IL PICCOLO – venerdì 14 marzo 2014 (Gli articoli della presente rassegna, dedicata esclusivamente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal sito internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti) Indice articoli TRIESTE (pag. 2) «Difendo la mia idea sui centri estivi» Ferriera, dopo 43 giorni Monassi firma l’Accordo All'asta il marchio il Duke. E lo stato passivo aumenta GORIZIA-MONFALCONE (pag. 6) Sweet, spettro-mobilità per i 55 dipendenti Anche la Codena chiude per fallimento «Caporalato e sfruttamento noti a tutti» TRIESTE «Difendo la mia idea sui centri estivi» di Maurizio Cattaruzza Il film di Alessandro Genovesi con Fabio De Luigi non c’entra, ma Roberto Cosolini ha appena passato la peggior settimana della sua vita (da sindaco). Un uno-due-tre capace di abbattere anche un toro. La sua giunta è riuscita a rimanere in piedi, anche se dicono che hanno dovuto portare i sali a sindaco e assessori. Una settimana d’inferno, cominciata male con il video delle “Iene” sulla Ferriera dove il Robertone nostrano ha perso la pazienza con la giornalista che lo incalzava come una zanzara-tigre e finita peggio. Dopo le polemiche sui social innescate per un incarico affidato dall’assessore Fabiana Martini per quattro soldi a Rosy Russo, è arrivata la mazzata sotto forma di una sentenza Tar che ha accolto il ricorso delle maestre “ribelli” sui centri estivi. A quel punto il Robertone ha dovuto fare un bel respiro e mantenere un aplomb stile Pd. Non poteva certo imitare un certo signore che vive ad Arcore, che da vent’anni almeno tuona contro i giudici. Sindaco, ancora vivo dopo una settimana così? Ancora vivo, sì. Le settimane sono sempre impegnative, diciamo che la settimana scorsa ci ha dato più problemi che soddisfazioni... Iniziamo dalle questioni apparentemente più semplici: durante l’intervista alla giornalista delle Iene sulla Ferriera a un certo punto sembrava avesse la tentazione di menarla. Un peso massimo contro un peso piuma... No, no, questo no. Assolutamente. Non ho mai pensato di farlo. Parola di boy-scout come il suo principale Matteo Renzi? Parola di boyscout. Comunque ha perso le staffe, reazione da cartellino rosso... Diciamo che ho perso le staffe perché quello della Ferriera è un problema grave e serio su cui sto lavorando intensamente con questa amministrazione. Finora abbiamo abbassato i valori di benzopirene e siamo arrivati a portare all’attenzione del governo la questione Ferriera firmando l’Accordo di programma. C’è una parte dell’intervista che non è andata in onda in cui la giornalista mi ha trattato come fossi il responsabile per la situazione creatasi a Servola. Detto questo, è sempre sbagliato innervosirsi. Ma può capitare, è umano. Beh, abbastanza sportivo nel riconoscere l’errore. Lo sono sempre stato, vengo dal basket... Passiamo a questioni più amene, andiamo su Facebook dove ha tanti amici ma anche tanti nemici. Pericolosi i social per questa giunta... Tutt’altro che pericolosi, sono un importantissimo strumento di dialogo e io ci dedico molto del mio poco tempo prima, durante e dopo la campagna elettorale. Ma se parliamo dell’incarico affidato a Rosy Russo per i corsi ai dipendenti, il sindaco non dovrebbe controllare tutti gli atti dell’Amministrazione? No, materialmente è impossibile. Ci sono decine di determine dei dirigenti, non basterebbe un sindaco per controllare tutto, ce ne vorrebbero venti. In questo caso particolare si tratta di una cosa molto piccola che è un errore solo perché va tenuto conto dell’ipersensibilità della gente in questo periodo su come spendono i soldi le amministrazioni. Ma, ripeto, data la cifra è un errore di entità molto modesta. Quando ho messo piede in Municipio, ho avuto invece la ventura di vedere quanti amici degli amici, parenti e familiari beneficiavano di decine di migliaia di euro. Ho fatto pulizia in silenzio, riducendo