Untitled - European Bank of Memories

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RELAZIONE FINALE
“Gli aromi degli Iblei”
Il programma, di tre incontri della durata di circa due ore ognuno, ha visto protagonisti i
gruppi di adulti e i minori. I professionisti hanno accompagnato il gruppo in un processo
di indagine, ricerca, sintesi, scambio per la creazione di una Banca di ricordi (associati a
tre sensi).
Per l’occasione, la banca di ricordi ha previsto i tre sensi del tatto, gusto, olfatto.
Memoria tattile: arti e mestieri.
Memoria gustativa: sapori e ricette tradizionali.
Memoria Odore: aromi, piante e spezie.
Nel primo incontro, dedicato alla memoria tattile, si è svolta la visita presso il Museo con
un’attenzione particolare alle arti e agli antichi mestieri. L’incontro si è concluso con la
proiezione di diapositive sulle piante degli Iblei e la degustazione dei prodotti tipici locali:
la marmellata di cotogne, i fico d’India e lo zucchero lavorato per la realizzazione dei
cosiddetti Pupi di zucchero.
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Nel secondo incontro, dedicato al senso dell’olfatto e alla memoria degli odori, si è svolto il
laboratorio per la preparazione dell’olio aromatizzato con le erbe aromatiche degli Iblei, tra
cui nepetella e rosmarino. L’incontro si è concluso con la proiezione di diapositive sulle
piante degli Iblei e la degustazione dei prodotti tipici locali: pane con olio e origano.
LE PIANTE DEGLI IBLEI
HELICHRYSUM
RUPESTRE
ELICRISO
Buttuni ro Suli
Tra le erbe “Ro Signuri” è da segnalare “U Buttuni ro Suli”; l’Elicriso è molto comune sugli
Iblei e conta pure un endemismo. Nella tradizione popolare iblea, la pianta era utilizzata
per la cura delle scottature o delle insolazioni tramite un oliolito.
CALENDULA ARVENSIS
CALENDULA
Cariennula
La tradizione vuole che la Calendula fosse la pianta dedicata a Cleopatra, che la usava per
ringiovanire la sua pelle. Nella memoria degli anziani è invece legata all’uso tintoreo della
pianta e ad un oliolito, importante rimedio contro le punture di vespe e zanzare. Inoltre i
capolini fioriti possono essere utilizzati come ottimo surrogato dello zafferano.
VIOLA ALBA
VIOLA
Viuletta
Sin dal medioevo si consigliava un infuso di viole per catturare l’attenzione e il cuore della
persona amata, si consigliava pure un enolito contro la stanchezza fisica. Per nutrire la
pelle ed evitare le rughe era opportuno far macerare viole nel grasso di gallina per poi
utilizzarlo come pomata. Al settecento risale una filastrocca che secondo “la Majara” aveva
potere di fare innamorare uomo e donna, bastava solo mettere in un bicchiere di vino
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delle viole appena aperte e pronunciare queste parole:”Chistu vinu aia maritari pi tutti li
stiddi ro cielu e do mari”.
RUTA CHALEPENSIS
RUTA
Ruta
La Ruta ed il Verbasco nella tradizione popolare erano le due piante protettive contro il
malocchio, spesso il contadino la metteva in tasca o sopra il portico d’ingresso di casa con
funzione apotropaica.
Ma la pianta trovava soprattutto impiego nella medicina popolare come rimedio contro i
vermi dei bambini. Insieme alla buccia d’arancia amara la si pestava al mortaio per poi a
piccole dosi farla ingerire ai bambini.
ERICA MULTIFLORA
ERICA
Tumminieddu
Durante il periodo invernale tutto l’altopiano ibleo si incipria di rosa pallido con
l’abbondante fioritura dell’Erica. Usata anticamente come coperta “ ro fussuni”(produzione
del carbone); la pianta trovava impiego nella medicina iblea soprattutto come calmante
nei dolori alla prostrata tramite abbondanti infusi.
