano stati di gran lunga più attivi. C'erano stati momenti di trambusto e di grandi iniziative; avevano usato la barca, organizzato escursioni, ordinato la carrozza di Beppo, da Mezzago erano venute delle persone a trascorrere la giornata, nella casa erano risuonate voci diverse e a volte qualcuno aveva addirittura bevuto dello champagne. La vita era varia e interessante. Ma adesso? Cosa succedeva adesso? La servitù non veniva mai neppure rimproverata. Era completamente abbandonata a se stessa, e sbadigliava. Imbarazzante era poi la totale assenza di uomini. Come potevano stare lontani da tanta bellezza? Perché sommate assieme, le tre signore più giovani, pur non contando quella più anziana, raggiungevano quel risultato straordinario che di solito gli uomini cercavano. Inoltre, ciò che confondeva la servitù era il desiderio che ogni signora nutriva di trascorrere molte ore lontano dalle altre. Ne risultò una mortale immobilità nella casa, tranne che durante i pasti. A giudicare dai rumori che si sentivano, pareva vuota come lo era stata tutto l'inverno. La signora anziana sedeva in camera sua, da sola; la signora dagli occhi scuri vagava da sola, indugiando incomprensibilmente tra gli scogli, così aveva detto Domenico, che l'aveva incontrata qualche volta, mentre lavorava; la bellissima signora bionda stava sdraiata sulla sua poltroncina nel giardino superiore, da sola; l'altra signora bionda, certo un po' meno bella ma sempre affascinante, se ne andava sulle colline e vi rimaneva delle ore, da sola; ogni giorno il sole seguiva lentamente il suo cammino illuminando la casa e di sera scompariva nel mare senza che fosse accaduto assolutamente nulla. La servitù sbadigliava. Eppure le quattro ospiti, chi stando seduta - Mrs Fisher - chi sdraiata - Lady Caroline - chi indugiando - Mrs Arbuthnot - e chi andandosene sola tra le colline - Mrs Wilkins - in realtà erano tutt'altro che intorpidite. La loro mente era insolitamente attiva, anche di notte, e i loro sogni erano nitidi, leggeri e vivi, del tutto diversi dai sogni opprimenti che facevano a casa. C'era qualcosa nell'atmosfera di San Salvatore che risvegliava la mente di tutti, tranne che della gente del luogo. Questi, come sempre, qualunque bellezza li circondasse, di qualunque dono fossero prodighe le stagioni, rimanevano immuni da pensieri diversi da quelli cui erano abituati. Per tutta la vita avevano visto, anno dopo anno, ripetersi il meraviglioso spettacolo dell'aprile nei giardini, che l'abitudine aveva reso per loro invisibile. Erano ciechi e ignari di quello spettacolo, esattamente come il cane di Domenico che dormiva al sole. Le visitatrici non potevano essere cieche: quello spettacolo faceva colpo dopo un marzo londinese particolarmente umido e melanconico. Essere trasportate all'improvviso in quel luogo dove l'aria era così ferma da trattenere il suo stesso respiro, la luce così dorata che l'oggetto più ordinario risultava trasfigurato; essere trasportate in quel tepore delicato, in quella fragranza carezzevole, e avere come scenario l'antico castello grigio e, in lontananza, le colline chiare e serene dei paesaggi del Perugino, era un contrasto sorprendente. Persino Lady Caroline, abituata da sempre alla bellezza, che era stata ovunque e aveva visto ogni cosa, fu sorpresa da tanto splendore. Quell'anno, la primavera fu particolarmente incantevole, e se il tempo era bello, aprile era il mese migliore a San Salvatore. Maggio scottava e inaridiva, marzo era irrequieto, e poteva essere freddo e rigido nel suo splendore, ma aprile arrivava dolce, come una benedizione, e quando il tempo era favorevole, era così bello che diventava impossibile non sentirsi diversi, non sentirsi emozionati e commossi. Mrs Wilkins, l'abbiamo visto, reagì all'istante. Si liberò, per così dire, di tutti i suoi indumenti e si gettò direttamente nello splendore, senza esitazione, con un grido di rapimento. Mrs Arbuthnot fu emozionata e commossa, ma in modo diverso. Provò strane sensazioni, che verranno descritte tra poco. Mrs Fisher, essendo vecchia, era di una fibra più compatta e impermeabile, e oppose maggiore resistenza, ma anche lei provò strane sensazioni, che pure verranno descritte al momento opportuno. Lady Caroline, già avvezza alle case belle e ai paesi caldi, che quindi non potevano sorprenderla con la medesima intensità, reagì tuttavia quasi con la stessa prontezza di Mrs Wilkins. Quel luogo ebbe anche su di lei un'influenza quasi immediata, di cui ella fu in parte consapevole: sin dalla primissima sera le fece venir voglia di pensare e, curiosamente, agì su di lei come una coscienza. Questa coscienza pareva volesse farle notare, con una insistenza per lei allarmante, - Lady Caroline esitò ad accettare questa parola, che tuttavia continuava a venirle in mente - che era una persona squallida. Squallida. Proprio lei. Che assurdità. Doveva pensarci sopra. La mattina dopo la loro prima cena tutte insieme, si svegliò pentendosi di essere stata così loquace con Mrs Wilkins la sera precedente. Perché lo aveva fatto, si chiese. Ora di certo Mrs Wilkins si sarebbe attaccata a lei, avrebbe fatto di tutto per stare con lei ininterrottamente; e all'idea di un tormento continuo e di una prigionia ininterrotta per quattro settimane Scrap si sentì mancare. Senza dubbio Mrs Wilkins, così incoraggiata, sarebbe stata in agguato nel giardino superiore aspettandola al varco non appena fosse uscita, salutandola con gaiezza mattutina. Come odiava i saluti gai del mattino, o addirittura i saluti in generale. Non avrebbe dovuto incoraggiare Mrs Wilkins la sera prima. Era stato un errore fatale. Era già un errore non essere incoraggianti, perché di solito le bastava stare seduta senza dire nulla per rimanere coinvolta, ma incoraggiare apertamente era davvero suicida. Cosa diavolo aveva fatto? Adesso per riuscire a disfarsi di Mrs Wilkins avrebbe dovuto sprecare il suo tempo prezioso, ogni attimo piacevole che avrebbe potuto trascorrere nei propri pensieri, facendo i conti con se stessa. Con estrema prudenza e in punta di piedi, facendo attenzione a tenersi in equilibrio per non far scricchiolare la ghiaia, appena vestita sgattaiolò fuori nel suo angolino, ma il giardino era vuoto. Nessuno di cui disfarsi. Non si vedevano né Mrs Wilkins né nessun altro. Il giardino era tutto per lei. Tranne Domenico, che arrivò subito e prese a gironzolare intorno bagnando le piante, e di nuovo soprattutto le piante più vicino a lei, non uscì nessuno; e quando, dopo aver rincorso a lungo i suoi pensieri che sembravano sfuggirle proprio quando li afferrava, e dopo essersi addormentata esausta nelle pause di questa caccia, le venne fame, e guardando l'ora vide che erano le tre passate, si rese conto che nessuno l'aveva disturbata neppure per chiamarla a pranzo. Pertanto Scrap non potè che osservare che l'unica persona di cui ci si era disfatti era proprio lei. Ma che sensazione piacevole, e assolutamente nuova! Adesso avrebbe davvero potuto pensare, ininterrottamente. Che meraviglia essere dimenticati! Però, aveva fame; e Mrs Wilkins, dopo che lei si era dimostrata così amichevole la sera precedente, avrebbe almeno potuto dirle che il pranzo era pronto. Sì, era stata davvero esageratamente amichevole: si era preoccupata della sistemazione di Mellersh, aveva fatto il possibile perché prendesse la camera libera e tutto il resto. Di solito queste cose non le interessavano, in realtà non le erano mai minimamente interessate; quindi pensò che non si poteva proprio dire che non si fosse data da fare per essere gentile con Mrs Wilkins. E in cambio Mrs Wilkins non si era neppure presa il disturbo di sapere se avesse pranzato. Per fortuna, pur avendo fame, non le importò di aver saltato un pasto. La vita ne era piena, i pasti occupavano un'enorme fetta del tempo di chiunque, e Mrs Fisher era una di quelle persone, temeva, che si attardavano a tavola. Finora aveva cenato due volte con Mrs Fisher, la quale ogni volta era stata lenta a lasciare il tavolo, attardandosi a lungo a sgusciare innumerevoli noci e a sorseggiare lentamente un bicchiere di vino, tanto che pareva non volesse più smettere. Forse sarebbe stato meglio prendere l'abitudine di saltare il pranzo e, dato che poteva facilmente farsi portare fuori il té e la colazione la faceva in camera, avrebbe dovuto frequentare la sala da pranzo e sopportare le noci soltanto una volta il giorno. Scrap affondò comodamente la testa nei cuscini, e con i piedi incrociati sul basso parapetto si abbandonò di nuovo ai suoi pensieri. Si disse, come si era ripetuta per tutta la mattina: adesso mi metto a pensare. Ma non avendo mai pensato a niente per tutta la vita, fu difficile. E singolare come non si riesca a fissare la propria attenzione, come la mente sfugga da ogni parte. Riandando al proprio passato per poter poi riflettere sul futuro, ed esplorandolo attentamente per giustificare, innanzitutto, quell'angosciante «squallida», la prima cosa di cui si accorse fu che non stava affatto pensando a questo, ma che, chissà come, era passata a Mr Wilkins. Certo, fu abbastanza facile pensare a Mr Wilkins, ma non altrettanto piacevole. E considerò il suo arrivo con una certa apprensione. Perché non soltanto era una seccatura grossa e imprevista che un uomo si aggiungesse al gruppo, un uomo, oltretutto, del tipo che lei era sicura Mr Wilkins fosse, ma temeva - e quel timore era il risultato di una esperienza che si ripeteva inesorabilmente identica ogni volta che lui avrebbe cominciato a ronzarle intorno. Evidentemente a Mrs Wilkins non era ancora passato per la testa che potesse accadere una cosa simile, cosa che lei sicuramente non avrebbe potuto farle notare; non, cioè, senza apparire estremamente sciocca. Sperò che Mr Wilkins si rivelasse una stupenda eccezione a quella regola tremenda. In tal caso, lei si sarebbe sentita così riconoscente nei suoi confronti che sicuramente le sarebbe piaciuto. Fatto sta… era in grande apprensione. E se lui le avesse ronzato intorno tanto da obbligarla ad allontanarsi da quel grazioso giardino? E se il volto vispo e sfavillante di Mrs Wilkins si fosse spento? Scrap sentì che le sarebbe dispiaciuta molto una simile trasformazione del volto di Mrs Wilkins, eppure in vita sua non aveva mai incontrato una sola moglie, neanche una, in grado di capire che lei non desiderava affatto suo marito. Aveva incontrato spesso, invece, delle mogli che pur non desiderando i loro mariti, nondimeno si indignavano al pensiero che li desiderasse qualcun altro, sicure, quando li vedevano ronzare intorno a Scrap, che fosse lei a fare di tutto per conquistarli. Fare di tutto per conquistarli! Il solo pensiero, il solo ricordo di queste situazioni, la riempì di una noia così profonda, da farla ripiombare addormentata. Al risveglio continuò con Mr Wilkins. Se invece, pensò Scrap, Mr Wilkins non fosse stato un'eccezione ma si fosse comportato come tutti, Mrs Wilkins avrebbe capito, o si sarebbe semplicemente rovinata la vacanza? Sembrava intelligente, ma lo sarebbe stata in questo caso? Sembrava che capisse e che vedesse dentro le persone, ma avrebbe continuato a capire e a vedere anche dopo l'arrivo di Mr Wilkins? L'esperta Scrap era tormentata dai dubbi. Spostò il piede sul parapetto e con uno strattone raddrizzò un cuscino. Forse nei giorni che rimanevano prima dell'arrivo avrebbe fatto meglio a tentare di spiegare a Mrs Wilkins - in termini vaghi e generali, senza affrontare il discorso direttamente qual era il suo atteggiamento riguardo a queste cose. Avrebbe potuto anche esprimere la sua forte avversione per i mariti delle altre e il suo ardente desiderio di essere lasciata sola, per questo mese almeno. Scrap, tuttavia, nutriva dei dubbi anche su questo. Un discorso simile implicava una certa confidenza, voleva dire imbarcarsi in un rapporto d'amicizia con Mrs Wilkins; e se, dopo essersi imbarcata in quell'avventura e aver affrontato il pericolo di un'eccessiva familiarità con lei, Mr Wilkins si fosse rivelato scaltro - e quando le persone si mettevano in testa qualcosa diventavano molto scaltre - riuscendo comunque a infilarsi nel giardino superiore? Allora Mrs Wilkins avrebbe pensato sicuramente di essere stata presa in giro da Scrap, nient'altro che una bugiarda. Bugiarda! E per Mr Wilkins. Le mogli erano davvero patetiche. Alle quattro e mezzo sentì dei rumori di stoviglie oltre i cespugli di dafne. Le avrebbero portato il te? No, quei rumori non si avvicinarono, si fermarono vicino alla casa. Il te doveva esser stato servito in giardino. Nel suo giardino. Scrap pensò che avrebbero almeno potuto chiederle se quel rumore la disturbava, sapevano tutti che lei era seduta lì. Magari qualcuno gliene avrebbe portata una tazza nel suo angolino. No, nessuno portò niente. Bene, oggi aveva troppa fame per non andare lei dagli altri, ma per il futuro avrebbe dato ordini precisi a Francesca. Si alzò e con quella sua grazia indolente, un'altra delle sue innumerevoli attrattive, s'incamminò verso il rumore del té. Oltre che di avere molta fame, si accorse di voler chiacchierare di nuovo con Mrs Wilkins, che non l'aveva tormentata, anzi, l'aveva lasciata libera per tutto il giorno nonostante il rapprochement della sera prima. Era indubbiamente una persona imprevedibile, per cena aveva indossato uno scamiciato di seta, ma non l'aveva tormentata. E questa era una gran cosa. Scrap si diresse al tavolino del té impaziente di incontrare Mrs Wilkins; e avvicinatasi vide solo Mrs Fisher e Mrs Arbuthnot. Mrs Fisher versava il té, e Mrs Arbuthnot le offriva degli amaretti. Ogni volta che Mrs Fisher offriva qualcosa a Mrs Arbuthnot - la tazza, del latte o lo zucchero - questa rispondeva offrendole gli amaretti, insistendo con una strana assiduità, quasi ostinazione. Era un gioco? Si domandò Scrap sedendosi e prendendo un amaretto. «Dov'è Mrs Wilkins?» chiese Scrap. Non lo sapevano. Perlomeno non lo sapeva Mrs Arbuthnot; il viso di Mrs Fisher invece, quando Scrap pronunciò il suo nome, assunse un'espressione di assoluta indifferenza. A quanto pareva, non si vedeva Mrs Wilkins sin da colazione. Mrs Arbuthnot pensava che fosse andata a fare un picnic. Scrap sentì la sua mancanza. Mangiò in silenzio gli enormi amaretti, i più buoni e grandi che avesse mai visto. Prendere il té senza Mrs Wilkins era una noia; Mrs Arbuthnot aveva per lei un insopportabile senso materno: voleva coccolarla e farla sentire a suo agio, insisteva perché mangiasse - proprio con lei, che già mangiava di gusto, persino smoderatamente - come se fosse stata alle calcagna di Scrap per tutta la vita. Perché la gente non poteva lasciarti in pace? Lei era perfettamente in grado di mangiare quello che voleva senza dover essere spronata. Nel tentativo di smorzare l'ardore di Mrs Arbuthnot, decise di essere sgarbata con lei, ma fu inutile perché il suo sgarbo non apparve. Come tutti i sentimenti negativi di Scrap, anche questo rimase coperto dal velo impenetrabile del suo fascino. Mrs Fisher sedeva in posa statuaria senza badare a loro due. Aveva trascorso una giornata curiosa, ed era un po' preoccupata. Era stata sempre sola, perché nessuna delle tre era andata a pranzo, nessuna preoccupandosi di avvertirla; e Mrs Arbuthnot, trovatasi per caso al té, si era comportata in modo strano fino a quando non si era unita Lady Caroline distraendo la sua attenzione. Mrs Fisher era ben disposta nei confronti di Mrs Arbuthnot, che con quella scriminatura e quell'espressione mite pareva una donna matura e decorosa, ma che aveva indubbiamente abitudini difficili da apprezzare. Ogni volta che le veniva offerto qualcosa da mangiare o da bere, per esempio, aveva l'abitudine di ricambiare immediatamente l'offerta, e da lei non ci si sarebbe aspettati un simile comportamento. «Volete del té?» era una domanda a cui si rispondeva semplicemente sì o no; ma Mrs Arbuthnot persisteva nel vezzo, che aveva rivelato a colazione il giorno precedente, di aggiungere ai suoi sì o no la domanda: «E voi?» L'aveva ripetuto quella mattina a colazione, ed ecco che adesso lo faceva durante il té, i due pasti ai quali Mrs Fisher sedeva a capotavola e serviva. Perché lo faceva? Mrs Fisher non riusciva a capire. Ma non era questo che la preoccupava; questo era secondario. La preoccupava il fatto che quel giorno non era riuscita a concludere nulla, e non aveva fatto che vagare avanti e indietro dal suo salotto ai merli in modo irrequieto. Era stata una giornata sprecata, e lei detestava lo spreco. Aveva cercato di leggere e di scrivere a Kate Lumley; e invece… leggeva qualche parola, scriveva due righe, ed eccola di nuovo in piedi diretta verso i merli a guardare il mare. Non le importava che la lettera a Kate Lumley non fosse ancora pronta. Per quello c'era tempo. Ancor meglio lasciare che gli altri pensassero che il suo arrivo fosse definitivamente fissato, così Mr Wilkins non avrebbe occupato la camera disponibile, ma sarebbe andato nel posto che gli spettava. L'avrebbe occupata Kate, che poteva essere tenuta di riserva. Kate di riserva, funzionava come dal vivo; anzi, possedeva dei vantaggi che nella realtà non esistevano. Per esempio, se Mrs Fisher fosse stata irrequieta, avrebbe preferito che non ci fosse Kate a vederla. Quando si è irrequieti e si continua a trottare avanti e indietro, si sente il bisogno di conservare la propria dignità. Ma le importava di non riuscire a leggere una frase dei suoi grandi amici, ormai morti - no, neppure di Browning, che aveva vissuto tanto a lungo in Italia, né di Ruskin, di cui si era portata dietro Le pietre di Venezia, per rileggerlo mentre si trovava quasi nello stesso luogo; neppure una frase di un libro davvero interessante come quello che aveva trovato nel suo salotto sulla vita privata dell'imperatore tedesco, poveretto: scritto negli anni novanta, quando i suoi peccati non avevano ancora iniziato a rivoltarglisi contro, cosa che invece era fermamente convinta gli stesse succedendo adesso, ed era ricco di notizie eccitanti sulla sua nascita, sul suo braccio destro e sugli accoucheurs neppure una, senza doversi interrompere per andare a scrutare il mare. Leggere era molto importante; esercitare e sviluppare in modo adeguato la propria mente era un dovere supremo. Come si poteva leggere continuando a trottare ininterrottamente dentro e fuori? Curiosa, questa irrequietezza. Si stava forse ammalando? No, stava bene; anzi, si sentiva insolitamente molto bene, eppure entrava e usciva frettolosamente - infatti, trottava - e senza bastone. Davvero strano che non riuscisse a star seduta, pensò, guardando accigliata, attraverso la punta di alcuni giacinti viola, il golfo di La Spezia che scintillava oltre il promontorio; molto strano che lei, che camminava così lentamente e sostenendosi col bastone, all'improvviso cominciasse a trottare. Sentiva che sarebbe stato bello parlarne con qualcuno. Non con Kate, ma con un estraneo. Kate l'avrebbe solo guardata proponendo una tazza di té. Kate proponeva sempre una tazza di té, ed era così inespressiva. Quella Mrs Wilkins invece, per quanto fosse fastidiosa e avesse la lingua lunga, nonostante fosse impertinente e riprovevole, forse avrebbe capito e magari avrebbe colto il motivo per cui lei si sentiva così. Ma a Mrs Wilkins non poteva dire niente. Era l'ultima persona alla quale si confesserebbero le proprie sensazioni. La dignità non lo consentiva. Fidarsi di Mrs Wilkins? Mai! E anche Mrs Arbuthnot, mentre si comportava da madre ansiosa con la ritrosa Scrap, sentiva di aver trascorso una giornata curiosa. Anche lei era stata attiva ma, contrariamente a Mrs Fisher, lo era stata soltanto nella mente. Il corpo era rimasto immobile, la mente invece, eccessivamente desta, non si era fermata un attimo. Da anni lei faceva in modo di non avere tempo per pensare. La sua vita programmata nella parrocchia aveva impedito a ricordi e desideri di intrufolarsi dentro di lei. Quel giorno, invece, le si erano affollati dentro. Andò a prendere il té sentendosi depressa e provare tale sensazione in un luogo simile, circondata da tutto quel che avrebbe dovuto rallegrarla, accentuò questo suo stato d'animo. Ma come poteva rallegrarsi da sola? Chi sarebbe riuscito a rallegrarsi, gioire e apprezzare, apprezzare davvero, da solo? Lotty era l'unica. Pareva che Lotty ci riuscisse. Appena dopo colazione era scesa per la collina, sola eppure evidentemente allegra, infatti non aveva neanche proposto a Rose di accompagnarla e scendendo si era messa a cantare. Rose aveva trascorso la giornata da sola, seduta con le mani strette sulle ginocchia, e lo sguardo fisso di fronte a lei. Fissava le spade grigie delle agavi e, in cima ai loro alti gambi i pallidi iris che crescevano in questo luogo remoto scoperto da lei, mentre più in là, tra le foglie grigie e i fiori blu, intravedeva il mare. Il posto che aveva scovato era un angolo nascosto dove il timo imbottiva le pietre scaldate dal sole, e dove difficilmente sarebbe arrivato qualcuno. Non si vedeva dalla casa, né si poteva sentire nessun rumore che giungesse da lì; era lontano da ogni sentiero e vicino al limite del promontorio. Sedeva così tranquilla che subito le lucertole le guizzarono sui piedi e alcuni minuscoli uccellini, simili a fringuelli, prima volarono via impauriti, poi tornarono a svolazzare tra i cespugli intorno a lei come se non ci fosse stata. Com'era bello! Ma a cosa serviva se non c'era nessuno, nessuno che amasse stare con te e che ti apparteneva, nessuno a cui poter dire: «Guarda». E non sarebbe stato meglio poter dire: «Guarda… tesoro»? Sì, meglio dire tesoro, e bastava dire quella dolce parola a qualcuno che ti amava per essere felici. Sedeva immobile, con lo sguardo fisso davanti a lei. Strano che in questo luogo non desiderasse pregare. Lei, che a casa pregava costantemente, qui pareva non riuscirci. La mattina del primo giorno aveva soltanto reso un rapido ringraziamento al cielo alzandosi dal letto, ed era andata di corsa alla finestra per vedere l'aspetto del posto, aveva reso grazie come per gioco e non ci aveva più pensato. Quella mattina se ne era ricordata e vergognandosi si era inginocchiata con determinazione; ma forse la determinazione era dannosa alle preghiere, perché non le era venuto in mente niente da dire. Ed entrambe le notti, prima di andare a dormire, non era riuscita a dire le preghiere della sera. Le aveva dimenticate, era stata così assorbita in altri pensieri che le aveva dimenticate; e, una volta a letto, aveva dormito a lungo cullandosi tra rapidi sogni, chiari e leggeri, per stirarsi e alzarsi il mattino dopo. Che cosa le era successo? Perché aveva lasciato andare l'ancora della preghiera? E con altrettanta difficoltà pensava ai suoi poveri, addirittura aveva quasi dimenticato che al mondo esistessero i poveri. Certo, le vacanze erano utili, chiunque l'avrebbe riconosciuto, ma dovevano proprio cancellare la realtà, distruggerla completamente? Forse era un bene che dimenticasse i suoi poveri: sarebbe tornata da loro con maggiore entusiasmo. Ma non poteva essere un bene dimenticare le preghiere, e ancora meno poteva esserlo il fatto che non se ne preoccupasse. Rose non si preoccupava, e lo sapeva. E, ancora peggio, sapeva che non si preoccupava di non preoccuparsi. In questo luogo era indifferente a entrambe le cose che per anni avevano riempito la sua vita facendola apparire felice. Se solo avesse saputo gioire dell'incanto del nuovo ambiente che la circondava, almeno per contrapporre quell'indifferenza e quell'abbandono… ma non ci riusciva. Non aveva impegni, non pregava, era rimasta vuota. Quel giorno Lotty, invitando suo marito e suggerendole di farlo anche lei, le aveva rovinato la giornata, come anche il giorno prima, quando, dopo averle richiamato alla mente Frederick, se n'era andata lasciandola tutto il pomeriggio sola coi suoi pensieri. E da allora questi erano rivolti unicamente a Frederick, che mentre ad Hampstead stava con lei soltanto nei sogni, qui invece li lasciava liberi ed era con lei di giorno. E quella mattina, mentre lottava per non pensarlo, Lotty le aveva di nuovo chiesto, appena prima di scomparire giù per il sentiero canticchiando, se gli avesse già scritto per invitarlo, così le era tornato in mente e non era più riuscita a liberarsene. Come poteva invitarlo? Da troppo tempo ormai erano due estranei, da anni interi; non avrebbe neppure saputo quali parole usare; e comunque, non sarebbe venuto. Perché doveva venire? Non desiderava stare con lei. Di cosa avrebbero potuto parlare? A dividerli c'era la barriera del lavoro di lui e della religiosità di lei. Lei non poteva sopportare - come avrebbe potuto, credendo nella purezza e nella responsabilità delle proprie azioni nei confronti degli altri? - il lavoro di lui, il fatto di trarne sostentamento, e sapeva che lui all'inizio si era risentito della religiosità di lei, ma in seguito ne fu soltanto annoiato. Lui aveva lasciato che lei si allontanasse; l'aveva abbandonata, e senza più curarsene aveva accettato la sua religiosità con indifferenza, come un dato di fatto. Lei e la sua religiosità - la mente di Rose, divenuta più luminosa alla luce chiara di aprile a San Salvatore, all'improvviso vide la verità - lo annoiavano. Quando se ne accorse, quando quel mattino per la prima volta fu illuminata da quella verità, naturalmente non la gradì; le piacque così poco che per un attimo tutto lo splendore dell'Italia venne cancellato. Cosa doveva fare? Non poteva rinunciare a credere nel bene e a detestare il male, ed era un male vivere esclusivamente dei proventi degli adulteri, per quanto morti e sepolti. Inoltre, se l'avesse fatto, se avesse sacrificato tutto il suo passato, la sua educazione, il suo lavoro degli ultimi dieci anni, sarebbe riuscita ad annoiarlo meno? Rose sentì sin nel profondo che una volta che hai annoiato qualcuno è quasi certo che lo annoierai sempre. Noiosi una volta, noiosi per sempre… non poteva che essere così, osservò, per chi avevi annoiato la prima volta. Quindi, pensò guardando il mare con occhi velati, meglio aggrapparsi alla religione. Meglio di niente… e Rose neppure notò quanto fosse deplorevole questo pensiero. Oh, ma come avrebbe voluto aggrapparsi invece a qualcosa di tangibile, amare qualcosa