Un incantevole aprile

Elizabeth von Arnim
Un incantevole
aprile
Bollati Boringhieri
Prima edizione settembre 1993
© 1993 Bollati Boringhieri editore s.r.l.
isbn 88-339-0791-0
Titolo originale The Enchanted April
Traduzione di Luisa Balacco
Trama
Un
discreto
annuncio
pubblicitario apparso sul «Times» è il
preludio a un mese rivelatore per
quattro donne dalla personalità assai
diversa. A picco su una baia della
Riviera, tra giardini di calle,
violacciocche e acacie, si staglia il
castello medievale di San Salvatore.
Alla ricerca disperata di sollievo dalle
preoccupazioni
quotidiane,
Mrs
Wilkins, Mrs Arbuthnot, Mrs Fisher e
Lady Caroline Dester si lasciano
allettare da quel paradiso terrestre.
Cullate dalla primavera mediterranea,
dai monti ammantati di violette e
fiori dal dolce profumo, queste donne
abbandonano a poco a poco i
formalismi di società e scoprono
un'armonia da tutte anelata e tuttavia
mai conosciuta. Pubblicato nel 1922,
e simile per vari aspetti a Il giardino
di Elizabeth, questo romanzo è
imbevuto
di
quella
capacità
descrittiva e di spensierata irriverenza
che costituiscono il tratto tipico della
scrittura di Elizabeth von Arnim.
Un incantevole aprile
Tutto ebbe inizio in un club per
signore di Londra, un pomeriggio di
febbraio - il club era modesto e il
pomeriggio deprimente -, quando
Mrs Wilkins, giunta da Hampstead
per fare acquisti, dopo aver pranzato
al club di cui faceva parte prese il
«Times» da un tavolo della sala
fumatori e, scorrendo con occhio
distratto la colonna degli annunci
personali, vide questo annuncio:
«Per gli amanti del glicine e del
sole. Piccolo castello medievale
italiano sulle coste del Mediterraneo
affittasi ammobiliato per il mese di
aprile. Servitù inclusa. C.P. 1000,
"The Times"».
Così nacque l'idea; ma, come
spesso accade, chi la concepiva, in
quel momento non ne era affatto
consapevole.
Del tutto ignara di come in quel
preciso istante si fosse per lei deciso
l'aprile di quell'anno, Mrs Wilkins
lasciò cadere il giornale con un gesto
tra l'irritato e il rassegnato e,
avvicinatasi alla finestra, si mise a
fissare con tristezza la strada bagnata.
Non per lei erano i castelli
medievali,
neppure
quelli
intenzionalmente
descritti
come
piccoli; non per lei le coste del
Mediterraneo in aprile, il glicine e il
sole. Simili delizie erano solo per i
ricchi.
Eppure
l'inserzione
si
rivolgeva alle persone che amano
queste cose, e quindi anche a lei, che
di certo le amava, e più di quanto
fosse noto, più di quanto avesse mai
detto. Ma era povera. Di suo
possedeva novanta sterline in tutto,
risparmiate anno dopo anno, messe
da parte con cura, sterlina su sterlina,
dalle spese per il vestiario. Era una
somma racimolata a fatica su
suggerimento del marito, come
protezione e rifugio per i tempi duri.
Il denaro per i vestiti, che riceveva dal
padre, ammontava a cento sterline
l'anno, gli abiti di Mrs Wilkins erano
pertanto
ciò
che
il
marito,
spingendola a risparmiare, definiva
modesti ma appropriati, e che i suoi
conoscenti, se e quando parlavano di
lei, cosa che avveniva di rado perché
passava del tutto inosservata,
chiamavano modelli esclusivi.
Mr Wilkins, un avvocato,
esortava sempre alla parsimonia,
eccetto quando si trattava del suo
cibo. Allora non la chiamava più
parsimonia, ma cattiva economia
domestica. Al contrario, esprimeva
grandi elogi per quella parsimonia
che, come le tarme, penetrava negli
abiti di Mrs Wilkins rovinandoli. «I
momenti difficili sono come i giorni
di pioggia, - diceva. - Non si sa mai
quando arrivano: potrebbe farti
comodo
avere
da
parte
un
gruzzoletto. Anzi, potrebbe far
comodo a tutti e due».
Guardando Shaftesbury Avenue
dalla finestra del club - il suo era un
club poco costoso ma comodo sia per
Hampstead, dove viveva, sia per
Schooibred, dove andava a fare spese,
- Mrs Wilkins, che per un po' era
rimasta in piedi pervasa di tristezza
pensando al Mediterraneo in aprile, al
glicine e alle invidiabili possibilità dei
ricchi, lo sguardo alla pioggia
fuligginosa e violenta che si riversava
incessante sugli ombrelli frettolosi e
sugli autobus che schizzavano
tutt'intorno,
si
domandò
all'improvviso se per caso non fosse
questo il giorno di pioggia per cui
Mellersh - Mellersh era Mr Wilkins l'aveva tanto spinta a prepararsi, e se
per caso la Provvidenza non avesse
stabilito sin dall'inizio che lei dovesse
utilizzare i suoi risparmi per evadere
da quel clima e raggiungere il piccolo
castello medievale. Solo una parte dei
suoi risparmi, naturalmente, forse
una piccolissima parte. Il castello,
essendo medievale, poteva essere
anche in rovina, e le rovine costavano
sicuramente poco. Un po' di rovine
non le sarebbero dispiaciute affatto,
perché esistendo già non si pagavano;
al contrario, erano loro a ripagarti
facendo diminuire il prezzo. Ma che
pensieri sciocchi… Si allontanò dalla
finestra con quello stesso gesto misto
di irritazione e rassegnazione con cui
aveva posato il «Times», e attraversò
la stanza dirigendosi verso la porta
decisa a prendere impermeabile e
ombrello, farsi largo in uno di quegli
autobus sovraffollati, quindi passare
da Schooibred lungo la strada di casa
e comprare delle sogliole per la cena
di Mellersh - in fatto di pesce,
Mellersh aveva gusti difficili: oltre al
salmone, gli piacevano solo le
sogliole, - quando vide Mrs
Arbuthnot,
una
signora
che
conosceva di vista perché anche lei
viveva ad Hampstead e frequentava il
club; era seduta al tavolo nel centro
della stanza sul quale si tenevano
giornali e riviste, immersa, a sua
volta, nella prima pagina del
«Times».
Mrs Wilkins fino ad allora non
aveva mai parlato con Mrs
Arbuthnot, che faceva parte di uno
dei tanti gruppi di parrocchiani e che
analizzava, classificava, divideva e
registrava i poveri; lei e Mellersh,
invece, quando uscivano andavano ai
ricevimenti dei pittori impressionisti,
che ad Hampstead Heath erano
numerosi. La sorella di Mellersh ne
aveva sposato uno ed era andata a
vivere proprio ad Hampstead e, a
causa di questa parentela, Mrs
Wilkins era stata trascinata in un
ambiente a lei del tutto estraneo e
aveva imparato a temere i quadri.
Bisognava sempre commentarli, e lei
non sapeva mai cosa dire; così di
solito mormorava: «Meraviglioso» e
tutte le volte aveva la sensazione che
non fosse abbastanza. Ma nessuno le
badava. Nessuno la ascoltava.
Nessuno
prestava
la
minima
attenzione a Mrs Wilkins, il tipo di
persona che ai ricevimenti non si
nota. I suoi abiti, infestati dalla
parsimonia,
la
rendevano
praticamente invisibile; il suo viso
non faceva colpo; era reticente alla
conversazione: era timida. E se gli
abiti, il viso e la conversazione di una
persona passano inosservati, pensava
Mrs Wilkins, chi si sarebbe accorto
dei suoi limiti? Che cosa resta, ai
ricevimenti, di una persona del
genere?
Inoltre era sempre con Wilkins,
un
uomo
di
bell'aspetto
e
perfettamente rasato, la cui sola
presenza dava lustro a una festa.
Wilkins era molto rispettabile. Era
noto per la grande stima di cui
godeva tra i colleghi più anziani.
Nell'ambiente della sorella tutti lo
ammiravano. Egli esprimeva giudizi
intelligenti quanto basta sull'arte e
sugli artisti. Era conciso e avveduto:
non diceva mai una parola di troppo
né, d'altro canto, mai una di meno.
Dava l'impressione di serbare una
copia di ogni cosa che dicesse; e
ispirava fiducia in modo così naturale
che accadeva spesso che qualcuno,
dopo averlo incontrato a uno di
questi ricevimenti, cominciasse a
essere insoddisfatto del proprio
avvocato e dopo un periodo di
irrequietezza se ne liberasse per
rivolgersi a lui.
Era ovvio che Mrs Wilkins ne
fosse offuscata. «Lei dovrebbe
restarsene a casa», diceva la sorella di
lui, con un che di perentorio,
sentenzioso e irrevocabile nei modi.
Ma Wilkins riteneva impossibile
lasciare la moglie a casa, era un
avvocato di cause familiari, e questi
hanno tutti una moglie da mostrare in
pubblico. Con la sua, andava ai
ricevimenti durante la settimana e in
chiesa la domenica. Ancora piuttosto
giovane - aveva trentanove anni - e
desideroso di farsi notare dalle
signore più anziane per ora poco
numerose tra la sua clientela, non
poteva permettersi di non andare in
chiesa, e fu proprio là che Mrs
Arbuthnot divenne familiare a Mrs
Wilkins, sebbene non si fossero mai
scambiate una parola.
La osservava mentre schierava i
bambini poveri nei banchi. Entrava in
testa alla processione dal Catechismo
domenicale cinque minuti esatti
prima del coro, disponeva i bambini e
le bambine in ordine perfetto nei posti
assegnati, li faceva mettere in
ginocchio
per
la
preghiera
preliminare e poi di nuovo in piedi,
quando le note dell'organo si
levavano alte, proprio mentre la porta
della
sagrestia
si
apriva
e
comparivano il coro e i sacerdoti, resi
maestosi dalle litanie e dai versetti
che si accingevano a recitare. Sebbene
avesse un viso triste, era molto
efficiente;
questa
combinazione
meravigliava Mrs Wilkins perché, nei
giorni in cui riusciva a trovare
soltanto la platessa, Mellersh le diceva
che con l'efficienza si elimina la
depressione, e che facendo bene il
proprio
lavoro
si
diventa
automaticamente brillanti e decisi.
Mrs Arbuthnot non aveva niente
di brillante e di deciso, benché il suo
modo di fare con i bambini del
Catechismo domenicale avesse molto
di meccanico; ma quando Mrs
Wilkins,
allontanandosi
dalla
finestra, la scorse nel club, non vi era
in lei nulla di meccanico, anzi,
guardava fisso un pezzo della prima
pagina del «Times», tenendo il
giornale immobile e senza muovere
gli occhi. Lo fissava soltanto; e il suo
volto, come sempre, pareva quello di
una Madonna paziente e delusa.
Obbedendo a un impulso di cui
si meravigliò nel momento stesso in
cui lo seguiva, Mrs Wilkins, la timida
e schiva, invece di dirigersi, come si
era proposta, al guardaroba e di qui
da Schoolbred in cerca del pesce per
Mellersh, si fermò al tavolo e si
sedette esattamente di fronte a Mrs
Arbuthnot, con cui non aveva mai
parlato in vita sua.
Era un tavolo lungo e stretto
come quelli dei refettori, sicché si
ritrovarono molto vicine l'una
all'altra.
Mrs Arbuthnot, tuttavia, non
alzò lo sguardo. Continuò a fissare
con insistenza un unico punto del
«Times», gli occhi sognanti.
Mrs Wilkins la osservò per
qualche
istante,
tentando
di
raccogliere il coraggio necessario a
rivolgerle la parola. Voleva chiederle
se avesse visto l'annuncio, non sapeva
perché, ma desiderava farlo. Che
stupida non riuscire a parlarle,
sembrava così gentile, così infelice.
Perché due persone infelici non
possono
sostenersi
a
vicenda
nell'arido mestiere della vita con una
chiacchieratina, una chiacchierata
sincera e spontanea sui loro
sentimenti, i desideri, le speranze che
ancora possiedono? E non potè fare a
meno di pensare che anche Mrs
Arbuthnot stesse leggendo quel
medesimo annuncio, teneva gli occhi
proprio su quella parte del giornale.
Stava forse immaginando anche lei
come sarebbe stato? I colori, i
profumi, la luce, il mare che lambisce
dolcemente i piccoli scogli assolati? I
colori, i profumi, la luce, il mare,
niente più Shaftesbury Avenue,
autobus bagnati, reparto del pesce da
Schoolbred, metropolitana fino ad
Hampstead e cena, e domani lo stesso
e il giorno dopo lo stesso e per sempre
lo stesso…
D'un tratto Mrs Wilkins si
ritrovò protesa sul tavolo. «State per
caso leggendo del castello medievale e
del glicine?», sentì la propria voce
formulare questa domanda.
Va da sé che Mrs Arbuthnot
rimase sorpresa; non più sorpresa
però di quanto non lo fosse Mrs
Wilkins di se stessa.
Mrs Arbuthnot non aveva ancora
posato gli occhi sulla figura scialba,
esile e trasandata seduta di fronte a
lei, quel viso piccolo e lentigginoso e i
grandi occhi grigi che quasi
scomparivano sotto un cappello da
pioggia sgualcito; la guardò per un
attimo senza rispondere. Stava
proprio
leggendo
del
castello
medievale e del glicine, o piuttosto,
ne aveva letto dieci minuti prima e da
allora si era perduta nei sogni: la luce,
i colori, i profumi, il mare che
lambisce dolcemente i piccoli scogli
assolati…
«Perché me lo chiedete?» disse
con quel suo tono serio, poiché
l'esperienza a contatto dei poveri
l'aveva resa seria e paziente.
Mrs Wilkins arrossì e apparve
eccessivamente timida e impaurita.
«Oh, solo perché l'ho visto anch'io, e
ho pensato che forse… be', ho
pensato che magari…», balbettò.
Al che Mrs Arbuthnot, avvezza a
catalogare e a suddividere le persone,
mentre fissava pensierosa Mrs
Wilkins valutò, come sua abitudine,
in che sezione sarebbe stato
opportuno inserirla nel caso avesse
dovuto classificarla.
«Io vi conosco di vista, continuò Mrs Wilkins che, come tutti
i timidi, una volta cominciato si
gettava a capofitto, spinta a parlare
sempre di più dalla paura del suono
delle sue ultime parole che le
ronzavano nelle orecchie. - Sapete, vi
vedo tutte le domeniche… vi vedo in
chiesa tutte le domeniche…»
«In chiesa?» fece eco Mrs
Arbuthnot.
«E sembra così incantevole…
quell'annuncio sul glicine… e…»
Mrs Wilkins, che doveva avere
almeno trent'anni, si interruppe,
agitandosi sulla sedia con i
movimenti di una scolaretta goffa e
imbarazzata.
«Sembra così incantevole, riprese di botto, - e… oggi il tempo è
così triste…»
Poi si sedette guardando Mrs
Arbuthnot con l'espressione di un
cane bastonato.
«Questa poveretta, - pensò Mrs
Arbuthnot, che passava la vita ad
aiutare e a consolare, - ha bisogno di
un consiglio».
Perciò si apprestò con pazienza a
darglielo.
«Immagino che viviate anche voi
ad Hampstead, - disse, gentile e
premurosa, - se mi vedete in chiesa».
«Sì, certo», disse Mrs Wilkins. E
lo ripetè, inclinando un poco la testa
sul collo lungo e sottile, quasi che il
richiamo ad Hampstead gliela
piegasse. «Certo».
«Dove?» chiese Mrs Arbuthnot
che, quando serviva un consiglio,
iniziava istintivamente con l'ordinare
i fatti.
Ma Mrs Wilkins, che aveva
posato la mano con dolcezza e
accarezzava la parte del «Times» su
cui era l'annuncio, come se le
semplici parole stampate fossero
preziose, disse soltanto: «Ecco forse
perché … questo mi sembra così
incantevole».
«No… Penso che lo sia
comunque», disse Mrs Arbuthnot,
con un debole sospiro, dimentica dei
fatti.
«Allora lo stavate proprio
leggendo».
«Sì», disse Mrs Arbuthnot, lo
sguardo di nuovo perso nel sogno.
«Non
sarebbe
incantevole?»
mormorò Mrs Wilkins.
«Incantevole»,
disse
Mrs
Arbuthnot, e il suo volto, che si era
acceso, scolorì di nuovo nella
pazienza. «Davvero incantevole, disse. - Ma non serve a niente perdere
tempo pensando a queste cose».
«Oh, invece sì che serve», fu la
risposta pronta e sorprendente di Mrs
Wilkins; sorprendente perché così
diversa da lei: dalla giacca e dalla
gonna ordinarie,
dal cappello
spiegazzato, dalla ciocca incerta di
capelli che ne fuoriusciva disordinata.
«E anche solo pensarci può servire a
qualcosa… un tale cambiamento da
Hampstead… a volte penso… penso
proprio che… che basti essere
convinti per ottenere le cose».
Mrs Arbuthnot la osservò con
pazienza. In che categoria, avesse
dovuto farlo, l'avrebbe collocata?
«Forse è il caso, - disse,
piegandosi un poco in avanti, - che
mi diciate come vi chiamate. Se
dobbiamo diventare amiche, - fece il
suo solito sorriso serio, - come spero
diventeremo, faremmo bene a
cominciare dall'inizio».
«Oh certo… molto gentile da
parte vostra. Io mi chiamo Mrs
Wilkins, - disse Mrs Wilkins, - non
credo, - aggiunse arrossendo, mentre
Mrs Arbuthnot taceva, - che il mio
nome vi dica qualcosa. A volte… a
volte non dice niente neanche a me.
Comunque…
- si guardò attorno come in cerca
di aiuto, - io mi chiamo Mrs
Wilkins».
Non amava il suo nome, troppo
corto e insignificante, con una sorta
di piega ridicola verso la fine,
pensava, simile alla curva in su della
coda di un carlino. Ma era quello,
non c'era niente da fare. Wilkins era e
Wilkins sarebbe rimasta; e sebbene il
marito l'avesse esortata a presentarsi
sempre come Mrs Mellersh Wilkins,
lei lo faceva solo quando lui la poteva
sentire, perché pensava che Mellersh
peggiorasse Wilkins enfatizzandolo,
come la parola Chatsworth{1} sui
pilastri del cancello enfatizza la villa.
La prima volta che le suggerì di
aggiungere Mellersh, lei gli fece
questa obiezione ed egli, facendo una
pausa - Mellersh era così prudente,
che non parlava se non dopo una
pausa, durante la quale forse
preparava nella sua mente la copia
precisa di ciò che avrebbe detto -, egli
disse, con tono dispiaciuto: «Ma io
non sono una villa», e la guardò come
uno che, forse per l'ennesima volta,
spera di non aver sposato una
stupida.
Certo che non era una villa, lo
rassicurò Mrs Wilkins; non aveva
mai creduto che lo fosse, non le era
passato per la testa di voler dire
quello… stava solo pensando che…
Più lei spiegava, più ardente
diventava la speranza di Mellersh, in
lui ormai consueta essendo suo
marito da due anni, di non avere, per
caso, sposato un'idiota; ed ebbero
una lite interminabile - se così si può
definire una lite in cui una parte
rimane in decoroso silenzio e l'altra si
scusa con insistenza -, sul fatto che
fosse vero o meno che Mrs Wilkins
avesse voluto insinuare che Mr
Wilkins fosse una villa.
«Sono certa, - aveva pensato
quando finalmente terminò la lite, e ci
volle del tempo, - che chiunque
litigherebbe per qualsiasi cosa quando
si tratta di persone che per due anni
non sono state lontane l'una dall'altra
neppure per un giorno. E tutti e due
abbiamo bisogno di una vacanza».
«Mio marito, - continuò Mrs
Wilkins quasi a voler mettere se stessa
in una luce migliore, - è un avvocato.
Lui…», si guardò intorno cercando
qualcosa che meglio qualificasse
Mellersh, e trovò: «E molto bello».
«Be', - disse Mrs Arbuthnot con
gentilezza, - dev'essere un gran
piacere per voi».
«Perché?» chiese Mrs Wilkins.
«Be', - disse Mrs Arbuthnot presa
alla sprovvista, abituata com'era, dai
continui rapporti con i poveri, a non
essere mai contraddetta, - perché la
bellezza… la bellezza di un uomo… è
un dono come un altro, e se lo si usa
come si deve…»
Scivolò nel silenzio. I grandi
occhi grigi di Mrs Wilkins erano fissi
su di lei, e a Mrs Arbuthnot d'un
tratto venne il sospetto che forse, per
via di quel pubblico che in genere
aveva davanti - persone costrette ad
acconsentire, e timorose, anche nel
caso
avessero
desiderato,
di
interromperla, che non sapevano di
essere, ma di fatto erano, alla sua
mercé -, si stava irrigidendo nella
consuetudine a spiegare, e spiegare
come fanno le bambinaie.
Ma Mrs Wilkins non la stava
ascoltando; proprio allora, per quanto
assurdo
potesse
sembrare,
un'immagine le era balenata in mente,
e in essa due figure stavano sedute
insieme sotto un grande glicine
rampicante che si stendeva tra i rami
di un albero a lei sconosciuto, ed
erano lei e Mrs Arbuthnot: le vedeva,
le vedeva coi suoi occhi. E alle loro
spalle, splendenti alla luce del sole,
erano antiche mura grigie - il castello
medievale -, lo vedeva, loro due erano
là…
Fissava quindi Mrs Arbuthnot
senza udire una sola parola di quel
che diceva. E anche Mrs Arbuthnot
fissava Mrs Wilkins, trattenuta
dall'espressione del suo viso, che era
dominato dall'euforia di quella
visione e luminoso e mutevole come
l'acqua alla luce del sole quando viene
increspata da un refolo di vento. In
quel momento se Mrs Wilkins si fosse
trovata a un ricevimento, l'avrebbero
guardata di certo con interesse.
Si fissarono: Mrs Arbuthnot
sorpresa e con sguardo indagatore,
Mrs Wilkins con gli occhi di chi ha
avuto una rivelazione. Ecco, così
bisognava fare. Lei sola, lei senza
nessuno, non poteva permetterselo. E
non sarebbe riuscita, avesse anche
potuto, ad andarci per conto suo; ma
lei e Mrs Arbuthnot insieme…
Si piegò in avanti. «Perché non
proviamo a prenderlo noi?» sussurrò.
Mrs Arbuthnot sgranò ancora di
più gli occhi. «Prenderlo noi?» ripetè.
«Sì», disse Mrs Wilkins, quasi
temesse ancora di farsi sentire. «E
inutile stare qui a dire "incantevole" e
poi tornare a casa ad Hampstead
senza aver mosso neanche un dito,
tornare a casa come al solito e
pensare alla cena e al pesce, come
facciamo da anni e continueremo per
chissà quanti ancora. Ecco tutto»,
disse Mrs Wilkins, arrossendo fino
alla radice dei capelli, per lo spavento
del suono di ciò che diceva, di ciò che
iniziava a venir fuori, senza che
riuscisse a fermarlo. «Non vedo una
fine a tutto questo. Non c'è una fine.
Ecco perché dovrebbe esserci una
pausa,
dovrebbero
esserci
interruzioni, nell'interesse di tutti.
Infatti! Non sarebbe un atto di
egoismo andarsene ed essere felici per
un po', perché poi, al ritorno,
saremmo molto più gentili. Capite,
dopo un po' tutti hanno bisogno di
una vacanza».
«Ma… cosa intendete per
prenderlo
noi?»
chiese
Mrs
Arbuthnot.
«Appropriarcene», disse Mrs
Wilkins.
«Appropriarcene?»
«Affittarlo. Disporne. Andarci».
«Ma… intendete voi e io?»
«Sì, noi due. Insieme, così
costerebbe soltanto la metà, e poi
voi… sembra proprio che voi ci
teniate almeno quanto ci tengo io…
sembra che abbiate bisogno di
riposare… bisogno che vi succeda
qualcosa di bello».
«Ma come, noi neppure ci
conosciamo».
«Pensate a come diventeremmo
amiche se andassimo via insieme per
un mese! Ho risparmiato nell'attesa di
un giorno di pioggia, e credo che
anche voi l'abbiate fatto, questo è il
giorno di pioggia, guardate fuori…»
«È una squilibrata», pensò Mrs
Arbuthnot;
tuttavia
si
sentì
stranamente eccitata.
«Provate a pensare: andarsene
via per un mese intero… via da
tutto… in paradiso…»
«Cose del genere non le dovrebbe
dire, - pensò Mrs Arbuthnot. - Il
vicario…»
eppure
si
sentì
stranamente eccitata. Sarebbe stato
davvero magnifico concedersi un po'
di riposo, una pausa.
E tuttavia l'abitudine prese di
nuovo il sopravvento, e anni di
rapporti con i poveri le fecero dire,
con la superiorità leggera e
nondimeno cordiale di chi spiega:
«Ma vedete, il paradiso non è altrove.
È qui, e adesso. Così ci insegnano».
Si fece molto seria, come
accadeva
quando
cercava
pazientemente di aiutare e di
illuminare i poveri. «Il cielo è dentro
di noi, - disse con la sua voce bassa e
delicata, - ce lo insegna l'autorità più
sacra. Voi conoscete i versetti sulle
affinità, vero?…»
«Oh, certo che li conosco!»,
interruppe
Mrs
Wilkins
con
impazienza.
«Le affinità tra il paradiso e la
nostra dimora, - continuò Mrs
Arbuthnot, abituata a concludere le
frasi. - Il paradiso è nella nostra
dimora».
«Non è vero», disse Mrs Wilkins,
ancora una volta inaspettatamente.
Mrs Arbuthnot fu presa alla
sprovvista. Poi disse con calma: «Oh,
invece sì. E lì se noi lo vogliamo, se ci
sforziamo».
«Io lo voglio e mi sforzo, ma non
c'è», disse Mrs Wilkins.
Quindi Mrs Arbuthnot restò in
silenzio, perché anche lei a volte
aveva dei dubbi in proposito. Rimase
seduta guardando Mrs Wilkins con
disagio,
sempre
più
assillata
dall'esigenza di classificarla. Se solo
fosse riuscita a classificare Mrs
Wilkins, a metterla al sicuro nella
giusta sezione, sentiva che avrebbe
riacquistato il proprio equilibrio, che,
inaspettatamente, pareva scivolare
tutto da un lato. Erano anni infatti
che anche lei non si concedeva una
vacanza, e appena aveva visto
l'annuncio aveva incominciato a
sognare; l'euforia di Mrs Wilkins era
contagiosa, e lei aveva la sensazione,
ascoltando
il
suo
discorso
appassionato
e
bizzarro
e
guardandole il viso illuminato, di
venire scossa dal torpore.
Chiaramente Mrs Wilkins era
squilibrata, ma Mrs Arbuthnot ne
aveva già incontrati tanti - in verità ne
incontrava di continuo, - eppure non
avevano influenzato minimamente il
suo equilibrio; invece in questo caso
si sentiva vacillare, proprio come se
essere distante, lontano dai suoi punti
cardinali: Dio, Marito, Casa e Dovere
- aveva l'impressione che Mrs Wilkins
non intendesse far venire Mr Wilkins
- e per una volta nella vita essere
felice, fosse giusto e desiderabile. Il
che sicuramente non era, sicuramente
non poteva esserlo. Anche lei aveva
un gruzzoletto, depositato lentamente
alla posta, ma era davvero assurdo
pensare che avrebbe dimenticato il
proprio dovere al punto da prelevare
quei soldi e spenderli per se stessa.
Davvero non lo avrebbe fatto, non
avrebbe mai potuto fare una cosa del
genere? Davvero non avrebbe
dimenticato, non avrebbe mai potuto
dimenticare i suoi poveri, e con questi
anche le miserie e le malattie? Senza
dubbio un viaggio in Italia sarebbe
stato straordinariamente piacevole,
ma esistevano molte cose piacevoli
che tutti avrebbero voluto fare, e a che
scopo ci veniva data la forza se non
per aiutarci a non farle?
Saldi come i punti cardinali
erano per Mrs Arbuthnot le quattro
grandi realtà della vita: Dio, Marito,
Casa e Dovere. Anni addietro, dopo
un periodo particolarmente infelice,
aveva trovato ristoro in queste realtà,
la testa appoggiata su di loro come su
di un cuscino; ed era vissuta nel
terrore di venire risvegliata da una
simile condizione di sicurezza e
tranquillità. Eccola dunque cercare
assiduamente una sezione in cui
collocare Mrs Wilkins e così
illuminare e rafforzare la propria
mente; e sedendo là a guardarla,
turbata dopo l'ultimo commento di
lei, sentendosi sempre più squilibrata
e insicura, decise pro tem, come
diceva il vicario agli incontri, di
collocarla nella sezione «Nervosi».
Forse poteva andare direttamente
nella categoria «Isterici», spesso
anticamera di quella dei «Pazzi», ma
Mrs Arbuthnot aveva imparato a non
mettere subito le persone nelle
categorie estreme, avendo scoperto
con sgomento in più di un'occasione
di aver sbagliato e ricordandosi di
quanto fosse stato difficile porre dei
rimedi, e di quali terribili rimorsi
l'avessero dilaniata.
Sì. Nervosi. Di certo non faceva
niente per gli altri, pensò Mrs
Arbuthnot; nessuna azione che la
distogliesse
da
se
stessa.
Evidentemente le mancava una
guida, era trascinata dagli accessi,
dagli impulsi. Rientrava, era quasi
sicura, nella categoria dei Nervosi, o
vi sarebbe finita presto se nessuno
l'avesse aiutata. Poverina, pensò Mrs
Arbuthnot riacquistando l'equilibrio
di pari passo con la compassione e
senza riuscire a vedere, a causa del
tavolo, la lunghezza delle gambe di
Mrs Wilkins. Ne scorgeva soltanto il
volto minuto, impaziente e timido, le
spalle magre, e lo sguardo dal
desiderio infantile di qualcosa che era
certa l'avrebbe resa felice. No, queste
cose non rendevano felice una
persona, erano così passeggere. Nella
sua lunga vita con Frederick - era suo
marito, lo aveva sposato a vent'anni e
ora ne aveva trentatré - Mrs
Arbuthnot aveva imparato dove si
può trovare la vera gioia. Adesso lo
sapeva: la si trova solo vivendo ogni
giorno, ogni istante, per gli altri; la si
trova solo ai piedi di Dio. Non vi si
era forse recata mille volte, nei
momenti di delusione e di sconforto,
per poi venirne via consolata?
Frederick era uno di quei mariti
la cui moglie non può che rivolgersi
presto ai piedi di Dio. Tra lui e
quest'ultimo il cammino era stato
breve,
seppure
doloroso.
Ripensandoci ora le sembrava breve,
ma in realtà l'aveva impegnata per
tutto il primo anno di matrimonio:
ogni passo era stato una battaglia ed
era macchiato, le pareva allora, del
sangue che aveva dovuto versare.
Acqua passata ormai: da un pezzo
aveva trovato la pace, e Frederick, lo
sposo
un
tempo
amato
appassionatamente, il giovane e
adorato marito, adesso veniva dopo
Dio nel suo elenco di doveri e di
sopportazioni. Eccolo là: secondo per
importanza, un essere esangue ridotto
allo stremo a causa delle preghiere di
lei. Per anni era riuscita a essere felice
solo dimenticando la felicità, e voleva
continuare. Voleva tenere lontano
tutto quel che le avrebbe ricordato la
bellezza, che l'avrebbe di nuovo
indotta a desiderare, ad anelare…
«Vorrei tanto che fossimo
amiche, - disse con convinzione.
- Perché non venite a trovarmi
qualche volta, o forse preferite che sia
io a venire da voi? Quando sentite il
bisogno di parlare con qualcuno. Vi
lascio il mio indirizzo, - cercò nella
borsetta, - così non ve lo
dimenticate». Trovò un biglietto da
visita e lo tirò fuori.
Mrs Wilkins ignorò il biglietto da
visita.
«E strano, - disse Mrs Wilkins,
come se non l'avesse sentita, - eppure
vedo proprio noi due, voi e io, ad
aprile nel castello medievale».
Mrs
Arbuthnot
ripiombò
nell'inquietudine. «Davvero?» disse,
facendo uno sforzo per rimanere
calma davanti a quello sguardo
allucinato di quegli occhi grigi e
brillanti. «Davvero?»
«Non vi capita mai di vedere le
cose come in un lampo prima che
accadano?» chiese Mrs Wilkins.
«No, mai», disse Mrs Arbuthnot.
Tentò di sorridere, in quel modo
comprensivo e insieme saggio e
tollerante con cui era abituata ad
ascoltare le visioni inevitabilmente
distorte e frammentarie dei poveri.
Ma non ci riuscì, il sorriso si smorzò
con un fremito.
«Certo, - disse sottovoce, quasi
temesse che il vicario e la banca la
stessero ascoltando, - sarebbe davvero
stupendo… davvero stupendo…»
«Anche se fosse sbagliato, - disse
Mrs Wilkins, - si tratterebbe poi solo
di un mese».
«Ma questo…» iniziò Mrs
Arbuthnot, alludendo chiaramente a
quanto fosse riprovevole un simile
ragionamento; ma Mrs Wilkins la
fermò prima che potesse continuare.
«Comunque, - disse Mrs Wilkins,
interrompendola, - sono sicura che
sia sbagliato essere buoni per troppo
tempo, fino alla disperazione. E vedo
che voi lo siete stata per anni e anni,
perché sembrate così infelice, - Mrs
Arbuthnot aprì bocca per protestare…
- e io… io non ho avuto altro che
doveri, non ho fatto che cose per gli
altri, sin da quando ero ragazza, e
credo che nessuno mi ami neanche un
po'… forse un pochino… al
massimo… e vorrei tanto… oh, vorrei
tanto…
qualcos'altro…
sì,
qualcos'altro…»
Avrebbe pianto? Mrs Arbuthnot,
profondamente a disagio e commossa
sperò che non si mettesse a piangere.
Non lì, non in quella sala ostile, in
presenza di estranei che entravano e
uscivano.
Allora Mrs Wilkins, dopo essersi
affannata per prendere dalla tasca un
fazzoletto che non voleva uscire,
riuscì infine a far finta di soffiarsi solo
il naso, poi, sbattendo velocemente
gli occhi alcune volte, guardò
tremante Mrs Arbuthnot con un'aria
dimessa e spaventata, quasi volesse
scusarsi, e sorrise.
«Credetemi, - sussurrò, cercando
di
controllare
le
labbra,
ed
evidentemente vergognandosi molto
di se stessa, - mai in vita mia ho
parlato così con qualcuno. Non riesco
a capire, davvero non so, cosa mi sia
accaduto».
«E per l'annuncio», disse Mrs
Arbuthnot, facendo un cenno serio
col capo.
«Sì, - disse Mrs Wilkins,
asciugandosi furtivamente gli occhi, ed è che noi siamo così… - si soffiò
ancora un poco il naso, - così
infelici».
Mrs Arbuthnot non era infelice come avrebbe potuto esserlo, si
chiese, quando Dio si prendeva cura
di lei? - ma per il momento accettò
quell'osservazione senza ribattere,
convinta che vi fosse un'altra creatura
ad avere urgente bisogno del suo
aiuto; e questa volta non doveva
soltanto provvedere a stivali, coperte
e a una sistemazione più igienica, ma
a un aiuto più delicato: doveva
comprendere e trovare le parole
adatte.
E queste parole, se ne accorse
subito dopo aver provato ad
accennare alla vita per gli altri, alle
preghiere e alla pace che si può
trovare mettendosi senza riserve nelle
mani di Dio - argomenti ai quali Mrs
Wilkins replicò trovando altri esempi,
incoerenti e tuttavia difficili da
contestare, almeno per il momento,
senza altro tempo a disposizione -, le
parole adatte consistettero nel
suggerimento che non si faceva niente
di male rispondendo all'annuncio.
Senza
impegno,
solo
per
informazioni. E ciò che inquietò
maggiormente Mrs Arbuthnot in
questo suggerimento fu che non lo
propose solo per consolare Mrs
Wilkins, ma per lo strano desiderio
che lei stessa aveva del castello
medievale.
Era davvero inquietante. Lei,
abituata a dirigere, a guidare, a
consigliare e a sostenere, - tutti tranne
Frederick, da molto tempo aveva
imparato a lasciare Frederick nelle
mani di Dio, - si ritrovava lì guidata a
sua volta, influenzata e messa in
ginocchio da un semplice annuncio,
da
un'incoerente
sconosciuta.
Davvero inquietante. Non riuscì a
comprendere che, dopo tutto, sentiva
improvvisamente solo il bisogno di
soddisfare un suo desiderio, giacché
per anni nessun sentimento simile le
era penetrato nel cuore.
«Non c'è niente di male a
chiedere», disse sottovoce, come se il
vicario, la banca e tutti i poveri che la
attendevano e dipendevano da lei la
stessero ascoltando e condannando.
«Non
sarebbe
affatto
un
impegno», disse Mrs Wilkins, anche
lei molto piano, ma la sua voce ebbe
un tremito.
Si alzarono insieme - Mrs
Arbuthnot rimase sorpresa per
l'altezza di Mrs Wilkins - e si
avvicinarono a uno scrittoio, Mrs
Arbuthnot scrisse a C.P. 1000, «The
Times», per i particolari. Chiese ogni
minimo dettaglio, ma il solo che
davvero interessava loro era quello
riguardante
l'affitto.
Pensarono
entrambe che dovesse essere Mrs
Arbuthnot a scrivere la lettera e a
occuparsi dell'aspetto economico.
Non solo aveva senso pratico ed era
abituata a organizzare, ma era anche
più anziana e sicuramente più calma;
e lei stessa non dubitava di essere la
più saggia; né Mrs Wilkins nutriva
dubbi in proposito: già il modo in cui
Mrs Arbuthnot si faceva la
scriminatura suggeriva una grande
calma che poteva derivare soltanto
dalla saggezza.
Ma se Mrs Arbuthnot era più
saggia, più anziana e più calma,
nondimeno la sua nuova amica le
sembrava più infervorata. Incoerente,
tuttavia
infervorata.
Pareva
possedere, a parte il grande bisogno
di aiuto, un carattere agitato,
curiosamente contagioso; poteva
trascinare chiunque. Ed era davvero
sconcertante il modo in cui la sua
mente
instabile
giungeva
alle
conclusioni,
sempre
sbagliate,
naturalmente, bastava vedere come
era arrivata a dimostrare che lei, Mrs
Arbuthnot, fosse infelice.
Comunque ella fosse e qualunque
fosse la sua instabilità, Mrs Arbuthnot
si ritrovò, tuttavia, a partecipare al
suo entusiasmo e al suo desiderio; e
quando la lettera, una volta imbucata
nella cassetta dell'atrio, non fu più
recuperabile, sia lei sia Mrs Wilkins
provarono lo stesso senso di colpa.
«Questo non fa che dimostrare, sussurrò Mrs Wilkins mentre si
allontanavano dalla cassetta delle
lettere, - che siamo state buone e
immacolate tutta la vita. La prima
volta
che
facciamo
qualcosa
all'insaputa dei nostri mariti ci
sentiamo subito in colpa».
«Temo di non poter dire di essere
stata buona e immacolata», protestò
piano Mrs Arbuthnot, un po' a
disagio per questo chiaro esempio di
come la sua amica giungesse
direttamente alle conclusioni, giacché
lei non aveva detto una sola parola
sul fatto che si sentiva in colpa.
«Oh, sono sicura invece che lo
siete stata - lo vedo che siete stata
buona - ed è per questo che non siete
felice».
«Non dovrebbe dire cose simili, pensò Mrs Arbuthnot. - Devo aiutarla
affinchè non lo faccia più».
Disse a voce alta e con serietà:
«Non capisco per quale motivo
insistiate a sostenere che non sono
felice, quando mi conoscerete meglio
vi renderete conto che lo sono; e
credo
non intendiate davvero
affermare che la bontà, se fosse
concesso di raggiungerla, rende
infelici».
«Certo che intendo quello, - disse
Mrs Wilkins, - perlomeno il nostro
genere di bontà. Noi l'abbiamo
raggiunta, e siamo infelici. Esiste un
genere di bontà infelice e uno felice: al
castello medievale, per esempio, ci
toccherà quello felice».
«Ammesso che ci andremo»,
disse Mrs Arbuthnot, come a
smorzare il suo entusiasmo; sentiva
che Mrs Wilkins aveva bisogno di
essere tenuta a freno. «Dopo tutto,
abbiamo
scritto
solo
per
informazioni; chiunque lo può fare, e
penso
che
probabilmente
le
condizioni
saranno
per
noi
impossibili e, anche se non lo fossero,
magari domani non avremo neanche
più voglia di andarci».
«Vedo già noi due, là», fu la
risposta di Mrs Wilkins.
Tutto ciò fu sconvolgente. Mrs
Arbuthnot, sollevando spruzzi dalle
strade bagnate mentre si recava a un
incontro, dove avrebbe dovuto tenere
un discorso, era in uno stato d'animo
insolitamente inquieto. Sperava di
essersi mostrata molto calma davanti
a Mrs Wilkins, molto assennata, con
molto senso pratico, e di aver celato
la propria eccitazione. Ma in realtà
era scossa, si sentiva felice, in colpa e
impaurita,
provava
tutte
le
sensazioni, sebbene non lo sapesse, di
una donna che fa ritorno da un
incontro segreto con l'amante. Così
effettivamente
apparve
quando
giunse, in ritardo, sul palco; quella
sua espressione aperta sembrò quasi
furtiva quando posò gli occhi sui volti
fissi e inespressivi in attesa di
ascoltarla
mentre
tentava
di
persuaderli a fare offerte per le
necessità dei poveri di Hampstead,
convinti di essere loro stessi ad aver
bisogno di aiuto. Sembrava che
nascondesse qualcosa di vergognoso,
e tuttavia di piacevole, era svanita la
sua espressione usuale e aperta di
candore, e al suo posto c'era una
specie di gioia repressa e spaurita,
nella quale un pubblico più attento
alle
cose
terrene
avrebbe
immediatamente letto un recente e
con molta probabilità appassionato
incontro d'amore.
Bellezza, bellezza, bellezza…
queste parole continuavano a ronzarle
nelle orecchie mentre, in piedi sul
palco, raccontava cose tristi al
pubblico sparuto. Non era mai stata
in Italia. Era davvero quello il modo
di spendere il suo gruzzoletto?
Sebbene non potesse approvare la
maniera in cui Mrs Wilkins
introduceva
l'idea
della
predestinazione nel suo immediato
futuro, come se non avesse possibilità
di scelta, come se lottare, o anche
solo riflettere, fosse inutile, tuttavia ne
era influenzata. Gli occhi di Mrs
Wilkins erano sembrati quelli di una
veggente;
persone
del
genere
esistevano, Mrs Arbuthnot lo sapeva,
e se Mrs Wilkins l'aveva davvero vista
al castello medievale, allora forse
lottare sarebbe stata una perdita di
tempo. Eppure, spendere il suo
gruzzolo
per
soddisfare
un
desiderio… L'origine di questi
risparmi era immorale, ma lei aveva
pensato che almeno la loro fine
dovesse essere lodevole. Li avrebbe
davvero sviati dal fine prestabilito, la
sola cosa che ai suoi occhi poteva
giustificare il fatto stesso di
risparmiare, li avrebbe spesi per il
proprio piacere?
Mrs Arbuthnot andò avanti a
parlare, talmente esperta in quel
genere di discorsi che avrebbe potuto
pronunciarli nel sonno, e alla fine
dell'incontro, gli occhi abbagliati dalle
sue segrete visioni, si accorse a mala
pena che nessuno fu mosso a nulla,
tanto meno alle offerte.
Ma il vicario se ne accorse, e ne
fu deluso. Di solito la sua buona
amica, la sua sostenitrice Mrs
Arbuthnot sapeva fare di meglio; e,
cosa ancora più insolita, sembrava
che neanche le importasse, notò.
«Non riesco a capire, - le disse in
tono risentito mentre si lasciavano,
perché era irritato sia da lei che dal
pubblico, - per quale motivo queste
persone continuino a venire. Sembra
che niente riesca a smuoverle».
«Forse hanno bisogno di una
vacanza», suggerì Mrs Arbuthnot.
«Che risposta singolare, e poco
convincente», pensò il vicario.
«In febbraio?» replicò lui con
sarcasmo.
«Oh, no… non fino ad aprile»,
disse Mrs Arbuthnot voltandosi.
«Molto strano, - pensò il vicario.
- Molto strano davvero». E tornò a
casa e forse non si comportò da buon
cristiano con la moglie.
Quella notte nelle sue preghiere
Mrs Arbuthnot domandò una guida.
Sapeva che avrebbe dovuto chiedere,
in modo diretto ed esplicito, che il
castello medievale fosse già stato
preso da qualcun'altro, e così si
sarebbe sistemata l'intera faccenda,
ma le mancò il coraggio. E se le sue
preghiere fossero state esaudite? No,
non poteva chiedere una cosa simile;
non poteva correre questo rischio.
Dopo tutto - pareva quasi volesse
rammentarlo a Dio - se avesse speso il
suo attuale gruzzolo in una vacanza,
ne avrebbe potuto accumulare subito
un altro. Frederick le avrebbe passato
i soldi; e sarebbe soltanto accaduto
che, mentre racimolava un secondo
gruzzoletto, per un certo periodo le
sue offerte alla parrocchia sarebbero
diminuite. Quindi poteva essere il
prossimo gruzzolo quello la cui
corruzione originaria sarebbe stata
purgata dall'uso al quale veniva
destinato.
Mrs Arbuthnot infatti, non
possedendo denaro proprio, era
costretta a vivere dei proventi
dell'attività di Frederick, e i suoi
risparmi non erano che il frutto,
maturato a posteriori, di un antico
peccato. Il modo in cui Frederick si
guadagnava da vivere era per lei una
pena costante. Egli scriveva con
regolarità, ogni anno, biografie
estremamente popolari delle amanti
dei re. Nella storia c'erano stati
numerosi re che avevano avuto delle
amanti, e ancora più numerose erano
state le amanti che avevano avuto dei
re. Gli era dunque riuscito di
pubblicare un libro di memorie ogni
anno della sua vita coniugale, e
nonostante ciò c'era ancora una lunga
lista di signore che aspettavano di
essere prese in considerazione. Mrs
Arbuthnot non aveva scampo, che le
piacesse o no, era costretta a vivere di
quei proventi. Una volta, dopo il
successo delle memorie della Du
Barri, lui le regalò un divano orribile,
con cuscini gonfi e sedili soffici e
avvolgenti, e lei trovò assai triste che
proprio lì in casa sua, dovesse far
mostra di sé questa reincarnazione di
una vecchia peccatrice francese ormai
scomparsa.
Ingenuamente convinta che la
moralità stesse alla base della felicità,
era per lei un motivo segreto di
disperazione dover trarre, assieme a
Frederick, il proprio sostentamento
dal peccato, per quanto purgato dal
passare dei secoli. Tanto più le
protagoniste delle memorie erano
state lascive, tanto più i libri su di
loro venivano letti ed egli diventava
generoso con sua moglie, la quale
spendeva il denaro che riceveva da lui
- tranne una piccolissima parte
destinata al gruzzolo, poiché nutriva
la speranza che un giorno la gente
avrebbe smesso di leggere storie
immorali, e allora Frederick avrebbe
dovuto farsi mantenere - lo spendeva
interamente per aiutare i poveri.
La parrocchia prosperava grazie
al comportamento indecoroso, per
citare a caso, delle signore Du Barri,
Montespan, Pompadour, Ninon de
l'Enclos
e
persino
dell'erudita
Maintenon. I poveri erano il filtro
attraverso il quale doveva passare il
denaro per uscirne, sperava Mrs
Arbuthnot, purificato. Lei non
avrebbe potuto fare altro. Vi erano
stati giorni in cui aveva provato a
riflettere sulla situazione, per scoprire
la strada giusta da intraprendere, ma
le era sembrata troppo ardua, e
l'aveva lasciata, Frederick compreso,
a Dio. Niente di questo denaro fu
speso per la casa o per i vestiti: questi
rimasero, ad eccezione del divano
grande e soffice, disadorni e semplici.
Erano i poveri a trarne profitto, e i
loro stivali erano irrobustiti dal
peccato. Ma com'era stato difficile!
Implorando
una
guida,
Mrs
Arbuthnot
si
consumò
nella
preghiera. Doveva forse rifiutarsi di
toccare il denaro, evitarlo come
avrebbe fatto con i peccati dai quali
proveniva? E gli stivali della
parrocchia, allora? Chiese al vicario
cosa ne pensasse e questi, in modo
delicato, cauto ed evasivo, le fece
capire di essere favorevole agli stivali.
Quando Frederick intraprese la sua
tremenda e fortunata carriera - la
iniziò dopo il matrimonio: quando lo
sposò, lui era un irreprensibile
impiegato addetto alla biblioteca del
British Museum - lei riuscì almeno a
convincerlo a pubblicare le memorie
con uno pseudonimo, così da non
essere marchiata pubblicamente. Ad
Hampstead i suoi libri venivano letti
con piacere, e nessuno poteva
sospettare che l'autore vivesse tra di
loro.
Qui
nessuno
conosceva
Frederick, neanche di vista. Non
partecipava affatto alla vita della
comunità; i suoi momenti di svago,
quali che fossero, li trascorreva a
Londra, e non parlava mai di ciò che
aveva fatto o di chi aveva visto; a
giudicare dai cenni che faceva con
sua moglie pareva non avesse un solo
amico. Solo il vicario conosceva la
provenienza del denaro per la
parrocchia e, come diceva a Mrs
Arbuthnot, riteneva che fosse una
questione
d'onore
non
farne
menzione.
La sua casa, almeno, non era
infestata dagli spettri di quelle signore
dissolute, perché Frederick lavorava
altrove: possedeva due stanze nei
pressi del British Museum, il luogo
delle sue esumazioni; vi si recava
ogni mattina e quando tornava sua
moglie dormiva già da molto. A volte
non tornava affatto, a volte lei non lo
vedeva per giorni interi. Poi
compariva
all'improvviso
a
colazione, dopo essere rientrato
durante la notte col suo mazzo di
chiavi, di ottimo umore, cordiale e
generoso, e felice se lei accettava i
suoi regali: un uomo ben nutrito e in
pace col mondo, gioviale, esuberante
e soddisfatto. E lei era sempre gentile,
e preoccupata che il caffè fosse come
piaceva a lui.
Lui sembrava molto felice. Per
quanto la si volesse classificare,
pensava spesso Mrs Arbuthnot, la
vita continuava a rimanere un
mistero; vi erano sempre persone
impossibili da collocare, e Frederick
era una di queste. Pareva non avesse
niente in comune con il Frederick di
una volta, pareva non sentisse il
minimo bisogno di ciò che un tempo
riteneva bello e importante: l'amore,
la casa, la comunione assoluta dei
pensieri e la completa immersione
negli interessi reciproci. Dopo quei
dolorosi
tentativi
iniziali
di
trattenerlo nel punto in cui, mano
nella mano, si erano messi in
cammino in modo così meraviglioso,
- tentativi dai quali lei era uscita
profondamente ferita e lui, il
Frederick che credeva d'aver sposato,
così
dilaniato
da
essere
irriconoscibile, - finì per farne
l'oggetto principale delle sue preghiere
ai piedi del letto e, eccetto che per
queste, lo abbandonò interamente a
Dio. Aveva amato Frederick così
intensamente che ora non poteva fare
altro che pregare per lui. Lui non
sapeva di non essere mai uscito di
casa senza che la benedizione di lei lo
accompagnasse, sospesa intorno a
quella testa un tempo cara come una
piccola eco di amore passato. Lei non
osava pensare a com'era un tempo, a
come le era sembrato in quel primo
periodo meraviglioso del loro
corteggiamento, del loro matrimonio.
Il suo bambino era morto e lei non
aveva niente, non aveva nessuno a
cui dedicarsi. I poveri divennero i
suoi bambini, e Dio l'oggetto del suo
amore. Che cosa poteva esserci di più
felice di una simile vita, si
domandava a volte. Ma il suo viso, e
soprattutto i suoi occhi, rimanevano
tristi.
«Forse quando saremo vecchi…
forse quando saremo tutti e due molto
vecchi…» pensava con malinconia.
Il proprietario del castello
medievale era un inglese, un certo Mr
Briggs, che in quel periodo si trovava
a Londra; scrisse che c'erano posti
letto per otto persone, servitù esclusa,
tre salotti, merli, torri e luce elettrica.
L'affitto era sessanta sterline al mese,
salari della servitù a parte, ed egli
pretendeva delle referenze, voleva
garanzie che la seconda metà
dell'affitto sarebbe stata pagata,
mentre la prima doveva essere versata
in anticipo; richiedeva inoltre le
referenze di un avvocato, di un
medico o di un sacerdote. Nella
lettera fu molto cortese: spiegò che le
referenze erano una pratica abituale e
dovevano essere considerate una
semplice formalità.
Mrs Arbuthnot e Mrs Wilkins
non avevano mai pensato alle
referenze, né si erano immaginate che
un affitto potesse essere così elevato.
Le cifre che gli giravano in testa erano
nell'ordine delle tre ghinee la
settimana, o anche meno, dato che il
posto era vecchio e piccolo.
Sessanta sterline per un solo
mese.
Erano sconcertate.
Davanti agli occhi di Mrs
Arbuthnot si levarono gli stivali: una
fila interminabile di robusti stivali che
si potevano comprare con sessanta
sterline; e oltre all'affitto c'era la
servitù, il cibo e il viaggio di andata e
ritorno in treno. Quanto alle
referenze, queste sembravano davvero
un intoppo: pareva impossibile
procurarsene senza dare al loro
progetto più pubblicità del voluto.
Avevano pensato entrambe persino Mrs Arbuthnot, allettata ad
abbandonare per una volta la sua
sincerità assoluta, essendosi resa
conto che spiegazioni imprecise le
avrebbero
evitato
innumerevoli
problemi e critiche - avevano pensato
che sarebbe stata una buona idea
annunciare alla cerchia dei loro
rispettivi conoscenti, per fortuna
diversi, che ognuna sarebbe andata da
un'amica, che possedeva una casa in
Italia. Dopo tutto si trattava della
verità, affermò Mrs Wilkins, ma Mrs
Arbuthnot pensò che le cose non
stessero esattamente così; e poi era
l'unico modo per tenere un po'
tranquillo Mellersh, disse Mrs
Wilkins, il quale si sarebbe indignato
venendo a sapere che lei spendeva
anche solo una parte del proprio
denaro per recarsi in Italia. Mrs
Wilkins preferiva non pensare a cosa
avrebbe detto se avesse saputo che
invece affittava a proprie spese parte
di un castello medievale. Ci sarebbero
voluti parecchi giorni per spiegargli
ogni cosa, e questo sebbene il denaro
fosse interamente suo e non un solo
centesimo gli fosse mai appartenuto.
«Credo che sia così anche vostro
marito, - disse. - Alla fin fine i mariti
sono tutti uguali».
Mrs Arbuthnot non disse nulla
perché il motivo per cui non voleva
che Frederick sapesse era esattamente
opposto: Frederick sarebbe stato
felice della sua partenza, non gli
sarebbe affatto dispiaciuta, anzi,
avrebbe accolto il manifestarsi in lei
del desiderio di soddisfare i propri
desideri e di mondanità con un
entusiasmo che la feriva, e l'avrebbe
esortata a divertirsi e a non avere
fretta di tornare con un distacco
insopportabile.
Molto
meglio
Mellersh, pensò, che sentiva la
mancanza della moglie, piuttosto che
Frederick che la incitava a partire.
Mancare a qualcuno, qualcuno che
senta bisogno di te per un motivo
qualsiasi, era meglio, pensava, della
solitudine assoluta, di non mancare a
nessuno, nessuno che senta bisogno
di te.
Perciò non disse nulla, e lasciò
che
Mrs
Wilkins
giungesse
indisturbata alle conclusioni. Ma per
un giorno intero sentirono, sentirono
entrambe, che l'unica cosa da fare era
rinunciare al castello medievale; e fu
soltanto prendendo questa amara
decisione
che
si
accorsero
dell'intensità del loro desiderio.
Allora Mrs Arbuthnot, la cui
mente era avvezza a trovare vie
d'uscita per ogni difficoltà, ne trovò
una al problema delle referenze;
contemporaneamente Mrs Wilkins
ebbe una visione che le rivelò come
ridurre le spese per l'affitto.
Il piano di Mrs Arbuthnot era
semplice e di sicura riuscita. Portò lei
stessa al proprietario l'intera somma
dell'affitto, prelevandola dalla banca dove si comportò di nuovo in modo
furtivo e apologetico, come se
l'impiegato sapesse che il denaro le
serviva per soddisfare i propri
desideri
e
dirigendosi
personalmente, con le sei banconote
da dieci sterline nella borsetta,
all'indirizzo vicino a Brompton
Oratory dove viveva il proprietario,
gli consegnò il denaro, rinunciando al
diritto di pagare soltanto la prima
metà. Quando lui la vide, con quei
suoi capelli con la scriminatura, gli
occhi dolci e scuri e l'abbigliamento
sobrio, e sentì la sua voce seria, le
disse di non preoccuparsi per le
referenze.
«Andrà tutto bene, - disse,
scarabocchiando una ricevuta per
l'affitto. - Sedetevi, prego. Brutta
giornata, vero? Vedrete che al vecchio
castello c'è molto sole, quello di
sicuro non mancherà. Viene anche
vostro marito?»
Mrs Arbuthnot, poco abituata a
non essere sincera, sembrò turbata da
questa domanda e iniziò a balbettare
in modo sconnesso, al che il
proprietario concluse subito che fosse
vedova - sicuramente di guerra,
perché le altre erano più anziane - e
che era stato uno stupido a non
immaginarlo.
«Oh, mi dispiace, - disse,
arrossendo fino alla punta dei suoi
capelli biondi. - Non intendevo…
ehm, ehm, ehm…»
Andò con gli occhi alla ricevuta
che aveva scritto. «Sì, penso che vada
bene»,
disse,
alzandosi
e
porgendogliela. «Adesso, - aggiunse
prendendo le sei banconote che lei gli
tendeva e sorridendole, perché era
piacevole guardare Mrs Arbuthnot io sono più ricco e voi più felice, io
ho il denaro e voi San Salvatore.
Chissà cos'è meglio».
«Penso che voi lo sappiate», disse
Mrs Arbuthnot con il suo sorriso
dolce.
Rise e le aprì la porta. Era un
peccato che il colloquio fosse
terminato. Avrebbe voluto invitarla a
pranzo. Gli ricordava sua madre, la
sua bambinaia, tutto ciò che era dolce
e confortante, e per di più possedeva
il fascino di non essere né sua madre
né la sua bambinaia.
«Spero che vi piaccia quel
vecchio posto», disse sulla porta,
trattenendole per un attimo la mano.
La sensazione della sua mano, anche
attraverso il guanto, era rassicurante;
era il genere di mano, pensò, che i
bambini vorrebbero stringere al buio.
«In aprile, sapete, è tutto un fiore, e
poi c'è il mare. Dovreste vestirvi di
bianco, stareste bene. Laggiù ci sono
parecchi vostri ritratti».
«Ritratti?»
«Sì, Madonne. Ce n'è una sulle
scale, identica a voi».
Mrs Arbuthnot sorrise, lo salutò e
lo ringraziò. L'aveva collocato
immediatamente e senza alcuna
fatica nella sua giusta categoria: era
un artista, e di temperamento vivace.
Gli strinse la mano e se ne andò,
e lui avrebbe voluto che fosse rimasta.
Dopo che se ne fu andata lui pensò
che avrebbe dovuto chiederle le
referenze, per evitare che lei potesse
considerarlo poco professionale, ma
con questa signora seria e dolce
sarebbe stato come pretendere
referenze da un santo con l'aureola.
Rose Arbuthnot.
La lettera con cui richiedeva un
appuntamento era sul tavolo.
Un bel nome.
Quell'ostacolo
era
dunque
superato. Ma rimaneva l'altro:
l'effetto devastante di questa spesa sui
loro risparmi, soprattutto su quelli di
Mrs Wilkins che, nei confronti di
quelli di Mrs Arbuthnot, erano per
dimensioni come un uovo di
pavoncella rispetto a uno di anatra;
ma riuscirono a superare anche
questo impedimento grazie a una
visione accordata a Mrs Wilkins, che
rivelò la strada da seguire. Ora che
disponevano di San Salvatore - questo
nome così bello e religioso le
affascinava entrambe - avrebbero
messo a loro volta un'inserzione negli
annunci personali del «Times» per
trovare altre due signore che avessero
desideri simili e che si unissero a loro
per dividere le spese.
D'un colpo il consumo dei
risparmi si sarebbe ridotto da metà a
un quarto. Mrs Wilkins era pronta a
gettarsi a capofitto nell'avventura con
tutto il suo gruzzolo, ma si rese conto
che se avesse dovuto spendere anche
solo sei centesimi di più delle novanta
sterline che possedeva, la sua
situazione sarebbe diventata tragica.
Dover andare da Mellersh a dire: «Ho
un debito!»; guai se un giorno le
circostanze l'avessero costretta ad
ammettere: «Non ho più risparmi»,
ma se non altro in tal caso l'avrebbe
confortata la certezza che quei
risparmi
le
appartenevano
interamente. Pertanto, benché fosse
pronta a gettarsi nell'avventura
spendendo fino all'ultimo centesimo
del suo denaro, non avrebbe fatto
altrettanto con un solo farthing{2} che
non fosse innegabilmente suo, e
sapeva che se la sua quota di affitto si
fosse ridotta a sole quindici sterline, le
sarebbe rimasto un margine sicuro
per le altre spese. Senza contare che
avrebbero
potuto
fare
grosse
economie sul cibo: raccogliere e
mangiare le olive dei loro alberi, per
esempio, e magari andare a pesca.
Certo, come notarono entrambe,
aumentando
il
numero
delle
partecipanti avrebbero ridotto l'affitto
a una somma trascurabile; volendo,
avrebbero potuto chiamare altre sei
signore invece di due, dato che
c'erano otto letti. Ma se gli otto letti
fossero stati disposti a coppie in
quattro camere? Passare la notte con
un estraneo non era affatto quel che
desideravano. Pensarono inoltre che
non ci sarebbe stata molta tranquillità
se fossero state così numerose. In fin
dei conti, andavano a San Salvatore
in cerca di pace, di riposo e di felicità,
e sei signore in più, soprattutto
dovendo dividere la camera da letto,
avrebbero rovinato tutto.
A ogni modo, sembrava che in
quel momento ci fossero in Inghilterra
solo due signore desiderose di unirsi a
loro, perché ricevettero soltanto due
risposte all'annuncio.
«Bene, ce ne bastano due», disse
Mrs Wilkins, riprendendosi subito,
perché si era immaginata una pioggia
di richieste.
«Secondo me sarebbe stato
meglio avere più scelta», disse Mrs
Arbuthnot.
«Intendete dire che in tal caso
non avremmo dovuto accettare Lady
Caroline Dester?»
«Non ho detto questo», protestò
con garbo Mrs Arbuthnot.
«Dopotutto,
possiamo
non
accettarla, - disse Mrs Wilkins. - Una
sola persona in più sarà già di grande
aiuto per l'affitto. Non siamo
obbligate a prenderne due».
«Ma perché non prenderla?
Sembra che faccia al caso nostro».
«Sì… così sembra, a giudicare
dalla lettera», disse Mrs Wilkins
dubbiosa.
Si sentiva fortemente intimidita
nei confronti di Lady Caroline; Mrs
Wilkins non si era mai imbattuta in
nessun membro dell'aristocrazia, per
quanto
ciò
possa
sembrare
incredibile, data la loro presenza
ovunque.
Ebbero un colloquio con Lady
Caroline, e poi con l'altra candidata,
una certa Mrs Fisher.
Lady Caroline si presentò al club
in Shaftesbury Avenue, e sembrò in
preda a un unico grande desiderio, il
desiderio di allontanarsi da tutti quelli
che conosceva. Quando vide il club,
Mrs Arbuthnot e Mrs Wilkins, fu
certa che si trattava esattamente di
quel che cercava. Sarebbe andata in
Italia, luogo che adorava, e non in
albergo, luogo che detestava; non si
sarebbe trovata in compagnia di
amici, tutte persone che non le
piacevano, ma di estranei che non
avrebbero mai nominato una sola
persona a lei nota, per la semplice
ragione che non ne avevano mai
incontrate, né avrebbero potuto o
voluto. Pose alcune domande a
proposito della quarta signora, e fu
soddisfatta delle risposte: Mrs Fisher,
di Prince of Wales Terrace, una
vedova. Anche lei non conosceva
sicuramente nessuno dei suoi amici.