BORRAGO OFFICINALIS
BORRAGINE
Urrania
Se dovessimo descrivere un piatto tipico della tradizione contadina non potremmo certo
dimenticare fave e borragine, che erano un tempo alla base di tante pietanze iblee. In
medicina invece la borragine era conosciuta come lenitiva per la tosse ed espettorante nei
casi di forti disturbi bronchiali. La majara ci ricorda anche: “l’uomo o la donna che senza
sapere come fu e come non fu si innamorarono di donna o uomo che non vuol saperne
nulla, beva infuso di borragine per purificare il sangue”.
VERBENA OFFICINALIS
VERBENA
Bibbina
La Verbena e la Menta sono le piante dedicate a Santa Lucia, infatti in una preghiera a lei
dedicata un malato così le si rivolge: “Bedda Lucia lu me corpu è stancu e l’occhi mei su
senza abbientu, ratimi aiutu”. Lucia risponde: “Vai na l’uortu miu pigghia bibbina e menta
e pistili a nomu miu e viri ca la luci torna”.
VERBASCUM SINUATUM VERBASCO
Ricuttara
“Cumpari Tassu passu, e vi lassu attassu”, questa era la frase che i contadini
pronunciavano per liberarsi dal malocchio toccando nel frattempo la pianta. Il Verbasco
era altresì conosciuto come ottimo rimedio contro le emorroidi, come buon espettorante e
cicatrizzante. Il nome dialettale di ricuttara deriva dall’uso che i contadini ne facevano
quando sulle sue foglie mangiavano la ricotta calda.
PIANTAGGINE
Coscia i veccia
In fitoalimurgia la piantaggine è ben conosciuta perché questa verdura veniva indicata
come ottimo alimento nei casi “ri dibulizza”, insieme all’artemisia veniva bevuta in infuso
contro il mestruo abbondante delle donne.
PLANTAGO SERRARIA
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FICUS CARICA
FICO
Ficu
Oggi è impossibile nei paesi iblei vedere asciugare al sole ghirlande di fichi che addobbano
le terrazze delle piccole case di paese, rimandandoci a tradizioni greche e miti
mediterranei.
La medicina popolare consigliava per le ossa rotte una pomata a base di fichi secchi e
ortica amalgamati in grasso di maiale. Mentre per togliere il malocchio bisognava incidere
sulla corteccia di un vecchio fico una croce e dire queste parole: Ficu milinciana ai una
frevi quantu na quarara, a mia mi scinni e a tia ti acciana.
CROCUS LONGIFLORUS
ZAFFERANO SELVATICO
Zafferano selvatico
Probabilmente il termine zafferano ha radici arabe e potrebbe derivare dal grande
commercio che un tempo si faceva con la pianta, perché utilizzata sia come colorante che
come medicina, ma anche come alimento. Sugli Iblei si consigliava un acetolito a base di
zafferano, aglio e timo per guarire dalle febbri malariche.
HYPERICUM
PERFOLIATUM
IPERICO
Abbelicu
Viene ricordata come l’erba dei crociati, perché si diceva che già i soldati cristiani ne
facessero largo uso in Terrasanta. Se dovessimo indicare l’oliolito più conosciuto fra la
gente iblea questo è sicuramente quello di iperico, che prende anche il nome di “Abbelicu”
oppure “Uogghiu i ciuri” , questo a testimonianza che la pianta ha tradizioni officinali ben
radicate nel popolo. L’olio di Iperico trova impiego anche nella moderna medicina, come
lenitivo di bruciature, scottature o piaghe e a volte anche nella cura della gastrite. Nelle
famiglie nobiliari, dove il malocchio regnava sovrano, era uso mettere negli interstizi delle
porte delle finestre, delle piantine di iperico per evitare sventure e fantasmi, infatti la
pianta prende anche il nome di “erba cacciadiavoli”.
UMBILICUS
HORIZONTALIS
OMBELLICO DI VENERE
Uriccedda
L’ombellico di Venere colonizza i nostri muretti a secco rendendoli eleganti e vivaci,
eliminando i confini per l’animato e l’inanimato. Meno conosciuto rispetto al Verbasco per
la cura delle emorroidi, ma altrettanto efficace secondo le ricette dei guaritori; l’ombellico
di Venere trova invece un largo uso nella cura dei calli e delle verruche.