di vivo, da tenere sul cuore, da vedere e toccare e a cui dedicarsi! Se il suo povero bambino non fosse morto… i bambini non si annoiano mai di te, impiegano molto tempo a crescere e a scoprire quanto sei noioso. E forse suo figlio non l'avrebbe mai scoperto, forse per lui, per quanto già vecchia e barbuta, sarebbe rimasta sempre una persona speciale, diversa dalle altre e preziosa, per il solo fatto che non poteva essere replicata. Sedendo a guardare il mare con gli occhi offuscati, sentì un desiderio fortissimo di tenere stretto al cuore qualcosa di suo. Rose era magra e riservata sia di aspetto sia di carattere, eppure sentì tutta la forza di una sensazione strana - come descriverla? - al cuore. A San Salvatore c'era qualcosa che le faceva sentire la forza del suo cuore. Voleva stringere al cuore i suoi cari, consolarli e proteggerli, calmarli con dolci carezze e sussurri d'amore. Frederick, il bambino di Frederick, venivano da lei, appoggiavano il capo su di lei, perché erano infelici, erano stati feriti… Avrebbero avuto bisogno di lei, se erano stati feriti; si sarebbero lasciati amare, se erano infelici. Il bambino se ne era andato, per non tornare mai più; ma chissà forse Frederick, un giorno, quando sarà vecchio e stanco… Questi erano i pensieri e le emozioni di quel primo giorno di Mrs Arbuthnot da sola a San Salvatore. Tornò per il té depressa come non lo era da anni. San Salvatore le aveva tolto quella parvenza di felicità che si era costruita attentamente, e in cambio non le aveva dato niente. Sì, in cambio l'aveva lasciata piena di desiderio, struggente e malinconica, con quella strana sensazione nel cuore; ed era peggio di niente. E lei che aveva imparato a essere equilibrata, lei che a casa non era mai nervosa ma sapeva essere sempre gentile al té quel pomeriggio, pur essendo così depressa, non riuscì a sopportare in Mrs Fisher quell'aria da padrona di casa. Non avrebbe mai immaginato che una simile piccolezza potesse sfiorarla, eppure successe. Forse la sua natura stava mutando? Oltre a ritrovarsi con il desiderio di Frederick, da tanto tempo soffocato, doveva anche diventare una di quelle persone che discutono per ogni minima cosa? Dopo il té, quando Mrs Fisher e Lady Caroline scomparvero di nuovo - era evidente che nessuno gradiva la sua compagnia - si sentì più depressa che mai, sopraffatta dalla discrepanza tra lo splendore esterno, la bellezza calda e fertile di quella natura autosufficiente, e il vuoto assoluto del suo cuore. Poi, per cena, ritornò Lotty: era incredibilmente lentigginosa e irradiava il sole che aveva assorbito per tutto il giorno, parlava e rideva, indiscreta, imprudente e senza riserbo; e Lady Caroline, così silenziosa al té, si risvegliò in una fresca vivacità, Mrs Fisher non fu così altezzosa e Rose cominciò a ravvivarsi un pochino, perché l'umore di Lotty contagiò tutti mentre descriveva i piaceri della sua giornata, una giornata che di certo per chiunque altro si sarebbe ridotta a una camminata molto lunga e calda e qualche panino. A un tratto, cogliendo lo sguardo di Rose, chiese: «Hai spedito la lettera?» Rose arrossì. Che indiscrezione… «Che lettera?» chiese Scrap, interessata. Teneva i gomiti sul tavolo e il mento appoggiato alle mani, perché era arrivato il momento delle noci e non si poteva fare altro che aspettare, in una posizione comoda, che Mrs Fisher finisse di sgusciarle. «Per invitare suo marito», disse Lotty. Mrs Fisher alzò la testa. Un altro marito? Non c'era mai fine? Allora neppure questa era vedova; senza dubbio, però, suo marito era un uomo decoroso e rispettabile, con una professione decorosa e rispettabile. Per Mr Wilkins nutriva poche speranze, e si era trattenuta dal chiedere che lavoro facesse. «L'hai spedita?» chiese Lotty con insistenza, perché Rose continuava a tacere. «No», rispose Rose. «Oh, be'… allora domani», disse Lotty. Rose voleva di nuovo rispondere con un «no». Al suo posto Lotty l'avrebbe fatto, e avrebbe spiegato le sue ragioni. Ma lei non riusciva a mettersi a nudo davanti agli altri. Com'era possibile che Lotty, che vedeva tante cose, non vedesse fin dentro il suo cuore, e vedendo non stesse zitta, non toccasse quel tasto doloroso che era Frederick? «Chi è vostro marito?» chiese Mrs Fisher, sistemando con attenzione un'altra noce nello schiaccianoci. «Chi dovrebbe essere, - disse Rose prontamente, subito irritata da Mrs Fisher, - se non Mr Arbuthnot?» «Intendevo, naturalmente, che cos'è Mr Arbuthnot?» Al che Rose, arrossendo per la sofferenza, dopo una brevissima pausa disse: «Mio marito». Mrs Fisher non poteva che sentirsi esasperata. Non avrebbe mai pensato che anche questa, con quella sua pettinatura decorosa e quella voce gentile, potesse essere tanto insolente. Quella prima settimana il glicine cominciò ad appassire e i fiori dell'albero di Giuda e dei peschi caddero tappezzando il terreno di rosa. Poi scomparvero le fresie, e gli iris si fecero rari. Intanto, mentre questi se ne andavano, sbocciarono le rose banksiae e d'un tratto le grandi rose estive sfoggiarono la loro magnificenza sui muri e sui graticci. Una di queste era la fortuniana, una rosa gialla bellissima. Le tamarici e le dafne raggiunsero subito il loro massimo splendore, i gigli la massima altezza. Alla fine della settimana i fichi facevano ombra e il susino in fiore spuntava tra gli olivi, le timide weigelia comparvero nei loro nuovi abiti rosa, e sugli scogli si sparsero a profusione fiori a forma di stella e dalle foglie spesse, alcuni di un viola brillante, altri color limone, chiaro e pallido. Alla fine della settimana, inoltre, proprio come aveva previsto sua moglie, arrivò Mr Wilkins. Sembrava che avesse accettato quasi con impazienza la proposta della moglie visto che non perse tempo a scrivere ma telegrafò. Di certo questa era impazienza. Rivelava, pensò Scrap, un gran desiderio di riavvicinamento, e osservando il viso felice della moglie e sapendo quanto desiderasse che Mellersh si godesse la vacanza, si disse che lui sarebbe stato davvero uno stupido se avesse perso tempo dietro a un'altra. «Se non sarà carino con lei, - pensò Scrap, - sarà condotto ai merli e scaraventato giù». Alla fine della settimana lei e Mrs Wilkins erano ormai Caroline e Lotty, infatti erano diventate amiche. Mrs Wilkins si era sempre considerata un'amica, ma Scrap aveva fatto ogni sforzo per evitarlo, tentando con tutta se stessa di essere cauta, ma com'era difficile con Mrs. Wilkins! Priva di ogni traccia di cautela, era così schietta ed espansiva, che Scrap molto presto, forse ancora prima di rendersene conto, si abbandonò ad altrettanta schiettezza. E nessuno poteva essere più schietto di Scrap, una volta che si lasciava andare. L'unico inconveniente di Lotty era che quasi sempre era da qualche altra parte. Non si riusciva a trovarla, né a catturarla perché venisse a fare due chiacchiere. Ripensandoci dopo, il timore di Scrap di essere assillata da lei appariva grottesco. Proprio da lei, che non avrebbe mai assillato nessuno! Le uniche volte che la si trovava erano a cena e dopo cena. Il resto della giornata diventava invisibile: tornava nel tardo pomeriggio offrendo uno spettacolo unico, con i capelli pieni di pezzetti di muschio e le lentiggini più evidenti che mai. Forse sfruttava il tempo che le era rimasto prima dell'arrivo di Mellersh per fare ciò che desiderava, perché poi intendeva dedicarsi a lui, e andarsene a spasso in ordine e con gli abiti migliori. Scrap, suo malgrado, la osservava con interesse poiché le pareva straordinario poter essere tanto felice per così poco. San Salvatore era incantevole e il tempo era stupendo; ma il paesaggio e il tempo non erano mai bastati a Scrap, e come potevano bastare a qualcuno che molto presto li doveva lasciare per fare ritorno alla vita di Hampstead? Inoltre, vi era il pericolo imminente di Mellersh, di quel Mellersh da cui Lotty era fuggita appena prima. Era molto bello sentire che bisogna condividere, fare un beau geste, ma nessuno dei beaux gestes a cui Scrap aveva assistito aveva reso felice qualcuno. A nessuno in realtà piace riceverne, e comportano sempre uno sforzo per chi li compie. Eppure, doveva ammettere che Lotty non si sforzava affatto; era evidente che tutto quel che faceva e diceva le veniva spontaneo, che lei era semplicemente e assolutamente felice. Sì, Mrs Wilkins lo era davvero; perché già a metà settimana erano scomparsi i dubbi se avesse avuto abbastanza tempo per con solidare la sua serenità così da continuare a esserlo anche in compagnia di Mellersh quando sarebbe rimasta con lui ininterrottamente, e sentiva che nulla ormai poteva turbarla. Era pronta a tutto; era saldamente trapiantata, profondamente radicata in paradiso. Qualsiasi cosa Mellersh avesse detto o fatto, lei non si sarebbe mossa di un passo dal paradiso, neanche per un istante se ne sarebbe allontanata vacillante e arrabbiata. Al contrario, avrebbe trascinato Mellersh con lei, e si sarebbero seduti insieme tranquilli e inondati di luce, e avrebbero riso pensando a quanto ad Hampstead lei lo temesse e lo ingannasse per la paura. Ma non ci sarebbe stato bisogno di trascinarlo molto. Dopo qualche giorno lui ci sarebbe entrato con naturalezza, sospinto irresistibilmente dalle brezze profumate di quell'atmosfera divina; e lì si sarebbe seduto ornato di stelle, pensò Mrs Wilkins, nella cui mente, tra i molti detriti, fluttuavano a volte luminosi brandelli di poesia. Rise un poco tra sé per quell'immagine di Mellersh, quel rispettabile avvocato di cause familiari in abito nero e cappello a cilindro, ornato di stelle, e rise affettuosamente, quasi con orgoglio materno, all'idea di come sarebbe sembrato bello in abiti così eleganti. «Povero agnellino», mormorò tra sé con affetto. E aggiunse: «Quel che ha bisogno è stare all'aria aperta». Questo accadeva la prima metà della settimana. All'inizio della seconda metà, alla fine della quale arrivò Mr Wilkins, smise persino di rassicurarsi della propria saldezza, di essere immutabilmente permeata dall'atmosfera, non ci pensò più, non ci fece più caso. Diede tutto per scontato. Se così si può dire, e lei lo diceva senza timore, non solo a se stessa ma anche a Lady Caroline, aveva mosso i primi passi in cielo. Mrs Wilkins, contrariamente a quello che Mrs Fisher riteneva un comportamento decoroso - era inevitabile, che altro ci si poteva aspettare da lei? - non andò incontro al marito a Mezzago, ma scese a piedi soltanto fino al punto in cui, sulla strada di Castagneto, la carrozza di Beppo lo avrebbe lasciato con il bagaglio. Mrs Fisher era contrariata per l'arrivo di Mr Wilkins, ed era certa che chiunque avesse sposato Mrs Wilkins fosse come minimo una persona sconsiderata, ma un marito, comunque egli fosse, bisognava accoglierlo in modo appropriato. Mr Fisher era sempre stato accolto opportunamente. Mai una volta nella sua vita coniugale sua moglie non era andata a prenderlo alla stazione o ad accompagnarlo. Queste regole, queste cortesie, consolidavano il legame matrimoniale e facevano sì che il marito sentisse di poter contare sulla presenza costante della moglie; e questo era il più grande segreto di ogni moglie. Preferiva non pensare a cosa ne sarebbe stato di Mr Fisher se lei avesse trascurato di seguire questo principio. Così com'era, gliene erano già accadute abbastanza, di cose! Per quanto si tentasse di correre ai ripari, la vita matrimoniale serbava sempre molte insidie. Mrs Wilkins invece non si preoccupò. S'incamminò giù per la collina canticchiando - Mrs Fisher la sentiva - e raccolse il marito lungo la strada, casualmente come se fosse stato uno spillo. Le altre tre, ancora a letto perché l'ora di alzarsi era lontana, la sentirono passare sotto le loro finestre e scendere lungo il sentiero a zigzag per andare incontro a Mr Wilkins che arrivava con il treno del mattino; Scrap sorrise, Rose sospirò e Mrs Fisher suonò la campanella chiedendo a Francesca di portarle la colazione in camera. Tutte e tre fecero colazione in camera, mosse dal comune istinto di rimanere nascoste. Scrap faceva sempre colazione a letto, ma sentì ugualmente l'istinto di nascondersi, e a colazione decise di trascorrere in camera l'intera giornata. Forse, però, non era tanto necessario quel giorno lì, quanto quello seguente. Per quel giorno infatti, considerò Scrap, Mellersh avrebbe avuto il suo daffare. Avrebbe voluto fare un bagno, e a San Salvatore questa era una faccenda elaborata, una vera e propria avventura se si voleva l'acqua calda nella vasca che richiedeva un mucchio di tempo. Comportava l'assistenza di tutta la servitù: Domenico e Giuseppe ravvivavano il fuoco in quella stufa brevettata, cercando di ridurlo quando bruciava troppo, usando il soffietto quando minacciava di spegnersi e riaccendendolo quando si spegneva del tutto; Francesca volteggiava intorno al rubinetto regolandone il flusso, perché se veniva aperto troppo l'acqua diventava subito fredda, e se non veniva aperto abbastanza l'interno della stufa saltava in aria e la casa si allagava misteriosamente; Costanza e Angela correvano su e giù trasportando dalla cucina secchi di acqua calda per rimediare all'opera del rubinetto. Questa vasca, installata di recente, costituiva l'orgoglio e il terrore della servitù. Era stata appena brevettata e nessuno ne capiva appieno il funzionamento. Affissa alla parete vi era una lunga lista stampata di istruzioni riguardo al suo uso corretto, nella quale ricorreva la parola pericoloso. Quando, appena arrivata, Mrs Fisher si diresse in bagno e vide questa parola, tornò in camera sua ordinando che invece le venisse portata una spugna da bagno; e quando le altre signore scoprirono che cosa comportasse l'uso del bagno, quanto la servitù fosse riluttante a lasciarle sole con la stufa, con che fermezza si rifiutasse anche Francesca, che continuava a stare girata di schiena per controllare il rubinetto, e come il resto della servitù aspettasse fuori della porta con ansia finché la persona che aveva deciso di fare il bagno non ne fosse uscita incolume, allora si fecero portare in camera delle spugne da bagno. Mr Wilkins, tuttavia, era un uomo, e di sicuro avrebbe fatto volentieri un bel bagno; e dunque, calcolò Scrap, sarebbe stato occupato per molto tempo. Poi avrebbe disfatto i bagagli, e infine, dopo una nottata in treno, probabilmente avrebbe dormito fino a sera. Così sarebbe stato occupato per tutto il giorno, e non avrebbe incrociato nessuno fino all'ora di cena. Quindi Scrap giunse alla conclusione che per quel giorno sarebbe stata al sicuro in giardino, e come al solito dopo colazione si alzò e indugiò un po' tra i vestiti, tendendo l'orecchio per ascoltare Mr Wilkins che arrivava, il bagaglio che veniva portato nella camera di Lotty dall'altra parte del pianerottolo, la sua voce affettata che prima chiese a Lotty: «Devo dargli qualcosa?» e che continuò subito dopo dicendo: «Posso fare un bagno caldo?» Ed ecco la voce allegra di Lotty a rassicurarlo che non doveva dare niente a quel tale perché si trattava del giardiniere, e che sì, poteva fare un bagno caldo; e subito dopo il pianerottolo si affollò dei rumori familiari del trasporto dei secchi e dell'acqua, dei passi affrettati, del vociferare concitato… in poche parole, della preparazione del bagno. Scrap finì di vestirsi, poi si attardò alla finestra aspettando di sentire Mr Wilkins che entrava in bagno. Una volta dentro, lei sarebbe sgusciata fuori per andare in giardino a riprendere le domande sul possibile significato della sua vita. Stava facendo progressi con le sue domande! Sonnecchiava molto meno e incominciava a pensare che «squallido» fosse la parola che meglio definiva il suo passato. Temeva inoltre che la attendesse un futuro nero. Ecco… sentiva di nuovo la voce affettata di Mr Wilkins. La porta di Lotty si era aperta, e lui ne usciva chiedendo dove fosse il bagno. «È dove vedi la ressa», rispose la voce di Lotty, era ancora allegra, notò Scrap con piacere. Si sentirono i passi di lui lungo il pianerottolo, e quelli di Lotty che scendevano, poi parve di sentire una breve discussione sulla porta del bagno, o piuttosto, un coro di voci da un lato, e una muta determinazione a fare il bagno da solo, immaginò Scrap, dall'altro. Mr Wilkins non sapeva una parola di italiano, e l'espressione pericoloso{7} lo lasciava del tutto indifferente, o perlomeno così sarebbe accaduto se l'avesse vista, ma naturalmente non fece caso al cartello appeso al muro. Chiuse la porta in faccia alla servitù senza esitazione, opponendosi a Domenico, che tentò fino all'ultimo di intrufolarsi, e si chiuse dentro com'è opportuno per ogni uomo che faccia il bagno; considerò oggettivamente, mentre faceva i preparativi usuali per entrare nella vasca, il comportamento singolare di questi stranieri, i quali, sia uomini che donne, volevano a tutti i costi rimanere con lui. Aveva sentito dire che in Finlandia, in occasioni simili, le donne del luogo non solo erano presenti, ma addirittura lavavano il viaggiatore. Non sapeva però che questo accadesse anche in Italia, che chissà per quale ragione pareva una civiltà più vicina, forse perché di solito ci si recava lì e non in Finlandia. Esaminando con imparzialità questo pensiero, e valutando attentamente i diritti alla civiltà dell'Italia e della Finlandia, Mr Wilkins entrò nella vasca e chiuse il rubinetto. Certo che chiuse il rubinetto, era così che si faceva sempre! Ma nelle istruzioni, stampate a lettere rosse, vi era un paragrafo che diceva di non chiudere il rubinetto nel caso ci fosse stato ancora fuoco nella stufa. Bisognava lasciarlo aperto appena appena, ma aperto - finché il fuoco non si fosse spento completamente; altrimenti, e qui c'era di nuovo la scritta pericoloso {8}, la stufa sarebbe saltata in aria. Mr Wilkins entrò nella vasca e chiuse il rubinetto, la stufa saltò in aria, esattamente come annunciavano le istruzioni stampate. Saltò in aria, per fortuna, solo all'interno, ma con un rumore tremendo, e Mr Wilkins balzò fuori dalla vasca precipitandosi verso la porta, e solo grazie ad anni di addestramento ebbe l'istinto di afferrare un asciugamano mentre correva fuori. Scrap, che stava attraversando il pianerottolo per uscire, sentì l'esplosione. «Santo cielo! - pensò, ricordando le istruzioni, - questo è Mr Wilkins!» E corse verso la cima delle scale per chiamare la servitù, e nel mentre, corse fuori anche Mr Wilkins tenendo stretto il suo asciugamano, e andarono a sbattere uno contro l'altra. «Maledetto bagno!» urlò Mr Wilkins, forse lasciandosi andare per la prima volta in vita sua, ma era così sconvolto! E qui avvennero le presentazioni. Mr Wilkins, non completamente coperto dall'asciugamano, da un capo infatti uscivano le spalle, e dall'altro le gambe, e Lady Caroline Dester, per incontrare la quale era venuto in Italia ingoiando tutta la rabbia che nutriva per sua moglie. Proprio così, infatti Lotty nella lettera gli aveva detto chi c'era a San Salvatore oltre a lei e a Mrs Arbuthnot, e Mr Wilkins si era reso conto immediatamente che non si sarebbe mai più verificata un'occasione simile. Lotty aveva scritto soltanto: «Qui ci sono altre due donne, Mrs Fisher e Lady Caroline Dester», ma questo gli era bastato. Sapeva tutto sui Droitwich, sulla loro ricchezza, le loro amicizie, il posto che occupavano nella storia e il potere che avevano, avessero soltanto deciso di esercitarlo, di fare felice un altro avvocato aggiungendolo a quelli già assunti. C'erano persone che assumevano un avvocato per una branca dei loro affari, e un altro per un'altra; e gli affari dei Droitwich erano di sicuro costituiti da molte branche. Aveva anche sentito parlare - in fondo faceva parte del suo lavoro, pensò, sentire quel che si diceva, e una volta sentito ricordarlo - della bellezza della loro unica figlia. Anche se i Droitwich non avessero avuto bisogno delle sue prestazioni, magari ne avrebbe avuto la figlia. La bellezza portava a situazioni strane; e i consigli non potevano risultare inopportuni. E caso mai nessuno di loro, né i genitori, né la figlia, né nessuno dei loro figli illustri, avesse avuto bisogno di lui in veste professionale, questa rimaneva comunque una conoscenza che valeva la pena fare: apriva nuove prospettive e offriva grandi possibilità. Poteva vivere ad Hampstead per anni senza imbattersi di nuovo in una occasione simile. Appena ricevette la lettera di sua moglie, mandò il telegramma e fece i bagagli. Era una questione d'affari, e lui era una persona che non perdeva tempo quando si trattava d'affari, e che non metteva a rischio un'opportunità trascurando di essere affabile. Quando incontrò sua moglie fu molto affabile, consapevole che in simili circostanze l'affabilità significa saggezza. Oltretutto, si sentiva davvero così. Per una volta, Lotty lo stava aiutando realmente. Scendendo dalla carrozza di Beppo la baciò con affetto, dispiaciuto che avesse dovuto alzarsi prestissimo; non si lamentò per il sentiero ripido, ma le raccontò piacevolmente del viaggio e, quando gli venne richiesto, ammirò obbediente il panorama. Quello che avrebbe fatto quel primo giorno era tracciato con chiarezza nella sua mente: farsi la barba, fare un bagno, indossare abiti puliti, dormire un pochino, poi ci sarebbe stato il pranzo, e la presentazione a Lady Caroline. In treno aveva scelto le parole con cui presentarsi, esaminandole con attenzione, - un'espressione garbata riguardo al piacere che provava nel conoscere una persona di cui lui, come il resto del mondo, aveva tanto sentito parlare - certo, doveva esprimersi con delicatezza, molta delicatezza; qualche cenno garbato ai suoi insigni parenti e al ruolo che la sua famiglia aveva giocato nella storia dell'Inghilterra, naturalmente, col dovuto riguardo; una o due frasi sul suo fratello maggiore, Lord Winchcombe, che nell'ultima guerra aveva ottenuto la Croce della Regina Vittoria in circostanze che avrebbero inevitabilmente - questo poteva anche non aggiungerlo - fatto battere più forte che mai il cuore di ogni Inglese per l'orgoglio… ed ecco che si era avviato a quella che poteva benissimo dirsi la svolta decisiva della sua carriera. E invece eccolo lì… no, era terribile! Cosa poteva esserci di peggio? Con indosso solo un asciugamano e l'acqua che gli colava lungo le gambe, per non parlare di quell'imprecazione. Capì subito che quella era Lady Caroline, lo capì nell'istante stesso in cui gli scappò l'imprecazione. Mr Wilkins raramente usava quella parola, e comunque mai, mai in presenza di una signora o di un cliente. E poi quell'asciugamano… perché era venuto? Perché non era rimasto ad Hampstead? Era assolutamente imperdonabile. Ma Mr Wilkins faceva i conti senza Scrap, la quale, appena lui le balenò davanti, fece una smorfia tentando con tutte le forze di non scoppiare a ridere davanti a quello spettacolo sorprendente e riuscì a soffocare il riso, e riprendendo un'espressione seria e ricomponendosi come se lui fosse stato vestito di tutto punto, disse: «Piacere». Che riguardo! Mr Wilkins l'avrebbe adorata. Far finta di niente con tanta raffinatezza! Il sangue blu, di certo, veniva fuori. Sopraffatto dalla gratitudine prese la mano che lei gli offriva e disse a sua volta «Piacere», e la sola ripetizione di quella espressione ordinaria sembrò riportare magicamente la situazione alla normalità. In verità, si sentì così sollevato, e quella stretta di mano, quel saluto convenzionale furono così spontanei, che dimenticò di avere indosso soltanto un asciugamano e assunse nuovamente le sue maniere professionali. Dimenticò l'aspetto che aveva, ma non che quella era Lady Caroline Dester, la donna che era venuto fino in Italia per incontrare, né dimenticò che davanti ai suoi occhi, quegli occhi splendidi ed eccelsi, aveva pronunciato una tremenda imprecazione. Doveva immediatamente implorare perdono. Dire una parola simile a una signora a qualsiasi signora, ma tra tutte, proprio a questa… «Temo di aver usato un linguaggio imperdonabile», iniziò Mr Wilkins serio e cerimonioso come se fosse stato vestito di tutto punto. «Era il più adatto», disse Scrap, abituata alle imprecazioni. Mr Wilkins si sentì incredibilmente sollevato e consolato da questa risposta. Dunque non si era offesa. Ecco, di nuovo, il sangue blu. Solo chi era di sangue blu poteva tenere un atteggiamento così aperto e comprensivo. «Sto parlando a Lady Caroline Dester, vero?» chiese, e la sua voce suonava ancora più affettata del solito, perché doveva contenere tutto il piacere, il sollievo, la gioia del perdono e dell'assoluzione. «Sì», disse Scrap; e per nulla al mondo sarebbe riuscita a trattenere un sorriso. Non potè farne a meno. Aveva deciso che non avrebbe sorriso a Mr Wilkins, mai; ma con quell'aspetto… e con quella voce che dominava su tutto, e lui, dimentico dell'asciugamano e delle gambe, che parlava esattamente come fanno in chiesa. «Permettetemi di presentarmi, disse Mr Wilkins, con una cerimoniosità da salotto. - Mi chiamo Mellersh Wilkins». E a queste parole istintivamente allungò la mano per la seconda volta. «L'avevo immaginato», disse Scrap, mentre per la seconda volta le veniva stretta la mano e per la seconda volta non riusciva a trattenere un sorriso. Stava per partire con il primo degli eleganti tributi che si era preparato in treno, non accorgendosi, perché non si vedeva, di essere senza vestiti, quando la servitù arrivò di corsa su per le scale e contemporaneamente apparve Mrs Fisher sulla porta del suo salotto. Siccome era accaduto tutto molto in fretta, la servitù giù in cucina e Mrs Fisher a passeggio tra i suoi merli, sentito il rumore non avevano fatto in tempo ad apparire se non alla seconda stretta di mano. Quando i domestici sentirono quel rumore spaventoso capirono subito cos'era accaduto e si precipitarono direttamente in bagno per cercare di tamponare il flusso d'acqua, senza far caso alla persona coperta da un asciugamano in piedi sul pianerottolo. Mrs Fisher invece non sapeva cosa potesse essere quel rumore, e uscendo dalla stanza per informarsi rimase impietrita sulla soglia. Quella visione bastava a lasciare impietrito chiunque. Lady Caroline stringeva la mano a quello che chiaramente, vestito in modo adeguato, sarebbe stato il marito di Mrs Wilkins, e