ESTERI Corriere della Sera Martedì 30 Settembre 2014 15 La Cina avverte gli Usa: non interferite Pechino accusa i «cospiratori angloamericani». Nella madrepatria censurate le notizie sulle proteste DAL NOSTRO INVIATO «Dimissioni, dimissioni». Le decine di migliaia di cittadini di Hong Kong che nella notte hanno invaso il centro chiedono il ritiro del Chief Executive CY Leung, il proconsole di Pechino. La reazione della Cina è per ora fatta di censura su tutte le notizie che arrivano dal «territorio ad amministrazione speciale» e accuse ai «cospiratori internazionali». Il Quotidiano del Popolo scrive che la sollevazione di Hong Kong è istigata da radicali che hanno ricevuto sostegno e istruzioni da «forze anticinesi» negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. «Una banda di individui inHONG KONG fatuati dalla democrazia occidentale, i cui cuori appartengono ai colonialisti». Il vecchio gioco della congiura dall’esterno. I giornali filocinesi di Hong Kong hanno scritto che Joshua Wong, il diciassettenne eroe del movimento studentesco, è stato coltivato dal consolato americano con l’offerta di una borsa di studio e di viaggi. Il Ta Kung Pao, quotidiano comunista dell’ex colonia britannica, titola «La mano nera», prospettando trame straniere destabilizzanti. Il suo direttore si chiama Jia Xi Ping, un quarantenne dinamico che ci ha spiegato le ragioni di Pechino: Hong Kong è tornata alla Cina 16 anni fa, è parte della Repubblica popolare; ora «La mano nera» Il quotidiano comunista «Ta Kung Pao» prospetta trame straniere destabilizzanti qualcuno pensa che le elezioni a suffragio universale concesse per il 2017 debbano svolgersi come se Hong Kong fosse una nazione indipendente, ma non è così; bisogna seguire le leggi cinesi. Il direttore sembra un galantuomo con la sua fede. Però non si capisce perché la gente di Hong Kong non possa avere voce sulla selezione dei candidati, perché questi debbano essere «patriottici e amare la Cina», come ha dettato Pechino. La gente della città ha denunciato la farsa e il potere cinese finge di credere che dietro ci sia la mano nera degli angloamericani. G. Sant. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il reportage di Guido Santevecchi I volti DAL NOSTRO INVIATO Quando scende la notte, alla curva della sopraelevata, a Cotton Tree Drive, i ragazzi rimettono le mantelline di cellophane, gli occhialoni, le mascherine. E cominciano ad allineare gli ombrelli aperti davanti alla barricata che blocca la strada e decine di altri incroci nel centro di Hong Kong. La città è paralizzata per il secondo giorno di seguito dalla protesta contro la legge elettorale disegnata da Pechino per rendere una farsa il voto a suffragio universale promesso per il 2017. Quegli ombrelli, usati per proteggersi dagli spray urticanti della polizia, sono diventati il simbolo del movimento democratico. La stanno già chiamando la Rivoluzione degli ombrelli. Max, un ragazzo alto e magro, 22 anni, mi passa una mascherina: «Meglio metterla, domenica ci hanno attaccato proprio a quest’ora, con il buio». Max studia al Politecnico, accanto a lui una ragazzina, lui le dà una carezza sui capelli. «Ci siamo trovati proprio in mezzo ai lacrimogeni, è stato un attimo, non si riusciva a respirare, una cosa davvero brutta». Il secondo giorno della rivolta di Hong Kong è cominciato alle 6.30 con l’alzabandiera della Repubblica Popolare a Admiralty, nome ereditato dall’ammiragliato coloniale britannico. I ragazzi rimasti per tutta la notte dopo la battaglia di domenica hanno fischiato e fatto gestacci. Poi hanno riso, perché nella fretta gli addetti hanno issato lo stendardo rosso al contrario, con la corona di stelle rivolta verso il basso. Segno di insicurezza. Un altro segnale di ansia, forse il più importante finora, è la cancellazione dei grandi fuochi d’artificio previsti in città per domani, Primo ottobre, il giorno della festa nazionale cinese. Il comando di polizia ha anche deciso di ritirare i suoi uomini in tenuta antisommossa: fino a notte non si sono visti i loro elmetti integrali in giro. Solo poliziotti in camicia e berretto. Forse le autorità di Hong Kong, nonostante la durezza di Pechino che ha dichiarato ogni assembramento nel territorio illegale e da reprimere e i manifestanti estremisti, si sono rese conto che la linea dura non ha pagato. Anzi. Ieri il numero dei ragazzi in strada è cresciuto di molto: decine e decine di migliaia, rumorosi e ordinati. In Cina la gente non lo sa, perché è calata la censura e anche i social network come Instagram sono stati bloccati per cancellare le immagini della rivolta. HONG KONG Alcuni dei ragazzi intervistati dal Corriere nelle strade di Hong Kong. Dall’alto: uno studente, un informatico (entrambi hanno preferito restare anonimi), la ventitreenne Chung Lin, e un gruppo di giovani volontari che lavorano per tenere