CONVENTION2 Relazione introduttiva del dottor Domenico Lagravinese, direttore del Dipartimento di Prevenzione dell’ASL di Bari e del dottor Vittorio Carreri, coordinatore onorario del Collegio degli operatori di prevenzione, di sanità pubblica e delle direzioni sanitarie della SItI. Bari, 4 Aprile 2014. PREMESSA Rileggendo il documento conclusivo della prima Convention dei Direttori dei Dipartimenti di Prevenzione delle AUSL, tenutasi a Bologna il 5 Aprile 2013, appare evidente che la situazione attuale della prevenzione e della sanità pubblica non sia affatto migliorata. Cerchiamo dunque di analizzare i fatti accaduti. UN CAMMINO IRTO DI DIFFICOLTA’ Accanto alle numerose iniziative portate avanti con impegno dalla nostra Società Scientifica su quasi tutto il territorio nazionale come per esempio il convegno dei giovani igienisti di Napoli(Marzo, 2013), Lecce(Aprile, 2013), Palermo(Giugno, 2013), il Congresso nazionale di Giardini Naxos(Ottobre, 2013), Napoli(Novembre, 2013), Bologna(Novembre, 2013), Foggia(Marzo, 2014), abbiamo assistito ad eventi assai negativi sia a livello centrale che in varie Regioni. Cominciamo dal Parlamento: la legge “Balduzzi” nel 2013 ha introdotto nel SSN elementi confusi, demagogici e corporativi. Si pensi all’introduzione, nei Dipartimenti di Prevenzione di Aree di Sanità Pubblica Veterinaria e della Sicurezza Alimentare delegando ai veterinari funzioni di controllo e sicurezza degli alimenti finora in capo ai medici e ad altri laureati. Quest’ azione avrebbe dovuto razionalizzare la spesa, ma i risparmi derivanti da tale processo sono davvero irrisori ed inoltre questa sovrapposizione inappropriata di funzioni mediche, biologiche, chimiche e veterinarie porta ad un utilizzo poco corretto delle risorse e rischia di creare vuoti di competenze pericolosi per la salute pubblica, fonte di conflitti e di ricorsi ai TAR. Ricordiamo che anche nelle Linee Guida approvate dalla SItI, il 18 Febbraio 2012, si evidenzia che la disarticolazione dei Dipartimenti di prevenzione in un “Dipartimento di Prevenzione Medico” e in un “Dipartimento di Prevenzione Veterinario” sarebbe un grave errore. Non meno grave, richiamando la legge “Balduzzi”, è l’obbligo di certificazione medica per coloro che svolgono attività sportiva non agonistica ed amatoriale. Si tratta di provvedimenti privi di una qualsiasi logica e di nessuna evidenza scientifica. La Regione Liguria incautamente ed in modo avanguardistico, nella dubbia legittimità e , forse anche, costituzionalità, ha soppresso i SIAN, vedendosi però bocciato dal TAR tale processo, sia pure in parte. La Regione Toscana subito dopo, sempre nel 2013, ha depauperato i Dipartimenti di Prevenzione in maniera forse irreparabile. Arrivano in questi giorni cattive notizie dalla Regione Lazio e da altre Regioni. E’ all’esame del Senato il ddl n. 1324 che tratta delle “Deleghe al Governo per la sperimentazione clinica dei medicinali e aggiornamento dei livelli essenziali per prestazioni di controllo del dolore nel parto, sicurezza degli alimenti, sicurezza veterinaria, la riforma degli ordini anche per le professioni sanitarie, tutela della salute umana e benessere animale, promozione della prevenzione”. Nel 2013, la prevenzione e la sanità pubblica hanno dovuto affrontare problematiche molto complesse come l’ILVA di Taranto, la “Terra dei fuochi” in Campania, l’inquinamento chimico delle acque di falda, a volte utilizzate per il consumo umano, nella provincia di Roma, in quella di Verona, di recente anche nella provincia di Pescara. Il progetto “Sentieri” che ha studiato a livello nazionale lo stato epidemiologico delle popolazioni dei territori e degli insediamenti industriali, ci ha messo di fronte ad una realtà preoccupante, visto che ha evidenziato una cinquantina di siti ad elevato inquinamento ambientale. In Puglia, sempre nel 2013, si è verificata un’ epidemia