Lady Caroline non sapeva neppure
dove si trovasse Prince of Wales
Terrace.
«E a Londra», disse Mrs
Arbuthnot.
«Davvero?» disse Lady Caroline.
Tutto sembrava andare per il
meglio.
Mrs Fisher non potè venire al
club perché, spiegava nella lettera,
non riusciva a camminare senza
bastone;
furono
quindi
Mrs
Arbuthnot e Mrs Wilkins a recarsi da
lei.
«Ma se non può venire fino al
circolo, come potrà andare in Italia?»
si domandò stupita Mrs Wilkins, a
voce alta.
«Lo sapremo da lei», disse Mrs
Arbuthnot.
Da Mrs Fisher seppero soltanto,
in risposta alle loro domande molto
discrete, che stare seduti in treno non
era come camminare, cosa che già
sapevano. Comunque, a parte il
bastone, sembrò la quarta persona
ideale: tranquilla, educata e anziana.
Era molto più vecchia sia di loro sia
di Lady Caroline - Lady Caroline
aveva precisato di avere ventotto anni
- ma non così vecchia da non
possedere più una mente sveglia. Era
una persona assai rispettabile,
indossava ancora un completo nero,
nonostante il marito fosse morto, così
aveva detto, undici anni prima. La
sua casa era piena di fotografie con
l'autografo di illustri personaggi
vittoriani ormai scomparsi, che disse
di aver conosciuto da piccola. Il
padre era stato un critico eminente, e
in casa sua aveva visto praticamente
chiunque si fosse fatto un nome nelle
arti e nelle lettere. Carlyle l'aveva
guardata torvo; Matthew Arnold
l'aveva tenuta sulle ginocchia;
Tennyson l'aveva presa in giro a gran
voce per la lunghezza della sua
treccia. Si animò nel mostrare loro le
fotografie, appese a tutte le pareti,
indicando gli autografi col bastone, e
non disse nulla del marito, né si
informò dei mariti delle sue ospiti; il
che fu un gran sollievo. In verità,
sembrò pensare che anche loro
fossero vedove, perché quando chiese
chi fosse la quarta signora, e le
risposero che si trattava di una certa
Lady Caroline Dester, domandò:
«Anche lei vedova?» E quando seppe
che non lo era, giacché non si era
ancora sposata, osservò con distratta
affabilità: «Ogni cosa al momento
giusto».
Eppure
la
maggiore
preoccupazione di Mrs Fisher - che
appariva interessarsi per lo più agli
illustri
personaggi
che
aveva
conosciuto e alle loro fotografie
commemorative occupando gran
parte del colloquio col ricordo di
aneddoti su Carlyle, Meredith,
Matlliew Arnold, Tennyson e molti
altri
la
sua
maggiore
preoccupazione era di realizzare il
suo unico desiderio: chiedeva
soltanto, disse, di potersene rimanere
seduta tranquilla al sole a ricordare. E
ciò era anche quel che Mrs Arbuthnot
e Mrs Wilkins pretendevano dalle
loro compagne. La loro compagna
ideale, infatti, sarebbe rimasta seduta
tranquilla al sole a ricordare e si
sarebbe alzata soltanto il sabato sera,
per pagare la sua quota di spese. Mrs
Fisher era anche, come spiegò,
appassionata di fiori e una volta,
durante un fine settimana con suo
padre a Box Hill…
«Chi abitava a Box Hill?» la
interruppe Mrs Wilkins, rapita dai
ricordi di Mrs Fisher e sensibilmente
eccitata per aver incontrato una
persona che aveva avuto rapporti
intimi con personaggi di vera e
indubbia grandezza, che li aveva
proprio visti, sentiti parlare, toccati.
Mrs Fisher la guardò un po'
sorpresa da sopra gli occhiali. Mrs
Wilkins, impaziente di carpire al più
presto l'essenza dei ricordi di Mrs
Fisher e temendo che Mrs Arbuthnot
la portasse via da un momento
all'altro impedendole di sentire il
resto, aveva già interrotto parecchie
volte con domande che a Mrs Fisher
erano sembrate sciocche.
«Meredith, ovviamente», disse
Mrs Fisher tagliando corto. «Ricordo
in particolare un fine settimana, continuò. - Mio padre mi portava
spesso con sé, ma mi viene sempre in
mente questo fine settimana…»
«Avete
conosciuto
Keats?»
interruppe con impazienza Mrs
Wilkins.
Mrs Fisher, dopo una pausa,
disse con sarcastica reticenza che non
aveva conosciuto né Keats né
Shakespeare.
«Ma certo… che sciocca! - gridò
Mrs Wilkins, diventando paonazza. È perché… - s'impappinò, - perché
questi immortali in un certo senso
sembrano ancora vivi, vero?… quasi
fossero qui e dovessero entrare nella
stanza da un momento all'altro… e ci
si dimentica che sono morti. In effetti
sappiamo benissimo che non sono
morti… tutt'altro che morti, come noi
due in questo momento», disse
rassicurando Mrs Fisher, che la
osservava da sopra il bordo degli
occhiali.
«L'altro giorno mi è sembrato di
vedere Keats», continuò Mrs Wilkins
in modo sconnesso, mossa dallo
sguardo di Mrs Fisher da sopra gli
occhiali. «Ad Hampstead… che
attraversava la strada di fronte alla
casa… sapete… la casa in cui
viveva…»
Mrs
Arbuthnot
disse
che
dovevano andare.
Mrs Fisher non fece nulla per
fermarle.
«Mi è sembrato davvero di
vederlo», protestò Mrs Wilkins,
rivolgendosi prima a una poi all'altra
perché la credessero, mentre ondate
di colori le passavano sul viso, e del
tutto incapace di fermarsi a causa
degli occhiali di Mrs Fisher e di quel
suo sguardo che la fissava al di sopra
di essi. «Credo proprio di averlo
visto… era vestito con un…»
Adesso la guardava anche Mrs
Arbuthnot, e molto gentilmente disse
che sarebbero arrivate in ritardo per il
pranzo.
Fu allora che Mrs Fisher
domandò delle referenze. Non aveva
alcuna voglia di ritrovarsi per quattro
settimane con una persona che aveva
le visioni. È vero che a San Salvatore
c'erano tre salotti, oltre al giardino e
ai merli, sicché sarebbe stato possibile
sfuggire a Mrs Wilkins; ma sarebbe
stato spiacevole per Mrs Fisher se,
per esempio, Mrs Wilkins avesse
affermato all'improvviso di aver visto
Mr Fisher: egli era morto, ed era
meglio lasciare che rimanesse tale;
non aveva affatto voglia di sentirsi
dire che passeggiava per il giardino.
L'unica referenza che richiedeva, dato
che era troppo vecchia e con una
posizione così solida in questo
mondo per preoccuparsi della
moralità
delle sue compagne,
riguardava la salute di Mrs Wilkins.
Era una persona sana? Una donna
solitamente normale e assennata? Mrs
Fisher sapeva che le sarebbe bastato
l'indirizzo per scoprire ciò che le
interessava. Chiese pertanto le
referenze, e le sue ospiti parvero colte
così alla sprovvista, - Mrs Wilkins,
invero, si calmò all'istante - che
aggiunse: «E la prassi».
Mrs Wilkins fu la prima a
riprendersi. «Ma, - disse, - non
dovremmo essere noi a chiedervele?»
E anche Mrs Arbuthnot pensò
che fosse quella la prassi da seguire:
erano loro ad accettare Mrs Fisher nel
gruppo e non di certo Mrs Fisher ad
accettare loro.
Per tutta risposta Mrs Fisher,
appoggiandosi al bastone, si avvicinò
allo scrittoio, scrisse con mano ferma
tre nomi e li porse a Mrs Wilkins; i
nomi erano così importanti, o
meglio, così altisonanti, addirittura
maestosi, che fu sufficiente leggerli: il
Presidente della Royak Academy,
l'Arcivescovo di Canterbury e il
Governatore
della
Banca
d'Inghilterra; chi avrebbe osato
interrompere i pensieri di simili
personalità per chiedere se una loro
amica era davvero quel che avrebbe
dovuto essere?
«Mi conoscono da quando ero
piccola», disse Mrs Fisher; pareva che
tutti conoscessero Mrs Fisher da
quando era piccola.
«A mio parere le referenze non
sono per nulla una cosa piacevole
tra… tra donne normali e dignitose»,
sbottò Mrs Wilkins, prendendo
coraggio dal fatto di trovarsi, come
sentiva, con le spalle al muro; ben
sapeva che la sola referenza che
avrebbe potuto dare senza finire nei
guai era Schoolbred, e vi riponeva
poca fiducia, dato che si sarebbe
fondata unicamente sul pesce di
Mellersh. «Noi non siamo uomini
d'affari, non abbiamo motivo di
diffidare le une delle altre…»
Allora Mrs Arbuthnot, con una
dignità non priva tuttavia di
dolcezza, disse: «Temo che le
referenze introducano nella nostra
vacanza un'atmosfera che non
corrisponde precisamente a quella che
ci aspettiamo, e penso che non
potremo accettare le vostre, né
fornirvi le nostre. Pertanto suppongo
che non vorrete unirvi a noi».
E allungò la mano per salutare.
Mrs Fisher, fissando Mrs
Arbuthnot, che ispirava fiducia e
simpatia anche agli impiegati della
metropolitana, sentì a questo punto
che sarebbe stato stupido lasciarsi
scappare l'opportunità di andare in
Italia, date le circostanze eccezionali
che si presentavano, e che insieme
con questa donna dall'espressione
pacata sarebbe riuscita sicuramente a
tenere l'altra a freno quando le fosse
preso uno di quei suoi accessi.
Pertanto, stringendo la mano che le
porgeva Mrs Arbuthnot, disse:
«D'accordo, rinuncio alle referenze».
E così fece.
Camminando verso la stazione
in Kensington High Street, le due
donne non poterono fare a meno di
pensare che un simile modo di
comportarsi fosse altezzoso. Persino
Mrs Arbuthnot, sempre prodiga nel
perdonare gli altrui errori, pensò che
Mrs Fisher avrebbe potuto usare altre
parole; e quando Mrs Wilkins giunse
alla stazione, sentendosi ribollire il
sangue per la camminata e per la
battaglia con gli ombrelli degli altri
passanti sulla banchina affollata,
suggerì addirittura di rinunciare a
Mrs Fisher.
«Se c'è da rinunciare a qualcosa,
dobbiamo essere noi a decidere cosa»,
disse con impazienza.
Ma Mrs Arbuthnot, come al
solito, non badò a Mrs Wilkins, la
quale subito dopo, in treno, si calmò
e proclamò che a San Salvatore Mrs
Fisher si sarebbe addolcita. «La vedo
già laggiù, che si addolcisce», disse,
con gli occhi che brillavano.
Al che Mrs Arbuthnot, che
sedeva con le mani giunte e immobili,
meditò a lungo su come avrebbe
potuto aiutare Mrs Wilkins a non
avere più tante visioni; o perlomeno,
se proprio non poteva farne a meno,
ad averle in silenzio.
Mrs Arbuthnot e Mrs Wilkins
avevano stabilito di viaggiare insieme
e di arrivare a San Salvatore la sera
del 31 marzo; il proprietario, che
aveva spiegato loro come arrivarci,
capì la loro riluttanza a iniziare il
soggiorno il primo aprile. Lady
Caroline e Mrs Fisher invece, che non
si conoscevano ancora e quindi non
erano obbligate a sopportarsi a
vicenda durante il viaggio, avrebbero scoperto chi erano davvero
soltanto verso la fine, dopo essersi
passate al setaccio reciprocamente dovevano arrivare la mattina del
1°aprile. In tal modo tutto sarebbe
stato preparato per bene per le altre
due che, sebbene pagassero come
loro, sembravano rimanere nella
posizione di ospiti.
Verso la fine di marzo si
verificarono
alcuni
episodi
sgradevoli, quando Mrs Wilkins, col
cuore in gola e un'espressione confusa
di colpa, terrore e risolutezza sul
volto, comunicò al marito che era
stata invitata in Italia, e lui si rifiutò
di crederle. Non poteva crederle:
prima d'allora mai nessuno aveva
invitato sua moglie in Italia. Non vi
erano precedenti, e lui esigeva delle
prove. L'unica prova era Mrs
Arbuthnot, e così Mrs Wilkins
gliel'aveva presentata, ma dopo
quante suppliche, dopo quanta
appassionata
insistenza!
Mrs
Arbuthnot,
infatti,
non aveva
immaginato di dover affrontare Mr
Wilkins per dargli a intendere cose
non vere, e tornò a casa con la
certezza di quel che fino ad allora
aveva solo sospettato: si stava
allontanando sempre più da Dio.
Tutto il mese di marzo, a dire il
vero, fu colmo di momenti spiacevoli
e angosciosi, fu un mese agitato. La
coscienza di Mrs Arbuthnot, resa
sensibile da anni trascorsi a
confortare gli altri, non poteva
conciliare quanto stava facendo col
suo forte senso di giustizia. E non le
dava pace, la tormentava durante le
preghiere, si intrometteva nelle
suppliche per una guida divina con
domande sconcertanti: «Non sei forse
un'ipocrita? Desideri davvero ciò che
chiedi? Sii sincera, non rimarresti
delusa se la tua preghiera venisse
esaudita?»
Anche il brutto tempo e la
pioggia continua presero le parti della
sua coscienza, causando tra i poveri
più malanni del solito. Avevano la
bronchite e la febbre: non c'era fine
alle loro sofferenze. E in una
situazione
simile
lei
partiva,
spendeva il suo prezioso denaro per
andarsene, solo e unicamente per la
sua felicità. Una donna, un'unica
donna felice, e di fronte a lei questa
pietosa moltitudine…
Non riusciva più a guardare in
faccia il vicario. Lui non sapeva,
nessuno sapeva ciò che stava per fare,
e lei sin dall'inizio non riuscì più a
sostenere lo sguardo di nessuno.
Decise di interrompere le conferenze
con le quali chiedeva denaro. Come
poteva presentarsi alla gente a
chiedere denaro quando lei stessa ne
spendeva così tanto per il suo solo
piacere? Né le venne in aiuto o la
tranquillizzò il fatto che avendo detto
a Frederick che avrebbe accettato con
gratitudine del denaro da lui, ansiosa
com'era di recuperare ciò che stava
sperperando, lui le avesse dato
prontamente un assegno da cento
sterline senza fare domande. Arrossì,
e Frederick la osservò per un attimo e
poi distolse lo sguardo. Era un
sollievo per lui poterle dare del
denaro. Lo donò subito tutto
all'organizzazione della quale faceva
parte, e si ritrovò ancor più divorata
dai dubbi.
Mrs Wilkins, al contrario, di
dubbi
non
ne
aveva.
Era
assolutamente certa che una vacanza
fosse la cosa più opportuna, e che
fosse altrettanto giusto, oltre che
piacevole, spendere per la propria
felicità i risparmi racimolati a fatica.
«Pensate a come saremo gentili
quando torneremo», disse a Mrs
Arbuthnot, incoraggiando quella
pallida signora.
No, Mrs Wilkins non aveva
dubbi, solo timori, e marzo fu anche
per lei un mese d'angoscia, con
l'ignaro Mr Wilkins che ogni giorno
tornava a cena e mangiava il suo
pesce nel silenzio di una presunta
sicurezza.
A volte le cose accadono così a
sproposito! È davvero sorprendente
come accadano a sproposito! Mrs
Wilkins, che per tutto il mese badò di
prepare a Mellersh soltanto il cibo che
preferiva,
acquistandolo
e
dedicandosi alla sua preparazione
con zelo straordinario, raggiunse
ottimi risultati che soddisfecero
Mellersh; lo soddisfecero così
appieno che egli iniziò a pensare che
dopo tutto aveva sposato la moglie
giusta e non, come aveva sempre
sospettato, quella sbagliata. Accadde
allora che la terza domenica di quel
mese, che ne aveva cinque, - Mrs
Wilkins
aveva
deciso
con
trepidazione di
comunicare a
Mellersh il suo invito la quarta
domenica, mentre lei e Mrs
Arbuthnot sarebbero partite la quinta
- la terza domenica quindi, dopo un
pranzo riuscito particolarmente bene,
durante il quale lo Yorkshire pudding
gli si era sciolto in bocca e la crostata
di albicocche era così squisita che
l'aveva mangiata tutta, Mellersh
disse, fumando il sigaro accanto al
fuoco che scoppiettava vivace mentre
scrosci di grandine battevano alle
finestre: «Sto pensando di portarti in
Italia per Pasqua». E si fermò,
aspettandosi che lei andasse in estasi
per lo stupore e la gratitudine.
Ma ciò non accadde. Nella
stanza, se non per la grandine che
picchiava contro le finestre e per
l'allegro crepitare del fuoco, cadde un
silenzio assoluto. Mrs Wilkins non
riuscì
ad
aprire
bocca,
era
ammutolita. Aveva pensato di
comunicargli la notizia la domenica
seguente e non si era neanche ancora
preparata le parole con cui
comunicargliela.
Mr Wilkins, che non andava
all'estero da prima della guerra e ora,
con crescente disgusto, al susseguirsi
delle settimane di pioggia e di vento,
notava la particolare persistenza del
brutto tempo, aveva lentamente
concepito il desiderio di andar via
dall'Inghilterra per Pasqua. Gli affari
andavano molto bene e poteva
permettersi un viaggio. La Svizzera
ad aprile non era indicata e l'idea di
una Pasqua in Italia aveva qualcosa
di familiare. Sarebbe andato in Italia,
e poichè ci sarebbero state delle
chiacchiere se non avesse portato la
moglie con sé, doveva portarsela
dietro; e poi in fin dei conti gli
sarebbe tornata utile: in un paese di
cui non si parla la lingua, una
seconda persona è sempre utile per
tenere d'occhio le cose, per aspettare
accanto ai bagagli.
Si era aspettato un'esplosione di
eccitazione
e
gratitudine;
era
incredibile che non accadesse. Di
certo non ha sentito, concluse;
probabilmente era assorta in uno di
quei suoi sciocchi sogni a occhi
aperti. Era deplorevole che fosse
rimasta così infantile!
Si voltò a guardarla, le loro sedie
erano di fronte al fuoco, e lei stava
fissando le fiamme, senza dubbio era
questo il motivo per cui il suo volto
era così arrossato.
«Sto pensando, - ripetè, alzando
il tono della sua voce chiara e ben
impostata e parlando con asprezza,
perché in un momento simile non
ammetteva disattenzioni, - di portarti
in Italia per Pasqua. Mi hai sentito o
no?»
Sì, lo aveva sentito, e si era
meravigliata per la straordinaria
coincidenza, - davvero straordinaria stava proprio per dirgli che… che era
stata invitata… un'amica l'aveva
invitata… proprio per Pasqua…
Pasqua era ad aprile, no?… la sua
amica… la sua amica aveva una casa
laggiù.
In effetti Mrs Wilkins, spinta dal
terrore, dalla colpa e dalla sorpresa,
risultò più incoerente del solito, se ciò
era possibile.
Fu un pomeriggio terribile.
Mellersh, profondamente indignato,
avendo visto il suo progetto ritorcersi
contro di lui come una maledizione,
la interrogò con la massima severità.
Pretese che declinasse l'invito.
Pretese, essendosi dimostrata così
offensiva
da
accettare
senza
interpellarlo, che scrivesse ritirando la
sua disponibilità. Ma trovandosi di
fronte a un inaspettato e sconvolgente
muro
di
ostinazione,
rifiutò
addirittura di credere che fosse stata
invitata in Italia. Rifiutò di credere a
questa Mrs Arbuthnot, della quale
fino ad allora non aveva mai sentito
parlare; e cominciò a crederle soltanto
quando si trovò davanti questa
delicata creatura, che confermò le
affermazioni di sua moglie; e per Mrs
Arbuthnot fu così difficile che le
venne voglia di rinunziare a tutto pur
di non ingannare Mr Wilkins
nascondendogli
la
verità.
Era
impossibile non crederle: fece su di lui
la stessa impressione che faceva agli
impiegati della metropolitana; non le
fu nemmeno necessario parlare, ma
questo non cambiava niente per la sua
coscienza, che sapeva e che non le
permetteva di scordarsi di avergli
dato un'impressione inesatta. «Che
differenza c'è, - chiese la sua
coscienza, - fra un'impressione
inesatta e una vera e propria
menzogna? Dio non ne vede».
I giorni che restavano di marzo
trascorsero come un sogno brutto e
confuso. Sia Mrs Arbuthnot che Mrs
Wilkins erano a pezzi; per quanto
cercassero di evitarlo, si sentivano
terribilmente in colpa e quando
finalmente partirono, la mattina del
30,
non
provarono
nessun
entusiasmo, nessuna sensazione di
vacanza.
«Siamo state troppo buone…
davvero troppo buone, - continuava a
mormorare Mrs Wilkins mentre
camminavano su e giù lungo la
banchina della stazione Victoria,
dove erano arrivate un'ora prima del
dovuto, - ecco perché ci sembra di
fare qualcosa di male. Siamo
intimorite… non siamo più esseri
umani. I veri esseri umani non sono
sempre buoni, come lo siamo state
noi. Oh, - si strinse le mani scarne, - e
pensare che ora dovremmo essere
così felici, finalmente alla stazione,
davvero in partenza, e invece non lo
siamo, e la causa di tutto è semplice:
li abbiamo viziati! Cos'abbiamo fatto,
dopo tutto… cos'abbiamo fatto di
male? Vorrei proprio saperlo, - chiese
sdegnosamente a Mrs Arbuthnot, una volta tanto siamo volute andare
via da sole, per starcene un po' in
pace senza di loro!»
Mrs Arbuthnot, che stava
passeggiando
pacatamente,
non
chiese chi intendesse con loro, perché
lo sapeva. Mrs Wilkins intendeva i
mariti,
ostinandosi
nella
sua
supposizione che Frederick fosse
indignato quanto Mellersh per la
partenza della moglie, mentre
Frederick non sapeva neppure che
sua moglie se n'era andata.
Mrs Arbuthnot, abituata a non
parlare di lui, non aveva detto nulla a
Mrs Wilkins. Frederick era troppo in
fondo al suo cuore perché potesse
parlare di luì. Impegnatissimo a
terminare un altro di quei libri
spaventosi, nelle ultime settimane era
stato praticamente sempre via, e si
trovava ancora via quando lei partì.
Perché
avrebbe
dovuto
comunicarglielo in anticipo? Era così
tristemente sicura che lui non avrebbe
trovato niente da ridire sulle sue
decisioni, che gli scrisse soltanto un
appunto lasciandoglielo in vista sul
tavolo d'ingresso, se e quando fosse
tornato a casa. Disse che andava in
vacanza per un mese perché aveva
bisogno di riposare ed era tanto che
non lo faceva, che aveva dato
disposizioni a Gladys, la loro
efficiente cameriera, affinchè si
occupasse di lui. Non disse dove
andava, non ce n'era motivo; a lui
non sarebbe interessato, non gli
sarebbe affatto importato.
Il tempo era brutto, pioveva a
dirotto; la traversata fu tremenda e si
sentirono male tutte e due. Ma, dopo
aver tanto sofferto, il solo fatto di
arrivare a Calais e di star bene le rese
felici; fu là che per la prima volta lo
splendore di quel che stavano facendo
incominciò a riscaldare il loro animo
intorpidito. Innanzitutto l'entusiasmo
si impossessò di Mrs Wilkins, poi
come una fiamma tinta di rosa passò
da lei alla sua pallida compagna. A
Calais, dove si ristorarono con delle
sogliole, perché Mrs Wilkins voleva
mangiare una sogliola che Mellersh
non stesse mangiando, a Calais
Mellersh aveva già cominciato a
scomparire e a sembrare meno
importante. Nessun facchino francese
lo conosceva, non c'era un solo
impiegato a cui importasse un fico di
Mellersh. A Parigi non ci fu tempo di
pensare a lui perché il treno era in
ritardo, riuscirono a mala pena a
prendere la coincidenza per Torino
alla Gare de Lyon; e quando
arrivarono in Italia, il pomeriggio del
giorno
seguente,
l'Inghilterra,
Frederick, Mellersh, il vicario, i
poveri,
Hampstead,
il
club,
Schoolbred, tutto e tutti, quella
desolazione triste e intensa, tutto era
svanito nella vaghezza di un sogno.
In Italia era nuvolo, e siccome si
aspettavano un sole splendente ne
restarono
sorprese.
Ma
non
importava: era l'Italia, e anche le nubi
parevano più belle. Nessuna delle due
vi era mai stata prima, e ora
guardavano fuori dai finestrini con
occhi rapiti. Le ore volarono per tutta
la giornata, e poi sopraggiunse
l'eccitazione
di
avvicinarsi,
avvicinarsi sempre più, di arrivare. A
Genova
aveva
cominciato
a
piovere… Genova! Trovarsi davvero
lì e vedere quel nome scritto sulla
stazione come un nome qualsiasi… a
Nervi diluviava, e quando infine
giunsero
a
Mezzago,
verso
mezzanotte poiché il treno era di
nuovo in ritardo, scendeva una
pioggia torrenziale. Ma erano in
Italia, e niente poteva più essere
brutto. Anche la pioggia era diversa:
cadeva dritta sull'ombrello, non come
quelle violente raffiche inglesi che
penetravano dappertutto; ma di tanto
in tanto cessava, ed ecco allora lo
spettacolo del terreno ricoperto di
rose!
Mr Briggs, il proprietario di San
Salvatore, aveva detto: «Scendete a
Mezzago e proseguite in carrozza».
Ma aveva dimenticato quel che pure
sapeva bene, che in Italia i treni
qualche volta sono in ritardo, e aveva
immaginato che le sue affittuarie
arrivando a Mezzago alle otto
avrebbero trovato una fila di carrozze
da nolo tra cui scegliere.
Il treno invece era in ritardo di
quattro ore, e quando Mrs Arbuthnot
e Mrs Wilkins scesero a fatica dagli
alti scalini della loro carrozza, quasi
una scala, e si ritrovarono sotto un
cupo acquazzone - lasciando che le
gonne strisciassero dentro le grandi
pozzanghere fangose, perché avevano
le mani occupate dalle valigie - non
fosse stato per l'accortezza di
Domenico, il giardiniere di San
Salvatore, non avrebbero trovato
nessun passaggio. Tutti i vetturini in
servizio erano già a casa da un pezzo
e Domenico, prevedendolo, aveva
mandato la carrozza di sua zia
condotta da suo cugino, figlio di lei;
zia
e
vetturino
vivevano
a
Castagneto, il paesello ai piedi di San
Salvatore; quindi, per quanto il treno
fosse in ritardo, il vetturino non
avrebbe osato tornare a casa senza
quel che lo avevano mandato a
prendere.
Il cugino di Domenico, Beppo,
comparve nel buio in cui si trovavano
Mrs Arbuthnot e Mrs Wilkins, incerte
sul da farsi dacché il treno era partito,
perché non vedevano neppure un
facchino e avevano l'impressione di
non trovarsi su una banchina, quanto
piuttosto nel bel mezzo di un binario.
Beppo, che le stava cercando,
emerse allora dal buio con una sorta
di balzo, parlando a gran voce in
italiano. Era un giovane rispettabile,
anche se dall'aspetto non lo si sarebbe
detto, soprattutto nell'oscurità e con
quel cappello gocciolante calato su un
occhio. Le due donne non gradirono
il modo in cui prese le valigie: non
poteva essere un facchino, pensarono.
Ma riuscirono subito a distinguere nel
suo fiume di parole il nome di San
Salvatore e presero a ripeterglielo,
visto che era l'unica parola che
conoscevano
di
italiano,
precipitandosi dietro di lui per non
perdere di vista le valigie e
inciampando
tra
rotaie
e
pozzanghere, finché furono in strada
dove le attendeva una carrozza
piccola e alta.
La capote era alzata e il cavallo
pareva meditabondo. Salirono, e
appena sistemate - a dire il vero, Mrs
Wilkins non era ancora del tutto
sistemata - il cavallo si ridestò con
uno scatto dal suo fantasticare e in
quello stesso istante si avviò di buon
passo verso casa; senza Beppo, senza
le valigie.
Beppo gli si lanciò dietro,
facendo riecheggiare le sue urla nella
notte, e riuscì appena in tempo ad
afferrare le briglie che pendevano.
Spiegò con orgoglio e, come lui
credeva, con estrema chiarezza, che il
cavallo faceva sempre così, perché era
un animale di razza, ben nutrito e
focoso; che lui se ne prendeva cura
come di un figlio e che le due signore
non dovevano spaventarsi: aveva
notato che si tenevano strette l'una
all'altra; ma per quanto fosse prodigo
di parole e parlasse forte e chiaro,
loro non facevano che fissarlo con
aria assente.
Continuò a parlare anche mentre
ammassava le valigie intorno a loro,
sicuro che prima o poi lo avrebbero
capito, soprattutto se badava a
parlare forte e ad accompagnare tutto
ciò che diceva con semplici gesti di
spiegazione, ma loro non smisero un
attimo di fissarlo. Si accorse con
simpatia che avevano entrambe il
volto pallido e affaticato e occhi
grandi ancor più stanchi. Due belle
signore, pensò, e i loro occhi, che lo
fissavano da sopra le valigie seguendo
ogni suo movimento - non c'erano
bauli, solo un gran numero di valigie erano come quelli della Vergine.
Tutto ciò che le due donne sapevano
dire, e da quando erano partiti lo
ripetevano costantemente toccandolo
appena per richiamare la sua
attenzione mentre sedeva a cassetta,
era: «San Salvatore?»
E lui ogni volta rispondeva ad
alta voce, come a incoraggiarle: «Sì,
sì1… San Salvatore».
«Non siamo sicure che ci stia
portando davvero là», disse infine
Mrs Arbuthnot sottovoce, quando
parve loro di viaggiare già da molto
tempo e si ritrovarono lungo una
strada tortuosa, dopo aver superato il
lastricato della città avvolta nel
sonno, in cui riuscivano a scorgere
soltanto un muretto basso sulla loro
sinistra, oltre il quale era un immenso
vuoto nero e il rumore del mare. Alla
loro destra c'era qualcosa di molto
vicino e scosceso, alto e nero… forse
delle rocce, si sussurrarono, rocce
enormi.
«No,
non
siamo
sicure»,
convenne Mrs Wilkins, sentendo un
leggero brivido salirle lungo la
schiena.
Furono prese dallo sgomento: era
così tardi, così buio, e la strada
desolata. E se si fosse sfilata una
ruota? Se si fossero imbattuti nei
fascisti, o nei loro avversari? Come si
pentivano di non aver dormito a
Genova e di non essere arrivate la
mattina seguente con la luce del sole!
«Ma sarebbe stato il 1° aprile»,
disse Mrs Wilkins sottovoce.
«Lo è già», disse Mrs Arbuthnot
senza fiato.
«Già, è vero», mormorò Mrs
Wilkins.
Rimasero in silenzio.
Beppo, seduto a cassetta, si
voltò, - un'abitudine che avevano già
notato e che le terrorizzava, perché
quello era un cavallo da non perdere
d'occhio, - e di nuovo rivolse loro la
parola con quella che credeva
chiarezza: niente dialetto e aiutandosi
con gesti chiarificatori.
Come avrebbero desiderato che le
loro madri avessero fatto loro studiare
l'italiano da piccole! Se solo in quel
momento avessero saputo dire: «Vi
prego, voltatevi dalla parte giusta e
badate al cavallo». Ma non sapevano
neppure come si dicesse cavallo in
italiano. Era vergognoso essere così
ignoranti!
In preda all'angoscia, perché la
strada serpeggiava tra grandi rocce
sporgenti, e soltanto un muretto alla
loro sinistra le avrebbe protette dal
mare se fosse accaduto qualcosa, si
misero anche loro a gesticolare,
agitando le mani verso Beppo per
indicare la strada davanti a loro.
Volevano che si girasse in direzione
del cavallo, nient'altro; lui pensò
invece che volessero andare più in
fretta, e seguirono dieci minuti di
terrore durante i quali credette di far
loro cosa gradita. Era orgoglioso del
suo cavallo, poteva andare così
veloce! Si alzò in piedi e schioccò la
frusta, il cavallo si slanciò con un
balzo, le rocce avanzarono verso di
loro e la piccola carrozza oscillò
facendo traballare le valigie, mentre
Mrs Arbuthnot e Mrs Wilkins si
tenevano strette. Procedettero così,
oscillando, traballando, sferragliando
e stringendosi l'una all'altra, finché a
un certo punto raggiunsero i piedi di
una salita vicino a Castagneto, al che
il cavallo, che conosceva ogni
centimetro della strada, si arrestò di
colpo,
mettendo
completamente
sottosopra l'interno della carrozza, e
proseguì salendo a passo lentissimo.
Beppo si voltò, sicuro di ricevere
la loro ammirazione e ridendo
orgoglioso per il suo cavallo.
Non ci fu alcun riso di risposta
delle due belle signore; i loro occhi,
fissi su di lui, apparivano più grandi
che mai, e il loro volto contro il nero
della notte sembrava di latte.
Qui almeno, in cima al pendio,
c'erano delle case. Le rocce avevano
lasciato il posto alle abitazioni; il
mare era scomparso e non se ne
sentiva più il rumore, la desolazione
della strada era svanita.
Certo non c'erano luci in alcun
luogo, e nessuno a testimoniare del
loro passaggio; e appena iniziarono le
case, Beppo, dopo essersi voltato a
gridare «Castagneto» alle signore, si
rialzò e, facendo schioccare la frusta,
spronò di nuovo il cavallo.
«Tra un attimo ci saremo», disse
tra sé Mrs Arbuthnot, tenendosi forte.
«Arriveremo presto, ormai»,
disse tra sé Mrs Wilkins, tenendosi
forte. Non parlarono, perché non si
sarebbe sentito niente oltre lo
schioccare della frusta, lo sferragliare
delle ruote e il baccano che faceva
Beppo per spronare il cavallo.
Con trepidazione, si sforzarono
di
scorgere
un
indizio
che
annunciasse San Salvatore.
Avevano pensato e sperato che
dopo un bel tratto di villaggio un arco
medievale sarebbe apparso di fronte a
loro, e che, attraversatolo, sarebbero
entrate in un giardino giungendo a
una porta aperta, invitante e inondata
di luce, dove le avrebbe attese quella
servitù che secondo l'annuncio si era
trattenuta.
La carrozza invece si arrestò
all'improvviso.
Sbirciando fuori si accorsero di
trovarsi ancora sulla strada del
villaggio costeggiata ai due lati da
case piccole e scure; Beppo,
abbandonando le briglie sul dorso del
cavallo come se questa volta fosse
assolutamente certo di non procedere
oltre, scese da cassetta. Nello stesso
istante, spuntando dal nulla, un uomo
e numerosi ragazzini comparvero
intorno alla carrozza e cominciarono
a scaricare le valigie.
«No, no… San Salvatore, San
Salvatore», esclamò Mrs Wilkins,
sforzandosi
come
riusciva
di
trattenere le valigie.
«Sì, sì… San Salvatore, San
Salvatore»,
gridarono
tutti
continuando a tirare.
«Non può essere San Salvatore»,
disse Mrs Wilkins, voltandosi verso
Mrs Arbuthnot, che sedeva immobile
osservando le valigie che si
allontanavano, con la rassegnazione
che riservava ai mali minori. Sapeva
che se questi uomini fossero stati
malintenzionati
e
decisi
a
impadronirsi delle sue valigie, non ci
sarebbe stato niente da fare.
«No, non può essere», convenne,
e non potè trattenere un sentimento di
meraviglia dinanzi alle vie del
Signore. Davvero era stata condotta
in quel posto, assieme alla povera
Mrs Wilkins, dopo aver tanto penato
per organizzare tutto, dopo tante
difficoltà e preoccupazioni, dopo aver
intrapreso la cattiva strada della
menzogna e dell'inganno, soltanto per
essere…
Cercò di non pensarci e
rivolgendosi gentilmente a Mrs
Wilkins, mentre i ragazzini vestiti di
stracci si dileguavano nella notte con
le valigie e l'uomo con la lanterna
aiutava Beppo a toglierle di dosso la
coperta da viaggio, disse che erano
entrambe nelle mani di Dio e Mrs
Wilkins per la prima volta, nell'udire
queste parole, ebbe paura.
Non potevano far altro che
uscire, era inutile restare sedute nella
carrozza a ripetere San Salvatore.
Ogni volta che lo pronunciavano la
loro voce si indeboliva, e Beppo e gli
altri non facevano che ripeterlo in un
susseguirsi di schiamazzi. Se solo
avessero imparato l'italiano da
piccole! Se solo avessero saputo dire:
«Accompagnateci alla porta!» Ma
non sapevano neppure come si
dicesse porta in italiano. Una tale
ignoranza
non
soltanto
era
vergognosa, era, e se ne accorgevano
ora, estremamente pericolosa. Inutile
però lamentarsi adesso. Inutile tentare
di sfuggire a ciò che doveva accadere,
rimanendo sedute nella carrozza. E
così uscirono.
I due uomini aprirono gli
ombrelli e glieli porsero, e ciò le
rassicurò un poco, perché era
impensabile
che
una
persona
malintenzionata si preoccupasse di
aprire l'ombrello. Poi l'uomo con la
lanterna fece cenno di seguirlo,
parlando a voce alta e rapidamente,
mentre Beppo, come notarono, era
rimasto indietro. Avrebbero dovuto
pagarlo? No di certo, pensarono, se
stavano per essere derubate e magari
uccise, in simili circostanze non si
dava la mancia; e in fin dei conti non
le aveva condotte a San Salvatore:
questa non poteva essere la loro meta.
Egli poi non mostrava alcun desiderio
di venire pagato: lasciò che si
allontanassero nella notte senza
protestare. Non poterono trattenersi
dal pensare che questo fosse un brutto
segno: non aveva chiesto nulla perché
tra poco avrebbe ricevuto molto.
Arrivarono a degli scalini; la
strada terminava improvvisamente di
fronte a una chiesa e di lì scendevano
alcuni gradini. L'uomo teneva la
lanterna bassa perché riuscissero a
vederli.
«San Salvatore?», disse ancora
una volta sottovoce Mrs Wilkins,
prima di avventurarsi per gli scalini.
Era inutile farne menzione proprio
ora, ma non poteva scendere nel
silenzio assoluto. Nessun castello
medievale, era sicura, era mai stato
costruito in fondo a una scalinata.
Ma giunse di nuovo l'eco delle
grida: «Sì, sì…San Salvatore».
Scesero
con
circospezione,
tenendo sollevata la gonna come se
potesse ancora servire, come se quella
non fosse l'ultima volta che la
indossavano.
Gli scalini terminavano in un
sentiero estremamente ripido con al
centro lastroni piatti. Continuavano a
scivolare sulle pietre bagnate e l'uomo
con la lanterna, che seguitava a
parlare a voce alta e rapidamente, le
sorresse con premura e delicatezza.
«Forse, - disse sottovoce Mrs
Wilkins a Mrs Arbuthnot, - sta
andando tutto per il meglio».
«Siamo nelle mani di Dio», ripetè
Mrs Arbuthnot, e di nuovo Mrs
Wilkins ebbe paura.
Il ripido sentiero era terminato e
la luce tremula della lanterna illuminò
uno spazio aperto circondato da case
su tre lati e sul quarto dal mare, che
avanzava e si ritirava pigramente sui
ciottoli.
«San Salvatore», disse l'uomo,
indicando con la lanterna una massa
nera curva sull'acqua come in un
abbraccio.
Guardarono con attenzione e
videro quella massa scura, e in cima
una luce.
«San Salvatore?»
ripeterono
entrambe, incredule; ma dov'erano le
valigie, e per quale ragione erano
state costrette a scendere dalla
carrozza?
«Sì, sì…{3} San Salvatore».
Proseguirono lungo quello che
sembrava un molo, proprio sul pelo
dell'acqua. Non c'era neppure un
muretto qui, niente che impedisse
all'uomo con la lanterna, se avesse
voluto, di gettarle in mare, ma non lo
fece. Forse stava andando tutto per il
meglio, suggerì di nuovo - avendo
notato il rischio che correvano - Mrs
Wilkins a Mrs Arbuthnot, la quale
incominciava a crederci e non disse
più nulla sulle mani di Dio.
La luce tremula della lanterna
danzava tutt'intorno, riflettendosi sul
lastricato bagnato del molo. In
lontananza sulla sinistra, nel buio, vi
era una luce rossa, sicuramente
all'estremità di un pontile. Giunsero a
un arco che aveva un pesante cancello
di ferro. L'uomo con la lanterna
spinse per aprirlo; questa volta,
anziché scendere, salirono fino sulla
sommità di una scalinata, dove un
piccolo
sentiero
s'inerpicava
serpeggiando tra i fiori. Non
riuscivano a vedere i fiori, ma
sicuramente il luogo ne era pieno.
A Mrs Wilkins venne in mente
che la carrozza forse non le aveva
condotte fino alla porta perché non
c'era una strada, solo un sentiero, e
così si sarebbe spiegata anche la
scomparsa delle valigie. Iniziò a
convincersi che, arrivando in cima,
avrebbero trovato le loro valigie ad
aspettarle. San Salvatore, come si
addice a un castello medievale,
sembrava ergersi sulla sommità di
una collina. A una svolta del sentiero
scorsero sopra di loro, ora molto più
vicina e più brillante, la luce che
avevano visto dal molo. Mrs Wilkins
comunicò quanto aveva pensato a
Mrs Arbuthnot, la quale disse che
poteva aver ragione.
Mrs Wilkins, indicando in alto la
sagoma nera che si stagliava contro il
cielo appena più chiaro, disse di
nuovo, ma adesso con tono davvero
fiducioso: «San Salvatore?» E ancora
giunse l'eco delle rassicurazioni, ma
questa volta più confortante e
incoraggiante:
«Sì,
sì…
San
Salvatore».
Attraversarono un ponticello,
sospeso su quel che sembrava un
burrone, e poi incontrarono un tratto
di piano, circondato dall'erba alta e
da moltissimi fiori. Sentivano la
carezza dell'erba bagnata sulle calze, e
ovunque erano fiori invisibili. Poi
ripresero la salita tra gli alberi, lungo
un sentiero a zigzag impregnato del
profumo dei fiori che non riuscivano
a vedere; quella pioggia calda stava
liberando tutta la loro fragranza.
Salirono sempre più, immerse in
questa dolce oscurità, e la luce rossa
sul pontile sprofondò lontano sotto di
loro.
Il sentiero s'inerpicò dall'altro
lato di quella che pareva una piccola
penisola; il pontile e la luce rossa
scomparvero del tutto e distante, oltre
il vuoto alla loro sinistra, si videro
delle luci.
«Mezzago»,
disse
l'uomo
agitando la lanterna in direzione delle
luci.
«Sì, sì», risposero, dato che
avevano imparato a dirlo. Al che
l'uomo si congratulò con un fiume di
parole gentili, di cui non riuscirono a
capire nulla, per il loro italiano
splendido; si trattava di Domenico, il
giardiniere premuroso e intelligente di
San Salvatore, il sostegno di
quell'edificio, lo scaltro, l'ingegnoso,
l'eloquente e cortese Domenico. Ma
loro non potevano ancora saperlo; e
al buio, e a volte anche alla luce, con
la sua carnagione scura, i lineamenti
affilati e i movimenti rapidi come
quelli di una pantera, egli pareva
davvero una persona malvagia.
Percorsero un altro tratto di
sentiero in piano, mentre sulla destra
torreggiava una sagoma nera, simile a
un alto muro; poi il sentiero salì di
nuovo passando sotto alcuni graticci,
e ramoscelli pendenti di piante
odorose le sfiorarono lasciando
cadere gocce di pioggia; la luce della
lanterna tremolò sui gigli e
s'imbatterono infine in un'antica
rampa di scalini consumati dai secoli
e in un altro cancello di ferro; lo
varcarono, continuando però a salire
per una scala tortuosa di scalini di
pietra chiusa su entrambi i lati da
antiche mura, simili alle mura di un
torrione, con un soffitto a volta.
In cima, un portone di ferro
battuto lasciava filtrare un fascio di
luce elettrica.
«Ecco», disse Domenico, salendo
agilmente gli ultimi scalini e aprendo
la porta con una spinta.
Erano arrivate! Erano a San
Salvatore, avevano trovato le loro
valigie ad aspettarle e non erano state
uccise!
Bianche in viso, si lanciarono un
solenne sguardo d'intesa.
Fu un momento particolare,
meraviglioso. Eccole finalmente nel
loro castello medievale, i loro piedi ne
toccavano le pietre.
Mrs Wilkins mise un braccio
intorno al collo di Mrs Arbuthnot e la
baciò.
«La prima cosa da fare in questa
casa, - disse dolcemente ma con
solennità, - è darci un bacio».
«Cara
Lotty»,
disse
Mrs
Arbuthnot.
«Cara Rose», disse Mrs Wilkins
con gli occhi traboccanti di gioia.
Domenico era felice, gli piaceva
vedere delle belle signore che si
baciavano. Tenne un memorabile
discorso di benvenuto mentre loro,
abbracciate e sorreggendosi l'un l'altra
per la stanchezza, lo guardavano
sorridendo, senza capire una parola.
La mattina seguente, dopo
essersi svegliata, Mrs Wilkins rimase
nel letto alcuni minuti prima di
alzarsi e aprire le imposte. Che cosa
avrebbe visto affacciandosi alla
finestra? Un mondo di sole oppure di
pioggia? Sarebbe stato stupendo, in
ogni caso sarebbe stato stupendo.
Si trovava in una piccola camera
da letto, le pareti erano bianche e
spoglie, col pavimento di pietra e
pochi mobili antichi. I letti - ve
n'erano due - erano di ferro, verniciati
di nero e decorati con mazzi di fiori
vivaci. Rimase distesa, rimandando
quel grande momento in cui sarebbe
andata alla finestra, come si rimanda
il momento dell'apertura di una
lettera preziosa, divorandola con gli
occhi. Non aveva idea di che ora
fosse, si era dimenticata di caricare
l'orologio dall'ultima volta in cui,
secoli prima, aveva dormito ad
Hampstead. Nella casa non si
sentivano rumori e quindi immaginò
che fosse molto presto, anche se le
sembrava di aver dormito a lungo: era
perfettamente
riposata,
completamente appagata. Rimase
distesa con le braccia dietro la testa
pensando a quanto fosse felice, le
labbra curvate all'insù, in un sorriso
compiaciuto. Da sola nel letto, che
delizia! Dopo cinque anni, era la
prima volta che dormiva senza
Mellersh; che freschezza, e quanto
spazio! Potersi muovere liberamente e
con noncuranza, con audacia, dare
uno strattone alle coperte se lo si
desiderava, o sistemare i cuscini nel
modo più comodo! Le sembrava di
scoprire una gioia completamente
nuova.
Mrs Wilkins non vedeva l'ora di
alzarsi e di aprire le imposte, eppure
era davvero delizioso rimanere lì.
Sospirò per la felicità, e continuò a
rimanere
distesa
guardandosi
intorno, osservando ogni cosa nella
stanza, la sua stanzetta, tutta per sé,
da sistemare come le piaceva per
questo mese di beatitudine, la sua
stanza, comprata con i suoi risparmi,
frutto di continue rinunce; e volendo,
le sarebbe bastato chiudere la porta
col catenaccio che nessuno avrebbe
avuto il diritto di entrare. Era una
stanza così piccola e strana, diversa
da tutte quelle che aveva visto, così
graziosa. Sembrava una cella e,
tranne che per i due letti, suggeriva
una gioia austera. «Il nome della
camera,
pensò,
citando
e
sorridendo, - era Pace».
Era davvero delizioso starsene lì
distesa pensando a quanto fosse
felice, eppure oltre quelle imposte
sarebbe stato tutto ancora più
delizioso. Balzò in piedi, s'infilò le
pantofole, perché sul pavimento di
pietra c'era solo un tappetino, e si
precipitò alla finestra a spalancare le
imposte.
«Oh!», esclamò Mrs Wilkins.
Lo splendore dell'aprile italiano
era ai suoi piedi. Il sole la inondava
di luce e il mare giaceva
addormentato,
muovendosi
debolmente. Al di là della baia, anche
le incantevoli montagne, dai colori
squisitamente
variegati,
erano
addormentate nella luce; e sotto la sua
finestra, in fondo al pendio erboso
costellato di fiori dal quale si
ergevano le mura del castello, un
grande cipresso si stagliava come
un'enorme spada nera contro le tenui
sfumature azzurre, violette e rosa
delle montagne e del mare.
Restò a bocca aperta. Una simile
bellezza… e lei lì ad ammirarla. Una
simile bellezza… e lei lì, viva, a
parteciparne. Il suo volto era immerso
nella luce. Profumi deliziosi salivano
alla finestra e l'accarezzavano, una
brezza
leggera
le
sollevava
dolcemente i capelli. Laggiù nella
baia un gruppo di barche da pesca
quasi immobili stavano sospese sul
mare calmo, come uno stormo di
uccelli bianchi. Che meraviglia, che
splendore! Non essere morta prima…
aver avuto la possibilità di vedere,
respirare, sentire tutto questo… Restò
a bocca aperta, incantata. Era la
felicità? Com'era povera e mediocre la
vita di tutti i giorni. Ma cosa dire,
come descriverla? Non stava più nella
pelle, era come se fosse troppo
piccola per contenere tutta quella
felicità, come trovarsi in un bagno di
luce. Era sorprendente provare questa
beatitudine totale, perché qui lei si
trovava, e non faceva né avrebbe fatto
una sola cosa per gli altri, non doveva
fare nulla che non avrebbe desiderato.
A sentire le persone che era solita
frequentare,
avrebbe
dovuto
perlomeno avere dei dolori.
E invece neanche uno. C'era
qualcosa di strano. Era incredibile che
a casa fosse sempre così buona, così
tremendamente buona, e ne avesse
soltanto sofferenze; là si dedicava
interamente agli altri ed era vittima di
malesseri di ogni sorta: fitte, dolori e
momenti di sconforto. E ora che si
era spogliata di tutta la sua bontà e
l'aveva lasciata alle spalle come un
mucchio di vestiti inzuppati di
pioggia, non provava che gioia.
Denudata della bontà, godeva nel
ritrovarsi nuda. Era svestita e
raggiante. E laggiù nel buio umido di
Hampstead, c'era Mellersh in collera.
Cercò di raffigurarsi Mellersh, di
vederlo mentre faceva colazione e
pensava cose poco piacevoli di lei; ed
ecco! anche Mellersh incominciava a
luccicare, a colorarsi di rosa, di un
tenue violetto e di un azzurro
incantevole, cominciava a perdere
forma e a diventare iridescente. Ora
Mellersh, dopo un breve fremito, era
immerso nella luce.
«Bene», pensò Mrs Wilkins,
fissando lo sguardo, per così dire, su
di lui. Era straordinario non riuscire a
raffigurarsi Mellersh; proprio lei che
ne conosceva a memoria ogni
lineamento, ogni espressione. Non
riusciva assolutamente a vederlo
com'era davvero. Riusciva a vederlo
soltanto dissolto nella bellezza, fuso
nell'armonia con tutto il resto. Le
parole
della
preghiera
di
Ringraziamento, a lei familiari, le
vennero in mente in modo spontaneo,
e si ritrovò a benedire Dio per averla
creata e preservata, per tutti i doni
della sua vita, ma sopra ogni cosa per
il Suo inestimabile Amore; le disse a
voce alta, in un impeto di
riconoscenza. Intanto Mellersh, che
in quel momento si stava infilando
con rabbia gli stivali prima di uscire
sulle strade bagnate, stava davvero
pensando cose spiacevoli di lei.
Incominciò a vestirsi, scegliendo
abiti bianchi e lindi in onore di quella
giornata estiva, disfando le valigie e
mettendo ordine nella sua adorata
stanzetta. Si muoveva con passi
veloci e decisi, tenendo eretto il corpo
lungo e sottile e il volto minuto, a
casa sempre corrugato per la fatica e
l'apprensione, era ora disteso. Tutto
quel che era stata, che aveva fatto fino
a quella mattina, i suoi sentimenti e le
sue preoccupazioni, erano svaniti. Le
sue ansie si comportavano come
l'immagine di Mellersh, dissolvendosi
nei colori e nella luce. Si accorse di
cose di cui non si accorgeva da anni;
pettinandosi davanti allo specchio
notò i suoi capelli e pensò: «Come
sono belli». Da anni si era scordata di
averli, ogni sera li raccoglieva in una
treccia, che al mattino disfava con la
stessa fretta e noncuranza con cui si
allacciava e slacciava le scarpe. Ora li
vide all'improvviso e se li attorcigliò
intorno al dito davanti allo specchio,
contenta che fossero così belli. Di
certo non li aveva visti neanche
Mellersh, perché non ne aveva mai
fatto cenno. Bene, una volta tornata a
casa glieli avrebbe fatti notare.
«Mellersh, - avrebbe detto, - guarda i
miei capelli, non sei contento di avere
una moglie con dei riccioli color del
miele?»
Rise. Non aveva mai detto niente
di simile a Mellersh, e la sola idea la
divertiva. Ma perché non l'aveva mai
fatto? Oh, certo, aveva paura di lui.
Buffo aver paura di qualcuno,
soprattutto del proprio marito, che
conosciamo nei momenti di maggiore
intimità, per esempio mentre dorme,
e magari respira male dal naso.
Quando fu pronta aprì la porta
per andare a vedere se Rose, che la
notte
precedente
era
stata
accompagnata in una cameretta di
fronte da una cameriera assonnata,
fosse sveglia. Le avrebbe dato il
buongiorno e sarebbe corsa giù per
sedersi accanto a quel cipresso finché
la colazione non fosse stata pronta, e
dopo non avrebbe fatto altro che
guardare da una finestra e aiutare
Rose a fare i preparativi per Lady
Caroline e Mrs Fisher. C'era molto da
fare quel giorno: bisognava sistemare
e ordinare le stanze, e lei non voleva
che Rose facesse tutto da sola.
Avrebbero reso ogni cosa piacevole
per le due signore che dovevano
arrivare, mandandole in estasi alla
vista delle camerette rallegrate dai
fiori, preparate per loro. Ricordò di
aver desiderato che Lady Caroline
non venisse; che assurdità voler
escludere una persona dal paradiso
per paura di esserne intimidita! Come
se questo avesse importanza, come se
fosse assolutamente sicura della sua
timidezza. E poi, che stupido motivo.
In quell'occasione non poteva
rimproverarsi di essere stata troppo
buona. E si ricordò che non avrebbe
voluto neanche Mrs Fisher, perché
sembrava troppo altera. Che strana
era stata! Che strano preoccuparsi di
cose così insignificanti, dandogli
importanza.
Le camere da letto e due salotti di
San Salvatore erano al piano
superiore, e si affacciavano su un
salone spazioso, delimitato a nord da
un'ampia vetrata. San Salvatore era
ricco di giardinetti disposti un po'
dovunque e su diversi livelli. Il
giardino su cui guardava questa
vetrata era ricavato nella parte più
alta delle mura, ed era raggiungibile
soltanto attraverso il corrispondente
atrio del piano inferiore. Quando Mrs
Wilkins uscì dalla sua stanza, questa
finestra era spalancata, e al di là di
essa, al sole, vi era un albero di Giuda
in fiore. Non c'era segno di vita, non
un rumore, né voci o passi. Sul
pavimento di pietra vi erano mastelli
pieni di calle, e su un tavolo
splendeva un grosso mazzo di
nasturzi. Questo grande spazio fiorito
e
silenzioso,
delimitato
da
quell'ampia finestra che si apriva sul
giardino, con l'albero di Giuda di una
bellezza irreale nella luce del sole,
sembrò a Mrs Wilkins, che si fermò
mentre stava andando da Mrs
Arbuthnot, troppo bello per essere
vero. Davvero avrebbe trascorso un
mese intero in un posto simile?
Finora aveva dovuto cogliere la
bellezza quando le si offriva sul suo
cammino,
tentando
d'afferrarne
piccoli frammenti quando vi si
imbatteva: una macchia di margherite
in un campo di Hampstead in una
bella giornata, uno squarcio di
tramonto tra due comignoli. Non era
mai stata in luoghi decisamente,
assolutamente belli. Non era mai
stata neppure in una casa antica, e
cose del tipo di una stanza inondata
di fiori erano fuori della sua portata.
Talvolta in primavera comprava sei
tulipani
da
Schoolbred,
non
riuscendo a resistere, consapevole che
se Mellersh avesse saputo quanto
costavano, l'avrebbe considerato
imperdonabile;
ma
subito
appassivano e non ne rimaneva nulla.
Quanto all'albero di Giuda, non
aveva idea di cosa fosse, e lo fissava,
stagliato là fuori contro il cielo, con
l'espressione rapita di chi ha una
visione celestiale.
Mrs Arbuthnot, uscendo dalla
sua stanza, la trovò così, in piedi in
mezzo all'atrio con lo sguardo fisso.
«Chissà cosa crede di vedere
adesso», pensò Mrs Arbuthnot.
«Siamo nelle mani di Dio», disse
con convinzione Mrs Wilkins,
voltandosi verso di lei.
«Oh!», esclamò Mrs Arbuthnot il
cui viso, sorridente quando era uscita
dalla stanza, si rabbuiò subito.
«Perché, cos'è successo?»
Mrs Arbuthnot si era svegliata
con una tale piacevole sensazione di
sicurezza e di sollievo, che temeva di
scoprire che il pericolo non era
ancora passato. Non aveva neppure
sognato Frederick. Per la prima volta
in tanti anni le era stato risparmiato il
sogno di ogni notte - lui era accanto a
lei e si amavano - da cui si risvegliava
disperata. Aveva dormito come una
bambina e si era svegliata fiduciosa,
scoprendo che non c'era nulla che
avrebbe voluto dire nella sua
preghiera del mattino se non grazie.
Era sconcertante sentirsi dire che
erano ancora nelle mani di Dio.
«Spero che non sia successo
niente», disse con ansia.
Mrs Wilkins la guardò per un
attimo, e rise. «Che strano», disse,
baciandola.
«Cosa c'è di strano?» chiese Mrs
Arbuthnot, e il suo viso si rischiarò
perché Mrs Wilkins stava ridendo.
«Noi. Questo posto. Ogni cosa.
E tutto così incantevole. E così strano
e delizioso essere qui. Oserei dire che
quando infine raggiungeremo il
paradiso - quello di cui parlano tanto
- non potremo trovarlo più bello».
Mrs Arbuthnot tornò a sorridere
rassicurata. «Non è divino?» disse.
«In vita tua, sei mai stata così
felice?»
chiese
Mrs
Wilkins,
prendendola per un braccio.
«No», disse Mrs Arbuthnot. Non
lo era mai stata, proprio mai, neppure
nei primi tempi del suo amore per
Frederick. Perché quella felicità era
sempre stata minacciata dal dolore,
pronto a torturarla con i dubbi,
persino col suo troppo amore; mentre
questa era autentica felicità, armonia
completa con la natura circostante, la
felicità che non ha bisogno di nulla,
che semplicemente accetta, respira,
esiste.
«Andiamo a vedere quell'albero
da vicino, - disse Mrs Wilkins, - mi
pare incredibile che sia solo un
albero».
Attraversarono
il
salone
sottobraccio e i loro mariti non le
avrebbero riconosciute tanto i loro
visi erano ringiovaniti dal desiderio;
rimasero tutte e due davanti alla
finestra aperta e quando, saziate da
quella meraviglia rosa dell'albero
lasciarono spaziare gli occhi sulle
bellezze del giardino, scorsero Lady
Caroline che, seduta sull'estremità
orientale del muretto, fissava la baia e
aveva i piedi in mezzo ai gigli.
Rimasero stupite. Per lo stupore
non dissero una parola ma restarono
ferme immobili, sottobraccio, ad
osservarla.
Anche lei indossava un abito
bianco, ed era a capo scoperto. Quel
giorno che l'avevano vista a Londra
con il cappello calato sul naso e la
pelliccia rialzata fin sulle orecchie,
non avevano immaginato che fosse
così bella. Avevano solo pensato che
fosse diversa dalle altre signore del
club e altrettanto queste e così pure le
cameriere che l'avevano sbirciata più
volte mentre passavano davanti
all'angolo in cui si era seduta a
parlare; ma non avevano immaginato
che
fosse
così
bella.
Era
straordinariamente bella, e ogni suo
dettaglio era accentuato: i capelli
biondi erano biondissimi, gli occhi
grigi
ed
espressivi
erano
particolarmente grigi ed espressivi, le
ciglia scure erano molto scure, la pelle
chiara molto chiara, la bocca rossa
molto rossa. Era incredibilmente
esile, sottile come un filo, ma non
priva di lievi curve sotto quell'abito
leggero, dove era giusto che vi
fossero. Stava guardando verso la
baia, e si stagliava nettamente sullo
sfondo di vuoto azzurro. Era in pieno
sole e dondolava i piedi tra le foglie e
i fiori dei gigli come incurante di
piegarli o rovinarli.
«Avrà mal di testa, - sussurrò
infine Mrs Arbuthnot, - a star seduta
al sole in quel modo».
«Dovrebbe portare un cappello»,
sussurrò Mrs Wilkins.
«Sta pestando i gigli».
«Sono suoi quanto nostri».
«Solo per un quarto».
Lady Caroline si voltò. Rimase
un istante a guardarle, sorpresa di
vederle molto più giovani di quanto le
fossero sembrate quel giorno al club, e
molto meno brutte. In verità, erano
quasi attraenti, se è possibile esserlo
indossando gli abiti sbagliati. Con
una rapida occhiata colse ogni loro
dettaglio, e un secondo dopo sorrise e
agitò
la
mano
gridando
«Buongiorno».
Non
parevano
persone di grande interesse a
giudicare dai loro abiti, notò subito.
Non lo pensò consapevolmente,
perché si stava ribellando con forza ai
bei vestiti e alla schiavitù che essi
imponevano; l'esperienza le aveva
insegnato infatti che nell'istante in cui
li indossi s'impossessano di te e non ti
danno pace fino a che non siano
andati ovunque per farsi ammirare da
tutti. Non sei tu che hai portato un
abito a un ricevimento, è lui che ha
portato te. Era un errore pensare che
una donna, una donna davvero
elegante, possa logorare i suoi abiti,
sono gli abiti che logorano lei,
trascinandola in giro a qualunque ora
del giorno e della notte. Non c'era da
stupirsi che gli uomini restassero
giovani più a lungo; un paio di
pantaloni nuovi non poteva di certo
scombussolarli. Non considerava che
anche un paio di pantaloni nuovi
potesse comportarsi allo stesso modo,
rivoltandosi contro chi li indossava.
Erano immagini confuse, ma lei
seguiva il filo dei suoi pensieri
scegliendo quelle che preferiva.
Scendendo
dal
muretto
e
avvicinandosi alla finestra, pensò che
sarebbe stato riposante trascorrere un
mese intero insieme a persone vestite
con abiti che le ricordavano
vagamente quelli di cinque estati
prima.
«Sono arrivata ieri mattina»,
disse guardandole e sorridendo. Era
davvero affascinante. Aveva tutto in
regola, anche una fossetta.
«E un vero peccato, - disse Mrs
Arbuthnot sorridendole a sua volta, perché volevamo scegliere per voi la
camera più bella».
«Oh! Ma l'ho fatto io, - disse
Lady Caroline. - O almeno credo che
sia la più piacevole. Dà su due lati e
io adoro le camere che danno su due
lati, voi no? A ovest sul mare e a nord
su questo albero di Giuda».
«E avevamo intenzione di
abbellirla per voi con dei fiori», disse
Mrs Wilkins.
«Oh, l'ha già fatto Domenico.
Gliel'ho detto appena sono arrivata. E
il
giardiniere,
una
persona
incantevole».
«Certo, è una bella cosa essere
indipendenti, - disse Mrs Arbuthnot
un po' esitante, - e sapere esattamente
cosa si vuole».
«Sicuro,
si
evitano
molte
seccature», convenne Lady Caroline.
«Però non si dovrebbe essere così
indipendenti, — disse Mrs Wilkins, da non lasciare agli altri la possibilità
di dimostrare la loro gentilezza».
Lady Caroline, che aveva
guardato solo Mrs Arbuthnot, si volse
ora verso Mrs Wilkins. Quel giorno
in quel club bizzarro aveva avuto solo
un'impressione confusa di Mrs
Wilkins, perché aveva sempre parlato
l'altra, e questa le era parsa così
timida e impacciata che aveva
ritenuto meglio non badarle. Non era
neppure riuscita a salutare con
disinvoltura, ma era arrossita e aveva
fatto un saluto spento e impacciato.
Perciò adesso la guardò con un certo
stupore, e fu ancora più sorpresa
quando Mrs Wilkins aggiunse,
fissandola con la più sincera
ammirazione e parlando con una
convinzione che esigeva una risposta:
«Non mi ero accorta che foste così
bella».