tutti e due conversavano come se… Allora Scrap si accorse di Mrs Fisher e si voltò subito verso di lei. «Lasciate, - disse con grazia, - che vi presenti Mr Mellersh Wilkins. È appena arrivato. Questa, - aggiunse rivolgendosi a Mr Wilkins, - è Mrs Fisher». E Mr Wilkins, con la più assoluta cortesia, ebbe una reazione immediata a quella formula convenzionale. Prima si inchinò verso la signora più anziana sulla porta, poi le si avvicinò, con i piedi bagnati che lasciavano l'impronta, e raggiuntala tese gentilmente la mano verso di lei. «E un piacere, - disse Mr Wilkins con quella sua voce accuratamente modulata, - conoscere un'amica di mia moglie». Scrap si dileguò in giardino. La strana conseguenza di questo incidente fu che quando quella sera Mrs Fisher e Lady Caroline si incontrarono a cena, provarono entrambe una singolare sensazione di intesa segreta con Mr Wilkins. Per loro non poteva più essere come gli altri uomini, come invece sarebbe stato se la prima volta lo avessero incontrato vestito. In pratica, avevano rotto il ghiaccio, si sentivano a un tempo intime e indulgenti; nei suoi confronti si sentivano come delle balie, come chi ha assistito un paziente oppure un bambino mentre fa il bagno. Avevano fatto conoscenza con le gambe di Mr Wilkins! Non si saprà mai ciò che quella mattina gli disse Mrs Fisher, in preda allo stupore, ma quando rammentò a Mr Wilkins la sua condizione, egli rispose scusandosi in modo garbato e mantenendosi così dignitoso pur nella sua confusione, che ella finì col dispiacersi per lui e col calmarsi completamente. Dopo tutto, era stato un incidente, e nessuno poteva evitare gli incidenti. E quando poi lo vide a cena, splendente e immacolato nel vestito di lino e coi capelli lucidi, oltre alla singolare sensazione che vi fosse con lui un'intesa segreta, provò quasi una sorta di orgoglio personale per il suo aspetto, ora che era vestito, che si trasformò subito in un sottile orgoglio per tutto quello che egli diceva. Nella mente di Mrs Fisher non vi erano dubbi sul fatto che la compagnia di un uomo era assolutamente preferibile a quella di una donna. La presenza e la conversazione di Mr Wilkins elevarono immediatamente la qualità della cena al tavolo, che da una gabbia di matti - sì, proprio una gabbia di matti - divenne un incontro sociale più civilizzato. Parlava di argomenti interessanti, com'è giusto per gli uomini, e, sebbene fosse molto cortese nei confronti di Lady Caroline, non dava segni di sciogliersi in sorrisini idioti e in sciocchezze ogni volta che si rivolgeva a lei. Era, anzi, altrettanto cortese con la stessa Mrs Fisher; e quando per la prima volta a tavola si discusse di politica, la ascoltò con la dovuta serietà quando ella mostrò il desiderio di parlare, e prese in considerazione le sue opinioni con l'attenzione che meritavano. A quanto pare, la pensava come lei su Lloyd George, ed era altrettanto forte anche in letteratura. Fu possibile tenere una vera conversazione, e come se non bastasse, gli piacevano le noci. Rimaneva un mistero come avesse potuto sposare Mrs Wilkins. Lotty, da parte sua, si guardava intorno sgranando gli occhi. Si aspettava che Mellersh avrebbe impiegato almeno due giorni per raggiungere questo stadio, invece l'incantesimo di San Salvatore aveva agito all'istante. Non soltanto fu amabile a cena - lei lo aveva sempre visto comportarsi amabilmente quando a cena c'erano altre persone -, ma per tutto il giorno lo era stato anche con lei, a tal punto che mentre lei si spazzolava i capelli le aveva fatto i complimenti per la sua bellezza e l'aveva baciata. Baciata! E non era un buongiorno né una buonanotte. Stando così le cose, avrebbe aspettato il giorno seguente per dirgli la verità sul gruzzoletto e sul fatto che Rose non fosse la padrona di casa. Era un peccato rovinare tutto. Aveva pensato di spifferare la verità appena lui avesse avuto un attimo di pace, ma sembrava davvero un peccato rovinare l'ottimo umore di Mellersh proprio quel primo giorno. Meglio lasciare che anche lui si stabilisse più saldamente in paradiso, perché allora non si sarebbe più preoccupato di nulla. Il volto di lei scintillò di gioia per l'effetto istantaneo di San Salvatore. Non lo aveva turbato neppure la catastrofe del bagno, di cui era stata informata mentre arrivava dal giardino. Indubbiamente aveva solo bisogno di una vacanza. Com'era stata crudele quando lui aveva proposto di portarla in Italia! Ma questa sistemazione si rivelò la migliore, sebbene non per merito suo. Lei par lava e rideva gaiamente, senza più un briciolo di timore nei suoi confronti, tanto che quando, colpita dal candore del marito, disse che pareva così lindo che si sarebbe potuto cenare su di lui, facendo ridere Scrap, rise persino Mellersh. A casa una cosa simile lo avrebbe contrariato, sempre che a casa lei si fosse trovata nello stato d'animo per dirlo. Fu una serata riuscita. Ogni volta che Scrap guardava Mr Wilkins, lo immaginava nel suo asciugamano, gocciolante, e si sentiva indulgente. Mrs Fisher era soddisfatta di lui. Rose, agli occhi di Mr Wilkins, era una padrona di casa dignitosa e tranquilla, ed egli ne ammirava il garbo con cui aveva rinunciato al suo diritto di sedere a capotavola, per rispetto, naturalmente, dell'età di Mrs Fisher. Mrs Arbuthnot, opinò Mr Wilkins, era riservata di natura. Delle tre signore era la più riservata. Prima di cena l'aveva incrociata da sola nel salone e aveva espresso con le parole più appropriate quanto apprezzasse la sua gentilezza ad aver desiderato che lui si unisse alla compagnia, ma lei era stata molto riservata. Era timida? Forse. Era arrossita e aveva brontolato qualcosa come disapprovando, poi erano sopraggiunte le altre. A cena aveva parlato poco. Naturalmente nei giorni successivi l'avrebbe conosciuta meglio, e sarebbe stato assai piacevole, ne era certo. Nel frattempo Lady Caroline si rivelava migliore di quanto Mr Wilkins avesse immaginato, e aveva accolto benevolmente i suoi discorsi, abilmente introdotti tra una portata e l'altra; Mrs Fisher corrispondeva esattamente all'anziana signora che aveva sperato di incontrare per tutta la sua vita professionale; e Lotty non solo era decisamente migliorata, ma era evidentemente au mieux - Mr Wilkins conosceva quel che bastava di francese - con Lady Caroline. Durante la giornata era stato molto tormentato dal pensiero di quando era rimasto in piedi a conversare con Lady Caroline, dimenticando di essere svestito, e infine aveva deciso di scriverle un biglietto scusandosi profondamente e supplicandola di non far caso a quella distrazione sorprendente e incomprensibile, e lei in risposta aveva scritto a matita sul retro della busta: «Non preoccupatevi». Al che aveva obbedito agli ordini e non ci aveva più pensato; e adesso si sentiva pienamente soddisfatto. Quella sera, prima di andare a dormire, pizzicò un orecchio di sua moglie, che rimase sbalordita. Questi gesti affettuosi… Come se non bastasse, il mattino non portò nessuna ricaduta in Mr Wilkins, che continuò a rimanere di ottimo umore per tutta la giornata, nonostante fosse il primo giorno della seconda settimana, cioè il giorno in cui si doveva pagare. Questo fece precipitare la confessione di Lotty, che aveva deciso, al momento di venire al sodo, di rimandare ancora un pochino. Non aveva paura, avrebbe osato qualunque cosa, ma Mellersh era di un umore sereno, perché rischiare di rannuvolarlo così presto? Subito dopo colazione, tuttavia, apparve Costanza con un mucchio di foglietti di carta molto sporchi, scarabocchiati di somme scritte a matita, e bussando alla porta di Mrs Fisher fu mandata via, a quella di Lady Caroline fu mandata via, a quella di Rose non ricevette risposta perché Rose era uscita. Allora attese al varco Lotty, che stava mostrando la casa a Mellersh, e indicò i fogliettini di carta: Lotty ricordò che era passata una settimana senza che nessuno pagasse niente, e che era giunto il momento di sistemare i conti. «Cosa vuole quella signora così gentile?» domandò Mr Wilkins con voce melliflua. «Denaro», disse Lotty. «Denaro?» «E il conto delle spese di casa». «Be', ma tu non c'entri niente», disse Mr Wilkins tranquillo. «Oh, sì che c'entro…» E la confessione precipitò. La reazione di Mellersh fu stupefacente. Pareva che pensasse da sempre che questo fosse il giusto impiego del suo gruzzoletto. Non la sottopose a un interrogatorio, come avrebbe fatto a casa; accettò ogni cosa che gli veniva riferita, le bugie di lei e il resto, e alla fine, quando Mrs Wilkins aggiunse: «Hai tutti i diritti di essere arrabbiato, credo, ma spero che invece di esserlo, mi perdonerai», lui si limitò a chiedere: «Cosa c'è di più benefico di una vacanza come questa?» Al che lei lo prese sotto braccio e tenendolo stretto disse: «Oh Mellersh, sei davvero un tesoro!» col volto rosso di orgoglio per lui. Il fatto che assimilasse l'atmosfera così velocemente, che all'improvviso non esprimesse che gentilezza, dimostrava la profonda affinità che lo univa alle cose belle e armoniose. Apparteneva naturalmente a questo luogo di calma paradisiaca. Era per natura incredibile quanto lei lo avesse sempre giudicato male - un figlio della luce. Pareva impossibile che non gli importasse delle terribili bugie a cui si era ridotta prima di partire, che ci passasse sopra senza neanche un commento. Stupefacente. Anzi, non era stupefacente: non si trovavano forse in paradiso? Lì a nessuno importava delle cose andate, non ci si preoccupava neppure di dimenticare e di perdonare, si era troppo felici. Gli strinse forte il braccio, grata e riconoscente; e lui non lo ritirò, ma neppure rispose alla pressione di lei: Mr Wilkins era di temperamento freddo, e di rado sentiva il desiderio di abbracciare qualcuno. Nel frattempo Costanza, accorgendosi che i Wilkins non la ascoltavano più, era tornata da Mrs Fisher, la quale perlomeno capiva l'italiano, oltre a essere, agli occhi della servitù, la più indicata della compagnia, per età e aspetto, a pagare le spese; e, mentre Mrs Fisher dava gli ultimi ritocchi alla sua toeletta perché si stava preparando mettendosi un cappello con veletta, boa di piume e guanti per andare a fare la prima passeggiata nel giardino di sotto - sicuramente la prima dal suo arrivo - Costanza le spiegò che se non le avessero dato il denaro per pagare i conti della settimana passata, i negozi di Castagneto si sarebbero rifiutati di fare credito per il cibo di quella a venire. Neppure per i pasti di quel giorno, affermò Costanza, che aveva speso una somma molto elevata ed era ansiosa di rimborsare l'intera somma ai suoi parenti, oltre che di scoprire come avrebbe reagito la sua padrona. Presto sarebbe stata ora di colazione, e come si poteva fare colazione{9} senza carne e pesce, senza uova e… Mrs Fisher le prese i foglietti di mano e guardò il totale; rimase così sorpresa dall'ammontare della cifra, così turbata per l'esagerazione di quella somma, che si sedette allo scrittoio per analizzare a fondo i conti. Costanza passò una bruttissima mezz'ora. Non aveva immaginato che gli Inglesi potessero essere così venali. E poi la vecchia {10}, come la chiamavano in cucina, conosceva bene l'italiano, e con un accanimento che fece vergognare Costanza per lei, perché dai nobili inglesi non ci si sarebbe aspettati una simile condotta, esaminò ogni cifra e chiese spiegazioni, insistendo a tal punto che ella fu costretta a dargliele. L'unica spiegazione era che Costanza aveva avuto una settimana gloriosa di assoluta e splendida sfrenatezza, in cui aveva fatto di testa sua, ed ecco il risultato. Costanza, non avendo spiegazioni da dare, pianse. Era triste pensare che da adesso in poi avrebbe dovuto sempre cucinare sorvegliata e sospettata; e cosa avrebbero detto i suoi parenti quando avessero scoperto che gli ordini erano stati ridotti drasticamente? Avrebbero detto che lei non aveva influenza e l'avrebbero disprezzata. Costanza pianse, ma Mrs Fisher fu impassibile. In un italiano lento ed elegante, con l'enfasi dei canti dell'Inferno{11}, la informò che non avrebbe pagato nessun conto fino alla settimana successiva, e che nel frattempo il cibo doveva rimanere buono come sempre e a un quarto della spesa. Costanza alzò le mani al cielo. Se la settimana seguente, continuò Mrs Fisher impassibile, avesse visto che si erano rispettate queste regole, avrebbe pagato l'intera somma. Altrimenti… - fece una pausa - altrimenti non sapeva neanche lei cosa avrebbe fatto. Si arrestò di nuovo, con un'espressione così impenetrabile, maestosa e minacciosa, che Costanza ne fu intimorita. Poi Mrs Fisher, dopo averla congedata con un gesto, andò a cercare Lady Caroline per protestare. Credeva che Lady Caroline ordinasse i pasti, e che quindi fosse responsabile dei prezzi, ma adesso saltava fuori che da quando erano arrivate la cuoca aveva fatto tutto di testa sua, e questo era semplicemente vergognoso. Scrap non era in camera, dove tuttavia, quando Mrs Fisher aprì la porta dopo aver bussato, sospettando che si trovasse lì ma che facesse finta di niente, si sentiva ancora la scia di fiori lasciata dalla sua presenza. «Profumo», disse Mrs Fisher annusando, e richiuse la porta; desiderò che Carlyle le avesse fatto un discorsetto, a questa giovane donna! E tuttavia… forse, anche lui… Scese per andare a cercarla in giardino, e nell'atrio incontrò Mr Wilkins. Aveva il cappello, e stava accendendosi un sigaro. Per quanto si sentisse indulgente nei confronti di Mr Wilkins e, dopo l'incontro della mattina precedente, intima con lui in modo particolare, persino mistico, non poteva tuttavia ammettere che si accendesse un sigaro in casa. Fuori casa poteva sopportarlo, ma non era proprio necessario abbandonarsi a questo vizio in casa, quando fuori c'era così tanto spazio. Persino Mr Fisher, che era stato, bisognava ammetterlo, un uomo straordinariamente tenace nelle sue abitudini, almeno questa l'aveva persa quasi subito dopo il matrimonio. Tuttavia Mr Wilkins, togliendosi il cappello quando la vide, gettò via immediatamente il sigaro. Lo gettò nell'acqua che pensava fosse contenuta in un grande vaso di calle, e Mrs Fisher, consapevole del valore che gli uomini attribuivano ai sigari appena accesi, non potè che venire favorevolmente colpita da questa improvvisa e magnifica amende honorable. Ma il sigaro non raggiunse l'acqua. Fu trattenuto dalle calle, e lì continuò a fumare, un oggetto strano e dall'aspetto depravato. «Dove andate, mia bella…», iniziò Mr Wilkins avanzando verso Mrs Fisher, ma si interruppe appena in tempo. Era l'umore mattutino che lo spingeva a rivolgersi a Mrs Fisher con una filastrocca? Non si era mai accorto di conoscerla. Molto strano. Che cosa gli saltava in testa, in quel momento, proprio a lui, sempre così controllato? Provava un grande rispetto per Mrs Fisher, e per nulla al mondo l'avrebbe insultata rivolgendosi a lei con zitella, fanciulla o altro. Ci teneva a rimanere in buoni rapporti. Era una donna con molte qualità, oltre che molte proprietà, pensò. A colazione erano stati insieme molto piacevolmente, e lui era rimasto colpito dalla sua evidente intimità con persone note. Tutti vittoriani, naturalmente; ma era riposante parlare di loro dopo la fatica dei ricevimenti georgiani di suo cognato ad Hampstead Heath. Sentiva che avrebbero legato splendidamente. Ella mostrava già tutti i sintomi di voler presto diventare sua cliente, e per nulla al mondo l'avrebbe offesa. Si voltò con freddezza, consapevole del rischio che stava correndo. Lei, tuttavia, non si era accorta di niente. «State uscendo», disse con estrema gentilezza, tenendosi pronto nel caso lei accettasse la sua offerta di accompagnarla. «Voglio trovare Lady Caroline», disse Mrs Fisher dirigendosi alla porta a vetri che conduceva nel giardino superiore. «Una ricerca piacevole, - osservò Mr Wilkins. - Posso aiutarvi? Permettetemi…» aggiunse, aprendole la porta. «Di solito siede in quell'angolo dietro i cespugli, - disse Mrs Fisher. E non mi pare una ricerca tanto piacevole. Ha lasciato che le spese salissero in modo terribile, e si merita una bella sgridata». «Lady Caroline?, - chiese Mr Wilkins, non seguendo il discorso. Cosa c'entra Lady Caroline, se mi è permesso domandare, con le spese di casa?» «La conduzione della casa era stata lasciata a lei, e poiché dividiamo in parti uguali era una questione d'onore…» «Ma… Lady Caroline si occupa della conduzione della casa per tutte quante? Compresa mia moglie? Mia cara signora, mi lasciate senza parole. Non sapete che è la figlia dei Droitwich?» «Oh, ecco chi è, - disse Mrs Fisher facendo scricchiolare rumorosamente la ghiaia mentre si dirigeva verso l'angolo nascosto. Allora, questo spiega tutto. L'imbroglio di quel Droitwich nel suo dicastero durante la guerra fu uno scandalo nazionale. Si trattò di appropriazione indebita di fondi pubblici». «Ma è impossibile, ve lo assicuro, pensare che la figlia dei Droitwich…», iniziò Mr Wilkins con convinzione. «I Droitwich, - lo interruppe Mrs Fisher, - non c'entrano niente. Se si prende un impegno bisogna rispettarlo. Non ho nessuna intenzione che il mio denaro venga sperperato per il gusto di un Droitwich». Una vecchia ostinata. Forse trattare con lei non era facile come aveva sperato. Ma che ricca! Solo la consapevolezza della sua ricchezza poteva permetterle di infischiarsene in quel modo dei Droitwich. Lotty, quando lui le aveva chiesto, era stata vaga sulle sue condizioni finanziarie, e aveva descritto la sua casa come un mausoleo con pesciolini rossi che nuotavano dappertutto; ma adesso egli aveva la certezza che fosse molto più che benestante. Eppure, in questo momento avrebbe voluto non averla accompagnata, perché non gli andava di essere presente alla scena di lei che sgridava Lady Caroline Dester. Ecco che di nuovo, tuttavia, faceva i conti senza Scrap. Qualunque fossero i sentimenti di quest'ultima, quando alzò lo sguardo e vide che Mr Wilkins aveva scoperto il suo angolo sin dalla prima mattina, sul suo volto non apparve altro che un'espressione angelica. Appena Mrs Fisher si sedette sul parapetto, lei levò i piedi e ascoltandola con serietà quando iniziò con il fatto che non aveva denaro da buttare in spese incaute e sfrenate, interruppe il suo fiume di parole prendendo uno dei cuscini da dietro la testa e offrendoglielo. «Sedetevi su questo, - disse Scrap, porgendoglielo. - Starete più comoda». Mr Wilkins si affrettò ad aiutarla. «Oh, grazie», disse Mrs Fisher, che era stata interrotta. Fu difficile riprendere il filo. Mr Wilkins, tutto premuroso, sistemò il cuscino tra la pietra del parapetto e Mrs Fisher, che si era alzata leggermente e che di nuovo dovette dire «Grazie»; così fu di nuovo interrotta. Inoltre, Lady Caroline non disse niente in sua difesa, ma continuò a guardarla, ascoltando attentamente col volto di un angelo. Mr Wilkins pensò dovesse risultare alquanto difficile sgridare una Dester con un aspetto simile, e tanto raffinata da non replicare. Gradatamente anche Mrs Fisher, notò lui con piacere, sentì quanto fosse difficile, perché divenne sempre meno severa e finì col dire debolmente: «Avreste dovuto dirmelo che non ve ne stavate occupando». «Non sapevo che lo credeste», disse quella voce soave. «Adesso vorrei proprio sapere, disse Mrs Fisher, - cosa proponete di fare per il resto del tempo». «Niente», disse Scrap sorridendo. «Niente? Intendete dire…» «Se me lo permettete, signore, - si inserì Mr Wilkins con le più affabili maniere professionali, - vorrei dare un suggerimento, - lo guardarono entrambe, e ricordandolo come l'avevano visto la prima volta si sentirono indulgenti nei suoi confronti, - vi consiglierei di non rovinare una vacanza deliziosa preoccupandovi della conduzione della casa». «È esattamente, - disse Mrs Fisher, - quello che intendo evitare». «Davvero ragionevole, - disse Mr Wilkins. - Perché allora, -continuò, non lasciare alla cuoca, a proposito, una cuoca eccellente, un tanto a testa per diem, - Mr Wilkins conosceva quel che bastava di latino, - e non dirle che con questa somma deve pensare lei all'approvvigionamento, e non solo, ma che deve farlo al meglio delle sue possibilità? Non è difficile fare i conti; potreste prendere come riferimento, per esempio, il prezzo di un albergo modesto, dimezzato, o forse addirittura ridotto a un quarto». «E per la settimana che è appena passata? - chiese Mrs Fisher. - per la cifra spaventosa di questa prima settimana? Come facciamo?» «Sarà il mio regalo a San Salvatore», disse Scrap, che non sopportava l'idea che i risparmi di Lotty venissero ridotti troppo oltre il previsto. Si fece silenzio. Mrs Fisher si sentì mancare la terra sotto i piedi. «Se proprio volete gettare così il vostro denaro…», disse infine, disapprovando ma sentendosi infinitamente sollevata, mentre Mr Wilkins si incantò in contemplazione delle rare qualità del sangue blu. Questa prontezza, per esempio, a non preoccuparsi del denaro, questa generosità, non solo era degna di ammirazione, forse più di ogni altra qualità, ma era anche straordinariamente utile dal punto di vista professionale. Quando capitava di incontrarla, bisognava accoglierla calorosamente. Mrs Fisher invece non fu affatto calorosa; accettò, - al che lui dedusse che la sua ricchezza andava di pari passo con l'avarizia ma accettò di malavoglia. I regali erano regali, e secondo lui non si dovevano ricevere storcendo il naso; e se Lady Caroline trovava piacevole fare un regalo a sua moglie e a Mrs Fisher pagando il cibo di tutta la settimana, era loro dovere accettare con garbo. Non bisognava scoraggiare i doni. Per conto di sua moglie, quindi, Mr Wilkins espresse ciò che lei avrebbe desiderato esprimere, e facendo notare a Lady Caroline - con un tocco di leggerezza, perché così si accettavano i doni, al fine di evitare di mettere in imbarazzo il donatore che in questo caso lei aveva ospitato sua moglie sin da quando era arrivata, si volse allegramente a Mrs Fisher e osservò che adesso lei e sua moglie avrebbero dovuto scrivere insieme, come consuetudine, una lettera di ringraziamento a Lady Caroline per la sua ospitalità. «Un Collins - disse Mr Wilkins, che conosceva quel che bastava di letteratura. - Una lettera simile preferisco chiamarla Collins, piuttosto che Vitto e Alloggio oppure Pane e Burro. Chiamiamola Collins!» Scrap sorrise e tirò fuori il suo portasigarette. Mrs Fisher non potè fare a meno di addolcirsi. Grazie a Mr Wilkins, avevano trovato una via d'uscita per lo spreco, e lei odiava lo spreco tanto quanto odiava doverlo pagare; e avevano trovato una soluzione anche al problema della conduzione della casa. Per un attimo aveva pensato che se in questa breve vacanza avessero cercato tutti di obbligare lei a occuparsi della casa, chi per indifferenza (Lady Caroline), chi perché non conosceva l'italiano (le altre due), alla fine sarebbe stata davvero costretta a chiamare Kate Lumley, almeno l'avrebbe fatto lei. Loro due avevano imparato l'italiano insieme. Avrebbe permesso a Kate di venire soltanto a condizione che si occupasse della casa. Ma quel che aveva escogitato Mr Wilkins risultava perfetto. Davvero un uomo superiore. Niente era preferibile alla compagnia di un uomo intelligente e non troppo giovane: era utile e piacevole. E quando si alzò, risolta la questione per cui era venuta, e disse che adesso intendeva fare una passeggiatina prima di pranzo, Mr Wilkins non rimase con Lady Caroline, come, temeva, avrebbe voluto fare la maggior parte degli uomini che conosceva, ma le chiese di poterla accompagnare; era chiaro, quindi, che preferiva una buona conversazione a un bel viso. Un uomo socievole e assennato. Abile e istruito. Un uomo di mondo. Un vero uomo. Fu davvero molto contenta di non aver scritto a Kate. Che cosa se ne faceva di Kate? Aveva trovato un compagno migliore. Ma Mr Wilkins non andò con Mrs Fisher per la sua buona conversazione, ma perché quando lei si alzò e lui fece lo stesso, con la sola intenzione di inchinarasi mentre lei usciva dalla nicchia, Lady Caroline mise di nuovo i piedi sul parapetto e sistemò la testa di lato sui cuscini, chiudendo gli occhi. La figlia dei Droitwich desiderava dormire. Non era da lui impedirglielo con la sua presenza. E così ebbe inizio la seconda settimana, e l'armonia regnava ovunque. L'arrivo di Mr Wilkins l'aveva accresciuta, invece di turbarla, come avevano temuto le tre signore, mentre la quarta era sfuggita a questo timore grazie alla fiducia profonda nell'effetto che San Salvatore avrebbe avuto sul marito. Lui si sentiva nel suo ambiente: aveva deciso di piacere e ci era riuscito. Con sua moglie era più affettuoso, e non solo in pubblico, cosa a cui ella era abituata, ma anche in privato, quando se non avesse voluto non lo sarebbe stato. Ma lui voleva. Era così riconoscente con lei, così soddisfatto per avergli fatto conoscere Lady Caroline, che sentiva di volerle molto bene. Ne era anche orgoglioso: perché doveva possedere, pensò, molte più qualità di quanto avesse immaginato, se Lady Caroline le era diventata così amica e si era tanto affezionata. E più lui la considerava attraente, tanto più lei diventava espansiva e attraente, influenzando il marito, che migliorava a sua volta; e così si rincorrevano in un circolo non vizioso, ma assolutamente virtuoso. Mellersh addirittura la coccolava; proprio lui che, così freddo per natura, non era mai stato un tipo da coccole; eppure, immaginò Lotty, era tale l'influsso che San Salvatore ebbe su di lui che durante questa seconda settimana le pizzicò qualche volta entrambe le orecchie, prima una poi l'altra, invece di una sola; e Lotty, meravigliandosi che lui fosse diventato così affettuoso tanto in fretta, si chiese che cosa avrebbe fatto, continuando di questo passo, la terza settimana, quando la sua riserva di orecchie fosse giunta al termine. Al lavabo si comportò con particolare delicatezza, e fu sinceramente desideroso di non occupare troppo spazio in quella stanza da letto così piccola. In risposta, Lotty fu ancora più desiderosa di non essergli d'intralcio; e la camera divenne lo scenario di molti affettuosi combat de generosità, dopo i quali erano più contenti che mai l'uno dell'altra. Sebbene il bagno fosse aggiustato e a sua disposizione, egli non lo usava più, ma ogni mattina si alzava e andava al mare, e anche se le notti fredde avevano rinfrescato l'acqua, faceva un bagno molto presto, come si addice a un uomo, e tornava su a colazione sfregandosi le mani e sentendosi, come disse a Mrs Fisher, pronto a tutto. Trovò così conferma la fiducia di Lotty nell'irresistibile influsso dell'atmosfera paradisiaca di San Salvatore, e poiché Mr Wilkins, che Rose conosceva come una persona temibile e Scrap si era raffigurata gelido e scortese, era evidentemente un uomo cambiato, sia Rose sia Scrap cominciarono a pensare che dopo tutto poteva esserci qualcosa di vero in ciò su cui Lotty insisteva tanto, che San Salvatore agiva sul carattere purificandolo. Erano indotte a pensarlo soprattutto perché esse stesse sentivano che qualcosa agiva dentro di loro: entrambe, quella seconda settimana, si sentirono più serene; Scrap fece luce nei propri pensieri, molti dei quali adesso erano positivi, rivolgeva pensieri affettuosi ai genitori e ai parenti, e iniziava a rendersi conto in qualche modo degli straordinari vantaggi che aveva ricevuto dalle mani… di che cosa? Del fato? Della Provvidenza?