pulita la città In piazza Manifestanti davanti alla sede del governo di Hong Kong, nel secondo giorno di proteste per la democrazia. La rivolta è stata definita «la rivoluzione degli ombrelli» (Epa) LA SFIDA DI HONG KONG Ombrelli, libri, libertà I ragazzi della rivoluzione È un fiume grosso e nero quello che abbiamo visto nel centro di Hong Kong. La superstrada Harcourt Road che taglia il centro è occupata per tre o quattro chilometri dai ragazzi in maglietta nera, nastro giallo appuntato sul petto o legato al polso. Solo qui saranno diecimila, si fa fatica a risalirlo. Di fatto la city è pedonalizzata, per forza. Chiusa Queensway, irraggiungibili in auto Central, Admiralty, Causeway Bay, blocchi anche dall’altra parte della baia, a Kowloon. I ragazzi dei licei e delle università hanno facce pulite. Offrono mascherine, ombrelli, carta igienica, acqua, frutta, merendine. Ci sono centri di distribuzione del materiale utile a sostenere l’assedio. Circolano anche bustine di cerotti antifebbre, perché qui è estate, ci sono più di 30 gradi appiccicosi. Le strade sono rimaste pulite perché i giovani si sono organizzati e fanno la raccolta dei rifiuti, con metodo, differenziata tra bottiglie di plastica, cartacce, cellophane. Chan Ho Wun, 18 anni, orecchino a pipistrello, grida al megafono. Che cosa? «Passo i messaggi che arrivano dal fondo dello schieramento». Domenica notte gli anziani di Occupy Central vi hanno chiesto di andare a casa, perché siete ancora qui? «L’altra notte era 2017 L’anno delle prime elezioni «a suffragio universale» a Hong Kong. Ma Pechino ha poi imposto limiti sui candidati per controllare il voto 100 mila I manifestanti scesi in piazza ieri a Hong Kong per la democrazia. Una delle più grandi proteste di massa nella regione giusto ritirarci, si era fatto troppo pericoloso, ma oggi è giusto essere tornati in tanti». Cheng Lili ha 13 anni, va alle medie. «Ieri non c’ero, sono venuta oggi perché hanno picchiato i compagni, non possiamo lasciarli soli». Hai boicottato la scuola? «No. È chiusa, è impossibile arrivarci con i mezzi». Accanto c’è una signora. «Sono la mamma». E lei porta sua figlia piccola qui? «Deve imparare ad essere una brava cittadina, consapevole dei suoi diritti». Un’altra donna seduta sul guardrail urla: «Abbasso il Partito comunista, banda di oppressori». Spieghiamo a uno studente: il governo non cederà. «Non è detto, e comunque vogliamo che la Cina e il mondo sappiano che vogliamo la democrazia». In un posto di raccolta dei rifiuti c’è Chung Lin, 23 anni, lau- reata. Con i guanti bianchi divide il cartone dalla plastica. «Ero in piazza domenica. Certo che ho avuto paura quando hanno cominciato a tirare i lacrimogeni. Sono scappata, ma ora siamo di più, abbiamo la forza del popolo». Ed è finita a fare la netturbina. «Sono volontaria, puliamo per preservare la nostra città». Matthew ha 17 anni e sotto il braccio un mazzo di parapioggia-paraspray al pepe. Sapete che la chiamano Rivoluzione degli ombrelli? Vi piace la sigla? «Non lo sapevo, ma forse va bene, se la usano i giornali». E la parola rivoluzione vi spaventa? «No. Ed è solo l’inizio». Il reparto vivandiere. Wong, una diciottenne in carne, offre merendine e succhi di frutta. Chi vi ha dato tutta questa roba? «Qualcuno ricco, ma nessuno ci usa, abbiamo coscienza di quel- La storia su «Corriere.it» Nato, cresciuto e fuggito dal lager di Kim Shin Dong-hyuk è l’unico prigioniero nato e cresciuto in un lager nord coreano, riuscito a scappare dopo 23 anni di internamento. La sua storia nel web reportage di Federica Seneghini sul sito del Corriere. lo che facciamo». Hai avuto paura? «Ci sono stati diversi feriti l’altra notte, non è giusto, eravamo disarmati e la polizia ci ha attaccato», scoppia a piangere. All’angolo ci sono «i cattivi», i poliziotti. Il n° di matricola 25188: «Siamo stati in strada venti ore in due giorni, siamo stanchi». Al capopattuglia, il n° 51611, chiediamo se si rende conto che sono ragazzi come loro quelli che hanno inseguito per le strade: «Signore, io non faccio politica, mi hanno ordinato di mantenere pace e ordine e lo faccio, senza cattiveria». Cala la sera. Seduto a terra un universitario legge una dispensa di contabilità. Poco più in là due bambine con la divisa bianca e fascia rosa del college Ho Lap. In fronte si sono appiccicate due pezzette rinfrescanti. Non siete troppo piccole? «Non ci fotografate, a casa non lo sanno». Dietro la barricata, nella postazione di Cotton Tree Drive, un gruppetto di ragazze più grandi. Ombrellini pronti. «Vedete i lampeggianti della polizia dietro la curva? Forse ora arrivano. Ieri per cinque minuti quando hanno tirato i lacrimogeni non si poteva respirare». Si sentono le sirene. Meglio mettere la mascherina che ci ha passato Max. @guidosant © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 8727381
© Copyright 2024 ExpyDoc