Squadrò Mrs Wilkins: aveva
parlato in modo così diretto ed
esplicito che lei, per quanto abituata a
sentirselo dire - impossibile non
esserlo dopo ben ventotto anni rimase sorpresa da una simile
schiettezza da parte di una donna.
«Molto gentile da parte vostra»,
disse «Be', siete carina, - continuò
Mrs Wilkins, - davvero molto
carina».
«Spero, - disse Mrs Arbuthnot
amabilmente, - che sfruttiate al
meglio la vostra bellezza».
Allora Lady Caroline fissò Mrs
Arbuthnot. «Oh, sì, - disse, - al
meglio. L'ho sempre fatto per quanto
mi ricordi».
«Perché, - disse Mrs Arbuthnot
sorridendo e alzando l'indice in segno
di ammonimento, - non durerà».
A questo punto Lady Caroline
cominciò a temere che quelle due
fossero delle eccentriche. Se così era,
si sarebbe annoiata perché niente
l'annoiava tanto quanto le persone
che insistevano nel dimostrarsi
eccentriche,
che
arrivavano
e
attaccavano
bottone
facendole
perdere tempo con le loro stranezze.
E sarebbe stato davvero fastidioso se
la donna che l'ammirava l'avesse
seguita a ogni passo per guardarla.
Quel che voleva da questa vacanza
era fuggire completamente da tutto
ciò che aveva sempre avuto, voleva
riposarsi
in
una
situazione
assolutamente insolita. E per lei non
era insolito essere ammirata e seguita,
era un'abitudine; temeva inoltre che
ritrovarsi con due persone eccentriche
in cima a una collina scoscesa, in un
castello medievale costruito col
preciso scopo di impedire facili va e
vieni,
non
sarebbe
stato
particolarmente riposante. Forse
avrebbe fatto meglio a essere un po'
meno cordiale. Quel giorno al club le
erano sembrate entrambe creature
così timide, anche la bruna - non
riusciva a ricordare come si
chiamassero - che aveva pensato di
non correre rischi mostrandosi
amichevole. Ed ecco che qui erano
uscite dal loro guscio, di già; e subito.
Qui non c'era segno di timidezza in
nessuna delle due; se al primissimo
contatto erano subito uscite dal loro
guscio così rapidamente, se non le
teneva a freno, avrebbero cominciato
immediatamente a tormentarla, e
allora addio al suo sogno di trenta
giorni di riposo e di silenzio, distesa
beatamente al sole senza nessuno a
parlarle, nessuno a servirla, nessuno
per conquistarla e dirigerla, ma
potersi semplicemente riprendere
dalla stanchezza, dalla profonda e
melanconica stanchezza dell'eccesso.
E poi c'era Mrs Fisher.
Bisognava tenere a freno anche lei.
Lady Caroline era partita due giorni
prima del previsto per due ragioni:
innanzitutto voleva arrivare prima
delle altre per scegliere la stanza, o le
stanze, che preferiva, e poi aveva
pensato che altrimenti avrebbe dovuto
viaggiare con Mrs Fisher; e non
voleva né viaggiare né arrivare con
lei. Non capiva per quale ragione
avrebbe dovuto anche per un solo
attimo avere a che fare con Mrs
Fisher.
Purtroppo anche Mrs Fisher
nutriva il desiderio di arrivare a San
Salvatore per prima e di scegliere la
stanza, o le stanze, che preferiva e
alla fine lei e Lady Caroline
viaggiarono insieme. Già a Calais
cominciarono a sospettarlo, a Parigi
lo temettero, a Modane lo seppero
con certezza, a Mezzago fecero finta
di niente, dirigendosi a Castagneto
con due carrozze diverse, che quasi si
toccarono per tutto il tragitto. Ma
quando
la
strada
s'interruppe
improvvisamente, davanti alla chiesa
e agli scalini, fu impossibile
continuare a evitarsi, e di fronte a
quest'ultimo tratto del viaggio ripido
e difficoltoso furono costrette a unirsi.
A causa del bastone di Mrs
Fisher, Lady Caroline dovette
occuparsi di tutto. Mrs Fisher avrebbe
voluto essere attiva, spiegò dalla
carrozza quando la situazione le fu
chiara, ma il bastone le impediva di
attuare i suoi propositi. I due
vetturini dissero a Lady Caroline che
i bagagli dovevano essere portati al
castello dai ragazzini, e lei andò a
cercarne qualcuno mentre Mrs Fisher
aspettava nella carrozza a causa del
bastone. Mrs Fisher sapeva l'italiano,
come spiegò, tuttavia soltanto
l'italiano di Dante, che Matthew
Arnold soleva leggere con lei
quand'era ragazza, ma pensò che era
al di sopra delle possibilità dei
ragazzini. Perciò fu Lady Caroline,
che parlava molto bene l'italiano
corrente, a dover fare ogni cosa.
«Sono nelle vostre mani, - disse
Mrs Fisher sedendo saldamente nella
sua
carrozza.
Vi
prego,
consideratemi soltanto un'anziana
signora con il bastone».
E subito, giù per gli scalini e per i
ciottoli fino alla piazza, lungo il molo
e su per il sentiero a zigzag, Lady
Caroline fu costretta a camminare
lentamente con Mrs Fisher come se
fosse sua nonna.
«È il mio bastone», osservava a
tratti Mrs Fisher compiaciuta.
E quando si riposarono in quelle
curve del sentiero a zigzag dove
c'erano
delle
panchine,
Lady
Caroline, che avrebbe voluto mettersi
a correre e arrivare subito in cima, fu
obbligata dal comune senso di
umanità a rimanere con Mrs Fisher,
per via del suo bastone, e allora Mrs
Fisher le disse di come una volta
fosse stata per un sentiero a zigzag
con Tennyson.
«Non trovate che giochi a cricket
in modo meraviglioso?» disse Lady
Caroline distrattamente.
«Ho detto Tennyson», ripetè Mrs
Fisher, girandosi e osservandola per
un attimo da sopra gli occhiali.
«Non lo credete?» chiese Lady
Caroline.
«Sto parlando, - disse Mrs
Fisher, - di Alfred».
«Oh!» esclamò Lady Caroline.
«E curiosamente anche quel
sentiero, - continuò Mrs Fisher con
severità, - era simile a questo. Certo,
non c'era un eucalipto, ma per il resto
gli assomigliava curiosamente. E a
una curva lui si girò e mi disse… lo
vedo ancora mentre si gira e mi
dice…»
Sì, bisognava tenere a freno Mrs
Fisher, e altrettanto quelle due alla
finestra. Le conveniva cominciare
subito. Si pentì di aver abbandonato il
muretto, avrebbe dovuto limitarsi ad
agitare la mano aspettando che
fossero loro a scendere e a uscire in
giardino per venire da lei.
Ignorò pertanto l'osservazione e
l'indice alzato di Mrs Arbuthnot e
disse con freddezza marcata perlomeno tentò di marcarla - che
immaginava
dovessero
fare
colazione, mentre lei l'aveva già fatta;
ma era destino che per quanto
tentasse di parlare con freddezza,
ogni sua parola risuonasse calda e
piacevole. Questo perché aveva una
voce delicata e amichevole, dovuta
unicamente
alla
particolare
conformazione della gola e del palato,
e non aveva nulla a che fare con i suoi
sentimenti. In tal modo mai nessuno
si accorgeva di essere trattato male.
Era davvero seccante! Quando
lanciava sguardi gelidi, questi
apparivano tutt'altro che gelidi,
perché i suoi occhi, di per sé già
molto belli, erano abbelliti da ciglia
morbide, scure e lunghissime. Da
occhi come quelli non potevano
uscire sguardi gelidi, venivano
catturati dalla dolcezza delle ciglia e lì
si perdevano, e le persone che ella
guardava non potevano che sentirsi
osservate con un'attenzione intensa e
lusinghiera. E quando era di cattivo
umore oppure decisamente adirata - e
chi non lo sarebbe stato ogni tanto in
un mondo simile? - diventava così
commovente che tutti accorrevano a
consolarla, se possibile con dei baci.
E ancor più che seccante, un vero e
proprio tormento! La natura aveva
deciso che lei dovesse apparire e
suonare angelica, non le riusciva mai
di mostrarsi sgradevole o sgarbata
senza essere completamente fraintesa.
«Ho fatto colazione in camera
mia, - disse con la maggiore
asciuttezza possibile. - Magari ci
vediamo più tardi».
Fece un cenno col capo e tornò al
muretto, nel punto in cui era seduta
prima, con i gigli freschi che le
accarezzavano i piedi.
La seguirono con occhi colmi di
ammirazione, non avevano capito di
essere state snobbate. Certo era una
delusione scoprire che lei le aveva
precedute, che non avrebbero avuto il
piacere dei preparativi, di godersi la
sua faccia all'arrivo al vedere le cose
per la prima volta, ma restava ancora
Mrs Fisher. Si sarebbero concentrate
su Mrs Fisher perciò e avrebbero
guardato la sua, di faccia; tuttavia
avrebbero preferito, come tutti,
guardare quella di Lady Caroline.
A quel punto, visto che Lady
Caroline ne aveva parlato, avrebbero
fatto meglio ad andare a far
colazione, perché c'era troppo da fare
quel giorno per passare altro tempo
ammirando il panorama: bisognava
conoscere la servitù, visitare e
ispezionare la casa, e infine preparare
e abbellire la stanza per Mrs Fisher.
Agitarono le mani salutando
allegramente Lady Caroline, che
pareva assorta e non badò a loro, e
voltandosi si trovarono di fronte la
cameriera della sera prima che si era
avvicinata
alle
loro
spalle
silenziosamente, in pantofole di stoffa
con le suole di corda. Era Francesca,
la cameriera più anziana, che da anni
era presso il proprietario, così aveva
detto lui, e la cui presenza rendeva
superfluo l'inventario della casa; dopo
aver dato loro il buongiorno ed essersi
augurata che avessero dormito bene,
disse che la colazione era pronta nella
sala da pranzo al piano di sotto, e di
seguirla, che le avrebbe guidate.
Non capirono una sola parola
delle tante con cui Francesca infiorò
questa semplice informazione ma la
seguirono, perché almeno questo lo
avevano capito; scesero le scale,
attraversarono l'ampio atrio simile a
quello del piano di sopra, tranne che
per le porte a vetri che si aprivano sul
giardino invece della finestra, e
vennero introdotte nella sala da
pranzo; qui, seduta a capotavola
intenta a fare colazione, c'era Mrs
Fisher.
Questa volta si lasciarono
sfuggire un'esclamazione. Persino
Mrs Arbuthnot, sebbene si fosse
limitata a un «Oh!».
L'esclamazione di Mrs Wilkins
fu più articolata: «Insomma! È come
se ti togliessero il pane di bocca!»
esclamò.
«Salve! - disse Mrs Fisher. - Non
posso alzarmi per via del bastone». E
allungò la mano attraverso il tavolo.
Si fecero avanti e gliela strinsero.
«Non sapevamo foste qui», disse
Mrs Arbuthnot.
«Sì, - disse Mrs Fisher tornando
alla sua colazione. - Eccomi». E
ruppe con compostezza la parte
superiore del suo uovo.
«È
davvero
una
grande
delusione, - disse Mrs Wilkins. Volevamo darvi un bel benvenuto».
Questa, ricordò Mrs Fisher
osservandola per un attimo, è quella
che a Prince of Wales Terrace disse di
aver visto Keats. Doveva essere cauta
con lei, tenerla a freno sin dall'inizio.
Ignorò pertanto Mrs Wilkins e
disse seria, con un'espressione di
calma impenetrabile sul viso rivolto
verso il suo uovo: «Sì, sono arrivata
ieri con Lady Caroline».
«È tremendo, - disse Mrs Wilkins
come se non fosse appena stata
ignorata. - Non è rimasto nessuno a
cui preparare qualcosa. Mi sento
tarpata, come se mi avessero tolto il
pane di bocca proprio quando stavo
per mangiarmelo allegramente».
«Dove preferite sedervi?» chiese
Mrs Fisher a Mrs Arbuthnot,
esplicitamente a Mrs Arbuthnot; il
paragone con il pane le sembrò
particolarmente sgradevole.
«Oh, grazie…», disse Mrs
Arbuthnot,
sedendo
quasi
immediatamente accanto a lei.
Vi erano soltanto due posti in cui
si sarebbe potuta sedere, ai due lati di
Mrs Fisher, quindi lei ne occupò uno
e Mrs Wilkins quello di fronte.
Mrs Fisher sedeva a capotavola.
Il caffè e il té erano disposti intorno a
lei. E vero che dividevano equamente
le spese di San Salvatore, ma erano
state lei e Lotty, riflettè calma Mrs
Arbuthnot, a trovare il castello, a
darsi da fare per affittarlo e a decidere
di accettare Mrs Fisher. Senza di
loro, non potè fare a meno di pensare,
Mrs Fisher non si sarebbe trovata lì,
quindi moralmente era un'ospite. Fra
loro non c'era una padrona di casa,
ma dovendone scegliere una, questa
non sarebbe stata né Mrs Fisher né
Lady Caroline, ma lei o Lotty. Mrs
Arbuthnot non potè non pensarlo
mentre si sedeva e quando Mrs
Fisher, con la mano che aveva stretto
quella di Ruskin sospesa sui bricchi
davanti a lei, chiese: «Té o caffè?» E
ancora di più quando Mrs Fisher
suonò un piccolo gong accanto a lei
sul tavolo come se sin da piccola
fosse abituata a quel gong e a quel
tavolo, e all'apparire di Francesca le
ordinò con l'idioma di Dante di
portare altro latte. Mrs Fisher si
comportava in modo curioso, notò
Mrs Arbuthnot, come fosse la
padrona di tutto; e se non fosse stata
così
felice
si
sarebbe
forse
preoccupata.
Anche Mrs Wilkins lo notò, ma
la sua mente svagata non potè che
indurla a pensare cose strambe. Senza
dubbio, se fosse stata nervosa e
intimidita come l'ultima volta che
aveva visto Mrs Fisher, avrebbe
subito incominciato a dire delle cose
strambe, a ruota libera, in modo folle
e inarrestabile. Ma la felicità aveva
scacciato la timidezza e lei,
finalmente serena, riusciva ora a
controllare i suoi discorsi; non era più
costretta ad ascoltare inorridita se
stessa dire cose che al momento di
parlare non aveva intenzione di dire,
si sentiva spontanea e del tutto a suo
agio. La delusione di non aver potuto
preparare il benvenuto a Mrs Fisher si
era dileguata subito, perché era
impossibile provare a lungo una
delusione in paradiso. Né le
importava il suo comportarsi da
padrona. Lei e Mrs Arbuthnot,
perciò, si sedettero a fianco di Mrs
Fisher più volentieri di quanto
avrebbero fatto in altre occasioni, il
sole, attraverso le due finestre esposte
a est sulla baia, inondava il
pavimento e una porta aperta dava
sul giardino, che era colmo di delizie,
soprattutto di fresie.
La fragranza dolce e delicata
delle fresie entrò dalla porta e pervase
le narici estasiate di Mrs Wilkins. A
Londra le fresie erano al di sopra delle
sue possibilità; talvolta entrava in un
negozio e chiedeva il prezzo, solo per
poterne prendere un mazzo e sentire
il profumo, ben sapendo che
costavano una cifra spaventosa,
magari uno scellino per tre fiori. Qui
ce n'erano dappertutto, spuntavano in
ogni angolo e tappezzavano i roseti.
Incredibile!
Poter
raccogliere
bracciate di fresie, tante quante
volevi, con un sole stupendo che
inondava la stanza, indossare abiti
estivi, e si era solo al primo aprile!
«Vi rendete conto, vero, che
siamo in paradiso?» disse sorridendo
radiosamente a Mrs Fisher con
l'intimità di un angelo custode.
«Sono molto più giovani di
quanto avessi pensato, - pensò Mrs
Fisher, - e non così insignificanti». E
meditò per un attimo, senza badare
all'esuberanza di Mrs Wilkins, su
come quel giorno a Prince of Wales
Terrace si erano agitate subito
rifiutando di fornire o di accettare
qualsiasi referenza.
Niente
poteva
nuocerle,
naturalmente; niente e nessuno. Era
ben
barricata
nella
propria
rispettabilità. Alle sue spalle si
ergevano imponenti e terribili quei tre
grandi nomi che aveva offerto, e
questi non erano i soli a cui poteva
ricorrere per ottenere appoggio e
sostegno. Anche se queste giovani
donne - non aveva motivo di credere
che quella fuori in giardino fosse
davvero Lady Caroline Dester, dopo
tutto l'aveva solo sentito dire - anche
se queste giovani donne fossero
risultate quel che Browning era solito
definire farfalle notturne - come
ricordava bene il suo modo divertente
e delizioso di descrivere le cose - cosa
le
sarebbe
importato?
Che
svolazzassero pure tutta la notte, se lo
desideravano.
Non
aveva
sessantacinque anni per niente. E
comunque sarebbe durato solo
quattro settimane, al termine delle
quali non le avrebbe mai più riviste. E
nel frattempo qui non mancavano i
luoghi dove avrebbe potuto starsene a
sedere tranquilla, lontano da loro, a
ricordare. Vi era un salotto tutto per
lei, un bellissimo salotto con mobili
color miele e molti quadri, con le
finestre affacciate sul mare verso
Genova e una porta che si apriva sui
merli. La casa aveva due salotti, e lei
aveva spiegato a Lady Caroline,
quella bella creatura - davvero bella,
chiunque ella fosse, Tennyson si
sarebbe divertito a portarla in giro per
la campagna - che forse ambiva ad
appropriarsi della stanza color miele,
che aveva bisogno di un piccolo
rifugio tutto per sé, a causa del
bastone.
«A nessuno piace vedere in giro
una donna anziana che zoppica, -
aveva detto. - Sarei felice di poter
trascorrere la maggior parte del tempo
qui da sola, oppure seduta fuori su
quei comodi merli».
E anche la camera da letto era
molto carina: guardava in due
direzioni, sulla baia illuminata dal
sole del mattino - le piaceva il sole del
mattino - e sul giardino. Nella casa vi
erano solo due camere da letto con la
doppia vista, avevano scoperto lei e
Lady Caroline, e queste erano di gran
lunga le più ariose. Ognuna aveva
due letti, e loro avevano subito fatto
spostare in altre due stanze i letti in
più; in questo modo c'era molto più
spazio e si stava più comodi. Lady
Caroline,
in
pratica,
aveva
trasformato la sua camera da letto in
un salotto, prendendo dal soggiorno
principale il divano, lo scrittoio e la
sedia più comoda, Mrs Fisher invece
non ebbe bisogno di farlo perché
aveva
un
salotto
personale,
ammobiliato con tutto il necessario.
All'inizio Lady Caroline aveva
pensato di prendere per sé il salone
principale, tra un pasto e l'altro le
altre due persone potevano benissimo
stare sedute nella sala da pranzo del
piano inferiore, una stanza molto
piacevole con delle belle sedie, ma
non le era piaciuta la forma del
salone, una stanza rotonda ricavata
nella torre, con profonde feritoie che
si aprivano nelle mura massicce, un
soffitto cordonato a cupola fatto
apposta per assomigliare a un
ombrello aperto e inoltre sembrava un
po' buia. Lady Caroline aveva
guardato con desiderio la stanza color
miele, e se solo Mrs Fisher fosse stata
meno risoluta, vi si sarebbe insediata
lei. Cosa del tutto assurda.
«Mi auguro, - disse Mrs
Arbuthnot sorridendo e tentando di
far capire a Mrs Fisher che per quanto
lei,
Mrs
Fisher,
non
fosse
propriamente un'ospite, tuttavia non
aveva di certo il diritto di comportarsi
da padrona di casa, - che la vostra
stanza sia comoda».
«Lo è proprio, - disse Mrs Fisher,
- gradite altro caffè?»
«No grazie, e voi?»
«No grazie. Nella mia camera
c'erano due letti che la riempivano
inutilmente e ne ho fatto togliere uno.
Così va molto meglio».
«Oh, ecco perché io ho due letti
in camera!», esclamò Mrs Wilkins,
illuminata; un secondo letto in quella
sua stanza piccola era parso subito un
oggetto innaturale e fuori luogo.
«Non ho dato istruzioni precise, disse Mrs Fisher rivolgendosi a Mrs
Arbuthnot, - ho solo chiesto a
Francesca di spostarlo».
«Ma anch'io ho due letti in
camera!» disse Mrs Arbuthnot. «Il
secondo dev'essere quello di Lady
Caroline, anche lei ne ha fatto togliere
uno, - disse Mrs Fisher. - È stupido
avere nella stanza più letti di quelli
che servono».
«Ma neanche noi siamo qui con i
nostri mariti, - disse Mrs Wilkins, - e
non vedo la ragione di tenere un letto
in più in camera se non c'è un marito
da metterci. Non potremmo spostarli
anche noi?»
«Non si può spostare i letti da
una stanza all'altra, - puntualizzò Mrs
Fisher con freddezza. - Devono pur
stare in qualche posto».
Mrs Fisher trovava infelice ogni
osservazione di Mrs Wilkins, ogni
volta che apriva bocca diceva
qualcosa che sarebbe stato meglio non
dire. Nella cerchia di Mrs Fisher le
chiacchiere sui mariti non erano mai
state apprezzate. Negli anni ottanta,
il suo periodo di maggior rigoglio, i
mariti venivano presi sul serio, come
unici veri ostacoli al peccato. Anche i
letti, se proprio si dovevano
menzionare, venivano trattati con
cautela, e con decoroso riserbo si
evitava sempre di parlare di letti e
mariti in una sola volta.
Si rivolse esplicitamente a Mrs
Arbuthnot. «Permettetemi di offrirvi
ancora un po' di caffè», disse.
«No, grazie. E voi non ne
gradireste ancora un po'?»
«No davvero. A colazione non
prendo mai più di due tazze.
Desiderate un'arancia?»
«No, grazie, e voi?»
«No, non mangio frutta a
colazione. È una moda americana
che sono troppo vecchia per seguire.
Volete qualcos'altro?»
«Assolutamente no. E voi?»
Mrs Fisher fece una pausa prima
di rispondere. Che fosse un'abitudine,
questo trucco di rispondere a una
domanda con la stessa domanda? Se
era così, bisognava provvedere,
perché nessuno poteva vivere quattro
settimane in pace assieme a persone
con una simile abitudine.
Osservò Mrs Arbuthnot: i suoi
capelli con la scriminatura e
l'espressione gentile la rassicurarono.
No, era il caso, non l'abitudine che
aveva generato questi echi. Pensò che
le abitudini di Mrs Arbuthnot non
potessero essere più fastidiose di
quelle di una colomba. E riflettendo
su di lei, immaginò che moglie ideale
sarebbe stata per il povero Carlyle. Di
gran lunga migliore di quella orribile
intelligentona di Jane. Lo avrebbe
consolato.
«Allora
possiamo
andare?»
suggerì.
«Lasciate che vi aiuti ad alzarvi»,
disse
Mrs
Arbuthnot,
tutta
premurosa.
«Oh,
grazie…
ci
riesco
perfettamente. Solo ogni tanto il
bastone mi impedisce di…»
Mrs Fisher si alzò con estrema
facilità, Mrs Arbuthnot si era
preoccupata inutilmente.
«Io invece mangerò uno di queste
splendide arance», disse Mrs Wilkins,
rimanendo dov'era e allungandosi
verso un vassoio nero che ne era
colmo. «Rose, come fai a resistere.
Guarda… guarda questa! Mangia
questa, è stupenda…» E gliene porse
una molto grande.
«No, devo occuparmi di alcune
faccende, - disse Mrs Arbuthnot,
avviandosi verso la porta. - Mi
perdonate se vi lascio, vero?»
aggiunse con gentilezza rivolgendosi
a Mrs Fisher.
Anche Mrs Fisher si avviò alla
porta; con estrema facilità, quasi
velocemente; il bastone non la
intralciò affatto. Non aveva alcuna
intenzione di rimanere sola con Mrs
Wilkins.
«A che ora vorreste pranzare?» le
chiese Mrs Arbuthnot, cercando di
tenersi a galla e di sembrare, se non
proprio la padrona di casa, almeno
non un'ospite.
«Il pranzo, - disse Mrs Fisher, - è
alle dodici e trenta».
«Allora mangeremo alle dodici e
trenta, - disse Mrs Arbuthnot, - lo dirò
alla cuoca. Sarà una lotta dura, continuò, sorridendo, - ma ho portato
un dizionarietto…»
«La cuoca, - disse Mrs Fisher, lo sa».
«Come?» fece Mrs Arbuthnot.
«Gliel'ha
già
detto
Lady
Caroline», disse Mrs Fisher.
«Come?» ripetè Mrs Arbuthnot.
«Sì. Lady Caroline parla un
italiano che i cuochi riescono a
capire. Il bastone mi impedisce di
entrare in cucina, e anche se riuscissi
ad andarci, temo che non mi
capirebbero».
«Ma…», iniziò Mrs Arbuthnot.
«Ma è troppo stupendo!»
Concluse per lei Mrs Wilkins dal
tavolo, ben lieta che la sua vita e
quella di Rose fossero così ina
spettatamente semplificate. «Be', qui
non abbiamo praticamente nulla da
fare, né l'una né l'altra, se non essere
felici. Non ci credereste, - disse,
girandosi e rivolgendosi direttamente
a Mrs Fisher, con pezzetti di arancia
in entrambe le mani, - quanto Rose e
io siamo state tremendamente buone
per anni e anni, senza interruzione, e
quanto adesso abbiamo bisogno di
assoluto riposo».
E Mrs Fisher, uscendo dalla
stanza senza risponderle, disse a se
stessa: «Bisognerà assolutamente
tenerla a freno».
Appena Mrs Wilkins e Mrs
Arbuthnot, sgravate di ogni dovere,
cominciarono ad andarsene in giro,
giù per gli scalini di pietra consumata
e sotto il pergolato fino al giardino
più in basso, Mrs Wilkins disse a Mrs
Arbuthnot, che pareva pensierosa:
«Non credi che se c'è qualcun altro a
dare gli ordini noi saremo più libere?»
Mrs Arbuthnot disse che era
vero, ma che nondimeno trovava
sciocco lasciarsi togliere di mano
ogni cosa.
«Adoro farmi togliere le cose di
mano», disse Mrs Wilkins.
«Ma siamo state noi a trovare
San Salvatore, - disse Mrs Arbuthnot,
- ed è davvero stupido che Mrs Fisher
si comporti come se appartenesse
soltanto a lei».
«Quel che trovo stupido, - disse
Mrs Wilkins con grande serenità, - è
preoccuparsi. Non vedo alcun
vantaggio nell'esercitare il potere a
prezzo della propria libertà».
Al che Mrs Arbuthnot non
rispose nulla per due ragioni:
innanzitutto fu colpita dalla calma
crescente e ammirevole di Lotty, che
finora era stata incoerente ed eccitata,
e poi per la singolare bellezza di quel
che stava guardando.
Su entrambi i lati della scalinata
di pietra vi erano pervinche in fiore, e
adesso riusciva a vedere quel che la
notte prima le era venuto addosso,
umido e profumato, carezzandole il
viso. Era glicine. Glicine e sole…
ricordò l'annuncio. Di certo qui ce
n'era a profusione. Il glicine ricadeva
su se stesso in un eccesso di vitalità,
in una prodigalità di fioritura; e dove
finiva il pergolato il sole splendeva su
cespugli di gerani scarlatti, masse di
nasturzi, calendole così accese che
pareva stessero bruciando, bocche di
leone rosse e rosa, tutti uno più bello
dell'altro per la vivacità e la forza dei
colori. Oltre questo spettacolo
fiammeggiante il terreno degradava a
terrazze verso il mare, e ogni terrazza
era un piccolo frutteto dove tra gli
ulivi crescevano le viti sui graticci,
alberi di fico, peschi e ciliegi. I ciliegi
e i peschi erano in fiore:
un'incantevole cascata di bianco e di
rosa intenso tra la delicatezza
tremolante degli ulivi; le foglie di fico
erano già grandi a sufficienza da
emanare il loro profumo, i germogli
di vite facevano appena capolino.
Sotto queste piante vi erano gruppi di
iris blu e viola, cespugli di lavanda e
cactus verdi e acuminati, e l'erba era
fitta di denti di leone e margherite, e
proprio giù in fondo c'era il mare.
Pareva che avessero rovesciato
ovunque del colore: di ogni genere, in
gran quantità, a fiumi - pervinche
sembrava che ne avessero rovesciate a
profusione ai lati della scalinata - e
fiori che in Inghilterra crescevano
soltanto nelle aiuole, fiori superbi,
come i grandi iris blu e la lavanda,
che lassù se ne stavano in disparte,
qui si accalcavano con molti altri più
comuni, piccoli e lucenti, come i
denti di leone, le margherite e la
campanule bianche della cipolla
selvatica, e pareva che non potessero
esistere un colore più bello e una
vegetazione più rigogliosa.
Rimasero in piedi a guardare in
silenzio questa incantevole varietà,
questa felice mescolanza. No, quel
che faceva Mrs Fisher non importava,
non qui, non tra una tale bellezza. Il
turbamento di Mrs Arbuthnot si
dileguò. Come rimanere turbati nel
calore e nella luce di quel che vedeva,
di quanto per lei era una
manifestazione,
un
aspetto
interamente nuovo di Dio? Se solo
Frederick fosse stato con lei, se anche
lui avesse visto tutto questo, con gli
occhi dei primi tempi del loro amore,
quando vedeva quel che lei vedeva, e
amava quel che lei amava…
Sospirò.
«Non si sospira in paradiso, disse Mrs Wilkins, - non bisogna
farlo».
«Pensavo come si vorrebbe
dividere tutto questo con la persona
amata», disse Mrs Arbuthnot.
«Non si deve avere desideri in
paradiso, - disse Mrs Wilkins. - Si
dovrebbe
essere
assolutamente
perfetti. Questo è il paradiso, non
credi Rose? Guarda come tutto
convive in armonia, - i denti di leone
e gli iris, il comune e il superiore, io e
Mrs Fisher - ogni cosa è benvenuta,
tutto è ben assortito e visibilmente
felice e ci dà gioia».
«Mrs Fisher non sembra felice…
perlomeno non lo dà a vedere», disse
Mrs Arbuthnot sorridendo.
«Comincerà presto, vedrai».
Mrs Arbuthnot disse che non
credeva che dopo una certa età le
persone
potessero
cominciare
qualcosa.
Mrs Wilkins disse che era sicura
che nessuno, per quanto vecchio e
irrigidito, poteva resistere agli effetti
della bellezza assoluta. Non sarebbero
passati molti giorni, forse neppure
molte ore, e Mrs Fisher sarebbe
scoppiata
in
un'esuberanza
incontrollabile. «Sono certa, - disse
Mrs Wilkins, - che siamo in paradiso,
e non appena Mrs Fisher si accorgerà
di dove è finita, sarà costretta a
cambiare. Vedrai, smetterà di essere
così inflessibile e diventerà dolce e
arrendevole, e noi… be', non mi
sorprenderebbe che arrivassimo a
volerle molto bene».
L'idea che Mrs Fisher potesse
scoppiare in qualcosa, lei che
sembrava incrollabile e sempre
rigidamente abbottonata, fece ridere
Mrs Arbuthnot. Perdonò a Lotty quel
suo modo leggero di chiacchierare del
paradiso, giacché in un luogo simile,
in una tale mattina, il perdono era
nell'aria. E in quelle circostanze, chi
non l'avrebbe fatto!
Lady Caroline, che sedeva sul
muretto dove l'avevano lasciata prima
di colazione, quando sentì le risate
lanciò loro un'occhiata e le vide sul
sentiero sotto di lei; ritenne una
fortuna che se ne stessero laggiù a
ridere e non fossero salite accanto a
lei. Non amava in genere le risate, ma
al mattino addirittura le odiava,
soprattutto
se
erano
vicine,
soprattutto se le ronzavano nelle
orecchie. Si augurò che le due
eccentriche signore stessero per
andare a fare una passeggiata, e che
non fossero già di ritorno. Ridevano
sempre di più. Cosa poteva esserci
tanto da ridere?
Guardò verso di loro con il volto
serio, poiché il pensiero di trascorrere
un mese assieme a delle persone
ridanciane era ben triste e loro, come
se si fossero sentite addosso i suoi
occhi, d'un tratto si girarono di scatto
e guardarono verso l'alto.
Com'era terribile la giovialità di
quelle donne…
Tentò di sfuggire ai loro sorrisi e
ai gesti di saluto, ma non poteva
sottrarsi alla loro vista se non
sprofondando tra i gigli. Non rispose
né con un sorriso né con un saluto,
ma volse lo sguardo alle montagne
lontane continuando a tenerle
d'occhio prudentemente, fino a che le
due,
stanche di
salutare,
si
allontanarono lungo il sentiero,
voltarono l'angolo e scomparvero.
Questa volta tutte e due si
accorsero di non essere state neppure
ricambiate.
«Se non fossimo in paradiso, disse Mrs Wilkins serenamente, direi che siamo state trattate male, ma
siccome là nessuno può trattar male
nessuno, di certo non è accaduto».
«Forse è infelice», disse Mrs
Arbuthnot.
«Comunque sia, stando qui le
passerà», disse Mrs Wilkins convinta.
«Dobbiamo provare ad aiutarla»,
disse Mrs Arbuthnot.
«Oh, ma in paradiso non ci si
aiuta. È tutto superato. Non si cerca
di essere o di fare. Semplicemente si
è».
Mrs Arbuthnot non voleva
approfondire, non qui, non oggi. Il
vicario, lo sapeva bene, avrebbe
definito frivoli i discorsi di Lotty, se
non addirittura blasfemi. Come
sembrava vecchio il vicario da qui,
vecchio, molto vecchio.
Abbandonarono il sentiero e si
avventurarono giù per le terrazze
d'ulivi, sempre più giù fino in fondo,
dove il mare caldo e sonnacchioso si
gonfiava dolcemente tra gli scogli. Lì
un pino era cresciuto vicino all'acqua.
Si sedettero alla sua ombra e alcuni
metri più in là un peschereccio verde
e
panciuto
giaceva
immobile
sull'acqua.
Ai
loro
piedi
le
increspature del mare producevano
piccoli gorgoglii. Strizzarono gli
occhi per riuscire a vedere, in piena
luce,
oltre l'ombra dell'albero.
Sentivano sul viso l'odore forte degli
aghi di pino e dei cuscinetti di timo
selvatico che imbottivano gli spazi tra
gli scogli, e talvolta un odore intenso
di miele proveniva da un gruppo di
iris caldi di sole alle loro spalle. Mrs
Wilkins si tolse subito scarpe e calze e
mise i piedi nell'acqua. Dopo averla
osservata per un po', Mrs Arbuthnot
fece lo stesso. A quel punto la loro
felicità era perfetta; i loro mariti non
le avrebbero riconosciute. Smisero di
parlare e di menzionare il paradiso:
erano come vasi aperti a ogni dono.
Intanto Lady Caroline, sempre
sul muretto, stava considerando la
sua situazione. Il giardino in cima
alle mura era delizioso, ma il luogo in
cui era situato lo rendeva insicuro e
privo di ripari. In qualsiasi momento
poteva arrivare chiunque e pretendere
di usarlo, perché sia il salone sia la
sala da pranzo si
aprivano
direttamente su di esso. Forse, pensò
Lady Caroline, poteva fare in modo
che diventasse soltanto suo. Mrs
Fisher aveva i merli rallegrati dai
fiori, e una torre d'osservazione tutta
per sé, oltre a essersi presa l'unica
stanza davvero bella della casa.
C'erano moltissimi posti in cui le due
eccentriche sarebbero potute andare,
lei stessa aveva visto almeno altri due
giardinetti, mentre la collina su cui si
ergeva il castello era di per sé un
giardino, con sentieri e luoghi in cui
sedersi. Perché questo posto non
sarebbe
potuto
diventare
esclusivamente suo? Le piaceva, le
piaceva più di tutti gli altri.
Possedeva l'albero di Giuda e un pino
a ombrello, le fresie e i gigli, una
tamerice
che
cominciava
ad
accendersi di rosa, un comodo
muretto su cui sedersi e sui tre lati un
panorama tra i più stupendi: a est la
baia e le montagne, a nord il paese,
situato oltre l'acqua verde, limpida e
tranquilla del porticciolo e le colline
punteggiate di case bianche e di
boschetti di aranci, a ovest la sottile
striscia di terra attraverso la quale San
Salvatore
era
collegato
alla
terraferma, e poi il mare aperto e la
costa oltre Genova, che si stendeva
fino a perdersi nell'azzurra oscurità
della Francia. Sì, avrebbe detto che
voleva questo angolo tutto per sé. Era
ragionevole che ognuna di loro avesse
un luogo proprio in cui sedere e
starsene in disparte. Era essenziale
per la sua tranquillità potersene stare
in disparte, rimanere da sola, senza
che nessuno le parlasse. Anche le altre
avrebbero dovuto preferirlo. Perché
dover stare insieme? Già in
Inghilterra
era
diventato
insopportabile dover sempre stare con
parenti e amici - oh, quanti! - che
incalzavano ininterrottamente. Dopo
essere riuscita a sfuggire loro per
quattro settimane, perché continuare
a unirsi, e a persone che non avevano
il minimo diritto su di te?
Accese
una
sigaretta.
Incominciava a sentirsi sicura. Quelle
due erano andate a fare una
passeggiata e non c'era traccia di Mrs
Fisher. Com'era piacevole!
Qualcuno uscì dalla porta a vetri,
proprio mentre stava tirando un
profondo
sospiro
di
sollievo
sentendosi al sicuro. Non poteva
certo essere Mrs Fisher che
desiderava sedere con lei. Mrs Fisher
aveva i suoi merli; avrebbe dovuto
rimanere là, visto che se n'era
impossessata.
Sarebbe
stato
estremamente irritante se non l'avesse
fatto, se non solo avesse voluto tenere
i merli e il salotto, ma anche
insediarsi in questo giardino.
No, non era Mrs Fisher, era la
cuoca.
Aggrottò le ciglia. Avrebbe
dovuto continuare lei a dare
disposizioni per i pasti? Di certo
adesso l'avrebbe fatto una di quelle
due donne che agitavano le mani per
salutarla.
La cuoca, che aveva aspettato in
cucina con crescente agitazione,
vedendo che l'orologio si avvicinava
all'ora di pranzo mentre lei ancora
non sapeva che cosa cucinare, era
andata infine da Mrs Fisher, che
l'aveva subito mandata via con un
gesto. Aveva quindi vagato per la
casa in cerca di una padrona, di una
qualsiasi padrona che le dicesse che
cosa cucinare, e non aveva trovato
nessuno;
poi,
indirizzata
da
Francesca che sapeva sempre dove si
trovassero tutti, era uscita per venire
da Lady Caroline.
Era stato Domenico a procurare
questa cuoca. Si chiamava Costanza
ed era la sorella di un suo cugino che
aveva un ristorante giù in piazza.
Quando non aveva altri lavori aiutava
il fratello in cucina e conosceva tutti
quei piatti italiani grassi e misteriosi
che amavano mangiare i lavoratori di
Castagneto
che
affollavano
il
ristorante a mezzogiorno e gli
abitanti
di
Mezzago
quando
arrivavano la domenica. Era una
zitella ossuta di cinquant'anni con i
capelli grigi, sveglia e loquace.
Pensava che Lady Caroline fosse la
persona più bella che avesse mai visto
e della stessa opinione erano
Domenico e Giuseppe, il ragazzo che
lo aiutava e che, tra l'altro, era suo
nipote, e anche Angela, la ragazza
che aiutava Francesca e che pure era
nipote di Domenico, e con loro la
stessa Francesca. Domenico e
Francesca, i soli ad aver visto le due
signore arrivate per ultime, le
trovavano molto belle, ma in
confronto alla giovane signora bionda
arrivata per prima erano come
candele accanto alla luce elettrica che
era stata appena installata, erano
come le tinozze di stagno nelle
camere da letto accanto a quei bagni
nuovi e stupendi che il loro padrone
aveva fatto sistemare durante la sua
ultima visita.
Lady Caroline lanciò uno
sguardo torvo alla cuoca. Lo sguardo,
come di consueto, fu trasformato nel
tragitto in ciò che apparve una serietà
assorta e armoniosa, e Costanza alzò
le mani al cielo e ad alta voce prese a
testimoni i santi che qui c'era il
ritratto della Vergine.
Lady Caroline le chiese in malo
modo cosa volesse, e Costanza
inclinò il capo per il piacere di
ascoltare la pura musica della sua
voce. Dopo aver atteso un attimo nel
caso la musica continuasse, perché
non voleva perderne una nota, disse
che aspettava ordini e che era già
stata dalla madre della Signorina{4},
ma invano.
«Non è mia madre», sottolineò
Lady Caroline con una rabbia che
suonò come il lamento melodioso di
un orfano sconsolato.
Costanza le riversò tutta la sua
compassione. Anche lei, spiegò, era
senza madre…
Lady Caroline la interruppe
informandola seccamente che sua
madre era a Londra viva e vegeta.
Costanza ringraziò Dio e tutti i
santi che la giovane signora non
sapesse ancora cosa significasse
essere senza madre. Le disgrazie
accadevano sempre quando meno le
si aspettava; senza dubbio la giovane
signora aveva già un marito.
«No», disse Lady Caroline
gelidamente. Più ancora delle risate di
mattina odiava l'idea di un marito. E
tutti
cercavano
sempre
di
affibbiargliene uno, i parenti, gli
amici, i giornali della sera. In fin dei
conti, poteva sposarne uno soltanto,
ma dal modo in cui tutti ne
parlavano, e specialmente chi voleva
essere suo marito, veniva da pensare
che ne avrebbe potuti sposare almeno
una dozzina.
Il suo «no» debole e patetico si
guadagnò tutta la comprensione di
Costanza che stava in piedi accanto a
lei.
«Povera
piccola,
disse
Costanza, così commossa da darle
colpetti di incoraggiamento sulla
spalla, - abbiate speranza. C'è ancora
tempo».
«Per pranzo, - disse Lady
Caroline
con
tono
glaciale,
meravigliandosi mentre parlava dei
colpetti che riceveva, lei che si era
data così tanta pena per venire in un
luogo remoto e misterioso, in cui era
certa che tra le altre cose che la
opprimevano non ci sarebbero stati
neanche i colpetti sulla spalla, - per
pranzo farete…»
Costanza divenne efficiente e la
interruppe con suggerimenti tutti
eccellenti e tutti costosi.
Lady Caroline non sapeva che
fossero costosi, e li accettò senza
pensarci.
Sembravano
molto
invitanti; comprendevano ogni tipo
di frutta e di verdura fresca, molto
burro, una gran quantità di panna e
un numero incredibile di uova. Alla
fine Costanza disse con entusiasmo,
come tributo a questa disponibilità,
che tra le molte signore e signori per
cui aveva lavorato saltuariamente
come adesso, quelli che preferiva
erano le signore e i signori inglesi.
Non solo li preferiva, ma provava per
loro una vera e propria devozione:
sapevano che cosa ordinare, non
lesinavano e si astenevano dallo
sfruttare i poveri.
Lady Caroline dedusse di essere
stata troppo prodiga, e diede subito
ordine di annullare la panna.
Il viso di Costanza si rabbuiò
perché un suo cugino aveva una
mucca e alla panna avrebbero
provveduto loro.
«E
forse
sarebbe
meglio
rinunciare al pollo», disse Lady
Caroline.
Il viso di Costanza si rabbuiò
ancora di più perché suo fratello
teneva i polli nel cortile sul retro del
ristorante, e molti erano pronti per
essere uccisi.
«E non comprate neanche le
fragole fino a che non mi sono
consultata con le altre signore», disse
Lady Caroline, ricordando che era
solo il primo aprile e che magari le
due persone di Hampstead erano
povere, anzi, lo erano di sicuro,
altrimenti
perché
vivere
ad
Hampstead? «Non sono io la padrona
di casa qui».
«E quella anziana?» chiese
Costanza, scura in viso.
«No», disse Lady Caroline.
«E quale delle altre due signore?»
«Nessuna», disse Lady Caroline.
Allora
Costanza
tornò
a
sorridere, perché la giovane signora
stava prendendosi gioco di lei e le
faceva uno scherzo. Glielo disse, nel
suo fare amichevole tipicamente
italiano e fu sinceramente contenta.
«Non faccio mai scherzi, - disse
secca Lady Caroline. - Fareste meglio
ad andare, altrimenti il pranzo non
sarà pronto per le dodici e trenta».
Queste parole brusche le uscirono
con un suono così dolce che Costanza
le interpretò come complimenti,
dimenticò la propria delusione per la
panna e i polli, e se ne andò
sorridendo piena di gratitudine.
«Non accadrà mai più niente di
simile, - pensò Lady Caroline. - Non
sono venuta qui per occuparmi della
casa, e non voglio farlo».
Richiamò Costanza, che venne
di corsa. Il suono del suo nome
pronunciato da quella voce la
ammaliava.
«Oggi ho dato io gli ordini per il
pranzo, - disse Lady Caroline con
quel viso serio da angelo, che aveva
quand'era arrabbiata, - e anche per la
cena, ma d'ora innanzi dovrete
rivolgervi a una delle altre signore. Io
non lo farò più».
L'idea di continuare a dare ordini
era davvero assurda. A casa non ne
dava mai, là nessuno si sarebbe
sognato di chiederle di fare qualcosa.
Era ridicolo che qui le venisse affidata
un'occupazione tanto noiosa solo
perché sapeva l'italiano. Che fossere
le due eccentriche a dare gli ordini, se
si rifiutava Mrs Fisher, la quale
peraltro era stata sicuramente
designata dalla natura a tal fine;
aveva infatti l'aria della persona
competente in faccende domestiche, i
suoi abiti erano gli abiti di una donna
di casa, così come il modo in cui si
pettinava.
Avendo pronunciato il suo
ultimatum con asprezza, che diventò
subito
dolce,
e
avendolo
accompagnato
con
un
gesto
perentorio di commiato, che aveva la
grazia e l'affettuosità di una
benedizione, la infastidiva che
Costanza
rimanesse
in
piedi
immobile con la testa inclinata
continuando a fissarla compiaciuta.
«Oh, se ne vada!» esclamò Lady
Caroline in inglese, improvvisamente
esasperata.
Quella mattina una mosca nella
sua camera da letto l'aveva
tormentata
come
faceva
ora
Costanza; era una soltanto, ma
potevano essere mille da quanto
l'aveva infastidita sin dalle prime ore
dell'alba. Voleva posarsi sul suo viso,
e
lei
proprio
non
voleva
permetterglielo. La sua insistenza era
incredibile; l'aveva svegliata e non le
permise più di dormire. Allora cercò
di colpirla, ma la mosca le sfuggì
tranquillamente e senza sforzo, con
noncuranza quasi palese, e lei colpì
soltanto se stessa. Ritornò dopo un
attimo e con un forte ronzio si posò
sulla sua guancia. Lei cercò ancora di
colpirla e si fece male, mentre la
mosca svolazzava via elegantemente.
Perse la pazienza, si sedette nel letto e
aspettò, cercando il momento per
infliggerle il colpo fatale. Continuò a
colpirla con furia crescente e con tutte
le sue forze, come se fosse un nemico
reale che tentava deliberatamente di
farla impazzire; e sempre, a ogni
colpo, la mosca svolazzava via senza
neppure arrabbiarsi, per fare ritorno
un attimo dopo; e ogni volta riusciva
a posarsi sul viso, del tutto incurante
di essere stata scacciata tutte quelle
volte. Ecco la ragione per la quale si
era vestita ed era uscita così presto.
Aveva subito detto a Francesca di
sistemare una zanzariera sul letto,
perché non aveva intenzione di
lasciarsi infastidire un'altra volta in
quel modo. Le persone erano
esattamente come le mosche; avrebbe
desiderato delle zanzariere per tenere
lontano anche loro. Cercava di
colpirle a parole e aggrottando le
ciglia ma, come la mosca, sfuggivano
incolumi ai suoi colpi. Peggio ancora
della mosca, sembravano non
accorgersi nemmeno dei suoi tentativi
di colpirle. La mosca almeno se ne
andava via per un attimo, mentre
l'unico modo per liberarsi degli esseri
umani era di andarsene via lei. Ecco
quel che, essendo così stanca, aveva
deciso di fare questo aprile; ma una
volta arrivata a San Salvatore e
appreso ogni particolare della vita che
vi si conduceva, le sembrò che anche
qui non sarebbe stata lasciata in pace.
Da
lontano,
da
Londra,
sembrava che a San Salvatore non ci
fossero particolari da considerare,
pareva un vuoto assoluto e
incantevole. Tuttavia, dopo sole
ventiquattro ore, stava scoprendo
come fosse tutt'altro che un vuoto, e
come lei fosse costretta a proteggersi
con la forza di sempre. Era già stata
tormentata abbastanza. Mrs Fisher
l'aveva tormentata per quasi tutto il
giorno precedente e questa mattina
non aveva avuto pace, non era stata
sola neppure dieci minuti di seguito.
Certo, Costanza dopo un po' se
n'era dovuta andare a cucinare, ma si
era appena allontanata quando giunse
Domenico. Veniva a innaffiare e a
legare le piante. In questo non c'era
niente di strano dato che era il
giardiniere, ma innaffiò e legò tutte
quelle che si trovavano più vicino a
lei, le gironzolò intorno con
insistenza sempre maggiore, innaffiò
a dismisura e legò piante dritte e salde
come frecce. Se non altro, essendo un
uomo, non era così fastidioso, e in
risposta al suo buongiorno radioso
ricevette un sorriso, al che Domenico
dimenticò famiglia, moglie, madre, i
figli già grandi e tutti i suoi doveri, e
desiderò soltanto baciare i piedi di
questa giovane signora.
Non poteva farlo, purtoppo, ma
lavorando poteva parlare e lo fece in
modo
prolisso,
rivelando
informazioni di ogni genere e
illustrando ciò che diceva con gesti
così animati che fu costretto a posare
l'innaffiatoio
rimandando
l'innaffiatura.
Lady Caroline per un po' lo
sopportò, ma poi non ne fu più
capace, e poiché lui non si decideva
ad andarsene e lei non poteva dirgli di
farlo, visto che era impegnato nel suo
lavoro, ancora una volta fu lei a
doversi allontanare.
Scese dal muretto e si diresse
dall'altra parte del giardino, dove
sotto una tettoia di legno c'erano
alcune comode poltroncine di bambù.
Tutto ciò che desiderava era voltarne
una, girando le spalle a Domenico, e
guardare il mare verso Genova. Era
un desiderio così piccolo! Pareva
facile da esaudire. Invece lui, che
osservava ogni suo movimento,
appena vide che si avvicinava alle
poltroncine si lanciò dietro di lei, ne
prese una e chiese dove dovesse
posarla.
Si sarebbe mai liberata di chi la
servisse, di chi la facesse sentire
comoda, di chi le chiedesse dove
preferiva le cose, dal dover
ringraziare? Fu molto brusca con
Domenico, che concluse che il sole le
avesse fatto venire mal di testa, corse
dentro a prenderle un parasole, un
cuscino e un poggiapiedi, e si
dimostrò straordinariamente utile, un
gentiluomo innato.
Lei chiuse gli occhi con
rassegnazione. Non poteva essere
sgarbata con Domenico, non poteva
alzarsi ed entrare come avrebbe fatto
se si fosse trattato di qualcun altro.
Domenico era intelligente e abile. Si
era accorta subito che era lui a
mandare avanti la casa, a occuparsi
di tutto. Il suo modo di fare era
senz'altro
gradevole
ed
era
indubbiamente
una
persona
affascinante. Ma lei desiderava così
tanto rimanere sola! Se soltanto
l'avessero lasciata tranquilla per
questo mese, sentiva che avrebbe
capito qualcosa di se stessa.
Tenne gli occhi chiusi, così lui
avrebbe pensato che voleva dormire e
se ne sarebbe andato.
La romantica anima italiana di
Domenico s'intenerì profondamente a
quella visione, perché gli occhi chiusi
le donavano straordinariamente.
Rimase in piedi immobile, estasiato,
e lei pensò che se ne fosse andato e
riaprì gli occhi.
No, eccolo lì, che la fissava.
Anche lui! Non c'era modo di
sottrarsi agli sguardi degli altri.
«Ho mal di testa», disse
richiudendo gli occhi.
«È il sole, - disse Domenico, - e
star seduta sul muretto senza
cappello».
«Vorrei dormire».
«Sì, signorina{5}», disse lui con
comprensione, e andò via senza far
rumore.
Aprì gli occhi con un sospiro di
sollievo. Vide che lui aveva chiuso
delicatamente la porta a vetri, e capì
non solo che se n'era andato, ma
anche che l'aveva chiusa fuori in
giardino, così che non potesse venire
disturbata. Ora forse sarebbe rimasta
sola fino all'ora di pranzo.
Stranamente, e nessuno al
mondo ne sarebbe rimasto più
sorpreso di lei, sentiva il desiderio di
pensare. Prima d'allora non aveva
mai provato questo desiderio. In vari
momenti della sua vita aveva
desiderato fare o fatto tutto ciò che
non comportava troppo impegno, ma
mai prima di allora aveva sentito il
desiderio di pensare. Era venuta a
San Salvatore con la sola intenzione
di restare distesa al sole, come in
letargo, per quattro settimane, in un
luogo in cui non c'erano né genitori
né amici, avvolta dall'oblio, e di
alzarsi soltanto per mangiare; ed era
lì soltanto da poche ore quando
questo desiderio nuovo e singolare
s'impossessò di lei.
La notte precedente c'era stato
uno stellato stupendo, e lei dopo cena
era uscita nel giardino in alto,
lasciando Mrs Fisher sola con le sue
noci e il vino e, sedendosi sul muretto
nel luogo in cui si ammucchiavano le
cime spettrali dei gigli, aveva
guardato nell'abisso della notte e le
era sembrato improvvisamente che la
sua vita fosse stata un gran rumore
per nulla.
Ne era rimasta profondamente
sorpresa. Sapeva che le stelle e
l'oscurità
potevano
generare
emozioni insolite perché l'aveva visto
succedere negli altri, ma mai era
accaduto a lei stessa. Un gran rumore
per nulla. Era proprio sicura di stare
bene? si era domandata. Per molto
tempo
in
passato
era
stata
consapevole che la sua vita fosse un
rumore, ma le era sembrato destinato
a qualcosa; un rumore, a dire il vero,
riguardo a tante cose, che sentiva di
doversi allontanare per un po',
altrimenti
ne
sarebbe
stata
completamente,
e
forse
irrimediabilmente assordata. E se
invece fosse stato soltanto un rumore
per nulla?
Una domanda simile non le era
mai venuta in mente; ed ecco che
l'aveva subito fatta sentire sola.
Desiderava stare sola, ma non sentirsi
sola. Questo era molto diverso, era
una sensazione che faceva male, che
feriva spaventosamente nel profondo,
era ciò che spaventava di più. Era il
motivo per cui si andava a tutti quei
ricevimenti, e negli ultimi tempi
anche i ricevimenti qualche volta non
erano sembrati un rifugio del tutto
sicuro. Ci si poteva sentire soli
indipendentemente dalle situazioni,
ma dipendeva forse dal modo in cui
le si affrontava? Forse era meglio se
andava a letto, aveva pensato, forse
non stava bene.
Andò a letto; e la mattina
seguente, sfuggita alla mosca e fatta
colazione, uscì di nuovo in giardino e
provò ancora la stessa sensazione, e
in pieno giorno. Ancora una volta le
venne il terribile sospetto che finora la
sua vita fosse stata non solo
chiassosa, ma anche vuota. Bene, se
le cose stavano così, e se i suoi primi
ventotto anni - i migliori - se n'erano
andati in un rumore senza significato,
avrebbe fatto neglio a fermarsi un
istante e guardarsi intorno; prendersi
una pausa, come si dice nei romanzi
noiosi, e meditare. Non aveva a
disposizione molti periodi di ventotto
anni. Ancora uno e sarebbe diventata
come Mrs Fisher, altri due e… Sbarrò
gli occhi.
Sua
madre
si
sarebbe
preoccupata se avesse saputo,
l'adorava. Anche suo padre si sarebbe
preoccupato, perché anche lui
l'adorava. L'adoravano tutti. E
quando, con fare ostinato e voce
melodiosa, aveva insistito per andarsi
a seppellire in Italia per un mese
intero con delle persone bizzarre che
aveva trovato in un annuncio,
rifiutando persino di portare con sé la
sua cameriera, l'unica spiegazione
che i suoi amici riuscivano a
immaginare era che la povera Scrap così la chiamavano - avesse esagerato
e si sentisse un po' nervosa.
Sua madre era molto angosciata
dalla sua partenza. La trovava una
scelta strana, segno di una delusione.
Lasciò che la gente pensasse che si
trovava sull'orlo di un esaurimento
nervoso. Se avesse potuto vedere la
sua adorata Scrap, la più incantevole
di tutte le figlie, il principale oggetto
del suo orgoglio, l'origine di tutte le
sue più ardenti speranze, seduta a
fissare
il
vuoto
meriggio
mediterraneo, meditando sui tre
possibili periodi di ventotto anni, si
sarebbe disperata. Partire da sola era
brutto, pensare era peggio ancora.
Non poteva uscire niente di buono
dai pensieri di una donna giovane e
bella.
Ne
sarebbero
sorte
complicazioni a non finire, non
avrebbe portato a niente di buono. I
pensieri delle persone belle erano
destinati a generare riluttanza,
esitazione e infelicità. E qui, se lei
l'avesse potuta vedere, sedeva la sua
Scrap immersa nei pensieri. E quali
pensieri! Pensieri da vecchi. Cose che
non venivano in mente a nessuno
prima dei quarant'anni.
Il salotto che Mrs Fisher aveva
scelto tra i due esistenti era una
stanza piena di fascino e di carattere.
Entrandovi dopo colazione, la
esaminò soddisfatta e fu contenta di
averla scelta. Aveva un pavimento di
piastrelle e pareti chiare come il
miele; i mobili intarsiati erano del
colore dell'ambra, e vi erano libri
sbiaditi, molti con la copertina color
avorio o limone. Una grande finestra
dominava il mare verso Genova, e
attraverso una porta a vetri lei poteva
accedere ai merli e costeggiare la torre
d'osservazione, una stanza vera e
propria, attraente e originale con
sedie e scrittoio, e giungere sull'altro
lato della torre, dove i merli
terminavano in un sedile di marmo;
da lì si distingueva la baia occidentale
e il promontorio dal quale iniziava il
Golfo di La Spezia. Verso sud, tra
questi due tratti di mare, si scorgeva
un'altra collina, l'ultima di una
piccola penisola, più alta di San
Salvatore e sormontata dalle torricelle
di un castello meno grande e
disabitato, sulle quali al tramonto
brillava ancora il sole quando ogni
altro luogo era già sprofondato
nell'oscurità. Sì, era proprio ben
sistemata, e dei vasi pieni di fiori Mrs Fisher non li esaminò da vicino,
ma sembravano ciotoline di pietra o
forse piccoli sarcofagi - circondavano
i merli.
Questi merli, pensò, riflettendoci
sopra, sarebbero stati per lei il luogo
ideale per passeggiare tranquilla
avanti e indietro quando meno avesse
sentito il bisogno del bastone, oppure
per sedersi sul sedile di marmo dopo
avervi posto un cuscino, se per
disgrazia non vi fosse stata una
seconda porta a vetri che si apriva su
di essi disturbando la loro assoluta
intimità e sciupando la sensazione di
avere quel posto interamente per sé.
Questa seconda porta apparteneva al
salone rotondo, che sia lei sia Lady
Caroline avevano scartato perché era
buio.
Probabilmente
avrebbero
occupato quella stanza le due donne
di Hampstead, e temeva che non si
sarebbero limitate a quello, ma
sarebbero uscite attraverso la porta a
vetri invadendo i suoi merli, che
secondo
lei
sarebbero
stati
irrimediabilmente rovinati da questa
invasione; o forse, se non proprio da
un'invasione, dagli sguardi di chi si
trovava nella stanza. Come si poteva
stare a proprio agio sapendo che una
persona stava osservando o che
comunque era lì? Quel che voleva e a
cui aveva pieno diritto era l'intimità.
Non nutriva il minimo desiderio di
intromettersi nella vita altrui; perché
allora gli altri avrebbero dovuto farlo?
Avrebbe sempre potuto rinunciare a
un po' della sua intimità se, dopo aver
conosciuto meglio le sue compagne,
avesse ritenuto che ne valeva la pena,
ma dubitava che fra le tre qualcuna
potesse trasformarsi così tanto da
indurla a pensare che ne valesse la
pena.
Poche cose avevano valore,
riflettè Mrs Fisher, oltre al passato.
La superiorità del passato rispetto al
presente
la
sorprendeva,
era
semplicemente incredibile. Quei suoi
amici a Londra, persone integerrime
della sua età, condividevano il suo
stesso passato e potevano parlarne
con lei, confrontarlo come faceva lei
al chiassoso presente e ricordando i
grandi, dimenticare per un attimo
l'arida superficialità dei giovani, che
nonostante la guerra sembravano
affollare il mondo. Non era venuta
via da questi amici, da queste persone
mature con cui era piacevole
conversare, per trascorrere il tempo in
Italia a chiacchierare con tre donne di
un'altra generazione e completamente
prive di esperienza; era venuta via
soltanto per sfuggire alle insidie di un
aprile londinese. Quel che aveva detto
alle due signore che erano andate da
lei a Prince of Wales Terrace era vero:
a San Salvatore desiderava solo
starsene seduta in pace al sole a
ricordare. Loro lo sapevano, glielo
aveva detto; l'aveva dichiarato
esplicitamente ed esse lo avevano
capito perfettamente. Quindi aveva
ragione ad aspettarsi che rimanessero
dentro il salone rotondo senza uscire
sui suoi merli a disturbarla.
E se l'avessero fatto? Questo
dubbio le rovinò la mattinata. Solo
verso l'ora di pranzo trovò una via
d'uscita.
Suonò
per
chiamare
Francesca e le ordinò in un italiano
lento e maestoso di chiudere le
imposte della porta a vetri nel salone
rotondo. Quindi, recatasi con lei nella
stanza, che era diventata ancora più
buia, ma che grazie a questo buio
completo, osservò Mrs Fisher
rivolgendosi a Francesca la quale
stava diventando loquace, sarebbe
rimasta anche piacevolmente fresca, e
dopo tutto la luce poteva filtrare dalle
numerose feritoie ai muri… e cosa ne
poteva lei se non ne entrava
abbastanza, diede istruzioni di
spostare un mobiletto davanti alla
porta all'interno.
Questo
avrebbe
scoraggiato
l'uscita.
Poi
suonò
per
chiamare
Domenico, e gli fece spostare un
sarcofago pieno di fiori davanti alla
porta all'esterno.
Questo
avrebbe
scoraggiato
l'entrata.
«Nessuno, - disse esitando
Domenico, - potrà più usare quella
porta».
«Nessuno, - disse Mrs Fisher con
fermezza, - vorrà farlo».
Si ritirò poi nel suo salotto, e da
una sedia disposta in modo da poter
osservare i suoi merli, di cui adesso si
era appropriata interamente, rimase a
guardarli con calma soddisfatta.
Questo
posto,
riflettè
serenamente, costava molto meno che
l'albergo e, riuscendo a tenere lontane
le altre, era anche infinitamente più
piacevole. Pagava le sue stanze estremamente gradevoli, ora che vi si
era sistemata - tre sterline la
settimana, che significavano circa
ottanta scellini il giorno: merli, torre
d'osservazione e tutto quanto. In
quale altro posto all'estero sarebbe
riuscita a vivere per soli otto scellini il
giorno, facendo il bagno tutte le volte
che voleva? Naturalmente non sapeva
ancora quanto avrebbe speso per i
pasti, ma avrebbe procurato che si
risparmiasse, insistendo affinchè la
parsimonia fosse combinata alla
qualità.
Le
due
cose
erano
perfettamente compatibili se la
persona incaricata ci stava attenta. La
retribuzione della servitù, aveva
appurato, era trascurabile grazie al
cambio vantaggioso, pertanto l'unica
preoccupazione rimaneva il cibo.
Avesse notato segni di sperpero,
avrebbe proposto che ognuna di loro
consegnasse settimanalmente a Lady
Caroline una somma ragionevole per
le spese e quanto non veniva
utilizzato doveva essere restituito, e
se vi fosse stato sperpero, le spese in
più
le
avrebbe
sostenute
il
responsabile
dell'approvvigionamento. Mrs Fisher
era ricca e desiderava gli agi adatti
alla sua età, ma detestava le spese.
