IL CASO DI ANDREA INTERVISTA ALLA MADRE DI ANDREA E ALL'INSEGNANTE DI SOSTEGNO dove è emerso che Andrea non si rifiuta di lavorare a tavolino, tanti compiti li faceva a tavolino, non aveva neanche un problema di tenuta sul compito perché a volte resisteva anche più di un’ora. Andrea era un bambino abbastanza grande e i suoi graffi lasciavano il segno. La madre rinunciava a fargli fare il compito. L'insegnante di sostegno, da sola nell'auletta di sostegno, interrompeva subito i compiti proposti. Sulla base delle informazioni raccolte attraverso le interviste e le osservazioni sistematiche delle insegnanti, abbiamo condiviso questa ipotesi sul comportamento di Andrea: “Quando un compito era difficile per lui, quando non lo capiva e aveva la percezione di non essere in grado di svolgere un compito per lui complicato, la sua reazione era “ti prendo e ti graffio”, perché graffiando solitamente veniva interrotto il compito” COSA SI POTEVA FARE? Mi sono detto che probabilmente gli veniva chiesto troppo, nel senso che forse si doveva abbassare il livello delle richieste e graduare un po’ di più il compito. Andrea aveva problemi di comprensione e spesso non capiva bene che cosa gli veniva chiesto di fare. Allora ho cercato di rendere più comprensibile e graduale il compito (ho quindi modificato gli ANTECEDENTI), pensando però che nella vita Andrea avrebbe dovuto pur abituarsi ad affrontare compiti sempre più difficili. Quindi Andrea “graffiava”per evitare il compito. Tutte le volte che cercava di graffiarmi, io gli fermavo la mano (BLOCCO FISICO) e lo riportavo sul compito. Lo guidavo nello svolgimento del compito e continuavo a farglielo fare. Però questo non era sufficiente! Dovevo insegnargli (INSEGNAMENTO DELLA COMUNICAZIONE) a dirmi: “questo compito per me è troppo difficile”. Tramite la PECS ho utilizzato un'immagine con due mani con sotto la scritta AIUTAMI. Volevo insegnargli che il graffiare non portava a niente. Se per Andrea il compito era troppo difficile, me lo doveva comunicare in maniera corretta. Siamo seduti al tavolino, io di fronte a lui, gli presento un compito difficile (il segnale prodromico era “digrignare i denti”) e lui parte con il graffiare. Il compito è difficile per lui, vedo quel segnale, gli afferro la mano e la metto sull'immagine AIUTAMI e gli dico “ah, vuoi che ti aiuto?” e lo aiuto a fare il compito. E questa cosa la ripeto tante volte. Qual è il significato di tutto ciò? Cosa gli stavo insegnando? Il messaggio era: “guarda che se tu mi graffi, io ti fermo le mani e ti faccio lavorare lo stesso. Ma se tu sei in difficoltà e mi dai l'immagine AIUTAMI (all'inizio lo guidavo fisicamente , poi pian piano senza più guidarlo) io ti aiuto subito, e quasi glielo facevo tutto io il compito. Cosa è successo? In breve tempo, Andrea ha imparato che quando era in difficoltà mi dava l'immagine dell'AIUTAMI. Il principio che reggeva questo intervento era: “quando c'è un C.P. devo ragionare sul fatto che io devo SOSTITUIRLO con un comportamento che sia più accettabile”. Un bambino come Andrea che quasi non parla e che non è in grado di esprimere i suoi bisogni, va aiutato ad esprimersi, a comunicare. Ad Andrea mancava la capacità di dire le cose in maniera adeguata, quindi bisognava insegnarglielo,poi, attraverso altre strategie, cercare di ridurre gli aiuti.
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