di Sindrome emolitico-uremica(SEU) molto seria con riflessi anche internazionali. I nostri Dipartimenti di Prevenzione, 150 in Italia, hanno tenuto testa a queste emergenze sanitarie, forse alcune erroneamente ritenute tali. I segnali positivi, non sempre conosciuti e fatti conoscere, non sono tuttavia pochi ed irrilevanti. Essi riguardano per esempio le attività di prevenzione, di vigilanza, di controllo ed ispettive svolte dai SIAN e dai Servizi veterinari in materia di igiene degli alimenti e della nutrizione, per la sicurezza alimentare e la tutela della salute dei consumatori. Così pure la sorveglianza, il controllo e la prevenzione delle malattie infettive che viene effettuata anche con l’uso di vaccini sicuri ed efficaci. Non meno valido il contenimento degli infortuni, delle malattie professionali e delle morti sul lavoro. Decisivo il ruolo dei Dipartimenti di Prevenzione negli screening per la prevenzione secondaria dei tumori del colon-retto, del collo dell’utero, della mammella. Le performance migliori, è giusto ripeterlo, si sono avute in quelle regioni dove la responsabilità della progettazione, della attuazione e della verifica dei risultati è stata formalmente affidata ai Dipartimenti di Prevenzione. Finalmente dopo anni di vani tentativi di interventi efficaci e misurabili su fasce di età di popolazione più a rischio per le malattie cardiovascolari, i Dipartimenti di Prevenzione delle Aziende Unità Sanitarie Locali della Regione Veneto, hanno dimostrato risultati positivi di salute guadagnata. Tale esperienza è stata fatta propria da una decina di altre Regioni. Tutto ciò è avvenuto per l’impegno e l’intelligenza degli operatori dei Dipartimenti di Prevenzione, pur con carenze di personale e con una preoccupante mancanza di ricambio generazionale. Fa specie leggere i risultati di un’ indagine conoscitiva svolta dalla Commissione affari sociali della Camera dei Deputati ( luglio 1988-luglio 1989). Il personale censito nei Servizi di prevenzione delle USL era pari a 19.309 unità a cui si dovevano aggiungere altri 5.220 operatori laureati, tecnici e amministrativi dei Presidi Multizonali di Prevenzione (PMP). Non possiamo tuttavia fare confronti perché da alcuni anni nessuno ci mette a disposizione dati attendibili sullo stato dei Dipartimenti di Prevenzione. Nell’ultimo anno, abbiamo assistito ad un attacco scriteriato al SSN che mai in precedenza si era verificato. Persino alcune organizzazioni corporative anche di Medici di Medicina Generale, si sono distinte in tal senso ed in alcuni casi hanno chiesto che venisse concesso loro quel miserrimo 5% dei finanziamenti per le funzioni e le attività di cui al primo LEA, peraltro mai avuti a disposizione dai Dipartimenti di Prevenzione. Queste categorie professionali, convenzionate con il SSN, mai si sono distinte per una reale ed efficace attività di prevenzione e di sanità pubblica. In questo momento è in corso il confronto parlamentare sulla revisione della “Parte seconda, Titolo V della Costituzione della Repubblica Italiana. La confusione in atto è spiegata anche dal fatto che nel dibattito sulla competenza istituzionale e costituzionale non manca chi sostiene “tutto allo Stato centrale”, al fine di eliminare l’intollerabile eterogeneità dei modelli normativi e organizzativi delle Regioni e Province Autonom. Il Consiglio dei Ministri, il 31 marzo u.s., ha approvato una proposta di modifica del Titolo V che sulla sanità non chiarisce nulla. Si indica come competenza dello Stato centrale la: “ determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Allo Stato inoltre, in materia sanitaria, spetta stabilire: “ norme generali per la tutela della salute, la sicurezza alimentare e la tutela e sicurezza del lavoro”. Questa modifica sarà causa di infiniti ricorsi alla Corte Costituzionale sia da parte dello Stato centrale che delle Regioni. Aumenteranno