Era così ricca che volendo poteva
andare a vivere in un quartiere
elegante di Londra e viaggiare in
Rolls–Royce. Ma questi non erano i
suoi desideri. Una casa in un
quartiere elegante e una Rolls–Royce
richiedevano molta più vitalità di
quanta fosse necessaria per la sola
agiatezza. Proprietà simili andavano
di pari passo con ogni sorta di
preoccupazioni, e di conti, per
giunta. Nella sobria oscurità di Prince
of Wales Terrace poteva godere
indisturbata di un'agiatezza parca ma
autentica, senza essere derubata da
servitori rapaci o assediata da
postulanti, e alla fine della sua strada
vi era una comodissima stazione di
taxi. Le spese annuali erano limitate e
la casa l'aveva ereditata; la morte
l'aveva arredata per lei. In sala da
pranzo camminava sul tappeto turco
del padre; regolava le proprie giornate
sul precisissimo orologio di marmo
nero del caminetto, orologio che
ricordava sin dall'infanzia; le pareti
erano interamente ricoperte delle
fotografie che i suoi illustri amici
estinti avevano donato o a lei o a suo
padre, tutte dedicate in basso, e le
finestre erano nascoste da tende
amaranto che aveva sempre visto
arricchite ai lati da quegli stessi
acquari a cui doveva le sue prime
nozioni sulla vita marina, e dove
nuotavano ancora lenti i pesci rossi
della sua giovinezza.
Erano ancora gli stessi pesci
rossi? Non lo sapeva. Forse, come le
carpe, sopravvivevano a tutti. Forse
invece, col passare degli anni, ogni
tanto si erano ritirati in quella
vegetazione d'alto mare posta
appositamente sul fondo, e altri li
avevano rimpiazzati. Erano gli stessi
pesci rossi, si domandava a volte
contemplandoli durante i suoi pasti
solitari, di quel giorno in cui Carlyle com'era nitido il ricordo - si era
avvicinato a loro a grandi passi nel
mezzo
di
una
discussione
particolarmente animata con suo
padre, e incollerito li aveva fatti
fuggire con un gran pugno sul vetro, e
mentre scappavano aveva urlato:
«Ah! Eccovi qui, diavoletti! Beati voi,
che siete sordi e non potete sentire
tutte queste maledette sciocchezze, le
ciance e le bazzecole insensate che
dice il vostro padrone!» O parole
altrettanto efficaci.
Caro Carlyle, dall'animo nobile!
Così genuinamente esuberante, così
vivace e sublime. Rude, se volete: sì,
senza dubbio talvolta un po' rude, e
spaventoso in un salotto, comunque
sempre magnifico. Chi gli poteva
stare al fianco oggi? Quale nome si
poteva fare accanto al suo? Suo
padre, che in quanto a fiuto non era
secondo a nessuno, aveva detto:
«Thomas è immortale». Ed eccola qui
questa
generazione,
questa
generazione meschina, che levava la
sua debole voce solo per dubitare,
oppure, peggio ancora, che non
faceva neanche questo sforzo, che
non si curava nemmeno - pareva
incredibile, ma così le avevano
riferito - di leggerlo. Neanche Mrs
Fisher lo leggeva, ma nel suo caso era
diverso. Lei lo aveva letto, certo che
lo aveva letto! Non poteva non essere
così: ecco, Teufelsdròck {6}! Ricordava
molto bene un sarto che si chiamava
così. Era tipico di Carlyle dare un
nome del genere. Sì, lo aveva letto
sicuramente, ma adesso era naturale
che le sfuggissero i particolari.
Il gong risuonò. Persa nei ricordi,
Mrs Fisher non si era accorta che il
tempo passava, e si affrettò in camera
per lavarsi le mani e darsi una lisciata
ai capelli. Non voleva arrivare in
ritardo e dare il cattivo esempio, e
magari trovare occupato il suo posto
a capo–tavola. Non ci si poteva fidare
dell'educazione
delle
giovani
generazioni; soprattutto nel caso di
quella Mrs Wilkins.
Fu la prima, tuttavia, ad arrivare
in sala da pranzo. Francesca, con un
grembiule bianco, era in piedi con un
enorme
piatto
di
splendidi
maccheroni caldi e fumanti, ma
nessuno era lì a mangiarli.
Mrs Fisher si sedette, con aria
severa. Che maleducazione!
«Servitemi», disse a Francesca,
che pareva intendesse aspettare le
altre.
Francesca la servì. Tra tutte Mrs
Fisher era quella che le piaceva meno,
anzi, non le piaceva affatto. Era la
sola delle quattro donne a non aver
ancora sorriso. D'accordo che era
anziana e non bella, d'accordo che
perciò non avesse motivo di
sorridere, ma le signore gentili
sorridevano, con o senza motivo.
Sorridevano, non perché fossero felici
ma per fare felici gli altri. Delle
quattro
donne
quindi,
decise
Francesca, questa era sicuramente la
meno gentile, pertanto le servì i
maccheroni sgarbatamente perché era
incapace di nascondere i suoi
sentimenti.
Erano molto buoni, ma a Mrs
Fisher non erano mai piaciuti i
maccheroni, soprattutto questi lunghi
a forma di vermi. Li mangiò con
molta difficoltà: erano scivolosi, si
dimenavano
sfuggendole
dalla
forchetta e si accorgeva che ogni
boccone la faceva apparire assai poco
dignitosa perché c'era sempre una
parte che riusciva a sfuggirle. Inoltre
mentre li mangiava le veniva in mente
Mr
Fisher.
Durante
il
loro
matrimonio il suo comportamento
era stato molto simile a quello dei
maccheroni. Era scivolato via
sfuggendole e facendola sentire poco
dignitosa, e quando infine pensava di
averlo in pugno, c'erano sempre e
immancabilmente pezzetti di lui che,
come adesso, le sfuggivano.
Dalla
credenza
Francesca
osservava scoraggiata Mrs Fisher alle
prese con i maccheroni, e si scoraggiò
ancora di più quando alla fine la vide
tirare fuori il coltello e tagliarli a
pezzetti.
Mrs Fisher non sapeva come
cavarsela diversamente. Sapeva che
in una simile circostanza i coltelli
erano fuori luogo, ma dopo un po',
uno perdeva la pazienza! A Londra
non permetteva che i maccheroni
arrivassero in tavola; oltre che difficili
da mangiare, non le piacevano
neanche e avrebbe detto a Lady
Caroline di non ordinarli più. Ci
vorrebbero anni di pratica, meditò
Mrs Fisher mentre li tagliava a
pezzetti, anni vissuti in Italia per
imparare
il
trucco.
Browning
mangiava i maccheroni in modo
incantevole; ricordò di averlo visto un
giorno, quando venne a pranzo da
suo padre e gliene fu preparato un
piatto in omaggio ai suoi legami con
l'Italia. Affascinante, il modo in cui li
portava
alla
bocca!
Nessun
inseguimento intorno al piatto, niente
che scivolava dalla forchetta e quindi
nessuna estremità penzolante: un
semplice affondo, una stoccata, una
rapida torsione e un solo boccone, ed
ecco, un altro poeta era stato nutrito!
«Devo andare a cercare la
signorina?», chiese Francesca, che
non sopportava più di vedere tagliare
col
coltello
quegli
squisiti
maccheroni.
Mrs Fisher si staccò a fatica dai
suoi ricordi. «Lo sa che il pranzo è
alle dodici e trenta, - disse. - Lo sanno
tutte».
«Magari si è addormentata, disse Francesca. - Le altre signore si
sono allontanate, lei invece è qui
vicino».
«Allora provi a suonare di nuovo
il gong», disse Mrs Fisher.
Che modi, pensò, che modi!
Non era un albergo, e bisognava
avere rispetto. Doveva ammettere che
si stupì di Mrs Arbuthnot, le era
sembrata una persona puntuale. E
Lady Caroline: se non altro era parsa
affabile
ed
educata.
Dall'altra
naturalmente, non ci si poteva
aspettare nulla.
Francesca andò a prendere il
gong, lo portò in giardino e si
avvicinò, continuando a farlo
risuonare, a Lady Caroline, la quale,
ancora allungata nella poltroncina,
attese che si interrompesse, poi si
voltò e con estrema dolcezza espresse
ciò che pareva musica ma era invece
un rimprovero.
Francesca non si accorse che da
quelle labbra fluiva un rimprovero;
come avrebbe potuto, quando aveva
un suono come quello? e tutta
sorridente, perché non poteva non
sorridere guardando questa giovane
signora, le disse che i maccheroni
stavano diventando freddi.
«Quando non vengo ai pasti è
perché non desidero venirci, - disse
irritata Scrap, - d'ora in poi non
voglio più essere disturbata».
«Non si sente bene?», chiese
Francesca con apprensione ma senza
riuscire a smettere di sorridere. Mai
in vita sua aveva visto capelli così
belli, sembravano puro lino, come i
capelli dei bambini del nord. Una
testa così piccola non poteva che
ricevere benedizioni, sarebbe stata
degna di portare l'aureola dei santi
più benedetti.
Scrap chiuse gli occhi e si rifiutò
di rispondere. Fu un comportamento
imprudente, perché ottenne l'effetto di
convincere Francesca, che corse via
tutta preoccupata per riferire a Mrs
Fisher che non si sentiva bene. Mrs
Fisher spiegò che il bastone le
impediva di andare di persona da
Lady Caroline e vi mandò le altre due
signore giunte proprio
allora,
accaldate e senza fiato, scusandosi
del ritardo; intanto lei passò alla
portata successiva, che era una
frittata
dall'aspetto
magnifico,
piacevolmente rigonfia di piselli
freschi.
«Servitemi»,
comandò
a
Francesca che pareva intendesse di
nuovo aspettare le altre.
«Oh, perché non mi lasciano in
pace… perché non vogliono lasciarmi
in pace?» si chiese Scrap che sentendo
altri scricchiolii di passi sulla ghiaia
prima del prato, si accorse che
qualcun altro si stava avvicinando.
Questa volta tenne gli occhi
chiusi. Perché mai doveva andare a
pranzo se non ne aveva voglia?
Questa non era una casa privata, e lei
non era legata da alcun obbligo verso
una padrona di casa insopportabile.
Per ogni questione pratica San
Salvatore era un albergo, e lei doveva
essere libera di mangiare o di non
mangiare come se si trovasse davvero
in un albergo.
Ma la sfortunata Scrap non
poteva
starsene
seduta
tranquillamente con gli occhi chiusi
senza far nascere in chi la vedeva il
desiderio di accarezzarla e coccolarla,
cosa a cui era sin troppo abituata.
Anche la cuoca l'aveva accarezzata. E
ora una mano delicata le si era posata
sulla fronte… Come conosceva bene
le mani delicate, e come le temeva!
«Temo che non stiate bene»,
disse una voce che non era quella di
Mrs Fisher e doveva quindi
appartenere a una delle due
eccentriche.
«Ho mal di testa», mormorò
Scrap. Forse conveniva dire così;
forse quello era il modo migliore per
tagliar corto e starsene in pace.
«Mi dispiace davvero tanto»,
disse piano Mrs Arbuthnot, poiché
era sua la mano delicata.
«E io, - disse Scrap tra sé, - che
pensavo che venendo qui sarei
sfuggita alle madri!»
«Non pensate che un po' di té vi
farebbe bene?» chiese Mrs Arbuthnot
con tenerezza.
Té? La sola idea la disgustava.
Bere del té con questo caldo, e a metà
giornata…
«No», mormorò.
«Sono certa che la cosa che più
vorrebbe, - disse un'altra voce, - è
essere lasciata in pace».
Che saggia, pensò Scrap, e aprì
leggermente un occhio per vedere chi
stesse parlando. Era l'eccentrica con
le lentiggini. La bruna, perciò, era
quella della mano. Quella con le
lentiggini si guadagnò la sua stima.
«Non posso sopportare l'idea che
abbiate mal di testa e non si faccia
niente, - disse Mrs Arbuthnot. - Forse
una tazza di caffè forte…?»
Scrap
non
parlò.
Attese,
immobile e muta, che Mrs Arbuthnot
togliesse la mano. In fin dei conti,
non poteva rimanere lì tutto il giorno,
e quando se ne fosse andata avrebbe
dovuto portare con sé anche la mano.
«Penso proprio, - disse quella con
le lentiggini, - che voglia solo starsene
in pace».
Forse quella con le lentiggini tirò
per la manica quella della mano
perché la mano fu ritirata dalla fronte
di Scrap e, dopo un minuto di
silenzio, durante il quale di sicuro la
stavano contemplando -c'era sempre
qualcuno che la contemplava - essa
sentì di nuovo lo scricchiolio di passi
sui ciottoli, che si attenuò fino a
scomparire.
«Lady Caroline ha mal di testa»,
disse Mrs Arbuthnot, rientrando in
sala da pranzo e sedendo al proprio
posto accanto a Mrs Fisher. «Non
riesco a convincerla neanche a
prendere un té, o del caffè. Sapete
come si dice aspirina in italiano?»
«La cura più adatta per il mal di
testa, - disse Mrs Fisher severa, - è
l'olio di ricino».
«Ma non ha mal di testa», disse
Mrs Wilkins.
«Carlyle, - disse Mrs Fisher, che
aveva finito la sua frittata e poteva
parlare nell'attesa della portata
successiva, - per un certo periodo
soffrì di terribili mal di testa e per
curarsi prese costantemente l'olio di
ricino. Lo prese, oserei dire, quasi
con smoderatezza; seguendo la sua
divertente abitudine, gli cambiò nome
e lo chiamò, ricordo bene, l'olio del
dolore. Mio padre disse che per un
periodo influenzò la sua visione della
vita, la sua filosofia. Ma questo
accadde perché ne prese troppo. Ciò
che serve a Lady Caroline è una dose,
una soltanto. E sbagliato prenderne di
continuo».
«Sapete come si dice in italiano?»
chiese Mrs Arbuthnot.
«Ah, temo di no. Comunque, lo
saprà lei. Potete chiederglielo».
«Ma non ha mal di testa, - ripetè
Mrs Wilkins, lottando con i
maccheroni. - Vuole solo essere
lasciata in pace».
Si girarono tutte e due a
guardarla. Vedendo Mrs Wilkins in
azione, a Mrs Fisher venne in mente
il termine ingozzarsi.
«Allora perché dovrebbe dire che
ce l'ha?» chiese Mrs Arbuthnot.
«Perché sta ancora sforzandosi di
essere gentile. Tra un po' non dovrà
più farlo, quando questo posto avrà
fatto effetto su di lei lo sarà davvero.
Senza sforzi, spontaneamente».
«Deve sapere che Lotty, - spiegò
Mrs Arbuthnot, sorridendo a Mrs
Fisher, seduta impietrita aspettando
pazientemente la portata successiva,
che ritardava perché Mrs Wilkins
continuava con i maccheroni, meno
invitanti che mai adesso che erano
anche freddi, - deve sapere che Lotty
ha una sua teoria su questo posto…»
Ma Mrs Fisher non aveva il
minimo desiderio di sentire nessuna
teoria di Mrs Wilkins.
«Davvero non so, - interruppe,
guardando con severità Mrs Wilkins,
- perché dovete presumere che Lady
Caroline non dica la verità».
«Non lo presumo… lo so», disse
Mrs Wilkins.
«E di grazia, come fate a
saperlo?»
chiese
Mrs
Fisher
gelidamente, poiché Mrs Wilkins si
stava servendo di altri maccheroni
che le erano stati offerti una seconda
volta da Francesca in modo davvero
inopportuno.
«Proprio ora, quando sono
uscita, ho visto dentro di lei».
Mrs Fisher non aveva nessuna
intenzione di continuare a parlarne,
di prendersi la briga di replicare a una
idiozia
bell'e
buona.
Improvvisamente diede invece un
colpo al piccolo gong da tavolo
accanto a lei, nonostante Francesca
fosse in piedi vicino alla credenza, e
disse, stufa di aspettare la portata
successiva: «Servitemi».
E
Francesca
forse
intenzionalmente - le offrì di nuovo i
maccheroni.
A San Salvatore non c'era modo
di entrare o uscire dal giardino più
alto se non attraverso le due porte a
vetri della sala da pranzo e dell'atrio,
che purtroppo erano una di fianco
all'altra. Non ci si poteva allontanare
dal giardino senza essere visti, senza
incontrare lungo il percorso la
persona che si voleva evitare. Era un
giardino piccolo e oblungo, in cui era
impossibile nascondersi. Tutti gli
alberi - l'albero di Giuda, la tamarice
e il pino a ombrello - crescevano
vicino ai bassi parapetti. I cespugli di
rose non offrivano riparo; un passo a
destra o a sinistra e chi cercava di
rimanere nascosto era scoperto. Solo
nell'angolo a nord–ovest vi era un
cantuccio
che
sporgeva
dal
muraglione, una sorta di escrescenza
o di occhiello, senza dubbio usato per
stare di vedetta nei giorni insidiosi di
una volta, e dove ci si poteva sedere
al sicuro senza essere scorti, perché
tra questo e la casa c'era una fitta
macchia di dafne.
Scrap, dopo essersi guardata
intorno per assicurarsi che nessuno la
stesse osservando, si alzò e portò là la
sedia con fare circospetto e in punta
di piedi, quasi si trattasse di un ladro
malintenzionato. Nell'angolo a nord–
est delle mura vi era un'escrescenza
analoga, che tuttavia, nonostante
godesse di una vista quasi migliore,
perché si potevano vedere la baia e le
incantevoli montagne dietro a
Mezzago, era esposta allo sguardo di
tutti. Non vi crescevano cespugli, né
vi erano recessi. L'ansa a nord–ovest
fu così quella dove si sarebbe seduta:
vi si sistemò, appoggiò la testa sul
cuscino e poggiando comodamente i
piedi sul parapetto - che agli abitanti
del villaggio sottostante parvero, dalla
piazza, due colombe bianche - pensò
che adesso sarebbe stata sicuramente
al sicuro.
Mrs Fisher, guidata dall'odore
della
sigaretta,
la
trovò
lì.
L'imprudente Scrap non ci aveva
pensato. Mrs Fisher non fumava, e
sentiva ancora più distintamente
l'odore del fumo. S'imbattè in
quell'odore forte subito dopo pranzo,
appena uscì in giardino dalla sala da
pranzo per prendere il caffè. Aveva
ordinato a Francesca di servire il caffè
all'ombra della casa, appena fuori
della porta a vetri, e quando Mrs
Wilkins vedendo che veniva portato
là un tavolino le ricordò, secondo Mrs
Fisher in modo importuno e privo di
tatto, che Lady Caroline voleva essere
lasciata sola, ribattè - e come aveva
ragione! - che il giardino era di tutti.
Quindi vi si recò e si accorse
immediatamente che Lady Caroline
stava fumando. Disse tra sé: «Queste
giovani moderne», e proseguì nella
sua ricerca; il bastone, adesso che il
pranzo era terminato, non era più un
intralcio all'azione, come lo era stato
prima che il pasto fosse stato, come
disse Browning una volta - era
davvero Browning? sì, ricordò come
l'aveva fatta divertire - fermamente
assicurato.
Nessuno riusciva più a divertirla,
riflettè Mrs Fisher, dirigendosi
difilato verso la macchia di dafne; il
mondo era diventato noioso, aveva
perso completamente il senso
dell'umorismo. Forse queste persone
sapevano ancora scherzare, - in effetti
sapeva che lo facevano, poiché il
«Punch» continuava a uscire; ma
com'era diverso, e che scherzi.
Thackeray, in quel suo modo
impareggiabile, avrebbe fatto polpette
di questa generazione, la quale
naturalmente non si rendeva neanche
conto del bisogno che aveva delle
proprietà corroboranti di quella penna
severa. E che non nutriva neanche più
- almeno così le era stato riferito - la
minima stima per lui. Be', non poteva
essere lei a dare a questa generazione
occhi per vedere, né orecchie per
sentire o un cuore per capire, ma
poteva e voleva darle, e Lady
Caroline la impersonava e ne era la
diretta rappresentante, una buona
dose di una sana medicina.
«Ho sentito che non vi sentite
bene», disse, rimanendo in piedi nello
stretto accesso al suo nascondiglio e
guardando in basso verso Scrap,
immobile
ed
evidentemente
addormentata,
con
l'espressione
inflessibile di chi è determinato a fare
del bene.
Mrs Fisher possedeva una voce
profonda, molto simile a quella di un
uomo, perché era stata sorpresa da
quella strana mascolinità che talvolta
perseguita le donne nelle ultime tappe
della vita.
Scrap faceva finta di dormire, ma
in quel caso la sigaretta non sarebbe
stata tra le sue dita, ma per terra.
Se n'era dimenticata. Ma non
Mrs Fisher, che entrò e si sedette su
uno stretto sedile di pietra scavato nel
muro. Per un po' poteva stare seduta,
per un po', finché il freddo non si
fosse fatto sentire.
Contemplò la figura che aveva di
fronte. Era indubbiamente una bella
creatura, che a Farringford avrebbe
avuto successo. Strano come anche i
più grandi uomini fossero attratti
facilmente
dall'aspetto
esteriore.
Aveva visto coi suoi occhi Tennyson
allontanarsi da tutti, voltare la
schiena, nel vero senso della parola, a
una folla di persone eminenti riunite
per onorarlo, e appartarsi nel vano di
una finestra con una giovane di cui
nessuno aveva mai sentito parlare,
che era là casualmente e il cui solo
merito - se può essere un merito ciò
che viene conferito dal caso - era la
bellezza. Bellezza! Di fronte a te tutto
si trasforma! Questione, si potrebbe
quasi dire, di minuti. Be', finché
durava sembrava capace di fare degli
uomini ciò che voleva. E neanche gli
uomini sposati ne erano immuni. Vi
erano stati episodi nella vita di Mrs
Fisher…
«Credo che il viaggio vi abbia
agitata, - disse con quella sua voce
profonda. - Ciò di cui avete bisogno è
una buona dose di una medicina
semplice. Chiederò a Domenico se in
paese è possibile trovare dell'olio di
ricino».
Scrap aprì gli occhi e guardò
dritto Mrs Fisher.
«Ah, - esclamò Mrs Fisher, sapevo che non dormivate. Altrimenti
avreste lasciato cadere la sigaretta».
Scrap gettò la sigaretta al di là del
parapetto.
«Che spreco, - disse Mrs Fisher. Non mi piacciono le donne che
fumano, ma ancora meno mi piace lo
spreco».
«Cosa si fa con una persona
così?» si domandò Scrap, gli occhi
fissi su Mrs Fisher con uno sguardo
che credeva sdegnato ma che a Mrs
Fisher
sembrò
esprimere
un'affascinante arrendevolezza.
«Adesso dovete seguire il mio
consiglio, - disse Mrs Fisher
preoccupata, - e non trascurate ciò
che potrebbe benissimo trasformarsi
in una vera e propria malattia. Siamo
in Italia, sapete, e bisogna avere
riguardo. Tanto per cominciare,
dovreste andare a riposarvi».
«Non vado mai a riposarmi»,
sbottò Scrap; e le sue parole
suonarono commoventi e sconsolate
come quelle che molti anni addietro
aveva pronunciato un'attrice nella
parte della Povera Jo in una versione
teatrale di Bleak House: «Sono
sempre in cammino», diceva la
Povera Jo in questa rappresentazione,
incalzata da un poliziotto; e Mrs
Fisher, che allora era ragazza, aveva
posato il capo sul parapetto di velluto
rosso del palco e aveva pianto
singhiozzando.
La voce di Scrap era incantevole.
Le aveva ottenuto, nei dieci anni della
sua vita in società, tutti i trionfi che
possono derivare dall'intelligenza e
dall'ingegno,
perché
rendeva
memorabile ogni sua parola. Avrebbe
dovuto diventare una cantante, con
corde vocali come quelle, ma in ogni
genere di musica Scrap era muta,
tranne quando parlava con la sola
musica della sua voce; di che fascino,
di che magia era pervasa! Il suo volto
era così aggraziato e il colorito così
bello che non esisteva uomo nei cui
occhi, vedendola, non si accendesse
la fiamma del più vivo interesse; ma
quando udiva la sua voce, la fiamma
negli occhi di quell'uomo veniva
catturata e fissata. Era lo stesso con
ogni sorta di uomini, istruiti o incolti,
vecchi,
giovani,
attraenti
o
sgradevoli, uomini del suo ambiente
o conducenti d'autobus, generali o
soldati semplici - per lei il periodo
della guerra era stato molto
imbarazzante - vescovi come pure
sagrestani - durante la sua cresima
erano accaduti fatti sorprendenti -,
integri o corrotti, ricchi o squattrinati,
brillanti o stupidi; e non faceva affatto
differenza che cosa facessero, da
quanto tempo fossero sposati, e con
quale risultato; negli occhi di tutti
loro, quando la vedevano, si
accendeva questa fiamma, e quando
la sentivano parlare la fiamma vi
rimaneva.
Scrap ne aveva abbastanza di
questi sguardi. Le creavano soltanto
difficoltà.
All'inizio
l'avevano
divertita: ne usciva eccitata e
trionfante. Apparire incapace di dire
o fare una sola cosa sbagliata, essere
applaudita, ascoltata, coccolata,
adorata
dovunque
andasse,
e
tornando a casa non trovarvi che
affetto orgoglioso e benevolo; oh, sì,
com'era piacevole! E poi era così
facile. Non serviva prepararsi per una
simile conquista, non si doveva
faticare né c'era qualcosa da
imparare. Non c'era bisogno di
preoccuparsi. Doveva solo apparire e
dire subito qualcosa.
Ma a poco a poco fece
esperienza. Dopo tutto, era costretta
a preoccuparsi, e sforzarsi perché,
come scoprì con rabbia e stupore,
doveva difendersi. Sapeva che quegli
sguardi, sguardi insistenti, l'avrebbero
imprigionata. Alcuni di quegli
uomini erano più umili di altri,
soprattutto se erano giovani, ma tutti
quanti, ognuno con le proprie diverse
possibilità, la imprigionavano; e lei,
che aveva fatto il suo ingresso nel
mondo con tanta allegria, a testa alta
e con cieca fiducia in ogni persona
con i capelli grigi, cominciò a
diffidare, a disprezzare, e presto a
sgusciare via da chiunque e a
diventare subito sdegnosa. A volte
sembrava che lei non appartenesse
più a se stessa, che non fosse
interamente sua, ma fosse considerata
un oggetto universale, una sorta di
bellezza per gli altri. Davvero gli
uomini… si ritrovò coinvolta in liti
strane e confuse, curiosamente si
ritrovò a essere odiata. E le donne…
quando sopraggiunse la guerra lei vi
si gettò a capofitto, come tutti gli
altri, e ne uscì distrutta. E i generali…
La guerra distrusse Scrap. Uccise
l'unico uomo con cui si sentiva al
sicuro e che avrebbe sposato, la
guerra arrivò a farle detestare l'amore.
Da allora non provò che amarezza.
Lottava tra le dolcezze della vita con
la stessa rabbia di una vespa
imprigionata nel miele, e altrettanto
disperatamente tentava di scollare le
ali. Non le dava alcun piacere il fatto
di superare le altre donne, i loro
uomini fastidiosi proprio non li
desiderava. E che farsene degli
uomini una volta conquistati?
Nessuno di loro le parlava mai di
niente se non d'amore, e dopo un po'
questo diventava ridicolo e faticoso.
Era come se a una persona sana con
un appetito normale non venisse dato
da mangiare altro che zucchero.
Amore, amore… la sola parola le
faceva venire voglia di prendere a
schiaffi qualcuno. «Perché dovrei
amarvi? Perché mai?» domandava a
volte stupita quando qualcuno tentava
- vi era sempre qualcuno che tentava di chiederle la mano. Ma non
otteneva mai una risposta vera,
soltanto altra incoerenza.
Un
profondo
cinismo
s'impossessò dell'infelice Scrap. Nel
suo intimo invecchiò per la delusione,
mentre il suo aspetto grazioso e
affascinante continuava a rendere il
mondo più bello. Che cosa aveva in
serbo per lei il futuro? Non sarebbe
stata capace, dopo simili premesse, di
padroneggiarlo. Non era adatta a
niente; aveva sprecato tutto il suo
tempo a essere bella. Tra poco la
bellezza sarebbe scomparsa, e allora?
Scrap non sapeva cosa sarebbe
accaduto, e il solo pensiero la
atterriva. Pur essendo stufa di attirare
l'attenzione, nondimeno ne era
abituata, non aveva mai conosciuto
nient'altro; e forse sarebbe stato ben
doloroso non dare più nell'occhio,
diventare insignificante, scialba e
spenta. E una volta cominciato,
quanti anni, anni interminabili, ci
sarebbero stati! Come immaginare,
pensò Scrap, di trascorrere la maggior
parte della propria vita dalla parte
sbagliata. Come immaginare di essere
vecchi il doppio o il triplo di quel che
si è stati giovani. Assurdo, assurdo,
era tutto assurdo. Non c'era una sola
cosa che volesse fare. E mille che non
voleva fare. La fuga, il silenzio,
l'invisibilità,
se
possibile
l'inconsapevolezza - questi rifiuti
erano tutto ciò che chiedeva in quel
momento; e qui, persino qui, non le
era concesso un attimo di pace, e
questa ridicola donna doveva venire
da lei fingendo di credere che lei si
sentisse male, soltanto per il suo
desiderio di imporsi, di farla andare a
letto e di farle bere - che disgusto! dell'olio di ricino.
«Sono sicura, - disse Mrs Fisher,
che cominciava a sentire il freddo
della pietra e sapeva che non sarebbe
riuscita a stare seduta ancora per
molto, - che farete la cosa più
ragionevole. Vostra madre di sicuro
lo vorrebbe… avete una madre?»
Una meraviglia indistinta velò gli
occhi di Scrap. Avete una madre? Se
c'era qualcuno che aveva una madre,
questa era Scrap. Non le era mai
venuto in mente che ci potesse essere
qualcuno che non aveva mai sentito
parlare di sua madre, una marchesa
molto importante - c'erano infatti, e
nessuno lo sapeva meglio di Scrap,
marchese e marchese - che aveva
occupato posizioni di rilievo a corte.
Anche suo padre ai suoi tempi era
stato molto importante; ma ormai era
acqua passata, povero caro, perché in
guerra aveva commesso alcuni gravi
errori, senza contare che adesso era
vecchio;
eppure continuava a
rimanere una persona molto nota.
Com'era
riposante,
straordinariamente riposante, aver
trovato qualcuno che non aveva mai
sentito parlare di nessuno dei suoi, o
che almeno non la aveva ancora
associata a loro.
Mrs Fisher cominciò a piacerle.
Forse neanche le due eccentriche
sapevano nulla di lei. La prima volta
che aveva scritto loro, firmandosi col
proprio nome - il grande nome dei
Dester, intrecciato alla storia inglese
con un filo di sangue, perché chi lo
portava era inesorabilmente causa di
morte - aveva dato per scontato che
dovessero sapere chi fosse; e al
colloquio in Shaftesbury Avenue ne
aveva avuto conferma, perché non
avevano chiesto, come altrimenti
avrebbero fatto, nessuna referenza.
Scrap cominciò a rallegrarsi. Se a
San Salvatore nessuno aveva mai
sentito parlare di lei, se per un mese
intero fosse riuscita a lasciarsi andare,
a liberarsi di ogni cosa legata alla sua
vita, se le fosse stato concesso
davvero di dimenticare i legami, gli
impegni e tutto quel chiasso, forse
allora avrebbe potuto, in fin dei conti,
fare qualcosa di se stessa. Avrebbe
potuto pensare, schiarirsi le idee,
giungere a una conclusione.
«Quel che voglio qui…, - disse
sporgendosi in avanti sulla sedia,
cingendosi le ginocchia con le mani e
guardando Mrs Fisher seduta più in
alto di lei, e parlando quasi con
fervore talmente era contenta che Mrs
Fisher non sapesse nulla di lei, - … è
arrivare
a
una
conclusione.
Nient'altro. Non pretendo molto,
vero? Voglio soltanto questo».
Fissò Mrs Fisher, e pensò che
forse si sarebbe accontentata di
qualsiasi conclusione; l'importante
era impossessarsi di qualcosa,
prendere una cosa e tenerla stretta,
smetterla di lasciarsi trasportare.
Gli occhietti di Mrs Fisher la
scrutarono. «Direi, - disse, - che ciò di
cui ha bisogno una giovane come voi
sono un marito e dei bambini».
«Bene, è una delle cose che
prenderò in considerazione, - disse
Scrap affettuosamente, - ma non
credo che potrà costituire una
conclusione».
«E nel frattempo, - disse Mrs
Fisher alzandosi, perché adesso
sentiva tutto il freddo della pietra, - se
fossi in voi non mi romperei la testa
con
tante
considerazioni
e
conclusioni. La testa delle donne non
è fatta per troppi pensieri, ve lo
assicuro. Andrei a letto per
rimettermi in sesto».
«Ma io sto bene», disse Scrap.
«Allora perché avete fatto dire
che stavate male?».
«Non è vero che l'ho fatto».
«Quindi mi sono data la pena di
venire fin qui per niente».
«Ma non è meglio essere venuta
fin qui e aver scoperto che sto bene
anziché
male?»
chiese
Scrap,
sorridendo.
Quel sorriso riuscì a conquistare
anche Mrs Fisher. «D'accordo, siete
una bella creatura, - disse con
indulgenza.
- E un peccato che non siate nata
cinquant'anni fa. Ai miei amici
sarebbe piaciuto guardarvi».
«Sono molto contenta che non
sia accaduto, - aggiunse Scrap.
- Non amo che mi si guardi».
«Che assurdità, - disse Mrs
Fisher, tornando severa. - È a questo
che servite, voi e tutte le giovani come
voi. Per cos'altro, di grazia? E vi
assicuro che se i miei amici vi
avessero guardata, vi avrebbero
guardata persone molto importanti».
«Non mi piacciono le persone
importanti», disse Scrap, accigliata.
Da poco era accaduto un incidente:
dei veri altolocati…
«Ciò che non piace a me, - disse
Mrs Fisher, diventata fredda come la
pietra dalla quale si era alzata, - è
l'atteggiamento delle giovani di oggi.
Mi sembra penoso, sicuramente
penoso, nella sua stupidità».
E facendo scricchiolare i ciottoli
col bastone si allontanò.
«Finalmente!», disse tra sé Scrap,
ritornando alla sua comoda posizione
con la testa nel cuscino e i piedi sul
parapetto; bastava che le persone se
ne andassero, non le importava
minimamente la ragione per la quale
lo facessero.
«Non pensi che la cara Scrap stia
diventando un po' strana, appena un
pochino?» aveva chiesto sua madre a
suo padre poco prima di quell'ultima
stranezza della fuga a San Salvatore;
la madre era impensierita per le
stranezze che diceva Scrap e per
l'abitudine che aveva preso di
dileguarsi ogni volta che poteva
evitando chiunque tranne - un segno
dell'età - gli uomini giovani, quasi
ragazzini.
«Eh? Cosa? Strana? Be', lascia
che sia strana, se le piace. Una donna
con quell'aspetto può permettersi di
essere tutto ciò che vuole!» fu la
risposta appassionata.
«Ma io la lascio fare», disse la
madre con sottomissione; e in caso
contrario, cosa sarebbe cambiato?
A Mrs Fisher dispiaceva di aver
importunato
Lady
Caroline.
Attraversò l'atrio dirigendosi verso il
suo salotto privato e mentre
camminava, colpiva con il bastone il
pavimento di pietra con un vigore che
si accordava ai suoi sentimenti.
Davvero stupidi questi atteggiamenti.
La facevano spazientire. Incapaci di
essere o di fare qualcosa di se stessi, i
giovani di questa generazione
tentavano di dimostrare la loro
intelligenza denigrando tutto ciò che
era di grandezza e importanza
indiscutibile e lodando tutto ciò che,
nonostante il valore discutibile, era
diverso. Scimmiotti, pensò Mrs
Fisher, irritata. Scimmiotti, sono solo
scimmiotti. E nel suo salotto ne trovò
altri, o così le parvero, dato l'umore
di quel momento, perché vi era Mrs
Arbuthnot che beveva tranquillamente
una tazza di caffè, mentre allo
scrittoio, lo scrittoio che lei aveva già
decretato essere sacro, sedeva Mrs
Wilkins, e stava scrivendo con la sua
penna, la sua penna personale che si
era portata appositamente da Prince
of Wales Terrace; era al tavolino,
nella sua stanza e con la sua penna.
«Non è un posto incantevole?, disse Mrs Arbuthnot cordialmente. Lo abbiamo appena scoperto».
«Sto scrivendo a Mellersh», disse
Mrs Wilkins, altrettanto cordialmente
e voltandosi. Come se, pensò Mrs
Fisher, le importasse qualcosa di
sapere a chi scrivesse Mrs Wilkins e
se comunque conoscesse la persona
che lei aveva chiamato Mellersh.
«Vorrà sapere, - disse Mrs Wilkins,
che l'ambiente rendeva ottimista, - se
sono arrivata qui sana e salva».
I dolci profumi che si sentivano
ovunque a San Salvatore bastavano
da soli a creare armonia. Arrivavano
al salotto dai fiori dei merli e
s'incontravano con quelli dei fiori
presenti nella stanza; pareva quasi di
vederli, pensò Mrs Wilkins, mentre si
salutavano con un bacio divino. Chi
poteva essere arrabbiato in mezzo a
tanta grazia? Chi, in una simile
profusione di bellezza, poteva essere
avido o egoista, al modo in cui lo era
nella vecchia, inasprita Londra?
Eppure Mrs Fisher sembrava
essere tutte e tre le cose.
La bellezza era tale e tanta da
superare di gran lunga le esigenze di
ciascuno, sicché il tentativo di
accaparrarsela appariva inutile.
Eppure era quel che cercava di
fare Mrs Fisher, che se ne era
ritagliata una parte per il suo
esclusivo godimento.
Be', avrebbe smesso presto, dopo
qualche giorno trascorso nella
straordinaria pace di quel luogo,
doveva smettere per forza, Mrs
Wilkins ne era certa.
Intanto però quel momento era
ancora lontano per Mrs Fisher, che
continuava a rimanere in piedi
fissando lei e Rose con un'espressione
di rabbia negli occhi. La rabbia, che
assurdità! Uno di quei sentimenti
sciocchi ed esasperanti della vecchia
Londra, pensò Mrs Wilkins, che si
immaginava la stanza traboccante di
quei baci, grandi baci per tutti, sia per
Mrs Fisher sia per lei e Rose.
«Non siete contenta di trovarci
qui, - osservò Mrs Wilkins, alzandosi
e, com'era sua abitudine, dicendo
subito le cose come stavano. Perché?»
«Pensavo, - disse Mrs Fisher
appoggiandosi al bastone, - che vi
sareste accorte che questa era la mia
stanza».
«Alludete di certo alle fotografie»,
disse Mrs Wilkins.
Anche Mrs Arbuthnot si alzò, un
po' rossa in viso e con un'espressione
sorpresa.
«E la carta da lettere, - disse Mrs
Fisher. - La carta da lettere con il mio
indirizzo di Londra. Quella penna…»
La indicò. Mrs Wilkins la teneva
ancora in mano.
«È vostra? Mi dispiace davvero»,
disse Mrs Wilkins posandola sul
tavolino. E sorridendo aggiunse che
con quella penna aveva appena scritto
delle parole molto affettuose.
«Ma perché, - chiese Mrs
Arbuthnot, che non si rassegnava ad
accettare le disposizioni di Mrs
Fisher senza discutere, - non
dovremmo rimanere qui? Questo è un
salotto».
«Ce n'è un altro, - replicò Mrs
Fisher. - Voi e la vostra amica non
potete
occupare
due
salotti
contemporaneamente, e se io non mi
permetto di disturbarvi nel vostro non
vedo per quale ragione voi dovreste
disturbare me nel mio».
«Ma perché…», riprese Mrs
Arbuthnot.
«È semplice», la interruppe Mrs
Wilkins, visto che Rose si ostinava; e
rivolgendosi a Mrs Fisher disse che
sebbene fosse piacevole condividere le
cose con i propri amici, comprendeva
che lei, attaccata com'era agli usi di
Prince of Wales Terrace, per ora non
volesse farlo, ma era sicura che in
poco tempo li avrebbe superati e si
sarebbe sentita un'altra. «Presto sarete
voi a chiedercelo, -disse Mrs Wilkins
in tono rassicurante. - Arriverete
addirittura a chiedermi di usare la
vostra penna, sapendo che non ne
possiedo una».
Queste parole colpirono Mrs
Fisher fino quasi a farle perdere il
controllo di sé. Una donna giovane e
instabile di Hampstead che le dava
colpetti gioviali sulle spalle, convinta
che molto presto sarebbe migliorata!
Be', questa donna la irritava
profondamente, più di qualunque
altra cosa da quando aveva scoperto
che Mr Fisher non era ciò che
sembrava. Bisognava assolutamente
tenere a freno Mrs Wilkins. Ma
come? In lei vi era qualcosa di
impenetrabile. Adesso, per esempio,
sorrideva con un viso così amabile e
sereno, come se quel che diceva non
fosse minimamente inopportuno.
Avrebbe
capito
che
doveva
trattenersi? E se non l'avesse capito?
Se fosse stata troppo insensibile per
rendersene conto? Allora, non
rimaneva che evitarla, standosene in
pace nel proprio salotto.
«Sono una donna anziana, disse Mrs Fisher, - e ho bisogno di
una stanza per me. A causa del
bastone non posso andare in giro,
quindi devo stare seduta. E perché
non potrei starmene seduta tranquilla
e indisturbata, come a Londra vi dissi
che volevo fare? Con un simile viavai
di gente che per tutto il giorno
chiacchiera e lascia le porte aperte, il
patto secondo cui io dovevo stare
tranquilla non viene rispettato».
«Ma
noi
non
vogliamo
assolutamente…»
iniziò
Mrs
Arbuthnot, e venne di nuovo
interrotta da Mrs Wilkins.
«Siamo davvero molto contente,
- disse Mrs Wilkins, - che abbiate
questa stanza, se ciò vi può fare
felice. Non lo sapevamo, tutto qui.
Altrimenti, non saremmo mai
entrate… perlomeno non fino a che
non ci avreste invitate voi. E credo, concluse fissando Mrs Fisher con
un'espressione gioiosa, - che lo farete
presto». E raccolta la sua lettera prese
per mano Mrs Arbuthnot e la
condusse verso la porta.
Mrs Arbuthnot non voleva
andarsene. Lei, la più mite delle
donne, fu pervasa da uno strano
desiderio,
sicuramente
poco
cristiano, di restare a lottare. Certo
non per davvero, né con parole
aggressive. No, avrebbe soltanto
voluto far ragionare Mrs Fisher, con
calma. Sentiva che bisognava dire
qualcosa, che non doveva lasciarsi
rimproverare e mandar fuori come
una scolaretta sorpresa dall'Autorità a
comportarsi male.
Mrs Wilkins, invece, fu risoluta
nel condurla alla porta e a farla uscire,
e ancora una volta Rose si meravigliò
di Lotty, del suo equilibrio, del suo
temperamento dolce e sereno, proprio
lei che in Inghilterra era spesso preda
di accessi d'ira. Da quando erano
arrivate in Italia, era stata Lotty a
sembrare la più vecchia. Si sentiva
certo molto felice, anzi, beata. Ma la
felicità proteggeva davvero le persone
in modo così totale? Le rendeva
davvero tanto sagge e invulnerabili?
Anche Rose era felice, ma niente a
che vedere con quella felicità. Ed era
evidente, non solo perché voleva
combattere con Mrs Fisher, ma anche
perché sentiva il bisogno di
qualcos'altro, qualcosa di più di
questo luogo incantevole, qualcosa
che lo completasse: voleva Frederick.
Per la prima volta in vita sua era
circondata dalla bellezza assoluta, e il
suo unico pensiero era di mostrarla a
lui, di condividerla con lui. Voleva
Frederick,
lo
desiderava
ardentemente.
Oh!
Se
solo
Frederick…
«Povera vecchina, - disse Mrs
Wilkins, chiudendo delicatamente la
porta su Mrs Fisher e sul suo trionfo.
- Che assurdità in una giornata
simile».
«È una vecchina molto sgarbata»,
disse Mrs Arbuthnot.
«Le passerà. Mi dispiace che
abbiamo scelto di andare a sederci
proprio nella sua stanza».
«E di gran lunga la più bella, disse Mrs Arbuthnot. - E non è sua».
«Oh, ma ci sono molti altri posti,
e lei è così vecchierella, poveretta.
Lasciamo che si prenda quella stanza.
Che cosa ci importa?»
E Mrs Wilkins disse che stava
scendendo in paese in cerca
dell'ufficio postale per imbucare la
lettera a Mellersh, e che sarebbe stata
contenta che Rose l'accompagnasse.
«Ho pensato a Mellersh», disse
Mrs Wilkins mentre camminavano
una dietro l'altra per lo stretto sentiero
a zigzag sul quale la notte precedente
si erano arrampicate sotto la pioggia.
La precedette, e Mrs Arbuthnot,
con naturalezza, la seguì. In
Inghilterra
era
esattamente
il
contrario: Lotty, timida ed esitante,
tranne quando scoppiava in uno dei
suoi discorsi impacciati, stava dietro
alla calma e ragionevole Rose ogni
volta che poteva.
«Ho pensato a Mellersh», ripetè
Mrs Wilkins voltandosi, perché
sembrava che Rose non avesse
sentito.
«Davvero?» disse Rose con voce
vagamente ostile, perché la sua
esperienza con Mellersh non gliene
rendeva gradevole il ricordo. Lo
aveva ingannato, per questo non gli
piaceva. Non si rendeva conto che era
questo il motivo della sua avversione,
e pensava invece che dipendesse dal
fatto che le era sembrato lontano dalla
Grazia di Dio, anzi, del tutto
estraneo ad essa. Ma che brutto
sentimento il suo, si rimproverò, e
che arroganza! Senza dubbio il
marito di Lotty era molto, molto più
vicino a Dio di quanto probabilmente
non lo fosse mai stata lei. Eppure non
le piaceva.
«Mi sono comportata come un
cane», disse Mrs Wilkins.
«Cosa?» si stupì Mrs Arbuthnot,
non credendo alle sue orecchie.
«Venire qui a godermi il paradiso
lasciando lui in quel posto orrendo.
Aveva deciso di portarmi in Italia per
Pasqua. Te l'avevo detto?»
«No», disse Mrs Arbuthnot, a
dire il vero era stata lei a scoraggiare
qualsiasi conversazione sui mariti.
Ogni volta che Lotty aveva
cominciato a fare dei cenni lei aveva
cambiato immediatamente discorso.
Sentiva che da un marito si sarebbe
passati all'altro, sia nei discorsi sia
nella vita, e lei non poteva né voleva
parlare di Frederick. Non l'aveva mai
nominato, se non per dire che
esisteva. Di Mellersh invece, per via
della sua opposizione, si era dovuto
parlare per forza, ma lei era stata ben
attenta che non si oltrepassassero i
limiti della necessità.
«Ebbene, proprio così, - disse
Mrs Wilkins, - ed era la prima volta
in vita sua che lo faceva, e io sono
rimasta impressionata. Che strano…
proprio quando anch'io avevo deciso
di venirci».
Si fermò sul sentiero e guardò in
su verso Rose.
«Sì», disse Rose, cercando di
pensare a qualcos'altro di cui parlare.
«Adesso capisci perché dico che
mi sono comportata come un cane.
Lui aveva deciso di venire in vacanza
in Italia con me, e io avevo deciso di
venire in vacanza in Italia lasciandolo
a casa. Credo, - continuò, con gli
occhi fissi su Rose, - che Mellersh
abbia tutte le ragioni per essere
arrabbiato e anche offeso».
Mrs Arbuthnot era sorpresa, la
straordinaria rapidità con cui Lotty,
col passare delle ore e sotto i suoi
occhi, diventava più altruista la
sconcertava. Si stava trasformando in
qualcosa di incredibilmente simile a
una santa. Eccola lì a mostrare affetto
per Mellersh, che soltanto quella
mattina, mentre stavano con i piedi
nel mare, le era sembrato una mera
iridescenza, una vaga foschia, come
le aveva detto Lotty. Questo era
accaduto soltanto quella mattina, ma
già dopo pranzo Lotty era così
mutata che lo trovava di nuovo
concreto e gli scriveva una lunga
lettera. E adesso, pochi minuti dopo,
annunciava che lui aveva tutte le
ragioni per essere arrabbiato con lei e
offeso, e che si era comportata l'espressione
era
insolita,
ma
esprimeva un vero pentimento - come
un cane.
Rose la fissò sorpresa. Di questo
passo presto avrebbe avuto un'aureola
sulla testa, anzi, pareva che ci fosse
già, se non si fosse saputo che era il
sole che, insinuandosi tra gli alberi, le
accendeva i capelli fulvi.
Un grande desiderio d'amore e
d'amicizia, di amare ed essere amica
di chiunque, sembrava pervadere
Lotty, un desiderio di bontà assoluta.
Secondo l'esperienza di Rose, la
bontà la si raggiungeva, si riusciva a
essere buoni, soltanto attraverso
fatiche e sofferenze. Ci voleva molto
tempo; in realtà, non la si
raggiungeva mai oppure, se per un
solo istante si riusciva, era solo per
quell'unico istante. Ci voleva una
perseveranza disperata per lottare
lungo il suo cammino, e la strada era
punteggiata da dubbi. Lotty invece la
percorreva
svolazzando
con
leggerezza. Di sicuro, pensò Rose,
non si era liberata della sua
impulsività, che aveva solo preso
un'altra
direzione.
Ora
stava
impulsivamente diventando una
santa. Si poteva davvero raggiungere
la bontà in modo così violento? Non
vi sarebbe stata una reazione
altrettanto violenta?
«Non sarei… - esitò Rose,
guardando in basso gli occhi
luccicanti di Lotty, il sentiero era
molto ripido così che Lotty era molto
più in basso di lei, - Non ne sarei
troppo sicura».
«Ma io sì, e gli ho scritto per
dirglielo».
Rose sbarrò gli occhi. «Ma se
solo questa mattina…», iniziò.
«E tutto qui dentro», la
interruppe Lotty picchiettando sulla
busta con espressione compiaciuta.
«Come… tutto?»
«Vuoi sapere se gli ho detto
dell'annuncio e del fatto che spendo i
miei risparmi? Oh, no, quello no…
non ancora. Ma gli dirò tutto appena
arriva».
«Appena arriva?» ripetè Rose.
«L'ho invitato a venire a stare qui
con noi».
Rose non poteva che continuare
a sbarrare gli occhi.
«È il minimo che possa fare. E
poi… guarda tutto questo, - Lotty fece
un gesto con la mano. - E disgustoso
non
condividerlo.
Mi
sono
comportata
come
un
cane
andandomene e lasciandolo solo ma,
che io sappia, nessun cane si è mai
comportato tanto male quanto farei io
se non cercassi di convincere Mellersh
a raggiungermi e a godere anche lui
di tutto questo. E il minimo che
anche lui possa approfittare del mio
gruzzoletto. Dopo tutto, mi ha dato
un tetto e mi ha nutrita per anni. Non
bisogna essere meschini».
«Ma… pensi che verrà?»
«Oh, lo spero tanto», disse Lotty
con la massima sincerità, e aggiunse:
«Povero agnellino».
Al che Rose sentì di doversi
sedere. Mellersh un povero agnellino?
Quello stesso Mellersh che qualche
ora prima non era che un lontano
bagliore? C'era una panca sulla curva
del sentiero, e Rose si avvicinò e si
sedette. Voleva riprendere fiato,
guadagnare tempo. Con un po' di
tempo forse sarebbe riuscita a
raggiungere la precipitosa Lotty, e a
fermarla prima che si impegnasse in
qualcosa di cui probabilmente si
sarebbe pentita subito dopo. Mellersh
a San Salvatore? Mellersh, da cui
Lotty si era appena data tanta pena
per allontanarsi?
«Lo vedo già qui», disse Lotty
come rispondendo ai suoi pensieri.
Rose la guardò preoccupata,
perché ogni volta che Lotty diceva
«Vedo» con quella voce convinta, quel
che vedeva si realizzava. Quindi si
doveva supporre che tra poco anche
Mr Wilkins si sarebbe realizzato.
«Come vorrei capirti», disse Rose
con ansia.
«Non provarci», disse Lotty
sorridendo.
«Ma devo, perché ti voglio bene».
«Cara Rose», disse Lotty,
piegandosi agilmente e baciandola.
«Sei così rapida, - disse Rose, che non riesco a seguire i tuoi
cambiamenti. Non riesco a stare al
passo. £ la stessa cosa che successe
con Freder…»
Si interruppe con un'espressione
atterrita.
«Se abbiamo deciso di venire qui,
- riprese, perché sembrava che Lotty
non si fosse accorta di niente, - è stato
solo per andarcene via, ricordi? Bene,
ce ne siamo andate via. E adesso,
dopo soltanto un giorno, vuoi
scrivere proprio a quelle persone…»
Si fermò.
«Proprio a quelle persone dalle
quali ci volevamo allontanare, concluse Lotty. - È vero. Sembra
idiota e illogico, ma io sono così
felice, mi sento così terribilmente
bene. Questo luogo… be', mi fa
sentire sommersa di amore».
E fissò Rose in una sorta di
raggiante sorpresa.
Rose rimase in silenzio per un
attimo, poi disse: «E pensi che avrà lo
stesso effetto su Mr Wilkins?»
Lotty rise. «Non so, - disse. - Ma
se anche non l'avesse, c'è abbastanza
amore per sommergerne almeno
cinquanta, di Mr Wilkins, come lo
chiami tu. L'importante è che ci sia
molto amore intorno. Trovo, continuò, - e mi succede qui, mentre a
casa non mi succedeva, che non abbia
importanza chi ama, basta che lo
faccia qualcuno. A casa ero così
meschina che sembravo una bestia,
non facevo che misurare e contare.
Ero ossessionata dalla giustizia.
Come se la giustizia importasse,
come se fosse distinguibile dalla
vendetta. Solo l'amore ha un senso. A
casa non amavo Mellersh se lui non
mi ricambiava, se non ricevevo da lui
altrettanto amore, in uguale misura.
Anche per te era così? E poiché lui
non me ne dava, neppure io ne davo
a lui, ed ecco l'aridità di quella casa!
L'aridità…»
Rose non parlò. Era sconcertata
da Lotty. Uno degli strani effetti che
San Salvatore aveva avuto sulla sua
amica che cambiava così in fretta era
nella libertà con cui all'improvviso
fece uso di parole forti. Ad
Hampstead non le aveva mai usate.
Cane e bestia erano più forti di
quanto
ad
Hampstead
fosse
ammesso. Anche nel parlare Lotty si
era liberata delle sue catene.
E come avrebbe voluto, oh,
quanto Rose avrebbe desiderato poter
scrivere anche lei a suo marito per
dirgli: «Vieni»! Il ménage Wilkins,
per quanto Mellersh potesse essere
pomposo - e a Rose era sembrato lo
fosse molto - si fondava su di un
rapporto più sano e più sincero del
suo. Lotty poteva scrivere a Mellersh
e ricevere una risposta. Lei invece
non poteva scrivere a Frederick,
perché sapeva sin troppo bene che
non le avrebbe risposto. Magari le
avrebbe anche risposto: due righe
frettolose, che dimostravano quanto
si fosse annoiato a scriverle per
ringraziarla della lettera. E quello
sarebbe stato peggio di nessuna
risposta, perché la sua calligrafia e il
nome di lei su una busta imbucata da
lui, le spezzavano il cuore. Con
troppa forza le richiamavano alla
memoria le lettere dei loro primi
tempi, lettere permeate di tristezza
per la loro separazione, di pene
d'amore e di desiderio. Vedersi
arrivare una lettera in apparenza così
simile a quelle, e poi aprirla e leggere:
«Cara Rose,
grazie per la tua lettera. Sono
contento che ti stia divertendo. Non aver
fretta di tornare. Fammi sapere se hai
bisogno di altro denaro. Qui va tutto bene.
Tuo Frederick»
… no, non l'avrebbe sopportato.
«No, non credo che oggi
scenderò al villaggio con te, - disse,
guardando
Lotty
con
occhi
improvvisamente offuscati. - Ho
voglia di starmene un po' a pensare».
«D'accordo, - disse Lotty,
avviandosi di buon passo giù per il
sentiero. - Ma non stare troppo a
pensare, - le urlò voltandosi. Scrivigli subito e invitalo».
«Invitare chi?» chiese Rose e
trasalì.
«Tuo marito».
A cena, quando per la prima
volta sedettero tutte e quattro insieme
intorno al tavolo, comparve Scrap.
Comparve in perfetto orario e
con una di quelle leggere vesti da
camera, o vestaglie, che spesso
vengono definite seducenti. Questa lo
era davvero, e sicuramente sedusse
Mrs Wilkins, che non poteva togliere
gli occhi di dosso all'incantevole
figura di fronte a lei. Era un abito
rosa conchiglia, e aderiva alla
adorabile Scrap come se anch'esso la
amasse.
«Che bel vestito!» esclamò Mrs
Wilkins con fervore.
«Cosa… questo vecchio straccio?
- disse Scrap, dandogli un'occhiata
per vedere quale aveva indosso, - ce
l'ho da cent'anni». E si concentrò
sulla sua minestra.
«Dovete avere molto freddo con
quello addosso», disse Mrs Fisher a
denti stretti; infatti il vestito le
lasciava scoperte molte parti del
corpo: le braccia, per esempio; ed era
così leggero che lasciava intravedere
anche le parti che copriva.
«Chi… io? - disse Scrap, alzando
lo sguardo per un istante. -Oh, niente
affatto».
E continuò con la minestra.
«State attenta a non prendere un
raffreddore, - disse Mrs Arbuthnot,
sicura che una tale bellezza dovesse
essere preservata intatta a ogni costo,
- c'è una bella differenza qui quando
cala il sole».
«Ho molto caldo», disse Scrap
indaffarata a mangiare la sua
minestra.
«Sembra che sotto non abbiate
niente», disse Mrs Fisher.
«Infatti.
Perlomeno,
quasi
niente», disse Scrap finendo la
minestra.
«Davvero molto imprudente, disse Mrs Fisher, - per non parlare
dell'indecenza».
Al che Scrap si mise a fissarla.
Mrs Fisher era arrivata a cena
ben disposta nei confronti di Lady
Caroline, che almeno non si era
introdotta nella sua stanza, non si era
seduta al suo tavolino né aveva scritto
con la sua penna. Lei sapeva, aveva
pensato Mrs Fisher, come ci si deve
comportare.
Adesso
invece
dimostrava di non saperlo, perché era
forse educazione andare a cena
vestita - anzi, svestita - in quel modo?
Un tale comportamento oltre che
estremamente indecente, era anche
assai irrispettoso, perché quella
creatura senza riguardo di certo si
sarebbe presa un raffreddore, e poi
avrebbe infettato tutte quante. Mrs
Fisher trovava sempre da ridire sui
raffreddori degli altri; erano sempre
causati da imprudenze, e poi
passavano a lei, che non aveva fatto
nulla per meritarli.
«Che civettuola, - pensò Mrs
Fisher, osservando Lady Caroline
con severità. - Non pensa ad altro che
alla bellezza».
«Ma qui non ci sono uomini, disse Mrs Wilkins, - come potrebbe
quindi essere indecente? Avete
notato, - si rivolse a Mrs Fisher, che
tentava di far finta di non sentire, com'è difficile essere indecenti
quando non ci sono uomini?»
Mrs Fisher non rispose né la
guardò; ma la guardò Scrap, e le
comparve sulla bocca un'espressione
che in ogni altra persona sarebbe
sembrata forse un ghigno. In lei
invece, visto da oltre il vaso di
nasturzi, risultava il più bello dei
sorrisi, appena accennato e con le
fossette.
Questa donna possedeva un viso
particolarmente vivo, pensò Scrap
osservando
Mrs
Wilkins,
che
cominciava a interessarla, era come
un campo di grano sfiorato da ombre
e luci. Sia lei sia la bruna, notò Scrap,
si erano cambiate d'abito, ma solo per
indossare uno scamiciato di seta. Con
lo stesso sforzo potevano vestirsi
meglio, riflettè Scrap, invece con
quegli scamiciati non facevano
nessuna figura. Com'era vestita Mrs
Fisher non aveva importanza; infatti,
il solo abito adatto a lei, tolte le
piume e l'ermellino, era quello che
indossava. Ma queste due erano
ancora giovani, e molto carine.
Avevano indubbiamente un bel viso.
Come sarebbe stata diversa la loro
vita se avessero tratto da se stesse
tutto il possibile, anziché il minimo
indispensabile. E invece… D'un tratto
Scrap si sentì infastidita, scacciò i
propri
pensieri
e
mangiò
distrattamente un crostino. Cosa
importava? Traendo il meglio da noi
stessi otteniamo di essere circondati
da una folla di persone che alla fine
vuole solo impossessarsi di noi.
«Ho passato una giornata
meravigliosa», iniziò Mrs Wilkins, gli
occhi che brillavano.
Scrap abbassò lo sguardo. «Oh, pensò, - ecco che prende a
farneticare».
«Come se a qualcuno interessasse
la sua giornata», pensò Mrs Fisher,
anche lei abbassando lo sguardo.
Per la verità, ogni volta che Mrs
Wilkins apriva bocca, Mrs Fisher
abbassava
lo
sguardo
intenzionalmente; così esprimeva la
sua disapprovazione, senza contare
che pareva l'unica cosa prudente da
fare, perché nessuno sapeva che cosa
avrebbe detto in seguito quella
creatura indomita. Ciò che aveva
appena affermato sugli uomini, per
esempio, e oltretutto rivolgendosi a
lei, che cosa poteva significare?
Meglio non fare congetture, pensò
Mrs Fisher e, sebbene tenesse gli
occhi abbassati, vide tuttavia Lady
Caroline che allungava la mano verso
il fiasco di Chianti e si riempiva di
nuovo il bicchiere.
Di nuovo. L'aveva già riempito
una volta, e il pesce stava uscendo
appena adesso dalla stanza. Mrs
Fisher si accorse che anche l'altra
signora rispettabile del gruppo, Mrs
Arbuthnot, lo stava notando. Mrs
Arbuthnot era, lo sperava e ci
credeva,
rispettabile
e
ben
intenzionata. È vero che anche lei
aveva invaso il suo salotto, ma senza
dubbio vi era stata trascinata
dall'altra, e Mrs Fisher aveva poco o
niente da dire contro Mrs Arbuthnot,
la quale, osservò con approvazione,
beveva soltanto acqua. Era così che ci
si doveva comportare. E anzi,
bisognava renderle merito, faceva
così anche la lentigginosa; quel che
era giusto per la loro età. Lei invece
beveva vino, ma con moderazione:
un bicchiere a pasto. E comunque a
sessantacinque anni aveva tutti i
diritti di berne almeno due, anzi, le
avrebbero addirittura giovato.
«Quello, - disse a Lady Caroline,
interrompendo di netto il racconto di
Mrs Wilkins sulla sua giornata
meravigliosa e indicando il bicchiere
di vino, - vi fa molto male».
Era impossibile però che Lady
Caroline avesse sentito, visto che, coi
gomiti sul tavolo, continuava a
sorseggiare ascoltando ciò che diceva
Mrs Wilkins.
Come? Cosa diceva? Aveva
invitato una persona qui? Un uomo?
Mrs Fisher non poteva credere
alle sue orecchie. Eppure era proprio
un uomo, perché ne parlava dicendo
«lui».
All'improvviso e per la prima
volta, - ma adesso era troppo
importante, - Mrs Fisher si rivolse a
Mrs Wilkins direttamente. Aveva
sessantacinque anni, e non le
importava affatto di che tipo fossero
le signore con cui le era capitato di
trascorrere un mese, ma se a queste
dovevano unirsi degli uomini la
questione cambiava radicalmente.
Non aveva nessuna intenzione di far
la parte di una marionetta, non era
andata lì per sancire con la sua
presenza ciò che ai suoi tempi soleva
essere
definito
comportamento
dissoluto. A Londra, nel colloquio,
non si era fatto alcun cenno riguardo
agli uomini; se ve ne fossero stati non
avrebbe accettato, naturalmente, di
venire.
«Come si chiama?» chiese Mrs
Fisher, intromettendosi bruscamente.
Mrs Wilkins si voltò verso di lei
leggermente sorpresa. «Wilkins»,
disse.
«Wilkins?»
«Sì».
«Il vostro nome».
«E il suo».
«Un familiare?»
«Non consanguineo».
«Un parente?»
«Un marito».
Mrs Fisher abbassò ancora una
volta lo sguardo. Non poteva parlare
con Mrs Wilkins. C'era qualcosa nelle
cose che diceva… «Un marito».
