Break – fast Lo sfrigolio del bacon nella padella

Break – fast
Lo sfrigolio del bacon nella padella, il profumo si spandeva inebriante nel piccolo appartamento.
Indugiò qualche minuto per renderlo croccante, sapendo che sarebbe stato più gradito; da ultimo,
ruppe due uova direttamente nella padella, osservando con compiacimento l’albume che si
rapprendeva rapidamente.
Sul davanzale della finestra una piccola coccinella faceva capolino tra le larghe trame delle tende.
Era una dolce mattina di Maggio e lei era in piedi, a preparare la colazione per il suo uomo, una
colazione ricca ed abbondante per un uomo grosso e vigoroso, con mani grandi e callose, mani da
lavoratore.
Lei minuta, si alzava prima di lui ogni santo giorno e provvedeva a preparare la colazione,
esclusivamente salata come lui gradiva.
Con le sue piccole e abili mani tagliava il pane casareccio, non troppo spesso per poterlo inserire nel
tostapane.
A lui non piaceva molto il pane per i toast, lo trovava insipido e preferiva il vecchio pane fatto in
casa tostato.
Il calore cresceva e si diffondeva nell’aria quel sapore di pane caldo e friabile.
Intanto provvedeva a sciacquare con acqua corrente le arance, una dopo l’altra, per poi andarle a
tagliare in due sul tagliere e spremerle nello spremi agrumi.
Rosse e sanguigne si aprivano all’incisione della lama lasciando scivolare sulla tavola il succo.
Ancora lo spremi agrumi manuale veniva utilizzato in quella casa, perché a lui quello elettrico non
piaceva.
Diceva sempre che le arance andavano spremute a mano, per poter trarre tutto il succo, mentre con
lo spremiagrumi elettrico il meglio andava sprecato.
Prese la moka con due mani e girò le due parti in senso contrario per riuscire ad aprirla, ma
inutilmente.
La sera prima l’aveva chiusa lui e come sempre, l’aveva fatto con troppa forza.
Diceva sempre che la caffettiera andava chiusa bene, ma il risultato era che lei non riusciva mai ad
aprirla.
Provò ad aiutarsi con un canovaccio umido che stava appeso a fianco a lei, con estremo sforzo,
cercando varie posizioni per poter applicare al meglio quel minimo di vigore di cui era dotata.
Lo sforzo gli faceva gonfiare le vene, ora ben visibili sulle braccia e affluendo maggiormente il
sangue, erano ancora più visibili i lividi che nascondeva con quella vestaglia a maniche lunghe,
chiazze scure che maculavano gli avambracci.
Un cenno di sconforto la fece desistere e cadde in ginocchio a terra, esausta, esasperata e sfinita.
Sfinita per quella situazione, sfinita per le continue umiliazioni, i litigi e soprattutto sfinita da
quell’uomo, prepotente, burbero e incapace di amare.
Un uomo che non amava più da tanto tempo e dal quale non si era nemmeno sentita mai così amata,
quel’uomo con il quale aveva messo al mondo un figlio, speranza che qualcosa avrebbe cambiato e
perso poco dopo in una disgrazia che fece ripiombare la coppia nella disperazione e nell’apatia.
Quell’uomo era diventato sempre più chiuso e impenetrabile, aveva iniziato a uscire e tornare tardi
la notte senza lasciare mai detto dove andava, che aveva iniziato a bere, che era sempre pieno di
rancori e insoddisfazioni, quel uomo che aveva iniziato a sfogare tutto il suo malessere su quella
donna minuta, prima con le parole, che si trasformarono presto in minacce e diventarono di
conseguenza percosse e vessazioni.
Alzandosi rivide il suo volto riflesso sulla specchiera, una donna ancora piacente, ancora giovanile
eppure la sua insoddisfazione, la sua infelicità, trasparivano chiaramente da quella immagine.
Aveva detto basta tante volte, ma lo aveva sempre detto dentro di sé, quella volontà non riusciva a
trasparire, non riusciva a risalire quella voglia di riscatto e di libertà che covava dentro e che
reprimeva costantemente, un po’ per indole, un po’ per ruolo, un po’ per fedeltà alla linea che aveva
preso dando il proprio assenso quel giorno di tanto tempo fa in chiesa, fedeltà ad una linea che con
il passare del tempo era diventata labile e che faceva sempre più fatica a seguire.
Stava lì, scomposta in mezzo alla cucina, con la caffettiera ancora ermeticamente sigillata in mano,
quando lui entrò come un bisonte, sbattendo la porta e bofonchiando qualcosa per tutto quel
baccano che lo aveva svegliato, mentre con una mano si grattava una chiappa.
Si sedette trascinando la sedia sul pavimento e provocando quel rumore stridulo, quel rumore che
produceva ogni qualvolta si sedeva.
Lei stava impassibile, imperturbabile, oramai pensava che niente potesse più scalfire quella corazza
che si era creata in tanti anni di matrimonio, in tanti anni di difficoltà.
E proprio quando era più che certa che sarebbe riuscita a resistere così per sempre, bastò un
semplice annotazione a perforare le sue difese.
“E il caffè?”.
Rimase un secondo immobile, come inebetita e poi procedette come un automa.
Appoggiò la caffettiera che ancora non era riuscita ad aprire sulla tavola, si avvicinò ai fornelli e
prese la padella rovente.
Si avvicinò alla tavola, fece scendere lentamente l’uovo sul bianco piatto da portata che aveva posto
al centro.
Poi alzò lo sguardo fino ad incrociare quello del marito.
Con uno scatto di polso girò la padella e con un rovescio a due mani degno di Jimmy Connors lo
centrò in pieno viso, tanto da sollevare quel grosso energumeno da terra con la sedia.
Lui cadde all’indietro battendo il capo sul basamento del mobile dietro di lui.
Appoggiò la padella sul sottopentola che stava li vicino e riprese nuovamente la caffettiera, gesti
definiti, senza la minima incertezza, senza il minimo tremolio.
Salì a cavalcioni sopra di lui, sistemandosi su quel grasso e molle ventre.
Inarcò un po’ la schiena, una piacevole sensazione di dominio, prese la rincorsa per dare sul muso
di lui, la caffettiera che ancora non si apriva.
Un colpo, poi un altro, un altro ancora, dati con forza, violenza, irrazionalità, uno dopo l’altro,
senza sentire la stanchezza, senza sentire la pietà.
Si susseguivano i colpi man mano che quel volto tumefatto andava perdendo i suoi tratti originari,
le ossa facciali cedevano man mano tra leggeri scricchiolii, mentre i tessuti molli si andavano
gonfiando e cambiando colore.
Continuò così, continuò per molto, fino a quando la caffettiera alla fine si aprì.
Solo allora arrestò la sua furia e con un sorriso tutt’altro che accennato, si rialzò in piedi, contenta di
potersi fare un buono e meritato caffè.
Riempì il serbatoio d’acqua, ma attenta a non andare mai sopra la valvola , pose sopra il cestello e
lo riempì di miscela fino a farla traboccare. Poi calzò con il cucchiaino e lo rimboccò ancora, voleva
un caffè veramente forte. Con i polpastrelli raccolse la polvere di caffè che era rimasta sul lavello e
delicatamente la fece scivolare nella miscela.
Accese la fiamma, regolò la fiamma e prese un coltello.
Si avvicinò, gli tolse la maglia con gran fatica perché la testa si era così gonfiata, gli spostò un
braccio fino a far offrire a quel cadavere il fianco.
Si ritrovò così, in piedi davanti alla finestra, lo sfrigolio del “bacon” nella padella era musica dolce
per le sue orecchie.