… Comunque fosse, qualcosa doveva essere, ed ella riconosceva come, avendoli ricevuti, ne aveva fatto un cattivo uso non riuscendo a essere felice; Rose invece fece luce nel proprio cuore, che sebbene continuasse a desiderare, trovò uno scopo al desiderio, perché ella stava arrivando alla conclusione che desiderare senza agire era inutile, e che doveva a ogni costo smettere di farlo oppure darsi la possibilità magari remota, ma pur sempre una possibilità - di tranquillizzarsi scrivendo a Frederick e chiedendogli di venire. Se era cambiato Mr Wilkins, pensò Rose, perché non Frederick? Come sarebbe stato meraviglioso se quel luogo avesse agito anche su di lui facendo sì che anche loro due si capissero un pochino, che diventassero persino un po' amici. Così a fondo distacco e disgregazione erano penetrati nel carattere di Rose, che adesso cominciava a pensare che la propria ostinata rigidità riguardo ai suoi libri e che la propria austera dedizione alle opere di bene fossero state sciocche e forse addirittura sbagliate. Lui era suo marito e lei lo aveva così spaventato da farlo fuggire. E con lui aveva fatto fuggire l'amore, l'amore prezioso, e questo non andava bene. Non era forse vero quello che aveva affermato Lotty il giorno prima: che niente aveva importanza tranne l'amore? Niente poteva servire, se non era fondato sull'amore. Ma una volta fuggito via spaventato, poteva ritornare? Sì, in quella bellezza poteva, nell'atmosfera di felicità che Lotty e San Salvatore insieme sembravano emanare come un influsso divino. Prima di tutto, però, lui doveva venire lì, e di certo non avrebbe potuto farlo, se lei non gli avesse scritto dicendogli dov'era. Avrebbe scritto. Doveva farlo; perché in tal caso ci sarebbe stata almeno una possibilità che venisse, altrimenti non vi sarebbe stata neppure quella. E poi, una volta qui in questo splendore, tra la dolcezza, la delicatezza e l'armonia, sarebbe stato più facile parlargli, cercare di spiegare, aspirare a qualcosa di diverso, fare almeno un tentativo di cambiare la loro vita fututra, invece del vuoto della separazione, del gelo oh, che gelo! - di nient'altro che una fede vacua e pallide opere di bene. Perché una sola persona, una persona che ti appartiene, che è davvero tua, con cui poter parlare, di cui interessarsi, da accudire e da amare, valeva più di tutti i discorsi sulle tribune, dei complimenti di tutti i presidenti del mondo. Valeva anche di più - Rose non potè evitare questo pensiero - di tutte le preghiere. Questi pensieri non le nascevano nella mente, come quelli di Scrap, che era priva di desideri, ma nel cuore. Dimoravano nel suo cuore; ed era lì che Rose soffriva, sentendo tutta la sua tremenda solitudine. E quando, quasi ogni giorno, il coraggio le veniva meno e le sembrava impossibile scrivere a Frederick, guardava Mr Wilkins e si riprendeva. Eccolo, un uomo cambiato. Eccolo che ogni sera entrava nella camera piccola e scomoda, quella camera che era stata l'unico affanno di Lotty, per uscirne al mattino assieme a lei, entrambi sereni e gentili come quando vi erano entrati. Lui che, come le aveva raccontato Lotty, a casa era sempre pronto a criticare tutto ciò che non gli andava, non era forse emerso dalla catastrofe del bagno incolume nello spirito, come Sadrach, Mesach e Abdénego{12} lo erano nel corpo quando emersero dal fuoco? In questo luogo accadevano miracoli. Se potevano accadere a Mr Wilkins, perché non a Frederick? Si alzò all'improvviso. Sì, avrebbe scritto. Sarebbe andata subito a scrivergli. E se… Si arrestò. E se lui non avesse risposto? Se lui non avesse neanche risposto? E si sedette di nuovo per pensarci ancora un po'. Rose trascorse gran parte della seconda settimana tormentata da questa indecisione. Poi fu la volta di Mrs Fisher. Durante la seconda settimana la sua irrequietezza aumentò. A tal punto che avrebbe potuto benissimo non disporre del suo salottino privato, perché non riusciva più a rimanerci a sedere. Neppure per dieci minuti. E mentre i giorni della seconda settimana si susseguivano, si aggiunse alla sua irrequietezza una curiosa sensazione di rinvigorimento, che la preoccupò. Era una sensazione che conosceva già, perché talvolta l'aveva provata in quelle primavere così fugaci della sua infanzia, quando sembrava che i gigli e i filadelfi s'affrettassero a fiorire tutti in una notte, ma era strano riviverla dopo cinquant'anni. Avrebbe voluto commentare con qualcuno la sua sensazione, ma si vergognava. Era così assurda per la sua età! Eppure sempre più spesso, e ogni giorno con maggiore frequenza, Mrs Fisher provava questa sensazione ridicola, come se presto avesse dovuto mettere le prime gemme. Tentò fermamente di reprimere quella indecenza. Ecco, erano gemme. Aveva sentito parlare di rami secchi, pezzi di legno morto, che all'improvviso mettevano foglie nuove, ma era solo una leggenda. E lei non viveva in una leggenda, e sapeva perfettamente quel che si addiceva a lei. Il decoro imponeva che alla sua età non avesse nulla a che vedere con le foglie nuove; eppure sentiva che presto, da un momento all'altro, le sarebbero spuntati i germogli. Mrs Fisher era sconvolta. Vi erano molte cose che detestava, e una di queste era che gli anziani immaginassero di sentirsi giovani e si comportassero di conseguenza. Naturalmente lo immaginavano soltanto, ingannandosi; ma com'erano deplorevoli i risultati. Lei invece era invecchiata come è giusto invecchiare, con fermezza e risoluzione. Nessuna interruzione, nessuna tardiva euforia, né ritorni spasmodici. Che umiliazione se adesso, dopo tutti questi anni, si fosse illusa in una sorta di sconveniente evasione. Quella seconda settimana fu davvero contenta che Kate Lumley non fosse lì. Sarebbe stato ancora più spiacevole avere Kate come spettatrice, se fosse accaduto qualcosa di strano nel suo comportamento. Kate la conosceva da sempre. Mrs Fisher sentiva che poteva lasciarsi andare - qui corrugò la fronte davanti al libro su cui stava tentando inutilmente di concentrarsi, da dove arrivava quell'espressione? - molto meno dolorosamente davanti a degli estranei che davanti a una vecchia amica. I vecchi amici, riflettè Mrs Fisher, che credeva di essere immersa nella lettura, ti paragonano continuamente a quello che eri un tempo. Lo fanno sempre se una persona cambia. Si sorprendono dei cambiamenti. Rivanno al passato e quando una persona arriva, diciamo, a cinquant'anni, si aspettano che resti immutata fino alla fine dei suoi giorni. Questo, pensò Mrs Fisher, - con gli occhi che seguivano imperterriti ogni riga fino alla fine della pagina, senza che una sola parola le arrivasse alla coscienza - è sciocco da parte degli amici. È come condannare una persona a una morte prematura. Si dovrebbe continuare (naturalmente con dignità) a cambiare, per quanto vecchi si diventi. Lei non aveva niente contro il cambiamento, contro una ulteriore maturità, perché finché si era vivi non si era morti, ovviamente, decise Mrs Fisher; e il cambiamento, la crescita e la maturazione erano la vita. Quel che avrebbe disprezzato era la regressione, il ritorno a una condizione di immaturità. Lo avrebbe disprezzato intensamente; e questo era quel che le pareva di essere sul punto di fare. Si sentì a disagio, e riuscì a distrarsi soltanto muovendosi in continuazione. Era sempre più irrequieta e non riusciva più a rimanere isolata tra i suoi merli, ma vagava di continuo e senza scopo fuori e dentro il giardino superiore, con crescente sorpresa di Scrap, soprattutto quando scoprì che Mrs Fisher non faceva che guardare per alcuni minuti il panorama, raccogliere qualche foglia morta dai cespugli di rose e allontanarsi di nuovo. Trovò un sollievo temporaneo nella conversazione con Mr Wilkins, ma anche se lui la raggiungeva appena poteva, non sempre era disponibile, perché divideva saggiamente le sue attenzioni tra le tre signore, e quando si trovava altrove lei doveva affrontare e gestire da sola i propri pensieri come meglio poteva. Era forse l'eccesso di luce e di colore di San Salvatore che faceva apparire buio e nero ogni altro luogo; e così Prince of Wales Terrace, dove presto sarebbe tornata, pareva una strada buia e stretta, e la sua casa buia e stretta come la strada, e dentro nulla di veramente vivo o giovane. I pesciolini rossi non si potevano certo dire vivi, tutt'al più quasi vivi, e di sicuro non giovani, e oltre a loro vi erano soltanto le domestiche, vecchie e polverose. Vecchie e polverose. Mrs Fisher arrestò i suoi pensieri, sorpresa da quella strana espressione. Da dove le veniva? Come le era saltata in mente? Doveva trattarsi di una di quelle che usava Mrs Wilkins, così frivola, quasi gergale. Sì, doveva essere così, e lei gliel'aveva sentita dire e l'aveva imparata senza accorgersene. In tal caso la questione si faceva preoccupante. Era sconvolgente che quella sciocca creatura penetrasse nel profondo della mente di Mrs Fisher e vi insediasse la sua personalità - una personalità che, a dispetto dell'armonia esistente tra lei e il suo marito tanto intelligente, rimaneva lontana da quella di Mrs Fisher, totalmente estranea a quello che lei sentiva e apprezzava - infettandola con le sue frasi sgradevoli. Un'espressione simile non era mai entrata nella mente di Mrs Fisher. Mai in vita sua aveva pensato alle sue domestiche, né a nessun altro, come a qualcosa di vecchio e polveroso. Le sue domestiche non erano vecchie e polverose; erano donne pulite e rispettabili, alle quali ogni sabato sera era permesso fare il bagno. Anziane, questo sì, ma lo era anche lei, come la sua casa, i mobili e i pesci rossi. Tutto era invecchiato insieme, com'è giusto. Ma c'era una bella differenza tra essere anziani ed essere vecchi e polverosi! Com'era vero ciò che disse Ruskin, che le chiacchiere vane corrompono le buone maniere. Ma l'aveva detto Ruskin? Ripensandoci non ne fu più tanto sicura, ma questo era comunque il genere di cose che avrebbe potuto dire lui, e comunque era una sacrosanta verità. Bastava ascoltare le chiacchiere vane di Mrs Wilkins durante i pasti per rovinare il suo abito mentale; anche se lei non ascoltava - evitava di farlo evidentemente le aveva sentite e, siccome erano spesso volgari, oltre che indelicate e profane, - e le spiaceva doverlo dire, ma facevano sempre ridere Lady Caroline - erano senz'altro da considerarsi dannose. E col passare del tempo non solo avrebbe pensato a queste sciocchezze, le avrebbe anche dette. Come sarebbe stato terribile! Se la sua evasione doveva assumere la forma di un linguaggio sconveniente, Mrs Fisher temeva allora che per nulla al mondo sarebbe riuscita a sopportarlo. A questo punto Mrs Fisher desiderò più che mai parlare delle sue strane sensazioni con qualcuno che potesse capirla. Non c'era nessuno, tuttavia, tranne la stessa Mrs Wilkins. Lei avrebbe capito, avrebbe compreso subito come si sentiva, Mrs Fisher ne era certa. Ma era impensabile. Sarebbe stato indegno come implorare protezione contro una malattia allo stesso microbo che ti aveva infettato. Continuò pertanto a sopportare in silenzio le sue sensazioni che la spingevano a quelle frequenti comparse senza meta nel giardino superiore che attirarono subito l'attenzione di Scrap. Scrap le aveva notate, e non ne fu meravigliata, perché alcune mattine prima Mr Wilkins, sistemandole i cuscini - aveva stabilito che l'assistenza giornaliera di Lady Caroline quando si trovava nella sua poltroncina fosse un privilegio riservato esclusivamente a lui - le aveva chiesto se Mrs Fisher avesse qualcosa che non andava. In quel momento Mrs Fisher era in piedi accanto al parapetto esterno, e riparandosi gli occhi era assorta a guardare in lontananza le case bianche di Mezzago. La videro attraverso i rami delle dafne. «Non so», disse Scrap. «Avrei giurato che una signora così, - disse Mr Wilkins, - non potesse avere dei pensieri». «Direi di no», disse Scrap sorridendo. «Se ne ha, e la sua irrequietezza sembra suggerirlo, sarei più che lieto di aiutarla con dei buoni consigli». «Sono certa che sarebbe molto gentile». «Naturalmente avrà il suo consulente legale, che però adesso non è qui. Ma ci sono io. E un avvocato a portata di mano oggi… - disse Mr Wilkins che quando parlava con Lady Caroline si sforzava di rendere frivola la sua conversazione, sapendo che con le donne giovani bisognava mostrarsi frivoli, - …per non essere banali finiamo il proverbio dicendo… è meglio di uno domani a Londra». «Dovreste chiederglielo». «Chiederle se ha bisogno di aiuto? Voi me lo consigliereste? Non sarebbe una questione un po'… un po' delicata da affrontare, chiedere a una donna se ha dei pensieri?» «Forse se andate a parlarle ve lo dirà. Penso che ci si senta soli al posto di Mrs Fisher». «Siete sensibile e premurosa», dichiarò Mr Wilkins, desiderando, per la prima volta in vita sua, poter essere un estraneo per baciarle la mano con rispetto mentre si ritirava per recarsi obbedientemente a portare sollievo alla solitudine di Mrs Fisher. Era stupefacente la varietà dei piani che Scrap escogitava per allontanare Mr Wilkins dal suo angolino. Ogni mattina ne trovava uno diverso che lo mandava via soddisfatto dopo che le aveva sistemato i cuscini. Lei gli permetteva di farlo perché si era accorta immediatamente, nei primi cinque minuti della primissima sera, che i suoi timori, che lui le si attaccasse rimanendo a fissarla in timorosa ammirazione, erano infondati. Mr Wilkins non ammirava in quel modo. Non solo non era da lui, comprese Scrap istintivamente, ma se anche lo fosse stato, con lei non avrebbe osato. Era troppo rispettoso; lei poteva guidare i suoi movimenti semplicemente con un battito di ciglia. La sua unica preoccupazione era obbedire. Era pronta ad apprezzarlo se solo si fosse dimostrato così compiacente da non ammirarla, e lo apprezzò. Non dimenticò la sua commovente vulnerabilità in quell'asciugamano la prima mattina, inoltre lui la divertiva ed era gentile con Lotty. E vero che preferiva quando non c'era, ma di solito preferiva tutti quando non c'erano. Sembrava proprio uno di quegli uomini, rari secondo la sua esperienza, che non guardano mai una donna in modo rapace. E questo era confortevole, semplificava i rapporti all'interno della compagnia. Da questo punto di vista Mr Wilkins era semplicemente ideale: raro e prezioso. Ogni volta che pensava a lui, magari con l'intenzione di soffermarsi sui suoi aspetti un po' noiosi, se ne ricordava e mormorava: «Che tesoro». Ed essere un tesoro era ciò cui mirava Mr Wilkins durante la sua permanenza a San Salvatore. Le tre signore oltre a sua moglie dovevano a tutti i costi apprezzarlo e avere fiducia in lui, perché allora, quando nella loro vita si fosse presentato un problema - e nella vita di chi, prima o poi, non se ne presenta uno? avrebbero ricordato quanto fosse affidabile e comprensivo, e si sarebbero rivolte a lui per un consiglio. Le signore con dei problemi facevano proprio al caso suo. Per il momento Lady Caroline, osservò lui, non ne aveva, ma una tale bellezza - perché non poteva non notare l'evidenza - doveva aver avuto i suoi problemi in passato e ne avrà ancora di più prima di scomparire. In passato lui non era stato a portata di mano, ma sperava di esserlo in futuro. E intanto il comportamento di Mrs Fisher, che dal punto di vista professionale veniva subito dopo Lady Caroline per importanza, prometteva sicuramente bene. Era quasi certo che Mrs Fisher avesse dei pensieri. L'aveva osservata attentamente, e ne era quasi certo. Con la terza, con Mrs Arbuthnot, fino ad ora aveva fatto pochi progressi, perché era così riservata e silenziosa. Ma questa riservatezza, questa tendenza a evitare gli altri e a trascorrere il tempo da sola, non poteva indicare anche in lei la presenza di qualche preoccupazione? In tal caso era lui l'uomo adatto. L'avrebbe frequentata, l'avrebbe seguita e le si sarebbe seduto accanto, incoraggiandola a parlargli di sé. Seppe da Lotty che Arbuthnot era un impiegato del British Museum, al momento non particolarmente importante, ma Mr Wilkins giudicò suo dovere conoscere ogni minimo particolare; dopo tutto, esistevano le promozioni, magari dopo una promozione Arbuthnot sarebbe divenuto qualcuno. Quanto a Lotty, era deliziosa. Possedeva davvero tutte le qualità che lui le aveva attribuito durante il corteggiamento, e che finora pareva fossero state semplicemente messe da parte. Le prime impressioni che aveva avuto di lei adesso erano confermate dall'affetto, e persino dall'ammirazione, che mostrava per lei Lady Caroline. Lady Caroline Dester era l'ultima persona, ne era sicuro, che avrebbe commesso un errore al riguardo; la sua conoscenza del mondo, i suoi continui rapporti solo con gli ambienti migliori, dovevano averla resa infallibile. Allora Lotty non poteva che essere quello che lui aveva pensato prima del matrimonio: preziosa! Lo era stata senz'altro a fargli conoscere Lady Caroline e Mrs Fisher! Un uomo con la sua professione poteva ricevere un aiuto incalcolabile da una moglie affascinante e intelligente. Perché non lo era stata subito? Perché questa fioritura improvvisa? Anche Mr Wilkins cominciò a credere che ci fosse qualcosa di particolare nell'atmosfera di San Salvatore. Stimolava alla crescita, risvegliava qualità assopite. E sentendosi sempre più soddisfatto, addirittura affascinato da sua moglie, e molto contento del progresso che stava facendo con le altre due oltre che fiducioso del progresso che avrebbe fatto con la terza signora, la più riservata, Mr Wilkins non ricordò di avere mai trascorso una vacanza così piacevole. L'unica cosa che si poteva forse migliorare era il modo in cui veniva chiamato, Mr Wilkins. Nessuno diceva mai Mr Mellersh Wilkins. Eppure si era presentato a Lady Caroline - per un attimo trasalì ricordando le circostanze - come Mellersh Wilkins. Questa era però una questione di poco conto, di cui non si doveva preoccupare. Sarebbe stato uno sciocco se in un posto simile e con una simile compagnia si fosse preoccupato di qualcosa. Non si preoccupava neppure di quanto sarebbe costata la vacanza, e non solo aveva deciso di pagare la sua parte di spese, ma anche quella di sua moglie, l'avrebbe sorpresa alla fine mostrandole il suo gruzzoletto intatto, come quando era partita; e la sola idea di farle una bella sorpresa lo faceva sentire più affettuoso che mai nei suoi confronti. Infatti Mr Wilkins, che all'inizio aveva deciso coscientemente e pianificato di fare il possibile per comportarsi bene, continuò a farlo inconsciamente e senza il minimo sforzo. E intanto i bei giorni dorati si staccavano dolcemente uno a uno dalla seconda settimana, altrettanto belli di quelli della prima, e a ogni soffio d'aria giungeva a San Salvatore il profumo dei campi di fagioli in fiore sulla collina dietro il paese. Quella seconda settimana nel giardino il narciso dei poeti scomparve dall'erba alta sul margine del sentiero a zigzag, e al suo posto venne il gladiolo selvatico, sottile e sfumato di rosa, i garofani bianchi fiorirono sui bordi, riempiendo tutto il luogo del loro profumo dolce e fumoso, e un cespuglio che nessuno aveva notato traboccò di gloria e di fragranza, era un lillà color porpora. Una simile mescolanza di primavera e di estate era incredibile, se non per chi in quei giardini risiedeva. Sembrava che tutto fiorisse contemporaneamente; in un solo mese si ammassò ciò che in Inghilterra compariva a stento nell'arco di sei mesi. Un giorno Mrs Wilkins trovò persino le primule, in un angolo freddo in cima alle colline; e quando le portò giù accanto ai gerani e all'eliotropio di San Salvatore sembrò quasi che fossero intimidite. Il primo giorno della terza settimana Rose scrisse a Frederick. Per paura di altre esitazioni e di non spedire la lettera, la diede a Domenico che la imbucasse lui; perché se non gli avesse scritto ora, non sarebbe rimasto altro tempo: metà del mese a San Salvatore era già trascorsa. Anche se Frederick fosse partito appena ricevuta la lettera, il che naturalmente non gli sarebbe riuscito, un po' per le valigie e il passaporto e un po' perché non aveva nessuna fretta, prima di cinque giorni non sarebbe arrivato. Appena l'ebbe fatto, Rose se ne pentì. Non sarebbe venuto, né si sarebbe disturbato a rispondere. Anche se avesse risposto avrebbe trovato delle scuse per non raggiungerla, per esempio che era troppo impegnato; e scrivergli era servito soltanto a renderla più infelice di prima. Cosa non si faceva quando non si aveva niente da fare! Questa resurrezione di Frederick, o meglio, questo tentativo di risuscitarlo, che cos'era se non il risultato di non avere niente da fare? Desiderò di non esser mai venuta in vacanza. Che cosa pretendeva da una vacanza? Il lavoro era la sua salvezza, l'unica cosa che proteggeva una persona, che dava stabilità e manteneva intatti i suoi valori. A casa, ad Hampstead, quando era assorbita dai suoi impegni, era riuscita a dimenticare Frederick, pensando a lui con la dolce malinconia con cui si pensa a qualcuno amato un tempo e ormai morto; ma adesso questo posto tranquillo e l'ozio da cui era invaso l'avevano rigettata nella miserabile condizione dalla quale anni addietro era riuscita a uscire, a piccoli passi. Perché, se Frederick fosse venuto, lei lo avrebbe solo annoiato. Non aveva forse visto come in un lampo, appena arrivata a San Salvatore, che proprio per quel motivo lui si era allontanato? E perché avrebbe dovuto pensare che adesso, dopo un lungo periodo di allontanamento, sarebbe riuscita a non annoiarlo, a non rimanere invece impalata davanti a lui come un'idiota, ammutolita dal peso che aveva nell'anima? Senza contare l'angoscia delle suppliche: ti prego, aspetta ancora un poco… ti prego, non essere impaziente… fra poco non ti annoierò più. Mille volte al giorno Rose si pentiva di non aver lasciato in pace Frederick. Quando Lotty, che ogni sera le chiedeva se aveva spedito la lettera, si sentì infine rispondere di sì, lanciò esclamazioni di gioia e le gettò le braccia al collo: «Adesso saremo pienamente felici!» gridò l'entusiasta Lotty. Ma niente sembrava meno probabile a Rose, che divenne sempre più pensierosa. Mr Wilkins, desideroso di scoprire che cosa la affliggesse, gironzolava al sole con in testa il suo panama, e prese a incontrarla come per caso. «Non sapevo, - disse la prima volta Mr Wilkins sollevando il cappello con cortesia, - che anche a voi piacesse questo posto», e le si sedette accanto. Nel pomeriggio lei scelse un altro posto, e non era lì neanche da mezz'ora, quando Mr Wilkins spuntò da dietro l'angolo facendo ondeggiare il suo bastone con leggerezza. «Siamo destinati a incontrarci nelle nostre passeggiate», disse Mr Wilkins cordialmente. E le si sedette accanto. Mr Wilkins era molto gentile, e lei si accorse di averlo giudicato male ad Hampstead, qui dava il meglio di sé, maturato come un frutto al sole benefico di San Salvatore; Rose voleva però stare sola. Tuttavia gli era grata, perché le dimostrava che nonostante per Frederick potesse essere noiosa, non lo era per tutti; altrimenti non sarebbe rimasto a parlare con lei ogni volta che ne aveva l'occasione, fino all'ora di rientrare. Certo, lui la annoiava, ma fosse stata lei ad annoiare lui sarebbe stato assai peggio; ciò avrebbe turbato profondamente la sua vanità; perché, non riuscendo più a pregare, Rose adesso era assalita da ogni sorta di debolezze: era vanitosa, permalosa, irritabile e combattiva; dèmoni strani e sconosciuti si affollavano in lei impossessandosi del suo cuore vuoto e trascurato. In vita sua non era mai stata vanitosa né irritabile o combattiva. Forse San Salvatore era capace di effetti opposti? E lo stesso sole che faceva maturare Mr Wilkins inacerbiva lei? Per essere certa di restare sola, la mattina seguente, mentre Mr Wilkins si attardava piacevolmente a fare colazione con Mrs Fisher, scese agli scogli sul mare dove lei e Lotty si erano sedute il primo giorno. Ormai Frederick aveva ricevuto la lettera e oggi, se egli fosse stato come Mr Wilkins, lei avrebbe ricevuto un suo telegramma. Cercò di soffocare quell'assurda speranza ridendoci sopra. Eppure, se Mr Wilkins aveva mandato un telegramma, perché non Frederick? A quanto pare la magia di San Salvatore si celava anche nella carta da lettere. Lotty non si sognava neppure di ricevere un telegramma, e quando rientrò per il pranzo c'era; sarebbe stato meraviglioso se quando fosse tornata per pranzo ce ne fosse stato uno anche per lei… Rose strinse forte le ginocchia tra le mani. Con che intensità desiderava di nuovo essere importante per qualcuno! Non di esserlo sulle tribune, o come membro di un'organizzazione, ma importante nella vita privata, per una persona soltanto, nell'intimità, senza nessuno che lo sapesse o vi badasse. In un mondo così affollato, non sembrava pretendere troppo: chiedeva solo una persona, una tra tutti quei milioni, tutta per sé. Qualcuno che avesse bisogno di te, che ti pensasse, che fosse ansioso di vederti… oh, com'era forte il desiderio di sentirsi preziosi! Rimase tutta la mattina seduta sotto il pino accanto al mare. Nessuno si avvicinò e le ore passarono