Classe III A Istituto Comprensivo "Divisione Julia" Trieste

Classe III A
Istituto Com
prensivo "D
ivisione Julia
" Trieste ALUNNI: Angeli Nicholas, Babic Simone, Canale Michele, Demarchi Federica, Gabriel Nina, Giorgi Clara, Groppi Emilio, Lebedyns’kyy Serhiy, Loser SoCia, Martinolli Alessandro, Mervich Michela, Pastorcich Stefano, Penna Maria Matilde, Perselli Greta, Pertan Nicole, Primosi Michele, Ravalli Eleonora, Stopar Yuma, Sutulovic Dusan, Turini Ruggero, Xhaferi Elma PROFESSORI: Morano Valerio, Sichich Manuela, Tognoni Anna In occasione del centenario dall’inizio della I guerra mondiale, la classe III A è
stata invitata dall’insegnante di lettere a partecipare ad un progetto. Questo ci ha
permesso di conoscere meglio il periodo storico compreso tra il 1900 e il 1920, in un
modo sicuramente più coinvolgente, divertente e interessante rispetto all’approccio
tradizionale.
Dopo aver frugato in varie soffitte, siamo riusciti a metter insieme diversi pezzi di
storia. C’è chi ha chiesto ai propri nonni o bisnonni, chi ha intervistato i propri
amici di famiglia e chi è dovuto tornare nel proprio paese d’origine per “scavare nel
passato”. Infatti nella nostra classe ci sono ragazzi provenienti da diversi Paesi,
quindi la ricerca del materiale non si è limitata alla regione, ma si è estesa fino alla
Serbia.
Abbiamo trovato vecchi giornali, cartoline e fotografie, ma anche una divisa
militare, degli orecchini, un telaio e altro ancora. Abbiamo privilegiato la vita
quotidiana delle Vecchie Province asburgiche, piuttosto che gli eventi che sono già
riportati nei testi di storia.
La classe, quindi, ha affrontato dal vivo il metodo storico: ha raccolto le
testimonianze orali degli antenati; è andata alla ricerca delle fonti scritte, materiali
e iconografiche; dopo averle analizzate e studiate, ha cercato di presentarle nel
miglior modo possibile. Dopo un lungo ed arduo lavoro possiamo esser considerati
dei piccoli storici?
Ci affidiamo al vostro giudizio, come è giusto che sia.
Le baionette sono dei pugnali più
lunghi; vengono posizionate sulle
canne dei fucili. Servono a infilzare il
nemico, qualora se ne presentasse
l'occasione, specialmente durante gli
assalti fuori dalle trincee. Durante la I
guerra mondiale vennero utilizzate
piuttosto le piccole vanghe in
dotazione anziché le baionette, perché
più resistenti e adatte a colpire di
taglio.
Queste due baionette furono rinvenute
durante la ristrutturazione di una
casa di un Ardito del Regio Esercito
Italiano nella zona di operazioni di
Caporetto.
È un bossolo da cannone austriaco
calibro 75mm della prima guerra
mondiale. Questo è alto circa 25 cm,
ha un diametro di circa 8 cm ed è fatto
completamente in ottone. Sul fondello
vi è inciso l'anno di produzione (1908).
Sulla struttura del bossolo sono
raffigurate con un'accurata incisione
le Torri di Vajolet, situate in Trentino
Alto Adige. Vi è stata applicata una
stella alpina in alluminio e inoltre vi è
stato inciso il nome di una donna.
In passato il bossolo serviva per contenere la carica
di lancio del proiettile che veniva sparato. Una
volta utilizzati, questi bossoli venivano
abbandonati sul campo, o spesso raccolti dai soldati
che li lavoravano a mano con vari soggetti.
Oggi questi sono divenuti oggetti da collezione da
parte di chi è appassionato di quella che viene
chiamata “TrenchArt” (arte da trincea). Vengono
utilizzati come oggetti decorativi o portafiori.
Questo bossolo appartiene alla
“TrenchArt”, che comprendeva la
lavorazione di diversi tipi di
oggetti. Venivano utilizzati bossoli
come questo per fare dei vasi,
bossoli da fucile per produrre
accendini oppure le fasce di rame
dei proiettili da cannone per fare
braccialetti.
