sentenza Avv Stivanello – compensi sportivi

7/11/2014
FiscoSport
GIURISPRUDENZA
MARTEDÌ 29 OTTOBRE 2013
COMPENSI PER ATTIVITA’ SPORTIVA DILETTANTISTICA: due recenti pronunce di merito (Trib.
Roma, sez. lav., 11/7/2013 n. 9284 e Trib. Firenze, sez. lav., 6/6/2013 n.671 ) “bocciano” gli istruttori
dilettanti.
Continuità, competenze tecniche e ammontare dei
compensi denotano professionalità della prestazione e
fondano la pretesa contributiva dell’INPS (ex ENPALS): è
quanto affermano le decisioni in commento, ma le
motivazioni offrono spunti di riflessione critica e non
appaiono sempre così coerenti con la portata delle norme
agevolative. A meno di non concludere che siano esenti da
tassazione e contribuzione solo i compensi occasionali...
ma è evidente che non può essere così. Fiscosport sta
preparando un approfondimento specifico per affrontare in
maniera organica le diverse problematiche sul regime dei compensi erogati agli sportivi
dilettanti: in questo numero, con una breve analisi delle decisioni annotate, ne offriamo
un'anticipazione.
Biancamaria STIVANELLO
AVVOCATO
IN
PADOVA
Le due sentenze in oggetto sono relative ad opposizioni avverso avviso di addebito (o cartella di
pagamento) emessi da INPS (ex ENPALS) a titolo di omessi contributi in relazione a compensi erogati in
ambito sportivo dilettantistico ai sensi dell’art. 67 comma 1 lett. m) T.U.I.R.
Va premesso che in entrambi i giudizi non viene contestato lo status di ASD/SSD delle ricorrenti, né la
natura subordinata del preteso rapporto di lavoro (contrariamente a Trib. Ancona, sez. lav.10/4/2013,
commentata in Newsletter n. 8/2013, che ha invece accolto le domande di un’associazione sportiva
dilettantistica affermando la legittimità dei compensi erogati ai collaboratori non avendo i verificatori
adeguatamente provato la natura subordinata del rapporto di lavoro): la pretesa contributiva dell’ente si
fonda dunque essenzialmente sulla professionalità della prestazione, sul presupposto pacifico in causa che
le collaborazioni siano di natura autonoma (ergo, non siano di natura subordinata).
Le norme di riferimento sono:
- il D.M. 15/3/2005 che ha adeguato le categorie di lavoratori da iscrivere obbligatoriamente all’ente
includendovi gli istruttori e addetti agli impianti e circoli sportivi di qualsiasi genere, anche non legati da un
rapporto di lavoro dipendente,
- l’art. 67 comma 1 T.U.I.R. che include tra i redditi diversi i compensi erogati agli sportivi dilettanti se non
costituiscono redditi di lavoro dipendente ovvero redditi conseguiti nell’esercizio di arti e professioni,
- e l’art. 35, comma 5, d.l. 207/2008 che ha esteso, con norma di interpretazione autentica, l’applicabilità
dell’agevolazione ex art. 67 anche ai compensi per le attività formative e di assistenza (gli istruttori sportivi)
ampliando il concetto di “esercizio diretto di attività sportiva dilettantistica”.
In particolare, si ricorda che l’incipit dell’art. 67 T.U.I.R. - premessa comune a tutte le varie (ed eterogenee)
fattispecie individuate nei punti successivi, compresa dunque la lett. m) oggetto delle sentenze in
commento - esclude l’applicazione del regime dei redditi diversi (e, dunque, l’agevolazione relativa ai
compensi “sportivo dilettantistici”) quando i redditi stessi “sono conseguiti nell’esercizio di arti o professioni
…. (ovvero) in relazione alla qualità di lavoratore dipendente”.
Così delineata la materia del contendere, si possono analizzare i motivi fondanti delle decisioni che
appaiono, in diversi passaggi, non condivisibili, pur essendo oggettivamente non contestabile il principio
fondante, e cioè che se e nella misura in cui l’attività dell’istruttore viene svolta secondo i criteri della
professionalità e/o della subordinazione non è possibile accedere ai benefici fiscali e contributivi previsti per
i c.d. “redditi diversi”:
- nella prima sentenza viene affermata la natura professionale della prestazione per i tre istruttori censiti
dell’ente previdenziale perché, come si legge nella motivazione, “tenevano corsi stabili presso
l’associazione almeno tre volte alla settimana, di tre o quattro ore per giornata, erano dotati di competenze
tecniche e venivano remunerati con contributi significativi se proporzionati all’impegno richiesto”. In
particolare, viene evidenziato che un istruttore percepiva un compenso fisso di 1.700 € mensili, un altro di
1.500 € mensili e il terzo era remunerato con compenso orario, ma effettuava, probabilmente, un numero
consistente di ore di lezione;
- nella seconda, relativa a 33 istruttori e a 22 assistenti agli spogliatoi, perché avrebbero svolto la loro
“attività con carattere di continuità e ripetitività (risultando aver lavorato per almeno tre annualità con
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cadenza periodica) percependo compensi di natura sicuramente non marginale”; tra i soggetti erano inclusi
non solo un direttore che percepiva importi decisamente rilevanti ma anche molti altri collaboratori che
avrebbero ricevuto mediamente tra i 5000 e i 6000 euro all’anno. Mediamente, il che significa che, a fronte
di alcuni istruttori che percepivano compensi in misura superiore, ve ne erano evidentemente altri che
percepivano compensi inferiori.