gli amministratori delle società collegate al Comune e ho ridotto gli emolumenti. L’assessore Martini, però, poteva almeno inviarle un sms, a volte un messaggino o una telefonata salva la vita... Mi piace pensare che non l’abbia fatto perché riteneva che fosse un atto di ordinaria amministrazione. Ma questo corso sui social avrebbe potuto farlo anche Trieste Città Digitale, che riceve soldi dal Comune, come sostiene l’opposizione? Guardi, aveva sicuramente le professionalità per farlo ma avrebbe dovuto appena progettare un corso ad hoc. La scelta è caduta su un corso già esistente. Dopo tutte queste disavventure, quella di inizio settimana è stata una giunta da “Cime tempestose”? Io cerco di non arrabbiarmi mai. Tutte queste situazioni alla fine fanno crescere il gruppo, la giunta ne uscirà più consapevole con uno spirito di squadra rafforzato. Dopo una sconfitta bisogna tentare di fare ancora di più spogliatoio, bisogna fare tesoro degli errori e trovare le motivazioni necessarie per vincere le prossime partite. Squadra che sbaglia anche si cambia a volte: nei prossimi mesi ci sarà qualche altro avvicendamento in giunta? Lo escludo. Questa è una bella squadra, giochiamo una bellissima sfida. Stiamo facendo un grande lavoro. Ma alcuni suoi assessori hanno il vizio di dimenticarsi il telefonino a casa o di tenerlo silenzioso, così non lo sentono... Beh, se qualcuno ha questo vizio se lo tolga. Il cellulare deve averlo sempre a portata di mano come ce l’ha il sindaco che è sempre raggiungibile. Il suo ultimo fine settimana non deve essere stato un granché dopo il cadeau del Tar sui centri estivi. Non se l’aspettava, vero? Le sentenze non sono mazzate, nella pubblica amministrazione, che ha spesso normative complesse, le cause sono numerosissime. Spesso si vincono e talvolta si perdono. Resto dell’idea che in un momento in cui tutti predicano il taglio della spesa pubblica chiedere un sacrificio alle maestre, peraltro incentivate, fosse una richiesta giusta anche in nome di un principio di solidarietà generale in un momento in cui molta gente è senza lavoro. Sono dell’avviso che quel tipo di idea per risolvere il problema dei centri estivi è giusta. Tuttavia prendiamo atto della sentenza che stiamo valutando nei suoi aspetti tecnico-giuridici. Vie d’uscita? La materia ora è oggetto di un approfondimento che consenta soprattutto di garantire il servizio alle migliori condizioni di sostenibilità. Sarei molto contento se ci fosse anche l’adesione dei lavoratori ma non amo forzature. Sta forse pensando di riaprire la partita con un tavolo sindacale? È sempre utile confrontarsi con i sindacati, dobbiamo però verificare se ci sono le condizioni per farlo ed eventualmente vedere qual è il margine di trattativa. Difficile, però, ripristinare un dialogo con una controparte che vuole chiedervi i danni e potrebbe dissanguare le casse del Comune... Dubito che lo faranno, sarebbero soldi chiesti al Comune, quindi pubblici, della gente. Cambiamo gioco e parliamo di nuove tasse locali, della serie paga e Tasi... Ci stiamo lavorando, nonostante i cambiamenti continui lo scorso anno il bilancio di previsione noi lo abbiamo approvato a fine luglio. Quest’anno voglio fare molto prima. Posso assicurare che la pressione fiscale complessiva sul territorio non aumenterà. Cambiano solo le regole: a seconda del reddito ci sarà chi pagherà meno e chi pagherà di più. Ricordo che siamo stati il Comune che ha applicato l’Imu più bassa d’Italia sulla prima casa, il 3,9. E non contradditelo, altrimenti diventa anche lui una Iena... Ferriera, dopo 43 giorni Monassi firma l’Accordo «L’Arpa si è impegnata a migliorare il Protocollo di controllo interno per la pubblicazione dei dati ambientali e si è già» constatato «l’effettivo miglioramento del sistema di comunicazione». Ha risposto così l’assessore regionale all’Ambiente Sara Vito