pertanto nello stato di confusione gli attacchi al SSN. Molti da tempo puntano anche alla disaggregazione dei Dipartimenti di Prevenzione. Alcuni Ministeri e Istituti Centrali hanno rialzato, incredibile a dirsi, il capo. Il bersaglio facile sono diventate ovviamente le Regioni. Eppure il SSN dal punto di vista del rapporto tra la spesa e i servizi erogati è tra i primi in Europa e nel Mondo E’ TEMPO DI DIFESA E DI RILANCIO DELLA PREVENZIONE E DELLA SANITA’ PUBBLICA. La prima riflessione che indirizziamo anche agli altri colleghi delle Associazioni e delle Società Scientifiche partecipanti alla Convention, è che dobbiamo evitare di continuare a sbattere la testa contro il muro dell’indifferenza delle Istituzioni centrali e regionali. A Bologna responsabilmente avevamo chiesto come Società Scientifiche al Governo e alle Regioni di promuovere una Conferenza Nazionale sullo stato della prevenzione e della sanità pubblica, al fine di trovare insieme le soluzioni idonee per un rilancio sia ai fini della promozione della salute che per concorrere alla ripresa di un auspicabile sviluppo sociale ed economico dell’Italia. Estendiamo nuovamente in questa sede la proposta al Presidente della Conferenza Stato-Regioni-Province Autonome di Trento e di Bolzano di organizzare, entro l’estate, una Conferenza nazionale che un tempo si sarebbe detta di “produzione”. Prendiamo comunque atto della presenza della SItI al Convegno”Stati Generali della salute” del competente Ministero, in programma per l’8-9 Aprile. In tale occasione, il Presidente della SItI, Michele Conversano, presenterà, nella Sessione Prevenzione, una relazione sull’importanza della diagnosi precoce di alcuni tipi di tumore. Comunque, amici e colleghi, siete tutti invitati a partecipare al Congresso nazionale della SItI che si terrà, a Riccione, dal l’1 al 4 di ottobre 2014. In questo momento il Ministero della Salute e alcuni funzionari regionali stanno predisponendo la proposta di Piano Nazionale Prevenzione per gli anni 2014-2018. Fino a pochi giorni fa, era un libro dei sogni di 79 pagine. Ancora una volta non c’è un’analisi chiara ed approfondita dei risultati dei due precedenti Piani Nazionali Prevenzione e dei Piani attuativi regionali. Gli obiettivi appaiono numerosi e confusi. Di conseguenza le priorità neppure si intravvedano. Le buone pratiche sono per lo più sconosciute. Persino i validi risultati ottenuti dai Dipartimenti di Prevenzione in alcune Regioni sia nella prevenzione delle malattie cardiovascolari che negli screening dei tumori non sono presi in considerazione. In 79 pagine della bozza di PNP, quinquennale, non compaiono mai le parole “Dipartimento di Prevenzione”. Come si può ragionevolmente affrontare: l’invecchiamento della popolazione, la prevenzione della cronicità, le malattie di maggior rilevanza sociale, specie le patologie croniche e degenerative, senza coinvolgere i Dipartimenti di Prevenzione? Il capolavoro in negativo di tutta questa singolare programmazione è che si è voluto da parte del Ministero della Salute escludere, irresponsabilmente, dal PNP per i prossimi 5 anni la sicurezza alimentare e la veterinaria per motivi ingiustificabili. Il prossimo PNP(2014-2018) non conterrà e pertanto non si interesserà del 30% delle attività di prevenzione e di sanità pubblica. Alcuni funzionari regionali hanno sottoscritto su tali questioni, all’ultimo momento, uno strano patto con i dirigenti ministeriali, sottoforma di un addendum. Si è deciso che si provvederà in seguito a sanare questo gravissimo errore. E’ evidente che aspetti qualificanti come il superamento dell’obbligo vaccinale in tutte le Regioni non siano affatto considerati in detta proposta di PNP. Tanto meno sono indicate le risorse economiche e finanziarie per attuare gli infiniti e controversi obiettivi del PNP. Che fare? Esaminati schematicamente i punti critici, corre