lentamente, parvero interminabili. Ma non voleva salire prima di pranzo, voleva lasciare che il telegramma avesse il tempo di arrivare. Quel giorno Scrap, incitata dall'insistenza di Lotty e pensando che forse era stata seduta troppo a lungo, si alzò dalla sua poltroncina e dai cuscini e andò insieme con Lotty e dei panini su tra le colline, fino a sera. Mr Wilkins, che desiderava unirsi a loro, su consiglio di Lady Caroline rimase con Mrs Fisher per rallegrare la sua solitudine, e anche se verso le undici smise di rallegrarla per andare in cerca di Mrs Arbuthnot e consolare un pochino anche lei dividendosi imparzialmente tra queste signore solitarie - tornò subito dopo asciugandosi la fronte e riprese con Mrs Fisher da dove si era interrotto, perché questa volta Mrs Arbuthnot si era nascosta bene. Per lei, oltretutto, c'era anche un telegramma, notò lui entrando, peccato che non sapesse dove fosse. «Dovremmo aprirlo?» chiese a Mrs Fisher. «No», disse lei. «Magari è necessario rispondere subito». «Non trovo giusto ficcare il naso nella corrisppondenza degli altri». «Ficcare il naso? Mia cara signora…» Mr Wilkins era sconvolto. Che espressione! Ficcare il naso. Nutriva grande stima per Mrs Fisher, ma a volte la trovava una persona un po' difficile. Lei lo apprezzava, ne era sicuro e sentiva che era sulla strada giusta per diventare una sua cliente, ma temeva che sarebbe stata una cliente reticente e testarda. Reticente lo era di sicuro, perché nonostante fosse stato disponibile e comprensivo per una settimana intera, fino ad ora lei non aveva fatto nessun accenno a ciò che evidentemente la preoccupava. «Povera vecchia, - disse Lotty quando lui le chiese se sapeva far luce sui problemi di Mrs Fisher. - E senza amore». «Amore? - Mr Wilkins potè solo ripetere, sinceramente scandalizzato. - Ma sicuramente, mia cara… alla sua età…» «Qualunque tipo di amore», disse Lotty. Proprio quella mattina aveva chiesto a sua moglie, perché adesso cercava e rispettava la sua opinione, se poteva dirgli che cosa avesse Mrs Arbuthnot, perché anche lei, sebbene lui avesse fatto il possibile per conquistarne la fiducia, era ancora ostinatamente riservata. «Vuole suo marito», disse Lotty. «Ah», fece Mr Wilkins, mentre veniva fatta luce sulla timida e modesta malinconia di Mrs Arbuthnot. Poi aggiunse: «E naturale». Lotty continuò, sorridendogli: «Succede a tutte». Mr Wilkins, sorridendole: «A tutte?» Lotty, sorridendogli ancora: «Certo!» Mr Wilkins fu soddisfatto di lei e, sebbene fosse molto presto, un'ora in cui le carezze sono ancora indolenti, le pizzicò un orecchio. Appena prima delle dodici e trenta Rose salì lentamente attraverso il pergolato, tra le camelie schierate sui due lati dei vecchi scalini di pietra. I rivoletti di pervinche che quando era arrivata scendevano lungo di essi, erano scomparsi, e adesso c'erano questi cespugli, dalle forme soprendenti. Rosa, bianche, rosse, striate: tenne le camelie tra le dita e le annusò tutte, una dopo l'altra, così da rimandare il più possibile il momento della sua delusione. Finché non vedeva con i suoi occhi, non vedeva il tavolo dell'atrio senza niente sopra se non il solito vaso di fiori, poteva ancora sperare, provare la gioia di immaginarsi il telegramma lì ad aspettarla. Ma le camelie non hanno profumo, le ricordò Mr Wilkins, che era in piedi sulla porta e che conosceva quel che bastava di floricultura. A quella voce lei sussultò e guardò in su. «È arrivato un telegramma per voi», disse Mr Wilkins. Lo guardò con la bocca spalancata. «Vi ho cercata ovunque ma invano…» Certo, lo sapeva. Ne era sempre stata sicura. Brillante e focosa, in quell'attimo la giovinezza tornò ad accendere il volto di Rose, che volò su per gli scalini, rossa come la camelia che aveva appena tenuto tra le dita, e giunta nell'atrio strappò il telegramma per aprirlo, prima che Mr Wilkins riuscisse a finire la frase. Se le cose potevano accadere così… non c'era fine alla… allora lei e Frederick… sarebbero di nuovo… di nuovo… finalmente… «Nessuna cattiva notizia, spero?» disse Mr Wilkins che l'aveva seguita, perché lei, dopo aver letto il telegramma, rimase a fissarlo e impallidì lentamente. Si voltò e guardò Mr Wilkins, quasi faticasse a ricordare chi fosse. «Oh, no. Al contrario…» Tentò di sorridere. «Riceverò visite», disse porgendo il telegramma; e dopo averglielo dato s'incamminò verso la sala da pranzo, bisbigliando qualcosa sul fatto che il pranzo era pronto. Mr Wilkins lo lesse. Era stato inviato quella mattina da Mezzago e diceva: «Di passaggio diretto a Roma. Posso porgere miei rispetti questo pomeriggio? Thomas Briggs». Perché un telegramma simile avrebbe dovuto far impallidire quella misteriosa signora? Leggendolo era impallidita in modo così impressionante che Mr Wilkins si era convinto che si fosse presa un bel colpo. «Chi è Thomas Briggs?» chiese, seguendola in sala da pranzo. Lo guardò distrattamente. «Chi è…?» ripetè, cercando di riordinare i pensieri. «Thomas Briggs». «Ah, sì. E il proprietario. Questa è casa sua. È molto gentile. Arriva oggi pomeriggio». Thomas Briggs stava arrivando in quel preciso istante. Sobbalzava nella carrozza lungo la strada tra Mezzago e Castagneto, augurandosi di cuore che la signora dagli occhi scuri comprendesse che tutto quel che voleva era vedere lei, e non vedere se la casa fosse ancora lì. Sentiva che per delicatezza un proprietario non doveva imporsi a un affittuario. Ma… l'aveva pensata tanto da quel giorno. Rose Arbuthnot. Un nome così bello. E una creatura così bella: dolce, lattea e materna nel miglior senso del termine: cioè che non era sua madre e non poteva esserlo neppnre volendo, perché i genitori erano gli unici a non poter essere più giovani di te. Inoltre, passava proprio di lì. Sembrava assurdo non fare un salto a vedere se lei si trovava bene. Desiderava vederla in casa sua. Vedere la sua casa che le faceva da sfondo, lei seduta sulle sue sedie, bere dai suoi bicchieri, usare tutte le sue cose. Chissà se metteva il grande cuscino di broccato cremisi del salone dietro alla sua piccola testa castana! I suoi capelli e il biancore della pelle sarebbero stati bene contro quel cuscino. Chissà se aveva visto il suo ritratto sulle scale, chissà se le piaceva! Glielo avrebbe spiegato. Se non dipingeva, e non aveva detto niente che lo facesse pensare, forse non avrebbe notato con quale precisione la curva delle sopracciglia e il leggero incavo della guancia… Disse al cocchiere di aspettare a Castagneto, attraversò la piazza accompagnato dal clamore di cani e dei bambini che lo conoscevano e spuntarono fuori dal nulla all'improvviso, e camminò di buon passo su per il sentiero a zigzag, perché era un giovane dinamico di poco più di trent'anni, tirò la vecchia catena che faceva suonare la campanella e aspettò dignitosamente dalla parte giusta della porta aperta che lo facessero entrare. Vedendolo, Francesca alzò al cielo tutto quello che riusciva, le sopracciglia, le palpebre e le mani, e gli assicurò con un discorso prolisso che era tutto in perfetto ordine e che lei stava facendo il suo dovere. «Certo, certo, - disse Mr Briggs, tagliando corto. - Nessuno ne dubita». Poi le chiese di portare il biglietto da visita alla sua padrona. «Quale padrona?» chiese Francesca. «Come quale padrona?» «Ce ne sono quattro», disse Francesca, fiutando una irregolarità da parte delle affittuarie al vedere il suo padrone sorpreso; e si sentì sollevata, perché la vita è monotona e le irregolarità aiutano a tirare avanti. «Quattro? - ripetè sorpreso. Bene, allora portalo a tutte quante», disse riprendendosi dopo aver notato l'espressione di lei. Stavano bevendo il caffè nel giardino superiore all'ombra del pino a ombrello. C'erano soltanto Mrs Fisher e Mrs Wilkins, perché Mrs Arbuthnot, che a pranzo non aveva mangiato nulla ed era stata sempre zitta, era scomparsa subito. Mentre Francesca si dirigeva in giardino con il biglietto da visita, il suo padrone rimase in piedi sulle scale ad ammirare il quadro di quella Madonna di un antico pittore italiano anonimo, che lui stesso aveva comprato a Orvieto e che assomigliava così tanto alla sua affittuaria. Era davvero eccezionale, la somiglianza. Naturalmente quel giorno a Londra lei aveva il cappello, ma lui era sicurissimo che i suoi capelli sulla fronte fossero identici. L'espressione degli occhi, dolce e seria, era esattamente la stessa, e lui si rallegrò pensando che avrebbe sempre avuto il suo ritratto. Guardò su sentendo dei passi, ed eccola che scendeva le scale, proprio come l'aveva immaginata in quel luogo, vestita di bianco. Lei si stupì vedendolo così presto. Aveva pensato che sarebbe arrivato verso l'ora del té, e fino ad allora aveva deciso di sedere all'aria aperta in un luogo in cui poter stare sola. Lui la guardò mentre scendeva le scale con interesse ancora più vivo. Tra un attimo sarebbe stata a livello del suo ritratto. «E davvero straordinario», disse Briggs. «Salve», disse Rose, che si sforzava per accoglierlo con sufficiente cordialità. Non lo accoglieva volentieri. Era qui, pensò lei, col telegramma che le stringeva il cuore, invece di Frederick, e faceva ciò che avrebbe voluto veder fare a Frederick, gli aveva preso il posto. «State ferma soltanto un attimo…» Lei obbedì in modo meccanico. «Sì… davvero stupefacente. Vi dispiace togliervi il cappello?» Rose, sorpresa, lo tolse, ubbidiente. «Sì… lo sapevo già… ma volevo accertarmene. Guardate… avete notato…» Iniziò a passare la mano sul viso del quadro con gesti rapidi e strani, misurandolo e guardando prima quello poi lei. La sorpresa di Rose si tramutò in divertimento, e non potè fare a meno di sorridere. «Siete venuto a confrontarmi con l'originale?» chiese. «Vedete anche voi la straordinaria somiglianza…» «Non sapevo di avere un aspetto così solenne». «E non l'avete. Non adesso, ma l'avevate un attimo fa, altrettanto solenne. Oh, sì… salve», concluse all'improvviso, notando la mano che lei gli tendeva. Rise e le strinse la mano, arrossendo - come gli succedeva sempre - fino alla punta dei suoi capelli biondi. Tornò Francesca. «La Signora* Fisher, - disse, - sarebbe felice di vedervi». «Chi è la Signora1 Fisher?» chiese lui a Rose. «Una delle quattro signore che dividono la vostra casa». «Allora siete in quattro?» «Sì. La mia amica e io abbiamo visto che non potevamo permettercela da sole». «Oh, davvero…», iniziò Mr Briggs confuso, perché avrebbe preferito che Rose Arbuthnot - bel nome - non si dovesse permettere niente, ma che rimanesse a San Salvatore fino a quando voleva, come sua ospite. «Mrs Fisher sta prendendo il caffè nel giardino superiore, - disse Rose. - Vi conduco da lei e ve la presento». «Non voglio andarci. Avete il cappello, quindi stavate andando a fare una passeggiata. Permettete che venga anch'io, mi piacerebbe infinitamente essere portato in giro da voi». 1 [In italiano nel testo]. «Ma Mrs Fisher vi sta aspettando». «Più tardi non ci sarà?» «Sì, - disse Rose con quel sorriso che lo aveva tanto attratto il primo giorno. - Ci sarà fino all'ora del té». «Parlate italiano?» «No, - disse Rose. - Perché?» Al che lui si rivolse a Francesca dicendole con scioltezza, perché lo parlava correntemente, di tornare dalla Signora 1 nel giardino superiore e dirle che lui aveva incontrato la sua vecchia amica Signora 1 Arbuthnot, che andava a fare una passeggiata con lei e che avrebbe fatto la sua conoscenza più tardi. «Mi invitate a prendere il té?» chiese a Rose quando Francesca se ne fu andata. «Certo, è casa vostra!» «Non è vero, è vostra». «Fino a lunedì prossimo», sorrise. «Venite e mostratemi il panorama», disse lui con impazienza; e fu chiaro anche per la stessa Rose, abituata a sottovalutarsi, che non annoiava Mr Briggs. 1 [In italiano nel testo]. Fecero una bella passeggiata, sedendosi in angoli caldi e profumati di timo, la compagnia e la conversazione di Mr Briggs era proprio quello di cui aveva bisogno Rose per riprendersi dall'amara delusione di quella mattina. Lui le fu di grande aiuto, e si verificò lo stesso processo attraverso il quale erano passati Lotty e suo marito: più Mr Briggs trovava Rose affascinante, più lei lo diventava. Briggs non era capace di fingere e quando poteva evitarlo, preferiva non perdere tempo. Non erano ancora giunti alla fine del promontorio dove si ergeva il faro - Briggs le aveva proposto di condurlo al faro perché sapeva che il sentiero era abbastanza largo da permettere a due persone di procedere fianco a fianco - quando lui le disse dell'impressione che gli aveva fatto a Londra. Poiché persino le donne più sobrie e religiose si compiacciono di sapere che hanno fatto colpo su qualcuno, soprattutto se questo non ha nulla a che vedere con il carattere o i meriti, anche Rose fu contenta, e sorrise, risultando più attraente che mai. Le si accesero le guance e gli occhi si illuminarono. Si accorse di dire cose interessanti, addirittura divertenti. Se Frederick l'avesse sentita adesso, pensò, forse avrebbe visto che dopo tutto non era irrimediabilmente noiosa; infatti con lei c'era un giovane di bell'aspetto e senz'altro intelligente - così almeno sembrava, e lei sperava che lo fosse, perché in tal caso i suoi complimenti avrebbero acquistato maggior valore che a quanto pare era felice di trascorrere il pomeriggio chiacchierando con lei. E Mr Briggs sembrava davvero interessato a lei. Voleva sapere tutto quel che aveva fatto da quando era arrivata. Le chiese se in casa aveva visto questo, quello e quell'altro, che cosa preferiva, quale stanza occupava, se era comoda, se Francesca faceva il suo dovere, se Domenico aveva cura di lei e se le piaceva usare il salotto giallo, quello esposto al sole tutto il giorno, che si affacciava su Genova. Rose si vergognò di aver badato così poco alla casa e di aver notato ben pochi degli oggetti che lui definiva antichi e preziosi. Sommersa dal pensiero di Frederick, pareva fosse vissuta a San Salvatore come una cieca, ed era ormai passato più di metà mese, e per che cosa? Tanto valeva rimanere ad Hampstead Heath con le proprie bramosie. No, non è vero, qui almeno era consapevole di trovarsi nel cuore della bellezza; e in verità era stata proprio questa bellezza, il desiderio di parteciparne, che gliene aveva suscitato la bramosia. Mr Briggs, tuttavia, era così vivace che in quel momento non le riusciva di riservare la minima attenzione a Frederick, e rispondendo alle sue domande decantò la servitù e il salotto giallo senza rivelargli che l'unica volta in cui vi era entrata era stata scacciata in modo infame; gli disse che non conosceva praticamente nulla di arte e di antiquariato, ma pensò che se qualcuno gliene avesse parlato forse avrebbe potuto saperne di più, e aggiunse che da quando era arrivata aveva trascorso ogni giorno all'aria aperta, perché quel posto era assolutamente incantevole e diverso da tutti quelli che aveva visto. Briggs camminò accanto a lei lungo i sentieri che gli appartenevano ma che in quel momento, fortunatamente, appartenevano a lei, e sentì tutto l'innocente ardore della vita familiare. Era orfano e figlio unico, e da sempre desiderava una famiglia. Avrebbe voluto una sorella da adorare e una madre da coccolare, e proprio in questo periodo stava cominciando a pensare seriamente al matrimonio; e sebbene fosse stato felice con le sue molte innamorate, ognuna delle quali, contrariamente alla regola, alla fine era divenuta una sua carissima amica, amava i bambini e pensava che ormai fosse ora di sistemarsi se non voleva essere troppo vecchio quando il suo primogenito avesse avuto vent'anni. Negli ultimi tempi San Salvatore gli era sembrato un luogo abbandonato: quando camminava gli pareva di sentire l'eco dei suoi passi. Si era sentito solo; talmente solo che quella primavera aveva preferito non andarci e darlo in affitto. Ci voleva una moglie, quel tocco finale di calore e bellezza, aveva sempre pensato a sua moglie soltanto in termini di calore e bellezza: doveva essere bella e gentile. Si divertiva a pensare a quanto fosse già innamorato di questa vaga figura di moglie. Faceva amicizia così in fretta con la signora dal dolce nome, camminando lungo il sentiero per il faro, che fu certo che presto le avrebbe raccontato tutto di sé, del suo passato e delle speranze per il futuro; e accorgendosi di essere entrato in confidenza con tanta rapidità si mise a ridere. «Perché ridete?» chiese lei, guardandolo e sorridendo. «È come tornare a casa», fu la risposta. «Ma per voi venire qui lo è davvero». «Intendo dire tornare in una casa vera. Nella propria… la propria famiglia. Io non ho mai avuto una famiglia, sono orfano». «Oh, davvero? - disse Rose con la dovuta comprensione. - Spero che non lo siate stato per molto. Cioè, voglio dire che spero lo siate stato. No, insomma, non so cosa voglio dire, se non che mi dispiace». Lui rise di nuovo. «Be', sono abituato. Non ho nessuno. Né fratelli né sorelle». «Allora siete figlio unico», osservò lei con prontezza. «Sì. E in voi c'è qualcosa che rispecchia esattamente la mia… la mia idea di famiglia». Era divertita. «Una tale… intimità», disse guardandola e cercando la parola più appropriata. «Non la pensereste così vedendo la mia casa ad Hampstead», disse, e le venne in mente quell'abitazione austera e inospitale, senza nulla di soffice tranne il divano della Du Barri, che da sempre evitava e ignorava. Niente da stupirsi, pensò in un attimo di lucidità, che Frederick evitasse la casa: nella sua famiglia non c'era niente di intimo. «Credo che ogni luogo in cui siete vissuta sia esattamente come voi», disse lui. «Non vorrete mica affermare che San Salvatore è come me?» «Invece sì. Voi ammettete, vero, che è un luogo splendido?» Disse moltre altre cose del genere. E a lei quella passeggiata piacque molto, non ne ricordava una così piacevole sin dai giorni del suo fidanzamento. Tornò per il té, assieme a Mr Briggs e con un aspetto diverso, notò Mr Wilkins, da quello che aveva avuto fino ad allora. Guai in vista, pensò lui, e già si fregava le mani dentro di sé. Si vedeva già interpellato per una consulenza. Da una parte c'era Arbuthnot, dall'altra Briggs. Prima o poi i guai sarebbero saltati fuori. Ma perché il telegramma di Briggs l'aveva tanto colpita? Se era impallidita per la troppa gioia, allora i guai erano più imminenti di quanto avesse immaginato. Adesso non era pallida: anzi, non l'aveva mai vista così colorita. Bene, lui era la persona che ci voleva quando ci si trovava nei guai. Certo, gli dispiaceva che la gente ci finisse, ma quando succedeva, era lui quel che serviva. E Mr Wilkins, rinvigorito da questi pensieri, perché riteneva la carriera una questione preziosa, si accinse a fare gli onori di casa a Mr Briggs, sia in qualità di comproprietario temporaneo di San Salvatore che di suo possibile assistente in caso di difficoltà, e con estrema ospitalità gli indicò le diverse attrattive del luogo e, conducendolo al parapetto, gli mostrò Mezzago oltre la baia. Anche Mrs Fisher fu molto cordiale. Questa casa apparteneva a quel giovane, che era dunque un possidente. E a lei le proprietà e i proprietari piacevano. Inoltre reputava un merito particolare essere così giovani e già possidenti. Eredità, naturalmente; e l'eredità era più rispettabile dell'acquisto: indicava la presenza di un padre, e in un periodo in cui la maggior parte della gente pareva non l'avesse o non volesse averne, apprezzava anche questo. Fu dunque un pasto piacevole, tutti erano amabili e bendisposti. Briggs pensò che Mrs Fisher fosse un'amabile vecchia signora e lo lasciò trapelare; e di nuovo la magia del posto funzionò, e lei divenne un'amabile vecchia signora! Con lui si dimostrò benevola, in modo quasi scherzoso: prima che il té fosse finito, per introdurre qualche osservazione si rivolse a lui dicendo: «Mio caro ragazzo». Strane parole in bocca a Mrs Fisher. È improbabile che le avesse mai usate. Rose era sconcertata. In fondo le persone erano tutte buone, quando avrebbe smesso di commettere tanti errori nel giudicarle? Non aveva sospettato l'esistenza di questo lato di Mrs Fisher, e prese a domandarsi se gli unici lati che conosceva di lei non fossero che la conseguenza del suo comportamento irritante e pugnace. Forse era così. Come doveva essere stata antipatica! Se ne pentì amaramente quando vide sbocciare davanti ai suoi occhi tutta l'amabilità di Mrs Fisher non appena qualcuno si dimostrava affettuoso con lei, e avrebbe voluto sprofondare sottoterra per la vergogna quando all'improvviso sentì ridere Mrs Fisher e si accorse, dallo stupore che le procurò quel suono, della sua assoluta novità. Prima d'allora né lei né nessun altro della compagnia avevano sentito ridere Mrs Fisher. Era un'accusa per tutti loro! Perché ognuno di loro, chi più chi meno, prima o poi aveva riso una volta, soltanto Mrs Fisher non l'aveva mai fatto. E poiché sapeva divertirsi, visto che adesso lo stava facendo, significava che prima non era successo. Nessuno si era mai preoccupato di lei, tranne forse Lotty. Sì, Lotty si era preoccupata e aveva desiderato che fosse felice; ma pareva che Lotty facesse una brutta impressione su Mrs Fisher, mentre per quanto riguardava la stessa Rose, non era mai stata con lei neppure cinque minuti senza sentire il desiderio di provocarla e contrastarla. Com'era stata antipatica! Si era comportata in maniera imperdonabile. Il suo pentimento si tradusse in una premura timida e rispettosa nei confronti di Mrs Fisher, al che Briggs, che la stava osservando, pensò che fosse ancora più angelica e per un attimo desiderò essere una vecchia signora per essere così accudito da Rose Arbuthnot. Evidentemente non c'era un limite, pensò, a ciò che poteva fare con la sua dolcezza. Non gli sarebbe spiaciuto neppure prendere delle medicine, delle medicine disgustose, se a dargliele ci fosse stata Rose Arbuthnot china su di lui. Lei sentì i suoi occhi azzurri e brillanti, ancora più brillanti per l'abbronzatura, fissi su di lei e scintillanti, e sorridendo gli chiese a cosa stesse pensando. Non poteva spiegarglielo, rispose lui; e aggiunse: «Forse un giorno». Al che Mr Wilkins pensò, fregandosi le mani dentro di sé: «Guai in vista, bene: io sono quel che fa per loro». «Sono certa, - disse Mrs Fisher benevolmente, - che non avete pensieri che non possiamo sentire». «Sono certo, - disse Briggs, - che tra una settimana vi rivelerò tutti i miei segreti». «Allora li rivelerete a una persona molto fidata, - disse Mrs Fisher con bonarietà, avrebbe voluto un figlio proprio così. - E in cambio, continuò, - vi rivelerò i miei». «Ah, no! - esclamò Mr Wilkins, adattandosi a questo tono di leggero badinage, - io protesto! Non posso fare altrimenti. Ho più diritti di voi, Briggs, sono amico da più tempo; io conosco Mrs Fisher da dieci giorni, e voi non la conoscete neppure da uno. Rivendico il mio diritto a sentire per primo i suoi segreti. Sempre che, aggiunse, facendo un inchino galante, - ne abbia … cosa di cui chiedo il permesso di dubitare». «Oh, se ne ho!» esclamò Mrs Fisher pensando a quelle foglie verdi. Era sorprendente sentirle fare un'esclamazione, ed era un miracolo che la facesse con tanta gaiezza. Rose la guardava incredula. «Allora ve li dovrò estorcere», disse Briggs con altrettanta gaiezza. «Non ce ne sarà bisogno, - disse Mrs Fisher. - Comincia a essere difficile tenermeli dentro». Pareva di sentir parlare Lotty. Mr Wilkins sistemò il monocolo che si portava dietro per occasioni simili ed esaminò con attenzione Mrs Fisher. Rose la guardò, senza riuscire a non sorridere vedendo Mrs Fisher così divertita, sebbene Rose non ne conoscesse la ragione; e il suo sorriso era un po' incerto, perché vedere Mrs Fisher così allegra era una novità non priva di aspetti temibili e ci si doveva abituare. Mrs Fisher stava pensando quanto li avrebbe sorpresi se avesse rivelato la sua sensazione strana ed eccitante di sentirsi germogliare dappertutto. L'avrebbero giudicata una signora vecchia e sciocca, e altrettanto avrebbe pensato lei non più tardi di due giorni prima; ma l'idea dei germogli le stava diventando familiare, adesso era più apprivoisée, come era solito dire il caro Matthew Arnold, e anche se sarebbe senz'altro meglio che l'aspetto coincidesse con le sensazioni, tuttavia supponendo che non accada - non si può avere tutto - non era meglio sentirsi giovani da qualche parte piuttosto che vecchi dappertutto? C'era tempo per sentirsi vecchi, sia dentro che fuori, quando fosse tornata nel suo sarcofago a Prince of Wales Terrace. E probabile però che se Briggs non fosse arrivato, Mrs Fisher avrebbe continuato a rimuginare nel suo guscio. Agli occhi degli altri appariva soltanto severa. Lasciarsi andare all'improvviso sarebbe stato più di quanto la sua dignità avrebbe potuto sopportare - soprattutto nei riguardi delle tre giovani donne. Ma adesso era arrivato Briggs, un estraneo che si era subito affezionato a lei come mai nessuno prima, e fu proprio il suo arrivo e la sua devozione sincera e palese - come avrebbe voluto una nonna come quella, pensò Briggs, affamato di vita familiare e di tutto quel che ne consegue - che fece uscire Mrs Fisher dal suo guscio; e finalmente eccola lì, come aveva previsto Lotty, contenta, di buon umore e benevola. Lotty, di ritorno mezz'ora dopo dal suo pic nic, seguendo il suono delle voci fino al giardino superiore nella speranza di trovare ancora del té, capì subito cos'era accaduto perché in quel momento Mrs Fisher stava ridendo. «Ha rotto il bozzolo», pensò Lotty; e rapida e impulsiva com'era in ogni sua azione, e senza preoccuparsi minimamente di infastidirla o importunarla, si chinò sullo schienale della sedia di Mrs Fisher e la baciò. «Oh Signore!» gridò Mrs Fisher, trasalendo violentemente perché una cosa simile non le accadeva dai primi tempi di Mr Fisher, e anche allora con grande circospezione. Quel bacio era un bacio vero, e per un attimo si fermò sulla sua guancia con una dolcezza strana e delicata. Quando vide da chi proveniva, un evidente rossore si diffuse sul suo volto. Mrs Wilkins che la baciava e con un bacio così affettuoso… Anche se avesse voluto, in presenza del lusinghiero Mr Briggs non poteva riprendere la severità appena abbandonata e ricominciare coi rimproveri, e comunque non