all’interrogazione del consigliere M5S Andrea Ussai sulle rilevazioni delle esalazioni emesse dalla Ferriera. Il grillino ha citato il servizio tv delle Iene da cui, tra l’altro, emergevano forti dubbi sulla validità dei monitoraggi dell’agenzia. «Il 23 dicembre – così Ussai – una delle tre centraline posizionate vicino alla scuola di via Svevo ha rilevato Pm10 pari a 15 volte il limite di legge consentito. Tale dato allarmante sarebbe stato pubblicato sulla pagina ufficiale Arpa per un giorno e poi sostituito con la dicitura “non disponibile”, prassi che verrebbe applicata di frequente nei casi in cui i dati siano ritenuti anomali». Ripercorrendo le vicissitudini dello stabilimento, tra cui l’Accordo di programma, Vito ha garantito che l’agenzia «si è impegnata per l’efficientamento della rete nazionale di adeguamento della qualità dell’aria, acquisendo anche stazioni di misura non di proprietà come via San Lorenzo in Selva». (g.s.)di Silvio Maranzana Dopo quarantatrè giorni è arrivata anche la firma di Marina Monassi. La presidente dell’Autorità portuale, come ha informato ieri una nota della stessa Authority, «ha firmato in data odierna a Roma l’Accordo di programma per la disciplina degli interventi relativi alla riqualificazione delle attività industriali e portuali e del recupero ambientale nell’area di crisi industriale complessa di Trieste». Già il 30 gennaio l’Accordo, che mette in campo 72 milioni di cui ben 57 pubblici, era stato sottoscritto a Roma da quattro ministri: Flavio Zanonato (Sviluppo economico), Andrea Orlando (Ambiente), Enrico Giovannini (Lavoro) e Carlo Triglia (Coesione territoriale) unitamente al sottosegretario di Infrastrutture e trasporti Rocco Girlanda, assieme alla presidente della Regione Debora Serracchiani, al sindaco Roberto Cosolini, all’assessore provinciale Vittorio Zollia in rappresentanza della presidente Maria Teresa Bassa Poropat e all’amministratore delegato di Invitalia (Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa) Domenico Arcuri. Monassi non si era presentata, ma aveva inviato a Roma il segretario generale facente funzioni Walter Sinigaglia che dopo lunghi conciliaboli al cellulare non aveva firmato il documento. La nota di ieri dell’Authority, parla di firma «su mandato del Comitato portuale dopo che tutti gli altri sottoscrittori avevano aderito al documento del capo di gabinetto del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti Giacomo Aiello» e sottolinea la presenza di «un addendum che conferma la competenza dell’Autorità portuale di Trieste per la quantificazione e riscossione dei canoni demaniali e modifica la clausola dell’Accordo secondo la quale era impossibile risalire ai responsabili dell’inquinamento. In sostanza - conclude l’Authority viene ribadito il principio per cui chi inquina paga». Considerazioni alle quali hanno ribattuto immediatamente il sindaco Roberto Cosolini e l’assessore regionale Francesco Peroni. «Il principio per cui chi inquina paga - sottolinea il sindaco - è stabilito dalle leggi e non è mai stato minimamente messo in discussione dall’Accordo per cui non esisteva alcuna ragione ostativa a porre la firma già il 30 gennaio così come ora non è stata fatta alcuna modifica al testo dell’Accordo. Ciò che l’Authority dice di aver ottenuto - continua Cosolini - era implicito fin dall’inizio così come era chiaro da subito che deputata alla riscossione dei canoni sarebbe stata l’Autorità portuale. La soddisfazione per la firma dell’Authority sarà completa quando sarà stata realmente superata la crisi industriale di Trieste». E il sindaco ha anche diffuso il testo della comunicazione che Comune e Provincia hanno inviato al ministero per lo Sviluppo economico e che afferma: «Con riferimento a quanto richiesto, nel ribadire la validità e coerenza dell’Accordo di programma per l’area di crisi industriale complessa di Trieste