l’obbligo di fare delle proposte concrete: 1) Prioritariamente è necessario impedire lo smantellamento dei fondamentali contenuti, unitari e globali, della riforma sanitaria del 1978. Respingiamo dunque con determinazione i tentativi burocratici e centralisti tendenti a riportare interi settori di attività come la prevenzione e la sicurezza negli ambienti di lavoro sotto Ministeri, Agenzie, Inail, eccetera. Oppure la volontà mai sopita di trasferire il settore veterinario al Ministero delle politiche agricole. Così come siamo contro l’abrogazione dei SIAN e la disgregazione strumentale e corporativa dei Dipartimenti di Prevenzione con il trasferimento del settore dell’Igiene e della Sanità Pubblica ai Distretti e ai MMG. Siamo invece assai impegnati nel riordino organizzativo dei Dipartimenti di Prevenzione sulla base del decreto legislativo 502/92 e delle sue modifiche ed integrazioni, nonché dei contenuti qualificanti delle Linee Guida per lo sviluppo dei Dipartimenti di Prevenzione, approvate dalla SItI. Il superamento delle attività inutili ed obsolete, rivendicato da molti anche in questi giorni, lascia perplessi. Alcune Regioni, dalla Lombardia alla Puglia, hanno abrogato, con proprie leggi, tutto ciò che si doveva eliminare, più di 10 anni fa. E’ pur vero che in molte realtà regionali, i Dipartimenti di Prevenzione sono ancora oggi impegnati in compiti e pratiche, inutili ed obsolete, la cui efficacia e appropriatezza non sono provate e che non sono neppure periodicamente sottoposte a verifica. Ad un collega che ci chiedeva maggiore omogeneità nei comportamenti dei Servizi di prevenzione abbiamo risposto che neppure l’omogeneizzato che diamo ai nostri figli e nipoti è omogeneo. Forse se continuiamo a lasciare troppi incompetenti in molti uffici regionali sarà difficile superare le rilevanti carenze, specie nell’esercizio dei compiti istituzionali di indirizzo, di coordinamento, di programmazione e di controllo. 2) IL SSN si regge su tre pilastri fondamentali: il Dipartimento di Prevenzione, il Distretto, l’Ospedale. Il Dipartimento di Prevenzione per molti aspetti, a partire da quelli della prevenzione e della sicurezza negli ambienti di vita e di lavoro, è sovra ordinato a tutte le altre strutture sanitarie, socio-sanitarie, sociali e produttive. Se snaturiamo i Dipartimenti in una specie di centro studi, in sotto prodotti vari, se chiamiamo unità operative i servizi, se continuiamo a costruire aree fantomatiche e piramidi di sovra ordinati, spesso irresponsabili, un sistema complesso e di difficile governo e gestione come è il Dipartimento di Prevenzione, i risultati non saranno per nulla quelli sperati. Oggi c’è anche il problema del dimensionamento aziendale, dell’ ancoraggio effettivo e autorevole al territorio, del controllo democratico sui programmi, sulle attività, sui risultati, sulla informazione e sulla comunicazione. Tutto ciò non può essere realizzato efficacemente con faraoniche AUSL. Poniamo anche la dovuta attenzione a quelle realtà dove non esiste ancora oggi, a distanza di 22 anni, il Dipartimento di Prevenzione come per esempio nel caso della Regione del Molise o dove come in Sicilia, una delle più popolate e complesse Aziende Sanitarie Provinciali, quella di Catania, con oltre un milione e mezzo di abitanti è priva da anni del direttore del Dipartimento di Prevenzione. Alcuni atti tecnici ed autorizzativi in quella Azienda vengono spesso firmati da tutti i Direttori dei Servizi che compongono il Dipartimento. Un grande problema, peraltro urgente, è quello di definire come dovrà essere il Dipartimento di Prevenzione nelle future Città Metropolitane, una decina in Italia. 