Passando per la grande tribolazione

12/5/2014
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10.05.2014
Passando per la grande tribolazione
di Waldemar Boff
Nessuno sa con certezza il giorno e l’ora. Il fatto è che già ci stiamo in mezzo,
senza accorgercene. Che stia succedendo non c’è dubbio, con sempre più intensità e
chiarezza. Ma la grande svolta, quandi avverrà, ci prenderà di sorpresa.
Per quanto esistano dati certi riguardo all’inevitabilità dei cambiamenti globali
dovuti al clima, con conseguenze che gli scienziati tentano di prevedere ma che
saranno sicuramente gravissime, gli interessi economici delle grandi nazioni e la
mancanza di una visione di lungo termine da parte dei loro leader, non consentono
di prendere le misure necessarie per mitigare gli effetti e adattare lo stile di vita allo
stato febbrile della Terra.
Potremmo immaginare uno scenario plausibile in cui gli uragani spazzeranno
via intere regioni. Onde gigantesche ingoieranno città e civiltà, fino ad infrangersi ai
piedi delle montagne. Siccità prolungate porteranno a scambiare tutte le ricchezze
per un semplice bicchiere d’acqua sporca. Caldo e freddo estremi faranno ricordare
con nostalgia i racconti dei nonni sulle brezze pomeridiane, sul conforto di un
focolare durante inverni sempre prevedibili e sui frutti maturati al calore di un
generoso sole estivo. Si mangerà solo per sopravvivere, e il cibo sarà scarso e di
cattivo sapore.
Ma tutto questo non sarà ancora il peggio. La madre sarà così debole da non
riuscire a seppellire la figlia e il nipote ucciderà il nonno per un tozzo di pane. Il cane
e il gatto, amici degli esseri umani, saranno inseguiti dappertutto come ultima
possibilità di calmare la fame. I vivi invidieranno i morti e non ci sarà nessuno a
piangere la morte dei bambini. La fame arriverà a un punto tale che, come nella
Gerusalemme assediata, gli affamati aspetteranno la vittima successiva per litigarsi
la carne disfatta. «La vostra terra sarà desolata e le vostre città saranno deserte. (…).
Finché rimarrà desolata, avrà il riposo che non le fu concesso da voi con i sabati,
quando l'abitavate» (Lev 26,33-35).
Ma sarà la fine di tutta la biosfera? No. A causa dei giusti e dei saggi, Dio
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abbrevierà questi giorni e non decimerà tutta la vita sulla Terra, mantenendo la
promessa fatta a nostro padre Noè. Ma è necessario che l’essere umano passi per
questa tribolazione per svegliarsi dal suo egocentrismo e riconoscere definitivamente
di essere parte della comunità di vita e suo principale custode.
Cosa fare per prepararci per i tempi che verranno? Prima di tutto, riconoscere
che già ci stiamo in mezzo. Oggi già non abbiamo più certezza su quando verrà la
primavera o l’autunno. Non contiamo più sui mesi di freddo e di caldo. Non
sappiamo più riconoscere quando pioverà o ci sarà il sole.
È importante, inoltre, restare calmi, vigilando e osservando i segnali che indicano
l’accelerazione dei processi di cambiamento. E, soprattutto, è imprescindibile
convertirsi, cambiare abitudini di vita, realizzare un cambiamento profondo,
personale e definitivo. Solo allora ci troveremmo nella condizione morale di chiedere
agli altri di fare la stessa cosa. Ma, come al tempo dei profeti, pochi ascolteranno,
alcuni si faranno beffe di noi e la maggioranza rimarrà indifferente, permettendosi
ogni sorta di libertà come al tempo di Noè.
Dovremo ritornare alle radici, ricominciare, come già tante volte ha fatto
l’umanità pentita, riconoscendo che siamo solo creature, non il Creatore, che siamo
compagni e non signori della natura; che per la nostra felicità è indispensabile
sottometterci alle grandi leggi della vita e ascoltare con attenzione la voce della
nostra coscienza. Se obbediremo a queste leggi superiori, coglieremo i frutti della
Terra e la gioia dell’anima. Se disobbediremo, erediteremo una civiltà come quella in
cui stiamo vivendo, piena di avidità, guerre e sofferenza.
Per i tempi di carestia che verranno, è fondamentale recuperare le arti e le
tecniche ancestrali di piantare, raccogliere, mangiare; di prendersi cura degli
animali e servirsi di loro con rispetto; di fabbricare utensili e strumenti con l’arte e la
tecnologia locali; di selezionare e piantare erbe curative e cereali nutrienti; di
raccogliere per tessere; di preservare le fonti d’acqua, di trovare luoghi appropriati
per scavare pozzi e di imparare a conservare l’acqua piovana. Ciò significa iscriversi
alla facoltà di economia di sussistenza, di sobrietà condivisa e di nuda bellezza. Da
questo sapere recuperato e arricchito potrebbe sorgere una civiltà della sobrietà, una
biociviltà, la Terra della buona speranza.
Dopo questa lunga stagione di lacrime e speranze, supereremo questa stupida
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guerra tra le religioni, questa intollerabile disputa tra dei. Al di là dei profeti e delle
tradizioni, al di là delle morali e delle liturgie, torneremo magari ad adorare, sotto
molteplici nomi e forme, l’unico Creatore di tutte le cose e Padre-Madre di tutti i
viventi, nel grande Spirito che tutto unisce e ispira, intrecciati amorosamente
nell’unica fraternità universale. E potremo infine organizzare veramente l’unione di
tutti i popoli del mondo e un autentico parlamento di tutte le religioni.
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