Faceva pensare a uno dei tanti.
Quella inclinazione a rendere tutto
indecente. Perché non poteva dire:
«Mio marito»? Per di più Mrs Fisher
aveva preso le giovani signore di
Hampstead, neppure lei sapeva il
perché, per due vedove. Vedove di
guerra. Durante il colloquio i mariti
non erano mai stati menzionati, il che
non sarebbe accaduto, pensò, se
fossero esistiti. E se un marito non
era un familiare, allora chi era? «Non
consanguineo», che maniera di
esprimersi! Un marito era il primo,
tra tutti i familiari. Come ricordava
bene Ruskin… no, non era stato
Ruskin, ma la Bibbia, a dire che un
uomo doveva abbandonare padre e
madre per essere devoto soltanto a
sua moglie; dimostrando che con il
matrimonio lei era divenuta ancor più
importante di un consanguineo. E se
per il marito il padre e la madre non
dovevano avere più nessun valore
rispetto alla moglie, ancora meno
rispetto al marito dovevano avere per
lei i rispettivi padre e madre. Lei
stessa
non
era
riuscita
ad
abbandonare i suoi genitori per essere
devota unicamente a Mr Fisher,
perché quando si sposò non erano più
in vita, ma l'avrebbe fatto sicuramente
se
ci
fossero
stati.
Non
consanguineo… che stupidaggine!
La cena era molto buona. Una
squisitezza dietro l'altra. Per la prima
settimana Costanza aveva deciso di
fare di testa sua in quanto a panna e
uova, e di vedere cosa sarebbe
accaduto alla fine, quando si
sarebbero dovute pagare le spese.
Sapeva per esperienza che con gli
Inglesi si poteva stare tranquilli a
questo riguardo. Erano di poche
parole e si fidavano ciecamente. E
poi, chi era qui la padrona di casa?
Non essendocene una, a Costanza
venne in mente che poteva benissimo
sostituirsi lei. Ed è quel che fece, così
scelse lei cosa preparare per cena,
ottenendo ottimi risultati.
Le quattro donne, tuttavia, erano
così prese dalla loro conversazione
che
mangiarono
tutto
senza
accorgersi di quanto fosse buono.
Non se ne accorse neanche Mrs
Fisher, proprio lei che su queste cose
non transigeva. Mangiò tutte quelle
prelibatezze come se non fossero
esistite: il che dimostra quanto
doveva essere irritata.
Irritata lo era davvero, e per
quella Mrs Wilkins. Bastava a irritare
chiunque. E indubbiamente era
incoraggiata da Lady Caroline che, a
sua volta, era influenzata senza
dubbio dal Chianti.
Mrs Fisher era molto contenta
che non vi fossero uomini, perché
sicuramente avrebbero perso la testa
per Lady Caroline. Era proprio il tipo
di ragazza che li faceva impazzire;
soprattutto, riconobbe Mrs Fisher, in
momenti come quello. Forse era il
Chianti
che
intensificava
temporaneamente la sua personalità,
ma non si poteva negare che ella fosse
attraente; e vi erano poche cose che
Mrs Fisher detestava di più del dover
vedere uomini assennati e intelligenti,
che un attimo prima parlavano in
modo serio e interessante di questioni
concrete, perdere semplicemente l'uso
della ragione e cominciare a sorridere
come degli idioti - li aveva proprio
visti sorridere come degli idioti soltanto perché era arrivata una bella
civettuola. Persino Mr Gladstone,
uno statista così grande e saggio la
cui mano per un istante memorabile
si era posata con solennità sulla sua
testa, vedendo Lady Caroline avrebbe
smesso, sentiva Mrs Fisher, di dire
cose sensate e si sarebbe imbarcato in
un fiume di insopportabili scherzi.
«Vedete», disse Mrs Wilkins, un
vezzo sciocco con cui aveva
l'abitudine di cominciare ogni frase e
a cui tutte le volte Mrs Fisher avrebbe
voluto ribattere dicendo: «Chiedo
scusa… ma non vedo, sento». Ma
perché scomodarsi? «Vedete, - disse
Mrs Wilkins, allungandosi verso
Lady Caroline, - lo avevamo stabilito
a Londra, ricordate? che se le altre
erano d'accordo ognuna di noi poteva
invitare un ospite. Ed è quello che sto
facendo».
«Questo non lo ricordo affatto»,
disse Mrs Fisher tenendo gli occhi sul
piatto.
«Oh, eppure l'avevamo deciso…
vero, Rose?»
«Sì… me lo ricordo bene, - disse
Lady Caroline. - Solo che pareva
incredibile che qualcuno desiderasse
fare una cosa del genere! La nostra
sola intenzione era fuggire dai nostri
amici».
«E dai nostri mariti».
Ecco di nuovo quel plurale tanto
sconveniente. Davvero sconveniente,
pensò Mrs Fisher, e con molte
implicazioni. Era chiaro che la
pensava come lei anche Mrs
Arbuthnot, perché era arrossita.
«E dagli affetti familiari», disse
Lady Caroline… era forse il Chianti a
parlare? Certo, non poteva che essere
il Chianti!
«E dalla mancanza di affetti
familiari», disse Mrs Wilkins… quale
luce stava gettando sulla sua vita
privata e sulla sua vera personalità!
«Questo non sarebbe poi tanto
male, - disse Lady Caroline. - Io
accetterei volentieri. Almeno ci
rimarrebbe un po' di spazio».
«Oh, no… invece è terribile, gridò Mrs Wilkins. - È come essere
svestiti».
«Ma a me piace sentirmi così»,
disse Lady Caroline.
«Credo…», fece Mrs Fisher.
«E una sensazione divina,
liberarsi dalle cose», disse Lady
Caroline, che adesso si rivolgeva
soltanto a Mrs Wilkins e non prestava
la minima attenzione alle altre due.
«Oh, ma quando ci si trova in
una bufera, con niente addosso e
sapendo che non si avrà mai niente,
ma che si avrà sempre più freddo fino
a morirne… ecco cosa vuol dire
vivere con una persona che non ti
ama».
Queste confidenze, pensò Mrs
Fisher… non c'erano pretesti per Mrs
Wilkins, ma lei le faceva a titolo
gratuito. Mrs Arbuthnot, a giudicare
dall'espressione del viso, condivideva
appieno la disapprovazione di Mrs
Fisher, perché stava sulle spine.
«Ma non vi amava?» chiese Lady
Caroline, che a ogni istante diventava
più sfacciata e meno reticente,
proprio come Mrs Wilkins.
«Mellersh? Non lo dimostrava
minimamente».
«Delizioso», mormorò Lady
Caroline.
«Credo…», fece Mrs Fisher.
«Per me non era affatto delizioso.
Ero infelice. E adesso, da quando
sono qui, mi stupisco di quanto mi
sentivo
infelice.
Profondamente
infelice, e per Mellersh».
«Intendete dire che non ne vale la
pena?»
«Credo…», fece Mrs Fisher.
«No, non è quello, ma solo che
improvvisamente mi sono sentita
bene».
Lady Caroline, ruotando tra le
dita lo stelo del bicchiere, scrutò il
volto illuminato di fronte a lei.
«E adesso che sto bene sento che
non posso stare seduta qui a esultare
tutta sola. Non posso essere felice
escludendolo, devo condividere con
lui. Capisco perfettamente come
doveva sentirsi la Blessed Damozel».
«Che cos'è la Blessed Damozel?»
chiese Scrap.
«Credo…», fece Mrs Fisher, e
questa volta con una tale enfasi che
Lady Caroline si voltò verso di lei.
«Sono tenuta a saperlo? - chiese. Non conosco niente di storia
naturale. E quello sembra il nome di
un uccello».
«È una poesia», disse Mrs Fisher
con freddezza glaciale.
«Oh», esclamò Scrap.
«Vi presterò il libro», disse Mrs
Wilkins, il volto increspato dal riso.
«No», rispose Scrap.
«E l'autore, - disse Mrs Fisher
gelida, - sebbene forse non così
assiduamente quanto si sarebbe
potuto desiderare, sedeva spesso alla
tavola di mio padre».
«Chissà che noia per voi, - disse
Scrap. - Invitare gli scrittori è la
passione di tutte le madri. Io odio gli
scrittori. Non mi dispiacerebbero
tanto, se non scrivessero libri.
Continuate con Mellersh», disse
rivolgendosi a Mrs Wilkins.
«Credo…», fece Mrs Fisher.
«Tutti quei letti vuoti», disse Mrs
Wilkins.
«Quali letti vuoti?» chiese Scrap.
«Quelli di questa casa. Be', ogni
letto dovrebbe ospitare una persona
felice. Otto letti e quattro persone
soltanto. È terribile, è spaventoso
essere così avidi, tenere tutto per sé.
Voglio che anche Rose inviti suo
marito. Perché voi e Mrs Fisher, che
non avete un marito, non date
l'opportunità a una vostra amica di
trascorrere
dei
giorni
indimenticabili?»
Rose si morse le labbra. Arrossì,
poi impallidì. Se solo Lotty stesse un
po' zitta, pensò. Va bene che
improvvisamente fosse diventata una
santa e volesse amare il mondo
intero, ma doveva proprio essere così
indiscreta? Rose sentì di essere stata
toccata nel vivo. Se solo Lotty fosse
stata zitta…
E Mrs Fisher, con una freddezza
ancora più glaciale di quella con cui
aveva reagito all'ignoranza di Lady
Caroline riguardo alla Blessed
Damozel, disse: «In questa casa c'è
una sola camera da letto libera».
«Una sola? - fece eco Mrs
Wilkins, stupita. - E tutte le altre chi
le occupa?»
«Noi», rispose Mrs Fisher.
«No, noi non le occupiamo tutte.
Ce ne sono almeno sei. Quindi ne
rimangono due, e il proprietario ci
aveva detto che c'erano otto letti…
vero, Rose?»
«Ci sono sei camere da letto»,
disse Mrs Fisher, perché, appena
arrivate, sia lei che Lady Caroline
avevano perlustrato a fondo la casa
per vedere quale fosse la zona più
comoda, e sapevano entrambe che vi
erano sei camere da letto, due delle
quali molto piccole, che in una di
queste
dormiva
Francesca
in
compagnia di una sedia e di un
cassettone, e che l'altra, ammobiliata
in modo simile, era vuota.
Mrs Wilkins e Mrs Arbuthnot
avevano a mala pena visto la casa,
avendo trascorso la maggior parte del
tempo fuori a osservare a bocca
aperta il paesaggio; e quando per la
prima volta avevano preso accordi
per San Salvatore, distratte dalla loro
agitazione si erano messe in testa
l'idea sbagliata che gli otto letti di cui
aveva
parlato
il
proprietario
corrispondessero a otto camere da
letto. Di fatto vi erano otto letti, ma
due di questi erano nella camera di
Mrs Wilkins e due in quella di Mrs
Arbuthnot.
«Ci sono sei camere da letto, -
ripetè Mrs Fisher. - Noi ne abbiamo
quattro, Francesca ha la quinta e la
sesta è vuota».
«Così, - disse Scrap, - anche se
avessimo desiderato essere ospitali,
non potremmo. Non è una fortuna?»
«Ma allora c'è posto solo per una
persona?» chiese Mrs Wilkins,
guardando a turno i tre volti di fronte
a lei.
«Sì, e può starci lui», disse Scrap.
Mrs Wilkins era sconcertata.
Questa faccenda dei letti la coglieva
di sorpresa. Invitando Mellersh si era
proposta di farlo dormire in una delle
quattro
camere
che
credeva
disponibili. Con tutte quelle camere e
servitù a sufficienza, non vi era
ragione di dividere la stanza, come
facevano a casa, che era piccola e con
due soli domestici. L'amore, anche
l'amore universale, il genere d'amore
da cui si sentiva sommersa, non
doveva essere messo alla prova. Il
sonno dei coniugi aveva bisogno di
molta pazienza e altrettanta modestia
per una buona riuscita. E servivano
anche la calma e una fede profonda.
Lei sapeva che avrebbe amato di più
Mellersh, e che lui non sarebbe stato
così maldisposto verso di lei, se di
notte non fossero stati rinchiusi nella
stessa stanza, se al mattino si fossero
potuti incontrare con quell'affetto
cordiale degli amici, non adombrato
da screzi per la finestra e per i turni in
bagno, oppure dall'accumulo di
piccoli rancori assurdi per qualcosa
che a uno dei due era sembrato
ingiusto. Sentiva che la sua felicità, la
sua capacità di essere amica di
chiunque, provenivano da una libertà
per lei nuova, e dalla pace che ne
conseguiva. Avrebbe provato quella
sensazione di libertà, quella pace,
dopo una notte in camera con
Mellersh? Al mattino avrebbe saputo
donargli, come avrebbe potuto in
quell'istante, tutto il suo amore? In
fondo, non era in paradiso da molto;
e se questo periodo non fosse bastato
a rendere salda la sua amorevolezza?
E quella mattina al risveglio che gioia
incontenibile aveva provato nel
ritrovarsi sola, e nel poter sistemare le
coperte come le pareva!
Francesca dovette darle un
leggero colpetto, era così assorta che
non aveva visto il pudding.
«Se divido la camera con
Mellersh, - pensò Mrs Wilkins,
servendosi distrattamente, - rischio di
rovinare tutto quel che provo per lui
adesso. D'altro canto se lo faccio
dormire nell'unica camera libera,
impedisco a Mrs Fisher e a Lady
Caroline di far felice un'altra persona.
È vero che per ora non sembrano
interessate, ma è probabile che prima
o poi in un posto come questo una
delle due venga presa dal desiderio di
rendere felice qualcuno, e allora non
potrà realizzarlo a causa di Mellersh».
«Che problema», disse forte, con
espressione accigliata.
«Quale?» chiese Scrap.
«Dove mettere Mellersh».
Scrap sgranò gli occhi. «Perché,
una camera non gli basta?» chiese.
«Oh, certo. Ma poi non
rimangono altre camere libere… nel
caso una di voi volesse invitare
qualcuno».
«Io
non
intendo
invitare
nessuno», disse Scrap.
«Allora voi, - disse Mrs Wilkins a
Mrs Fisher. - Rose, naturalmente,
non conta. Sono sicura che vorrebbe
dividere la camera con suo marito; ce
l'ha scritto in faccia».
«Credo che…», fece Mrs Fisher.
«Cosa credete?» chiese Mrs
Wilkins voltandosi verso di lei
speranzosa, pensando che questa
volta l'espressione volesse introdurre
un suggerimento utile.
Ma non erano queste le sue
intenzioni. Quell'espressione era fine
a se stessa, e racchiudeva la stessa
freddezza di tutte le altre volte.
Sentendosi sfidata, tuttavia, Mrs
Fisher fu costretta a legarvi una frase.
«Credo di capire, - disse, - che
intendete riservare l'unica camera
disponibile all'uso esclusivo della
vostra famiglia».
«Non è la mia famiglia, - disse
Mrs Wilkins. - È mio marito.
Vedete…»
«Io non vedo niente, - questa
volta Mrs Fisher non riuscì a
trattenersi dall'interromperla: era un
vezzo davvero intollerabile. - Al
limite sento, e con riluttanza».
Ma
Mrs
Wilkins,
troppo
concentrata per ribattere, come
temeva Mrs Fisher, iniziò subito a
ripetere quella formula fastidiosa e si
avventurò in un discorso lungo ed
estremamente indelicato sul posto
migliore in cui far dormire la persona
che chiamava Mellersh.
A quanto pareva, Mellersh - Mrs
Fisher, ricordando i Thomas, i John,
gli Alfred e i Robert dei suoi tempi,
nomi comuni divenuti tuttavia
gloriosi, pensò che avere Mellersh
come nome di battesimo fosse pura e
semplice affettazione - era il marito di
Mrs Wilkins, e quindi era presto
deciso dove dovesse stare. Perché
tutti questi discorsi? Lei stessa
oltretutto, quasi prevedendo l'arrivo
di lui, aveva fatto mettere un secondo
letto nella camera di Mrs Wilkins.
Nella vita esistevano delle cose di cui
non si doveva mai parlare. Non si
doveva mai parlare, per esempio, di
quel che riguardava i mariti; e
discutere per tutta la cena su dove
dovesse dormire uno di loro era un
affronto alla decenza. Come e dove
dormisse un marito doveva essere
noto soltanto alla moglie. A volte,
quando neanche questa lo sapeva, il
matrimonio attraversava un periodo
non molto felice; ma era meglio non
parlare neanche di questi periodi:
bisognava mantenere la decenza. Ai
suoi tempi, almeno, era così. Dover
ascoltare se Mr Wilkins avrebbe
dovuto o no dormire con Mrs
Wilkins, e le ragioni per cui avrebbe
dovuto farlo, era indelicato oltre che
poco interessante.
Sarebbe riuscita a imporre un
certo decoro e a cambiare argomento
se non fosse stato per Lady Caroline,
che incoraggiava Mrs Wilkins e si
gettava nella discussione con sempre
minore riservatezza, allo stesso modo
di Mrs Wilkins. Senza dubbio era
spinta dal Chianti, ma qualunque
fosse la causa, il risultato era quello.
Stranamente poi, Lady Caroline era
d'accordissimo a lasciare l'unica
camera disponibile a Mr Wilkins. Le
pareva scontato. Qualunque altra
sistemazione
sarebbe
stata
impossibile,
disse,
usando
l'espressione «barbaro». Non aveva
mai letto la Bibbia, Mrs Fisher fu
tentata di chiedere… «E loro due
saranno un solo corpo?» Quindi
anche una sola camera. Ma Mrs
Fisher non chiese nulla. Non volle
neanche alludere a testi simili con una
persona non sposata.
Esisteva comunque un modo per
obbligare Mr Wilkins ad andare nel
luogo più appropriato a lui salvando
la situazione: avrebbe potuto dire che
voleva invitare un'amica. Era suo
diritto, l'avevano detto tutte. Decoro
a parte, era mostruoso che Mrs
Wilkins
volesse
monopolizzare
l'unica stanza disponibile, quando in
camera sua vi era il necessario per il
marito. E magari lei avrebbe invitato
davvero qualcuno, non proprio
invitato, ma suggerito di venire. C'era
Kate Lumley, per esempio. Kate
poteva permettersi benissimo di
venire pagando la sua parte, aveva la
sua stessa età e un tempo conosceva
molte delle persone che, un tempo,
conosceva anche lei. Naturalmente
Kate era rimasta da parte, veniva
invitata soltanto ai ricevimenti
importanti, non a quelli più ristretti, e
anche adesso continuava a rimanere
da parte. Esistevano persone che ci
rimanevano sempre, e Kate era una di
queste. Spesso, tuttavia, la loro
compagnia alla lunga risultava più
gradevole di altre, perché si
dimostravano riconoscenti.
Sì, poteva davvero prendere in
considerazione Kate. La poveretta
non si era mai sposata, d'altronde a
quei tempi non tutte potevano
pretendere di sposarsi, e viveva
agiatamente,
non troppo,
ma
abbastanza da pagarsi le spese nel
caso fosse venuta, e da esserne
riconoscente. Sì, Kate era l'ideale. Se
fosse venuta, pensò Mrs Fisher, in un
colpo solo i Wilkins sarebbero stati
sistemati e Mrs Wilkins non avrebbe
potuto avere più stanze di quante le
spettavano. Inoltre, Mrs Fisher si
sarebbe
salvata
dal
completo
isolamento,
naturalmente
un
isolamento spirituale. Tra un pasto e
l'altro le piaceva isolarsi, ma
detestava l'isolamento dello spirito. E
temeva che ne avrebbe sicuramente
sofferto, con tre giovani donne a lei
così estranee. Anche Mrs Arbuthnot,
in ragione della sua amicizia con Mrs
Wilkins, le era inevitabilmente
estranea. In Kate invece avrebbe
trovato un sostegno. Kate, senza
invadere il suo salotto, essendo una
persona a modo, sarebbe stata
presente ai pasti per sostenerla.
Per il momento non disse nulla;
ma subito dopo, quando si riunirono
in salone intorno al caminetto - Mrs
Fisher aveva scoperto che nel suo
salotto non c'era il caminetto e che
quindi, finchè le serate restavano
fredde, sarebbe stata costretta a
trascorrerle nell'altra stanza - subito
dopo, mentre Francesca serviva il
caffè e Lady Caroline avvelenava
l'aria con il fumo, Mrs Wilkins, con
espressione sollevata e compiaciuta,
disse: «Bene, se davvero nessuno
vuole quella stanza, e comunque non
deve essere usata diversamente, sarò
molto lieta che la prenda Mellersh».
«Deve assolutamente prenderla
lui», disse Lady Caroline.
Al che parlò Mrs Fisher.
«Io ho un'amica», disse con voce
profonda, e improvvisamente tra le
altre cadde il silenzio.
«Kate Lumley», disse Mrs Fisher.
Nessuno parlò.
«Forse, - continuò Mrs Fisher
rivolgendosi a Lady Caroline, - la
conoscete?»
No,
Lady
Caroline
non
conosceva Kate Lumley; e Mrs
Fisher, senza chiedere alle altre se la
conoscessero, giacché era certa che
non potevano conoscere nessuno,
proseguì: «Desideravo invitarla qui
con me».
Silenzio assoluto.
Poi Scrap disse, voltandosi verso
Mrs Wilkins: «Con ciò Mellersh è
sistemato».
«Ed è sistemato il problema di
Mrs Wilkins, - disse Mrs Fisher, sebbene non riesca a capire perché
debbano esserci problemi quando
esiste già una soluzione».
«Temo che non possiate che
accettare, - disse Lady Caroline,
sempre rivolta a Mrs Wilkins. Altrimenti, - aggiunse, - non potrà
venire».
Ma Mrs Wilkins, con espressione
turbata - e se dopo tutto, non fosse
ancora ben salda in paradiso? - riuscì
a dire soltanto, un po' a disagio: «Lo
vedo già qui».
Le giornate monotone - solo
apparentemente
monotone
scivolarono via inondate di sole e,
osservando le quattro signore, la
servitù giunse alla conclusione che ci
fosse in loro ben poca vitalità.
Alla servitù San Salvatore
sembrava addormentato. Nessuno
veniva per il té, né le signore
andavano a prenderlo da qualche
parte. Altri affittuari in altre
primavere erano stati di gran lunga
più attivi. C'erano stati momenti di
trambusto e di grandi iniziative;
avevano usato la barca, organizzato
escursioni, ordinato la carrozza di
Beppo, da Mezzago erano venute
delle persone a trascorrere la giornata,
nella casa erano risuonate voci
diverse e a volte qualcuno aveva
addirittura bevuto dello champagne.
La vita era varia e interessante. Ma
adesso? Cosa succedeva adesso? La
servitù non veniva mai neppure
rimproverata. Era completamente
abbandonata
a
se
stessa,
e
sbadigliava.
Imbarazzante era poi la totale
assenza di uomini. Come potevano
stare lontani da tanta bellezza? Perché
sommate assieme, le tre signore più
giovani, pur non contando quella più
anziana, raggiungevano quel risultato
straordinario che di solito gli uomini
cercavano.
Inoltre, ciò che confondeva la
servitù era il desiderio che ogni
signora nutriva di trascorrere molte
ore lontano dalle altre. Ne risultò una
mortale immobilità nella casa, tranne
che durante i pasti. A giudicare dai
rumori che si sentivano, pareva vuota
come lo era stata tutto l'inverno. La
signora anziana sedeva in camera
sua, da sola; la signora dagli occhi
scuri vagava da sola, indugiando
incomprensibilmente tra gli scogli,
così aveva detto Domenico, che
l'aveva incontrata qualche volta,
mentre lavorava; la bellissima signora
bionda stava sdraiata sulla sua
poltroncina nel giardino superiore, da
sola; l'altra signora bionda, certo un
po'
meno
bella
ma
sempre
affascinante, se ne andava sulle
colline e vi rimaneva delle ore, da
sola; ogni giorno il sole seguiva
lentamente
il
suo
cammino
illuminando la casa e di sera
scompariva nel mare senza che fosse
accaduto assolutamente nulla.
La servitù sbadigliava.
Eppure le quattro ospiti, chi
stando seduta - Mrs Fisher - chi
sdraiata - Lady Caroline - chi
indugiando - Mrs Arbuthnot - e chi
andandosene sola tra le colline - Mrs
Wilkins - in realtà erano tutt'altro che
intorpidite. La loro mente era
insolitamente attiva, anche di notte, e
i loro sogni erano nitidi, leggeri e
vivi, del tutto diversi dai sogni
opprimenti che facevano a casa. C'era
qualcosa nell'atmosfera di San
Salvatore che risvegliava la mente di
tutti, tranne che della gente del luogo.
Questi, come sempre, qualunque
bellezza li circondasse, di qualunque
dono fossero prodighe le stagioni,
rimanevano immuni da pensieri
diversi da quelli cui erano abituati.
Per tutta la vita avevano visto, anno
dopo anno, ripetersi il meraviglioso
spettacolo dell'aprile nei giardini, che
l'abitudine aveva reso per loro
invisibile. Erano ciechi e ignari di
quello spettacolo, esattamente come il
cane di Domenico che dormiva al
sole.
Le visitatrici non potevano essere
cieche: quello spettacolo faceva colpo
dopo
un
marzo
londinese
particolarmente
umido
e
melanconico.
Essere
trasportate
all'improvviso in quel luogo dove
l'aria era così ferma da trattenere il
suo stesso respiro, la luce così dorata
che l'oggetto più ordinario risultava
trasfigurato; essere trasportate in quel
tepore delicato, in quella fragranza
carezzevole, e avere come scenario
l'antico castello grigio e, in
lontananza, le colline chiare e serene
dei paesaggi del Perugino, era un
contrasto sorprendente. Persino Lady
Caroline, abituata da sempre alla
bellezza, che era stata ovunque e
aveva visto ogni cosa, fu sorpresa da
tanto splendore. Quell'anno, la
primavera
fu
particolarmente
incantevole, e se il tempo era bello,
aprile era il mese migliore a San
Salvatore.
Maggio
scottava
e
inaridiva, marzo era irrequieto, e
poteva essere freddo e rigido nel suo
splendore, ma aprile arrivava dolce,
come una benedizione, e quando il
tempo era favorevole, era così bello
che diventava impossibile non sentirsi
diversi, non sentirsi emozionati e
commossi.
Mrs Wilkins, l'abbiamo visto,
reagì all'istante. Si liberò, per così
dire, di tutti i suoi indumenti e si
gettò direttamente nello splendore,
senza esitazione, con un grido di
rapimento.
Mrs Arbuthnot fu emozionata e
commossa, ma in modo diverso.
Provò strane sensazioni, che verranno
descritte tra poco.
Mrs Fisher, essendo vecchia, era
di una fibra più compatta e
impermeabile, e oppose maggiore
resistenza, ma anche lei provò strane
sensazioni, che pure verranno
descritte al momento opportuno.
Lady Caroline, già avvezza alle
case belle e ai paesi caldi, che quindi
non potevano sorprenderla con la
medesima intensità, reagì tuttavia
quasi con la stessa prontezza di Mrs
Wilkins. Quel luogo ebbe anche su di
lei un'influenza quasi immediata, di
cui ella fu in parte consapevole: sin
dalla primissima sera le fece venir
voglia di pensare e, curiosamente, agì
su di lei come una coscienza. Questa
coscienza pareva volesse farle notare,
con una insistenza per lei allarmante,
- Lady Caroline esitò ad accettare
questa parola, che tuttavia continuava
a venirle in mente - che era una
persona squallida.
Squallida. Proprio lei. Che
assurdità.
Doveva pensarci sopra.
La mattina dopo la loro prima
cena tutte insieme, si svegliò
pentendosi di essere stata così
loquace con Mrs Wilkins la sera
precedente. Perché lo aveva fatto, si
chiese. Ora di certo Mrs Wilkins si
sarebbe attaccata a lei, avrebbe fatto
di tutto per stare con lei
ininterrottamente; e all'idea di un
tormento continuo e di una prigionia
ininterrotta per quattro settimane
Scrap si sentì mancare. Senza dubbio
Mrs Wilkins, così incoraggiata,
sarebbe stata in agguato nel giardino
superiore aspettandola al varco non
appena fosse uscita, salutandola con
gaiezza mattutina. Come odiava i
saluti gai del mattino, o addirittura i
saluti in generale. Non avrebbe
dovuto incoraggiare Mrs Wilkins la
sera prima. Era stato un errore fatale.
Era già un errore non essere
incoraggianti, perché di solito le
bastava stare seduta senza dire nulla
per
rimanere
coinvolta,
ma
incoraggiare apertamente era davvero
suicida. Cosa diavolo aveva fatto?
Adesso per riuscire a disfarsi di Mrs
Wilkins avrebbe dovuto sprecare il
suo tempo prezioso, ogni attimo
piacevole
che
avrebbe
potuto
trascorrere nei propri pensieri,
facendo i conti con se stessa.
Con estrema prudenza e in punta
di piedi, facendo attenzione a tenersi
in equilibrio per non far scricchiolare
la ghiaia, appena vestita sgattaiolò
fuori nel suo angolino, ma il giardino
era vuoto. Nessuno di cui disfarsi.
Non si vedevano né Mrs Wilkins né
nessun altro. Il giardino era tutto per
lei. Tranne Domenico, che arrivò
subito e prese a gironzolare intorno
bagnando le piante, e di nuovo
soprattutto le piante più vicino a lei,
non uscì nessuno; e quando, dopo
aver rincorso a lungo i suoi pensieri
che sembravano sfuggirle proprio
quando li afferrava, e dopo essersi
addormentata esausta nelle pause di
questa caccia, le venne fame, e
guardando l'ora vide che erano le tre
passate, si rese conto che nessuno
l'aveva disturbata neppure per
chiamarla a pranzo. Pertanto Scrap
non potè che osservare che l'unica
persona di cui ci si era disfatti era
proprio lei.
Ma che sensazione piacevole, e
assolutamente nuova! Adesso avrebbe
davvero
potuto
pensare,
ininterrottamente. Che meraviglia
essere dimenticati!
Però, aveva fame; e Mrs Wilkins,
dopo che lei si era dimostrata così
amichevole la sera precedente,
avrebbe almeno potuto dirle che il
pranzo era pronto. Sì, era stata
davvero esageratamente amichevole:
si era preoccupata della sistemazione
di Mellersh, aveva fatto il possibile
perché prendesse la camera libera e
tutto il resto. Di solito queste cose
non le interessavano, in realtà non le
erano mai minimamente interessate;
quindi pensò che non si poteva
proprio dire che non si fosse data da
fare per essere gentile con Mrs
Wilkins. E in cambio Mrs Wilkins
non si era neppure presa il disturbo di
sapere se avesse pranzato. Per
fortuna, pur avendo fame, non le
importò di aver saltato un pasto. La
vita ne era piena, i pasti occupavano
un'enorme fetta del tempo di
chiunque, e Mrs Fisher era una di
quelle persone, temeva, che si
attardavano a tavola.
Finora aveva cenato due volte
con Mrs Fisher, la quale ogni volta
era stata lenta a lasciare il tavolo,
attardandosi a lungo a sgusciare
innumerevoli noci e a sorseggiare
lentamente un bicchiere di vino, tanto
che pareva non volesse più smettere.
Forse sarebbe stato meglio prendere
l'abitudine di saltare il pranzo e, dato
che poteva facilmente farsi portare
fuori il té e la colazione la faceva in
camera, avrebbe dovuto frequentare la
sala da pranzo e sopportare le noci
soltanto una volta il giorno.
Scrap affondò comodamente la
testa nei cuscini, e con i piedi
incrociati sul basso parapetto si
abbandonò di nuovo ai suoi pensieri.
Si disse, come si era ripetuta per tutta
la mattina: adesso mi metto a
pensare. Ma non avendo mai pensato
a niente per tutta la vita, fu difficile. E
singolare come non si riesca a fissare
la propria attenzione, come la mente
sfugga da ogni parte. Riandando al
proprio passato per poter poi riflettere
sul
futuro,
ed
esplorandolo
attentamente
per
giustificare,
innanzitutto,
quell'angosciante
«squallida», la prima cosa di cui si
accorse fu che non stava affatto
pensando a questo, ma che, chissà
come, era passata a Mr Wilkins.
Certo, fu abbastanza facile
pensare a Mr Wilkins, ma non
altrettanto piacevole. E considerò il
suo arrivo con una certa apprensione.
Perché non soltanto era una seccatura
grossa e imprevista che un uomo si
aggiungesse al gruppo, un uomo,
oltretutto, del tipo che lei era sicura
Mr Wilkins fosse, ma temeva - e quel
timore era il risultato di una
esperienza
che
si
ripeteva
inesorabilmente identica ogni volta che lui avrebbe cominciato a ronzarle
intorno.
Evidentemente a Mrs Wilkins
non era ancora passato per la testa
che potesse accadere una cosa simile,
cosa che lei sicuramente non avrebbe
potuto farle notare; non, cioè, senza
apparire estremamente sciocca. Sperò
che Mr Wilkins si rivelasse una
stupenda eccezione a quella regola
tremenda. In tal caso, lei si sarebbe
sentita così riconoscente nei suoi
confronti che sicuramente le sarebbe
piaciuto.
Fatto sta… era in grande
apprensione. E se lui le avesse
ronzato intorno tanto da obbligarla
ad allontanarsi da quel grazioso
giardino? E se il volto vispo e
sfavillante di Mrs Wilkins si fosse
spento? Scrap sentì che le sarebbe
dispiaciuta
molto
una
simile
trasformazione del volto di Mrs
Wilkins, eppure in vita sua non aveva
mai incontrato una sola moglie,
neanche una, in grado di capire che
lei non desiderava affatto suo marito.
Aveva incontrato spesso, invece, delle
mogli che pur non desiderando i loro
mariti, nondimeno si indignavano al
pensiero che li desiderasse qualcun
altro, sicure, quando li vedevano
ronzare intorno a Scrap, che fosse lei
a fare di tutto per conquistarli. Fare di
tutto per conquistarli! Il solo pensiero,
il solo ricordo di queste situazioni, la
riempì di una noia così profonda, da
farla ripiombare addormentata.
Al risveglio continuò con Mr
Wilkins.
Se invece, pensò Scrap, Mr
Wilkins non fosse stato un'eccezione
ma si fosse comportato come tutti,
Mrs Wilkins avrebbe capito, o si
sarebbe semplicemente rovinata la
vacanza? Sembrava intelligente, ma
lo sarebbe stata in questo caso?
Sembrava che capisse e che vedesse
dentro le persone, ma avrebbe
continuato a capire e a vedere anche
dopo l'arrivo di Mr Wilkins?
L'esperta Scrap era tormentata
dai dubbi. Spostò il piede sul
parapetto e con uno strattone
raddrizzò un cuscino. Forse nei
giorni
che rimanevano
prima
dell'arrivo avrebbe fatto meglio a
tentare di spiegare a Mrs Wilkins - in
termini vaghi e generali, senza
affrontare il discorso direttamente qual era il suo atteggiamento riguardo
a queste cose. Avrebbe potuto anche
esprimere la sua forte avversione per i
mariti delle altre e il suo ardente
desiderio di essere lasciata sola, per
questo mese almeno.
Scrap, tuttavia, nutriva dei dubbi
anche su questo. Un discorso simile
implicava una certa confidenza,
voleva dire imbarcarsi in un rapporto
d'amicizia con Mrs Wilkins; e se,
dopo
essersi
imbarcata
in
quell'avventura e aver affrontato il
pericolo di un'eccessiva familiarità
con lei, Mr Wilkins si fosse rivelato
scaltro - e quando le persone si
mettevano
in
testa
qualcosa
diventavano molto scaltre - riuscendo
comunque a infilarsi nel giardino
superiore? Allora Mrs Wilkins
avrebbe pensato sicuramente di essere
stata presa in giro da Scrap,
nient'altro
che
una
bugiarda.
Bugiarda! E per Mr Wilkins. Le
mogli erano davvero patetiche.
Alle quattro e mezzo sentì dei
rumori di stoviglie oltre i cespugli di
dafne. Le avrebbero portato il te?
No, quei rumori non si
avvicinarono, si fermarono vicino
alla casa. Il te doveva esser stato
servito in giardino. Nel suo giardino.
Scrap pensò che avrebbero
almeno potuto chiederle se quel
rumore la disturbava, sapevano tutti
che lei era seduta lì.
Magari qualcuno gliene avrebbe
portata una tazza nel suo angolino.
No, nessuno portò niente.
Bene, oggi aveva troppa fame per
non andare lei dagli altri, ma per il
futuro avrebbe dato ordini precisi a
Francesca.
Si alzò e con quella sua grazia
indolente,
un'altra
delle
sue
innumerevoli attrattive, s'incamminò
verso il rumore del té. Oltre che di
avere molta fame, si accorse di voler
chiacchierare di nuovo con Mrs
Wilkins, che non l'aveva tormentata,
anzi, l'aveva lasciata libera per tutto il
giorno nonostante il rapprochement
della sera prima. Era indubbiamente
una persona imprevedibile, per cena
aveva indossato uno scamiciato di
seta, ma non l'aveva tormentata. E
questa era una gran cosa. Scrap si
diresse al tavolino del té impaziente
di incontrare Mrs Wilkins; e
avvicinatasi vide solo Mrs Fisher e
Mrs Arbuthnot.
Mrs Fisher versava il té, e Mrs
Arbuthnot le offriva degli amaretti.
Ogni volta che Mrs Fisher offriva
qualcosa a Mrs Arbuthnot - la tazza,
del latte o lo zucchero - questa
rispondeva offrendole gli amaretti,
insistendo con una strana assiduità,
quasi ostinazione. Era un gioco? Si
domandò
Scrap
sedendosi
e
prendendo un amaretto.
«Dov'è Mrs Wilkins?» chiese
Scrap.
Non lo sapevano. Perlomeno non
lo sapeva Mrs Arbuthnot; il viso di
Mrs Fisher invece, quando Scrap
pronunciò il suo nome, assunse
un'espressione
di
assoluta
indifferenza.
A quanto pareva, non si vedeva
Mrs Wilkins sin da colazione. Mrs
Arbuthnot pensava che fosse andata a
fare un picnic. Scrap sentì la sua
mancanza. Mangiò in silenzio gli
enormi amaretti, i più buoni e grandi
che avesse mai visto. Prendere il té
senza Mrs Wilkins era una noia; Mrs
Arbuthnot aveva per lei un
insopportabile senso materno: voleva
coccolarla e farla sentire a suo agio,
insisteva perché mangiasse - proprio
con lei, che già mangiava di gusto,
persino smoderatamente - come se
fosse stata alle calcagna di Scrap per
tutta la vita. Perché la gente non
poteva lasciarti in pace? Lei era
perfettamente in grado di mangiare
quello che voleva senza dover essere
spronata. Nel tentativo di smorzare
l'ardore di Mrs Arbuthnot, decise di
essere sgarbata con lei, ma fu inutile
perché il suo sgarbo non apparve.
Come tutti i sentimenti negativi di
Scrap, anche questo rimase coperto
dal velo impenetrabile del suo
fascino.
Mrs Fisher sedeva in posa
statuaria senza badare a loro due.
Aveva trascorso una giornata curiosa,
ed era un po' preoccupata. Era stata
sempre sola, perché nessuna delle tre
era andata a pranzo, nessuna
preoccupandosi di avvertirla; e Mrs
Arbuthnot, trovatasi per caso al té, si
era comportata in modo strano fino a
quando non si era unita Lady
Caroline distraendo la sua attenzione.
Mrs Fisher era ben disposta nei
confronti di Mrs Arbuthnot, che con
quella scriminatura e quell'espressione
mite pareva una donna matura e
decorosa,
ma
che
aveva
indubbiamente abitudini difficili da
apprezzare. Ogni volta che le veniva
offerto qualcosa da mangiare o da
bere, per esempio, aveva l'abitudine
di
ricambiare
immediatamente
l'offerta, e da lei non ci si sarebbe
aspettati un simile comportamento.
«Volete del té?» era una domanda a
cui si rispondeva semplicemente sì o
no; ma Mrs Arbuthnot persisteva nel
vezzo, che aveva rivelato a colazione
il giorno precedente, di aggiungere ai
suoi sì o no la domanda: «E voi?»
L'aveva ripetuto quella mattina a
colazione, ed ecco che adesso lo
faceva durante il té, i due pasti ai
quali Mrs Fisher sedeva a capotavola
e serviva. Perché lo faceva? Mrs
Fisher non riusciva a capire.
Ma non era questo che la
preoccupava; questo era secondario.
La preoccupava il fatto che quel
giorno non era riuscita a concludere
nulla, e non aveva fatto che vagare
avanti e indietro dal suo salotto ai
merli in modo irrequieto. Era stata
una giornata sprecata, e lei detestava
lo spreco. Aveva cercato di leggere e
di scrivere a Kate Lumley; e invece…
leggeva qualche parola, scriveva due
righe, ed eccola di nuovo in piedi
diretta verso i merli a guardare il
mare.
Non le importava che la lettera a
Kate Lumley non fosse ancora
pronta. Per quello c'era tempo. Ancor
meglio lasciare che gli altri pensassero
che il suo arrivo fosse definitivamente
fissato, così Mr Wilkins non avrebbe
occupato la camera disponibile, ma
sarebbe andato nel posto che gli
spettava. L'avrebbe occupata Kate,
che poteva essere tenuta di riserva.
Kate di riserva, funzionava come dal
vivo; anzi, possedeva dei vantaggi
che nella realtà non esistevano. Per
esempio, se Mrs Fisher fosse stata
irrequieta, avrebbe preferito che non
ci fosse Kate a vederla. Quando si è
irrequieti e si continua a trottare
avanti e indietro, si sente il bisogno di
conservare la propria dignità. Ma le
importava di non riuscire a leggere
una frase dei suoi grandi amici,
ormai morti - no, neppure di
Browning, che aveva vissuto tanto a
lungo in Italia, né di Ruskin, di cui si
era portata dietro Le pietre di
Venezia, per rileggerlo mentre si
trovava quasi nello stesso luogo;
neppure una frase di un libro davvero
interessante come quello che aveva
trovato nel suo salotto sulla vita
privata
dell'imperatore
tedesco,
poveretto: scritto negli anni novanta,
quando i suoi peccati non avevano
ancora iniziato a rivoltarglisi contro,
cosa che invece era fermamente
convinta gli stesse succedendo
adesso, ed era ricco di notizie
eccitanti sulla sua nascita, sul suo
braccio destro e sugli accoucheurs neppure
una,
senza
doversi
interrompere per andare a scrutare il
mare.
Leggere era molto importante;
esercitare e sviluppare in modo
adeguato la propria mente era un
dovere supremo. Come si poteva
leggere continuando a trottare
ininterrottamente dentro e fuori?
Curiosa, questa irrequietezza. Si
stava forse ammalando? No, stava
bene; anzi, si sentiva insolitamente
molto bene, eppure entrava e usciva
frettolosamente - infatti, trottava - e
senza bastone. Davvero strano che
non riuscisse a star seduta, pensò,
guardando accigliata, attraverso la
punta di alcuni giacinti viola, il golfo
di La Spezia che scintillava oltre il
promontorio; molto strano che lei,
che camminava così lentamente e
sostenendosi
col
bastone,
all'improvviso cominciasse a trottare.
Sentiva che sarebbe stato bello
parlarne con qualcuno. Non con
Kate, ma con un estraneo. Kate
l'avrebbe solo guardata proponendo
una tazza di té. Kate proponeva
sempre una tazza di té, ed era così
inespressiva. Quella Mrs Wilkins
invece, per quanto fosse fastidiosa e
avesse la lingua lunga, nonostante
fosse impertinente e riprovevole, forse
avrebbe capito e magari avrebbe colto
il motivo per cui lei si sentiva così.
Ma a Mrs Wilkins non poteva dire
niente. Era l'ultima persona alla quale
si
confesserebbero
le
proprie
sensazioni. La dignità non lo
consentiva. Fidarsi di Mrs Wilkins?
Mai!
E anche Mrs Arbuthnot, mentre
si comportava da madre ansiosa con
la ritrosa Scrap, sentiva di aver
trascorso una giornata curiosa. Anche
lei era stata attiva ma, contrariamente
a Mrs Fisher, lo era stata soltanto
nella mente. Il corpo era rimasto
immobile,
la
mente
invece,
eccessivamente desta, non si era
fermata un attimo. Da anni lei faceva
in modo di non avere tempo per
pensare. La sua vita programmata
nella parrocchia aveva impedito a
ricordi e desideri di intrufolarsi
dentro di lei. Quel giorno, invece, le
si erano affollati dentro. Andò a
prendere il té sentendosi depressa e
provare tale sensazione in un luogo
simile, circondata da tutto quel che
avrebbe dovuto rallegrarla, accentuò
questo suo stato d'animo. Ma come
poteva rallegrarsi da sola? Chi sarebbe
riuscito a rallegrarsi, gioire e
apprezzare, apprezzare davvero, da
solo? Lotty era l'unica. Pareva che
Lotty ci riuscisse. Appena dopo
colazione era scesa per la collina, sola
eppure evidentemente allegra, infatti
non aveva neanche proposto a Rose
di accompagnarla e scendendo si era
messa a cantare.
Rose aveva trascorso la giornata
da sola, seduta con le mani strette
sulle ginocchia, e lo sguardo fisso di
fronte a lei. Fissava le spade grigie
delle agavi e, in cima ai loro alti
gambi i pallidi iris che crescevano in
questo luogo remoto scoperto da lei,
mentre più in là, tra le foglie grigie e i
fiori blu, intravedeva il mare. Il posto
che aveva scovato era un angolo
nascosto dove il timo imbottiva le
pietre scaldate dal sole, e dove
difficilmente
sarebbe
arrivato
qualcuno. Non si vedeva dalla casa,
né si poteva sentire nessun rumore
che giungesse da lì; era lontano da
ogni sentiero e vicino al limite del
promontorio. Sedeva così tranquilla
che subito le lucertole le guizzarono
sui piedi e alcuni minuscoli uccellini,
simili a fringuelli, prima volarono via
impauriti, poi tornarono a svolazzare
tra i cespugli intorno a lei come se
non ci fosse stata. Com'era bello! Ma
a cosa serviva se non c'era nessuno,
nessuno che amasse stare con te e che
ti apparteneva, nessuno a cui poter
dire: «Guarda». E non sarebbe stato
meglio poter dire: «Guarda…
tesoro»? Sì, meglio dire tesoro, e
bastava dire quella dolce parola a
qualcuno che ti amava per essere
felici.
Sedeva immobile, con lo sguardo
fisso davanti a lei. Strano che in
questo luogo non desiderasse pregare.
Lei,
che
a
casa
pregava
costantemente, qui pareva non
riuscirci. La mattina del primo giorno
aveva soltanto reso un rapido
ringraziamento al cielo alzandosi dal
letto, ed era andata di corsa alla
finestra per vedere l'aspetto del posto,
aveva reso grazie come per gioco e
non ci aveva più pensato. Quella
mattina se ne era ricordata e
vergognandosi si era inginocchiata
con determinazione; ma forse la
determinazione era dannosa alle
preghiere, perché non le era venuto in
mente niente da dire. Ed entrambe le
notti, prima di andare a dormire, non
era riuscita a dire le preghiere della
sera. Le aveva dimenticate, era stata
così assorbita in altri pensieri che le
aveva dimenticate; e, una volta a
letto, aveva dormito a lungo
cullandosi tra rapidi sogni, chiari e
leggeri, per stirarsi e alzarsi il mattino
dopo.
Che cosa le era successo? Perché
aveva lasciato andare l'ancora della
preghiera? E con altrettanta difficoltà
pensava ai suoi poveri, addirittura
aveva quasi dimenticato che al
mondo esistessero i poveri. Certo, le
vacanze erano utili, chiunque
l'avrebbe riconosciuto, ma dovevano
proprio
cancellare
la
realtà,
distruggerla completamente? Forse
era un bene che dimenticasse i suoi
poveri: sarebbe tornata da loro con
maggiore entusiasmo. Ma non poteva
essere un bene dimenticare le
preghiere, e ancora meno poteva
esserlo il fatto che non se ne
preoccupasse.
Rose non si preoccupava, e lo
sapeva. E, ancora peggio, sapeva che
non si preoccupava di non
preoccuparsi. In questo luogo era
indifferente a entrambe le cose che per
anni avevano riempito la sua vita
facendola apparire felice. Se solo
avesse saputo gioire dell'incanto del
nuovo ambiente che la circondava,
almeno
per
contrapporre
quell'indifferenza
e
quell'abbandono… ma non ci
riusciva. Non aveva impegni, non
pregava, era rimasta vuota.
Quel giorno Lotty, invitando suo
marito e suggerendole di farlo anche
lei, le aveva rovinato la giornata,
come anche il giorno prima, quando,
dopo averle richiamato alla mente
Frederick, se n'era andata lasciandola
tutto il pomeriggio sola coi suoi
pensieri. E da allora questi erano
rivolti unicamente a Frederick, che
mentre ad Hampstead stava con lei
soltanto nei sogni, qui invece li
lasciava liberi ed era con lei di giorno.
E quella mattina, mentre lottava per
non pensarlo, Lotty le aveva di nuovo
chiesto, appena prima di scomparire
giù per il sentiero canticchiando, se
gli avesse già scritto per invitarlo, così
le era tornato in mente e non era più
riuscita a liberarsene.
Come poteva invitarlo? Da
troppo tempo ormai erano due
estranei, da anni interi; non avrebbe
neppure saputo quali parole usare; e
comunque, non sarebbe venuto.
Perché
doveva
venire?
Non
desiderava stare con lei. Di cosa
avrebbero potuto parlare? A dividerli
c'era la barriera del lavoro di lui e
della religiosità di lei. Lei non poteva
sopportare - come avrebbe potuto,
credendo nella purezza e nella
responsabilità delle proprie azioni nei
confronti degli altri? - il lavoro di lui,
il fatto di trarne sostentamento, e
sapeva che lui all'inizio si era risentito
della religiosità di lei, ma in seguito
ne fu soltanto annoiato. Lui aveva
lasciato che lei si allontanasse; l'aveva
abbandonata, e senza più curarsene
aveva accettato la sua religiosità con
indifferenza, come un dato di fatto.
Lei e la sua religiosità - la mente di
Rose, divenuta più luminosa alla luce
chiara di aprile a San Salvatore,
all'improvviso vide la verità - lo
annoiavano.
Quando se ne accorse, quando
quel mattino per la prima volta fu
illuminata
da
quella
verità,
naturalmente non la gradì; le piacque
così poco che per un attimo tutto lo
splendore dell'Italia venne cancellato.
Cosa doveva fare? Non poteva
rinunciare a credere nel bene e a
detestare il male, ed era un male
vivere esclusivamente dei proventi
degli adulteri, per quanto morti e
sepolti. Inoltre, se l'avesse fatto, se
avesse sacrificato tutto il suo passato,
la sua educazione, il suo lavoro degli
ultimi dieci anni, sarebbe riuscita ad
annoiarlo meno? Rose sentì sin nel
profondo che una volta che hai
annoiato qualcuno è quasi certo che
lo annoierai sempre. Noiosi una
volta, noiosi per sempre… non
poteva che essere così, osservò, per
chi avevi annoiato la prima volta.
Quindi, pensò guardando il mare
con occhi velati, meglio aggrapparsi
alla religione. Meglio di niente… e
Rose neppure notò quanto fosse
deplorevole questo pensiero. Oh, ma
come avrebbe voluto aggrapparsi
invece a qualcosa di tangibile, amare
qualcosa di vivo, da tenere sul cuore,
da vedere e toccare e a cui dedicarsi!
Se il suo povero bambino non fosse
morto… i bambini non si annoiano
mai di te, impiegano molto tempo a
crescere e a scoprire quanto sei
noioso. E forse suo figlio non
l'avrebbe mai scoperto, forse per lui,
per quanto già vecchia e barbuta,
sarebbe rimasta sempre una persona
speciale, diversa dalle altre e preziosa,
per il solo fatto che non poteva essere
replicata.
Sedendo a guardare il mare con
gli occhi offuscati, sentì un desiderio
fortissimo di tenere stretto al cuore
qualcosa di suo. Rose era magra e
riservata sia di aspetto sia di
carattere, eppure sentì tutta la forza di
una sensazione strana - come
descriverla? - al cuore. A San
Salvatore c'era qualcosa che le faceva
sentire la forza del suo cuore. Voleva
stringere al cuore i suoi cari,
consolarli e proteggerli, calmarli con
dolci carezze e sussurri d'amore.
Frederick, il bambino di Frederick,
venivano da lei, appoggiavano il capo
su di lei, perché erano infelici, erano
stati feriti… Avrebbero avuto bisogno
di lei, se erano stati feriti; si sarebbero
lasciati amare, se erano infelici.
Il bambino se ne era andato, per
non tornare mai più; ma chissà forse
Frederick, un giorno, quando sarà
vecchio e stanco…
Questi erano i pensieri e le
emozioni di quel primo giorno di Mrs
Arbuthnot da sola a San Salvatore.
Tornò per il té depressa come non lo
era da anni. San Salvatore le aveva
tolto quella parvenza di felicità che si
era costruita attentamente, e in
cambio non le aveva dato niente. Sì,
in cambio l'aveva lasciata piena di
desiderio, struggente e malinconica,
con quella strana sensazione nel
cuore; ed era peggio di niente. E lei
che aveva imparato a essere
equilibrata, lei che a casa non era mai
nervosa ma sapeva essere sempre
gentile al té quel pomeriggio, pur
essendo così depressa, non riuscì a
sopportare in Mrs Fisher quell'aria da
padrona di casa.
Non avrebbe mai immaginato
che una simile piccolezza potesse
sfiorarla, eppure successe. Forse la
sua natura stava mutando? Oltre a
ritrovarsi con il desiderio di
Frederick, da tanto tempo soffocato,
doveva anche diventare una di quelle
persone che discutono per ogni
minima cosa? Dopo il té, quando Mrs
Fisher e Lady Caroline scomparvero
di nuovo - era evidente che nessuno
gradiva la sua compagnia - si sentì
più depressa che mai, sopraffatta
dalla discrepanza tra lo splendore
esterno, la bellezza calda e fertile di
quella natura autosufficiente, e il
vuoto assoluto del suo cuore.
Poi, per cena, ritornò Lotty: era
incredibilmente
lentigginosa
e
irradiava il sole che aveva assorbito
per tutto il giorno, parlava e rideva,
indiscreta, imprudente e senza
riserbo; e Lady Caroline, così
silenziosa al té, si risvegliò in una
fresca vivacità, Mrs Fisher non fu
così altezzosa e Rose cominciò a
ravvivarsi un pochino, perché l'umore
di Lotty contagiò tutti mentre
descriveva i piaceri della sua
giornata, una giornata che di certo
per chiunque altro si sarebbe ridotta a
una camminata molto lunga e calda e
qualche panino. A un tratto,
cogliendo lo sguardo di Rose, chiese:
«Hai spedito la lettera?»
Rose
arrossì.
Che
indiscrezione…
«Che lettera?» chiese Scrap,
interessata. Teneva i gomiti sul tavolo
e il mento appoggiato alle mani,
perché era arrivato il momento delle
noci e non si poteva fare altro che
aspettare, in una posizione comoda,
che Mrs Fisher finisse di sgusciarle.
«Per invitare suo marito», disse
Lotty.
Mrs Fisher alzò la testa. Un altro
marito? Non c'era mai fine? Allora
neppure questa era vedova; senza
dubbio, però, suo marito era un
uomo decoroso e rispettabile, con una
professione decorosa e rispettabile.
Per Mr Wilkins nutriva poche
speranze, e si era trattenuta dal
chiedere che lavoro facesse.
«L'hai spedita?» chiese Lotty con
insistenza, perché Rose continuava a
tacere.
«No», rispose Rose.
«Oh, be'… allora domani», disse
Lotty.
Rose voleva di nuovo rispondere
con un «no». Al suo posto Lotty
l'avrebbe fatto, e avrebbe spiegato le
sue ragioni. Ma lei non riusciva a
mettersi a nudo davanti agli altri.
Com'era possibile che Lotty, che
vedeva tante cose, non vedesse fin
dentro il suo cuore, e vedendo non
stesse zitta, non toccasse quel tasto
doloroso che era Frederick?
«Chi è vostro marito?» chiese
Mrs
Fisher,
sistemando
con
attenzione un'altra noce nello
schiaccianoci.
«Chi dovrebbe essere, - disse
Rose prontamente, subito irritata da
Mrs Fisher, - se non Mr Arbuthnot?»
«Intendevo, naturalmente, che
cos'è Mr Arbuthnot?»
Al che Rose, arrossendo per la
sofferenza, dopo una brevissima
pausa disse: «Mio marito».
Mrs Fisher non poteva che
sentirsi esasperata. Non avrebbe mai
pensato che anche questa, con quella
sua pettinatura decorosa e quella voce
gentile, potesse essere tanto insolente.
Quella prima settimana il glicine
cominciò ad appassire e i fiori
dell'albero di Giuda e dei peschi
caddero tappezzando il terreno di
rosa. Poi scomparvero le fresie, e gli
iris si fecero rari. Intanto, mentre
questi se ne andavano, sbocciarono le
rose banksiae e d'un tratto le grandi
rose estive sfoggiarono la loro
magnificenza sui muri e sui graticci.
Una di queste era la fortuniana, una
rosa gialla bellissima. Le tamarici e le
dafne raggiunsero subito il loro
massimo splendore, i gigli la
massima altezza. Alla fine della
settimana i fichi facevano ombra e il
susino in fiore spuntava tra gli olivi,
le timide weigelia comparvero nei
loro nuovi abiti rosa, e sugli scogli si
sparsero a profusione fiori a forma di
stella e dalle foglie spesse, alcuni di
un viola brillante, altri color limone,
chiaro e pallido.
Alla fine della settimana, inoltre,
proprio come aveva previsto sua
moglie, arrivò Mr Wilkins. Sembrava
che avesse accettato quasi con
impazienza la proposta della moglie
visto che non perse tempo a scrivere
ma telegrafò.
Di certo questa era impazienza.
Rivelava, pensò Scrap, un gran
desiderio di riavvicinamento, e
osservando il viso felice della moglie e
sapendo quanto desiderasse che
Mellersh si godesse la vacanza, si
disse che lui sarebbe stato davvero
uno stupido se avesse perso tempo
dietro a un'altra. «Se non sarà carino
con lei, - pensò Scrap, - sarà condotto
ai merli e scaraventato giù». Alla fine
della settimana lei e Mrs Wilkins
erano ormai Caroline e Lotty, infatti
erano diventate amiche.
Mrs Wilkins si era sempre
considerata un'amica, ma Scrap
aveva fatto ogni sforzo per evitarlo,
tentando con tutta se stessa di essere
cauta, ma com'era difficile con Mrs.
Wilkins! Priva di ogni traccia di
cautela, era così schietta ed
espansiva, che Scrap molto presto,
forse ancora prima di rendersene
conto, si abbandonò ad altrettanta
schiettezza. E nessuno poteva essere
più schietto di Scrap, una volta che si
lasciava andare.
L'unico inconveniente di Lotty
era che quasi sempre era da qualche
altra parte. Non si riusciva a trovarla,
né a catturarla perché venisse a fare
due chiacchiere. Ripensandoci dopo,
il timore di Scrap di essere assillata da
lei appariva grottesco. Proprio da lei,
che non avrebbe mai assillato
nessuno! Le uniche volte che la si
trovava erano a cena e dopo cena. Il
resto della giornata diventava
invisibile:
tornava
nel
tardo
pomeriggio offrendo uno spettacolo
unico, con i capelli pieni di pezzetti
di muschio e le lentiggini più evidenti
che mai. Forse sfruttava il tempo che
le era rimasto prima dell'arrivo di
Mellersh per fare ciò che desiderava,
perché poi intendeva dedicarsi a lui, e
andarsene a spasso in ordine e con gli
abiti migliori.
Scrap,
suo
malgrado,
la
osservava con interesse poiché le
pareva straordinario poter essere
tanto felice per così poco. San
Salvatore era incantevole e il tempo
era stupendo; ma il paesaggio e il
tempo non erano mai bastati a Scrap,
e come potevano bastare a qualcuno
che molto presto li doveva lasciare
per fare ritorno alla vita di
Hampstead? Inoltre, vi era il pericolo
imminente di Mellersh, di quel
Mellersh da cui Lotty era fuggita
appena prima. Era molto bello sentire
che bisogna condividere, fare un beau
geste, ma nessuno dei beaux gestes a
cui Scrap aveva assistito aveva reso
felice qualcuno. A nessuno in realtà
piace riceverne, e comportano sempre
uno sforzo per chi li compie. Eppure,
doveva ammettere che Lotty non si
sforzava affatto; era evidente che
tutto quel che faceva e diceva le
veniva spontaneo, che lei era
semplicemente e assolutamente felice.
Sì, Mrs Wilkins lo era davvero;
perché già a metà settimana erano
scomparsi i dubbi se avesse avuto
abbastanza tempo per con solidare la
sua serenità così da continuare a
esserlo anche in compagnia di
Mellersh quando sarebbe rimasta con
lui ininterrottamente, e sentiva che
nulla ormai poteva turbarla. Era
pronta a tutto; era saldamente
trapiantata, profondamente radicata
in paradiso. Qualsiasi cosa Mellersh
avesse detto o fatto, lei non si sarebbe
mossa di un passo dal paradiso,
neanche per un istante se ne sarebbe
allontanata vacillante e arrabbiata. Al
contrario, avrebbe trascinato Mellersh
con lei, e si sarebbero seduti insieme
tranquilli e inondati di luce, e
avrebbero riso pensando a quanto ad
Hampstead lei lo temesse e lo
ingannasse per la paura. Ma non ci
sarebbe stato bisogno di trascinarlo
molto. Dopo qualche giorno lui ci
sarebbe entrato con naturalezza,
sospinto irresistibilmente dalle brezze
profumate di quell'atmosfera divina; e
lì si sarebbe seduto ornato di stelle,
pensò Mrs Wilkins, nella cui mente,
tra i molti detriti, fluttuavano a volte
luminosi brandelli di poesia. Rise un
poco tra sé per quell'immagine di
Mellersh, quel rispettabile avvocato di
cause familiari in abito nero e
cappello a cilindro, ornato di stelle, e
rise affettuosamente, quasi con
orgoglio materno, all'idea di come
sarebbe sembrato bello in abiti così
eleganti.
«Povero
agnellino»,
mormorò tra sé con affetto. E
aggiunse: «Quel che ha bisogno è
stare all'aria aperta».
Questo accadeva la prima metà
della settimana. All'inizio della
seconda metà, alla fine della quale
arrivò Mr Wilkins, smise persino di
rassicurarsi della propria saldezza, di
essere immutabilmente permeata
dall'atmosfera, non ci pensò più, non
ci fece più caso. Diede tutto per
scontato. Se così si può dire, e lei lo
diceva senza timore, non solo a se
stessa ma anche a Lady Caroline,
aveva mosso i primi passi in cielo.
Mrs Wilkins, contrariamente a
quello che Mrs Fisher riteneva un
comportamento decoroso - era
inevitabile, che altro ci si poteva
aspettare da lei? - non andò incontro
al marito a Mezzago, ma scese a
piedi soltanto fino al punto in cui,
sulla strada di Castagneto, la carrozza
di Beppo lo avrebbe lasciato con il
bagaglio. Mrs Fisher era contrariata
per l'arrivo di Mr Wilkins, ed era
certa che chiunque avesse sposato
Mrs Wilkins fosse come minimo una
persona sconsiderata, ma un marito,
comunque egli fosse, bisognava
accoglierlo in modo appropriato. Mr
Fisher era sempre stato accolto
opportunamente. Mai una volta nella
sua vita coniugale sua moglie non era
andata a prenderlo alla stazione o ad
accompagnarlo. Queste regole, queste
cortesie, consolidavano il legame
matrimoniale e facevano sì che il
marito sentisse di poter contare sulla
presenza costante della moglie; e
questo era il più grande segreto di
ogni moglie. Preferiva non pensare a
cosa ne sarebbe stato di Mr Fisher se
lei avesse trascurato di seguire questo
principio. Così com'era, gliene erano
già accadute abbastanza, di cose! Per
quanto si tentasse di correre ai ripari,
la vita matrimoniale serbava sempre
molte insidie.
Mrs Wilkins invece non si
preoccupò. S'incamminò giù per la
collina canticchiando - Mrs Fisher la
sentiva - e raccolse il marito lungo la
strada, casualmente come se fosse
stato uno spillo. Le altre tre, ancora a
letto perché l'ora di alzarsi era
lontana, la sentirono passare sotto le
loro finestre e scendere lungo il
sentiero a zigzag per andare incontro
a Mr Wilkins che arrivava con il treno
del mattino; Scrap sorrise, Rose
sospirò e Mrs Fisher suonò la
campanella chiedendo a Francesca di
portarle la colazione in camera. Tutte
e tre fecero colazione in camera,
mosse dal comune istinto di rimanere
nascoste.