così come sottoscritto in Roma in data 30 gennaio 2014, questo Ente concorda sulla considerazione, indicata nella nota del Capo di Gabinetto Mit del 7 febbraio 2014, secondo la quale “rimane impregiudicata l’imputazione soggettiva dei singoli atti e attività che nel tempo hanno concorso alla realizzazione dell’area demaniale in concessione alla società Servola SpA con riporti e materiali inquinanti”». E l’assessore Peroni ha rilevato che «la sottoscrizione dell'accordo da parte della presidente Marina Monassi chiude un percorso di faticosa, e francamente non sempre comprensibile, dialettica esercitata dall'Autorità portuale di Trieste nei confronti del Governo nazionale e addirittura del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che dell'Autorità medesima ha la vigilanza. La verità è che nessun Accordo di programma avrebbe mai potuto mettere in discussione i principi di diritto che la presidente Monassi rivendica di aver salvaguardato in prima persona, con postille e addendum apposti di proprio pugno», osserva Peroni. Secondo l’assessore «in particolare deve essere chiaro che mai l'Accordo di programma a suo tempo sottoscritto da tutti, ma non dall'Autorità portuale, ha posto in dubbio il principio per il quale chi inquina ne risponde». All'asta il marchio il Duke. E lo stato passivo aumenta di Gabriella Ziani A un anno e più di distanza dal fallimento della loro fabbrica i 54 ex dipendenti della Duke, il prosciuttificio andato a gambe all’aria il 14 febbraio 2013, riceveranno finalmente, in conformità a quanto assunto dall’Ufficio fallimentare e in primis dal giudice delegato Giovanni Sansone, stipendi e trattamento di fine rapporto arretrati. Il curatore fallimentare Emilio Ressani prevede per fine marzo o inizio aprile il primo pagamento nell’ambito degli ingenti debiti che l’azienda nata nel 1966 in Ezit si è lasciata alle spalle. Non solo, lo stato passivo certificato che a oggi è di oltre 6,9 milioni potrebbe a breve aumentare «forse anche di altri milioni» afferma Ressani, perché il 1.o aprile è fissata un’udienza cosiddetta “tardiva” richiesta da ulteriori creditori che si sono palesati nel frattempo, e tra questi ci sono anche istituti bancari. Si aggrava dunque la situazione mentre nell’arco di un anno sono stati recuperati 2 milioni di crediti, e sono state vendute le attrezzature di produzione, lo scorso giugno, per 290 mila euro. Proprio in questi giorni è uscito un ulteriore bando: il fallimento mette all’asta il marchio “Duke”, si è palesato un possibile singolo acquirente. Il curatore fallimentare è dunque obbligato per legge a fare una “chiama” pubblica per verificare l’esistenza di altri interessati disposti eventualmente a offrire di più. «Ma il marchio di una azienda fallita vale poco, l’offerta è di 10 mila euro - sostiene Ressani -, ed è pervenuta da una persona residente nelle Marche, un amico della precedente proprietà (i Prioglio, ndr) che dunque lo acquista quasi per affetto. Il nome è comunque depositato con vincolo alla lavorazione di prodotti alimentari insaccati, per la quale è stato creato». Il termine per presentare le offerte scade il 24 marzo. Eventuale gara informale si terrà nello studio del commercialista. Ma ciò che più conta è che finora nessuno ha risposto all’offerta di vendita per gli enormi capannoni dell’ex prosciuttificio, che al contrario della Masè (salvata da imprenditori friulani e attualmente in rilancio) non aveva trovato acquirenti alla fine del 2012, quando la crisi era diventata evidente in tutta la sua drammaticità. «Solo in questi giorni - afferma Ressani - ho avuto più di una manifestazione d’interesse, nulla di più, siamo ancora ai primi approcci». Si tratta di un terreno in area Ezit al di fuori del Sito inquinato, con un capannone di 2.515 metri quadrati non gravato da presenza di amianto, con quasi 14 mila metri quadrati di ulteriore terreno