Lettera alla famiglia di un triestino arrulolato nell’esercito austro-ungarico
dal suo campo di prigionia in Italia. La lettera è indirizzata all’ancora città
asburgica di Trieste. Tutta la corrispondenza dei prigionieri, anche quella
indirizzata alla famiglia, era sottoposta al controllo che veniva certificato
con un apposito timbro. Pochi centimetri di carta erano l’unico mezzo di
comunicazione con la famiglia. Ogni lettera poteva essere l’ultima:
l’incertezza sul futuro si coglie in questo saluto. Sarà un «breve» arrivederci
oppure un addio? La storia, in questo caso, ebbe un lieto fine, infatti il nostro
concittadino fece ritorno a casa dalla sua famiglia.
Veniva ufficialmente fornita alle
truppe dell'esercito imperiale.
Era utilizzata all'interno dei
baraccamenti o dentro le trincee
quale fonte di illuminazione,
permettendo così ai soldati di
sbrigare le faccende giornaliere.
Oggi questa lanterna risulta essere un oggetto da collezione per chi
raccoglie reperti della Grande Guerra oppure un oggetto decorativo
per gli amanti degli oggetti del passato. Fino a 80 anni fa veniva
ancora utilizzata come fonte d'illuminazione. In origine la lampada
era dipinta con una vernice grigio-verde il cui nome era “Feldgrau”.
Quando è stata ritrovata, aveva la superficie arrugginita e i vetri
rotti. In seguito è stata accuratamente ripulita e i vetri sono stati
sostituiti.
Medagliere di Paolo Ravalli, che prestò servizio nel Regio
Esercito in Italia, in Libia e in Grecia. Le mostrine
rappresentano le onorificenze conquistate.
La sciabola è una lama che
serve a colpire di taglio e non
di punta, come la spada; per
questa sua caratteristica è
molto utile negli scontri
ravvicinati o a cavallo. Questo
esemplare è stato rinvenuto
durante una ricerca di reperti
bellici nelle trincee della zona
di Caporetto (l’attuale
Kobarid, in Slovenia).
Tessera di Riconoscimento di Giovanni Scaltritti, il quale, nel 1908,
assistette al terremoto di Messina. Era un ufficiale sommergibilista in
servizio a La Spezia. La tessera gli è stata rilasciata a Roma il 14-06-1927.
Era l’alta uniforme della Fanteria libica. Paolo Ravalli terminò la sua
carriera con il grado di colonnello. La fascia azzurra, tipica degli
ufficiali, richiama i colori di casa Savoia.
È una macchina da calcolo
prodotta nel 1913 che veniva
usata come le moderne
calcolatrici.
Era utilizzata alle assicurazioni
«Generali». Mio bisnonno Carlo
la ritirò quando decisero di
mandarla al macero e da allora
fa parte della collezione di
oggetti di lavoro di mio nonno
Vittorio.
I body attuali sono molto diversi da quelli di una volta,
ma li accomuna il materiale. Entrambi sono confezionati
in cotone, anche se oggi si tende ad utilizzare i materiali
sintetici. Una volta erano più raffinati, erano decorati
con pizzi ricamati a mano. Ora i ricami tendono ad
essere sintetici ed elastici, quasi sempre realizzati con
appositi macchinari.
Scriveva come un moderno
computer con un'unica
differenza: quello che veniva
scritto non poteva essere
cancellato.
Usata nel passato da mio nonno
a Trieste, ora fa parte della sua
collezione privata.
Due Heller austriaci a confronto con 2 €.
Oggi le monete in uso sono di sicuro più lucide ed invece del ferro
vengono utilizzati il bronzo, il rame o delle particolari leghe.
Questi orecchini vengono chiamati
“moretti”, perché se li si guarda da
vicino si vede la faccia di un negretto.
Sono dorati, bianchi e neri.
Appartenevano alla mia bisnonna
materna, che si chiamava Maria ed era
nata a Fiume, nell'attuale Croazia.
I “moretti” venivano regalati alle
bambine quando nascevano, come segno
di buon auspicio.
Il meccanismo di questo vecchio orologio è a rubino, il quadrante è
in oro e il cinturino in pelle. Risale al 1918, ma mia mamma lo
ricevette intorno agli anni ’90.
Questa copia è stata
acquistata alcuni anni
orsono nel ghetto di
Trieste, che si trova vicino
a Piazza Unità.
Il proprietario attuale
è mio cugino paterno,
ma allora apparteneva
alla sorella del mio
bisnonno.
È un lavoro di ricamo
in colore rosso,
rappresentante tutte le
lettere dell'alfabeto
italiano e i numeri in
cifre romane e arabe.