ne aveva voglia. Era possibile che Mrs Wilkins la apprezzasse? Che l'avesse apprezzata per tutto questo tempo, quando invece lei aveva provato tanta avversione? Un bizzarro rivoletto di calore filtrò attraverso le gelide difese del cuore di Mrs Fisher. Una persona giovane che la baciava… che desiderava baciarla. Avvampando, osservò quella strana creatura che a quanto pareva era del tutto inconsapevole di aver compiuto un gesto straordinario e che stringeva la mano a Mr Briggs, dopo essergli stata presentata da suo marito, imbarcandosi immediatamente in una cordiale conversazione, come se lo avesse conosciuto da sempre. Che strana creatura, davvero strana! Era naturale, essendo tanto strana, che ci si potesse fare un'idea sbagliata di lei… «Sono certo che gradirete un pò di té», disse Briggs a Lotty, ansioso di mostrarsi ospitale. La trovò deliziosa: le lentiggini, lo scompiglio del pic nic e tutto il resto. Come avrebbe voluto una sorella… «Questo è freddo, - disse, tastando la teiera. - Dico a Francesca di prepararvene dell'altro…» Si interruppe e arrossì. «Forse sto esagerando un po'», disse ridendo e guardandosi intorno. «Naturale, del tutto naturale», lo rassicurò Mr Wilkins. «Andrò io a dirlo a Francesca», disse Rose alzandosi. «No, no, - disse Briggs. - Non ve ne andate». Mise le mani intorno alla bocca e urlò. «Francesca!» gridò Briggs. Lei arrivò di corsa. Mai, da quel che ricordavano, aveva risposto con tanta velocità. «La voce del padrone», osservò Mr Wilkins; proprio come si conveniva, considerò. «Prepara dell'altro té, - ordinò Briggs in italiano. - Forza… sbrigati!». E poi riprendendosi arrossì di nuovo chiedendo scusa a tutti. «Naturale, del tutto naturale», lo rassicurò Mr Wilkins. A questo punto Briggs spiegò a Lotty quello che aveva già spiegato due volte, prima a Rose e poi agli altri due, che era di passaggio per Roma e aveva pensato di scendere a Mezzago per vedere se si trovavano bene, con l'intenzione di proseguire il viaggio il giorno successivo, dopo aver trascorso la notte in un albergo di Mezzago. «Ma è ridicolo, - disse Lotty. Dovete assolutamente fermarvi qui. È casa vostra, e c'è la camera di Kate Lumley, - aggiunse rivolgendosi a Mrs Fisher. - Non vi dispiace vero, se Mr Briggs la occupa per una notte? Kate Lumley, dovete sapere, non c'è ancora», disse ridendo, rivolta di nuovo a Mr Briggs. E anche Mrs Fisher, con sua immensa sorpresa, si mise a ridere. Sapeva che in qualsiasi altro momento avrebbe trovato sconveniente questa affermazione, e invece adesso la considerò divertente. No davvero, Mrs Fisher rassicurò Briggs, Kate Lumley non occupava ancora quella camera. Per fortuna! Poiché era una persona assai corpulenta mentre la stanza era assai stretta. Kate Lumley sarebbe anche riuscita a entrare, ma poi non avrebbe potuto fare nient'altro. Una volta dentro sarebbe stata così allo stretto che probabilmente non sarebbe mai riuscita a uscirne. Era interamente a disposizione di Mr Briggs, e sperava che non avrebbe fatto l'assurdità di andare in un albergo… proprio lui, il proprietario della casa. Rose ascoltò questo discorso con gli occhi sbarrati per lo stupore. Mrs Fisher rise molto mentre lo faceva. Anche Lotty rise molto, e quando l'altra ebbe finito si chinò e la baciò ancora, la baciò molte volte. «Dunque vedete, mio caro ragazzo, - disse Mrs Fisher, - se restate ci fate davvero piacere». «Davvero piacere», sottolineò Mr Wilkins di cuore. «Davvero», ripetè Mrs Fisher, col tono di una madre compiaciuta. «Restate», disse Rose quando Briggs si girò dubbioso verso di lei. «Siete tutti molto gentili, - disse, il viso aperto in un largo sorriso. Sarei felice di esser vostro ospite qui. Che sensazione nuova! E con tre simili…» Si interruppe guardandosi intorno. «Ma… - continuò, - non dovrebbe esserci anche una quarta padrona di casa? Francesca mi ha detto che eravate in quattro». «Sì. C'è Lady Caroline», disse Lotty. «E allora non sarebbe meglio accertarci che anche lei desideri invitarmi?» «Oh ma di sicuro lei…», cominciò Lotty. «Non è possibile che la figlia dei Droitwich, - disse Mr Wilkins, - non possieda il senso dell'ospitalità, come si conviene». «La figlia dei…» ripetè Briggs; ma si fermò di colpo, perché alla porta era comparsa la figlia dei Droitwich in persona; o meglio, emergendo dall'oscurità della porta avanzava verso di lui, illuminata dal sole, colei che per tutta la vita aveva solo sognato e mai potuto vedere, il suo ideale assoluto di bellezza. Poi quando lei parlò… che speranze poteva avere il povero Briggs? Era rovinato. Quando Mr Wilkins lo presentò, bastò che Scrap dicesse «Piacere», per rovinare Briggs. Da giovane felice, allegro, loquace, pieno di vita e di simpatia com'era, divenne silenzioso e austero, con la fronte imperlata di sudore. Divenne anche goffo: porgendole la tazza fece cadere il cucchiaino, offrendo gli amaretti, uno rotolò per terra. Neanche per un solo istante riuscì a distogliere lo sguardo da quel volto incantevole; e Mr Wilkins, spiegando chi fosse perché lui non ci riusciva, informò Lady Caroline che in Mr Briggs poteva vedere il proprietario di San Salvatore, il quale era diretto a Roma ma si era fermato a Mezzago ecc. ecc, e che le altre tre signore lo avevano invitato a trascorrere la notte in quella che a tutti gli effetti era casa sua, invece che in albergo, e che Mr Briggs, per accettare l'invito, aspettava solo la sua approvazione, essendo lei la quarta affittuaria. Mentre Mr Wilkins, soppesando ogni frase, esprimendosi in modo mirabilmente chiaro e assaporando il suono della sua stessa voce affettata, spiegava la situazione a Lady Caroline, Briggs rimase seduto senza dire una parola. Una profonda malinconia s'impossessò di Scrap. In lui vedeva tutti i sintomi iniziali, a lei anche troppo familiari, del persecutore, e sapeva che se Briggs fosse rimasto, la sua cura del sonno poteva considerarsi terminata. Poi le venne in mente Kate Lumley e si aggrappò a lei come alla sua ultima speranza. «Sarebbe stato bello, - disse, accennando un sorriso a Briggs, per educazione non poteva non sorridergli, ma bastò quel cenno a tradire una fossetta, e a far sì che Briggs la fissasse con maggiore insistenza… - Mi chiedevo soltanto se c'è posto». «Sì che c'è, - disse Lotty. - C'è la stanza di Kate Lumley». «Pensavo, - disse Scrap a Mrs Fisher, e a Briggs parve di non avere mai sentito prima d'allora una simile melodia, - che la vostra amica dovesse arrivare subito». «Oh, no», disse Mrs Fisher; con una strana calma, pensò Scrap. «Miss Lumley è … signora o signorina?» chiese Mr Wilkins rivolgendosi a Mrs Fisher. «Kate non si è mai sposata», rispose Mrs Fisher con compiacimento. «Bene. Comunque sia, cara Lady Caroline, per oggi Miss Lumley non arriverà, e Mr Briggs purtroppo - se mi è permesso - domani continuerà il suo viaggio, pertanto la sua permanenza non intralcerà in alcun modo gli eventuali spostamenti di Miss Lumley». «Allora, non mi resta che unirmi all'invito», disse Scrap, con un tono che Briggs giudicò particolarmente cordiale. Lui avvampò balbettando qualcosa, al che Scrap pensò, «Oh, ci risiamo!», e si girò dall'altra parte, facendo sì che Briggs notasse il suo profilo, che era senz'altro la cosa più bella del volto di Scrap. Bene, era soltanto per quel pomeriggio e per la sera. Senza dubbio, la mattina seguente sarebbe partito all'alba, ci volevano parecchie ore per arrivare a Roma. Guai se fosse rimasto per prendere il treno della sera; le pareva che l'espresso principale per Roma passasse di notte. Perché quella Kate Lumley non era ancora arrivata? Si era completamente dimenticata di lei, ma adesso si ricordò che l'invito doveva essere stato fatto già da una quindicina di giorni. Cosa le era successo? Quest'uomo, una volta introdottosi, sarebbe venuto a trovarla a Londra e avrebbe infestato i luoghi frequentati da lei: i suoi occhi esperti videro che aveva il modo di fare di un persecutore assai insistente. «Se prima c'era qualche intesa tra questo giovanotto e Mrs Arbuthnot, pensò Mr Wilkins, osservando il volto di Briggs e il suo improvviso silenzio, - ecco dei guai in vista, di tipo diverso da quelli che temevo, nei quali Arbuthnot avrebbe giocato il ruolo principale, quello del postulante, ma si tratta comunque di un problema che necessita aiuto e consigli proprio per il fatto di non essere pubblicamente scandaloso. Spinto dalla passione e dalla bellezza di lei, Briggs aspirerà alla figlia dei Droitwich, la quale, ovviamente, lo respingerà. Mrs Arbuthnot, messa da parte, sarà sconvolta e lo darà a vedere. Al suo arrivo Arbuthnot troverà la moglie inspiegabilmente in lacrime e indagando sulla causa, si scontrerà con una gelida riservatezza. A quel punto ci si dovranno aspettare altri problemi, e in me cercheranno e troveranno tutti il loro consulente. Lotty si sbagliava quando diceva che Mrs Arbuthnot sentiva la mancanza di suo marito. Ciò che vuole è invece Briggs, e a quanto pare non lo avrà. Bene, io sono l'uomo che fa per loro». «Dove sono le vostre cose, Mr Briggs? - chiese Mrs Fisher, con la voce addolcita dal suo senso materno. - Bisogna mandarle a prendere?» Adesso il sole era quasi affondato nel mare, e l'umidità dolce e profumata di aprile che seguiva il suo sparire cominciava a insinuarsi nel giardino. Briggs sussultò. «Le mie cose? ripetè. - Oh, sì! Devo andarle a prendere, si trovano a Mezzago. Manderò Domenico: la mia carrozza mi sta aspettando in paese e lui può tornare con quella. Andrò a dirglielo». Si alzò. Con chi stava parlando? Apparentemente con Mrs Fisher, ma i suoi occhi erano fissi su Scrap, che non diceva niente e non guardava nessuno. Poi, riprendendosi, balbettò: «Mi dispiace molto… continuo a dimenticare che… andrò io a prenderle». «Possiamo benissimo mandare Domenico», disse Rose; e sentendo quella voce gentile lui si voltò. Ecco qui la sua amica, la signora dal nome dolce… ma com'era cambiata in questo breve intervallo! Era la luce fioca a renderla così pallida, con i lineamenti così vaghi e incerti, simili a quelli di un fantasma? Un fantasma buono, naturalmente, e con un bel nome, ma pur sempre un fantasma. Si voltò di nuovo verso Scrap, e dimenticò l'esistenza di Rose Arbuthnot. Come poteva interessarsi di qualcun altro o di qualcos'altro quando per la prima volta si trovava faccia a faccia con il suo sogno diventato realtà? Briggs non aveva mai pensato o sperato che esistesse una persona bella come lui sognava la bellezza. Finora non ne aveva mai incontrata neppure una parvenza. Aveva incontrato donne graziose e affascinanti e le aveva apprezzate, ma mai la bellezza in sé, divina e assoluta. Pensava spesso: «Dovessi vedere una donna perfettamente bella, morirei»; e sebbene, pur avendo incontrato una donna perfettamente bella, non fosse morto, pareva quasi lo fosse, incapace com'era diventato di sbrigare le sue faccende. Furono gli altri a dover sistemare ogni cosa per lui. Interrogandolo, vennero a sapere che le sue valigie erano nel deposito bagagli della stazione di Mezzago, così mandarono Domenico a prenderle. Esortato e sollecitato da tutti tranne Scrap, che sedeva in silenzio senza guardare nessuno, Briggs fu persuaso a dare a Domenico le istruzioni necessarie per tornare alla carrozza e ricuperare le sue cose. Il crollo di Briggs fu uno spettacolo desolante. Lo notarono tutti, persino Rose. «Diamine! - pensò Mrs Fisher. È intollerabile il modo in cui un viso grazioso possa trasformare un uomo simpatico in un idiota». Sentendo l'aria farsi pungente e amareggiata alla vista di Briggs completamente incantato, entrò in casa per dare ordini che gli preparassero la camera, rammaricandosi di aver spinto il povero ragazzo a fermarsi. Per un attimo aveva dimenticato l'effetto nocivo del viso di Lady Caroline, soprattutto per il fatto che questo non aveva inciso minimamente su Mr Wilkins. Povero ragazzo. Un ragazzo così piacevole, abbandonato a se stesso! Era vero che non poteva accusare Lady Caroline di non lasciarlo in pace, perché lei neanche gli badava, ma questo non era di aiuto. Gli uomini, per altri versi intelligenti, si comportavano esattamente come delle stupide falene, svolazzando intorno alla luce imperturbabile di un bel volto, e lei li aveva visti anche troppo spesso. Passando accanto a Briggs fu tentata di posare la mano su quella testa bionda, con gesto materno. Povero ragazzo! Poi anche Scrap, terminata la sigaretta, si alzò ed entrò. Non vedeva per quale ragione doveva rimanere lì seduta per compiacere il desiderio di Mr Briggs di ammirarla. Avrebbe desiderato stare ancora fuori, raggiungere il suo angolo dietro i cespugli di dafne, guardare il cielo al tramonto, osservare le luci accendersi una a una nel villaggio sottostante e sentire il profumo dolce e umido della sera, ma se l'avesse fatto Mr Briggs l'avrebbe di certo seguita. Era di nuovo cominciata la vecchia prepotenza a lei familiare. La sua vacanza di pace e libertà era interrotta… forse finita del tutto: perché, in fin dei conti, chi poteva essere certo che sarebbe partito il giorno dopo? Magari lasciava la casa per l'arrivo di Kate Lumley, ma niente avrebbe potuto impedirgli di prendere una stanza in paese e venir su ogni giorno. Questa prepotenza di una persona sull'altra! E lei purtroppo era fatta così male che non avrebbe neanche potuto guardarlo di traverso senza essere fraintesa. Scrap, che amava trascorrere questo momento della sera nel suo angolino, era indignata con Mr Briggs, che la costringeva ad andarsene, così girò le spalle a lui e al giardino e andò verso casa senza uno sguardo né una parola. Tuttavia, non appena si rese conto delle sue intenzioni, Briggs saltò in piedi, spostò delle sedie intorno a lei, che tuttavia non erano d'intralcio, diede un calcio a uno sgabello, che non era sul suo cammino, si affrettò verso la porta, già spalancata, per tenerla aperta e la seguì mentre entrava, camminandole accanto nell'atrio. Cosa fare con Mr Briggs? Dopo tutto l'atrio era suo, non poteva impedirgli di attraversarlo. «Spero, - disse lui, senza riuscire a toglierle gli occhi di dosso mentre camminava, tanto che andò a sbattere contro diversi mobili che altrimenti avrebbe scansato: l'angolo di una libreria, un'antica credenza scolpita, il tavolo su cui vi era un vaso di fiori pieno d'acqua, che si rovesciò, - che qui vi troviate bene. Altrimenti io… li scorticherò vivi!» La sua voce ebbe un fremito. Cosa fare con Mr Briggs? Poteva rimanere in camera per tutto il tempo, dicendo che si sentiva male, e non presentarsi a cena; e di nuovo quella prepotenza… «Mi trovo molto bene qui», disse Scrap. «Se avessi immaginato che ci sareste stata…», iniziò lui. «E un luogo antico e meraviglioso», disse Scrap facendo del suo meglio per sembrare distaccata e inaccessibile, ma con poca speranza di successo. La cucina era a quel piano, e passando davanti alla porta semiaperta, furono visti dai domestici, a cui bastò uno sguardo per comunicarsi i loro pensieri, espressi da loro attraverso suoni disarticolati come «Ah» e «Oh», che rappresentavano e racchiudevano il loro apprezzamento dell'inevitabile, la previsione dell'inevitabile, che comprendevano e approvavano appieno. «State salendo?» chiese Briggs, quando lei si fermò ai piedi della scala. «Sì». «In che stanza andate? Nel salone o nel salottino giallo?» «In camera mia». Quindi non poteva salire con lei, ma solo aspettare che uscisse di nuovo. Voleva chiederle quale fosse la sua camera - trepidava a sentirle dire che una stanza di casa sua le apparteneva per potersela immaginare lì. Voleva sapere se per qualche felice coincidenza fosse proprio la camera da sempre appartenuta a lui, così da quel momento sarebbe stata piena del suo incanto; ma non osava. L'avrebbe scoperto in seguito da qualcun altro, da Francesca, o qualcun altro. «Quindi, non vi vedrò fino a cena?» «La cena è alle otto», fu la risposta evasiva di Scrap mentre saliva. La guardò mentre saliva. Quando passò davanti alla Madonna, il ritratto di Rose Arbuthnot, l'immagine dagli occhi scuri che gli era sembrata così dolce sembrò impallidire, e raggrinzirsi fino a scomparire… Scrap arrivò alla curva delle scale, e il sole che tramontava entrò per un attimo attraverso la finestra a occidente, illuminandole il volto in tutto il suo splendore. Poi scomparve e anche il sole se ne andò, e le scale furono buie e vuote. Lui rimase in ascolto finché non udì più i suoi passi, cercando di capire dalla porta che sbatteva in quale stanza fosse entrata, poi tornò a vagare senza meta nell'atrio e si ritrovò nel giardino superiore. Scrap lo vide dalla finestra. Vide Lotty e Rose sedute all'estremità del parapetto, dove avrebbe voluto trovarsi lei, e vide Mr Wilkins attaccare bottone a Briggs e raccontargli la storia dell'oleandro al centro del giardino. Scrap trovò carino da parte di Briggs ascoltare con tanta pazienza, visto che si trattava del suo oleandro e della storia di suo padre. Dai gesti di Mr Wilkins capì che gli raccontava proprio quella storia lì. Domenico l'aveva raccontata a lei appena era arrivata, e poi a Mrs Fisher, che l'aveva riferita a Mr Wilkins. Mrs Fisher la teneva in gran conto e ne parlava spesso: narrava di un bastone da passeggio di legno di ciliegio, che il padre di Briggs aveva conficcato nel terreno proprio in quel punto dicendo al padre di Domenico, che allora era il giardiniere: «Qui metteremo un oleandro». Aveva lasciato il bastone nel terreno per rammentarlo al padre di Domenico, e subito - quanto tempo dopo nessuno lo ricordava - il bastone cominciò a germogliare, ed era un oleandro. Ed ecco il povero Mr Briggs lì in piedi che ascoltava pazientemente una storia che senz'altro conosceva sin dall'infanzia. Probabilmente stava pensando ad altro; ed era quello che lei temeva. Che sventura, che tremenda sventura, la determinazione che s'impossessa delle persone, spingendole a impadronirsi e a opprimerne altre! Se solo si fosse potuto convincerle a starsene per i fatti loro! Perché Mr Briggs non poteva essere più simile a Lotty, che non voleva mai niente da nessuno, ma era autosufficiente e rispettava l'integrità degli altri? Era un piacere stare con Lotty, con lei ci si sentiva liberi, e tuttavia protetti. Anche Mr Briggs sembrava gentile, pensò che le sarebbe piaciuto se solo non si fosse innamorato di lei. Scrap si sentì malinconica. Eccola qui, chiusa in quella camera soffocante per essere stata tutto il pomeriggio inondata di sole, invece di trovarsi fuori in giardino al fresco, e tutto a causa di Mr Briggs. Che prepotenza intollerabile, pensò, infiammandosi. Non l'avrebbe sopportata, sarebbe uscita ugualmente; sarbbe corsa giù per le scale mentre Mr Wilkins - quell'uomo era davvero un tesoro - intratteneva Mr Briggs raccontandogli dell'oleandro e sarebbe uscita di casa dalla porta principale per nascondersi all'ombra del sentiero a zigzag. Lì nessuno avrebbe potuto vederla, A nessuno sarebbe venuto in mente di cercarla in quel posto. Prese uno scialle, perché pensava di non rientrare per un bel po', forse neppure per cena - era colpa di Mr Briggs se rimaneva affamata e senza cena - e lanciando un'altra occhiata dalla finestra per vedere se lui continuava a restare inoffensivo, sgusciò fuori e andò a rifugiarsi tra gli alberi del sentiero a zigzag, e là sedette su una di quelle panchine poste a ogni curva per confortare chi rimaneva senza fiato durante la salita. Ah, com'era piacevole, pensò Scrap con un sospiro di sollievo. Com'era fresco, e che buon profumo c'era! Vedeva l'acqua tranquilla del porticciolo attraverso i tronchi dei pini, e le luci accendersi nelle case sull'altro lato, e tutt'intorno a lei il verde dell'imbrunire era spruzzato dal rosa dei gladioli nell'erba e dal bianco dei mucchi di margherite. Ah, che bello! Così quieto. Non si muoveva nulla, non una foglia, né un gambo. L'unico rumore era un cane che abbaiava lontano, da qualche parte sulle colline, oppure la porta del ristorantino sulla piazza sottostante che si apriva lasciando uscire un brusio di voci che si spegneva immediatamente appena la porta si richiudeva. Tirò un profondo sospiro di piacere. Ah, questo era proprio… Il suo sospiro si interruppe a metà. Cosa c'era? Si chinò in avanti per ascoltare, col corpo teso. Rumore di passi. Sul sentiero a zigzag. Forse Briggs, che l'avrebbe scoperta. Doveva scappare? No, i passi salivano anziché scendere. Qualcuno del villaggio. Forse Angelo, con le provviste. Si rilassò di nuovo. Ma i passi non erano quelli di Angelo, quel giovane svelto e agile; erano lenti e misurati, e continuavano a fermarsi. «Qualcuno che non è abituato alle colline», pensò Scrap. Non le venne in mente di tornare a casa. Niente al mondo la spaventava, tranne l'amore. Briganti o assassini non incutevano timore alla figlia dei Droitwich; avrebbe avuto paura di loro solo nel momento in cui avessero smesso di essere briganti e assassini per cominciare a corteggiarla. Un attimo dopo i passi fecero la curva del tratto di sentiero dove era lei e si fermarono. «Prende fiato», pensò Scrap senza guardare. Poi siccome lui - dai passi capì che appartenevano a un uomo - non si muoveva, si voltò e vide con stupore una persona che negli ultimi tempi aveva frequentato assiduamente a Londra, il famoso scrittore di divertenti biografie, Mr Ferdinand Arundel. Lo fissò. Sebbene nessun espediente usato per seguirla poteva più sorprenderla, rimase tuttavia sorpresa vedendo che egli aveva scoperto dove si trovava. Sua madre aveva promesso di non dirlo a nessuno. «Voi? - disse, sentendosi tradita. Qui?» Le si avvicinò e si tolse il cappello. La fronte sotto il cappello era imperlata del sudore di chi non è abituato a camminare in salita. Sembrava si vergognasse e aveva uno sguardo supplichevole, come un cane fedele ma colpevole. «Dovete perdonarmi, - disse. - Lady Droitwich mi ha detto dove eravate, e poiché passavo di qua per caso diretto a Roma, ho pensato di scendere a Mezzago per farvi un saluto e vedere come stavate». «Ma… mia madre non vi ha detto che stavo facendo la cura del sonno?» «Sì, me l'ha detto. Ecco perché non ho voluto disturbarvi nelle prime ore del giorno. Ho pensato che probabilmente avreste dormito tutto il giorno e vi sareste svegliata verso quest'ora per mangiare». «Ma…» «Lo so: non ho giustificazioni. Ma non sono riuscito a trattenermi». «Ecco, - pensò Scrap, - il risultato delle insistenze della mamma di invitare degli scrittori a pranzo, e del mio mostrarmi più affabile di quanto non sia». Era stata affabile con Ferdinand Arundel; le piaceva, o meglio, non le dispiaceva. Sembrava un uomo gioviale e semplice, e aveva lo sguardo di un cane affettuoso. Inoltre, benché fosse evidente che nutriva dell'ammirazione per lei, a Londra non l'aveva mai tormentata, ma si era comportato come una persona cordiale e innocua, che con la sua conversazione piacevole contribuiva a rendere i pranzi più gradevoli. Ora sembrava che la tormentasse anche lui. Osare addirittura seguirla fino qui, che assurdità! Nessun altro l'aveva fatto. Forse sua madre gli aveva dato l'indirizzo perché lo riteneva assolutamente innocuo, e pensava che lui poteva esserle utile per accompagnarla a casa. Bene, comunque fosse, non l'avrebbe senz'altro infastidita quanto un giovane dinamico come Mr Briggs. Sentiva che Mr Briggs, infatuato, sarebbe stato imprudente, non si sarebbe fermato di fronte a nulla, e avrebbe perso la testa pubblicamente. Immaginava Mr Briggs con scale di corda e serenate, tutta la notte sotto la sua finestra… per quanto fosse difficile e poco pratico. Mr Arundel non era tipo da compiere gesti sconsiderati. Era vissuto troppo a lungo e troppo bene. Di certo non sapeva cantare, e comunque non avrebbe voluto farlo. Doveva avere almeno quarant'anni. Quanti manicaretti mangia un uomo prima di arrivare a quarant'anni? E se per tutti quegli anni invece di fare ginnastica se ne sta seduto a scrivere libri, acquisisce inevitabilmente lo stesso fisico di Mr Arundel, un fisico più adatto alla conversazione che all'avventura. Scrap, che alla vista di Briggs era divenuta malinconica, vedendo Arundel divenne meditativa. Eccolo lì. Non avrebbe potuto mandarlo via prima di cena. Doveva nutrirlo. Stando così le cose, conveniva approfittarne al meglio, e farlo con grazia, come d'altronde non poteva evitare. Inoltre, lui l'avrebbe protetta temporaneamente da Mr Briggs. Se non altro conosceva Ferdinand Arundel, e poteva avere da lui notizie di sua madre e dei suoi amici, e a cena quella conversazione avrebbe costituito una barriera difensiva tra lei e gli approcci dell'altro. E rimaneva per una cena soltanto, mica poteva mangiarla! Decise quindi di essere cordiale. «La cena, - disse, ignorando la sua ultima battuta, - è alle otto, venite anche voi. E adesso sedetevi qui al fresco e ditemi come stanno tutti». «Posso davvero cenare con voi? In questi abiti da viaggio?» disse, asciugandosi la fronte prima di sedersi accanto a lei. Era troppo bella per essere vera, pensò. Solo guardarla per un'ora e sentire la sua voce lo ripagava del suo viaggio e dei suoi timori. «Certo! Immagino che abbiate lasciato la carrozza in paese, e che proseguiate da Mezzago con il treno della notte». «Oppure starò in albergo a Mezzago e proseguirò domani. Ma ditemi di voi, - disse, guardando il suo adorabile profilo. - Londra era esageratamente vuota e noiosa. Lady Droitwich mi ha detto che eravate qui con persone che non conosceva. Spero che siano state gentili con voi. Be'… dal vostro aspetto si direbbe che la cura ha avuto il suo effetto». «Sono tutte molto gentili, - disse Scrap. - Le ho trovate attraverso un annuncio». «Un annuncio?» «Penso che sia un buon sistema per trovare amici. Sono affezionata a una di loro come da anni non lo ero con nessuno». «Davvero? Chi è?» «Dovrete essere voi a indovinarlo, quando le vedrete. Raccontatemi di mia madre: Quando l'avete vista l'ultima volta? Abbiamo deciso di non scriverci a meno che non ci fosse stato qualcosa di particolare. Volevo trascorrere un mese assolutamente isolata». «E invece io sono venuto a disturbarvi. Non posso dirvi quanto mi vergogno… sia per averlo fatto sia per non essere riuscito a evitarlo». «Oh, ma… - disse subito Scrap, perché non avrebbe potuto scegliere un giorno migliore per