in parte (2700 metri quadrati) edificabile. Ciò che frena l’arrivo di possibili investitori non è solo il terribile momento economico, sono i vincoli cui è sottoposta l’area Ezit, con obbligo di insediamenti solo produttivi e non commerciali, cosa che ha già mandato su tutte le furie il presidente Dario Bruni, a capo di una Ezit in serie difficoltà economiche, di fronte a un rilancio industriale inesistente, e all’impossibilità di cedere aree e strutture per imprese commerciali. I commercianti in primis mettono barriere. Dunque vedremo chi sta bussando quali intenzioni ha, e se resterà. GORIZIA-MONFALCONE Sweet, spettro-mobilità per i 55 dipendenti di Francesco Fain Pareva che la situazione stesse per sbloccarsi positivamente. C’era un importante gruppo lombardo pronto a rilevare la “Sweet”, l’azienda dichiarata fallita che era di proprietà di Fabrizio Manganelli. Ciò aveva permesso ai 55 dipendenti di tirare un sospiro di sollievo: una luce, finalmente, si vedeva in fondo al tunnel. Ne parliamo con i verbi declinati al passato perché nubi nerissime tornano ad addensarsi sullo stabilimento goriziano specializzato nella produzione di ovetti di cioccolato con sorpresa. La Wal-Cor Corsanini snc di Cremona non è più interessata a rilevare l’azienda goriziana. A portare la pessima notizia i sindacati che, ieri mattina, hanno incontrato i dipendenti della Sweet sul piazzale dello stabilimento, in via Gregorcic. «Purtroppo, siamo arrivato all’epilogo - spiega Michela Marson, segretaria della Fai-Cisl per Gorizia e Trieste -. La situazione è questa: la cassa integrazione scade il 28 marzo e la società che si era detta disposta a rilevare la Sweet non è più interessata all’operazione. Siamo arrivati a questa situazione con un curatore fallimentare, il commercialista udinese Giuliano Bianco, “latitante”: l’abbiamo inseguito in lungo e in largo ma non siamo mai riusciti a intavolare un rapporto chiaro con lui. Ci aveva detto che la Wal-Cor non nutriva grande simpatia per i sindacati: per questo, ci siamo fatti da parte per non ostacolare la trattativa e non creare turbative. Se non ci fosse stata questa richiesta, avremmo agito in modo totalmente diverso, più incisivo, più forte. A dicembre abbiamo chiesto un incontro ma è stato sempre difficile, per non dire impossibile, incontrare il curatore. E così il tempo è andato avanti». Marson se la prende anche con Confindustria, accusata a sua volta di essere stata assente nella vertenza Sweet. «Non ha mosso un dito», taglia corto la segretaria della Fai-Cisl per Gorizia e Trieste. A ricevere la notizia dello “smarcamento” della Wal-Cor è stato Luciano Sartori, segretario provinciale della Filcams Cgil. «Sì, mi ha telefonato un portavoce dell’azienda di Cremona e mi ha informato di questo sviluppo che ha gli effetti dello scoppio di una bomba a mano. Ci saremmo aspettati che questa comunicazione arrivasse dal curatore fallimentare che, invece, ha ritenuto di tenerla per sè». Ora i tempi sono davvero stretti. Per rinnovare per 6 mesi la cassa integrazione ci vuole il “manifesto interesse” di un’altra azienda. «Ma in questi mesi - ha evidenziato con grande realismo Sartori - sono state una decina le aziende che hanno visitato i capannoni senza poi dare seguito all’iniziale interessamento. Questo è un comparto difficile». Ieri mattina, oltre agli operai, c’erano anche l’assessore provinciale al Lavoro Ilaria Cecot, i segretari provinciale Marco Rossi e comunale Bruno Crocetti del Pd, e il segretario della Feneal Uil Andrea Di Giacomo. «Purtroppo, dobbiamo constatare che ci ritroviamo continuamente al capezzale di aziende moribonde. Occorrono nuove strategie, occorrono più idee perché non si può sempre intervenire quando la situazione è già compromessa». Debiti per oltre 19 milioni: 19.120.588,09 euro per la precisione. Era il 5 agosto 2013 e si delinearono finalmente con maggiore