Va precisato che non si desume dalle sentenze se i collaboratori svolgessero altra attività lavorativa
principale o prevalente (e verosimilmente essi non risultavano altrimenti occupati, considerato che tale
circostanza a quanto sembra non è stata dedotta in giudizio dai ricorrenti) ma deve evidenziarsi che, per il
tenore delle decisioni che si annotano, tale contingenza non è stata affatto determinante.
A sostegno della professionalità il giudice fiorentino richiama il criterio giurisprudenziale secondo il quale è
considerata abituale (e quindi professionale) l’attività svolta con caratteri di continuità e ripetitività sebbene
non necessariamente esclusiva o prevalente, mentre la sentenza del Tribunale di Roma prescinde
totalmente da qualsivoglia argomentazione sull'esclusività e/o prevalenza della prestazione e riconosce la
pretesa professionalità sulla base degli elementi sopra riportati.
Dunque i collaboratori sono stati considerati quali professionisti sulla base di tre circostanze:
1. possesso di competenze tecniche;
2. misura dei compensi;
3. continuità e ripetitività delle prestazioni.
1. Sul primo punto non si rinviene dal testo se la preparazione degli istruttori fosse attestata da diplomi o
titoli (laurea in scienze motorie, qualifiche o attestati rilasciati da FSN o da EPS, riconoscimenti e attestati
rilasciati da altri soggetti); verosimilmente, per quanto emerge nella motivazione, le competenze tecniche
che secondo il giudice sarebbero tout court sinonimo di competenze professionali, non risultavano da
attestati ma sono state desunte dall’autonomia organizzativa e tecnica riconosciuta agli istruttori e dal fatto
che essi avessero preparato alcuni allievi per gare e manifestazioni.
A tale proposito non si può non rilevare che è un evidente equivoco di fondo quello di considerare il
dilettantismo sportivo alla stregua di un settore lasciato all’improvvisazione e/o all’imperizia degli operatori e
in particolare quello di ritenere, come si legge nella prima sentenza, che il possesso di competenze
tecniche (di quale natura poi?) equivale a competenze professionali. Nell’argomentare del giudicante non
viene affatto considerato che nell’ambito delle attività sportive dilettantistiche è assolutamente normale
(ancorché non necessario, salvo per limitate e ben precise discipline) che gli istruttori posseggano
abilitazioni e/o competenze tecniche, attestate da titoli e diplomi e/o acquisite sul campo per esperienza
personale e ciò anche per chi svolga tali prestazioni a titolo meramente gratuito o a fronte di modestissimi
rimborsi spese.
In definitiva, che l’istruttore sportivo sia (e debba essere) in possesso di adeguate competenze tecniche
è in re ipsa, altrimenti non potrebbe esercitare tale ruolo, indipendentemente dal possesso di eventuali titoli
abilitanti, e dallo svolgimento dell’attività a livello occasionale o continuativo, professionale o dilettantistico.
Tale criterio, particolarmente enfatizzato nella decisione in commento, è dunque all’evidenza privo di
rilevanza determinante e potrebbe ben considerarsi quale elemento del tutto neutro al fine di determinare
la sussistenza della professionalità.
2. In ordine al secondo aspetto merita di essere segnalato il fatto che, nella sentenza di Firenze, venga
considerato quale indicatore di professionalità un ammontare di compensi inferiore alla soglia annuale di
imponibilità ex art. 67/69 T.U.I.R. (ma ritenuto ugualmente sintomatico e decisivo a fronte della durata
pluriennale del rapporto di collaborazione), evidenziando un certo “appiattimento” alle tesi dell’ente (cfr.
circolare ENPALS 13/2006 nella quale viene evidenziata come “soglia di marginalità” il limite di 4.500 €
annui).
3. Quanto alla continuità e ripetitività (che determina necessariamente anche una certa misura dei
compensi) deve evidenziarsi che viene intesa quale sinonimo di abitualità e stabilità ai fini della
riconduzione dei compensi nell’alveo dei redditi professionali.
Anche in questo caso appare opportuno evidenziare che, così come rilevato in ordine al possesso di
competenze tecniche, l’attività dell’istruttore sportivo (così come quella dell’allenatore) non può non essere
caratterizzata dai requisiti di continuità e ripetitività, non essendo ipotizzabile un’attività “occasionale” nei
confronti degli allievi, se non come mera attività di consulenza “spot” in favore di altri istruttori sportivi.
***
Le decisioni, seppure ispirate dall’esigenza di interpretare restrittivamente le norme agevolative che
dispongono l’esenzione contributiva e seppure fondate sul tenore delle note premesse dell’art. 67 TUIR,
lasciano dunque alcune perplessità e spunti di riflessione critica che, come si accennava, verranno ripresi e
analizzati in una apposita newsletter monotematica di prossima pubblicazione.