arrivare, quando lassù in agguato e pronto a darle la caccia c'era l'innamorato Briggs. - Sono davvero contenta di vedervi. Raccontatemi di mia madre». Scrap voleva sapere così tante cose di sua madre che Arundel dovette inventarsele. Avrebbe parlato di qualsiasi cosa le facesse piacere, pur di stare un po' con lei, pur di vederla e di ascoltarla, ma in verità sapeva molto poco dei Droitwich e dei loro amici, al di là degli incontri in occasione di quelle importanti cerimonie dove anche i letterati erano presenti, e oltre ad averli divertiti a pranzi e cene, sapeva assai poco di loro. Per loro era sempre rimasto Mr Arundel; nessuno lo chiamava Ferdinand; ed egli conosceva solo gli stessi pettegolezzi che apparivano sui giornali della sera e che circolavano tra i frequentatori dei club. Tuttavia, era bravo a inventare; e appena esaurì le notizie di prima mano, pur di rispondere alle sue domande e trattenerla lì con lui, cominciò a inventare. Era facile collegare alcune cose divertenti che aveva in mente ad altre persone, facendo finta che le riguardassero. Scrap, che nutriva per i suoi genitori quel tipo di affetto che si fa più forte con la lontananza, era avida di notizie e più lui raccontava più lei mostrava interesse. All'inizio erano notizie banali. Aveva incontrato sua madre qui, l'aveva vista là. Stava molto bene e diceva questo e quello. Ma presto le cose che aveva detto Lady Droitwich assunsero una qualità insolita: divennero divertenti. «La mamma ha detto quello?» lo interruppe Scrap, sorpresa. E subito Lady Droitwich iniziò a fare cose divertenti, oltre che a dirle. «E stata davvero la mamma?» domandò Scrap con gli occhi sgranati. Arundel si appassionò nell'impresa. Attribuì a Lady Droitwich alcune delle idee più divertenti che gli erano venute in mente negli ultimi tempi, e anche altre cose buffe e piacevoli che erano state fatte, o così aveva immaginato, perché gli veniva in mente di tutto. Scrap sgranò ancor di più gli occhi per lo stupore e l'orgoglio affettuoso che nutriva per la madre. Ma che madre buffa, e fantasiosa! Che simpatica vecchia signora. Aveva davvero fatto quello? Com'era adorabile! E aveva davvero detto così? E incredibile che le sia venuto in mente… E che espressione aveva fatto Lloyd George? Lei continuò a ridere, e le venne una gran voglia di abbracciare sua madre; intanto il tempo volava, iniziò a imbrunire e divenne quasi buio, mentre Mr Arundel seguitava a intrattenerla; ed erano quasi le otto meno un quarto quando improvvisamente si ricordò della cena. «Oh, santo cielo!» esclamò saltando in piedi. «Sì, è tardi», disse Arundel. «Andrò avanti velocemente e manderò una domestica ad attendervi. Devo correre, o non riuscirò a essere pronta in tempo…» E sparì su per il sentiero con l'agilità di una giovane, agile cerbiatta… Arundel la seguì. Non voleva arrivare troppo accaldato, così dovette procedere lentamente. Per fortuna non era lontano dalla cima, e Francesca scese sotto la pergola per guidarlo in casa, e dopo avergli mostrato dove lavarsi, lo fece accomodare nel salone vuoto affinchè si riposasse accanto al fuoco crepitante. Lui si spostò il più lontano possibile dal fuoco, e si mise in uno di quei profondi vani delle finestre a guardare le luci lontane di Mezzago. La porta del salone era aperta, e la casa era immersa nella quiete che precede la cena, quando gli abitanti sono tutti chiusi in camera a vestirsi. Briggs nella sua stanza scartava una dopo l'altra le sue cravatte, tutte sciupate; Scrap nella sua si infilava rapidamente un abito nero con la vaga idea che il nero avrebbe impedito a Mr Briggs di vederla bene; Mrs Fisher fermava lo scialle di pizzo, che ogni sera trasformava il suo abito da giorno in un abito elegante, con la spilla che Ruskin le aveva regalato per il suo matrimonio, formata da due piccoli gigli di perle legati insieme da un nastro di smalto blu con le parole Esto perpetua scritte a lettere d'oro; Mr Wilkins, seduto sul bordo del letto, spazzolava i capelli della moglie - a tal punto era giunta la sua affettuosità in questa terza settimana - mentre lei, a sua volta, seduta sulla sedia di fronte a lui, gli metteva i gemelli in una camicia pulita; e Rose, già pronta, sedeva alla finestra ripensando alla sua giornata. Rose era ben consapevole di ciò che era accaduto a Mr Briggs; e anche non lo fosse stata, Lotty l'aveva subito chiarito con i suoi commenti espliciti quando, dopo il té, lei e Rose si erano sedute sul muretto. Lotty era felice che a San Salvatore entrasse altro amore, sebbene non fosse contraccambiato, e disse che appena fosse arrivato il marito di Rose, adesso che anche Mrs Fisher si era finalmente sciolta, - Rose protestò per questa espressione, e Lotty replicò che era di Keats, - era sicura che non ci sarebbe stato un altro posto al mondo più traboccante di felicità di San Salvatore. «Tuo marito, - disse Lotty, dondolando i piedi, - potrebbe arrivare da un momento all'altro, forse domani sera se parte subito; e i nostri ultimi giorni qui, prima di tornare a casa rinvigoriti per la vita, saranno splendidi. Credo che nessuno di noi sarà più lo stesso, e non sarei affatto sorpresa se alla fine Caroline si innamorasse di quel giovane Briggs. E nell'aria. Qui ci si deve innamorare». Rose sedeva alla finestra pensando a queste cose. L'ottimismo di Lotty… certo, Mr Wilkins lo giustificava. Senza contare Mrs Fisher! Se solo fosse stato vero anche per Frederick! Perché se Rose, tra l'ora di pranzo e il té aveva smesso di pensare a Frederick, adesso, nell'intervallo tra il té e la cena, lo pensava più intensamente che mai. Quell'intermezzo di ammirazione era stato buffo e delizioso, ma naturalmente non poteva continuare, una volta che Caroline era apparsa. Rose sapeva stare al suo posto, vedeva bene come chiunque altro la bellezza rara e singolare di Lady Caroline. Come l'avevano fatta sentire bene, tuttavia, quella stima e quell'ammirazione, l'avevano convinta di meritarle davvero, di essere diversa e brillante. Era come se avessero portato in vita capacità inaspettate. Sapeva con certezza che tra l'ora di pranzo e il té era stata una donna divertente, addirittura carina; era certa di esere stata carina, l'aveva visto negli occhi di Mr Briggs come in uno specchio. Per un attimo, pensò, era stata come una mosca in letargo che torna a ronzare gaiamente intorno al bagliore del fuoco in una stanza d'inverno. Il solo ricordo la faceva ancora fremere e vibrare. Come era stato divertente avere un ammiratore, anche se solo per quell'attimo. Non c'era da meravigliarsi che alla gente piacesse avere degli ammiratori. Chissà come, ti riportano alla vita. Benché fosse tutto finito, lei ne era ancora animata e si sentiva più allegra e ottimista, più come si doveva sentire sempre Lotty, meglio di quanto non si fosse mai sentita da quando era ragazza. Si vestì con cura, pur sapendo che Mr Briggs non l'avrebbe più notata, e mentre si preparava osservò con piacere quanto potesse farsi bella; quasi arrivò a infilarsi una camelia cremisi tra i capelli, in basso, dietro l'orecchio. La tenne per un minuto: era così attraente da sembrare quasi immorale, con quello stesso colore della bocca, poi se la tolse con un sorriso e sospirando la mise nel posto adatto ai fiori, cioè nell'acqua. Non doveva essere sciocca, pensò. Doveva pensare ai poveri, presto sarebbe tornata tra loro, e allora che effetto avrebbe fatto una camelia dietro l'orecchio? Semplicemente assurdo. Ma su una cosa era decisa: la prima cosa che avrebbe fatto appena arrivata a casa sarebbe stato chiarire la questione con Frederick. Ecco quello che avrebbe fatto, se lui non fosse venuto a San Salvatore, la prima cosa in assoluto. Avrebbe dovuto farlo molto tempo prima ma, quando ci aveva provato, era sempre stata ostacolata dall'amore che ancora provava per lui, e dal fatto che temeva di aprire nuove ferite nel suo cuore tenero e infelice. Ma ora lui poteva ferirla quanto voleva, quanto poteva, lei avrebbe chiarito la questione con lui a tutti i costi. Lui non l'aveva mai ferita di proposito; sapeva che non era mai stato nelle sue intenzioni, che spesso non si rendeva conto di farlo: Rose pensava che per essere uno scrittore, Frederick non sembrava avere molta immaginazione. In ogni caso, disse a se stessa, alzandosi dalla toeletta, le cose non potevano andare avanti così: lei avrebbe risolto la questione, ne aveva abbastanza di questa vita da separati, di questa solitudine raggelante. Perché non poteva essere felice anche lei? Perché diavolo - quest'espressione forte ben si addiceva al sentimento di ribellione che l'agitava - non poteva essere amata anche lei e avere il diritto di amare? Guardò la sua piccola sveglia. Ancora dieci minuti prima di cena. Stanca di starsene in camera sua pensò di andare sui merli di Mrs Fisher, a quell'ora di certo deserti, e di guardare la luna spuntare dal mare. Entrò nell'atrio deserto del piano superiore con questa intenzione, ma passando fu attratta dal fuoco del salone che brillava attraverso la porta aperta. Come era allegro! Il fuoco trasformava la stanza. Una stanza buia e brutta di giorno, appariva trasformata proprio come lei era stata trasformata dal calore di… no, non doveva essere sciocca, doveva pensare ai poveri; ogni volta questo pensiero la riportava alla sobrietà. Sbirciò dentro. Un caminetto acceso e i fiori, e fuori la notte che sembrava aver appeso una tenda blu alle profonde feritoie. Che bello! Che posto incantevole era San Salvatore. E quel magnifico lillà sul tavolo - doveva entrare per affondarci il volto… Ma non arrivò mai al lillà. Fece un passo verso di esso, e poi rimase immobile, perché aveva visto una persona nell'angolo più lontano, che guardava dalla finestra, era Frederick. Tutto il sangue nel corpo di Rose le affluì al cuore, fu come se il suo battito si fermasse. Frederick era venuto. Rimase immobile. Lui non l'aveva sentita, non si era voltato. Rimase ferma a guardarlo. Il miracolo era accaduto, ed egli era qui. Rimase ferma trattenendo il respiro. Dunque aveva bisogno di lei, perché era venuto immediatamente. Dunque anche lui doveva aver pensato, desiderato… Il suo cuore, che sembrava aver smesso di battere, ora la stava soffocando, talmente accelerato era il suo battito. Allora Frederick l'amava, doveva amarla, altrimenti perché sarebbe venuto? Qualcosa, forse la sua assenza, l'aveva spinto verso di lei, desideroso… e adesso sarebbe stato facile, molto facile chiarire tutto con lui, come aveva deciso di fare. I suoi pensieri si erano bloccati, la sua mente vacillò. Non riusciva a pensare. Poteva solo vedere e sentire. Non sapeva come fosse successo, era un miracolo. Dio poteva compiere i miracoli, e aveva fatto questo. Dio poteva… Dio poteva… poteva… La mente vacillò di nuovo, e si fermò. «Frederick…» tentò di dire; ma non le uscì alcun suono, o comunque fu coperto dal crepitare del fuoco. Doveva avvicinarsi. Iniziò ad avanzare timidamente verso di lui… piano, piano. Lui non si mosse. Non aveva udito. Lei si avvicinò sempre più, il fuoco crepitava e lui non sentiva niente… Si fermò un istante, incapace di respirare. Aveva paura. E se… se lui… oh, ma era venuto, era qui! Avanzò ancora, vicinissimo a lui, e il cuore le batteva così forte che pensò lui potesse sentirlo. Com'era possibile che non sentisse… che non sapesse… «Frederick», sussurrò, quasi incapace persino di sussurrare, soffocata dal battito del suo cuore. Egli si voltò. «Rose!» esclamò, fissandola con sguardo attonito. Ma lei non vide il suo sguardo, subito lo abbracciò, mentre con la guancia contro la sua mormorava, appoggiando le labbra contro il suo orecchio, «Sapevo che saresti venuto… nel più profondo del cuore, ho sempre, sempre saputo che saresti venuto…» Frederick non era il tipo che avrebbe ferito gli altri, se poteva evitarlo; inoltre era assolutamente sconcertato. Non solo sua moglie era lì - proprio lì, tra tutti i posti al mondo - ma si stava stringendo a lui come non faceva da anni, e lo accoglieva mormorando parole d'amore. Si aspettava il suo arrivo, per accoglierlo così. Per quanto strana fosse la situazione quella era l'unica cosa chiara: quella, la morbidezza della sua guancia contro la propria e il suo dolce profumo, da lungo tempo dimenticato. Frederick era sconcertato. Ma non essendo il tipo che avrebbe ferito il prossimo se poteva evitarlo, la abbracciò anche lui e poi la baciò; e la baciò subito quasi con la stessa tenerezza con la quale ella baciava lui, e poi altrettanto teneramente, e infine ancora più teneramente, proprio come se non avesse mai smesso di farlo. Era sconcertato, ma sapeva ancora baciare. Sembrava stranamente naturale farlo. Si sentiva come se avesse ancora trent'anni invece di quaranta, e Rose fosse la sua Rose ventenne, la Rose che aveva così tanto adorato prima che cominciasse a valutare ciò che lui faceva con la sua idea del giusto, e la bilancia non gli era stata favorevole, e lei era diventata strana, fredda e sempre più indignata, e oh, così lagnosa. In quei giorni lui non poteva avvicinarsi a lei che non voleva, non poteva capire. Continuava a rapportare qualsiasi cosa a ciò che definiva gli occhi di Dio: agli occhi di Dio ciò non poteva essere giusto, quindi non era giusto. Il suo volto infelice - quali che fossero i suoi principi, certamente non la rendevano felice, - alla fine il suo piccolo volto infelice, contratto nello sforzo di essere paziente, aveva oltrepassato i limiti della sua sopportazione, e lui per non vederlo più se ne era allontanato. Non avrebbe dovuto essere la figlia di un pastore anglicano; lei non era adatta a reggere una tale educazione. Che cosa era accaduto? Perché lei era lì, perché era di nuovo la sua Rose? Era tutto al di là della sua comprensione, e nel frattempo, solo questo gli era chiaro, lui sapeva ancora baciare. Infatti non riusciva a smettere, e adesso era lui che iniziava a sussurrare, a dire parole d'amore all'orecchio di lei nascosto dai capelli che avevano un profumo dolce e lo solleticavano, proprio come in passato. Mentre la teneva stretta al cuore e sentiva le sue braccia morbide intorno al collo, egli avvertì una deliziosa sensazione di… all'inizio non capì cosa fosse questo calore delicato e soffuso, poi lo riconobbe come un senso di sicurezza. Sì, sicurezza. Ora non doveva vergognarsi del suo aspetto, non doveva fare battute su di esso in modo da prevenire quelle degli altri dimostrando che non gli importava; non doveva vergognarsi di sudare quando camminava in salita o di tormentarsi pensando all'impressione che faceva sulle donne giovani e belle, questa sua assurda incapacità di stare lontano da loro era tipica della mezza età. A Rose queste cose non importavano. Con lei si sentiva al sicuro. Per lei lui era il suo innamorato, come un tempo; e non avrebbe mai notato né le sarebbe importato di quei tristi segni che il passare degli anni aveva lasciato su di lui e che col tempo sarebbero aumentati. Frederick, quindi, continuò a baciare sua moglie con foga sempre maggiore e piacere crescente, e il solo fatto di stringerla fra le braccia gli fece dimenticare qualsiasi altra cosa. Come poteva, per esempio, ricordare o pensare a Lady Caroline, per nominare solo una delle difficoltà della sua situazione, quando la sua dolce moglie, miracolosamente ritrovata, era qui con la sua guancia accanto alla sua, a sussurrargli quanto lo amava, quanto lui le era mancato, con le parole più affettuose e romantiche? Per un breve istante, perché anche nei momenti di passione ci sono brevi istanti di lucidità, riconobbe l'immenso potere della donna presente rispetto a quello della donna, per quanto bella, che non c'è, ma così soltanto ricordava Scrap; nient'altro. Ella era come un sogno che svanisce prima dell'alba. «Quando sei partito?» mormorò Rose, la sua bocca sul suo orecchio. Non poteva lasciarlo andare, neppure per parlare. «Ieri mattina», mormorò Frederick, tenendola vicino. Neppure lui poteva lasciarla andare. «Oh… allora subito!», mormorò Rose. Queste parole erano enigmatiche, ma Frederick disse: «Sì, subito», e la baciò sul collo. «Com'è stata veloce la mia lettera», mormorò Rose, tenendo gli occhi chiusi per la felicità. «Davvero», disse Frederick, che aveva voglia anche lui di chiudere gli occhi. Quindi c'era stata una lettera. Presto, indubbiamente, avrebbe fatto luce su ogni mistero, ma intanto era stranamente dolce e commovente tenere di nuovo la sua Rose stretta al cuore, dopo tanti anni, che non si preoccupava di indovinare niente. Oh, in questi anni era stato felice, perché non era da lui essere infelice; per di più, quanti interessi gli aveva offerto la vita, quanti amici, successi, quante donne sempre pronte ad aiutarlo a cancellare il pensiero di quella moglie meschina, cambiata e pietrificata, che a casa non voleva spendere i suoi soldi, era terrorizzata dai suoi libri, si allontanava sempre più da lui, e ogni volta che lui cercava di spiegarsi gli chiedeva con paziente ostinazione come pensava che apparissero agli occhi di Dio le cose che lui scriveva e grazie alle quali viveva. «Nessuno, - disse una volta, dovrebbe mai scrivere un libro che a Dio non piacerebbe leggere. Su questo bisogna giudicare, Frederick». Lui aveva riso istericamente, era scoppiato in una risata forte e acuta ed era corso fuori casa, lontano da quel suo piccolo volto serio - via da quel suo piccolo volto, serio e patetico… E questa stessa Rose gli riportava la sua gioventù, il periodo migliore della sua vita, pieno di sogni e di speranze. Quanto avevano sognato, lui e lei insieme, prima che egli s'imbattesse in quella vena di memorie; quanti progetti avevano fatto, quanto avevano riso e come si erano amati. Per un po' erano vissuti davvero in un mondo di poesia. Dopo i giorni felici, c'erano state le notti felici, notti di felicità assoluta, con lei che dormiva contro il suo petto, e ancora lì quando lui si svegliava al mattino, perché quasi non si muovevano nel loro sonno profondo e felice. Era meraviglioso rivivere tutto questo al solo contatto con lei, sentendo il suo viso contro il suo… meraviglioso che ella potesse restituirgli la sua gioventù. «Tesoro… tesoro mio», egli mormorò, sopraffatto dai ricordi, stringendosi a lei. «Mio adorato», ella sospirò, che felicità… felicità assoluta… Briggs, arrivando alcuni minuti prima che il gong suonasse, nella speranza che Lady Caroline fosse lì, rimase assai sorpreso. Aveva pensato che Rose Arbuthnot fosse vedova, e ancora lo pensava; pertanto rimase assai sorpreso. «Che mi venga un colpo!» pensò Briggs, chiaro e distinto, perché ciò che vide vicino alla finestra lo fece così trasalire che per un momento fu distolto dalle sue riflessioni confuse. E avvampando disse, a voce alta: «Oh voglio dire… chiedo scusa», e rimase lì esitante, chiedendosi se avesse dovuto tornare in camera sua. Se non avesse detto niente loro non avrebbero notato che era lì, ma quando chiese scusa Rose si voltò e lo guardò come si guarda qualcuno cercando di ricordare chi è, e anche Frederick lo guardò, senza vederlo affatto. Non sembravano infastiditi, pensò Briggs, e neppure minimamente impacciati. Lui non poteva essere suo fratello; nessun fratello avrebbe potuto provocare quell'espressione nel volto di una donna. Era davvero imbarazzante. Loro non erano infastiditi, ma lui sì. Lo sconvolgeva sorprendere la sua Madonna che si laciava andare. «Questo è uno dei tuoi amici?» dopo un istante Frederick riuscì a chiedere a Rose, che non fece alcun tentativo per presentargli il giovane imbarazzato di fronte a loro ma continuò a fissarlo con una sorta di astratta, radiosa benevolenza. «E Mr Briggs, - disse Rose, riconoscendolo. - Questo è mio marito», aggiunse. E Briggs, stringendogli la mano, ebbe appena il tempo di pensare quanto fosse strano per una vedova avere un marito, prima che suonasse il gong, che Lady Caroline comparisse da un momento all'altro, e lui non riuscisse più a pensare, ma solo a diventare un oggetto inanimato, con gli occhi fissi sulla porta. Subito, come in una processione che gli sembrò infinita, da quella porta entrarono prima Mrs Fisher, maestosa nel suo scialle di pizzo da sera con la spilla, che quando lo vide si sciolse in benevoli sorrisi, per irrigidirsi immediatamente scorgendo un estraneo; poi, Mr Wilkins, più pulito, ordinato, ben vestito e pettinato che mai; quindi Mrs Wilkins, che entrando si allacciava frettolosamente qualcosa e poi nessun altro. Lady Caroline era in ritardo. Dov'era? Aveva sentito il gong? Non avrebbero dovuto suonarlo di nuovo? E se non fosse venuta a cena… Briggs si sentì raggelare.. «Presentami», disse Frederick mentre Mrs Fisher entrava, toccando il gomito di Rose. «Mio marito», disse Rose tenendolo per mano, con uno sguardo intenso. «Questo, - pensò Mrs Fisher, dovrebbe essere l'ultimo dei mariti, a meno che Lady Caroline non ne tiri fuori uno dalla manica». Ma lo salutò con gentilezza, perché lui sembrava proprio un marito, non come quegli uomini che vanno in giro all'estero fingendo di essere i mariti quando non lo sono, e disse che immaginava fosse venuto per accompagnare sua moglie a casa alla fine del mese, e osservò che ora la casa sarebbe stata al completo. «Così, - aggiunse sorridendo a Briggs, - alla fine avremo speso bene il nostro denaro!» Briggs sorrise meccanicamente, perché riusciva appena ad accorgersi che qualcuno stava scherzando con lui, ma non l'aveva sentita e non la guardò. Non solo i suoi occhi erano fissi sulla porta ma tutto il suo corpo era concentrato su di essa. Mr Wilkins, presentato a sua volta, fu molto gentile e si rivolse a Frederick chiamandolo «signore». «Bene, signore, - disse Mr Wilkins cordialmente, - eccoci qua, eccoci qua…», e dopo avergli stretto la mano con una complicità che non fu ricambiata solo perché Arbuthnot non sapeva ancora i guai che lo aspettavano, lo guardò dritto negli occhi, come si addice a un uomo, e fece in modo che il suo sguardo gli comunicasse il più chiaramente possibile che in lui avrebbe trovato sostegno, integrità e affidabilità: insomma, un amico in caso di bisogno. Mrs Arbuthnot era molto colorita, notò Mr Wilkins, prima d'ora non l'aveva mai vista così. «Bene, io sono quel che fa per loro», pensò. Il saluto di Lotty fu molto espansivo: gli porse entrambe le mani. «Non te l'avevo forse detto?» rise rivolta a Rose girandosi mentre Frederick le stringeva le mani. «Che cosa le avete detto?» chiese Frederick, tanto per dire qualcosa. Era disorientato dal modo in cui era stato accolto. Evidentemente tutti, non solo Rose, lo aspettavano. La giovane donna piacente e dai capelli fulvi non rispose alla sua domanda, ma sembrò straordinariamente contenta di vederlo. Perché mai era così contenta? «Che posto delizioso!» disse Frederick confuso, facendo la prima osservazione che gli veniva in mente. «E un nido d'amore», disse la giovane con convinzione; il che lo disorientò più che mai. E la sua confusione aumentò ulteriormente quando sentì le parole che seguirono, pronunciate dalla vecchia signora, che disse: «Non aspettiamo. Lady Caroline è sempre in ritardo»… solo allora lui, sentendo il suo nome, si ricordò di Lady Caroline, il pensiero di lei lo confuse ancora di più. Entrò in sala da pranzo come se fosse in un sogno. Era venuto in questo luogo per vedere Lady Caroline e glielo aveva detto. Nella sua frivolezza le aveva persino detto - era vero, quanto era frivolo - che non era riuscito a trattenersi dal venire. Lei non sapeva che fosse sposato e credeva che si chiamasse Arundel. Tutti a Londra lo credevano. Lui l'aveva usato e si era firmato con quel nome per così tanto tempo che quasi anche lui pensava di chiamarsi così. Nel breve tempo da quando lei l'aveva lasciato sulla panca, dove le aveva detto che era venuto perché non era riuscito a farne a meno, aveva trovato Rose, l'aveva abbracciata appassionatamente ed era stato ricambiato, e aveva dimenticato Lady Caroline. Sarebbe stato un colpo di fortuna straordinario se il ritardo di Lady Caroline avesse significato che era stanca o annoiata e che non sarebbe venuta a cena. Allora egli poteva… no, non poteva. Divenne ancora più rosso del solito, pur essendo già di per sé un uomo di robusta costituzione e rubizzo, al pensiero di una tale vigliaccheria. No, non poteva andar via dopo cena, prendere il treno e sparire a Roma; no, a meno che… ecco, che Rose non andasse con lui. Ma anche in quel caso, sarebbe stata una fuga. No, non poteva. Quando furono in sala da pranzo Mrs Fisher si mise a capotavola, era forse la casa di Mrs Fisher? si chiese. Non lo sapeva, non sapeva niente; e Rose, che nei primi giorni, per sfidare Mrs Fisher, aveva preso posto all'altro capo del tavolo - dopo tutto, guardando un tavolo, nessuno poteva dire dove fosse la cima o il fondo guidò Frederick al posto accanto al suo. Se soltanto avesse potuto essere solo con Rose, egli pensò, solo con Rose per altri cinque minuti, così da poterle chiedere… Ma forse non le avrebbe chiesto niente, avrebbe continuato a baciarla. Si guardò intorno. La giovane donna fulva stava dicendo al giovane di nome Briggs di sedersi accanto a Mrs Fisher… allora la casa apparteneva alla giovane fulva, non a Mrs Fisher? Non lo sapeva, non sapeva niente e quest'ultima si sedette di fronte a lui, Frederick, e accanto all'uomo arguto che aveva detto «Eccoci qua», quando era evidente che erano lì! Di fianco a Frederick, e tra lui e Briggs c'era una sedia vuota: quella di Lady Caroline. Lady Caroline ignorava la presenza di Rose nella vita di Frederick tanto quanto Rose ignorava quella di Lady Caroline. Che cosa avrebbero pensato? Non lo sapeva, non sapeva niente. Sì, qualcosa sapeva, ed era che sua moglie si era riconciliata con lui: di colpo, miracolosamente, in modo imprevisto e divino. Oltre a ciò non sapeva niente. La situazione era tale, che sentiva di non riuscire ad affrontarla. Si sarebbe lasciato condurre dalla sorte, poteva solo andare alla deriva. Frederick mangiò la sua minestra in silenzio, mentre gli occhi, i grandi occhi espressivi della giovane seduta di fronte a lui lo fissavano, ed egli sentiva che c'era in essi uno sguardo sempre più interrogativo. Vedeva che erano occhi molto intelligenti, belli e grandi, oltre che benevoli. Probabilmente lei