Questo manifesto è stato regalato a
mio papà dall’Istituto Studi e
Ricerche CGIL-FVG. È stato
stampato a Trieste il 30 aprile 1902
ed era allegato ad un giornale
chiamato «IL LAVORATORE" in
ricordo del 1 Maggio.
Il rogito apparteneva alla
famiglia Kumrić nel
periodo fra il 1904 e il 1905.
È un documento che
testimonia l’acquisto di un
terreno, situato
precisamente nel comune di
Laznica, nella Serbia
orientale, da parte di un
antenato della famiglia.
È una cartolina datata 25-1-1917,
scritta da Pietro Petrucco,
militare della Prima Guerra
Mondiale, a Petrucco Arturo
Maria. In questo scritto Pietro
Petrucco tranquillizza il fratello
Arturo, dicendogli che va tutto
bene.
Pietro Petrucco, nato a
Limone Piemonte nel 1893,
è stato ufficiale nella
guerra Prima Guerra
Mondiale; era penultimo di
18 figli. Nel dopoguerra,
intraprese con due fratelli
un’attività commerciale
con sedi a Catania,
Messina, Trieste, Belgrado
e Sofia. Pietro era sposato
con Laura Di Zorzi.
Il destinatario è Petrucco Arturo Maria, nonno di mia mamma e
futuro marito di Elda Verdier. Arturo è fratello di Pietro.
Nella cartolina c’è scritto:
«Zona di Guerra 25-1-1917.
Salute ottima, nulla di nuovo,
baciati con mamma, fratelli e
sorella arrivederci presto
troviamoci Fratello Pietro».
Questa cartolina è stata
controllata: c’è il timbro della
censura.
Da sempre, nel passato i governanti fecero uso della censura epistolare,
anzi forse sarebbe opportuno definirla spionaggio perché cercarono di
controllare, e forse contrastare, le azioni progettate a danno del potere,
ma senza lasciare traccia sulle corrispondenze "visitate". Nella prima
guerra mondiale l'operato della censura fu sostanzialmente rivolto ad
evitare diserzioni e disfattismo, o casi di resa al nemico dei combattenti.
Grazie alla
proclamazione della
Repubblica Italiana
(1946) e quindi alla
libertà di stampa e di
critica non esiste più la
censura.
Oggi la cartoline per lo più sono state sostituite dalle mail, infatti è
difficile (ma non impossibile) trovare un giovane che le utilizzi ancora
abitualmente.
Questa è una foto del 1920 e
rappresenta Giovanni Jellussich, nato
a Trieste nel 1872, zio di mia nonna
Delia. Egli fu commilitone
dell‘esercito italiano.
Nella fotografia è presente anche
l’amico Franz Clun di Rozol.
Si può notare che lo sfondo non è
reale, ma si tratta di un set
cinematografico.
Nella foto ci sono Giuseppina
Italia e Paolo Ravalli. Egli,
dopo gli studi come geometra,
si arruolò nella Fanteria,
occupandosi prevalentemente
di questioni amministrative.
Questa foto è stata scattata a
Tripoli, in Libia, dove la coppia
si trovava negli anni ‘20.
Era ebrea, nacque nel 1890 nel
ghetto di Venezia. Era figlia di un
garibaldino. Ebbe una vita
intensa e tumultuosa, con due
matrimoni. Per lavoro, visse
anche in Libia dove gestì un
albergo e poi una ditta di
inchiostri.
Si tratta del progetto di un orologio
Lo stesso orologio si trova nella
domestico. L'incastellatura porta le
Foresta Nera, in Austria e in Slesia.
iniziali dell'artigiano ideatore e
costruttore dell'orologio- A (Alfeo),
S (Solari). Lo stampo in legno e il
progetto sono reperibili presso la
bottega di un orologiaio della Val
Pesarina, il signor Daniele Crosilla, di
anni 70, ex-dipendente della Ditta
Fratelli Solari di Pesariis e allievo di
Alfeo Solari. Il “pesarino” della prima
generazione era un orologio
domestico, a parete, datato 1680 e
costruito da artigiani delle valli
alpine della Carnia, in particolare
della Val Pesarina.
Docenti: Manuela Sichich (Lettere)
Anna Tognoni (Tedesco)
Valerio Morano (Arte)
Ist. Reg. per la storia del movimento e la liberazione nel Friuli Venezia Giulia
Le famiglie degli studenti
Gli ex alunni della III A
Scuola “Divisione Julia” Trieste
Panificio Panetteria Sircelli
Il negozio Doctor Photo
Il sig. Primosi
Gentile N. D. Santina Deodato