MYRTUS COMMUNIS
MIRTILLO
Murtidda
IL Mirto era una pianta sacra a S. Rosalia, ma lo era ancora prima ad Artemide, perché
secondo un’antichissima leggenda greca, la dea salvò dei pescatori in balia della nebbia
indicando loro la strada del ritorno a casa, riempiendo l’aria di effluvi di mirto, che i
pescatori seguirono, salvando loro la vita. Una credenza barbara, tramandata fra le donne
iblee del secolo scorso, voleva che i bambini appena nati non dovessero subire nessuna
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pulizia fisica dopo aver fatto pipì; naturalmente questo infettava le gambette dei lattanti
che rischiavano brutte infezioni. Qui entrava in gioco la sapienza dei guaritori, essi
consigliavano alle madri sprovvedute cenere di mirto e il più delle volte questa salvava i
bambini.
FOENICULUM VULGARE
FINOCCHIO SELVATICO
Finuccieddu
In periodo romano il finocchietto selvatico veniva mangiato da soldati in marcia per
allontanare la sensazione di fame e fatica. La Majara lo consigliava per far bella la pelle
delle donne e così diceva: “bedda vuoi siri, metti a bollire nu pugnu ri finuccieddu, orzo,
lavanda e falli strinciri e fai impacchi”.
Un giorno Gesù Cristo ordinò a S. Pietro di comprare un barilotto di vino. Pietro si recò
nella migliore taverna chiedendo all’ostessa di prendergli il più pregiato. L’astuta donna
glielo fece assaggiare offrendogli però anche un finocchio con una fetta di pane. Pietro
gradì molto lo spuntino e, soddisfatto, comprò un barilotto. Ma quando gli altri apostoli
assaggiarono il vino si accorsero che aveva una punta di aceto; sicché l’incauto acquirente
dovette ammettere di essere stato truffato. Allora Cristo gli domandò se l’ostessa gli
avesse dato qualcosa da mangiare. “Sì pane e finocchio”. “E tu non sapevi che il finocchio
falsa il gusto del vino?” commentò il maestro soggiungendo: “quando voi andate a
comprare del vino, state attenti a non farvi infinocchiare”.
Nella tradizione popolare era consigliato per aiutare la vista e per aumentare il flusso del
latte nelle donne che hanno appena partorito. In fitoalimurgia il finocchietto selvatico trova
largo impiego soprattutto nella produzione di polpette e paste tipiche.
ORIGANUM
HERACLEOTICUM
ORIGANO
Arriinu
Una leggenda greca vuole che l’origano sia la pianta che aiuta l’uomo a stare in pace con
se e con gli altri. Infatti si dice che un pastore cretese usando quotidianamente l’origano
fosse diventato così saggio da elargire consigli a tutti gli isolani. Nelle case dei nostri
contadini un mazzo di origano non mancava mai e spesso veniva semplicemente odorato
insieme al timo per guarire dall’emicrania.
THYMUS CAPITATUS
TIMO
Sataredda
Di origini antichissime è la Teriaca o in dialetto “Triaca”, è stata utilizzata per circa diciotto
secoli, fino a quasi tutto l’ottocento. Questo medicamento prescritto da Andromaco a
Nerone ci ricorda l’importanza che aveva allora il timo e la vipera, che erano base
importante di tutto il composto. Tra i componenti della Triaca vi erano: Timo, Vipera,
Rosmarino, Tarassaco, Potentilla, Finocchio, Salvia, Issopo, Scilla e miele, il tutto immerso
in ottimo vino rosso.