pensava che lui avrebbe dovuto parlare, ma se avesse saputo ogni cosa non l'avrebbe pensato. Neppure Briggs parlava, sembrava a disagio. Che cosa aveva? Neppure Rose parlava, ma per lei era naturale. Non era mai stata una chiacchierona. Il suo volto aveva un'espressione dolcissima. Quanto sarebbe durata dopo l'ingresso di Lady Caroline? Non lo sapeva, non sapeva niente. Ma il signore arguto alla sinistra di Mrs Fisher parlava per tutti. Quel tale avrebbe dovuto fare il pastore, una voce come la sua era adatta a un pulpito, in sei mesi gli avrebbe fruttato una diocesi. Stava spiegando a Briggs, che si agitava sulla sedia perché Briggs era così agitato? - che doveva aver preso lo stesso treno di Arbuthnot, e quando Briggs, che non diceva niente, si dimenò con evidente dissenso, decise di dimostrarglielo e glielo provò con frasi lunghe e chiare. «Chi è l'uomo con quella voce?» chiese Frederick a Rose sottovoce; e la giovane di fronte a lui, il cui udito doveva essere fino come quello degli animali selvatici, rispose: «E mio marito». «Allora stando alle regole, - disse Frederick scherzosamente, facendosi coraggio, - non dovreste essere seduta accanto a lui». «Ma io lo voglio. Mi piace sedere accanto a lui, prima di venire qui non mi piaceva». Frederick non riuscì a trovare niente da dire, così si limitò a sorridere evasivamente. «E questo posto, - disse lei annuendo. - Aiuta a comprendere. Non avete idea di quanto avrete capito prima di andarvene». «Ne sono sicuro, lo spero», disse Frederick con entusiasmo sincero. La minestra venne portata via e fu servito il pesce: Briggs seduto dall'altra parte della sedia vuota, sembrava più a disagio che mai. Che cosa aveva? Non gli piaceva il pesce? Frederick si chiese che cosa avrebbe fatto Briggs se fosse stato nella sua spinosa situazione. Frederick continuava ad asciugarsi i baffi e non riusciva ad alzare lo sguardo dal piatto, ma questo era tutto ciò che lasciava trapelare del suo stato d'animo. Benché non alzasse lo sguardo, gli occhi indagatori della giovane di fronte lo facevano sentire come sotto la luce dei riflettori; sapeva che anche lo sguardo di Rose era posato su di lui, ma era muto, soave come una benedizione. Sarebbe ancora stato così, dopo l'arrivo di Lady Caroline? Non lo sapeva, non sapeva niente. Si asciugò inutilmente i baffi per la ventesima volta; la sua mano non riusciva a rimanere completamente ferma, la giovane di fronte a lui l'aveva notato e i suoi occhi continuavano a scrutarlo. Perché continuava a scrutarlo? Non lo sapeva, non sapeva niente. Poi Briggs balzò in piedi; che cosa aveva? Oh… sì… ecco: era arrivata. Frederick si asciugò i baffi e anche lui si alzò. Era giunto il momento. Che situazione assurda, irreale. Bene, qualsiasi cosa fosse accaduta poteva solo lasciarsi andare alla deriva e far la figura dello stupido con Lady Caroline, stupido e bugiardo come nessun altro; e faceva anche la figura del verme, perché lei poteva ben pensare che l'aveva presa in giro là fuori in giardino quando le aveva detto, addirittura con voce tremante - che stupido e ridicolo! che era venuto perché non era riuscito a evitarlo; e solo Dio poteva sapere che figura avrebbe fatto con la sua Rose quando Lady Caroline l'avesse presentato come un amico che aveva invitato a cena. Così mentre si alzava si asciugò i baffi per l'ultima volta prima della catastrofe. Ma non aveva tenuto conto di Scrap. Quella giovane raffinata ed esperta scivolò sulla sedia che Briggs le stava tenendo, e quando Lotty si sporse in avanti con impazienza e, prima che qualcun altro potesse parlare, disse: «Incredibile, Caroline, come è arrivato presto il marito di Rose!» lei si girò verso di lui senza la minima ombra di sorpresa sul volto, gli porse la mano, sorrise come un giovane angelo e disse: «E io sono in ritardo proprio la prima sera che voi siete qui». La figlia dei Droitwich… Era una sera di luna piena, il giardino pareva un luogo incantato dove tutti i fiori sembravano bianchi. I gigli, le dafne, i fiori d'arancio, le violacciocche, i garofani, le rose, si distinguevano tutti bene come di giorno, mentre dei fiori colorati si sentiva solo la fragranza. Dopo cena le tre giovani donne sedettero sul muretto in fondo al giardino superiore; Rose, un po' in disparte dalle altre, guardava la luna enorme che si spostava lentamente sul luogo dove Shelley aveva trascorso i suoi ultimi mesi proprio cent'anni prima. La scia della luna tremolava sull'acqua. Le stelle ammiccavano e palpitavano. Le montagne erano incerti profili blu in cui grappoli di luci brillavano dai piccoli gruppi di case. In giardino le piante svettavano immobili e dritte, senza che il più leggero alito di vento le agitasse. La sala da pranzo con il tavolo illuminato dalle candele e i fiori vivaci - quella sera c'erano nasturzi e calendole - scintillava attraverso le porte a vetri come una magica caverna colorata, e i tre uomini che fumavano intorno al tavolo sembravano, visti dal giardino immerso nel silenzio, nella quiete fresca e solenne, esseri stranamente animati. Mrs Fisher si era avvicinata al fuoco nel salone. Scrap e Lotty, il volto sollevato verso il cielo, parlavano poco e sottovoce. Rose non diceva niente: anche lei aveva il viso rivolto verso l'alto, guardava il pino a ombrello, scolpito in tutta la sua bellezza, stagliarsi contro le stelle. Di quando in quando gli occhi di Scrap indugiavano su Rose; anche Lotty la guardava: Rose era deliziosa. In quel momento avrebbe eguagliato qualunque bellezza, sarebbe sembrata graziosa ovunque. Quella sera nessuno avrebbe potuto metterla in ombra o smorzare il suo splendore: era davvero scintillante. Lotty si chinò e sussurrò all'orecchio di Scrap: «È l'amore». Scrap annuì. «Si», disse in un soffio. Doveva ammetterlo. Bastava guardare Rose per comprendere che lì c'era l'amore. «Non c'è niente come l'amore», sussurrò Lotty. Scrap rimase in silenzio. «E meraviglioso, - mormorò Lotty dopo una pausa, durante la quale guardarono entrambe il viso di Rose rivolto al cielo, - andare d'accordo con chi si ama. Forse tu sai dirmi se al mondo c'è qualcos'altro che fa tali miracoli». Ma Scrap non seppe rispondere; e anche avesse saputo questa non sarebbe stata la notte giusta per discuterne. Era una notte per… Si alzò. Di nuovo l'amore, era dovunque. Non c'era modo di liberarsene. Era venuta in questo posto per starne lontana e l'aveva ritrovato in tutti, in gradi diversi. Persino Mrs Fisher sembrava accarezzata da una delle molte piume delle ali di Amore, anche a cena era diversa, preoccupata perché Mr Briggs non voleva mangiare, e quando lo guardava il suo viso si addolciva in un'espressione materna. Scrap osservò il pino immobile tra le stelle. La bellezza ti faceva amare, e l'amore ti rendeva bella… Si strinse lo scialle intorno come per difendersi, per isolarsi. Non voleva diventare sentimentale, ma qui era difficile non esserlo; la notte meravigliosa s'insinuava in ognuno portando con sé, che lo si volesse o no, sentimenti forti, sentimenti che non si potevano controllare, pensieri profondi sulla morte, il tempo, lo spreco; pensieri meravigliosi e devastanti, magnifici e tetri, insieme estasi e tormento, e un desiderio senza fine che spezzava il cuore. Si sentì piccola e terribilmente sola. Si sentì nuda e indifesa. Istintivamente si avvolse più stretta nello scialle. Con questa cosa di chiffon cercava di proteggersi dall'eternità. «Immagino, - sussurrò Lotty, che il marito di Rose ti sembri un uomo di mezza età, cordiale e ordinario». Scrap distolse lo sguardo dalle stelle e fissò Lotty per un attimo cercando di rimettere a fuoco i suoi pensieri. «Solo un uomo rubizzo e grassoccio», sussurrò Lotty. Scrap abbassò il capo. «Non è così, - continuò a bisbigliare Lotty. - Rose vede al di là di questo. Quelli sono solo dettagli. Lei vede quello che noi non possiamo vedere, perché lo ama». Sempre l'amore. Scrap si alzò, e stringendosi ancor più nello scialle si diresse al suo angolino, sedette lì sola sul muretto e guardò il mare dall'altra parte, dove si era tuffato il sole, il mare dove, in lontananza, si allungava un'ombra indistinta, la Francia. Sì, l'amore poteva compiere dei miracoli, e Mr Arundel - non riuscì ad abituarsi subito all'altro nome - era per Rose l'Amore; esso faceva anche miracoli all'incontrario, come lei ben sapeva, non sempre trasformava le persone in angeli e santi. Talvolta purtroppo faceva l'opposto, e nella sua vita questo si era verificato all'esasperazione. Se l'avesse lasciata in pace, se almeno fosse stato discreto e raro, avrebbe potuto, ella pensava, trasformarsi in un essere umano buono, generoso e gentile. Ma come l'aveva ridotta, invece, questo amore di cui Lotty parlava tanto? Scrap pensò a come definirsi: una zitella viziata, acida, sospettosa ed egoista. Le porte a vetri della sala da pranzo si aprirono e i tre uomini, preceduti dalla voce squillante di Mr Wilkins, uscirono in giardino. Sembrava che parlasse solo lui; gli altri due non dicevano niente. Forse avrebbe fatto meglio a tornare da Lotty e da Rose; sarebbe stato seccante essere scoperta e bloccata in quel cul de–sac da Mr Briggs. Si alzò di malavoglia perché le sembrava imperdonabile che Mr Briggs la obbligasse a spostarsi, ad allontanarsi dai luoghi in cui desiderava sedere; e quando emerse dai cespugli di dafne il risentimento che provava la faceva sentire dura e severa e sperava di apparire altrettanto dura e severa; in tal modo sarebbe sembrata ripugnante a Mr Briggs e se ne sarebbe liberata. Ma sapeva di non avere quell'aspetto, per quanto ci provasse. A cena a Briggs tremava la mano mentre beveva, e non riuscì a rivolgerle la parola senza diventare rosso per poi impallidire di nuovo, al punto che Mrs Fisher aveva cercato di incontrare lo sguardo di Scrap con l'espressione implorante di chi chiede che non venga fatto del male al proprio unico figlio. Come poteva un essere umano, pensò Scrap uscendo accigliata dal suo angolo, come poteva un uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio, comportarsi in quel modo; era sicura che fosse destinato a cose migliori, con la sua gioventù, il suo fascino e la sua intelligenza. Era intelligente. Lo aveva studiato con attenzione ogni volta che Mrs Fisher lo costringeva a girarsi verso di lei per risponderle, ed era sicura che lo fosse. Ed era anche una persona di carattere; c'era qualcosa di nobile nella forma della sua fronte, di nobile e gentile. Era perciò ancora più deplorevole che si lasciasse invaghire da un aspetto puramente esteriore, e che sprecasse le sue energie, la sua serenità, per ronzare intorno a una donna–oggetto. Se solo avesse potuto vedere in lei, dentro di lei, sarebbe guarito ed ella se ne sarebbe potuta andare a sedere sola e indisturbata in questa notte meravigliosa. Proprio al di là dei cespugli di dafne incontrò Frederick, trafelato. «Volevo proprio incontrarvi subito, - disse, - prima di andare da Rose -. E aggiunse immediatamente: Vi sono così grato che vorrei baciarvi le scarpe». «Davvero? disse Scrap sorridendo. - Allora devo andare a mettermi quelle nuove. Queste non sono abbastanza belle». Si sentì ben disposta verso Frederick. Lui almeno non l'avrebbe più tormentata. I suoi giorni di caccia, così brevi e improvvisi, erano terminati. Era un uomo simpatico e gradevole. Ora le piaceva decisamente. Senz'altro si era accorto di essersi ficcato in un bel pasticcio, e lei era grata a Lotty per averla fermata in tempo, a cena, prima che dicesse qualcosa di irreparabile. Ma adesso era uscito da qualsiasi pasticcio; sul suo volto e su quello di Rose brillava la stessa luce. «Vi adorerò per sempre», disse Frederick. Scrap sorrise. «Davvero?» disse. «Prima vi adoravo per la vostra bellezza. Ora non solo perché siete bella come un sogno ma onesta come un uomo d'onore». Scrap rise. «Pensate?», chiese divertita. «Quando quella giovane impulsiva, - continuò Frederick, quella giovane, grazie al cielo così impulsiva, tirò fuori al momento giusto che ero il marito di Rose, vi siete comportata esattamente come si sarebbe comportato un uomo d'onore con un amico». «Credete?», disse Scrap, esibendo la sua incantevole fossetta. «Essere una donna e possedere la lealtà di un uomo d'onore è una combinazione rara e preziosa», continuò Frederick. «Davvero?» Scrap sorrise un po' melanconica. Questi erano complimenti magnifici. Se solo fossero stati veri… «E… vi bacerei le scarpe!» «Non sarebbe più semplice così?», chiese lei, porgendogli la mano. Lui la prese e la baciò, ansioso di andarsene. «Siate benedetta», disse allontanandosi. «Dov'è il vostro bagaglio?» gli domandò Scrap. «Oh, Cielo, è vero… - disse Frederick fermandosi. - È alla stazione». «Manderò a ritirarlo». Scomparve tra i cespugli. Lei entrò per dare l'ordine; e fu così che per la seconda volta quella sera Domenico si ritrovò, incredulo, sulla strada per Mezzago. Dopo aver dato le disposizioni necessarie per la perfetta felicità di queste due persone, ritornò lentamente in giardino immersa nei suoi pensieri. L'amore sembrava portare felicità a tutti, tranne che a lei. Senz'altro qui, nelle sue forme molteplici, aveva conquistato tutti, tranne lei. Del povero Mr Briggs si era impossessato nel modo meno dignitoso. Povero Mr Briggs! Eppure costituiva un problema fastidioso, e lei temeva che la sua partenza il giorno successivo non l'avrebbe risolto. Quando raggiunse gli altri, Mr Arundel - continuava a dimenticare che non era Mr Arundel - si stava allontanando a braccetto con Rose, probabilmente verso un luogo più appartato nel giardino di sotto. Senz'altro avevano molte cose da dirsi; in passato molte cose non erano andate bene fra loro, ma ora all'improvviso tutto si era risolto. Merito di San Salvatore, avrebbe detto Lotty, San Salvatore che aveva il magico potere di rendere felici. Quasi credeva a questo potere. Persino lei ora era più felice di quanto non lo fosse stata per anni. L'unica persona che sarebbe andata via a mani vuote era Mr Briggs. Povero Mr Briggs. Quando Scrap arrivò vicino agli altri, le sembrò troppo giovane e carino per non essere felice. Non era giusto che il proprietario del luogo, la persona alla quale dovevano tutto questo, dovesse essere l'unico ad andarsene via infelice. Il rimorso assalì Scrap. Che giornate piacevoli aveva trascorso nella sua casa, sdraiata in giardino, rallegrata dai fiori e dal panorama, usando le sue cose, e in mezzo alle comodità si era riposata e, di fatto, si era ristabilita. Aveva trascorso un periodo di riflessione, il più rilassante e tranquillo della sua vita; e tutto grazie a lui. Oh, sapeva di avergli pagato una cifra ridicola, in confronto ai benefici che ne aveva tratto, era forse giusto? E non era unicamente grazie a lui che aveva incontrato Lotty? In nessun altro modo lei e Lotty si sarebbero mai conosciute. Il rimorso si impossessò rapidamente e profondamente di Scrap. Si sentì invasa da un moto di gratitudine e andò difilato verso Briggs. «Vi devo così tanto», disse, sopraffatta dall'improvvisa consapevolezza di quanto gli doveva, e vergognandosi dei suoi modi villani del pomeriggio e a cena, di cui naturalmete lui non si era accorto. Come al solito, la sua natura antipatica era stata celata dal suo aspetto esteriore; ma lei lo sapeva, sapeva di essere stata villana. Da anni lo era con tutti. Qualsiasi occhio attento, pensò Scrap, qualsiasi occhio veramente attento, avrebbe capito come era realmente: una zitella viziata, acida, sospettosa ed egoista. «Vi devo così tanto», disse perciò Scrap con sincerità dirigendosi verso Briggs, resa umile da questi pensieri. Lui la guardò meravigliato. «Voi mi dovete? - disse. - Ma sono io che… che…», balbettò. Vederla qui nel suo giardino… niente, nesun fiore bianco era più bianco e più armonioso. «Vi prego, - disse Scrap, con maggiore insistenza, - perché non volete rendervi conto della verità? Voi non mi dovete niente. Come potreste?» «Non vi devo niente? - le fece eco Briggs. - Ebbene, io vi devo la mia prima visione di…» «Oh, per amor del cielc.per amor del cielo, - supplicò Scrap, - vi prego, non umiliatevi. Perché dovreste umiliarvi? È ridicolo. Valete cinquanta volte quanto valgo io». «Imprudente», pensò Mr Wilkins, anch'egli lì vicino, mentre Lotty sedeva sul muretto. Era sorpreso, preoccupato, stupito che Lady Caroline incoraggiasse Briggs in quel modo. «Davvero imprudente», pensò Mr Wilkins scuotendo la testa. La condizione di Briggs era così grave che l'unica condotta da seguire era respingerlo con forza, riflette Mr Wilkins. Nessuna mezza misura sarebbe stata di alcuna utilità con Briggs, e un tono affabile e amichevole sarebbe solo stato frainteso dal giovane infelice. La figlia dei Droitwich non poteva, era impensabile, desiderare davvero incoraggiarlo. Briggs era un benestante, ma Briggs era Briggs; bastava il nome a provarlo. Forse Lady Caroline non si rendeva conto dell'effetto della sua voce e del suo volto, come facessero risuonare incoraggianti le sue parole, per quanto fossero ordinarie. Ma queste parole non lo erano; egli temeva che lei non le avesse sufficientemente soppesate. Era chiaro, chiarissimo, che aveva bisogno di qualcuno che la consigliasse, di una persona avveduta e obiettiva come lui. Eccola lì, di fronte a Briggs, e quasi gli prendeva le mani. Certo, era giusto ringraziare Briggs, perché tutti loro si godevano una vacanza deliziosa in casa sua, ma non si doveva esagerare e non lo doveva fare soltanto Lady Caroline. Proprio quella sera aveva pensato che avrebbero potuto esprimergli la loro gratitudine per iscritto tutti insieme il giorno seguente, prima che partisse, ma non doveva essere ringraziato a quel modo, al chiaro di luna, in giardino, dalla donna della quale era chiaramente invaghito. Mr Wilkins perciò, desiderando salvare Lady Caroline da questa situazione, intervenne con estremo tatto e grande cordialità, dicendo: «E molto giusto, Mr Briggs, che voi siate ringraziato. Permettete che anch'io, assieme a mia moglie, mi unisca a Lady Caroline per esprimervi la mia gratitudine. Avremmo dovuto ringraziarvi tutti a cena. Avremmo dovuto fare un brindisi a voi. Senz'altro avrebbe dovuto esserci…» Ma Briggs non gli prestò alcuna attenzione; continuò a guardare Lady Caroline come se fosse la prima donna che vedeva. Neppure Lady Caroline gli prestò attenzione, notò Mr Wilkins; anche lei continuò a guardare Briggs con quella strana aria quasi invitante. Davvero molto imprudente Lotty, invece, gli prestò persino troppa attenzione, scegliendo proprio il momento in cui Lady Caroline aveva bisogno di un aiuto particolare e di protezione, per alzarsi dal muretto, prenderlo sottobraccio e trascinarlo via. «Devo dirti una cosa Mellersh», disse Lotty alzandosi. «Un attimo», disse Mr Wilkins, allontanandola. «No… subito», disse Lotty; e lo trascinò via. Lui si allontanò con estrema riluttanza. Non bisognava dar corda a Briggs, neppure un po'. «Allora… che cosa c'è?» chiese con impazienza mentre lei lo guidava verso la casa. Non avrebbero dovuto permettere che Lady Caroline rimanesse là, che venisse infastidita. «Oh, ma non lo è, - lo rassicurò Lotty, proprio come se lui avesse parlato a voce alta. - Caroline sta benissimo». «Non è vero: quel giovane Briggs è…» «Naturalmente. Che cosa ti aspettavi? Andiamo dentro da Mrs Fisher, vicino al fuoco. E tutta sola». «Non posso lasciare Lady Caroline sola in giardino», disse Mr Wilkins, cercando di tornare indietro. «Non essere sciocco, Mellersh… non è sola. E poi, ti devo dire una cosa». «Bene dimmela, allora». «Dentro». Con una riluttanza che aumentava a ogni passo Mr Wilkins fu allontanato da Lady Caroline. Adesso credeva a sua moglie e aveva fiducia in lei, ma pensava che in questa circostanza stesse commettendo un terribile errore. Mrs Fisher era seduta nel salone accanto al fuoco, e per Mr Wilkins, che di sera preferiva stare in casa accanto al fuoco piuttosto che al chiaro di luna in giardino, sarebbe stato più gradevole rimanere lì piuttosto che fuori, se avesse potuto portare Lady Caroline in salvo con lui. E non potendo fare altrimenti, entrò con estrema riluttanza. Mrs Fisher, con le mani in grembo, contemplava il fuoco, immobile e senza far niente. La lampada era sistemata per la lettura, ma lei non leggeva. Quella notte non le pareva fosse il caso di leggere i suoi grandi amici morti. Dicevano sempre le stesse cose ora, le ripetevano all'infinito, da loro non si poteva più tirar fuori niente di nuovo. Indubbiamente erano più grandi di chiunque altro, ma avevano questo immenso svantaggio: erano morti. Da loro non ci si poteva aspettare nient'altro; mentre dai vivi, che cosa non ci si poteva aspettare! Desiderava ardentemente i vivi, coloro che crescevano, gli esseri cristallizzati e completi la annoiavano. Pensava se solo avesse avuto un figlio, un figlio come Mr Briggs, un caro ragazzo, che cresceva e si apriva alla vita, pieno di energia, affettuoso, che si prendesse cura di lei e le volesse bene… Quando Mrs Wilkins vide l'espressione del suo volto sentì un tonfo al cuore. «Povera cara», pensò, lasciava trasparire tutta la solitudine dell'età, la solitudine per aver abusato dell'ospitalità nel mondo, di sentirsi lì solo per soffrire, la completa solitudine di una donna sola, vecchia e senza figli che non era riuscita a farsi degli amici. Sembrava che bastasse essere in due per essere felici: qualsiasi coppia, non necessariamente di innamorati, ma di amici, madre e figlio, fratello e sorella. E dove si poteva trovare chi facesse il paio con Mrs Fisher? Mrs Wilkins pensò che forse avrebbe fatto meglio a baciarla di nuovo. Nel pomeriggio quando l'aveva baciata, l'aveva resa felice; lo sapeva, l'aveva capito immediatamente da come Mrs Fisher aveva reagito. Così andò verso di lei, si chinò, la baciò e disse allegramente: «Siamo venuti dentro…», il che certo era evidente! Questa volta Mrs Fisher alzò addiritura la mano e trattenne la guancia di Mrs Wlkins sulla sua, questa creatura affettuosa, impulsiva e palpitante; e mentre faceva quel gesto si sentì al sicuro con quella creatura, certa che proprio lei, poiché faceva spesso cose insolite, avrebbe considerato quel gesto normale e non l'avrebbe imbarazzata mostrandosi sorpresa. Mrs Wilkins infatti non fu sorpresa, ma deliziata. «Credo di essere l'altra metà della sua coppia, le balenò in mente. - Penso che sarò io, proprio io, a diventare amica intima di Mrs Fisher!» Quando sollevò la testa il suo volto aveva un'espressione ridente. I cambiamenti prodotti da San Salvatore erano straordinari. Lei e Mrs Fisher… vedeva che presto sarebbero state amiche. «Dove sono gli altri? - chiese Mrs Fisher. - Grazie … cara», agggiunse, mentre Mrs Wilkins le metteva lo sgabello sotto i piedi, lo sgabello era necessario perché le gambe di Mrs Fisher erano corte. «Già mi vedo negli anni a venire, - pensò Mrs Wilkins con gli occhi che brillavano, - porgere lo sgabello a Mrs Fisher…» «I Rose, - disse alzandosi, - sono andati nel giardino di sotto… per amoreggiare, credo!». «I Rose?» «I Frederick, allora, se preferisci. Sono completamente assorbiti l'uno nell'altro e inseparabili». «Perché non dici gli Arbuthnot, mia cara?» disse Mr Wilkins. «Va bene, Mellersh… gli Arbuthnot. E i Caroline…» Mr Wilkins e Mrs Fisher trasalirono: Mr Wilkins, che di solito aveva un completo controllo di se stesso, si stupì ancora di più di Mrs Fisher, e per la prima volta dal suo arrivo si arrabbiò con sua moglie. «Veramente…», incominciò, con tono indignato. «Va bene, Mellersh… I Briggs, allora». «I Briggs!» urlò Mr Wilkins, adesso davvero molto arrabbiato; perché questo implicava per lui l'insulto più oltraggioso per l'intera razza dei Dester, per i Dester deceduti come per quelli viventi, e i Dester ancora innocenti perché non ancora nati. «Veramente…» «Mi dispiace, Mellersh, - disse Mrs Wilkins, mostrando una falsa mitezza, - che tu non sia contento». «Contento! Hai perso l'uso della ragione? Prima d'ora non si sono mai degnati di uno sguardo». «E vero, ecco perché adesso possono andare avanti». «Andare avanti!» Mr Wilkins riusciva solo a ripetere quelle parole oltraggiose. «Mi dispiace, Mellersh, - disse di nuovo Mrs Wilkins, - che tu non sia contento, ma…» I suoi occhi grigi brillavano, e il volto esprimeva quella stessa lucida determinazione che aveva così tanto sorpreso Rose la prima volta che si erano incontrate. «Non serve a niente prendersela, - ella disse, - io non mi dannerei se fossi in te. Perché…» Si interruppe, e guardò il viso prima di uno poi dell'altra, entrambi seri e preoccupati, e il riso e la luce guizzarono sul suo volto. «Io li vedo, sono i Briggs», concluse Mrs Wilkins. Quell'ultima settimana a San Salvatore sbocciò il filadelfio e fiorirono le acacie. Nessuno aveva notato quante acacie ci fossero, finché un giorno il giardino fu invaso da un nuovo profumo, ed ecco i fiori di quelle piante delicate, graziosi successori del glicine, fiorire ovunque tra le loro foglie tremanti. Quella settimana si provava una felicità impagabile a starsene sdraiati sotto un'acacia a guardare attraverso i rami le sue tenere foglie e i fiori bianchi che tremolavano contro il cielo azzurro, mentre il minimo soffio d'aria faceva scendere il loro profumo. Verso la fine il giardino si vestì gradualmente di bianco e divenne sempre più profumato. C'erano i gigli, vigorosi come sempre, le bianche violacciocche, le rose e i garofani bianchi, il filadelfio, il gelsomino, e il tutto coronato dalla fragranza delle acacie. Quando, il primo di maggio, se ne andarono, anche dopo esser giunti in fondo alla collina e aver varcato il cancello di ferro verso il villaggio, sentivano ancora il profumo delle acacie. {1} Chatsworth House, residenza dei Duchi di Devonshire, situata nella contea di Derbyshire in Inghilterra {2} Moneta inglese non più in uso, quarta parte di un centesimo {3} In italiano nel testo {4} In italiano nel testo {5} In italiano nel testo {6} Allusione al famoso personaggio dell'opera di Thomas Carlyle (1795-1881), Sartor Resartus: The Life and Opinioni of Herr Teufelsdróck (1836) {7} In italiano nel testo {8} In italiano nel testo {9} In italiano nel testo {10} In italiano nel testo {11} In italiano nel testo {12} Daniele 3, 1-24
© Copyright 2024 ExpyDoc