3) Una risorsa per il nostro Paese è dunque la rete nazionale dei Dipartimenti di Prevenzione. Essi devono essere dialoganti tra di loro e dotati di una mappa nazionale delle buone pratiche nella prevenzione e nella sanità pubblica. Tale mappa, riconosciuta dal Ministero della Salute e dalle Regioni, ufficializzata dalla Conferenza unificata Stato-Regioni- Province Autonome di Trento e di Bolzano ed Enti Locali, deve individuare i centri di riferimento sui principali temi, problemi ed attività inerenti la promozione della salute. Come ha detto qualche giorno fa il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, intervenendo sulla assurda e pericolosa strategia dei tagli: “ La spending review sia selettiva”. Noi aggiungiamo, con modestia, che la prevenzione e la sanità pubblica hanno già dato abbastanza. 4) Abbiamo detto che non abbiamo dati statistici ed epidemiologici, ufficiali, sullo stato organizzativo dei Dipartimenti di Prevenzione, sul numero e sulla qualità del personale addetto, sulle attività svolte, sulla produttività dei servizi, sui risultati ottenuti, sulle difficoltà incontrate e sulle risorse anche economiche e finanziarie realmente utilizzate, specie negli ultimi anni. Governo nazionale e Regioni dunque non possono ulteriormente ignorare ciò. Viviamo, lo sanno tutti, nella “società dei dati” eppure si programma e si agisce di fatto nella condizione più negativa e più assurda. In molte Regioni con grande miopia si “risparmia” sul primo LEA, a cui non viene neppure garantito il 5%( in media il 4,0%) previsto per la prevenzione collettiva dalla normativa. In questo modo si lede il diritto alla tutela della salute di milioni di persone. Sappiamo che, nel 2013, è stato impegnato per la prevenzione il 5,2% delle risorse economiche e finanziarie assegnate al SSN (5.284,08 milioni di euro su un totale di 104.505,76). Non sappiamo tuttavia quanti di questi euro siano stati effettivamente spesi per le funzioni e le attività di cui al primo LEA. Nella presentazione del programma della odierna Convention, sono state scritte parole assai importanti. Per esempio, si sostiene che la governance del sistema assai complesso della prevenzione, della sicurezza e della sanità pubblica, specie dei Dipartimenti di Prevenzione delle AUSL, debba essere impostata sulla innovazione, sulla semplificazione, sulla trasparenza, favorendo il massimo di integrazione interdisciplinare e multidisciplinare. Su questi temi fondamentali e strategici, la Convention dovrebbe fare una scelta chiara, propositiva e definitiva. I problemi urgenti da affrontare sono molti e comportano sinergie più forti tra tutti i professionisti della salute, con obiettivi e priorità certi, con modalità di lavoro efficienti sulla base di progetti e di programmi, con strumenti innovativi, con risultati efficaci, con una qualità alta della spesa. In una parola abbiamo bisogno effettivamente di un moderno “Dipartimento di Prevenzione 2.0”. Ciò è assolutamente possibile per l’intera Nazione. Per la prima volta nella storia, abbiamo infatti abbastanza informazioni su noi stessi da poter costituire sistemi sociali che funzionino meglio di quelli che abbiamo sempre avuto. Alex “Sandy” Pendoland del MIT e che coordina il World Economic Forum, a chi gli segnalava che ci sono anche problemi di privacy, rispondeva con decisione che non era questa una preoccupazione limitativa, bensì “l’occasione per creare un mondo più sano e più ricco”. Nonostante le enormi possibilità di utilizzare anche da parte della pubblica amministrazione moderni ed efficienti sistemi informatici, il Ministero della salute, anche in questi giorni, non vuole dire quanto si spende per la prevenzione collettiva e la sanità pubblica. Esso rende nota, invece, la rimanente parte della spesa sanitaria, stralciandola dalla Relazione generale sulla situazione economica del Paese per l’anno 2012. Ci sono pertanto le spese per il personale del SSN, per beni e servizi, per la medicina generale, per la farmaceutica, per la riabilitativa, per l’ospedaliera. Nulla sulla spesa per la prevenzione. La spesa totale per