Per ora basti evidenziare che si tratta di giudizi decisi sulla base di prove documentali (indicativamente, da
quanto si evince in motivazione: dichiarazioni dei collaboratori rese in sede di ispezione, ammontare dei
compensi, contratti/lettere di incarico, durata dell’incarico) che non appaiono da sole risolutive o
preponderanti ai fini di un compiuto accertamento della natura delle prestazioni.
Inoltre, la decisione del giudice del lavoro di Firenze è fondata anche su una rilevante questione
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procedurale: secondo il giudicante a fronte della contestata professionalità delle prestazioni, spetterebbe
alla SSD opponente l’onere di provare il carattere occasionale e marginale dell’attività svolta.
La circostanza non è condivisibile né in ordine al riparto dell’onere della prova (che a norma dei principi
processuali dovrebbe gravare sull’ente, tenuto a dimostrare ogni elemento a sostegno della pretesa
contributiva azionata e quindi anche la sussistenza dell’asserita professionalità) sia e soprattutto perché
esplicitamente circoscrive i compensi alle sole ipotesi di prestazioni occasionali e saltuarie e in quanto tali
marginali, così come del resto lascia presupporre anche Trib. Roma. (Questo giudice si pronuncia
espressamente sulla legittimità dei compensi anche per le attività didattiche e formative, salvo poi
riqualificare gli istruttori come professionisti proprio perché tengono corsi in maniera continuativa,
circostanza che denoterebbe stabilità e dunque professionalità).
Ma, soprattutto, le sentenze non appaiono convincenti perché non sembrano individuare criteri univoci e
convergenti che consentano, qualora compiutamente accertati, di ricondurre le collaborazioni sportive
dilettantistiche nell’alveo dei redditi professionali assoggettabili a contribuzione. Né possono essere
trasposti i criteri individuati da un filone giurisprudenziale formatosi in tema di iscrizione all’Enpals in
generale, come ritiene il G.L. di Roma: si tratta di interpretazione di norme dettate per i lavoratori dello
spettacolo che vengono considerati professionisti anche in presenza di prestazioni saltuarie e occasionali
(e pertanto vengono iscritti sulla base delle mera appartenenza all’elenco delle categorie individuate) che
difficilmente appaiono confacenti al settore sportivo dilettantistico.
Peraltro evidenziano a maggior ragione quanto possa essere irrilevante o fuorviante l’individuare il concetto
di stabilità secondo criteri meramente quantitativi (quante volte, per quanto tempo, da quanto tempo) per
qualificare la prestazione come professionale, se solo si considera che, fin dai primi interventi legislativi a
sostegno del settore, “l’esercizio diretto di attività sportiva dilettantistica” è destinato all’ambito di organismi
riconosciuti a fini sportivi e quindi allo sport organizzato che necessariamente contempla attività
continuative (e anche ripetitive) nel tempo.
Del resto l’agevolazione – ormai è pacifico – non è limitata allo svolgimento di manifestazioni sportive o
eventi (e pertanto riservata alle sole prestazioni occasionali o saltuarie) ma - vista l'interpretazione autentica
introdotta dall'art. 35 comma 5, d.l. n. 207/08 e la portata dell'art.90 l.289/02, sia nell'espresso riferimento
alle attività didattiche e formative e di assistenza allo sport sia per l'estensione del regime dei redditi diversi
ex art.67 comma I lett. m) T.U.I.R. alle collaborazioni coordinate e continuative di carattere amministrativogestionale - ancora una volta presuppone e riconosce anche rapporti non occasionali per i quali i compensi
vengono ricondotti nella categoria dei redditi diversi e non da lavoro, nonostante la continuità delle
prestazioni svolte a titolo oneroso.
Una diversa interpretazione, come quella che sottendono le decisioni in commento, non è semplicemente
restrittiva - pur dovuta nell'applicazione di una disposizione agevolativa e speciale - ma rischia di
vanificare la ratio delle norme pensate e scritte per l'esercizio diretto dell'attività sportiva dilettantistica.
In particolare, pur tenendo in doverosa considerazione che l’entità del compenso non può, da sola,
costituire elemento discriminante della natura del rapporto, non si può tuttavia negare che ne costituisca un
indicatore di primaria importanza. In tal senso, se dalla sentenza di Roma si ricava che i compensi
erogati erano certamente significativi e indicativi di un potenziale rapporto di natura professionale, la
pronuncia dei giudici fiorentini lascia vieppiù interdetti: se anche compensi di entità media di 5/6.000 Euro
annui vengono considerati “di carattere non marginale” e, dunque, indicatori della professionalità della
prestazione, sorge spontanea una domanda:
a chi, e per quali prestazioni, sono dunque applicabili l’art. 67, comma 1, lett m) e l’art. 69, c. 2, T.U.I.R.?
Stiamo assistendo all’abrogazione di fatto, per via giurisprudenziale, della disposizione agevolativa?
Ma è questo il tema che verrà affrontato nelle prossime puntate …
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