ROSMARINUS
OFFICINALIS
ROSMARINO
Rosamarino
Una leggenda vuole che la “rosamarina” fosse una fanciulla nata dalla rugiada mattutina,
che aiutasse tutti i siciliani nei periodi di grande difficoltà. La pianta era impiegata come
espettorante, facendone infusi insieme a issopo e timo; per le bronchiti e le febbri più
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devastanti si usava mettere sotto il letto del malato una bacinella d’acqua con rami di
rosmarino, si credeva che la pianta e l’acqua fossero in grado di assorbire la febbre. La
majara invece la teneva in mano dicendo: “Maria va e Maria veni, porta l’acqua e lava li
vini, porta l’acqua e allarica i catin,i porta l’acqua e riduci i vicini”.
ARTEMISIA
ARBORENSCENS
ARTEMISIA
Eriva ianca
L’artemisia o amarella è una pianta lunare, come testimonia anche il suo nome, che
secondo Plinio deriverebbe da Artemide, per il fatto che cura in particolare le malattie delle
donne. Ad Avola, le donne alla vigilia dell’Ascensione, costruivano delle croci con rametti
della pianta e le mettevano sotto i tetti delle case, persuase che durante la notte Gesù,
risalendo in cielo le avrebbe benedette. Le croci venivano poi collocate nelle stalle, poiché
avrebbero avuto la virtù di calmare gli animali indomabili, oppure collocate sotto il cuscino
delle donne partorienti avrebbero alleviato i dolori del parto. La medicina popolare la
consigliava soprattutto contro il mestruo (in infuso) abbondante, o nei bimbi, ridotta in
polvere, per allontanare le pulci.
SALVIA TRILOBA
SALVIA
Sariva
La salvia faceva parte di quelle piante che nella tradizione iblea prendevano il nome di
“Erivi ro Signori” non a caso il suo secondo nome era “eriva cruci cruci”. Il giorno di
pasqua le chiese iblee erano spazzate con scope, dove venivano inserite foglie di salvia,
timo, issopo (l’eriva ro Signuri), quella polvere poi veniva distribuita fra i fedeli ed aveva
potere protettivo. Mischiata al grasso di maiale era un ottimo rimedio per le vene varicose
e come lenitivo dei dolori alle articolazioni. Le guaritrici la usavano mettere nelle bacinelle
con l’acqua prima di iniziare il rito contro il malocchio o altri malanni.
“Mi lavu cu st’acqua comu è pura Maria/
mi lavu li manu comu a Pilatu/
a lu populo ebreo l’ha cunsignatu/
chiddu cha m’hannu fattu iddi/
è riturnatu.
La Mjara la usava per predire il futuro, la sera tardi sotto il lume a petrolio o sotto una
candela venivano messe a cerchio delle foglie di salvia. Le figure che sarebbero apparse
sul muro avrebbero indicato il domani.
ALLIUM ARVENSE
AGLIO
Agghiu
Tutte le mattine i mietitori più sapienti usavano mangiare uno spicchio d’aglio, sapendo
che l’ingestione della pianta li avrebbe aiutati nel lavoro, questo stesso rito veniva
praticato nell’antico Egitto dai costruttori di piramidi. Si racconta infatti che nella
costruzione della piramide di Cheope furono pagati 1.600 Talenti per comprare aglio e
cipolle, da usarsi come alimento degli schiavi. Veniva prescritto nelle affezioni dell’apparato
respiratorio dove svolgeva un’azione espettorante e antisettica.
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Mettere uno spicchio d’aglio in tasca durante le processioni dei santi serviva ad evitare
“L’uocciu rassu”, la stessa operazione era fatta dalle donne che preparavano il sapone di
casa.
CICHORIUM INTYBUS
CICORIA
Cicuoria
Pianta dolcissima, da mangiare, la cicoria è comune in tutte le campagna iblee; era molto
usata in fitoalimurgia ed era anche appellativo delle persone buone di carattere. Per la
stanchezza ai piedi si consigliava un acetolito con cicoria selvatica e artemisia, da tenere in
macerazione per almeno 5 giorni.