Scrap faceva sempre colazione a
letto, ma sentì ugualmente l'istinto di
nascondersi, e a colazione decise di
trascorrere
in
camera
l'intera
giornata. Forse, però, non era tanto
necessario quel giorno lì, quanto
quello seguente. Per quel giorno
infatti, considerò Scrap, Mellersh
avrebbe avuto il suo daffare. Avrebbe
voluto fare un bagno, e a San
Salvatore questa era una faccenda
elaborata, una vera e propria
avventura se si voleva l'acqua calda
nella vasca che richiedeva un
mucchio di tempo. Comportava
l'assistenza di tutta la servitù:
Domenico e Giuseppe ravvivavano il
fuoco in quella stufa brevettata,
cercando di ridurlo quando bruciava
troppo, usando il soffietto quando
minacciava
di
spegnersi
e
riaccendendolo quando si spegneva
del tutto; Francesca volteggiava
intorno al rubinetto regolandone il
flusso, perché se veniva aperto troppo
l'acqua diventava subito fredda, e se
non veniva aperto abbastanza
l'interno della stufa saltava in aria e la
casa si allagava misteriosamente;
Costanza e Angela correvano su e giù
trasportando dalla cucina secchi di
acqua calda per rimediare all'opera
del rubinetto.
Questa vasca, installata di
recente, costituiva l'orgoglio e il
terrore della servitù. Era stata appena
brevettata e nessuno ne capiva
appieno il funzionamento. Affissa
alla parete vi era una lunga lista
stampata di istruzioni riguardo al suo
uso corretto, nella quale ricorreva la
parola pericoloso. Quando, appena
arrivata, Mrs Fisher si diresse in
bagno e vide questa parola, tornò in
camera sua ordinando che invece le
venisse portata una spugna da bagno;
e quando le altre signore scoprirono
che cosa comportasse l'uso del bagno,
quanto la servitù fosse riluttante a
lasciarle sole con la stufa, con che
fermezza
si
rifiutasse
anche
Francesca, che continuava a stare
girata di schiena per controllare il
rubinetto, e come il resto della servitù
aspettasse fuori della porta con ansia
finché la persona che aveva deciso di
fare il bagno non ne fosse uscita
incolume, allora si fecero portare in
camera delle spugne da bagno.
Mr Wilkins, tuttavia, era un
uomo, e di sicuro avrebbe fatto
volentieri un bel bagno; e dunque,
calcolò Scrap, sarebbe stato occupato
per molto tempo. Poi avrebbe disfatto
i bagagli, e infine, dopo una nottata
in treno, probabilmente avrebbe
dormito fino a sera. Così sarebbe
stato occupato per tutto il giorno, e
non avrebbe incrociato nessuno fino
all'ora di cena.
Quindi
Scrap
giunse
alla
conclusione che per quel giorno
sarebbe stata al sicuro in giardino, e
come al solito dopo colazione si alzò
e indugiò un po' tra i vestiti, tendendo
l'orecchio per ascoltare Mr Wilkins
che arrivava, il bagaglio che veniva
portato nella camera di Lotty
dall'altra parte del pianerottolo, la sua
voce affettata che prima chiese a
Lotty: «Devo dargli qualcosa?» e che
continuò subito dopo dicendo:
«Posso fare un bagno caldo?» Ed ecco
la voce allegra di Lotty a rassicurarlo
che non doveva dare niente a quel tale
perché si trattava del giardiniere, e
che sì, poteva fare un bagno caldo; e
subito dopo il pianerottolo si affollò
dei rumori familiari del trasporto dei
secchi e dell'acqua, dei passi affrettati,
del vociferare concitato… in poche
parole, della preparazione del bagno.
Scrap finì di vestirsi, poi si
attardò alla finestra aspettando di
sentire Mr Wilkins che entrava in
bagno. Una volta dentro, lei sarebbe
sgusciata fuori per andare in giardino
a riprendere le domande sul possibile
significato della sua vita. Stava
facendo progressi con le sue
domande! Sonnecchiava molto meno
e incominciava a pensare che
«squallido» fosse la parola che meglio
definiva il suo passato. Temeva
inoltre che la attendesse un futuro
nero.
Ecco… sentiva di nuovo la voce
affettata di Mr Wilkins. La porta di
Lotty si era aperta, e lui ne usciva
chiedendo dove fosse il bagno.
«È dove vedi la ressa», rispose la
voce di Lotty, era ancora allegra, notò
Scrap con piacere.
Si sentirono i passi di lui lungo il
pianerottolo, e quelli di Lotty che
scendevano, poi parve di sentire una
breve discussione sulla porta del
bagno, o piuttosto, un coro di voci da
un lato, e una muta determinazione a
fare il bagno da solo, immaginò
Scrap, dall'altro.
Mr Wilkins non sapeva una
parola di italiano, e l'espressione
pericoloso{7} lo lasciava del tutto
indifferente, o perlomeno così sarebbe
accaduto se l'avesse vista, ma
naturalmente non fece caso al cartello
appeso al muro. Chiuse la porta in
faccia alla servitù senza esitazione,
opponendosi a Domenico, che tentò
fino all'ultimo di intrufolarsi, e si
chiuse dentro com'è opportuno per
ogni uomo che faccia il bagno;
considerò oggettivamente, mentre
faceva i preparativi usuali per entrare
nella vasca, il comportamento
singolare di questi stranieri, i quali,
sia uomini che donne, volevano a
tutti i costi rimanere con lui. Aveva
sentito dire che in Finlandia, in
occasioni simili, le donne del luogo
non solo erano presenti, ma
addirittura lavavano il viaggiatore.
Non sapeva però che questo
accadesse anche in Italia, che chissà
per quale ragione pareva una civiltà
più vicina, forse perché di solito ci si
recava lì e non in Finlandia.
Esaminando con imparzialità
questo
pensiero,
e
valutando
attentamente i diritti alla civiltà
dell'Italia e della Finlandia, Mr
Wilkins entrò nella vasca e chiuse il
rubinetto. Certo che chiuse il
rubinetto, era così che si faceva
sempre! Ma nelle istruzioni, stampate
a lettere rosse, vi era un paragrafo che
diceva di non chiudere il rubinetto nel
caso ci fosse stato ancora fuoco nella
stufa. Bisognava lasciarlo aperto appena appena, ma aperto - finché il
fuoco
non
si
fosse
spento
completamente; altrimenti, e qui c'era
di nuovo la scritta pericoloso {8}, la
stufa sarebbe saltata in aria.
Mr Wilkins entrò nella vasca e
chiuse il rubinetto, la stufa saltò in
aria, esattamente come annunciavano
le istruzioni stampate. Saltò in aria,
per fortuna, solo all'interno, ma con
un rumore tremendo, e Mr Wilkins
balzò fuori dalla vasca precipitandosi
verso la porta, e solo grazie ad anni di
addestramento ebbe l'istinto di
afferrare un asciugamano mentre
correva fuori.
Scrap, che stava attraversando il
pianerottolo
per
uscire,
sentì
l'esplosione.
«Santo cielo! - pensò, ricordando
le istruzioni, - questo è Mr Wilkins!»
E corse verso la cima delle scale
per chiamare la servitù, e nel mentre,
corse fuori anche Mr Wilkins tenendo
stretto il suo asciugamano, e
andarono a sbattere uno contro l'altra.
«Maledetto bagno!» urlò Mr
Wilkins, forse lasciandosi andare per
la prima volta in vita sua, ma era così
sconvolto!
E qui avvennero le presentazioni.
Mr Wilkins, non completamente
coperto dall'asciugamano, da un capo
infatti uscivano le spalle, e dall'altro le
gambe, e Lady Caroline Dester, per
incontrare la quale era venuto in Italia
ingoiando tutta la rabbia che nutriva
per sua moglie.
Proprio così, infatti Lotty nella
lettera gli aveva detto chi c'era a San
Salvatore oltre a lei e a Mrs
Arbuthnot, e Mr Wilkins si era reso
conto immediatamente che non si
sarebbe
mai
più
verificata
un'occasione simile. Lotty aveva
scritto soltanto: «Qui ci sono altre due
donne, Mrs Fisher e Lady Caroline
Dester», ma questo gli era bastato.
Sapeva tutto sui Droitwich, sulla loro
ricchezza, le loro amicizie, il posto
che occupavano nella storia e il potere
che avevano, avessero soltanto deciso
di esercitarlo, di fare felice un altro
avvocato aggiungendolo a quelli già
assunti.
C'erano
persone
che
assumevano un avvocato per una
branca dei loro affari, e un altro per
un'altra; e gli affari dei Droitwich
erano di sicuro costituiti da molte
branche. Aveva anche sentito parlare
- in fondo faceva parte del suo lavoro,
pensò, sentire quel che si diceva, e
una volta sentito ricordarlo - della
bellezza della loro unica figlia. Anche
se i Droitwich non avessero avuto
bisogno delle sue prestazioni, magari
ne avrebbe avuto la figlia. La bellezza
portava a situazioni strane; e i
consigli non potevano risultare
inopportuni. E caso mai nessuno di
loro, né i genitori, né la figlia, né
nessuno dei loro figli illustri, avesse
avuto bisogno di lui in veste
professionale,
questa
rimaneva
comunque una conoscenza che valeva
la pena fare: apriva nuove prospettive
e offriva grandi possibilità. Poteva
vivere ad Hampstead per anni senza
imbattersi di nuovo in una occasione
simile.
Appena ricevette la lettera di sua
moglie, mandò il telegramma e fece i
bagagli. Era una questione d'affari, e
lui era una persona che non perdeva
tempo quando si trattava d'affari, e
che
non
metteva
a
rischio
un'opportunità trascurando di essere
affabile. Quando incontrò sua moglie
fu molto affabile, consapevole che in
simili circostanze l'affabilità significa
saggezza. Oltretutto, si sentiva
davvero così. Per una volta, Lotty lo
stava aiutando realmente. Scendendo
dalla carrozza di Beppo la baciò con
affetto, dispiaciuto che avesse dovuto
alzarsi prestissimo; non si lamentò
per il sentiero ripido, ma le raccontò
piacevolmente del viaggio e, quando
gli
venne
richiesto,
ammirò
obbediente il panorama. Quello che
avrebbe fatto quel primo giorno era
tracciato con chiarezza nella sua
mente: farsi la barba, fare un bagno,
indossare abiti puliti, dormire un
pochino, poi ci sarebbe stato il
pranzo, e la presentazione a Lady
Caroline.
In treno aveva scelto le parole
con cui presentarsi, esaminandole
con attenzione, - un'espressione
garbata riguardo al piacere che
provava nel conoscere una persona di
cui lui, come il resto del mondo,
aveva tanto sentito parlare - certo,
doveva esprimersi con delicatezza,
molta delicatezza; qualche cenno
garbato ai suoi insigni parenti e al
ruolo che la sua famiglia aveva
giocato nella storia dell'Inghilterra,
naturalmente, col dovuto riguardo;
una o due frasi sul suo fratello
maggiore, Lord Winchcombe, che
nell'ultima guerra aveva ottenuto la
Croce della Regina Vittoria in
circostanze
che
avrebbero
inevitabilmente - questo poteva anche
non aggiungerlo - fatto battere più
forte che mai il cuore di ogni Inglese
per l'orgoglio… ed ecco che si era
avviato a quella che poteva benissimo
dirsi la svolta decisiva della sua
carriera.
E invece eccolo lì… no, era
terribile! Cosa poteva esserci di
peggio? Con indosso solo un
asciugamano e l'acqua che gli colava
lungo le gambe, per non parlare di
quell'imprecazione. Capì subito che
quella era Lady Caroline, lo capì
nell'istante stesso in cui gli scappò
l'imprecazione.
Mr
Wilkins
raramente usava quella parola, e
comunque mai, mai in presenza di
una signora o di un cliente. E poi
quell'asciugamano…
perché
era
venuto? Perché non era rimasto ad
Hampstead?
Era
assolutamente
imperdonabile.
Ma Mr Wilkins faceva i conti
senza Scrap, la quale, appena lui le
balenò davanti, fece una smorfia
tentando con tutte le forze di non
scoppiare a ridere davanti a quello
spettacolo sorprendente e riuscì a
soffocare il riso, e riprendendo
un'espressione
seria
e
ricomponendosi come se lui fosse
stato vestito di tutto punto, disse:
«Piacere».
Che riguardo! Mr Wilkins
l'avrebbe adorata. Far finta di niente
con tanta raffinatezza! Il sangue blu,
di certo, veniva fuori.
Sopraffatto dalla gratitudine
prese la mano che lei gli offriva e
disse a sua volta «Piacere», e la sola
ripetizione di quella espressione
ordinaria
sembrò
riportare
magicamente la situazione alla
normalità. In verità, si sentì così
sollevato, e quella stretta di mano,
quel saluto convenzionale furono così
spontanei, che dimenticò di avere
indosso soltanto un asciugamano e
assunse nuovamente le sue maniere
professionali. Dimenticò l'aspetto che
aveva, ma non che quella era Lady
Caroline Dester, la donna che era
venuto fino in Italia per incontrare, né
dimenticò che davanti ai suoi occhi,
quegli occhi splendidi ed eccelsi,
aveva pronunciato una tremenda
imprecazione.
Doveva
immediatamente implorare perdono.
Dire una parola simile a una signora a qualsiasi signora, ma tra tutte,
proprio a questa…
«Temo di aver usato un
linguaggio imperdonabile», iniziò Mr
Wilkins serio e cerimonioso come se
fosse stato vestito di tutto punto.
«Era il più adatto», disse Scrap,
abituata alle imprecazioni.
Mr
Wilkins
si
sentì
incredibilmente sollevato e consolato
da questa risposta. Dunque non si era
offesa. Ecco, di nuovo, il sangue blu.
Solo chi era di sangue blu poteva
tenere un atteggiamento così aperto e
comprensivo.
«Sto parlando a Lady Caroline
Dester, vero?» chiese, e la sua voce
suonava ancora più affettata del
solito, perché doveva contenere tutto
il piacere, il sollievo, la gioia del
perdono e dell'assoluzione.
«Sì», disse Scrap; e per nulla al
mondo sarebbe riuscita a trattenere
un sorriso. Non potè farne a meno.
Aveva deciso che non avrebbe sorriso
a Mr Wilkins, mai; ma con
quell'aspetto… e con quella voce che
dominava su tutto, e lui, dimentico
dell'asciugamano e delle gambe, che
parlava esattamente come fanno in
chiesa.
«Permettetemi di presentarmi, disse Mr Wilkins,
con una
cerimoniosità da salotto. - Mi chiamo
Mellersh Wilkins».
E a queste parole istintivamente
allungò la mano per la seconda volta.
«L'avevo immaginato», disse
Scrap, mentre per la seconda volta le
veniva stretta la mano e per la
seconda volta non riusciva a
trattenere un sorriso.
Stava per partire con il primo
degli eleganti tributi che si era
preparato in treno, non accorgendosi,
perché non si vedeva, di essere senza
vestiti, quando la servitù arrivò di
corsa
su
per
le
scale
e
contemporaneamente apparve Mrs
Fisher sulla porta del suo salotto.
Siccome era accaduto tutto molto in
fretta, la servitù giù in cucina e Mrs
Fisher a passeggio tra i suoi merli,
sentito il rumore non avevano fatto in
tempo ad apparire se non alla
seconda stretta di mano.
Quando i domestici sentirono
quel rumore spaventoso capirono
subito cos'era accaduto e si
precipitarono direttamente in bagno
per cercare di tamponare il flusso
d'acqua, senza far caso alla persona
coperta da un asciugamano in piedi
sul pianerottolo. Mrs Fisher invece
non sapeva cosa potesse essere quel
rumore, e uscendo dalla stanza per
informarsi rimase impietrita sulla
soglia.
Quella visione bastava a lasciare
impietrito chiunque. Lady Caroline
stringeva la mano a quello che
chiaramente,
vestito in modo
adeguato, sarebbe stato il marito di
Mrs Wilkins, e tutti e due
conversavano come se…
Allora Scrap si accorse di Mrs
Fisher e si voltò subito verso di lei.
«Lasciate, - disse con grazia, - che vi
presenti Mr Mellersh Wilkins. È
appena arrivato. Questa, - aggiunse
rivolgendosi a Mr Wilkins, - è Mrs
Fisher».
E Mr Wilkins, con la più assoluta
cortesia,
ebbe
una
reazione
immediata
a
quella
formula
convenzionale. Prima si inchinò
verso la signora più anziana sulla
porta, poi le si avvicinò, con i piedi
bagnati che lasciavano l'impronta, e
raggiuntala tese gentilmente la mano
verso di lei.
«E un piacere, - disse Mr Wilkins
con quella sua voce accuratamente
modulata, - conoscere un'amica di
mia moglie».
Scrap si dileguò in giardino.
La strana conseguenza di questo
incidente fu che quando quella sera
Mrs Fisher e Lady Caroline si
incontrarono a cena, provarono
entrambe una singolare sensazione di
intesa segreta con Mr Wilkins. Per
loro non poteva più essere come gli
altri uomini, come invece sarebbe
stato se la prima volta lo avessero
incontrato
vestito.
In pratica,
avevano rotto il ghiaccio, si sentivano
a un tempo intime e indulgenti; nei
suoi confronti si sentivano come delle
balie, come chi ha assistito un
paziente oppure un bambino mentre
fa
il
bagno.
Avevano
fatto
conoscenza con le gambe di Mr
Wilkins!
Non si saprà mai ciò che quella
mattina gli disse Mrs Fisher, in preda
allo stupore, ma quando rammentò a
Mr Wilkins la sua condizione, egli
rispose scusandosi in modo garbato e
mantenendosi così dignitoso pur nella
sua confusione, che ella finì col
dispiacersi per lui e col calmarsi
completamente. Dopo tutto, era stato
un incidente, e nessuno poteva evitare
gli incidenti. E quando poi lo vide a
cena, splendente e immacolato nel
vestito di lino e coi capelli lucidi, oltre
alla singolare sensazione che vi fosse
con lui un'intesa segreta, provò quasi
una sorta di orgoglio personale per il
suo aspetto, ora che era vestito, che si
trasformò subito in un sottile orgoglio
per tutto quello che egli diceva.
Nella mente di Mrs Fisher non vi
erano dubbi sul fatto che la
compagnia di un uomo era
assolutamente preferibile a quella di
una donna. La presenza e la
conversazione
di
Mr
Wilkins
elevarono immediatamente la qualità
della cena al tavolo, che da una
gabbia di matti - sì, proprio una
gabbia di matti - divenne un incontro
sociale più civilizzato. Parlava di
argomenti interessanti, com'è giusto
per gli uomini, e, sebbene fosse molto
cortese nei confronti di Lady
Caroline, non dava segni di
sciogliersi in sorrisini idioti e in
sciocchezze ogni volta che si
rivolgeva a lei. Era, anzi, altrettanto
cortese con la stessa Mrs Fisher; e
quando per la prima volta a tavola si
discusse di politica, la ascoltò con la
dovuta serietà quando ella mostrò il
desiderio di parlare, e prese in
considerazione le sue opinioni con
l'attenzione che meritavano. A
quanto pare, la pensava come lei su
Lloyd George, ed era altrettanto forte
anche in letteratura. Fu possibile
tenere una vera conversazione, e
come se non bastasse, gli piacevano le
noci. Rimaneva un mistero come
avesse potuto sposare Mrs Wilkins.
Lotty, da parte sua, si guardava
intorno sgranando gli occhi. Si
aspettava che Mellersh avrebbe
impiegato almeno due giorni per
raggiungere questo stadio, invece
l'incantesimo di San Salvatore aveva
agito all'istante. Non soltanto fu
amabile a cena - lei lo aveva sempre
visto
comportarsi
amabilmente
quando a cena c'erano altre persone -,
ma per tutto il giorno lo era stato
anche con lei, a tal punto che mentre
lei si spazzolava i capelli le aveva
fatto i complimenti per la sua bellezza
e l'aveva baciata. Baciata! E non era
un buongiorno né una buonanotte.
Stando così le cose, avrebbe
aspettato il giorno seguente per dirgli
la verità sul gruzzoletto e sul fatto che
Rose non fosse la padrona di casa.
Era un peccato rovinare tutto. Aveva
pensato di spifferare la verità appena
lui avesse avuto un attimo di pace,
ma sembrava davvero un peccato
rovinare l'ottimo umore di Mellersh
proprio quel primo giorno. Meglio
lasciare che anche lui si stabilisse più
saldamente in paradiso, perché allora
non si sarebbe più preoccupato di
nulla.
Il volto di lei scintillò di gioia per
l'effetto istantaneo di San Salvatore.
Non lo aveva turbato neppure la
catastrofe del bagno, di cui era stata
informata mentre arrivava dal
giardino. Indubbiamente aveva solo
bisogno di una vacanza. Com'era
stata crudele quando lui aveva
proposto di portarla in Italia! Ma
questa sistemazione si rivelò la
migliore, sebbene non per merito suo.
Lei par lava e rideva gaiamente,
senza più un briciolo di timore nei
suoi confronti, tanto che quando,
colpita dal candore del marito, disse
che pareva così lindo che si sarebbe
potuto cenare su di lui, facendo ridere
Scrap, rise persino Mellersh. A casa
una
cosa
simile
lo
avrebbe
contrariato, sempre che a casa lei si
fosse trovata nello stato d'animo per
dirlo.
Fu una serata riuscita. Ogni volta
che Scrap guardava Mr Wilkins, lo
immaginava nel suo asciugamano,
gocciolante, e si sentiva indulgente.
Mrs Fisher era soddisfatta di lui.
Rose, agli occhi di Mr Wilkins, era
una padrona di casa dignitosa e
tranquilla, ed egli ne ammirava il
garbo con cui aveva rinunciato al suo
diritto di sedere a capotavola, per
rispetto, naturalmente, dell'età di Mrs
Fisher. Mrs Arbuthnot, opinò Mr
Wilkins, era riservata di natura. Delle
tre signore era la più riservata. Prima
di cena l'aveva incrociata da sola nel
salone e aveva espresso con le parole
più appropriate quanto apprezzasse
la sua gentilezza ad aver desiderato
che lui si unisse alla compagnia, ma
lei era stata molto riservata. Era
timida? Forse. Era arrossita e aveva
brontolato
qualcosa
come
disapprovando,
poi
erano
sopraggiunte le altre. A cena aveva
parlato poco. Naturalmente nei giorni
successivi
l'avrebbe
conosciuta
meglio, e sarebbe stato assai
piacevole, ne era certo.
Nel frattempo Lady Caroline si
rivelava migliore di quanto Mr
Wilkins avesse immaginato, e aveva
accolto benevolmente i suoi discorsi,
abilmente introdotti tra una portata e
l'altra; Mrs Fisher corrispondeva
esattamente all'anziana signora che
aveva sperato di incontrare per tutta
la sua vita professionale; e Lotty non
solo era decisamente migliorata, ma
era evidentemente au mieux - Mr
Wilkins conosceva quel che bastava
di francese - con Lady Caroline.
Durante la giornata era stato molto
tormentato dal pensiero di quando
era rimasto in piedi a conversare con
Lady Caroline, dimenticando di
essere svestito, e infine aveva deciso
di scriverle un biglietto scusandosi
profondamente e supplicandola di
non far caso a quella distrazione
sorprendente e incomprensibile, e lei
in risposta aveva scritto a matita sul
retro
della
busta:
«Non
preoccupatevi».
Al che
aveva
obbedito agli ordini e non ci aveva
più pensato; e adesso si sentiva
pienamente soddisfatto. Quella sera,
prima di andare a dormire, pizzicò
un orecchio di sua moglie, che rimase
sbalordita. Questi gesti affettuosi…
Come se non bastasse, il mattino
non portò nessuna ricaduta in Mr
Wilkins, che continuò a rimanere di
ottimo umore per tutta la giornata,
nonostante fosse il primo giorno della
seconda settimana, cioè il giorno in
cui si doveva pagare.
Questo fece precipitare la
confessione di Lotty, che aveva
deciso, al momento di venire al sodo,
di rimandare ancora un pochino.
Non aveva paura, avrebbe osato
qualunque cosa, ma Mellersh era di
un umore sereno, perché rischiare di
rannuvolarlo così presto? Subito dopo
colazione, tuttavia, apparve Costanza
con un mucchio di foglietti di carta
molto sporchi, scarabocchiati di
somme scritte a matita, e bussando
alla porta di Mrs Fisher fu mandata
via, a quella di Lady Caroline fu
mandata via, a quella di Rose non
ricevette risposta perché Rose era
uscita. Allora attese al varco Lotty,
che stava mostrando la casa a
Mellersh, e indicò i fogliettini di
carta: Lotty ricordò che era passata
una settimana senza che nessuno
pagasse niente, e che era giunto il
momento di sistemare i conti.
«Cosa vuole quella signora così
gentile?» domandò Mr Wilkins con
voce melliflua.
«Denaro», disse Lotty.
«Denaro?»
«E il conto delle spese di casa».
«Be', ma tu non c'entri niente»,
disse Mr Wilkins tranquillo.
«Oh, sì che c'entro…»
E la confessione precipitò.
La reazione di Mellersh fu
stupefacente. Pareva che pensasse da
sempre che questo fosse il giusto
impiego del suo gruzzoletto. Non la
sottopose a un interrogatorio, come
avrebbe fatto a casa; accettò ogni cosa
che gli veniva riferita, le bugie di lei e
il resto, e alla fine, quando Mrs
Wilkins aggiunse: «Hai tutti i diritti
di essere arrabbiato, credo, ma spero
che invece di esserlo, mi perdonerai»,
lui si limitò a chiedere: «Cosa c'è di
più benefico di una vacanza come
questa?»
Al che lei lo prese sotto braccio e
tenendolo stretto disse: «Oh Mellersh,
sei davvero un tesoro!» col volto rosso
di orgoglio per lui.
Il
fatto
che
assimilasse
l'atmosfera così velocemente, che
all'improvviso non esprimesse che
gentilezza, dimostrava la profonda
affinità che lo univa alle cose belle e
armoniose.
Apparteneva
naturalmente a questo luogo di calma
paradisiaca. Era per natura incredibile quanto lei lo avesse
sempre giudicato male - un figlio
della luce. Pareva impossibile che non
gli importasse delle terribili bugie a
cui si era ridotta prima di partire, che
ci passasse sopra senza neanche un
commento. Stupefacente. Anzi, non
era stupefacente: non si trovavano
forse in paradiso? Lì a nessuno
importava delle cose andate, non ci si
preoccupava neppure di dimenticare
e di perdonare, si era troppo felici.
Gli strinse forte il braccio, grata e
riconoscente; e lui non lo ritirò, ma
neppure rispose alla pressione di lei:
Mr Wilkins era di temperamento
freddo, e di rado sentiva il desiderio
di abbracciare qualcuno.
Nel
frattempo
Costanza,
accorgendosi che i Wilkins non la
ascoltavano più, era tornata da Mrs
Fisher, la quale perlomeno capiva
l'italiano, oltre a essere, agli occhi
della servitù, la più indicata della
compagnia, per età e aspetto, a
pagare le spese; e, mentre Mrs Fisher
dava gli ultimi ritocchi alla sua
toeletta perché si stava preparando
mettendosi un cappello con veletta,
boa di piume e guanti per andare a
fare la prima passeggiata nel giardino
di sotto - sicuramente la prima dal
suo arrivo - Costanza le spiegò che se
non le avessero dato il denaro per
pagare i conti della settimana passata,
i negozi di Castagneto si sarebbero
rifiutati di fare credito per il cibo di
quella a venire. Neppure per i pasti di
quel giorno, affermò Costanza, che
aveva speso una somma molto
elevata ed era ansiosa di rimborsare
l'intera somma ai suoi parenti, oltre
che di scoprire come avrebbe reagito
la sua padrona. Presto sarebbe stata
ora di colazione, e come si poteva
fare colazione{9} senza carne e pesce,
senza uova e…
Mrs Fisher le prese i foglietti di
mano e guardò il totale; rimase così
sorpresa dall'ammontare della cifra,
così turbata per l'esagerazione di
quella somma, che si sedette allo
scrittoio per analizzare a fondo i
conti.
Costanza passò una bruttissima
mezz'ora. Non aveva immaginato
che gli Inglesi potessero essere così
venali. E poi la vecchia {10}, come la
chiamavano in cucina, conosceva
bene l'italiano, e con un accanimento
che fece vergognare Costanza per lei,
perché dai nobili inglesi non ci si
sarebbe aspettati una simile condotta,
esaminò ogni cifra e chiese
spiegazioni, insistendo a tal punto
che ella fu costretta a dargliele.
L'unica spiegazione era che
Costanza aveva avuto una settimana
gloriosa di assoluta e splendida
sfrenatezza, in cui aveva fatto di testa
sua, ed ecco il risultato.
Costanza,
non
avendo
spiegazioni da dare, pianse. Era triste
pensare che da adesso in poi avrebbe
dovuto sempre cucinare sorvegliata e
sospettata; e cosa avrebbero detto i
suoi
parenti
quando
avessero
scoperto che gli ordini erano stati
ridotti drasticamente? Avrebbero
detto che lei non aveva influenza e
l'avrebbero disprezzata.
Costanza pianse, ma Mrs Fisher
fu impassibile. In un italiano lento ed
elegante, con l'enfasi dei canti
dell'Inferno{11}, la informò che non
avrebbe pagato nessun conto fino alla
settimana successiva, e che nel
frattempo il cibo doveva rimanere
buono come sempre e a un quarto
della spesa.
Costanza alzò le mani al cielo.
Se la settimana seguente,
continuò Mrs Fisher impassibile,
avesse visto che si erano rispettate
queste regole, avrebbe pagato l'intera
somma. Altrimenti… - fece una pausa
- altrimenti non sapeva neanche lei
cosa avrebbe fatto. Si arrestò di
nuovo, con un'espressione così
impenetrabile,
maestosa
e
minacciosa, che Costanza ne fu
intimorita.
Poi Mrs Fisher, dopo averla
congedata con un gesto, andò a
cercare Lady Caroline per protestare.
Credeva che Lady Caroline ordinasse
i pasti, e che quindi fosse responsabile
dei prezzi, ma adesso saltava fuori
che da quando erano arrivate la cuoca
aveva fatto tutto di testa sua, e questo
era semplicemente vergognoso.
Scrap non era in camera, dove
tuttavia, quando Mrs Fisher aprì la
porta dopo aver bussato, sospettando
che si trovasse lì ma che facesse finta
di niente, si sentiva ancora la scia di
fiori lasciata dalla sua presenza.
«Profumo», disse Mrs Fisher
annusando, e richiuse la porta;
desiderò che Carlyle le avesse fatto un
discorsetto, a questa giovane donna!
E tuttavia… forse, anche lui…
Scese per andare a cercarla in
giardino, e nell'atrio incontrò Mr
Wilkins. Aveva il cappello, e stava
accendendosi un sigaro.
Per quanto si sentisse indulgente
nei confronti di Mr Wilkins e, dopo
l'incontro della mattina precedente,
intima con lui in modo particolare,
persino mistico, non poteva tuttavia
ammettere che si accendesse un
sigaro in casa. Fuori casa poteva
sopportarlo, ma non era proprio
necessario abbandonarsi a questo
vizio in casa, quando fuori c'era così
tanto spazio. Persino Mr Fisher, che
era stato, bisognava ammetterlo, un
uomo straordinariamente tenace nelle
sue abitudini, almeno questa l'aveva
persa
quasi
subito
dopo
il
matrimonio.
Tuttavia Mr Wilkins, togliendosi
il cappello quando la vide, gettò via
immediatamente il sigaro. Lo gettò
nell'acqua
che
pensava
fosse
contenuta in un grande vaso di calle,
e Mrs Fisher, consapevole del valore
che gli uomini attribuivano ai sigari
appena accesi, non potè che venire
favorevolmente colpita da questa
improvvisa e magnifica amende
honorable.
Ma il sigaro non raggiunse
l'acqua. Fu trattenuto dalle calle, e lì
continuò a fumare, un oggetto strano
e dall'aspetto depravato.
«Dove andate, mia bella…»,
iniziò Mr Wilkins avanzando verso
Mrs Fisher, ma si interruppe appena
in tempo.
Era l'umore mattutino che lo
spingeva a rivolgersi a Mrs Fisher con
una filastrocca? Non si era mai
accorto di conoscerla. Molto strano.
Che cosa gli saltava in testa, in quel
momento, proprio a lui, sempre così
controllato? Provava un grande
rispetto per Mrs Fisher, e per nulla al
mondo
l'avrebbe
insultata
rivolgendosi a lei con zitella, fanciulla
o altro. Ci teneva a rimanere in buoni
rapporti. Era una donna con molte
qualità, oltre che molte proprietà,
pensò. A colazione erano stati
insieme molto piacevolmente, e lui
era rimasto colpito dalla sua evidente
intimità con persone note. Tutti
vittoriani, naturalmente; ma era
riposante parlare di loro dopo la
fatica dei ricevimenti georgiani di suo
cognato ad Hampstead Heath.
Sentiva
che
avrebbero
legato
splendidamente. Ella mostrava già
tutti i sintomi di voler presto
diventare sua cliente, e per nulla al
mondo l'avrebbe offesa. Si voltò con
freddezza, consapevole del rischio
che stava correndo.
Lei, tuttavia, non si era accorta
di niente. «State uscendo», disse con
estrema gentilezza, tenendosi pronto
nel caso lei accettasse la sua offerta di
accompagnarla.
«Voglio trovare Lady Caroline»,
disse Mrs Fisher dirigendosi alla
porta a vetri che conduceva nel
giardino superiore.
«Una ricerca piacevole, - osservò
Mr Wilkins. - Posso aiutarvi?
Permettetemi…» aggiunse, aprendole
la porta.
«Di solito siede in quell'angolo
dietro i cespugli, - disse Mrs Fisher. E non mi pare una ricerca tanto
piacevole. Ha lasciato che le spese
salissero in modo terribile, e si merita
una bella sgridata».
«Lady Caroline?, - chiese Mr
Wilkins, non seguendo il discorso. Cosa c'entra Lady Caroline, se mi è
permesso domandare, con le spese di
casa?»
«La conduzione della casa era
stata lasciata a lei, e poiché
dividiamo in parti uguali era una
questione d'onore…»
«Ma… Lady Caroline si occupa
della conduzione della casa per tutte
quante? Compresa mia moglie? Mia
cara signora, mi lasciate senza parole.
Non sapete che è la figlia dei
Droitwich?»
«Oh, ecco chi è, - disse Mrs
Fisher
facendo
scricchiolare
rumorosamente la ghiaia mentre si
dirigeva verso l'angolo nascosto. Allora,
questo
spiega
tutto.
L'imbroglio di quel Droitwich nel suo
dicastero durante la guerra fu uno
scandalo nazionale. Si trattò di
appropriazione indebita di fondi
pubblici».
«Ma è impossibile, ve lo
assicuro, pensare che la figlia dei
Droitwich…», iniziò Mr Wilkins con
convinzione.
«I Droitwich, - lo interruppe Mrs
Fisher, - non c'entrano niente. Se si
prende
un
impegno
bisogna
rispettarlo.
Non
ho
nessuna
intenzione che il mio denaro venga
sperperato per il gusto di un
Droitwich».
Una vecchia ostinata. Forse
trattare con lei non era facile come
aveva sperato. Ma che ricca! Solo la
consapevolezza della sua ricchezza
poteva permetterle di infischiarsene in
quel modo dei Droitwich. Lotty,
quando lui le aveva chiesto, era stata
vaga sulle sue condizioni finanziarie,
e aveva descritto la sua casa come un
mausoleo con pesciolini rossi che
nuotavano dappertutto; ma adesso
egli aveva la certezza che fosse molto
più che benestante. Eppure, in questo
momento avrebbe voluto non averla
accompagnata, perché non gli andava
di essere presente alla scena di lei che
sgridava Lady Caroline Dester.
Ecco che di nuovo, tuttavia,
faceva i conti senza Scrap.
Qualunque fossero i sentimenti di
quest'ultima, quando alzò lo sguardo
e vide che Mr Wilkins aveva scoperto
il suo angolo sin dalla prima mattina,
sul suo volto non apparve altro che
un'espressione angelica. Appena Mrs
Fisher si sedette sul parapetto, lei levò
i piedi e ascoltandola con serietà
quando iniziò con il fatto che non
aveva denaro da buttare in spese
incaute e sfrenate, interruppe il suo
fiume di parole prendendo uno dei
cuscini da dietro la testa e
offrendoglielo.
«Sedetevi su questo, - disse
Scrap, porgendoglielo. - Starete più
comoda».
Mr Wilkins si affrettò ad aiutarla.
«Oh, grazie», disse Mrs Fisher,
che era stata interrotta.
Fu difficile riprendere il filo. Mr
Wilkins, tutto premuroso, sistemò il
cuscino tra la pietra del parapetto e
Mrs Fisher, che si era alzata
leggermente e che di nuovo dovette
dire «Grazie»; così fu di nuovo
interrotta. Inoltre, Lady Caroline non
disse niente in sua difesa, ma
continuò a guardarla, ascoltando
attentamente col volto di un angelo.
Mr Wilkins pensò dovesse
risultare alquanto difficile sgridare
una Dester con un aspetto simile, e
tanto raffinata da non replicare.
Gradatamente anche Mrs Fisher,
notò lui con piacere, sentì quanto
fosse difficile, perché divenne sempre
meno severa e finì col dire
debolmente: «Avreste dovuto dirmelo
che non ve ne stavate occupando».
«Non sapevo che lo credeste»,
disse quella voce soave.
«Adesso vorrei proprio sapere, disse Mrs Fisher, - cosa proponete di
fare per il resto del tempo».
«Niente», disse Scrap sorridendo.
«Niente? Intendete dire…»
«Se me lo permettete, signore, - si
inserì Mr Wilkins con le più affabili
maniere professionali, - vorrei dare
un suggerimento, - lo guardarono
entrambe, e ricordandolo come
l'avevano visto la prima volta si
sentirono
indulgenti
nei
suoi
confronti, - vi consiglierei di non
rovinare una vacanza deliziosa
preoccupandovi della conduzione
della casa».
«È esattamente, - disse Mrs
Fisher, - quello che intendo evitare».
«Davvero ragionevole, - disse Mr
Wilkins. - Perché allora, -continuò, non lasciare alla cuoca, a proposito,
una cuoca eccellente, un tanto a testa
per diem, - Mr Wilkins conosceva
quel che bastava di latino, - e non
dirle che con questa somma deve
pensare lei all'approvvigionamento, e
non solo, ma che deve farlo al meglio
delle sue possibilità? Non è difficile
fare i conti; potreste prendere come
riferimento, per esempio, il prezzo di
un albergo modesto, dimezzato, o
forse addirittura ridotto a un quarto».
«E per la settimana che è appena
passata? - chiese Mrs Fisher. - per la
cifra spaventosa di questa prima
settimana? Come facciamo?»
«Sarà il mio regalo a San
Salvatore», disse Scrap, che non
sopportava l'idea che i risparmi di
Lotty venissero ridotti troppo oltre il
previsto.
Si fece silenzio. Mrs Fisher si
sentì mancare la terra sotto i piedi.
«Se proprio volete gettare così il
vostro denaro…», disse infine,
disapprovando
ma
sentendosi
infinitamente sollevata, mentre Mr
Wilkins si incantò in contemplazione
delle rare qualità del sangue blu.
Questa prontezza, per esempio, a non
preoccuparsi del denaro, questa
generosità, non solo era degna di
ammirazione, forse più di ogni altra
qualità,
ma
era
anche
straordinariamente utile dal punto di
vista professionale. Quando capitava
di incontrarla, bisognava accoglierla
calorosamente. Mrs Fisher invece
non fu affatto calorosa; accettò, - al
che lui dedusse che la sua ricchezza
andava di pari passo con l'avarizia ma accettò di malavoglia. I regali
erano regali, e secondo lui non si
dovevano ricevere storcendo il naso; e
se Lady Caroline trovava piacevole
fare un regalo a sua moglie e a Mrs
Fisher pagando il cibo di tutta la
settimana, era loro dovere accettare
con
garbo.
Non
bisognava
scoraggiare i doni.
Per conto di sua moglie, quindi,
Mr Wilkins espresse ciò che lei
avrebbe desiderato esprimere, e
facendo notare a Lady Caroline - con
un tocco di leggerezza, perché così si
accettavano i doni, al fine di evitare
di mettere in imbarazzo il donatore che in questo caso lei aveva ospitato
sua moglie sin da quando era
arrivata, si volse allegramente a Mrs
Fisher e osservò che adesso lei e sua
moglie avrebbero dovuto scrivere
insieme, come consuetudine, una
lettera di ringraziamento a Lady
Caroline per la sua ospitalità. «Un
Collins - disse Mr Wilkins, che
conosceva quel che bastava di
letteratura. - Una lettera simile
preferisco
chiamarla
Collins,
piuttosto che Vitto e Alloggio oppure
Pane e Burro. Chiamiamola Collins!»
Scrap sorrise e tirò fuori il suo
portasigarette. Mrs Fisher non potè
fare a meno di addolcirsi. Grazie a
Mr Wilkins, avevano trovato una via
d'uscita per lo spreco, e lei odiava lo
spreco tanto quanto odiava doverlo
pagare; e avevano trovato una
soluzione anche al problema della
conduzione della casa. Per un attimo
aveva pensato che se in questa breve
vacanza avessero cercato tutti di
obbligare lei a occuparsi della casa,
chi per indifferenza (Lady Caroline),
chi perché non conosceva l'italiano (le
altre due), alla fine sarebbe stata
davvero costretta a chiamare Kate
Lumley, almeno l'avrebbe fatto lei.
Loro due avevano imparato l'italiano
insieme. Avrebbe permesso a Kate di
venire soltanto a condizione che si
occupasse della casa.
Ma quel che aveva escogitato Mr
Wilkins risultava perfetto. Davvero
un uomo superiore. Niente era
preferibile alla compagnia di un
uomo intelligente e non troppo
giovane: era utile e piacevole. E
quando si alzò, risolta la questione
per cui era venuta, e disse che adesso
intendeva fare una passeggiatina
prima di pranzo, Mr Wilkins non
rimase con Lady Caroline, come,
temeva, avrebbe voluto fare la
maggior parte degli uomini che
conosceva, ma le chiese di poterla
accompagnare; era chiaro, quindi,
che
preferiva
una
buona
conversazione a un bel viso. Un
uomo socievole e assennato. Abile e
istruito. Un uomo di mondo. Un vero
uomo. Fu davvero molto contenta di
non aver scritto a Kate. Che cosa se
ne faceva di Kate? Aveva trovato un
compagno migliore.
Ma Mr Wilkins non andò con
Mrs Fisher per la sua buona
conversazione, ma perché quando lei
si alzò e lui fece lo stesso, con la sola
intenzione di inchinarasi mentre lei
usciva dalla nicchia, Lady Caroline
mise di nuovo i piedi sul parapetto e
sistemò la testa di lato sui cuscini,
chiudendo gli occhi.
La
figlia
dei
Droitwich
desiderava dormire.
Non era da lui impedirglielo con
la sua presenza.
E così ebbe inizio la seconda
settimana, e l'armonia regnava
ovunque. L'arrivo di Mr Wilkins
l'aveva accresciuta, invece di turbarla,
come avevano temuto le tre signore,
mentre la quarta era sfuggita a questo
timore grazie alla fiducia profonda
nell'effetto che San Salvatore avrebbe
avuto sul marito. Lui si sentiva nel
suo ambiente: aveva deciso di piacere
e ci era riuscito. Con sua moglie era
più affettuoso, e non solo in pubblico,
cosa a cui ella era abituata, ma anche
in privato, quando se non avesse
voluto non lo sarebbe stato. Ma lui
voleva. Era così riconoscente con lei,
così soddisfatto per avergli fatto
conoscere Lady Caroline, che sentiva
di volerle molto bene. Ne era anche
orgoglioso: perché doveva possedere,
pensò, molte più qualità di quanto
avesse immaginato, se Lady Caroline
le era diventata così amica e si era
tanto affezionata. E più lui la
considerava attraente, tanto più lei
diventava espansiva e attraente,
influenzando
il
marito,
che
migliorava a sua volta; e così si
rincorrevano in un circolo non
vizioso, ma assolutamente virtuoso.
Mellersh addirittura la coccolava;
proprio lui che, così freddo per
natura, non era mai stato un tipo da
coccole; eppure, immaginò Lotty, era
tale l'influsso che San Salvatore ebbe
su di lui che durante questa seconda
settimana le pizzicò qualche volta
entrambe le orecchie, prima una poi
l'altra, invece di una sola; e Lotty,
meravigliandosi
che
lui
fosse
diventato così affettuoso tanto in
fretta, si chiese che cosa avrebbe fatto,
continuando di questo passo, la terza
settimana, quando la sua riserva di
orecchie fosse giunta al termine.
Al lavabo si comportò con
particolare
delicatezza,
e
fu
sinceramente desideroso di non
occupare troppo spazio in quella
stanza da letto così piccola. In
risposta, Lotty fu ancora più
desiderosa di non essergli d'intralcio;
e la camera divenne lo scenario di
molti affettuosi combat de generosità,
dopo i quali erano più contenti che
mai l'uno dell'altra. Sebbene il bagno
fosse aggiustato e a sua disposizione,
egli non lo usava più, ma ogni
mattina si alzava e andava al mare, e
anche se le notti fredde avevano
rinfrescato l'acqua, faceva un bagno
molto presto, come si addice a un
uomo, e tornava su a colazione
sfregandosi le mani e sentendosi,
come disse a Mrs Fisher, pronto a
tutto.
Trovò così conferma la fiducia di
Lotty
nell'irresistibile
influsso
dell'atmosfera paradisiaca di San
Salvatore, e poiché Mr Wilkins, che
Rose conosceva come una persona
temibile e Scrap si era raffigurata
gelido e scortese, era evidentemente
un uomo cambiato, sia Rose sia
Scrap cominciarono a pensare che
dopo tutto poteva esserci qualcosa di
vero in ciò su cui Lotty insisteva
tanto, che San Salvatore agiva sul
carattere purificandolo.
Erano
indotte
a
pensarlo
soprattutto
perché
esse
stesse
sentivano che qualcosa agiva dentro
di loro: entrambe, quella seconda
settimana, si sentirono più serene;
Scrap fece luce nei propri pensieri,
molti dei quali adesso erano positivi,
rivolgeva pensieri affettuosi ai
genitori e ai parenti, e iniziava a
rendersi conto in qualche modo degli
straordinari vantaggi che aveva
ricevuto dalle mani… di che cosa?
Del fato? Della Provvidenza?…
Comunque fosse, qualcosa doveva
essere, ed ella riconosceva come,
avendoli ricevuti, ne aveva fatto un
cattivo uso non riuscendo a essere
felice; Rose invece fece luce nel
proprio
cuore,
che
sebbene
continuasse a desiderare, trovò uno
scopo al desiderio, perché ella stava
arrivando alla conclusione che
desiderare senza agire era inutile, e
che doveva a ogni costo smettere di
farlo oppure darsi la possibilità magari remota, ma pur sempre una
possibilità - di tranquillizzarsi
scrivendo a Frederick e chiedendogli
di venire.
Se era cambiato Mr Wilkins,
pensò Rose, perché non Frederick?
Come sarebbe stato meraviglioso se
quel luogo avesse agito anche su di lui
facendo sì che anche loro due si
capissero
un
pochino,
che
diventassero persino un po' amici.
Così a fondo distacco e disgregazione
erano penetrati nel carattere di Rose,
che adesso cominciava a pensare che
la propria ostinata rigidità riguardo ai
suoi libri e che la propria austera
dedizione alle opere di bene fossero
state sciocche e forse addirittura
sbagliate. Lui era suo marito e lei lo
aveva così spaventato da farlo
fuggire. E con lui aveva fatto fuggire
l'amore, l'amore prezioso, e questo
non andava bene. Non era forse vero
quello che aveva affermato Lotty il
giorno prima: che niente aveva
importanza tranne l'amore? Niente
poteva servire, se non era fondato
sull'amore. Ma una volta fuggito via
spaventato, poteva ritornare? Sì, in
quella bellezza poteva, nell'atmosfera
di felicità che Lotty e San Salvatore
insieme sembravano emanare come
un influsso divino.
Prima di tutto, però, lui doveva
venire lì, e di certo non avrebbe
potuto farlo, se lei non gli avesse
scritto dicendogli dov'era.
Avrebbe scritto. Doveva farlo;
perché in tal caso ci sarebbe stata
almeno una possibilità che venisse,
altrimenti non vi sarebbe stata
neppure quella. E poi, una volta qui
in questo splendore, tra la dolcezza,
la delicatezza e l'armonia, sarebbe
stato più facile parlargli, cercare di
spiegare, aspirare a qualcosa di
diverso, fare almeno un tentativo di
cambiare la loro vita fututra, invece
del vuoto della separazione, del gelo oh, che gelo! - di nient'altro che una
fede vacua e pallide opere di bene.
Perché una sola persona, una persona
che ti appartiene, che è davvero tua,
con cui poter parlare, di cui
interessarsi, da accudire e da amare,
valeva più di tutti i discorsi sulle
tribune, dei complimenti di tutti i
presidenti del mondo. Valeva anche
di più - Rose non potè evitare questo
pensiero - di tutte le preghiere. Questi
pensieri non le nascevano nella
mente, come quelli di Scrap, che era
priva di desideri, ma nel cuore.
Dimoravano nel suo cuore; ed era lì
che Rose soffriva, sentendo tutta la
sua tremenda solitudine. E quando,
quasi ogni giorno, il coraggio le
veniva meno e le sembrava
impossibile scrivere a Frederick,
guardava Mr Wilkins e si riprendeva.
Eccolo, un uomo cambiato.
Eccolo che ogni sera entrava nella
camera piccola e scomoda, quella
camera che era stata l'unico affanno
di Lotty, per uscirne al mattino
assieme a lei, entrambi sereni e gentili
come quando vi erano entrati. Lui
che, come le aveva raccontato Lotty,
a casa era sempre pronto a criticare
tutto ciò che non gli andava, non era
forse emerso dalla catastrofe del
bagno incolume nello spirito, come
Sadrach, Mesach e Abdénego{12} lo
erano nel corpo quando emersero dal
fuoco? In questo luogo accadevano
miracoli. Se potevano accadere a Mr
Wilkins, perché non a Frederick?
Si alzò all'improvviso. Sì,
avrebbe scritto. Sarebbe andata subito
a scrivergli.
E se…
Si arrestò. E se lui non avesse
risposto? Se lui non avesse neanche
risposto?
E si sedette di nuovo per pensarci
ancora un po'.
Rose trascorse gran parte della
seconda settimana tormentata da
questa indecisione.
Poi fu la volta di Mrs Fisher.
Durante la seconda settimana la sua
irrequietezza aumentò. A tal punto
che avrebbe potuto benissimo non
disporre del suo salottino privato,
perché non riusciva più a rimanerci a
sedere. Neppure per dieci minuti. E
mentre i giorni della seconda
settimana
si
susseguivano,
si
aggiunse alla sua irrequietezza una
curiosa sensazione di rinvigorimento,
che la preoccupò. Era una sensazione
che conosceva già, perché talvolta
l'aveva provata in quelle primavere
così fugaci della sua infanzia, quando
sembrava che i gigli e i filadelfi
s'affrettassero a fiorire tutti in una
notte, ma era strano riviverla dopo
cinquant'anni.
Avrebbe
voluto
commentare con qualcuno la sua
sensazione, ma si vergognava. Era
così assurda per la sua età! Eppure
sempre più spesso, e ogni giorno con
maggiore frequenza, Mrs Fisher
provava questa sensazione ridicola,
come se presto avesse dovuto mettere
le prime gemme.
Tentò fermamente di reprimere
quella indecenza. Ecco, erano
gemme. Aveva sentito parlare di rami
secchi, pezzi di legno morto, che
all'improvviso
mettevano
foglie
nuove, ma era solo una leggenda. E
lei non viveva in una leggenda, e
sapeva perfettamente quel che si
addiceva a lei. Il decoro imponeva
che alla sua età non avesse nulla a che
vedere con le foglie nuove; eppure
sentiva che presto, da un momento
all'altro, le sarebbero spuntati i
germogli.
Mrs Fisher era sconvolta. Vi
erano molte cose che detestava, e una
di queste era che gli anziani
immaginassero di sentirsi giovani e si
comportassero
di
conseguenza.
Naturalmente
lo
immaginavano
soltanto,
ingannandosi;
ma
com'erano deplorevoli i risultati. Lei
invece era invecchiata come è giusto
invecchiare,
con
fermezza
e
risoluzione. Nessuna interruzione,
nessuna tardiva euforia, né ritorni
spasmodici. Che umiliazione se
adesso, dopo tutti questi anni, si fosse
illusa in una sorta di sconveniente
evasione.
Quella seconda settimana fu
davvero contenta che Kate Lumley
non fosse lì. Sarebbe stato ancora più
spiacevole
avere
Kate
come
spettatrice, se fosse accaduto qualcosa
di strano nel suo comportamento.
Kate la conosceva da sempre. Mrs
Fisher sentiva che poteva lasciarsi
andare - qui corrugò la fronte davanti
al libro su cui stava tentando
inutilmente di concentrarsi, da dove
arrivava quell'espressione? - molto
meno dolorosamente davanti a degli
estranei che davanti a una vecchia
amica. I vecchi amici, riflettè Mrs
Fisher, che credeva di essere immersa
nella
lettura,
ti
paragonano
continuamente a quello che eri un
tempo. Lo fanno sempre se una
persona cambia. Si sorprendono dei
cambiamenti. Rivanno al passato e
quando una persona arriva, diciamo,
a cinquant'anni, si aspettano che resti
immutata fino alla fine dei suoi
giorni.
Questo, pensò Mrs Fisher, - con
gli occhi che seguivano imperterriti
ogni riga fino alla fine della pagina,
senza che una sola parola le arrivasse
alla coscienza - è sciocco da parte
degli amici. È come condannare una
persona a una morte prematura. Si
dovrebbe continuare (naturalmente
con dignità) a cambiare, per quanto
vecchi si diventi. Lei non aveva
niente contro il cambiamento, contro
una ulteriore maturità, perché finché
si era vivi non si era morti,
ovviamente, decise Mrs Fisher; e il
cambiamento, la crescita e la
maturazione erano la vita. Quel che
avrebbe
disprezzato
era
la
regressione, il ritorno a una
condizione di immaturità. Lo avrebbe
disprezzato intensamente; e questo
era quel che le pareva di essere sul
punto di fare.
Si sentì a disagio, e riuscì a
distrarsi soltanto muovendosi in
continuazione. Era sempre più
irrequieta e non riusciva più a
rimanere isolata tra i suoi merli, ma
vagava di continuo e senza scopo
fuori e dentro il giardino superiore,
con crescente sorpresa di Scrap,
soprattutto quando scoprì che Mrs
Fisher non faceva che guardare per
alcuni
minuti
il
panorama,
raccogliere qualche foglia morta dai
cespugli di rose e allontanarsi di
nuovo.
Trovò un sollievo temporaneo
nella conversazione con Mr Wilkins,
ma anche se lui la raggiungeva
appena poteva, non sempre era
disponibile,
perché
divideva
saggiamente le sue attenzioni tra le tre
signore, e quando si trovava altrove
lei doveva affrontare e gestire da sola
i propri pensieri come meglio poteva.
Era forse l'eccesso di luce e di colore
di San Salvatore che faceva apparire
buio e nero ogni altro luogo; e così
Prince of Wales Terrace, dove presto
sarebbe tornata, pareva una strada
buia e stretta, e la sua casa buia e
stretta come la strada, e dentro nulla
di veramente vivo o giovane. I
pesciolini rossi non si potevano certo
dire vivi, tutt'al più quasi vivi, e di
sicuro non giovani, e oltre a loro vi
erano soltanto le domestiche, vecchie
e polverose.
Vecchie e polverose. Mrs Fisher
arrestò i suoi pensieri, sorpresa da
quella strana espressione. Da dove le
veniva? Come le era saltata in mente?
Doveva trattarsi di una di quelle che
usava Mrs Wilkins, così frivola, quasi
gergale. Sì, doveva essere così, e lei
gliel'aveva sentita dire e l'aveva
imparata senza accorgersene.
In tal caso la questione si faceva
preoccupante. Era sconvolgente che
quella sciocca creatura penetrasse nel
profondo della mente di Mrs Fisher e
vi insediasse la sua personalità - una
personalità
che,
a
dispetto
dell'armonia esistente tra lei e il suo
marito tanto intelligente, rimaneva
lontana da quella di Mrs Fisher,
totalmente estranea a quello che lei
sentiva e apprezzava - infettandola
con le sue frasi
sgradevoli.
Un'espressione simile non era mai
entrata nella mente di Mrs Fisher.
Mai in vita sua aveva pensato alle sue
domestiche, né a nessun altro, come a
qualcosa di vecchio e polveroso. Le
sue domestiche non erano vecchie e
polverose; erano donne pulite e
rispettabili, alle quali ogni sabato sera
era permesso fare il bagno. Anziane,
questo sì, ma lo era anche lei, come la
sua casa, i mobili e i pesci rossi.
Tutto era invecchiato insieme, com'è
giusto. Ma c'era una bella differenza
tra essere anziani ed essere vecchi e
polverosi!
Com'era vero ciò che disse
Ruskin, che le chiacchiere vane
corrompono le buone maniere. Ma
l'aveva detto Ruskin? Ripensandoci
non ne fu più tanto sicura, ma questo
era comunque il genere di cose che
avrebbe potuto dire lui, e comunque
era una sacrosanta verità. Bastava
ascoltare le chiacchiere vane di Mrs
Wilkins durante i pasti per rovinare il
suo abito mentale; anche se lei non
ascoltava - evitava di farlo evidentemente le aveva sentite e,
siccome erano spesso volgari, oltre
che indelicate e profane, - e le
spiaceva doverlo dire, ma facevano
sempre ridere Lady Caroline - erano
senz'altro da considerarsi dannose. E
col passare del tempo non solo
avrebbe pensato a queste sciocchezze,
le avrebbe anche dette. Come sarebbe
stato terribile! Se la sua evasione
doveva assumere la forma di un
linguaggio sconveniente, Mrs Fisher
temeva allora che per nulla al mondo
sarebbe riuscita a sopportarlo.
A questo punto Mrs Fisher
desiderò più che mai parlare delle sue
strane sensazioni con qualcuno che
potesse capirla. Non c'era nessuno,
tuttavia, tranne la stessa Mrs Wilkins.
Lei avrebbe capito, avrebbe compreso
subito come si sentiva, Mrs Fisher ne
era certa. Ma era impensabile.
Sarebbe
stato
indegno
come
implorare protezione contro una
malattia allo stesso microbo che ti
aveva infettato.
Continuò pertanto a sopportare
in silenzio le sue sensazioni che la
spingevano
a
quelle
frequenti
comparse senza meta nel giardino
superiore che attirarono subito
l'attenzione di Scrap.
Scrap le aveva notate, e non ne fu
meravigliata, perché alcune mattine
prima Mr Wilkins, sistemandole i
cuscini - aveva stabilito che
l'assistenza giornaliera di Lady
Caroline quando si trovava nella sua
poltroncina fosse un privilegio
riservato esclusivamente a lui - le
aveva chiesto se Mrs Fisher avesse
qualcosa che non andava.
In quel momento Mrs Fisher era
in piedi accanto al parapetto esterno,
e riparandosi gli occhi era assorta a
guardare in lontananza le case
bianche di Mezzago. La videro
attraverso i rami delle dafne.
«Non so», disse Scrap.
«Avrei giurato che una signora
così, - disse Mr Wilkins, - non potesse
avere dei pensieri».
«Direi di no», disse Scrap
sorridendo.
«Se ne ha, e la sua irrequietezza
sembra suggerirlo, sarei più che lieto
di aiutarla con dei buoni consigli».
«Sono certa che sarebbe molto
gentile».
«Naturalmente avrà il suo
consulente legale, che però adesso
non è qui. Ma ci sono io. E un
avvocato a portata di mano oggi… -
disse Mr Wilkins che quando parlava
con Lady Caroline si sforzava di
rendere frivola la sua conversazione,
sapendo che con le donne giovani
bisognava mostrarsi frivoli, - …per
non essere banali finiamo il proverbio
dicendo… è meglio di uno domani a
Londra».
«Dovreste chiederglielo».
«Chiederle se ha bisogno di
aiuto? Voi me lo consigliereste? Non
sarebbe una questione un po'… un po'
delicata da affrontare, chiedere a una
donna se ha dei pensieri?»
«Forse se andate a parlarle ve lo
dirà. Penso che ci si senta soli al
posto di Mrs Fisher».
«Siete sensibile e premurosa»,
dichiarò Mr Wilkins, desiderando,
per la prima volta in vita sua, poter
essere un estraneo per baciarle la
mano con rispetto mentre si ritirava
per recarsi obbedientemente a portare
sollievo alla solitudine di Mrs Fisher.
Era stupefacente la varietà dei
piani che Scrap escogitava per
allontanare Mr Wilkins dal suo
angolino. Ogni mattina ne trovava
uno diverso che lo mandava via
soddisfatto dopo che le aveva
sistemato i cuscini. Lei gli permetteva
di farlo perché si era accorta
immediatamente, nei primi cinque
minuti della primissima sera, che i
suoi timori, che lui le si attaccasse
rimanendo a fissarla in timorosa
ammirazione, erano infondati. Mr
Wilkins non ammirava in quel modo.
Non solo non era da lui, comprese
Scrap istintivamente, ma se anche lo
fosse stato, con lei non avrebbe osato.
Era troppo rispettoso; lei poteva
guidare
i
suoi
movimenti
semplicemente con un battito di
ciglia. La sua unica preoccupazione
era obbedire. Era pronta ad
apprezzarlo se solo si fosse
dimostrato così compiacente da non
ammirarla, e lo apprezzò. Non
dimenticò la sua commovente
vulnerabilità in quell'asciugamano la
prima mattina, inoltre lui la divertiva
ed era gentile con Lotty. E vero che
preferiva quando non c'era, ma di
solito preferiva tutti quando non
c'erano. Sembrava proprio uno di
quegli uomini, rari secondo la sua
esperienza, che non guardano mai
una donna in modo rapace. E questo
era confortevole, semplificava i
rapporti all'interno della compagnia.
Da questo punto di vista Mr Wilkins
era semplicemente ideale: raro e
prezioso. Ogni volta che pensava a
lui, magari con l'intenzione di
soffermarsi sui suoi aspetti un po'
noiosi, se ne ricordava e mormorava:
«Che tesoro».
Ed essere un tesoro era ciò cui
mirava Mr Wilkins durante la sua
permanenza a San Salvatore. Le tre
signore oltre a sua moglie dovevano a
tutti i costi apprezzarlo e avere
fiducia in lui, perché allora, quando
nella loro vita si fosse presentato un
problema - e nella vita di chi, prima o
poi, non se ne presenta uno? avrebbero ricordato quanto fosse
affidabile e comprensivo, e si
sarebbero rivolte a lui per un
consiglio. Le signore con dei
problemi facevano proprio al caso
suo. Per il momento Lady Caroline,
osservò lui, non ne aveva, ma una
tale bellezza - perché non poteva non
notare l'evidenza - doveva aver avuto
i suoi problemi in passato e ne avrà
ancora di più prima di scomparire. In
passato lui non era stato a portata di
mano, ma sperava di esserlo in
futuro. E intanto il comportamento di
Mrs Fisher, che dal punto di vista
professionale veniva subito dopo
Lady Caroline per importanza,
prometteva sicuramente bene. Era
quasi certo che Mrs Fisher avesse dei
pensieri.
L'aveva
osservata
attentamente, e ne era quasi certo.
Con la terza, con Mrs Arbuthnot,
fino ad ora aveva fatto pochi
progressi, perché era così riservata e
silenziosa. Ma questa riservatezza,
questa tendenza a evitare gli altri e a
trascorrere il tempo da sola, non
poteva indicare anche in lei la
presenza di qualche preoccupazione?
In tal caso era lui l'uomo adatto.
L'avrebbe
frequentata,
l'avrebbe
seguita e le si sarebbe seduto accanto,
incoraggiandola a parlargli di sé.
Seppe da Lotty che Arbuthnot era un
impiegato del British Museum, al
momento
non
particolarmente
importante, ma Mr Wilkins giudicò
suo dovere conoscere ogni minimo
particolare; dopo tutto, esistevano le
promozioni, magari dopo una
promozione
Arbuthnot
sarebbe
divenuto qualcuno.
Quanto a Lotty, era deliziosa.
