DOCUMENTO DEL COLLEGIO DOCENTI DEL LICEO MACHIAVELLI - FIRENZE (11.11.14) Il Collegio dei docenti del Liceo Machiavelli, in risposta all’invito del Governo, del MIUR e dell’USR (nota MIUR prot. n° 3043 del 2.10.2014; circolare USR prot. n°25529 del 30.10.2014) a discutere sulla proposta di riforma La buona scuola, dopo un’attenta analisi, espone quanto segue. Esprimiamo un giudizio estremamente critico sul documento “La Buona Scuola”, sia nel metodo sia nel merito. Nel metodo perché, a fronte di una legge di iniziativa popolare presentata in Parlamento (“Per una Buona Scuola per la Repubblica”), si propone una consultazione on-line su un altro testo senza alcuna garanzia di trasparenza, scavalcando così ogni iter legislativo degno di una democrazia parlamentare. Nel merito perché, al di là delle vaghe e allettanti dichiarazioni di principio, il testo presenta elementi di mistificazione e soprattutto proposte pericolose per la salvaguardia della libertà e autonomia (in senso proprio) della scuola e della funzione docente. “La Buona Scuola” perciò non si pone nell'ottica di tutelare le funzioni precipue di quello che il grande giurista Piero Calamandrei definiva il “quarto organo costituzionale” e che deve concorrere all'attuazione degli articoli 3, 9, 33, 34 della Costituzione, ma esprime una visione aziendalista e parcellizzata dell'istruzione pubblica, già immiserita dai tagli e dalle riforme regressive degli ultimi anni. Una scuola che dovrebbe diventare «l'avamposto del rilancio del made in Italy», non essere difesa e potenziata come organo preposto alla formazione dei soggetti e dei cittadini. Entrando nel merito del testo: • i docenti recepiscono positivamente la stabilizzazione del personale precario; osservano però che essa è presentata in modo demagogico come una proposta originale, quando in realtà molte assunzioni, bloccate in seguito per effetto della legge 240/2010 Gelmini, erano già previste dal 2007; l’Italia poi rischia una multa di 4 miliardi da parte dell’Unione Europea per aver trasgredito la norma comunitaria in cui si afferma che non si possono perpetuare contratti precari per oltre tre anni. I docenti denunciano una mancanza di chiarezza circa le procedure di stabilizzazione, che devono essere ispirati a principi di trasparenza ed equità, nel rispetto delle competenze specifiche. A tal proposito lascia sconcertati la proposta di un organico funzionale di incerta destinazione sul piano dell’utilizzazione professionale e della mobilità territoriale. • I docenti sottolineano che il finanziamento pubblico, diffuso e capillare, rimane l'unica risorsa atta a garantire alla scuola una vera autonomia di progettazione didattica. Per questo il sistema di finanziamento misto, previsto nel documento (che non fornisce in realtà nessun parametro numerico preciso), appare insidioso e pericoloso: rischia di incidere di fatto nelle attività proposte, pilotando così indirizzi progettuali che solo la scuola ha la competenza di scegliere ed agire in base alle proprie priorità didattiche e formative, e producendo sperequazioni tra scuole site in territori diversi e con un diverso tessuto socioeconomico a cui attingere. Risulta altresì pericolosa l'idea di allocare le risorse pubbliche in modo discriminatorio alle scuole giudicate più meritevoli, avallando ancora di più il solco tra realtà avvantaggiate e realtà più disagiate. • Il documento, pur vantando di voler rilanciare la dignità e la professionalità docente, di fatto, invece, intende creare gerarchie e competizione, sulla base di criteri di merito peraltro difficilmente quantificabili. L'idea di legare ad un presunto “merito” la progressione stipendiale azzerando gli scatti di anzianità – sostituiti da “scatti di competenza” – e di attribuire l'incentivo economico solo ad una percentuale predefinita di docenti per ciascuna scuola (66%) – idea accompagnata poi ad un farraginoso scenario circa la mobilità dei docenti in cerca di incentivi in scuole meno “virtuose” – mortifica ulteriormente la condizione di una categoria già penalizzata rispetto ad altri Paesi europei. Inoltre, configura di fatto una situazione di superamento del contratto nazionale, in un quadro di flessibilità che non aiuta né la serenità né l'autonomia in un lavoro così delicato come il nostro («Chi ha paura, non può educare», scriveva Erik Erkinson in Infanzia