I MIEI NONNI o meglio MIA NONNA Di Ludovica Ferrero 2^D I.C.

I MIEI NONNI o meglio MIA NONNA
Di Ludovica Ferrero 2^D
I.C. Gozzi Olivetti Scuola Secondaria di Primo Grado
Questo racconto parla di mia nonna e dei suoi ricordi d’infanzia, che io, sua
nipote, voglio condividere con voi.
Mia nonna è nata nel 1939 a Trieste, ed ha iniziato la scuola elementare a 6
anni. Ha frequentato 5 anni d’elementari, 3 anni di medie e 3 anni d’ Istituto
Superiore d’ Economia Domestica. Alle scuole elementari i maschi erano
divisi dalle femmine, le classi erano molto numerose ( anche 40 alunni).
Come divisa mia nonna e i suoi compagni portavano un grembiule di
colore nero. La maestra era unica, molto severa e insegnava tutte le
materie: italiano, storia geografia e matematica. Il materiale veniva dato
direttamente dalla scuola e c’era un unico sussidiario per tutte le materie.
La pagella veniva consegnata ogni tre mesi. I voti erano sul rendimento e
sul comportamento. Una o due volte l’anno passava l’ufficio d’igiene che
controllava la presenza di pidocchi o di scabbia. Al posto della mensa
c’era il refettorio, di cui potevano usufruire solo i bambini più poveri, tra
cui mia nonna, in quanto figlia di mamma vedova con 7 figli a carico.
Proprio per il fatto che sua mamma non potesse mantenere la famiglia da
sola dopo il primo anno di elementari, venne mandata con sua sorella più
grande in collegio, che a quel tempo veniva chiamato Istituto per i poveri,.
Furono separate perché non c’era posto per tutte e due nello stesso istituto.
Sua sorella fu mandata in Veneto. La vita di mia nonna si svolgeva
all’interno dell’istituto, e c’è rimasta dai 7 ai 14 anni, quando poi ha iniziato
le superiori. Del periodo del collegio lei ricorda le camerate enormi con
più di 50 letti che dovevano essere rifatti il mattino stesso dopo essersi
alzati. Le collegiali (studentesse) più grandi aiutavano in cucina e con le
varie pulizie, attività divise tra maschi e femmine, regole severissime,
castighi a profusione per chi non obbediva o si rifiutava di fare qualcosa,
preghiere dedicate alla salute dei nostri benefattori e l’unica cosa che non
dimenticherà mai sono le mantelline nere che le facevano indossare per
andare ai funerali di qualche benefattore che non era stato raggiunto dalle
preghiere.
Le vacanze di Natale e di Pasqua lei le trascorreva in collegio. A 14 anni è
uscita dal collegio ed è tornata a casa dalla sua famiglia, anche se il suo
rientro è stato scioccante, dopo 7 anni passati in collegio. Mi ha raccontato
che si è sentita un’estranea, soprattutto perché era forte il divario culturale
tra lei e i suoi fratelli che non erano andati a scuola ma a lavorare, ed erano
arrivati solo alla 5a elementare. E’ stato grazie ad un suo fratello maggiore
che prendeva la pensione da invalido di guerra che mia nonna ha potuto
proseguire gli studi superiori per 3 anni. All’ Istituto d’Economia
Domestica le materie che si studiavano erano storia, geografia, matematica,
italiano, scienze, lingua straniera ( francese e tedesco, perché Trieste era
stata sotto il dominio dell’Impero Austriaco), economia, disegno, storia
dell’arte, educazione fisica e in più c’erano le materie d’indirizzo
domestico, cioè ricamo, corso di cucina e galateo.
Mia nonna mi ha raccontato anche i giochi che si facevano ai suoi tempi, e
dal mio punto di vista, a parte magari la nostra tecnologia avanzata, non
sono così tanto diversi…Voi che ne pensate?