il SSN per il 2012 è stata di ben 113,683 miliardi di euro di cui 113,036 assegnati alle Regioni e alle Province autonome di Trento e di Bolzano e 0,647 miliardi ad altri enti del SSN, finanziati direttamente dallo Stato centrale. Si usano come riferimento ancora i vecchi LEA del 2001. Quelli aggiornati al 2008, non sono mai stati applicati fino ad ora. La nostra Società Scientifica ha evidenziato più volte la necessità “ che un approccio coerente con le evidenze scientifiche e i dettati degli organismi sanitari internazionali(OMS) debba prevedere, senza ulteriore indugio, l’aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza(LEA) (DPCM 29 Novembre 2001) con i nuovi LEA(ridefiniti con il DPCM 23 Aprile 2008, in base all’intesa StatoRegioni del 5 Ottobre 2006 “Patto sulla Salute” e alla legge 296 del 27 Novembre 2006), che prevedevano importanti sviluppi sia per l’ampliamento dell’offerta vaccinale che per gli interventi di prevenzione delle malattie correlate all’inquinamento ambientale, alla sicurezza igienica e nutrizionale degli alimenti e alle patologie cronico-degenerative”. 5) In questo quadro confuso ed omissivo, forse di vera e propria distrazione di denaro pubblico, dobbiamo tutti insieme tentare un rilancio del Sistema nazionale, regionale, locale della prevenzione, della sicurezza, della promozione della salute. I Dipartimenti di prevenzione rappresentano se trasformati l’asse portante del nuovo modo di fare salute. La rete dei Servizi e dei Dipartimenti di Prevenzione necessita, con assoluta urgenza, di Laboratori di Sanità Pubblica(LSP) comprendenti: ex PMP, Dipartimenti provinciali ARPA, Istituti Zooprofilattici Sperimentali, Istituti universitari e Centri di ricerca. Ci deve essere, a nostro avviso, un LSP nelle regioni più popolose e nelle altre un LSP consorziato. Fondamentale è il riferimento ad una struttura laboratoristica centrale efficiente, moderna, certificata e di supporto. Essa deve nascere dal riordino radicale dell’ISS e dalla aggregazione, anche funzionale, di altre strutture centrali, allo stato tra loro scollegate e scoordinate come per esempio l’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale di ISPRA, quel che rimane dell’ex Istituto Nazionale per la Ricerca nel campo della Alimentazione e della Nutrizione(INRAN) oggi Centro di Ricerca Alimenti-NUT, dell’ ex ISPESL impropriamente inserito nell’INAIL, nonché di alcune funzioni specialistiche degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali e di Centri di ricerca applicata. Questo organismo centrale deve far parte del SSN. Senza adeguati laboratori pubblici per la prevenzione, per la sanità pubblica, per l’ambiente, l’intero SSN è in gravi difficoltà e corre rischi enormi, specie in un mondo sempre più globalizzato. 6) I cambiamenti e i suggerimenti che sono il frutto di oltre 50 anni di esperienze sul campo, non possono essere raggiunti senza una vera e profonda riforma ed un forte ammodernamento del sistema di formazione e della ricerca scientifica, specie per la prevenzione e la sanità pubblica. Governo nazionale e Regioni, avvalendosi delle Società Scientifiche più direttamente interessate, devono promuovere piani e programmi pluriennali, centrali e regionali, idonei per preparare e aggiornare in continuo i professionisti della salute. Vanno utilizzati, come avviene nelle Nazioni più progredite, sia le Università che soprattutto i migliori Dipartimenti, Servizi, Presidi, Unità Operative delle Aziende Sanitarie. Infine essendo il Dipartimento di Prevenzione un organo istituzionale, multi disciplinare e multi professionale, necessita di un’ organizzazione più flessibile, razionale, moderna, qualificata in grado di raggiungere efficacemente obiettivi complessi con il concorso di professionisti di discipline diverse, se necessario anche esterne al SSN.
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