Possedeva davvero tutte le qualità che
lui le aveva attribuito durante il
corteggiamento, e che finora pareva
fossero state semplicemente messe da
parte. Le prime impressioni che
aveva avuto di lei adesso erano
confermate dall'affetto, e persino
dall'ammirazione, che mostrava per
lei Lady Caroline. Lady Caroline
Dester era l'ultima persona, ne era
sicuro, che avrebbe commesso un
errore al riguardo; la sua conoscenza
del mondo, i suoi continui rapporti
solo con gli ambienti migliori,
dovevano averla resa infallibile.
Allora Lotty non poteva che essere
quello che lui aveva pensato prima del
matrimonio: preziosa! Lo era stata
senz'altro a fargli conoscere Lady
Caroline e Mrs Fisher! Un uomo con
la sua professione poteva ricevere un
aiuto incalcolabile da una moglie
affascinante e intelligente. Perché non
lo era stata subito? Perché questa
fioritura improvvisa?
Anche Mr Wilkins cominciò a
credere che ci fosse qualcosa di
particolare nell'atmosfera di San
Salvatore. Stimolava alla crescita,
risvegliava qualità assopite. E
sentendosi sempre più soddisfatto,
addirittura affascinato da sua moglie,
e molto contento del progresso che
stava facendo con le altre due oltre
che fiducioso del progresso che
avrebbe fatto con la terza signora, la
più riservata, Mr Wilkins non ricordò
di avere mai trascorso una vacanza
così piacevole. L'unica cosa che si
poteva forse migliorare era il modo in
cui veniva chiamato, Mr Wilkins.
Nessuno diceva mai Mr Mellersh
Wilkins. Eppure si era presentato a
Lady Caroline - per un attimo trasalì
ricordando le circostanze - come
Mellersh Wilkins.
Questa era però una questione di
poco conto, di cui non si doveva
preoccupare. Sarebbe stato uno
sciocco se in un posto simile e con
una simile compagnia si fosse
preoccupato di qualcosa. Non si
preoccupava neppure di quanto
sarebbe costata la vacanza, e non solo
aveva deciso di pagare la sua parte di
spese, ma anche quella di sua moglie,
l'avrebbe
sorpresa
alla
fine
mostrandole il suo gruzzoletto
intatto, come quando era partita; e la
sola idea di farle una bella sorpresa lo
faceva sentire più affettuoso che mai
nei suoi confronti.
Infatti Mr Wilkins, che all'inizio
aveva deciso coscientemente e
pianificato di fare il possibile per
comportarsi bene, continuò a farlo
inconsciamente e senza il minimo
sforzo.
E intanto i bei giorni dorati si
staccavano dolcemente uno a uno
dalla seconda settimana, altrettanto
belli di quelli della prima, e a ogni
soffio d'aria giungeva a San Salvatore
il profumo dei campi di fagioli in
fiore sulla collina dietro il paese.
Quella
seconda
settimana
nel
giardino il narciso dei poeti
scomparve dall'erba alta sul margine
del sentiero a zigzag, e al suo posto
venne il gladiolo selvatico, sottile e
sfumato di rosa, i garofani bianchi
fiorirono sui bordi, riempiendo tutto
il luogo del loro profumo dolce e
fumoso, e un cespuglio che nessuno
aveva notato traboccò di gloria e di
fragranza, era un lillà color porpora.
Una simile mescolanza di primavera
e di estate era incredibile, se non per
chi in quei giardini risiedeva.
Sembrava che tutto fiorisse
contemporaneamente; in un solo
mese si ammassò ciò che in
Inghilterra compariva a stento
nell'arco di sei mesi. Un giorno Mrs
Wilkins trovò persino le primule, in
un angolo freddo in cima alle colline;
e quando le portò giù accanto ai
gerani e all'eliotropio di San Salvatore
sembrò quasi che fossero intimidite.
Il primo giorno della terza
settimana Rose scrisse a Frederick.
Per paura di altre esitazioni e di
non spedire la lettera, la diede a
Domenico che la imbucasse lui;
perché se non gli avesse scritto ora,
non sarebbe rimasto altro tempo:
metà del mese a San Salvatore era già
trascorsa. Anche se Frederick fosse
partito appena ricevuta la lettera, il
che naturalmente non gli sarebbe
riuscito, un po' per le valigie e il
passaporto e un po' perché non aveva
nessuna fretta, prima di cinque giorni
non sarebbe arrivato.
Appena l'ebbe fatto, Rose se ne
pentì. Non sarebbe venuto, né si
sarebbe disturbato a rispondere.
Anche se avesse risposto avrebbe
trovato delle scuse per non
raggiungerla, per esempio che era
troppo impegnato; e scrivergli era
servito soltanto a renderla più infelice
di prima.
Cosa non si faceva quando non si
aveva niente da fare! Questa
resurrezione di Frederick, o meglio,
questo tentativo di risuscitarlo, che
cos'era se non il risultato di non avere
niente da fare? Desiderò di non esser
mai venuta in vacanza. Che cosa
pretendeva da una vacanza? Il lavoro
era la sua salvezza, l'unica cosa che
proteggeva una persona, che dava
stabilità e manteneva intatti i suoi
valori. A casa, ad Hampstead,
quando era assorbita dai suoi
impegni, era riuscita a dimenticare
Frederick, pensando a lui con la dolce
malinconia con cui si pensa a
qualcuno amato un tempo e ormai
morto; ma adesso questo posto
tranquillo e l'ozio da cui era invaso
l'avevano rigettata nella miserabile
condizione dalla quale anni addietro
era riuscita a uscire, a piccoli passi.
Perché, se Frederick fosse venuto, lei
lo avrebbe solo annoiato. Non aveva
forse visto come in un lampo, appena
arrivata a San Salvatore, che proprio
per quel motivo lui si era allontanato?
E perché avrebbe dovuto pensare che
adesso, dopo un lungo periodo di
allontanamento, sarebbe riuscita a
non annoiarlo, a non rimanere invece
impalata davanti a lui come
un'idiota, ammutolita dal peso che
aveva nell'anima? Senza contare
l'angoscia delle suppliche: ti prego,
aspetta ancora un poco… ti prego,
non essere impaziente… fra poco non
ti annoierò più.
Mille volte al giorno Rose si
pentiva di non aver lasciato in pace
Frederick. Quando Lotty, che ogni
sera le chiedeva se aveva spedito la
lettera, si sentì infine rispondere di sì,
lanciò esclamazioni di gioia e le gettò
le braccia al collo: «Adesso saremo
pienamente felici!» gridò l'entusiasta
Lotty.
Ma niente sembrava meno
probabile a Rose, che divenne sempre
più pensierosa.
Mr Wilkins, desideroso di
scoprire che cosa la affliggesse,
gironzolava al sole con in testa il suo
panama, e prese a incontrarla come
per caso.
«Non sapevo, - disse la prima
volta Mr Wilkins sollevando il
cappello con cortesia, - che anche a
voi piacesse questo posto», e le si
sedette accanto.
Nel pomeriggio lei scelse un altro
posto, e non era lì neanche da
mezz'ora, quando Mr Wilkins spuntò
da dietro l'angolo facendo ondeggiare
il suo bastone con leggerezza.
«Siamo destinati a incontrarci
nelle nostre passeggiate», disse Mr
Wilkins cordialmente. E le si sedette
accanto.
Mr Wilkins era molto gentile, e
lei si accorse di averlo giudicato male
ad Hampstead, qui dava il meglio di
sé, maturato come un frutto al sole
benefico di San Salvatore; Rose
voleva però stare sola. Tuttavia gli era
grata, perché le dimostrava che
nonostante per Frederick potesse
essere noiosa, non lo era per tutti;
altrimenti non sarebbe rimasto a
parlare con lei ogni volta che ne aveva
l'occasione, fino all'ora di rientrare.
Certo, lui la annoiava, ma fosse stata
lei ad annoiare lui sarebbe stato assai
peggio;
ciò
avrebbe
turbato
profondamente la sua vanità; perché,
non riuscendo più a pregare, Rose
adesso era assalita da ogni sorta di
debolezze: era vanitosa, permalosa,
irritabile e combattiva; dèmoni strani
e sconosciuti si affollavano in lei
impossessandosi del suo cuore vuoto
e trascurato. In vita sua non era mai
stata vanitosa né irritabile o
combattiva. Forse San Salvatore era
capace di effetti opposti? E lo stesso
sole che faceva maturare Mr Wilkins
inacerbiva lei?
Per essere certa di restare sola, la
mattina seguente, mentre Mr Wilkins
si attardava piacevolmente a fare
colazione con Mrs Fisher, scese agli
scogli sul mare dove lei e Lotty si
erano sedute il primo giorno. Ormai
Frederick aveva ricevuto la lettera e
oggi, se egli fosse stato come Mr
Wilkins, lei avrebbe ricevuto un suo
telegramma.
Cercò di soffocare quell'assurda
speranza ridendoci sopra. Eppure, se
Mr Wilkins aveva mandato un
telegramma, perché non Frederick? A
quanto pare la magia di San Salvatore
si celava anche nella carta da lettere.
Lotty non si sognava neppure di
ricevere un telegramma, e quando
rientrò per il pranzo c'era; sarebbe
stato meraviglioso se quando fosse
tornata per pranzo ce ne fosse stato
uno anche per lei…
Rose strinse forte le ginocchia tra
le mani. Con che intensità desiderava
di nuovo essere importante per
qualcuno! Non di esserlo sulle
tribune, o come membro di
un'organizzazione, ma importante
nella vita privata, per una persona
soltanto, nell'intimità, senza nessuno
che lo sapesse o vi badasse. In un
mondo così affollato, non sembrava
pretendere troppo: chiedeva solo una
persona, una tra tutti quei milioni,
tutta per sé. Qualcuno che avesse
bisogno di te, che ti pensasse, che
fosse ansioso di vederti… oh, com'era
forte il desiderio di sentirsi preziosi!
Rimase tutta la mattina seduta
sotto il pino accanto al mare.
Nessuno si avvicinò e le ore
passarono
lentamente,
parvero
interminabili. Ma non voleva salire
prima di pranzo, voleva lasciare che il
telegramma avesse il tempo di
arrivare.
Quel giorno Scrap, incitata
dall'insistenza di Lotty e pensando
che forse era stata seduta troppo a
lungo, si alzò dalla sua poltroncina e
dai cuscini e andò insieme con Lotty
e dei panini su tra le colline, fino a
sera. Mr Wilkins, che desiderava
unirsi a loro, su consiglio di Lady
Caroline rimase con Mrs Fisher per
rallegrare la sua solitudine, e anche se
verso le undici smise di rallegrarla per
andare in cerca di Mrs Arbuthnot e
consolare un pochino anche lei dividendosi
imparzialmente
tra
queste signore solitarie - tornò subito
dopo asciugandosi la fronte e riprese
con Mrs Fisher da dove si era
interrotto, perché questa volta Mrs
Arbuthnot si era nascosta bene. Per
lei, oltretutto, c'era anche un
telegramma, notò lui entrando,
peccato che non sapesse dove fosse.
«Dovremmo aprirlo?» chiese a
Mrs Fisher.
«No», disse lei.
«Magari è necessario rispondere
subito».
«Non trovo giusto ficcare il naso
nella corrisppondenza degli altri».
«Ficcare il naso? Mia cara
signora…»
Mr Wilkins era sconvolto. Che
espressione! Ficcare il naso. Nutriva
grande stima per Mrs Fisher, ma a
volte la trovava una persona un po'
difficile. Lei lo apprezzava, ne era
sicuro e sentiva che era sulla strada
giusta per diventare una sua cliente,
ma temeva che sarebbe stata una
cliente reticente e testarda. Reticente
lo era di sicuro, perché nonostante
fosse stato disponibile e comprensivo
per una settimana intera, fino ad ora
lei non aveva fatto nessun accenno a
ciò
che
evidentemente
la
preoccupava.
«Povera vecchia, - disse Lotty
quando lui le chiese se sapeva far luce
sui problemi di Mrs Fisher. - E senza
amore».
«Amore? - Mr Wilkins potè solo
ripetere, sinceramente scandalizzato.
- Ma sicuramente, mia cara… alla sua
età…»
«Qualunque tipo di amore», disse
Lotty.
Proprio quella mattina aveva
chiesto a sua moglie, perché adesso
cercava e rispettava la sua opinione,
se poteva dirgli che cosa avesse Mrs
Arbuthnot, perché anche lei, sebbene
lui avesse fatto il possibile per
conquistarne la fiducia, era ancora
ostinatamente riservata.
«Vuole suo marito», disse Lotty.
«Ah», fece Mr Wilkins, mentre
veniva fatta luce sulla timida e
modesta
malinconia
di
Mrs
Arbuthnot.
Poi
aggiunse:
«E
naturale».
Lotty continuò, sorridendogli:
«Succede a tutte».
Mr Wilkins, sorridendole: «A
tutte?»
Lotty, sorridendogli ancora:
«Certo!»
Mr Wilkins fu soddisfatto di lei
e, sebbene fosse molto presto, un'ora
in cui le carezze sono ancora
indolenti, le pizzicò un orecchio.
Appena prima delle dodici e
trenta Rose salì lentamente attraverso
il pergolato, tra le camelie schierate
sui due lati dei vecchi scalini di
pietra. I rivoletti di pervinche che
quando era arrivata scendevano lungo
di essi, erano scomparsi, e adesso
c'erano questi cespugli, dalle forme
soprendenti. Rosa, bianche, rosse,
striate: tenne le camelie tra le dita e le
annusò tutte, una dopo l'altra, così da
rimandare il più possibile il momento
della sua delusione. Finché non
vedeva con i suoi occhi, non vedeva il
tavolo dell'atrio senza niente sopra se
non il solito vaso di fiori, poteva
ancora sperare, provare la gioia di
immaginarsi il telegramma lì ad
aspettarla. Ma le camelie non hanno
profumo, le ricordò Mr Wilkins, che
era in piedi sulla porta e che
conosceva quel che bastava di
floricultura.
A quella voce lei sussultò e
guardò in su.
«È arrivato un telegramma per
voi», disse Mr Wilkins.
Lo guardò con la bocca
spalancata.
«Vi ho cercata ovunque ma
invano…»
Certo, lo sapeva. Ne era sempre
stata sicura. Brillante e focosa, in
quell'attimo la giovinezza tornò ad
accendere il volto di Rose, che volò su
per gli scalini, rossa come la camelia
che aveva appena tenuto tra le dita, e
giunta nell'atrio strappò il telegramma
per aprirlo, prima che Mr Wilkins
riuscisse a finire la frase. Se le cose
potevano accadere così… non c'era
fine alla… allora lei e Frederick…
sarebbero di nuovo… di nuovo…
finalmente…
«Nessuna cattiva notizia, spero?»
disse Mr Wilkins che l'aveva seguita,
perché lei, dopo aver letto il
telegramma, rimase a fissarlo e
impallidì lentamente.
Si voltò e guardò Mr Wilkins,
quasi faticasse a ricordare chi fosse.
«Oh, no. Al contrario…»
Tentò di sorridere. «Riceverò
visite», disse porgendo il telegramma;
e dopo averglielo dato s'incamminò
verso la sala da pranzo, bisbigliando
qualcosa sul fatto che il pranzo era
pronto.
Mr Wilkins lo lesse. Era stato
inviato quella mattina da Mezzago e
diceva:
«Di passaggio diretto a Roma.
Posso porgere miei rispetti questo
pomeriggio? Thomas Briggs».
Perché un telegramma simile
avrebbe dovuto far impallidire quella
misteriosa signora? Leggendolo era
impallidita
in
modo
così
impressionante che Mr Wilkins si era
convinto che si fosse presa un bel
colpo.
«Chi è Thomas Briggs?» chiese,
seguendola in sala da pranzo.
Lo guardò distrattamente. «Chi
è…?» ripetè, cercando di riordinare i
pensieri.
«Thomas Briggs».
«Ah, sì. E il proprietario. Questa
è casa sua. È molto gentile. Arriva
oggi pomeriggio».
Thomas Briggs stava arrivando
in quel preciso istante. Sobbalzava
nella carrozza lungo la strada tra
Mezzago e Castagneto, augurandosi
di cuore che la signora dagli occhi
scuri comprendesse che tutto quel che
voleva era vedere lei, e non vedere se
la casa fosse ancora lì. Sentiva che per
delicatezza un proprietario non
doveva imporsi a un affittuario.
Ma… l'aveva pensata tanto da quel
giorno. Rose Arbuthnot. Un nome
così bello. E una creatura così bella:
dolce, lattea e materna nel miglior
senso del termine: cioè che non era
sua madre e non poteva esserlo
neppnre volendo, perché i genitori
erano gli unici a non poter essere più
giovani di te. Inoltre, passava proprio
di lì. Sembrava assurdo non fare un
salto a vedere se lei si trovava bene.
Desiderava vederla in casa sua.
Vedere la sua casa che le faceva da
sfondo, lei seduta sulle sue sedie, bere
dai suoi bicchieri, usare tutte le sue
cose. Chissà se metteva il grande
cuscino di broccato cremisi del salone
dietro alla sua piccola testa castana! I
suoi capelli e il biancore della pelle
sarebbero stati bene contro quel
cuscino. Chissà se aveva visto il suo
ritratto sulle scale, chissà se le
piaceva! Glielo avrebbe spiegato. Se
non dipingeva, e non aveva detto
niente che lo facesse pensare, forse
non avrebbe notato con quale
precisione la curva delle sopracciglia
e il leggero incavo della guancia…
Disse al cocchiere di aspettare a
Castagneto, attraversò la piazza
accompagnato dal clamore di cani e
dei bambini che lo conoscevano e
spuntarono
fuori
dal
nulla
all'improvviso, e camminò di buon
passo su per il sentiero a zigzag,
perché era un giovane dinamico di
poco più di trent'anni, tirò la vecchia
catena che faceva suonare la
campanella e aspettò dignitosamente
dalla parte giusta della porta aperta
che lo facessero entrare.
Vedendolo, Francesca alzò al
cielo tutto quello che riusciva, le
sopracciglia, le palpebre e le mani, e
gli assicurò con un discorso prolisso
che era tutto in perfetto ordine e che
lei stava facendo il suo dovere.
«Certo, certo, - disse Mr Briggs,
tagliando corto. - Nessuno ne
dubita».
Poi le chiese di portare il biglietto
da visita alla sua padrona.
«Quale
padrona?»
chiese
Francesca.
«Come quale padrona?»
«Ce ne sono quattro», disse
Francesca, fiutando una irregolarità
da parte delle affittuarie al vedere il
suo padrone sorpreso; e si sentì
sollevata, perché la vita è monotona e
le irregolarità aiutano a tirare avanti.
«Quattro? - ripetè sorpreso. Bene, allora portalo a tutte quante»,
disse riprendendosi dopo aver notato
l'espressione di lei.
Stavano bevendo il caffè nel
giardino superiore all'ombra del pino
a ombrello. C'erano soltanto Mrs
Fisher e Mrs Wilkins, perché Mrs
Arbuthnot, che a pranzo non aveva
mangiato nulla ed era stata sempre
zitta, era scomparsa subito.
Mentre Francesca si dirigeva in
giardino con il biglietto da visita, il
suo padrone rimase in piedi sulle
scale ad ammirare il quadro di quella
Madonna di un antico pittore italiano
anonimo, che lui stesso aveva
comprato
a
Orvieto
e
che
assomigliava così tanto alla sua
affittuaria. Era davvero eccezionale,
la somiglianza. Naturalmente quel
giorno a Londra lei aveva il cappello,
ma lui era sicurissimo che i suoi
capelli sulla fronte fossero identici.
L'espressione degli occhi, dolce e
seria, era esattamente la stessa, e lui si
rallegrò pensando che avrebbe sempre
avuto il suo ritratto.
Guardò su sentendo dei passi, ed
eccola che scendeva le scale, proprio
come l'aveva immaginata in quel
luogo, vestita di bianco.
Lei si stupì vedendolo così
presto. Aveva pensato che sarebbe
arrivato verso l'ora del té, e fino ad
allora aveva deciso di sedere all'aria
aperta in un luogo in cui poter stare
sola.
Lui la guardò mentre scendeva le
scale con interesse ancora più vivo.
Tra un attimo sarebbe stata a livello
del suo ritratto.
«E davvero straordinario», disse
Briggs.
«Salve», disse Rose, che si
sforzava
per
accoglierlo
con
sufficiente cordialità.
Non lo accoglieva volentieri. Era
qui, pensò lei, col telegramma che le
stringeva il cuore, invece di
Frederick, e faceva ciò che avrebbe
voluto veder fare a Frederick, gli
aveva preso il posto.
«State
ferma
soltanto
un
attimo…»
Lei obbedì in modo meccanico.
«Sì… davvero stupefacente. Vi
dispiace togliervi il cappello?»
Rose,
sorpresa,
lo
tolse,
ubbidiente.
«Sì… lo sapevo già… ma volevo
accertarmene.
Guardate…
avete
notato…»
Iniziò a passare la mano sul viso
del quadro con gesti rapidi e strani,
misurandolo e guardando prima
quello poi lei.
La sorpresa di Rose si tramutò in
divertimento, e non potè fare a meno
di sorridere. «Siete venuto a
confrontarmi con l'originale?» chiese.
«Vedete
anche
voi
la
straordinaria somiglianza…»
«Non sapevo di avere un aspetto
così solenne».
«E non l'avete. Non adesso, ma
l'avevate un attimo fa, altrettanto
solenne. Oh, sì… salve», concluse
all'improvviso, notando la mano che
lei gli tendeva. Rise e le strinse la
mano, arrossendo - come gli
succedeva sempre - fino alla punta dei
suoi capelli biondi.
Tornò Francesca. «La Signora*
Fisher, - disse, - sarebbe felice di
vedervi».
«Chi è la Signora1 Fisher?»
chiese lui a Rose.
«Una delle quattro signore che
dividono la vostra casa».
«Allora siete in quattro?»
«Sì. La mia amica e io abbiamo
visto che non potevamo permettercela
da sole».
«Oh, davvero…», iniziò Mr
Briggs confuso, perché avrebbe
preferito che Rose Arbuthnot - bel
nome - non si dovesse permettere
niente, ma che rimanesse a San
Salvatore fino a quando voleva, come
sua ospite.
«Mrs Fisher sta prendendo il
caffè nel giardino superiore, - disse
Rose. - Vi conduco da lei e ve la
presento».
«Non voglio andarci. Avete il
cappello, quindi stavate andando a
fare una passeggiata. Permettete che
venga
anch'io,
mi
piacerebbe
infinitamente essere portato in giro da
voi».
1 [In italiano nel testo].
«Ma Mrs
Fisher vi
sta
aspettando».
«Più tardi non ci sarà?»
«Sì, - disse Rose con quel sorriso
che lo aveva tanto attratto il primo
giorno. - Ci sarà fino all'ora del té».
«Parlate italiano?»
«No, - disse Rose. - Perché?»
Al che lui si rivolse a Francesca
dicendole con scioltezza, perché lo
parlava correntemente, di tornare
dalla Signora 1 nel giardino superiore
e dirle che lui aveva incontrato la sua
vecchia amica Signora 1 Arbuthnot,
che andava a fare una passeggiata
con lei e che avrebbe fatto la sua
conoscenza più tardi.
«Mi invitate a prendere il té?»
chiese a Rose quando Francesca se ne
fu andata.
«Certo, è casa vostra!»
«Non è vero, è vostra».
«Fino a lunedì prossimo»,
sorrise.
«Venite
e
mostratemi
il
panorama», disse lui con impazienza;
e fu chiaro anche per la stessa Rose,
abituata a sottovalutarsi, che non
annoiava Mr Briggs.
1 [In italiano nel testo].
Fecero una bella passeggiata,
sedendosi in angoli caldi e profumati
di timo, la compagnia e la
conversazione di Mr Briggs era
proprio quello di cui aveva bisogno
Rose per riprendersi dall'amara
delusione di quella mattina. Lui le fu
di grande aiuto, e si verificò lo stesso
processo attraverso il quale erano
passati Lotty e suo marito: più Mr
Briggs trovava Rose affascinante, più
lei lo diventava.
Briggs non era capace di fingere e
quando poteva evitarlo, preferiva non
perdere tempo. Non erano ancora
giunti alla fine del promontorio dove
si ergeva il faro - Briggs le aveva
proposto di condurlo al faro perché
sapeva che il sentiero era abbastanza
largo da permettere a due persone di
procedere fianco a fianco - quando lui
le disse dell'impressione che gli aveva
fatto a Londra.
Poiché persino le donne più
sobrie e religiose si compiacciono di
sapere che hanno fatto colpo su
qualcuno, soprattutto se questo non
ha nulla a che vedere con il carattere o
i meriti, anche Rose fu contenta, e
sorrise, risultando più attraente che
mai. Le si accesero le guance e gli
occhi si illuminarono. Si accorse di
dire cose interessanti, addirittura
divertenti. Se Frederick l'avesse
sentita adesso, pensò, forse avrebbe
visto che dopo tutto non era
irrimediabilmente noiosa; infatti con
lei c'era un giovane di bell'aspetto e
senz'altro intelligente - così almeno
sembrava, e lei sperava che lo fosse,
perché in tal caso i suoi complimenti
avrebbero acquistato maggior valore che a quanto pare era felice di
trascorrere
il
pomeriggio
chiacchierando con lei.
E Mr Briggs sembrava davvero
interessato a lei. Voleva sapere tutto
quel che aveva fatto da quando era
arrivata. Le chiese se in casa aveva
visto questo, quello e quell'altro, che
cosa
preferiva,
quale
stanza
occupava, se era comoda, se
Francesca faceva il suo dovere, se
Domenico aveva cura di lei e se le
piaceva usare il salotto giallo, quello
esposto al sole tutto il giorno, che si
affacciava su Genova.
Rose si vergognò di aver badato
così poco alla casa e di aver notato
ben pochi degli oggetti che lui
definiva antichi e preziosi. Sommersa
dal pensiero di Frederick, pareva
fosse vissuta a San Salvatore come
una cieca, ed era ormai passato più di
metà mese, e per che cosa? Tanto
valeva rimanere ad Hampstead Heath
con le proprie bramosie. No, non è
vero, qui almeno era consapevole di
trovarsi nel cuore della bellezza; e in
verità era stata proprio questa
bellezza, il desiderio di parteciparne,
che gliene aveva suscitato la
bramosia.
Mr Briggs, tuttavia, era così
vivace che in quel momento non le
riusciva di riservare la minima
attenzione a Frederick, e rispondendo
alle sue domande decantò la servitù e
il salotto giallo senza rivelargli che
l'unica volta in cui vi era entrata era
stata scacciata in modo infame; gli
disse che non conosceva praticamente
nulla di arte e di antiquariato, ma
pensò che se qualcuno gliene avesse
parlato forse avrebbe potuto saperne
di più, e aggiunse che da quando era
arrivata aveva trascorso ogni giorno
all'aria aperta, perché quel posto era
assolutamente incantevole e diverso
da tutti quelli che aveva visto.
Briggs camminò accanto a lei
lungo i sentieri che gli appartenevano
ma
che
in
quel
momento,
fortunatamente, appartenevano a lei,
e sentì tutto l'innocente ardore della
vita familiare. Era orfano e figlio
unico, e da sempre desiderava una
famiglia. Avrebbe voluto una sorella
da adorare e una madre da coccolare,
e proprio in questo periodo stava
cominciando a pensare seriamente al
matrimonio; e sebbene fosse stato
felice con le sue molte innamorate,
ognuna delle quali, contrariamente
alla regola, alla fine era divenuta una
sua carissima amica, amava i
bambini e pensava che ormai fosse
ora di sistemarsi se non voleva essere
troppo vecchio quando il suo
primogenito avesse avuto vent'anni.
Negli ultimi tempi San Salvatore gli
era sembrato un luogo abbandonato:
quando camminava gli pareva di
sentire l'eco dei suoi passi. Si era
sentito solo; talmente solo che quella
primavera aveva preferito non
andarci e darlo in affitto. Ci voleva
una moglie, quel tocco finale di calore
e bellezza, aveva sempre pensato a
sua moglie soltanto in termini di
calore e bellezza: doveva essere bella e
gentile. Si divertiva a pensare a
quanto fosse già innamorato di questa
vaga figura di moglie.
Faceva amicizia così in fretta
con la signora dal dolce nome,
camminando lungo il sentiero per il
faro, che fu certo che presto le avrebbe
raccontato tutto di sé, del suo passato
e delle speranze per il futuro; e
accorgendosi di essere entrato in
confidenza con tanta rapidità si mise
a ridere.
«Perché ridete?» chiese lei,
guardandolo e sorridendo.
«È come tornare a casa», fu la
risposta.
«Ma per voi venire qui lo è
davvero».
«Intendo dire tornare in una casa
vera. Nella propria… la propria
famiglia. Io non ho mai avuto una
famiglia, sono orfano».
«Oh, davvero? - disse Rose con la
dovuta comprensione. - Spero che
non lo siate stato per molto. Cioè,
voglio dire che spero lo siate stato.
No, insomma, non so cosa voglio
dire, se non che mi dispiace».
Lui rise di nuovo. «Be', sono
abituato. Non ho nessuno. Né fratelli
né sorelle».
«Allora siete figlio unico»,
osservò lei con prontezza.
«Sì. E in voi c'è qualcosa che
rispecchia esattamente la mia… la
mia idea di famiglia».
Era divertita.
«Una tale… intimità», disse
guardandola e cercando la parola più
appropriata.
«Non la pensereste così vedendo
la mia casa ad Hampstead», disse, e
le venne in mente quell'abitazione
austera e inospitale, senza nulla di
soffice tranne il divano della Du
Barri, che da sempre evitava e
ignorava. Niente da stupirsi, pensò in
un attimo di lucidità, che Frederick
evitasse la casa: nella sua famiglia
non c'era niente di intimo.
«Credo che ogni luogo in cui
siete vissuta sia esattamente come
voi», disse lui.
«Non vorrete mica affermare che
San Salvatore è come me?»
«Invece sì. Voi ammettete, vero,
che è un luogo splendido?»
Disse moltre altre cose del
genere. E a lei quella passeggiata
piacque molto, non ne ricordava una
così piacevole sin dai giorni del suo
fidanzamento.
Tornò per il té, assieme a Mr
Briggs e con un aspetto diverso, notò
Mr Wilkins, da quello che aveva
avuto fino ad allora. Guai in vista,
pensò lui, e già si fregava le mani
dentro di sé. Si vedeva già interpellato
per una consulenza. Da una parte
c'era Arbuthnot, dall'altra Briggs.
Prima o poi i guai sarebbero saltati
fuori. Ma perché il telegramma di
Briggs l'aveva tanto colpita? Se era
impallidita per la troppa gioia, allora
i guai erano più imminenti di quanto
avesse immaginato. Adesso non era
pallida: anzi, non l'aveva mai vista
così colorita. Bene, lui era la persona
che ci voleva quando ci si trovava nei
guai. Certo, gli dispiaceva che la
gente ci finisse, ma quando
succedeva, era lui quel che serviva.
E Mr Wilkins, rinvigorito da
questi pensieri, perché riteneva la
carriera una questione preziosa, si
accinse a fare gli onori di casa a Mr
Briggs,
sia
in
qualità
di
comproprietario temporaneo di San
Salvatore che di suo possibile
assistente in caso di difficoltà, e con
estrema ospitalità gli indicò le diverse
attrattive del luogo e, conducendolo
al parapetto, gli mostrò Mezzago
oltre la baia.
Anche Mrs Fisher fu molto
cordiale. Questa casa apparteneva a
quel giovane, che era dunque un
possidente. E a lei le proprietà e i
proprietari
piacevano.
Inoltre
reputava un merito particolare essere
così giovani e già possidenti. Eredità,
naturalmente; e l'eredità era più
rispettabile dell'acquisto: indicava la
presenza di un padre, e in un periodo
in cui la maggior parte della gente
pareva non l'avesse o non volesse
averne, apprezzava anche questo.
Fu dunque un pasto piacevole,
tutti erano amabili e bendisposti.
Briggs pensò che Mrs Fisher fosse
un'amabile vecchia signora e lo lasciò
trapelare; e di nuovo la magia del
posto funzionò, e lei divenne
un'amabile vecchia signora! Con lui si
dimostrò benevola, in modo quasi
scherzoso: prima che il té fosse finito,
per introdurre qualche osservazione si
rivolse a lui dicendo: «Mio caro
ragazzo».
Strane parole in bocca a Mrs
Fisher. È improbabile che le avesse
mai usate. Rose era sconcertata. In
fondo le persone erano tutte buone,
quando
avrebbe
smesso
di
commettere tanti errori nel giudicarle?
Non aveva sospettato l'esistenza di
questo lato di Mrs Fisher, e prese a
domandarsi se gli unici lati che
conosceva di lei non fossero che la
conseguenza del suo comportamento
irritante e pugnace. Forse era così.
Come doveva essere stata antipatica!
Se ne pentì amaramente quando vide
sbocciare davanti ai suoi occhi tutta
l'amabilità di Mrs Fisher non appena
qualcuno si dimostrava affettuoso con
lei, e avrebbe voluto sprofondare
sottoterra per la vergogna quando
all'improvviso sentì ridere Mrs Fisher
e si accorse, dallo stupore che le
procurò quel suono, della sua assoluta
novità. Prima d'allora né lei né nessun
altro della compagnia avevano sentito
ridere Mrs Fisher. Era un'accusa per
tutti loro! Perché ognuno di loro, chi
più chi meno, prima o poi aveva riso
una volta, soltanto Mrs Fisher non
l'aveva mai fatto. E poiché sapeva
divertirsi, visto che adesso lo stava
facendo, significava che prima non
era successo. Nessuno si era mai
preoccupato di lei, tranne forse Lotty.
Sì, Lotty si era preoccupata e aveva
desiderato che fosse felice; ma pareva
che Lotty facesse una brutta
impressione su Mrs Fisher, mentre
per quanto riguardava la stessa Rose,
non era mai stata con lei neppure
cinque minuti senza sentire il
desiderio di provocarla e contrastarla.
Com'era stata antipatica! Si era
comportata
in
maniera
imperdonabile. Il suo pentimento si
tradusse in una premura timida e
rispettosa nei confronti di Mrs Fisher,
al che Briggs, che la stava
osservando, pensò che fosse ancora
più angelica e per un attimo desiderò
essere una vecchia signora per essere
così accudito da Rose Arbuthnot.
Evidentemente non c'era un limite,
pensò, a ciò che poteva fare con la
sua dolcezza. Non gli sarebbe
spiaciuto neppure prendere delle
medicine, delle medicine disgustose,
se a dargliele ci fosse stata Rose
Arbuthnot china su di lui.
Lei sentì i suoi occhi azzurri e
brillanti, ancora più brillanti per
l'abbronzatura, fissi su di lei e
scintillanti, e sorridendo gli chiese a
cosa stesse pensando.
Non poteva spiegarglielo, rispose
lui; e aggiunse: «Forse un giorno».
Al che Mr Wilkins pensò,
fregandosi le mani dentro di sé:
«Guai in vista, bene: io sono quel che
fa per loro».
«Sono certa, - disse Mrs Fisher
benevolmente, - che non avete
pensieri che non possiamo sentire».
«Sono certo, - disse Briggs, - che
tra una settimana vi rivelerò tutti i
miei segreti».
«Allora li rivelerete a una persona
molto fidata, - disse Mrs Fisher con
bonarietà, avrebbe voluto un figlio
proprio così. - E in cambio, continuò, - vi rivelerò i miei».
«Ah, no! - esclamò Mr Wilkins,
adattandosi a questo tono di leggero
badinage, - io protesto! Non posso
fare altrimenti. Ho più diritti di voi,
Briggs, sono amico da più tempo; io
conosco Mrs Fisher da dieci giorni, e
voi non la conoscete neppure da uno.
Rivendico il mio diritto a sentire per
primo i suoi segreti. Sempre che, aggiunse, facendo un inchino galante,
- ne abbia … cosa di cui chiedo il
permesso di dubitare».
«Oh, se ne ho!» esclamò Mrs
Fisher pensando a quelle foglie verdi.
Era
sorprendente sentirle fare
un'esclamazione, ed era un miracolo
che la facesse con tanta gaiezza. Rose
la guardava incredula.
«Allora ve li dovrò estorcere»,
disse Briggs con altrettanta gaiezza.
«Non ce ne sarà bisogno, - disse
Mrs Fisher. - Comincia a essere
difficile tenermeli dentro».
Pareva di sentir parlare Lotty. Mr
Wilkins sistemò il monocolo che si
portava dietro per occasioni simili ed
esaminò con attenzione Mrs Fisher.
Rose la guardò, senza riuscire a non
sorridere vedendo Mrs Fisher così
divertita, sebbene Rose non ne
conoscesse la ragione; e il suo sorriso
era un po' incerto, perché vedere Mrs
Fisher così allegra era una novità non
priva di aspetti temibili e ci si doveva
abituare.
Mrs Fisher stava pensando
quanto li avrebbe sorpresi se avesse
rivelato la sua sensazione strana ed
eccitante di sentirsi germogliare
dappertutto. L'avrebbero giudicata
una signora vecchia e sciocca, e
altrettanto avrebbe pensato lei non
più tardi di due giorni prima; ma
l'idea dei
germogli
le stava
diventando familiare, adesso era più
apprivoisée, come era solito dire il
caro Matthew Arnold, e anche se
sarebbe senz'altro meglio che l'aspetto
coincidesse con le sensazioni, tuttavia
supponendo che non accada - non si
può avere tutto - non era meglio
sentirsi giovani da qualche parte
piuttosto che vecchi dappertutto?
C'era tempo per sentirsi vecchi, sia
dentro che fuori, quando fosse tornata
nel suo sarcofago a Prince of Wales
Terrace.
E probabile però che se Briggs
non fosse arrivato, Mrs Fisher
avrebbe continuato a rimuginare nel
suo guscio. Agli occhi degli altri
appariva soltanto severa. Lasciarsi
andare all'improvviso sarebbe stato
più di quanto la sua dignità avrebbe
potuto sopportare - soprattutto nei
riguardi delle tre giovani donne. Ma
adesso era arrivato Briggs, un
estraneo che si era subito affezionato
a lei come mai nessuno prima, e fu
proprio il suo arrivo e la sua
devozione sincera e palese - come
avrebbe voluto una nonna come
quella, pensò Briggs, affamato di vita
familiare e di tutto quel che ne
consegue - che fece uscire Mrs Fisher
dal suo guscio; e finalmente eccola lì,
come aveva previsto Lotty, contenta,
di buon umore e benevola.
Lotty, di ritorno mezz'ora dopo
dal suo pic nic, seguendo il suono
delle voci fino al giardino superiore
nella speranza di trovare ancora del
té, capì subito cos'era accaduto
perché in quel momento Mrs Fisher
stava ridendo.
«Ha rotto il bozzolo», pensò
Lotty; e rapida e impulsiva com'era in
ogni sua azione, e senza preoccuparsi
minimamente di infastidirla o
importunarla, si chinò sullo schienale
della sedia di Mrs Fisher e la baciò.
«Oh Signore!» gridò Mrs Fisher,
trasalendo violentemente perché una
cosa simile non le accadeva dai primi
tempi di Mr Fisher, e anche allora
con grande circospezione. Quel bacio
era un bacio vero, e per un attimo si
fermò sulla sua guancia con una
dolcezza strana e delicata.
Quando vide da chi proveniva,
un evidente rossore si diffuse sul suo
volto. Mrs Wilkins che la baciava e
con un bacio così affettuoso… Anche
se avesse voluto, in presenza del
lusinghiero Mr Briggs non poteva
riprendere
la
severità
appena
abbandonata e ricominciare coi
rimproveri, e comunque non ne aveva
voglia. Era possibile che Mrs Wilkins
la
apprezzasse?
Che
l'avesse
apprezzata per tutto questo tempo,
quando invece lei aveva provato tanta
avversione?
Un bizzarro rivoletto di calore
filtrò attraverso le gelide difese del
cuore di Mrs Fisher. Una persona
giovane che la baciava… che
desiderava baciarla. Avvampando,
osservò quella strana creatura che a
quanto pareva era del tutto
inconsapevole di aver compiuto un
gesto straordinario e che stringeva la
mano a Mr Briggs, dopo essergli stata
presentata
da
suo
marito,
imbarcandosi immediatamente in
una cordiale conversazione, come se
lo avesse conosciuto da sempre. Che
strana creatura, davvero strana! Era
naturale, essendo tanto strana, che ci
si potesse fare un'idea sbagliata di
lei…
«Sono certo che gradirete un pò
di té», disse Briggs a Lotty, ansioso di
mostrarsi ospitale. La trovò deliziosa:
le lentiggini, lo scompiglio del pic nic
e tutto il resto. Come avrebbe voluto
una sorella…
«Questo è freddo, - disse,
tastando la teiera. - Dico a Francesca
di prepararvene dell'altro…»
Si interruppe e arrossì. «Forse sto
esagerando un po'», disse ridendo e
guardandosi intorno.
«Naturale, del tutto naturale», lo
rassicurò Mr Wilkins.
«Andrò io a dirlo a Francesca»,
disse Rose alzandosi.
«No, no, - disse Briggs. - Non ve
ne andate». Mise le mani intorno alla
bocca e urlò.
«Francesca!» gridò Briggs.
Lei arrivò di corsa. Mai, da quel
che ricordavano, aveva risposto con
tanta velocità.
«La voce del padrone», osservò
Mr Wilkins; proprio come si
conveniva, considerò.
«Prepara dell'altro té, - ordinò
Briggs in italiano. - Forza…
sbrigati!». E poi riprendendosi arrossì
di nuovo chiedendo scusa a tutti.
«Naturale, del tutto naturale», lo
rassicurò Mr Wilkins.
A questo punto Briggs spiegò a
Lotty quello che aveva già spiegato
due volte, prima a Rose e poi agli altri
due, che era di passaggio per Roma e
aveva pensato di scendere a Mezzago
per vedere se si trovavano bene, con
l'intenzione di proseguire il viaggio il
giorno
successivo,
dopo
aver
trascorso la notte in un albergo di
Mezzago.
«Ma è ridicolo, - disse Lotty. Dovete assolutamente fermarvi qui. È
casa vostra, e c'è la camera di Kate
Lumley, - aggiunse rivolgendosi a
Mrs Fisher. - Non vi dispiace vero, se
Mr Briggs la occupa per una notte?
Kate Lumley, dovete sapere, non c'è
ancora», disse ridendo, rivolta di
nuovo a Mr Briggs.
E anche Mrs Fisher, con sua
immensa sorpresa, si mise a ridere.
Sapeva che in qualsiasi altro
momento
avrebbe
trovato
sconveniente questa affermazione, e
invece adesso la considerò divertente.
No
davvero,
Mrs
Fisher
rassicurò Briggs, Kate Lumley non
occupava ancora quella camera. Per
fortuna! Poiché era una persona assai
corpulenta mentre la stanza era assai
stretta. Kate Lumley sarebbe anche
riuscita a entrare, ma poi non avrebbe
potuto fare nient'altro. Una volta
dentro sarebbe stata così allo stretto
che probabilmente non sarebbe mai
riuscita a uscirne. Era interamente a
disposizione di Mr Briggs, e sperava
che non avrebbe fatto l'assurdità di
andare in un albergo… proprio lui, il
proprietario della casa.
Rose ascoltò questo discorso con
gli occhi sbarrati per lo stupore. Mrs
Fisher rise molto mentre lo faceva.
Anche Lotty rise molto, e quando
l'altra ebbe finito si chinò e la baciò
ancora, la baciò molte volte.
«Dunque vedete, mio caro
ragazzo, - disse Mrs Fisher, - se
restate ci fate davvero piacere».
«Davvero piacere», sottolineò Mr
Wilkins di cuore.
«Davvero», ripetè Mrs Fisher, col
tono di una madre compiaciuta.
«Restate», disse Rose quando
Briggs si girò dubbioso verso di lei.
«Siete tutti molto gentili, - disse,
il viso aperto in un largo sorriso. Sarei felice di esser vostro ospite qui.
Che sensazione nuova! E con tre
simili…»
Si
interruppe
guardandosi
intorno. «Ma… - continuò, - non
dovrebbe esserci anche una quarta
padrona di casa? Francesca mi ha
detto che eravate in quattro».
«Sì. C'è Lady Caroline», disse
Lotty.
«E allora non sarebbe meglio
accertarci che anche lei desideri
invitarmi?»
«Oh ma di sicuro lei…»,
cominciò Lotty.
«Non è possibile che la figlia dei
Droitwich, - disse Mr Wilkins, - non
possieda il senso dell'ospitalità, come
si conviene».
«La figlia dei…» ripetè Briggs;
ma si fermò di colpo, perché alla
porta era comparsa la figlia dei
Droitwich in persona; o meglio,
emergendo dall'oscurità della porta
avanzava verso di lui, illuminata dal
sole, colei che per tutta la vita aveva
solo sognato e mai potuto vedere, il
suo ideale assoluto di bellezza.
Poi quando lei parlò… che
speranze poteva avere il povero
Briggs? Era rovinato. Quando Mr
Wilkins lo presentò, bastò che Scrap
dicesse «Piacere», per rovinare
Briggs.
Da giovane felice, allegro,
loquace, pieno di vita e di simpatia
com'era, divenne silenzioso e austero,
con la fronte imperlata di sudore.
Divenne anche goffo: porgendole la
tazza fece cadere il cucchiaino,
offrendo gli amaretti, uno rotolò per
terra. Neanche per un solo istante
riuscì a distogliere lo sguardo da quel
volto incantevole; e Mr Wilkins,
spiegando chi fosse perché lui non ci
riusciva, informò Lady Caroline che
in Mr Briggs poteva vedere il
proprietario di San Salvatore, il quale
era diretto a Roma ma si era fermato
a Mezzago ecc. ecc, e che le altre tre
signore lo avevano invitato a
trascorrere la notte in quella che a
tutti gli effetti era casa sua, invece che
in albergo, e che Mr Briggs, per
accettare l'invito, aspettava solo la
sua approvazione, essendo lei la
quarta
affittuaria.
Mentre
Mr
Wilkins, soppesando ogni frase,
esprimendosi in modo mirabilmente
chiaro e assaporando il suono della
sua stessa voce affettata, spiegava la
situazione a Lady Caroline, Briggs
rimase seduto senza dire una parola.
Una
profonda
malinconia
s'impossessò di Scrap. In lui vedeva
tutti i sintomi iniziali, a lei anche
troppo familiari, del persecutore, e
sapeva che se Briggs fosse rimasto, la
sua
cura
del
sonno
poteva
considerarsi terminata.
Poi le venne in mente Kate
Lumley e si aggrappò a lei come alla
sua ultima speranza.
«Sarebbe stato bello, - disse,
accennando un sorriso a Briggs, per
educazione
non
poteva
non
sorridergli, ma bastò quel cenno a
tradire una fossetta, e a far sì che
Briggs la fissasse con maggiore
insistenza… - Mi chiedevo soltanto se
c'è posto».
«Sì che c'è, - disse Lotty. - C'è la
stanza di Kate Lumley».
«Pensavo, - disse Scrap a Mrs
Fisher, e a Briggs parve di non avere
mai sentito prima d'allora una simile
melodia, - che la vostra amica
dovesse arrivare subito».
«Oh, no», disse Mrs Fisher; con
una strana calma, pensò Scrap.
«Miss Lumley è … signora o
signorina?» chiese Mr Wilkins
rivolgendosi a Mrs Fisher.
«Kate non si è mai sposata»,
rispose
Mrs
Fisher
con
compiacimento.
«Bene. Comunque sia, cara Lady
Caroline, per oggi Miss Lumley non
arriverà, e Mr Briggs purtroppo - se
mi è permesso - domani continuerà il
suo viaggio, pertanto la sua
permanenza non intralcerà in alcun
modo gli eventuali spostamenti di
Miss Lumley».
«Allora, non mi resta che unirmi
all'invito», disse Scrap, con un tono
che Briggs giudicò particolarmente
cordiale.
Lui
avvampò
balbettando
qualcosa, al che Scrap pensò, «Oh, ci
risiamo!», e si girò dall'altra parte,
facendo sì che Briggs notasse il suo
profilo, che era senz'altro la cosa più
bella del volto di Scrap.
Bene, era soltanto per quel
pomeriggio e per la sera. Senza
dubbio, la mattina seguente sarebbe
partito all'alba, ci volevano parecchie
ore per arrivare a Roma. Guai se
fosse rimasto per prendere il treno
della sera; le pareva che l'espresso
principale per Roma passasse di
notte. Perché quella Kate Lumley non
era
ancora
arrivata?
Si
era
completamente dimenticata di lei, ma
adesso si ricordò che l'invito doveva
essere stato fatto già da una
quindicina di giorni. Cosa le era
successo? Quest'uomo, una volta
introdottosi, sarebbe venuto a trovarla
a Londra e avrebbe infestato i luoghi
frequentati da lei: i suoi occhi esperti
videro che aveva il modo di fare di un
persecutore assai insistente.
«Se prima c'era qualche intesa tra
questo giovanotto e Mrs Arbuthnot, pensò Mr Wilkins, osservando il
volto di Briggs e il suo improvviso
silenzio, - ecco dei guai in vista, di
tipo diverso da quelli che temevo, nei
quali Arbuthnot avrebbe giocato il
ruolo
principale,
quello
del
postulante, ma si tratta comunque di
un problema che necessita aiuto e
consigli proprio per il fatto di non
essere pubblicamente scandaloso.
Spinto dalla passione e dalla bellezza
di lei, Briggs aspirerà alla figlia dei
Droitwich, la quale, ovviamente, lo
respingerà. Mrs Arbuthnot, messa da
parte, sarà sconvolta e lo darà a
vedere. Al suo arrivo Arbuthnot
troverà la moglie inspiegabilmente in
lacrime e indagando sulla causa, si
scontrerà con una gelida riservatezza.
A quel punto ci si dovranno aspettare
altri problemi, e in me cercheranno e
troveranno tutti il loro consulente.
Lotty si sbagliava quando diceva che
Mrs Arbuthnot sentiva la mancanza
di suo marito. Ciò che vuole è invece
Briggs, e a quanto pare non lo avrà.
Bene, io sono l'uomo che fa per loro».
«Dove sono le vostre cose, Mr
Briggs? - chiese Mrs Fisher, con la
voce addolcita dal suo senso materno.
- Bisogna mandarle a prendere?»
Adesso il sole era quasi affondato nel
mare, e l'umidità dolce e profumata
di aprile che seguiva il suo sparire
cominciava a insinuarsi nel giardino.
Briggs sussultò. «Le mie cose? ripetè. - Oh, sì! Devo andarle a
prendere, si trovano a Mezzago.
Manderò Domenico: la mia carrozza
mi sta aspettando in paese e lui può
tornare con quella. Andrò a dirglielo».
Si alzò. Con chi stava parlando?
Apparentemente con Mrs Fisher, ma
i suoi occhi erano fissi su Scrap, che
non diceva niente e non guardava
nessuno.
Poi, riprendendosi, balbettò: «Mi
dispiace
molto…
continuo
a
dimenticare che… andrò io a
prenderle».
«Possiamo benissimo mandare
Domenico», disse Rose; e sentendo
quella voce gentile lui si voltò.
Ecco qui la sua amica, la signora
dal nome dolce… ma com'era
cambiata in questo breve intervallo!
Era la luce fioca a renderla così
pallida, con i lineamenti così vaghi e
incerti, simili a quelli di un fantasma?
Un fantasma buono, naturalmente, e
con un bel nome, ma pur sempre un
fantasma.
Si voltò di nuovo verso Scrap, e
dimenticò
l'esistenza
di
Rose
Arbuthnot. Come poteva interessarsi
di qualcun altro o di qualcos'altro
quando per la prima volta si trovava
faccia a faccia con il suo sogno
diventato realtà?
Briggs non aveva mai pensato o
sperato che esistesse una persona
bella come lui sognava la bellezza.
Finora non ne aveva mai incontrata
neppure una parvenza. Aveva
incontrato
donne
graziose
e
affascinanti e le aveva apprezzate, ma
mai la bellezza in sé, divina e
assoluta. Pensava spesso: «Dovessi
vedere una donna perfettamente bella,
morirei»; e sebbene, pur avendo
incontrato una donna perfettamente
bella, non fosse morto, pareva quasi
lo fosse, incapace com'era diventato
di sbrigare le sue faccende.
Furono gli altri a dover sistemare
ogni cosa per lui. Interrogandolo,
vennero a sapere che le sue valigie
erano nel deposito bagagli della
stazione
di
Mezzago,
così
mandarono Domenico a prenderle.
Esortato e sollecitato da tutti tranne
Scrap, che sedeva in silenzio senza
guardare nessuno, Briggs fu persuaso
a dare a Domenico le istruzioni
necessarie per tornare alla carrozza e
ricuperare le sue cose.
Il crollo di Briggs fu uno
spettacolo desolante. Lo notarono
tutti, persino Rose.
«Diamine! - pensò Mrs Fisher. È intollerabile il modo in cui un viso
grazioso possa trasformare un uomo
simpatico in un idiota». Sentendo
l'aria farsi pungente e amareggiata
alla vista di Briggs completamente
incantato, entrò in casa per dare
ordini che gli preparassero la camera,
rammaricandosi di aver spinto il
povero ragazzo a fermarsi.
Per un attimo aveva dimenticato
l'effetto nocivo del viso di Lady
Caroline, soprattutto per il fatto che
questo
non
aveva
inciso
minimamente su Mr Wilkins. Povero
ragazzo. Un ragazzo così piacevole,
abbandonato a se stesso! Era vero che
non poteva accusare Lady Caroline di
non lasciarlo in pace, perché lei
neanche gli badava, ma questo non
era di aiuto. Gli uomini, per altri
versi intelligenti, si comportavano
esattamente come delle stupide
falene, svolazzando intorno alla luce
imperturbabile di un bel volto, e lei li
aveva visti anche troppo spesso.
Passando accanto a Briggs fu tentata
di posare la mano su quella testa
bionda, con gesto materno. Povero
ragazzo! Poi anche Scrap, terminata
la sigaretta, si alzò ed entrò. Non
vedeva per quale ragione doveva
rimanere lì seduta per compiacere il
desiderio di Mr Briggs di ammirarla.
Avrebbe desiderato stare ancora fuori,
raggiungere il suo angolo dietro i
cespugli di dafne, guardare il cielo al
tramonto, osservare le luci accendersi
una a una nel villaggio sottostante e
sentire il profumo dolce e umido della
sera, ma se l'avesse fatto Mr Briggs
l'avrebbe di certo seguita.
Era di nuovo cominciata la
vecchia prepotenza a lei familiare. La
sua vacanza di pace e libertà era
interrotta… forse finita del tutto:
perché, in fin dei conti, chi poteva
essere certo che sarebbe partito il
giorno dopo? Magari lasciava la casa
per l'arrivo di Kate Lumley, ma
niente avrebbe potuto impedirgli di
prendere una stanza in paese e venir
su ogni giorno. Questa prepotenza di
una persona sull'altra! E lei purtroppo
era fatta così male che non avrebbe
neanche potuto guardarlo di traverso
senza essere fraintesa.
Scrap, che amava trascorrere
questo momento della sera nel suo
angolino, era indignata con Mr
Briggs, che la costringeva ad
andarsene, così girò le spalle a lui e al
giardino e andò verso casa senza uno
sguardo né una parola. Tuttavia, non
appena si rese conto delle sue
intenzioni, Briggs saltò in piedi,
spostò delle sedie intorno a lei, che
tuttavia non erano d'intralcio, diede
un calcio a uno sgabello, che non era
sul suo cammino, si affrettò verso la
porta, già spalancata, per tenerla
aperta e la seguì mentre entrava,
camminandole accanto nell'atrio.
Cosa fare con Mr Briggs? Dopo
tutto l'atrio era suo, non poteva
impedirgli di attraversarlo.
«Spero, - disse lui, senza riuscire
a toglierle gli occhi di dosso mentre
camminava, tanto che andò a sbattere
contro diversi mobili che altrimenti
avrebbe scansato: l'angolo di una
libreria, un'antica credenza scolpita, il
tavolo su cui vi era un vaso di fiori
pieno d'acqua, che si rovesciò, - che
qui vi troviate bene. Altrimenti io… li
scorticherò vivi!»
La sua voce ebbe un fremito.
Cosa fare con Mr Briggs? Poteva
rimanere in camera per tutto il tempo,
dicendo che si sentiva male, e non
presentarsi a cena; e di nuovo quella
prepotenza…
«Mi trovo molto bene qui», disse
Scrap.
«Se avessi immaginato che ci
sareste stata…», iniziò lui.
«E
un
luogo
antico
e
meraviglioso», disse Scrap facendo
del suo meglio per sembrare
distaccata e inaccessibile, ma con
poca speranza di successo.
La cucina era a quel piano, e
passando
davanti
alla
porta
semiaperta,
furono
visti
dai
domestici, a cui bastò uno sguardo
per comunicarsi i loro pensieri,
espressi da loro attraverso suoni
disarticolati come «Ah» e «Oh», che
rappresentavano e racchiudevano il
loro apprezzamento dell'inevitabile,
la previsione dell'inevitabile, che
comprendevano
e
approvavano
appieno.
«State salendo?» chiese Briggs,
quando lei si fermò ai piedi della
scala.
«Sì».
«In che stanza andate? Nel salone
o nel salottino giallo?»
«In camera mia».
Quindi non poteva salire con lei,
ma solo aspettare che uscisse di
nuovo.
Voleva chiederle quale fosse la
sua camera - trepidava a sentirle dire
che una stanza di casa sua le
apparteneva
per
potersela
immaginare lì. Voleva sapere se per
qualche felice coincidenza fosse
proprio la camera da sempre
appartenuta a lui, così da quel
momento sarebbe stata piena del suo
incanto; ma non osava. L'avrebbe
scoperto in seguito da qualcun altro,
da Francesca, o qualcun altro.
«Quindi, non vi vedrò fino a
cena?»
«La cena è alle otto», fu la
risposta evasiva di Scrap mentre
saliva.
La guardò mentre saliva.
Quando passò davanti alla
Madonna, il ritratto di Rose
Arbuthnot, l'immagine dagli occhi
scuri che gli era sembrata così dolce
sembrò impallidire, e raggrinzirsi fino
a scomparire…
Scrap arrivò alla curva delle
scale, e il sole che tramontava entrò
per un attimo attraverso la finestra a
occidente, illuminandole il volto in
tutto il suo splendore.
Poi scomparve e anche il sole se
ne andò, e le scale furono buie e
vuote.
Lui rimase in ascolto finché non
udì più i suoi passi, cercando di
capire dalla porta che sbatteva in
quale stanza fosse entrata, poi tornò a
vagare senza meta nell'atrio e si
ritrovò nel giardino superiore. Scrap
lo vide dalla finestra. Vide Lotty e
Rose
sedute
all'estremità
del
parapetto, dove avrebbe voluto
trovarsi lei, e vide Mr Wilkins
attaccare bottone a Briggs e
raccontargli la storia dell'oleandro al
centro del giardino.
Scrap trovò carino da parte di
Briggs ascoltare con tanta pazienza,
visto che si trattava del suo oleandro e
della storia di suo padre. Dai gesti di
Mr Wilkins capì che gli raccontava
proprio quella storia lì. Domenico
l'aveva raccontata a lei appena era
arrivata, e poi a Mrs Fisher, che
l'aveva riferita a Mr Wilkins. Mrs
Fisher la teneva in gran conto e ne
parlava spesso: narrava di un bastone
da passeggio di legno di ciliegio, che
il padre di Briggs aveva conficcato nel
terreno proprio in quel punto dicendo
al padre di Domenico, che allora era
il giardiniere: «Qui metteremo un
oleandro». Aveva lasciato il bastone
nel terreno per rammentarlo al padre
di Domenico, e subito - quanto tempo
dopo nessuno lo ricordava - il bastone
cominciò a germogliare, ed era un
oleandro.
Ed ecco il povero Mr Briggs lì in
piedi che ascoltava pazientemente
una storia che senz'altro conosceva
sin dall'infanzia.
Probabilmente stava pensando ad
altro; ed era quello che lei temeva.
Che sventura, che tremenda sventura,
la determinazione che s'impossessa
delle
persone,
spingendole
a
impadronirsi e a opprimerne altre! Se
solo si fosse potuto convincerle a
starsene per i fatti loro! Perché Mr
Briggs non poteva essere più simile a
Lotty, che non voleva mai niente da
nessuno, ma era autosufficiente e
rispettava l'integrità degli altri? Era un
piacere stare con Lotty, con lei ci si
sentiva liberi, e tuttavia protetti.
Anche Mr Briggs sembrava gentile,
pensò che le sarebbe piaciuto se solo
non si fosse innamorato di lei. Scrap
si sentì malinconica. Eccola qui,
chiusa in quella camera soffocante per
essere stata tutto il pomeriggio
inondata di sole, invece di trovarsi
fuori in giardino al fresco, e tutto a
causa di Mr Briggs.
Che prepotenza intollerabile,
pensò, infiammandosi. Non l'avrebbe
sopportata,
sarebbe
uscita
ugualmente; sarbbe corsa giù per le
scale mentre Mr Wilkins - quell'uomo
era davvero un tesoro - intratteneva
Mr
Briggs
raccontandogli
dell'oleandro e sarebbe uscita di casa
dalla porta principale per nascondersi
all'ombra del sentiero a zigzag. Lì
nessuno avrebbe potuto vederla, A
nessuno sarebbe venuto in mente di
cercarla in quel posto.
Prese uno scialle, perché pensava
di non rientrare per un bel po', forse
neppure per cena - era colpa di Mr
Briggs se rimaneva affamata e senza
cena - e lanciando un'altra occhiata
dalla finestra per vedere se lui
continuava a restare inoffensivo,
sgusciò fuori e andò a rifugiarsi tra gli
alberi del sentiero a zigzag, e là
sedette su una di quelle panchine
poste a ogni curva per confortare chi
rimaneva senza fiato durante la salita.
Ah, com'era piacevole, pensò
Scrap con un sospiro di sollievo.
Com'era fresco, e che buon profumo
c'era! Vedeva l'acqua tranquilla del
porticciolo attraverso i tronchi dei
pini, e le luci accendersi nelle case
sull'altro lato, e tutt'intorno a lei il
verde dell'imbrunire era spruzzato dal
rosa dei gladioli nell'erba e dal bianco
dei mucchi di margherite.
Ah, che bello! Così quieto. Non
si muoveva nulla, non una foglia, né
un gambo. L'unico rumore era un
cane che abbaiava lontano, da
qualche parte sulle colline, oppure la
porta del ristorantino sulla piazza
sottostante che si apriva lasciando
uscire un brusio di voci che si
spegneva immediatamente appena la
porta si richiudeva.
Tirò un profondo sospiro di
piacere. Ah, questo era proprio…
Il suo sospiro si interruppe a
metà. Cosa c'era?
Si chinò in avanti per ascoltare,
col corpo teso.
Rumore di passi. Sul sentiero a
zigzag. Forse Briggs, che l'avrebbe
scoperta.
Doveva scappare?
No, i passi salivano anziché
scendere. Qualcuno del villaggio.
Forse Angelo, con le provviste.
Si rilassò di nuovo. Ma i passi
non erano quelli di Angelo, quel
giovane svelto e agile; erano lenti e
misurati, e continuavano a fermarsi.
«Qualcuno che non è abituato
alle colline», pensò Scrap.
Non le venne in mente di tornare
a casa. Niente al mondo la
spaventava, tranne l'amore. Briganti
o assassini non incutevano timore
alla figlia dei Droitwich; avrebbe
avuto paura di loro solo nel momento
in cui avessero smesso di essere
briganti e assassini per cominciare a
corteggiarla.
Un attimo dopo i passi fecero la
curva del tratto di sentiero dove era
lei e si fermarono.
«Prende fiato», pensò Scrap
senza guardare.
Poi siccome lui - dai passi capì
che appartenevano a un uomo - non
si muoveva, si voltò e vide con
stupore una persona che negli ultimi
tempi
aveva
frequentato
assiduamente a Londra, il famoso
scrittore di divertenti biografie, Mr
Ferdinand Arundel.
Lo fissò.
Sebbene nessun
espediente usato per seguirla poteva
più sorprenderla, rimase tuttavia
sorpresa vedendo che egli aveva
scoperto dove si trovava. Sua madre
aveva promesso di non dirlo a
nessuno.
«Voi? - disse, sentendosi tradita. Qui?»
Le si avvicinò e si tolse il
cappello. La fronte sotto il cappello
era imperlata del sudore di chi non è
abituato a camminare in salita.
Sembrava si vergognasse e aveva uno
sguardo supplichevole, come un cane
fedele ma colpevole.