Mia nonna è nata quando è iniziata la Seconda guerra mondiale, faceva
parte di una famiglia molto povera: suo papà era ferroviere e sua mamma
seguiva 7 figli. All’interno della casa in cui viveva c’era un cortile immenso
e i figli erano figli di tutti. Nonostante la povertà generale c’era una forte
solidarietà tra tutti gli abitanti della casa. Giocava a: ruba bandiera, mosca
cieca, nascondino. Un gioco che si ricorda bene era la bambola di
cartoncino da ritagliare che aveva i vestitini ( sempre da ritagliare) che le
faceva indossare ripiegando poi delle lingue del cartoncino che
mantenevano il vestito fermo. A quei tempi facevano i palloni con la carta
di giornale appallottolata e legata con spago: questi palloni in realtà erano
frutto di un furto perché servivano per accendere il fuoco della stufa di
casa ma la voglia di giocare a palla o a calcio era troppo forte. Aspettavano
tutti con ansia l’arrivo della neve: palle di neve, pupazzi di neve ma
soprattutto un cartone sotto il sedere e giù per tutte le discese che
trovavano ed arrivavano alla fine con mani spellate, ginocchia sanguinanti
perché non c’erano le tute imbottite che ci sono oggi, e guai piangere
poiché a casa ti prendevi il resto perché avevi rovinato la roba da vestire
che serviva per tutto l’inverno! A Natale si giocava a tombola, segnando i
numeri con i fagioli che non venivano buttati via ma riutilizzati il giorno
dopo per la minestra. Grande festa per quando arrivavano gli aranci e i
mandarini: quando sua mamma non rubava le bucce per metterle sulla
stufa e profumare l’ambiente, venivano mangiate prima le bucce e poi
gustati i frutti.
La famiglia di mia nonna ha affrontato una vita molto difficile, ed anche lei.
Posso immaginare la loro situazione, ma nonostante la povertà sono restati
sempre uniti. Continuate a leggere, e so che anche voi la penserete come
me.
Suo papà faceva il ferroviere e la mamma era casalinga, con 7 figli da
accudire. Il più grande, Luciano, all’età di 18 anni è morto all’inaugurazione
della linea del primo Filobus ( tram) a Trieste. Il secondo, Emilio, durante la
Seconda guerra mondiale ha fatto il sommergibilista. Il terzo, Marciano, è
stato fatto prigioniero in Africa e da lì e stato spedito in America a
raccogliere il cotone e la sua invalidità era dovuta al fatto della mancanza
di un polmone perso in combattimento ( ed è grazie a lui che mia nonna ha
potuto proseguire i miei studi superiori). La quarta, Emma, che da piccola
ha iniziato a lavorare in fabbrica, si è sposata ed è andata via di casa. Il
quinto, Mario, ha seguito le orme di suo papà ed è entrato anche lui in
ferrovia come manovale ed ha finito la sua carriera come vice
capostazione di Trieste. Sua sorella, Luciana, ( quella che è stata mandata in
istituto in Veneto) ha sempre fatto l’operaia in una fabbrica di iuta, fino alla
pensione poi si è sposata ed ha avuto una figlia che adesso è ispettrice di
polizia. Poi c’è mia nonna. Nonostante la povertà in casa regnava l’allegria.
Il cibo non sempre abbondava ma non era mai motivo di litigio e quel poco
che c’era era sempre buonissimo. Una cosa che mia nonna continua a non
mangiare mai volentieri è la minestra di Risi e Bisi che sua mamma
preparava da portare nel rifugio antiaereo quando suonava l’allarme,
perché veniva preparato anche con giorni d’anticipo, e quindi provate ad
immaginare la forma e il gusto.
“Adesso che sono diventata nonna raccontare queste cose a mia nipote
Ludovica mi fa sentire antidiluviana con il grande rimpianto di essere
rimasta l’ultima della famiglia Zonta.”
Questi erano i ricordi, anzi, la vita di mia nonna Adriana. A volte mi chiedo
come faremmo senza i nostri nonni. Anche perché sono loro che ci fanno
ricordare il valore di certe piccole cose. E con queste ultime parole chiudo
il racconto.