e società, così pure chi è sotto ricatto economico non è facilitato in tale compito). Chiediamo pertanto che vengano mantenuti gli scatti di anzianità, attualmente bloccati, e che i fondi di istituto siano congrui a retribuire le attività ordinarie e aggiuntive di cui la scuola ha bisogno e a sostenerne un'alta progettualità. • Il testo, inoltre, mentre esibisce di voler sgravare la burocrazia scolastica, di fatto rischia di implementarla con meccanismi di valutazione e gerarchizzazione macchinosi che, ancora una volta, non vanno certo nella direzione del sostegno all'attività didattica, ordinaria e progettuale. • Non convince l'impostazione dell'alternanza scuola-lavoro, che, combinata al capitolo del finanziamento privato, configura una scuola (a cui surrettiziamente viene quasi imputata la colpa della disoccupazione in Italia) subordinata alle esigenze dell'impresa. Nelle scuole ove vi sono progetti curricolari o extracurricolari di alternanza scuola-lavoro essi devono obbedire a criteri di natura formativa, che è la scuola non l'impresa a stabilire. • I docenti criticano ancora l'accentramento del potere nella mani del dirigente scolastico, in materia organizzativa e finanziaria a scapito del collegio docenti che manterrà solo competenze in materia di progettazione didattica; e, più in generale, il modo in cui si intende ridisegnare l'assetto gestionale della scuola, superando gli attuali organi collegiali e istituendo un “Consiglio dell'Istituzione” che, recita testualmente il testo, «diventerà il titolare dell’indirizzo generale e strategico»; il consiglio sarà affiancato dal un Consiglio dei Docenti e dal Comitato di Valutazione, mentre altre forme di rappresentanza sarebbero demandate all'autonomia delle singole scuole. Un'idea quindi gerarchica di scuolaazienda, non di una scuola che coinvolga la cittadinanza (mentre intende la partecipazione delle componenti territoriali piuttosto come contribuzione economica). • Per quanto riguarda l'innovazione didattica, altro elemento di cui il governo vanta di volersi fare promotore, esse si traduce di fatto nel potenziamento dell'inglese e della tecnologia digitale: insomma, la scuola delle tre “I” di berlusconiana memoria. Al contrario nel testo non vi è alcun cenno a questioni didattiche cruciali: dall'alfabetizzazione degli ragazzi immigrati, alla crescente difficoltà di comprensione lessicale e produzione di testi complessi da parte degli alunni – in un contesto, quale quello italiano, in cui Tullio De Mauro diffonde un quadro allarmante circa i tassi di cosiddetto analfabetismo funzionale (si rasenta l'80%) –. • I docenti accolgono positivamente il potenziamento della storia dell'arte e della musica, in quanto discipline formative per l’individuo e per il senso di cittadinanza, che devono essere inserite in curriculum coerente. Osservano però che il senso critico, esigenza di cui il documento sostiene di farsi portavoce, si acquisisce però non solo in una logica additiva ma attraverso una pratica didattica basata sul confronto e la problematizzazione, sull’arricchimento con letture integrative, tutti aspetti per i quali occorrono tempi non contingentati e anche, magari, classi con numero di alunni davvero adeguato a poter svolgere un lavoro in profondità. Infine i docenti chiedono con forza che il Parlamento italiano sia messo in condizioni di discutere sulla Legge di Iniziativa Popolare (LIP) “Per una buona scuola della Repubblica”, presentata il 31 luglio 2014, che contiene davvero proposte qualificanti per migliorare l'istruzione e rendere sempre più la scuola comunità democratica che produce cultura e formazione di soggettività attive; tra questi: l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 18 anni; l'incremento del finanziamento pubblico (almeno l'abbassamento il 6% del PIL); del tetto massimo di alunni per classe (fino 22); programmi atti a favorire l'inclusione sociale e la lotta alla dispersione scolastica grazie l'azione di personale qualificato e di mediatori culturali; la valorizzazione del lavoro docente attraverso la formazione permanente, senza la creazione di gerarchie; il potenziamento delle funzioni del collegio docenti e degli altri organi collegiali di rappresentanza; il ripristino degli insegnamenti e delle ore eliminate dalla legge Gelmini.
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