chiarezza i contorni del fallimento della “Sweet spa”, azienda creata da Fabrizio Manganelli. Anche la Codena chiude per fallimento Si trova proprio di fronte alla Sweet. E ha avuto lo stesso, infelice destino. La Codena, ditta sino a qualche anno fa leader nell’importazione ed esportazione di funghi porcini, è stata dichiarata fallita. «Confermo, purtroppo, la notizia. L’azienda - spiega Andrea Di Giacomo, segretario provinciale della Feneal-Uiul - ha interrotto la produzione già nell’agosto dello scorso anno e per i 16 dipendenti si sono aperte le procedure di mobilità». Una speranza pareva essersi aperta in seguito all’interessamento della Asiago Food. «Ma l’azienda veneta - spiega ancora Di Giacomo - ha acquisito solamente il marchio Codena, non manifestando alcun interesse per la sede goriziana». Sede goriziana che è tristemente chiusa. «A metà aprile ci sarà un’udienza nell’ambito della procedura fallimentare». E non è l’unica, pessima notizia che rimbalza dalla martoriata zona industriale di Gorizia. La Coveme, che “confina” con la Codena e che converte il film di poliestere e lo rende adatto a diversi utilizzi industriali (moduli fotovoltaici, antenne Rfid, biosensori medicali, isolamento elettrico, automotive, stampa serigrafica, packaging alimentare e altre) ha messo in mobilità 12 dipendenti dello stabilimento goriziano in un piano che contempla 21 esuberi (i restanti nella sede di Bologna). «Si tratta in larga parte di personale amministrativo - spiega l’assessore provinciale Ilaria Cecot -. In sostanza, sopravvivono solo la parte produttiva e il magazzino». (fra.fa.) «Caporalato e sfruttamento noti a tutti» «Quello che accade in Fincantieri a Monfalcone è cosa nota a tutti, nessuno escluso e già molte volte da parte delle Rappresentante sindacali unitarie di Fim, Fiom e Uilm denunciato». Questa la dichiarazione della componente che fa capo al sindacato dei metalmeccanici di Cgil, Cisl e Uil all’indomani dell’operazione dei carabinieri sullo sfruttamento della manodopera bengalese da parte di alcune imprese del subappalto del cantiere navalmeccanico. «Il sistema degli appalti - ricordano le Rsu - è stato frutto di discussioni a tutti i livelli. Sono 3500 circa lavoratori esterni, 350 circa le ditte: una forbice che varia a seconda delle fasi lavorative. Tutto questo ovviamente diventa ingestibile ed incontrollabile». «Tutti i giorni - prosegue la Rsu - questa ingestione trova evidenza dal continuo flusso di utenze che attraverso il consiglio di fabbrica ricercano i più elementari diritti, dal percepire il compenso mensile al rispetto della dignità attraverso anche la sicurezza sul posto di lavoro, su cui i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls) dello stabilimento hanno sempre documentato le problematiche». «Ogni volta - denunciano le Rsu - noi ci troviamo davanti a dei muri di gomma che con un demandare di responsabilità, sia economiche sia burocratiche, rimandano anche il problema senza mai arrivare alla soluzione più sensata ovvero sradicare una volta per tutte la causa!». Le Rsu di Fim, Fiom e Uilm ritengono «inconcepibile che a oggi ancora altri dipendenti siano in regime di cassa integrazione quando invece la mole di lavoro suggerirebbe il lro reintegro invece di procedere ad appalti selvaggi. L’appalto, che fa parte della storia dello stabilimento, va garantito, controllato e qualificato affinché sia motivo di crescita del territorio». «Vogliamo fortemente - concludono i rappresentanti dei lavoratori - che le istituzioni, gli organi competent e la politica, che si ricorda del problema solo quando sente aria di voto, facciano la loro parte una volta per tutte ponendo fine a questi fatti e ristabilendo la trasparenza e la normalità che un’azienda troppo importante per il nostro territorio sta perdendo nel suo tragitto».
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