«Dovete perdonarmi, - disse. -
Lady Droitwich mi ha detto dove
eravate, e poiché passavo di qua per
caso diretto a Roma, ho pensato di
scendere a Mezzago per farvi un
saluto e vedere come stavate».
«Ma… mia madre non vi ha
detto che stavo facendo la cura del
sonno?»
«Sì, me l'ha detto. Ecco perché
non ho voluto disturbarvi nelle prime
ore del giorno. Ho pensato che
probabilmente avreste dormito tutto il
giorno e vi sareste svegliata verso
quest'ora per mangiare».
«Ma…»
«Lo so: non ho giustificazioni.
Ma non sono riuscito a trattenermi».
«Ecco, - pensò Scrap, - il risultato
delle insistenze della mamma di
invitare degli scrittori a pranzo, e del
mio mostrarmi più affabile di quanto
non sia».
Era stata affabile con Ferdinand
Arundel; le piaceva, o meglio, non le
dispiaceva. Sembrava un uomo
gioviale e semplice, e aveva lo
sguardo di un cane affettuoso. Inoltre,
benché fosse evidente che nutriva
dell'ammirazione per lei, a Londra
non l'aveva mai tormentata, ma si era
comportato come una persona
cordiale e innocua, che con la sua
conversazione piacevole contribuiva
a rendere i pranzi più gradevoli. Ora
sembrava che la tormentasse anche
lui. Osare addirittura seguirla fino
qui, che assurdità! Nessun altro
l'aveva fatto. Forse sua madre gli
aveva dato l'indirizzo perché lo
riteneva assolutamente innocuo, e
pensava che lui poteva esserle utile
per accompagnarla a casa.
Bene, comunque fosse, non
l'avrebbe senz'altro infastidita quanto
un giovane dinamico come Mr
Briggs. Sentiva che Mr Briggs,
infatuato, sarebbe stato imprudente,
non si sarebbe fermato di fronte a
nulla, e avrebbe perso la testa
pubblicamente. Immaginava Mr
Briggs con scale di corda e serenate,
tutta la notte sotto la sua finestra…
per quanto fosse difficile e poco
pratico. Mr Arundel non era tipo da
compiere gesti sconsiderati. Era
vissuto troppo a lungo e troppo bene.
Di certo non sapeva cantare, e
comunque non avrebbe voluto farlo.
Doveva avere almeno quarant'anni.
Quanti manicaretti mangia un uomo
prima di arrivare a quarant'anni? E se
per tutti quegli anni invece di fare
ginnastica se ne sta seduto a scrivere
libri, acquisisce inevitabilmente lo
stesso fisico di Mr Arundel, un fisico
più adatto alla conversazione che
all'avventura.
Scrap, che alla vista di Briggs era
divenuta
malinconica,
vedendo
Arundel divenne meditativa. Eccolo
lì. Non avrebbe potuto mandarlo via
prima di cena. Doveva nutrirlo.
Stando così le cose, conveniva
approfittarne al meglio, e farlo con
grazia, come d'altronde non poteva
evitare. Inoltre, lui l'avrebbe protetta
temporaneamente da Mr Briggs. Se
non altro conosceva Ferdinand
Arundel, e poteva avere da lui notizie
di sua madre e dei suoi amici, e a
cena quella conversazione avrebbe
costituito una barriera difensiva tra lei
e gli approcci dell'altro. E rimaneva
per una cena soltanto, mica poteva
mangiarla!
Decise quindi di essere cordiale.
«La cena, - disse, ignorando la sua
ultima battuta, - è alle otto, venite
anche voi. E adesso sedetevi qui al
fresco e ditemi come stanno tutti».
«Posso davvero cenare con voi?
In questi abiti da viaggio?» disse,
asciugandosi la fronte prima di
sedersi accanto a lei.
Era troppo bella per essere vera,
pensò. Solo guardarla per un'ora e
sentire la sua voce lo ripagava del suo
viaggio e dei suoi timori.
«Certo! Immagino che abbiate
lasciato la carrozza in paese, e che
proseguiate da Mezzago con il treno
della notte».
«Oppure starò in albergo a
Mezzago e proseguirò domani. Ma
ditemi di voi, - disse, guardando il
suo adorabile profilo. - Londra era
esageratamente vuota e noiosa. Lady
Droitwich mi ha detto che eravate qui
con persone che non conosceva.
Spero che siano state gentili con voi.
Be'… dal vostro aspetto si direbbe che
la cura ha avuto il suo effetto».
«Sono tutte molto gentili, - disse
Scrap. - Le ho trovate attraverso un
annuncio».
«Un annuncio?»
«Penso che sia un buon sistema
per trovare amici. Sono affezionata a
una di loro come da anni non lo ero
con nessuno».
«Davvero? Chi è?»
«Dovrete
essere
voi
a
indovinarlo, quando le vedrete.
Raccontatemi di mia madre: Quando
l'avete vista l'ultima volta? Abbiamo
deciso di non scriverci a meno che
non ci fosse stato qualcosa di
particolare. Volevo trascorrere un
mese assolutamente isolata».
«E invece io sono venuto a
disturbarvi. Non posso dirvi quanto
mi vergogno… sia per averlo fatto sia
per non essere riuscito a evitarlo».
«Oh, ma… - disse subito Scrap,
perché non avrebbe potuto scegliere
un giorno migliore per arrivare,
quando lassù in agguato e pronto a
darle la caccia c'era l'innamorato
Briggs. - Sono davvero contenta di
vedervi. Raccontatemi di mia
madre».
Scrap voleva sapere così tante
cose di sua madre che Arundel
dovette inventarsele. Avrebbe parlato
di qualsiasi cosa le facesse piacere,
pur di stare un po' con lei, pur di
vederla e di ascoltarla, ma in verità
sapeva molto poco dei Droitwich e
dei loro amici, al di là degli incontri
in occasione di quelle importanti
cerimonie dove anche i letterati erano
presenti, e oltre ad averli divertiti a
pranzi e cene, sapeva assai poco di
loro. Per loro era sempre rimasto Mr
Arundel; nessuno lo chiamava
Ferdinand; ed egli conosceva solo gli
stessi pettegolezzi che apparivano sui
giornali della sera e che circolavano
tra i frequentatori dei club. Tuttavia,
era bravo a inventare; e appena esaurì
le notizie di prima mano, pur di
rispondere alle sue domande e
trattenerla lì con lui, cominciò a
inventare. Era facile collegare alcune
cose divertenti che aveva in mente ad
altre persone, facendo finta che le
riguardassero. Scrap, che nutriva per i
suoi genitori quel tipo di affetto che si
fa più forte con la lontananza, era
avida di notizie e più lui raccontava
più lei mostrava interesse.
All'inizio erano notizie banali.
Aveva incontrato sua madre qui,
l'aveva vista là. Stava molto bene e
diceva questo e quello. Ma presto le
cose che aveva detto Lady Droitwich
assunsero una qualità insolita:
divennero divertenti.
«La mamma ha detto quello?» lo
interruppe Scrap, sorpresa.
E subito Lady Droitwich iniziò a
fare cose divertenti, oltre che a dirle.
«E stata davvero la mamma?»
domandò Scrap con gli occhi
sgranati.
Arundel
si
appassionò
nell'impresa.
Attribuì
a
Lady
Droitwich alcune delle idee più
divertenti che gli erano venute in
mente negli ultimi tempi, e anche
altre cose buffe e piacevoli che erano
state fatte, o così aveva immaginato,
perché gli veniva in mente di tutto.
Scrap sgranò ancor di più gli
occhi per lo stupore e l'orgoglio
affettuoso che nutriva per la madre.
Ma che madre buffa, e fantasiosa!
Che simpatica vecchia signora.
Aveva davvero fatto quello? Com'era
adorabile! E aveva davvero detto
così? E incredibile che le sia venuto in
mente… E che espressione aveva
fatto Lloyd George?
Lei continuò a ridere, e le venne
una gran voglia di abbracciare sua
madre; intanto il tempo volava, iniziò
a imbrunire e divenne quasi buio,
mentre Mr Arundel seguitava a
intrattenerla; ed erano quasi le otto
meno
un
quarto
quando
improvvisamente si ricordò della
cena.
«Oh, santo cielo!» esclamò
saltando in piedi.
«Sì, è tardi», disse Arundel.
«Andrò avanti velocemente e
manderò
una
domestica
ad
attendervi. Devo correre, o non
riuscirò a essere pronta in tempo…»
E sparì su per il sentiero con
l'agilità di una giovane, agile
cerbiatta…
Arundel la seguì. Non voleva
arrivare troppo accaldato, così
dovette procedere lentamente. Per
fortuna non era lontano dalla cima, e
Francesca scese sotto la pergola per
guidarlo in casa, e dopo avergli
mostrato dove lavarsi, lo fece
accomodare nel salone vuoto affinchè
si riposasse accanto al fuoco
crepitante.
Lui si spostò il più lontano
possibile dal fuoco, e si mise in uno
di quei profondi vani delle finestre a
guardare le luci lontane di Mezzago.
La porta del salone era aperta, e la
casa era immersa nella quiete che
precede la cena, quando gli abitanti
sono tutti chiusi in camera a vestirsi.
Briggs nella sua stanza scartava una
dopo l'altra le sue cravatte, tutte
sciupate; Scrap nella sua si infilava
rapidamente un abito nero con la
vaga idea che il nero avrebbe
impedito a Mr Briggs di vederla bene;
Mrs Fisher fermava lo scialle di
pizzo, che ogni sera trasformava il
suo abito da giorno in un abito
elegante, con la spilla che Ruskin le
aveva regalato per il suo matrimonio,
formata da due piccoli gigli di perle
legati insieme da un nastro di smalto
blu con le parole Esto perpetua scritte
a lettere d'oro; Mr Wilkins, seduto sul
bordo del letto, spazzolava i capelli
della moglie - a tal punto era giunta la
sua affettuosità in questa terza
settimana - mentre lei, a sua volta,
seduta sulla sedia di fronte a lui, gli
metteva i gemelli in una camicia
pulita; e Rose, già pronta, sedeva alla
finestra ripensando alla sua giornata.
Rose era ben consapevole di ciò
che era accaduto a Mr Briggs; e anche
non lo fosse stata, Lotty l'aveva subito
chiarito con i suoi commenti espliciti
quando, dopo il té, lei e Rose si erano
sedute sul muretto. Lotty era felice
che a San Salvatore entrasse altro
amore,
sebbene
non
fosse
contraccambiato, e disse che appena
fosse arrivato il marito di Rose,
adesso che anche Mrs Fisher si era
finalmente sciolta, - Rose protestò per
questa espressione, e Lotty replicò
che era di Keats, - era sicura che non
ci sarebbe stato un altro posto al
mondo più traboccante di felicità di
San Salvatore.
«Tuo marito, - disse Lotty,
dondolando i piedi, - potrebbe
arrivare da un momento all'altro,
forse domani sera se parte subito; e i
nostri ultimi giorni qui, prima di
tornare a casa rinvigoriti per la vita,
saranno splendidi. Credo che nessuno
di noi sarà più lo stesso, e non sarei
affatto sorpresa se alla fine Caroline si
innamorasse di quel giovane Briggs.
E nell'aria. Qui ci si deve
innamorare».
Rose
sedeva
alla
finestra
pensando a queste cose. L'ottimismo
di Lotty… certo, Mr Wilkins lo
giustificava. Senza contare Mrs
Fisher! Se solo fosse stato vero anche
per Frederick! Perché se Rose, tra
l'ora di pranzo e il té aveva smesso di
pensare
a
Frederick,
adesso,
nell'intervallo tra il té e la cena, lo
pensava più intensamente che mai.
Quell'intermezzo
di
ammirazione era stato buffo e
delizioso, ma naturalmente non
poteva continuare, una volta che
Caroline era apparsa. Rose sapeva
stare al suo posto, vedeva bene come
chiunque altro la bellezza rara e
singolare di Lady Caroline. Come
l'avevano fatta sentire bene, tuttavia,
quella stima e quell'ammirazione,
l'avevano convinta di meritarle
davvero, di essere diversa e brillante.
Era come se avessero portato in vita
capacità inaspettate. Sapeva con
certezza che tra l'ora di pranzo e il té
era stata una donna divertente,
addirittura carina; era certa di esere
stata carina, l'aveva visto negli occhi
di Mr Briggs come in uno specchio.
Per un attimo, pensò, era stata come
una mosca in letargo che torna a
ronzare gaiamente intorno al bagliore
del fuoco in una stanza d'inverno. Il
solo ricordo la faceva ancora fremere
e vibrare. Come era stato divertente
avere un ammiratore, anche se solo
per quell'attimo. Non c'era da
meravigliarsi che alla gente piacesse
avere degli ammiratori. Chissà come,
ti riportano alla vita.
Benché fosse tutto finito, lei ne
era ancora animata e si sentiva più
allegra e ottimista, più come si
doveva sentire sempre Lotty, meglio
di quanto non si fosse mai sentita da
quando era ragazza. Si vestì con cura,
pur sapendo che Mr Briggs non
l'avrebbe più notata, e mentre si
preparava osservò con piacere quanto
potesse farsi bella; quasi arrivò a
infilarsi una camelia cremisi tra i
capelli, in basso, dietro l'orecchio. La
tenne per un minuto: era così
attraente
da
sembrare
quasi
immorale, con quello stesso colore
della bocca, poi se la tolse con un
sorriso e sospirando la mise nel posto
adatto ai fiori, cioè nell'acqua. Non
doveva essere sciocca, pensò. Doveva
pensare ai poveri, presto sarebbe
tornata tra loro, e allora che effetto
avrebbe fatto una camelia dietro
l'orecchio? Semplicemente assurdo.
Ma su una cosa era decisa: la
prima cosa che avrebbe fatto appena
arrivata a casa sarebbe stato chiarire
la questione con Frederick. Ecco
quello che avrebbe fatto, se lui non
fosse venuto a San Salvatore, la prima
cosa in assoluto. Avrebbe dovuto
farlo molto tempo prima ma, quando
ci aveva provato, era sempre stata
ostacolata dall'amore che ancora
provava per lui, e dal fatto che temeva
di aprire nuove ferite nel suo cuore
tenero e infelice. Ma ora lui poteva
ferirla quanto voleva, quanto poteva,
lei avrebbe chiarito la questione con
lui a tutti i costi. Lui non l'aveva mai
ferita di proposito; sapeva che non
era mai stato nelle sue intenzioni, che
spesso non si rendeva conto di farlo:
Rose pensava che per essere uno
scrittore, Frederick non sembrava
avere molta immaginazione. In ogni
caso, disse a se stessa, alzandosi dalla
toeletta, le cose non potevano andare
avanti così: lei avrebbe risolto la
questione, ne aveva abbastanza di
questa vita da separati, di questa
solitudine raggelante. Perché non
poteva essere felice anche lei? Perché
diavolo - quest'espressione forte ben si
addiceva al sentimento di ribellione
che l'agitava - non poteva essere
amata anche lei e avere il diritto di
amare?
Guardò la sua piccola sveglia.
Ancora dieci minuti prima di cena.
Stanca di starsene in camera sua
pensò di andare sui merli di Mrs
Fisher, a quell'ora di certo deserti, e
di guardare la luna spuntare dal mare.
Entrò nell'atrio deserto del piano
superiore con questa intenzione, ma
passando fu attratta dal fuoco del
salone che brillava attraverso la porta
aperta.
Come era allegro! Il fuoco
trasformava la stanza. Una stanza
buia e brutta di giorno, appariva
trasformata proprio come lei era stata
trasformata dal calore di… no, non
doveva essere sciocca, doveva
pensare ai poveri; ogni volta questo
pensiero la riportava alla sobrietà.
Sbirciò dentro. Un caminetto
acceso e i fiori, e fuori la notte che
sembrava aver appeso una tenda blu
alle profonde feritoie. Che bello! Che
posto incantevole era San Salvatore.
E quel magnifico lillà sul tavolo -
doveva entrare per affondarci il
volto…
Ma non arrivò mai al lillà. Fece
un passo verso di esso, e poi rimase
immobile, perché aveva visto una
persona nell'angolo più lontano, che
guardava dalla finestra, era Frederick.
Tutto il sangue nel corpo di Rose
le affluì al cuore, fu come se il suo
battito si fermasse.
Frederick era venuto.
Rimase immobile. Lui non
l'aveva sentita, non si era voltato.
Rimase ferma a guardarlo. Il
miracolo era accaduto, ed egli era
qui.
Rimase ferma trattenendo il
respiro. Dunque aveva bisogno di lei,
perché era venuto immediatamente.
Dunque anche lui doveva aver
pensato, desiderato…
Il suo cuore, che sembrava aver
smesso di battere, ora la stava
soffocando, talmente accelerato era il
suo battito. Allora Frederick l'amava,
doveva amarla, altrimenti perché
sarebbe venuto? Qualcosa, forse la
sua assenza, l'aveva spinto verso di
lei, desideroso… e adesso sarebbe
stato facile, molto facile chiarire tutto
con lui, come aveva deciso di fare.
I suoi pensieri si erano bloccati,
la sua mente vacillò. Non riusciva a
pensare. Poteva solo vedere e sentire.
Non sapeva come fosse successo, era
un miracolo. Dio poteva compiere i
miracoli, e aveva fatto questo. Dio
poteva… Dio poteva… poteva…
La mente vacillò di nuovo, e si
fermò.
«Frederick…» tentò di dire; ma
non le uscì alcun suono, o comunque
fu coperto dal crepitare del fuoco.
Doveva avvicinarsi. Iniziò ad
avanzare timidamente verso di lui…
piano, piano.
Lui non si mosse. Non aveva
udito.
Lei si avvicinò sempre più, il
fuoco crepitava e lui non sentiva
niente…
Si fermò un istante, incapace di
respirare. Aveva paura. E se… se
lui… oh, ma era venuto, era qui!
Avanzò ancora, vicinissimo a
lui, e il cuore le batteva così forte che
pensò lui potesse sentirlo. Com'era
possibile che non sentisse… che non
sapesse…
«Frederick», sussurrò, quasi
incapace persino di sussurrare,
soffocata dal battito del suo cuore.
Egli si voltò.
«Rose!» esclamò, fissandola con
sguardo attonito.
Ma lei non vide il suo sguardo,
subito lo abbracciò, mentre con la
guancia contro la sua mormorava,
appoggiando le labbra contro il suo
orecchio,
«Sapevo
che saresti
venuto… nel più profondo del cuore,
ho sempre, sempre saputo che saresti
venuto…»
Frederick non era il tipo che
avrebbe ferito gli altri, se poteva
evitarlo; inoltre era assolutamente
sconcertato. Non solo sua moglie era
lì - proprio lì, tra tutti i posti al
mondo - ma si stava stringendo a lui
come non faceva da anni, e lo
accoglieva
mormorando
parole
d'amore. Si aspettava il suo arrivo,
per accoglierlo così. Per quanto strana
fosse la situazione quella era l'unica
cosa chiara: quella, la morbidezza
della sua guancia contro la propria e
il suo dolce profumo, da lungo tempo
dimenticato.
Frederick era sconcertato. Ma
non essendo il tipo che avrebbe ferito
il prossimo se poteva evitarlo, la
abbracciò anche lui e poi la baciò; e la
baciò subito quasi con la stessa
tenerezza con la quale ella baciava
lui, e poi altrettanto teneramente, e
infine ancora più teneramente,
proprio come se non avesse mai
smesso di farlo.
Era sconcertato, ma sapeva
ancora
baciare.
Sembrava
stranamente naturale farlo. Si sentiva
come se avesse ancora trent'anni
invece di quaranta, e Rose fosse la
sua Rose ventenne, la Rose che aveva
così tanto adorato prima che
cominciasse a valutare ciò che lui
faceva con la sua idea del giusto, e la
bilancia non gli era stata favorevole, e
lei era diventata strana, fredda e
sempre più indignata, e oh, così
lagnosa. In quei giorni lui non poteva
avvicinarsi a lei che non voleva, non
poteva
capire.
Continuava
a
rapportare qualsiasi cosa a ciò che
definiva gli occhi di Dio: agli occhi di
Dio ciò non poteva essere giusto,
quindi non era giusto.
Il suo volto infelice - quali che
fossero i suoi principi, certamente
non la rendevano felice, - alla fine il
suo piccolo volto infelice, contratto
nello sforzo di essere paziente, aveva
oltrepassato i limiti della sua
sopportazione, e lui per non vederlo
più se ne era allontanato. Non
avrebbe dovuto essere la figlia di un
pastore anglicano; lei non era adatta a
reggere una tale educazione.
Che cosa era accaduto? Perché lei
era lì, perché era di nuovo la sua
Rose? Era tutto al di là della sua
comprensione, e nel frattempo, solo
questo gli era chiaro, lui sapeva
ancora baciare. Infatti non riusciva a
smettere, e adesso era lui che iniziava
a sussurrare, a dire parole d'amore
all'orecchio di lei nascosto dai capelli
che avevano un profumo dolce e lo
solleticavano, proprio come in
passato.
Mentre la teneva stretta al cuore e
sentiva le sue braccia morbide intorno
al collo, egli avvertì una deliziosa
sensazione di… all'inizio non capì
cosa fosse questo calore delicato e
soffuso, poi lo riconobbe come un
senso di sicurezza. Sì, sicurezza. Ora
non doveva vergognarsi del suo
aspetto, non doveva fare battute su di
esso in modo da prevenire quelle degli
altri dimostrando che non gli
importava; non doveva vergognarsi
di sudare quando camminava in
salita o di tormentarsi pensando
all'impressione che faceva sulle donne
giovani e belle, questa sua assurda
incapacità di stare lontano da loro era
tipica della mezza età. A Rose queste
cose non importavano. Con lei si
sentiva al sicuro. Per lei lui era il suo
innamorato, come un tempo; e non
avrebbe mai notato né le sarebbe
importato di quei tristi segni che il
passare degli anni aveva lasciato su di
lui e che col tempo sarebbero
aumentati.
Frederick, quindi, continuò a
baciare sua moglie con foga sempre
maggiore e piacere crescente, e il solo
fatto di stringerla fra le braccia gli fece
dimenticare qualsiasi altra cosa.
Come poteva, per esempio, ricordare
o pensare a Lady Caroline, per
nominare solo una delle difficoltà
della sua situazione, quando la sua
dolce
moglie,
miracolosamente
ritrovata, era qui con la sua guancia
accanto alla sua, a sussurrargli quanto
lo amava, quanto lui le era mancato,
con le parole più affettuose e
romantiche? Per un breve istante,
perché anche nei momenti di
passione ci sono brevi istanti di
lucidità, riconobbe l'immenso potere
della donna presente rispetto a quello
della donna, per quanto bella, che non
c'è, ma così soltanto ricordava Scrap;
nient'altro. Ella era come un sogno
che svanisce prima dell'alba.
«Quando sei partito?» mormorò
Rose, la sua bocca sul suo orecchio.
Non poteva lasciarlo andare, neppure
per parlare.
«Ieri
mattina»,
mormorò
Frederick, tenendola vicino. Neppure
lui poteva lasciarla andare.
«Oh… allora subito!», mormorò
Rose.
Queste parole erano enigmatiche,
ma Frederick disse: «Sì, subito», e la
baciò sul collo.
«Com'è stata veloce la mia
lettera», mormorò Rose, tenendo gli
occhi chiusi per la felicità.
«Davvero», disse Frederick, che
aveva voglia anche lui di chiudere gli
occhi.
Quindi c'era stata una lettera.
Presto, indubbiamente, avrebbe fatto
luce su ogni mistero, ma intanto era
stranamente dolce e commovente
tenere di nuovo la sua Rose stretta al
cuore, dopo tanti anni, che non si
preoccupava di indovinare niente.
Oh, in questi anni era stato felice,
perché non era da lui essere infelice;
per di più, quanti interessi gli aveva
offerto la vita, quanti amici, successi,
quante donne sempre pronte ad
aiutarlo a cancellare il pensiero di
quella moglie meschina, cambiata e
pietrificata, che a casa non voleva
spendere i suoi soldi, era terrorizzata
dai suoi libri, si allontanava sempre
più da lui, e ogni volta che lui cercava
di spiegarsi gli chiedeva con paziente
ostinazione come pensava che
apparissero agli occhi di Dio le cose
che lui scriveva e grazie alle quali
viveva. «Nessuno, - disse una volta, dovrebbe mai scrivere un libro che a
Dio non piacerebbe leggere. Su questo
bisogna giudicare, Frederick». Lui
aveva
riso
istericamente,
era
scoppiato in una risata forte e acuta
ed era corso fuori casa, lontano da
quel suo piccolo volto serio - via da
quel suo piccolo volto, serio e
patetico…
E questa stessa Rose gli riportava
la sua gioventù, il periodo migliore
della sua vita, pieno di sogni e di
speranze. Quanto avevano sognato,
lui e lei insieme, prima che egli
s'imbattesse in quella vena di
memorie; quanti progetti avevano
fatto, quanto avevano riso e come si
erano amati. Per un po' erano vissuti
davvero in un mondo di poesia.
Dopo i giorni felici, c'erano state le
notti felici, notti di felicità assoluta,
con lei che dormiva contro il suo
petto, e ancora lì quando lui si
svegliava al mattino, perché quasi
non si muovevano nel loro sonno
profondo e felice. Era meraviglioso
rivivere tutto questo al solo contatto
con lei, sentendo il suo viso contro il
suo… meraviglioso che ella potesse
restituirgli la sua gioventù.
«Tesoro… tesoro mio», egli
mormorò, sopraffatto dai ricordi,
stringendosi a lei.
«Mio adorato», ella sospirò, che
felicità… felicità assoluta…
Briggs, arrivando alcuni minuti
prima che il gong suonasse, nella
speranza che Lady Caroline fosse lì,
rimase assai sorpreso. Aveva pensato
che Rose Arbuthnot fosse vedova, e
ancora lo pensava; pertanto rimase
assai sorpreso.
«Che mi venga un colpo!» pensò
Briggs, chiaro e distinto, perché ciò
che vide vicino alla finestra lo fece
così trasalire che per un momento fu
distolto dalle sue riflessioni confuse.
E avvampando disse, a voce alta:
«Oh voglio dire… chiedo scusa», e
rimase lì esitante, chiedendosi se
avesse dovuto tornare in camera sua.
Se non avesse detto niente loro
non avrebbero notato che era lì, ma
quando chiese scusa Rose si voltò e lo
guardò come si guarda qualcuno
cercando di ricordare chi è, e anche
Frederick lo guardò, senza vederlo
affatto.
Non sembravano infastiditi,
pensò
Briggs,
e
neppure
minimamente impacciati. Lui non
poteva essere suo fratello; nessun
fratello avrebbe potuto provocare
quell'espressione nel volto di una
donna. Era davvero imbarazzante.
Loro non erano infastiditi, ma lui sì.
Lo sconvolgeva sorprendere la sua
Madonna che si laciava andare.
«Questo è uno dei tuoi amici?»
dopo un istante Frederick riuscì a
chiedere a Rose, che non fece alcun
tentativo per presentargli il giovane
imbarazzato di fronte a loro ma
continuò a fissarlo con una sorta di
astratta, radiosa benevolenza.
«E Mr Briggs, - disse Rose,
riconoscendolo. - Questo è mio
marito», aggiunse.
E Briggs, stringendogli la mano,
ebbe appena il tempo di pensare
quanto fosse strano per una vedova
avere un marito, prima che suonasse
il gong, che Lady Caroline
comparisse da un momento all'altro,
e lui non riuscisse più a pensare, ma
solo a diventare un oggetto
inanimato, con gli occhi fissi sulla
porta.
Subito, come in una processione
che gli sembrò infinita, da quella
porta entrarono prima Mrs Fisher,
maestosa nel suo scialle di pizzo da
sera con la spilla, che quando lo vide
si sciolse in benevoli sorrisi, per
irrigidirsi immediatamente scorgendo
un estraneo; poi, Mr Wilkins, più
pulito, ordinato, ben vestito e
pettinato che mai; quindi Mrs
Wilkins, che entrando si allacciava
frettolosamente qualcosa e poi nessun
altro.
Lady Caroline era in ritardo.
Dov'era? Aveva sentito il gong? Non
avrebbero dovuto suonarlo di nuovo?
E se non fosse venuta a cena…
Briggs si sentì raggelare..
«Presentami», disse Frederick
mentre Mrs Fisher entrava, toccando
il gomito di Rose.
«Mio marito», disse Rose
tenendolo per mano, con uno sguardo
intenso.
«Questo, - pensò Mrs Fisher, dovrebbe essere l'ultimo dei mariti, a
meno che Lady Caroline non ne tiri
fuori uno dalla manica».
Ma lo salutò con gentilezza,
perché lui sembrava proprio un
marito, non come quegli uomini che
vanno in giro all'estero fingendo di
essere i mariti quando non lo sono, e
disse che immaginava fosse venuto
per accompagnare sua moglie a casa
alla fine del mese, e osservò che ora la
casa sarebbe stata al completo. «Così,
- aggiunse sorridendo a Briggs, - alla
fine avremo speso bene il nostro
denaro!»
Briggs sorrise meccanicamente,
perché riusciva appena ad accorgersi
che qualcuno stava scherzando con
lui, ma non l'aveva sentita e non la
guardò. Non solo i suoi occhi erano
fissi sulla porta ma tutto il suo corpo
era concentrato su di essa.
Mr Wilkins, presentato a sua
volta, fu molto gentile e si rivolse a
Frederick chiamandolo «signore».
«Bene, signore, - disse Mr
Wilkins cordialmente, - eccoci qua,
eccoci qua…», e dopo avergli stretto
la mano con una complicità che non
fu ricambiata solo perché Arbuthnot
non sapeva ancora i guai che lo
aspettavano, lo guardò dritto negli
occhi, come si addice a un uomo, e
fece in modo che il suo sguardo gli
comunicasse il più chiaramente
possibile che in lui avrebbe trovato
sostegno, integrità e affidabilità:
insomma, un amico in caso di
bisogno. Mrs Arbuthnot era molto
colorita, notò Mr Wilkins, prima
d'ora non l'aveva mai vista così.
«Bene, io sono quel che fa per loro»,
pensò.
Il saluto di Lotty fu molto
espansivo: gli porse entrambe le
mani. «Non te l'avevo forse detto?»
rise rivolta a Rose girandosi mentre
Frederick le stringeva le mani.
«Che cosa le avete detto?» chiese
Frederick, tanto per dire qualcosa.
Era disorientato dal modo in cui era
stato accolto. Evidentemente tutti,
non solo Rose, lo aspettavano.
La giovane donna piacente e dai
capelli fulvi non rispose alla sua
domanda,
ma
sembrò
straordinariamente
contenta
di
vederlo. Perché mai era così
contenta?
«Che posto delizioso!» disse
Frederick confuso, facendo la prima
osservazione che gli veniva in mente.
«E un nido d'amore», disse la
giovane con convinzione; il che lo
disorientò più che mai.
E la sua confusione aumentò
ulteriormente quando sentì le parole
che seguirono, pronunciate dalla
vecchia signora, che disse: «Non
aspettiamo. Lady Caroline è sempre
in ritardo»… solo allora lui, sentendo
il suo nome, si ricordò di Lady
Caroline, il pensiero di lei lo confuse
ancora di più.
Entrò in sala da pranzo come se
fosse in un sogno.
Era venuto in questo luogo per
vedere Lady Caroline e glielo aveva
detto. Nella sua frivolezza le aveva
persino detto - era vero, quanto era
frivolo - che non era riuscito a
trattenersi dal venire. Lei non sapeva
che fosse sposato e credeva che si
chiamasse Arundel. Tutti a Londra lo
credevano. Lui l'aveva usato e si era
firmato con quel nome per così tanto
tempo che quasi anche lui pensava di
chiamarsi così. Nel breve tempo da
quando lei l'aveva lasciato sulla
panca, dove le aveva detto che era
venuto perché non era riuscito a farne
a meno, aveva trovato Rose, l'aveva
abbracciata appassionatamente ed era
stato ricambiato, e aveva dimenticato
Lady Caroline. Sarebbe stato un
colpo di fortuna straordinario se il
ritardo di Lady Caroline avesse
significato che era stanca o annoiata e
che non sarebbe venuta a cena. Allora
egli poteva… no, non poteva.
Divenne ancora più rosso del solito,
pur essendo già di per sé un uomo di
robusta costituzione e rubizzo, al
pensiero di una tale vigliaccheria. No,
non poteva andar via dopo cena,
prendere il treno e sparire a Roma;
no, a meno che… ecco, che Rose non
andasse con lui. Ma anche in quel
caso, sarebbe stata una fuga. No, non
poteva.
Quando furono in sala da pranzo
Mrs Fisher si mise a capotavola, era
forse la casa di Mrs Fisher? si chiese.
Non lo sapeva, non sapeva niente; e
Rose, che nei primi giorni, per sfidare
Mrs Fisher, aveva preso posto
all'altro capo del tavolo - dopo tutto,
guardando un tavolo, nessuno poteva
dire dove fosse la cima o il fondo guidò Frederick al posto accanto al
suo. Se soltanto avesse potuto essere
solo con Rose, egli pensò, solo con
Rose per altri cinque minuti, così da
poterle chiedere…
Ma forse non le avrebbe chiesto
niente, avrebbe continuato a baciarla.
Si guardò intorno. La giovane
donna fulva stava dicendo al giovane
di nome Briggs di sedersi accanto a
Mrs Fisher… allora la casa
apparteneva alla giovane fulva, non a
Mrs Fisher? Non lo sapeva, non
sapeva niente e quest'ultima si sedette
di fronte a lui, Frederick, e accanto
all'uomo arguto che aveva detto
«Eccoci qua», quando era evidente
che erano lì!
Di fianco a Frederick, e tra lui e
Briggs c'era una sedia vuota: quella di
Lady Caroline. Lady Caroline
ignorava la presenza di Rose nella
vita di Frederick tanto quanto Rose
ignorava quella di Lady Caroline.
Che cosa avrebbero pensato? Non lo
sapeva, non sapeva niente. Sì,
qualcosa sapeva, ed era che sua
moglie si era riconciliata con lui: di
colpo, miracolosamente, in modo
imprevisto e divino. Oltre a ciò non
sapeva niente. La situazione era tale,
che sentiva di non riuscire ad
affrontarla. Si sarebbe lasciato
condurre dalla sorte, poteva solo
andare alla deriva.
Frederick mangiò la sua minestra
in silenzio, mentre gli occhi, i grandi
occhi espressivi della giovane seduta
di fronte a lui lo fissavano, ed egli
sentiva che c'era in essi uno sguardo
sempre più interrogativo. Vedeva che
erano occhi molto intelligenti, belli e
grandi,
oltre
che
benevoli.
Probabilmente lei pensava che lui
avrebbe dovuto parlare, ma se avesse
saputo ogni cosa non l'avrebbe
pensato. Neppure Briggs parlava,
sembrava a disagio. Che cosa aveva?
Neppure Rose parlava, ma per lei era
naturale. Non era mai stata una
chiacchierona. Il suo volto aveva
un'espressione dolcissima. Quanto
sarebbe durata dopo l'ingresso di
Lady Caroline? Non lo sapeva, non
sapeva niente.
Ma il signore arguto alla sinistra
di Mrs Fisher parlava per tutti. Quel
tale avrebbe dovuto fare il pastore,
una voce come la sua era adatta a un
pulpito, in sei mesi gli avrebbe
fruttato una diocesi. Stava spiegando
a Briggs, che si agitava sulla sedia perché Briggs era così agitato? - che
doveva aver preso lo stesso treno di
Arbuthnot, e quando Briggs, che non
diceva niente, si dimenò con evidente
dissenso, decise di dimostrarglielo e
glielo provò con frasi lunghe e chiare.
«Chi è l'uomo con quella voce?»
chiese Frederick a Rose sottovoce; e
la giovane di fronte a lui, il cui udito
doveva essere fino come quello degli
animali selvatici, rispose: «E mio
marito».
«Allora stando alle regole, - disse
Frederick scherzosamente, facendosi
coraggio, - non dovreste essere seduta
accanto a lui».
«Ma io lo voglio. Mi piace sedere
accanto a lui, prima di venire qui non
mi piaceva».
Frederick non riuscì a trovare
niente da dire, così si limitò a
sorridere evasivamente.
«E questo posto, - disse lei
annuendo. - Aiuta a comprendere.
Non avete idea di quanto avrete
capito prima di andarvene».
«Ne sono sicuro, lo spero», disse
Frederick con entusiasmo sincero.
La minestra venne portata via e
fu servito il pesce: Briggs seduto
dall'altra parte della sedia vuota,
sembrava più a disagio che mai. Che
cosa aveva? Non gli piaceva il pesce?
Frederick si chiese che cosa
avrebbe fatto Briggs se fosse stato
nella
sua
spinosa
situazione.
Frederick continuava ad asciugarsi i
baffi e non riusciva ad alzare lo
sguardo dal piatto, ma questo era
tutto ciò che lasciava trapelare del suo
stato d'animo.
Benché non alzasse lo sguardo,
gli occhi indagatori della giovane di
fronte lo facevano sentire come sotto
la luce dei riflettori; sapeva che anche
lo sguardo di Rose era posato su di
lui, ma era muto, soave come una
benedizione. Sarebbe ancora stato
così, dopo l'arrivo di Lady Caroline?
Non lo sapeva, non sapeva niente.
Si asciugò inutilmente i baffi per
la ventesima volta; la sua mano non
riusciva a rimanere completamente
ferma, la giovane di fronte a lui
l'aveva notato e i suoi occhi
continuavano a scrutarlo. Perché
continuava a scrutarlo? Non lo
sapeva, non sapeva niente.
Poi Briggs balzò in piedi; che
cosa aveva? Oh… sì… ecco: era
arrivata.
Frederick si asciugò i baffi e
anche lui si alzò. Era giunto il
momento. Che situazione assurda,
irreale. Bene, qualsiasi cosa fosse
accaduta poteva solo lasciarsi andare
alla deriva e far la figura dello stupido
con Lady Caroline, stupido e
bugiardo come nessun altro; e faceva
anche la figura del verme, perché lei
poteva ben pensare che l'aveva presa
in giro là fuori in giardino quando le
aveva detto, addirittura con voce
tremante - che stupido e ridicolo! che era venuto perché non era riuscito
a evitarlo; e solo Dio poteva sapere
che figura avrebbe fatto con la sua
Rose quando Lady Caroline l'avesse
presentato come un amico che aveva
invitato a cena.
Così mentre si alzava si asciugò i
baffi per l'ultima volta prima della
catastrofe.
Ma non aveva tenuto conto di
Scrap.
Quella giovane raffinata ed
esperta scivolò sulla sedia che Briggs
le stava tenendo, e quando Lotty si
sporse in avanti con impazienza e,
prima che qualcun altro potesse
parlare, disse: «Incredibile, Caroline,
come è arrivato presto il marito di
Rose!» lei si girò verso di lui senza la
minima ombra di sorpresa sul volto,
gli porse la mano, sorrise come un
giovane angelo e disse: «E io sono in
ritardo proprio la prima sera che voi
siete qui».
La figlia dei Droitwich…
Era una sera di luna piena, il
giardino pareva un luogo incantato
dove tutti i fiori sembravano bianchi.
I gigli, le dafne, i fiori d'arancio, le
violacciocche, i garofani, le rose, si
distinguevano tutti bene come di
giorno, mentre dei fiori colorati si
sentiva solo la fragranza.
Dopo cena le tre giovani donne
sedettero sul muretto in fondo al
giardino superiore; Rose, un po' in
disparte dalle altre, guardava la luna
enorme che si spostava lentamente sul
luogo dove Shelley aveva trascorso i
suoi ultimi mesi proprio cent'anni
prima. La scia della luna tremolava
sull'acqua. Le stelle ammiccavano e
palpitavano. Le montagne erano
incerti profili blu in cui grappoli di
luci brillavano dai piccoli gruppi di
case. In giardino le piante svettavano
immobili e dritte, senza che il più
leggero alito di vento le agitasse. La
sala da pranzo con il tavolo
illuminato dalle candele e i fiori
vivaci - quella sera c'erano nasturzi e
calendole - scintillava attraverso le
porte a vetri come una magica
caverna colorata, e i tre uomini che
fumavano
intorno
al
tavolo
sembravano, visti dal giardino
immerso nel silenzio, nella quiete
fresca e solenne, esseri stranamente
animati.
Mrs Fisher si era avvicinata al
fuoco nel salone. Scrap e Lotty, il
volto sollevato verso il cielo,
parlavano poco e sottovoce. Rose non
diceva niente: anche lei aveva il viso
rivolto verso l'alto, guardava il pino a
ombrello, scolpito in tutta la sua
bellezza, stagliarsi contro le stelle. Di
quando in quando gli occhi di Scrap
indugiavano su Rose; anche Lotty la
guardava: Rose era deliziosa. In quel
momento
avrebbe
eguagliato
qualunque bellezza, sarebbe sembrata
graziosa ovunque. Quella sera
nessuno avrebbe potuto metterla in
ombra o smorzare il suo splendore:
era davvero scintillante.
Lotty si chinò e sussurrò
all'orecchio di Scrap: «È l'amore».
Scrap annuì. «Si», disse in un
soffio.
Doveva ammetterlo. Bastava
guardare Rose per comprendere che lì
c'era l'amore.
«Non c'è niente come l'amore»,
sussurrò Lotty.
Scrap rimase in silenzio.
«E meraviglioso, - mormorò
Lotty dopo una pausa, durante la
quale guardarono entrambe il viso di
Rose rivolto al cielo, - andare
d'accordo con chi si ama. Forse tu sai
dirmi se al mondo c'è qualcos'altro
che fa tali miracoli».
Ma Scrap non seppe rispondere;
e anche avesse saputo questa non
sarebbe stata la notte giusta per
discuterne. Era una notte per…
Si alzò. Di nuovo l'amore, era
dovunque. Non c'era modo di
liberarsene. Era venuta in questo
posto per starne lontana e l'aveva
ritrovato in tutti, in gradi diversi.
Persino
Mrs
Fisher sembrava
accarezzata da una delle molte piume
delle ali di Amore, anche a cena era
diversa, preoccupata perché Mr
Briggs non voleva mangiare, e
quando lo guardava il suo viso si
addolciva in un'espressione materna.
Scrap osservò il pino immobile
tra le stelle. La bellezza ti faceva
amare, e l'amore ti rendeva bella…
Si strinse lo scialle intorno come
per difendersi, per isolarsi. Non
voleva diventare sentimentale, ma qui
era difficile non esserlo; la notte
meravigliosa s'insinuava in ognuno
portando con sé, che lo si volesse o
no, sentimenti forti, sentimenti che
non si potevano controllare, pensieri
profondi sulla morte, il tempo, lo
spreco; pensieri meravigliosi e
devastanti, magnifici e tetri, insieme
estasi e tormento, e un desiderio
senza fine che spezzava il cuore. Si
sentì piccola e terribilmente sola. Si
sentì nuda e indifesa. Istintivamente
si avvolse più stretta nello scialle. Con
questa cosa di chiffon cercava di
proteggersi dall'eternità.
«Immagino, - sussurrò Lotty, che il marito di Rose ti sembri un
uomo di mezza età, cordiale e
ordinario».
Scrap distolse lo sguardo dalle
stelle e fissò Lotty per un attimo
cercando di rimettere a fuoco i suoi
pensieri.
«Solo un uomo rubizzo e
grassoccio», sussurrò Lotty.
Scrap abbassò il capo.
«Non è così, - continuò a
bisbigliare Lotty. - Rose vede al di là
di questo. Quelli sono solo dettagli.
Lei vede quello che noi non possiamo
vedere, perché lo ama».
Sempre l'amore.
Scrap si alzò, e stringendosi
ancor più nello scialle si diresse al suo
angolino, sedette lì sola sul muretto e
guardò il mare dall'altra parte, dove si
era tuffato il sole, il mare dove, in
lontananza, si allungava un'ombra
indistinta, la Francia.
Sì, l'amore poteva compiere dei
miracoli, e Mr Arundel - non riuscì ad
abituarsi subito all'altro nome - era
per Rose l'Amore; esso faceva anche
miracoli all'incontrario, come lei ben
sapeva, non sempre trasformava le
persone in angeli e santi. Talvolta
purtroppo faceva l'opposto, e nella
sua vita questo si era verificato
all'esasperazione. Se l'avesse lasciata
in pace, se almeno fosse stato discreto
e raro, avrebbe potuto, ella pensava,
trasformarsi in un essere umano
buono, generoso e gentile. Ma come
l'aveva ridotta, invece, questo amore
di cui Lotty parlava tanto? Scrap
pensò a come definirsi: una zitella
viziata, acida, sospettosa ed egoista.
Le porte a vetri della sala da
pranzo si aprirono e i tre uomini,
preceduti dalla voce squillante di Mr
Wilkins, uscirono in giardino.
Sembrava che parlasse solo lui; gli
altri due non dicevano niente.
Forse avrebbe fatto meglio a
tornare da Lotty e da Rose; sarebbe
stato seccante essere scoperta e
bloccata in quel cul de–sac da Mr
Briggs.
Si alzò di malavoglia perché le
sembrava imperdonabile che Mr
Briggs la obbligasse a spostarsi, ad
allontanarsi dai luoghi in cui
desiderava sedere; e quando emerse
dai cespugli di dafne il risentimento
che provava la faceva sentire dura e
severa e sperava di apparire
altrettanto dura e severa; in tal modo
sarebbe sembrata ripugnante a Mr
Briggs e se ne sarebbe liberata. Ma
sapeva di non avere quell'aspetto, per
quanto ci provasse. A cena a Briggs
tremava la mano mentre beveva, e
non riuscì a rivolgerle la parola senza
diventare rosso per poi impallidire di
nuovo, al punto che Mrs Fisher aveva
cercato di incontrare lo sguardo di
Scrap con l'espressione implorante di
chi chiede che non venga fatto del
male al proprio unico figlio.
Come poteva un essere umano,
pensò Scrap uscendo accigliata dal
suo angolo, come poteva un uomo
fatto a immagine e somiglianza di
Dio, comportarsi in quel modo; era
sicura che fosse destinato a cose
migliori, con la sua gioventù, il suo
fascino e la sua intelligenza. Era
intelligente. Lo aveva studiato con
attenzione ogni volta che Mrs Fisher
lo costringeva a girarsi verso di lei per
risponderle, ed era sicura che lo fosse.
Ed era anche una persona di
carattere; c'era qualcosa di nobile
nella forma della sua fronte, di nobile
e gentile. Era perciò ancora più
deplorevole che si lasciasse invaghire
da un aspetto puramente esteriore, e
che sprecasse le sue energie, la sua
serenità, per ronzare intorno a una
donna–oggetto. Se solo avesse potuto
vedere in lei, dentro di lei, sarebbe
guarito ed ella se ne sarebbe potuta
andare a sedere sola e indisturbata in
questa notte meravigliosa.
Proprio al di là dei cespugli di
dafne incontrò Frederick, trafelato.
«Volevo proprio incontrarvi
subito, - disse, - prima di andare da
Rose -. E aggiunse immediatamente: Vi sono così grato che vorrei baciarvi
le scarpe».
«Davvero?
disse
Scrap
sorridendo. - Allora devo andare a
mettermi quelle nuove. Queste non
sono abbastanza belle».
Si sentì ben disposta verso
Frederick. Lui almeno non l'avrebbe
più tormentata. I suoi giorni di
caccia, così brevi e improvvisi, erano
terminati. Era un uomo simpatico e
gradevole.
Ora
le
piaceva
decisamente. Senz'altro si era accorto
di essersi ficcato in un bel pasticcio, e
lei era grata a Lotty per averla fermata
in tempo, a cena, prima che dicesse
qualcosa di irreparabile. Ma adesso
era uscito da qualsiasi pasticcio; sul
suo volto e su quello di Rose brillava
la stessa luce.
«Vi adorerò per sempre», disse
Frederick.
Scrap sorrise. «Davvero?» disse.
«Prima vi adoravo per la vostra
bellezza. Ora non solo perché siete
bella come un sogno ma onesta come
un uomo d'onore».
Scrap rise. «Pensate?», chiese
divertita.
«Quando
quella
giovane
impulsiva, - continuò Frederick, quella giovane, grazie al cielo così
impulsiva, tirò fuori al momento
giusto che ero il marito di Rose, vi
siete comportata esattamente come si
sarebbe comportato un uomo d'onore
con un amico».
«Credete?», disse Scrap, esibendo
la sua incantevole fossetta.
«Essere una donna e possedere la
lealtà di un uomo d'onore è una
combinazione rara e preziosa»,
continuò Frederick.
«Davvero?» Scrap sorrise un po'
melanconica.
Questi
erano
complimenti magnifici. Se solo
fossero stati veri…
«E… vi bacerei le scarpe!»
«Non sarebbe più semplice
così?», chiese lei, porgendogli la
mano.
Lui la prese e la baciò, ansioso di
andarsene. «Siate benedetta», disse
allontanandosi.
«Dov'è il vostro bagaglio?» gli
domandò Scrap.
«Oh, Cielo, è vero… - disse
Frederick fermandosi. - È alla
stazione».
«Manderò a ritirarlo».
Scomparve tra i cespugli. Lei
entrò per dare l'ordine; e fu così che
per la seconda volta quella sera
Domenico si ritrovò, incredulo, sulla
strada per Mezzago.
Dopo aver dato le disposizioni
necessarie per la perfetta felicità di
queste
due
persone,
ritornò
lentamente in giardino immersa nei
suoi pensieri. L'amore sembrava
portare felicità a tutti, tranne che a lei.
Senz'altro qui, nelle sue forme
molteplici, aveva conquistato tutti,
tranne lei. Del povero Mr Briggs si
era impossessato nel modo meno
dignitoso. Povero Mr Briggs! Eppure
costituiva un problema fastidioso, e
lei temeva che la sua partenza il
giorno successivo non l'avrebbe
risolto.
Quando raggiunse gli altri, Mr
Arundel - continuava a dimenticare
che non era Mr Arundel - si stava
allontanando a braccetto con Rose,
probabilmente verso un luogo più
appartato nel giardino di sotto.
Senz'altro avevano molte cose da
dirsi; in passato molte cose non erano
andate bene fra loro, ma ora
all'improvviso tutto si era risolto.
Merito di San Salvatore, avrebbe
detto Lotty, San Salvatore che aveva
il magico potere di rendere felici.
Quasi credeva a questo potere.
Persino lei ora era più felice di quanto
non lo fosse stata per anni. L'unica
persona che sarebbe andata via a
mani vuote era Mr Briggs.
Povero Mr Briggs. Quando Scrap
arrivò vicino agli altri, le sembrò
troppo giovane e carino per non
essere felice. Non era giusto che il
proprietario del luogo, la persona alla
quale dovevano tutto questo, dovesse
essere l'unico ad andarsene via
infelice.
Il rimorso assalì Scrap. Che
giornate piacevoli aveva trascorso
nella sua casa, sdraiata in giardino,
rallegrata dai fiori e dal panorama,
usando le sue cose, e in mezzo alle
comodità si era riposata e, di fatto, si
era ristabilita. Aveva trascorso un
periodo di riflessione, il più rilassante
e tranquillo della sua vita; e tutto
grazie a lui. Oh, sapeva di avergli
pagato una cifra ridicola, in
confronto ai benefici che ne aveva
tratto, era forse giusto? E non era
unicamente grazie a lui che aveva
incontrato Lotty? In nessun altro
modo lei e Lotty si sarebbero mai
conosciute.
Il
rimorso
si
impossessò
rapidamente e profondamente di
Scrap. Si sentì invasa da un moto di
gratitudine e andò difilato verso
Briggs.
«Vi devo così tanto», disse,
sopraffatta
dall'improvvisa
consapevolezza di quanto gli doveva,
e vergognandosi dei suoi modi villani
del pomeriggio e a cena, di cui
naturalmete lui non si era accorto.
Come al solito, la sua natura
antipatica era stata celata dal suo
aspetto esteriore; ma lei lo sapeva,
sapeva di essere stata villana. Da anni
lo era con tutti. Qualsiasi occhio
attento, pensò Scrap, qualsiasi occhio
veramente attento, avrebbe capito
come era realmente: una zitella
viziata, acida, sospettosa ed egoista.
«Vi devo così tanto», disse perciò
Scrap con sincerità dirigendosi verso
Briggs, resa umile da questi pensieri.
Lui la guardò meravigliato. «Voi
mi dovete? - disse. - Ma sono io che…
che…», balbettò. Vederla qui nel suo
giardino… niente, nesun fiore bianco
era più bianco e più armonioso.
«Vi prego, - disse Scrap, con
maggiore insistenza, - perché non
volete rendervi conto della verità? Voi
non mi dovete niente. Come
potreste?»
«Non vi devo niente? - le fece eco
Briggs. - Ebbene, io vi devo la mia
prima visione di…»
«Oh, per amor del cielc.per amor
del cielo, - supplicò Scrap, - vi prego,
non umiliatevi. Perché dovreste
umiliarvi?
È
ridicolo.
Valete
cinquanta volte quanto valgo io».
«Imprudente»,
pensò
Mr
Wilkins, anch'egli lì vicino, mentre
Lotty sedeva sul muretto. Era
sorpreso, preoccupato, stupito che
Lady Caroline incoraggiasse Briggs in
quel modo. «Davvero imprudente»,
pensò Mr Wilkins scuotendo la testa.
La condizione di Briggs era così
grave che l'unica condotta da seguire
era respingerlo con forza, riflette Mr
Wilkins. Nessuna mezza misura
sarebbe stata di alcuna utilità con
Briggs, e un tono affabile e
amichevole sarebbe solo stato
frainteso dal giovane infelice. La
figlia dei Droitwich non poteva, era
impensabile,
desiderare davvero
incoraggiarlo.
Briggs
era
un
benestante, ma Briggs era Briggs;
bastava il nome a provarlo. Forse
Lady Caroline non si rendeva conto
dell'effetto della sua voce e del suo
volto, come facessero risuonare
incoraggianti le sue parole, per
quanto fossero ordinarie. Ma queste
parole non lo erano; egli temeva che
lei non le avesse sufficientemente
soppesate. Era chiaro, chiarissimo,
che aveva bisogno di qualcuno che la
consigliasse, di una persona avveduta
e obiettiva come lui. Eccola lì, di
fronte a Briggs, e quasi gli prendeva le
mani. Certo, era giusto ringraziare
Briggs, perché tutti loro si godevano
una vacanza deliziosa in casa sua,
ma non si doveva esagerare e non lo
doveva fare soltanto Lady Caroline.
Proprio quella sera aveva pensato che
avrebbero potuto esprimergli la loro
gratitudine per iscritto tutti insieme il
giorno seguente, prima che partisse,
ma non doveva essere ringraziato a
quel modo, al chiaro di luna, in
giardino, dalla donna della quale era
chiaramente invaghito.
Mr Wilkins perciò, desiderando
salvare Lady Caroline da questa
situazione, intervenne con estremo
tatto e grande cordialità, dicendo: «E
molto giusto, Mr Briggs, che voi siate
ringraziato. Permettete che anch'io,
assieme a mia moglie, mi unisca a
Lady Caroline per esprimervi la mia
gratitudine.
Avremmo
dovuto
ringraziarvi tutti a cena. Avremmo
dovuto fare un brindisi a voi.
Senz'altro avrebbe dovuto esserci…»
Ma Briggs non gli prestò alcuna
attenzione; continuò a guardare Lady
Caroline come se fosse la prima
donna che vedeva. Neppure Lady
Caroline gli prestò attenzione, notò
Mr Wilkins; anche lei continuò a
guardare Briggs con quella strana aria
quasi invitante. Davvero molto
imprudente Lotty, invece, gli prestò
persino troppa attenzione, scegliendo
proprio il momento in cui Lady
Caroline aveva bisogno di un aiuto
particolare e di protezione, per alzarsi
dal muretto, prenderlo sottobraccio e
trascinarlo via.
«Devo dirti una cosa Mellersh»,
disse Lotty alzandosi.
«Un attimo», disse Mr Wilkins,
allontanandola.
«No… subito», disse Lotty; e lo
trascinò via.
Lui si allontanò con estrema
riluttanza. Non bisognava dar corda a
Briggs, neppure un po'.
«Allora… che cosa c'è?» chiese
con impazienza mentre lei lo guidava
verso la casa. Non avrebbero dovuto
permettere che Lady Caroline
rimanesse là, che venisse infastidita.
«Oh, ma non lo è, - lo rassicurò
Lotty, proprio come se lui avesse
parlato a voce alta. - Caroline sta
benissimo».
«Non è vero: quel giovane Briggs
è…»
«Naturalmente. Che cosa ti
aspettavi? Andiamo dentro da Mrs
Fisher, vicino al fuoco. E tutta sola».
«Non posso lasciare Lady
Caroline sola in giardino», disse Mr
Wilkins, cercando di tornare indietro.
«Non essere sciocco, Mellersh…
non è sola. E poi, ti devo dire una
cosa».
«Bene dimmela, allora».
«Dentro».
Con
una
riluttanza
che
aumentava a ogni passo Mr Wilkins
fu allontanato da Lady Caroline.
Adesso credeva a sua moglie e aveva
fiducia in lei, ma pensava che in
questa
circostanza
stesse
commettendo un terribile errore. Mrs
Fisher era seduta nel salone accanto
al fuoco, e per Mr Wilkins, che di
sera preferiva stare in casa accanto al
fuoco piuttosto che al chiaro di luna
in giardino, sarebbe stato più
gradevole rimanere lì piuttosto che
fuori, se avesse potuto portare Lady
Caroline in salvo con lui. E non
potendo fare altrimenti, entrò con
estrema riluttanza.
Mrs Fisher, con le mani in
grembo, contemplava il fuoco,
immobile e senza far niente. La
lampada era sistemata per la lettura,
ma lei non leggeva. Quella notte non
le pareva fosse il caso di leggere i suoi
grandi amici morti. Dicevano sempre
le stesse cose ora, le ripetevano
all'infinito, da loro non si poteva più
tirar fuori niente di nuovo.
Indubbiamente erano più grandi di
chiunque altro, ma avevano questo
immenso svantaggio: erano morti.
Da loro non ci si poteva aspettare
nient'altro; mentre dai vivi, che cosa
non ci si poteva aspettare! Desiderava
ardentemente i vivi, coloro che
crescevano, gli esseri cristallizzati e
completi la annoiavano. Pensava se
solo avesse avuto un figlio, un figlio
come Mr Briggs, un caro ragazzo,
che cresceva e si apriva alla vita,
pieno di energia, affettuoso, che si
prendesse cura di lei e le volesse
bene…
Quando Mrs Wilkins vide
l'espressione del suo volto sentì un
tonfo al cuore. «Povera cara», pensò,
lasciava trasparire tutta la solitudine
dell'età, la solitudine per aver abusato
dell'ospitalità nel mondo, di sentirsi lì
solo per soffrire, la completa
solitudine di una donna sola, vecchia
e senza figli che non era riuscita a
farsi degli amici. Sembrava che
bastasse essere in due per essere felici:
qualsiasi
coppia,
non
necessariamente di innamorati, ma di
amici, madre e figlio, fratello e
sorella. E dove si poteva trovare chi
facesse il paio con Mrs Fisher?
Mrs Wilkins pensò che forse
avrebbe fatto meglio a baciarla di
nuovo. Nel pomeriggio quando
l'aveva baciata, l'aveva resa felice; lo
sapeva,
l'aveva
capito
immediatamente da come Mrs Fisher
aveva reagito. Così andò verso di lei,
si chinò, la baciò e disse
allegramente:
«Siamo
venuti
dentro…», il che certo era evidente!
Questa volta Mrs Fisher alzò
addiritura la mano e trattenne la
guancia di Mrs Wlkins sulla sua,
questa creatura affettuosa, impulsiva
e palpitante; e mentre faceva quel
gesto si sentì al sicuro con quella
creatura, certa che proprio lei, poiché
faceva spesso cose insolite, avrebbe
considerato quel gesto normale e non
l'avrebbe imbarazzata mostrandosi
sorpresa.
Mrs Wilkins infatti non fu
sorpresa, ma deliziata. «Credo di
essere l'altra metà della sua coppia, le balenò in mente. - Penso che sarò
io, proprio io, a diventare amica
intima di Mrs Fisher!»
Quando sollevò la testa il suo
volto aveva un'espressione ridente. I
cambiamenti
prodotti
da
San
Salvatore erano straordinari. Lei e
Mrs Fisher… vedeva che presto
sarebbero state amiche.
«Dove sono gli altri? - chiese Mrs
Fisher. - Grazie … cara», agggiunse,
mentre Mrs Wilkins le metteva lo
sgabello sotto i piedi, lo sgabello era
necessario perché le gambe di Mrs
Fisher erano corte.
«Già mi vedo negli anni a venire,
- pensò Mrs Wilkins con gli occhi che
brillavano, - porgere lo sgabello a Mrs
Fisher…»
«I Rose, - disse alzandosi, - sono
andati nel giardino di sotto… per
amoreggiare, credo!».
«I Rose?»
«I Frederick, allora, se preferisci.
Sono completamente assorbiti l'uno
nell'altro e inseparabili».
«Perché non dici gli Arbuthnot,
mia cara?» disse Mr Wilkins.
«Va
bene,
Mellersh…
gli
Arbuthnot. E i Caroline…»
Mr Wilkins e Mrs Fisher
trasalirono: Mr Wilkins, che di solito
aveva un completo controllo di se
stesso, si stupì ancora di più di Mrs
Fisher, e per la prima volta dal suo
arrivo si arrabbiò con sua moglie.
«Veramente…», incominciò, con
tono indignato.
«Va bene, Mellersh… I Briggs,
allora».
«I Briggs!» urlò Mr Wilkins,
adesso davvero molto arrabbiato;
perché questo implicava per lui
l'insulto più oltraggioso per l'intera
razza dei Dester, per i Dester
deceduti come per quelli viventi, e i
Dester ancora innocenti perché non
ancora nati. «Veramente…»
«Mi dispiace, Mellersh, - disse
Mrs Wilkins, mostrando una falsa
mitezza, - che tu non sia contento».
«Contento! Hai perso l'uso della
ragione? Prima d'ora non si sono mai
degnati di uno sguardo».
«E vero, ecco perché adesso
possono andare avanti».
«Andare avanti!» Mr Wilkins
riusciva solo a ripetere quelle parole
oltraggiose.
«Mi dispiace, Mellersh, - disse di
nuovo Mrs Wilkins, - che tu non sia
contento, ma…»
I suoi occhi grigi brillavano, e il
volto esprimeva quella stessa lucida
determinazione che aveva così tanto
sorpreso Rose la prima volta che si
erano incontrate.
«Non serve a niente prendersela,
- ella disse, - io non mi dannerei se
fossi in te. Perché…»
Si interruppe, e guardò il viso
prima di uno poi dell'altra, entrambi
seri e preoccupati, e il riso e la luce
guizzarono sul suo volto.
«Io li vedo, sono i Briggs»,
concluse Mrs Wilkins.
Quell'ultima settimana a San
Salvatore sbocciò il filadelfio e
fiorirono le acacie. Nessuno aveva
notato quante acacie ci fossero, finché
un giorno il giardino fu invaso da un
nuovo profumo, ed ecco i fiori di
quelle piante delicate, graziosi
successori del glicine, fiorire ovunque
tra le loro foglie tremanti. Quella
settimana si provava una felicità
impagabile a starsene sdraiati sotto
un'acacia a guardare attraverso i rami
le sue tenere foglie e i fiori bianchi che
tremolavano contro il cielo azzurro,
mentre il minimo soffio d'aria faceva
scendere il loro profumo. Verso la
fine il giardino si vestì gradualmente
di bianco e divenne sempre più
profumato. C'erano i gigli, vigorosi
come
sempre,
le
bianche
violacciocche, le rose e i garofani
bianchi, il filadelfio, il gelsomino, e il
tutto coronato dalla fragranza delle
acacie. Quando, il primo di maggio,
se ne andarono, anche dopo esser
giunti in fondo alla collina e aver
varcato il cancello di ferro verso il
villaggio,
sentivano
ancora
il
profumo delle acacie.
{1}
Chatsworth House, residenza dei Duchi di
Devonshire, situata nella contea di
Derbyshire in Inghilterra
{2}
Moneta inglese non più in uso, quarta parte
di un centesimo
{3}
In italiano nel testo
{4}
In italiano nel testo
{5}
In italiano nel testo
{6}
Allusione al famoso personaggio dell'opera
di Thomas Carlyle (1795-1881), Sartor
Resartus: The Life and Opinioni of Herr
Teufelsdróck (1836)
{7}
In italiano nel testo
{8}
In italiano nel testo
{9}
In italiano nel testo
{10}
In italiano nel testo
{11}
In italiano nel testo
{12}
Daniele 3, 1-24