JUNIPERUS
MACROCARPA
GINEPRO
Junipru
In greco era detto Arkenthos, dal verbo arkeo, “allontanare”: nome che rispecchia bene la
sua funzione di protettivo in grado di scacciare con i suoi rami spinosi non soltanto i
miasmi delle malattie ma anche gli spiriti maligni. Già nel medioevo si indicava un enolito
con bacche di ginepro per combattere i calcoli renali e le infiammazioni alla vescica. Sugli
Iblei era usanza la notte di Natale bruciare legno di ginepro perché si credeva che il fumo
avesse avuto influssi benefici per i partecipanti al rito.
PISTACIA LENTISCUS
LENTISCO
Listincu
Era consacrato in Grecia a Dictymma, una ninfa di Artemide, che amava adornarsene: lo
stesso facevano le vergini elleniche imitandola, il lentisco infatti rappresenterebbe la
purezza primordiale. I frutti venivano conservati in epoca romana per aromatizzare le carni
e un trattamento a temperature elevate permetteva l’estrazione dell’olio di lentisco. Lo
stesso olio di lentisco era usato per le tendinite, mentre l’acetolito era usato contro i
tumori interni.
ACHILLEA LIGUSTICA
ACHILLEA
Millifuogghiu
La leggenda vuole che l’Achillea prenda il suo nome dall’eroe greco che la usava per
guarire tutte le ferite dopo ogni battaglia.
I forti dolori di schiena (duluri forti ca nun ti puoi muoviri ro liettu) l’erbaiulo li curava
consigliando di mettere a bollire in due litri d’acqua fiori o bacche di sambuco, camomilla,
foglie di malva e tanta achillea, aggiungere un po’ di crusca e non appena l’acqua sarà del
tutto scomparsa, applicare la poltiglia sulla parte dolente.
MALVA SYLVESTRIS
MALVA
Mariva
Se una persona vuol farsi amare da un uomo o da una donna si strofinerà le mani con
succo di malva e verbena e poi toccherà la persona da cui vuole essere amato. L’impacco
di foglie verdi di malva serve a guarire dai dolori alle articolazioni e giova nel lenire i dolori
del “fuoco di Sant’Antonio”. Nel medioevo per sapere se una fanciulla fosse ancora
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vergine, le si faceva fare pipì sopra una foglia di malva, se la pianta si seccava
immediatamente lo si riteneva un indizio di certa corruzione.
PAPAVER RHOEAS
PAPAVERO
Paparina
Per far bella la pelle far bollire semi di finocchio quanto ne contiene una mano, aggiungere
papaveri in boccio, petali di rosa e lavanda, mescolare bene con orzo pestato e applicare
sul corpo. Il papavero sugli iblei era anche conosciuto come pianta tintorea e mangereccia,
infatti fritto con le olive nere era considerato una vera leccornia.
LAVANDA OFFICINALIS
LAVANDA
Spica i S.Paulu
Una pianta conosciuta fin dall’antichità per mantenere la bellezza e la salute del corpo, la
lavanda veniva usata per la cura delle congiuntivite. Le nostre nonne usavano immergere i
fiori di lavanda in acqua distillata e poi con dei fazzoletti di cotone la applicavano sul viso
per ringiovanire la pelle e allontanare le rughe. Nel giorno di San Paolo mazzetti di lavanda
vengono benedetti e portati nelle case dei fedeli con funzione apotropaica.
SAMBUCUS NIGRA
SAMBUCO
Sambucu
Considerato una farmacia il sambuco nella medicina tradizionale trovava larghissimo
impiego, infatti sette volte il contadino s’inchinava davanti all’albero perché sette sono i
doni che si ricavano dai germogli, dai fiori, dalle foglie, dalle bacche, dal midollo, dalla
corteccia, dalle radici del sambuco. Dai germogli si ottiene un decotto che calma le
nevralgie, gli impacchi di foglie curano le malattie della pelle; con i fiori si fa un te
depurativo e dalle bacche si ottiene uno sciroppo contro la tosse. Quanto alla corteccia è
lassativa e può curare i tumori esterni, infine, la radice pestata è ottimo rimedio contro la
gotta. La pianta un tempo aveva anche un largo impiego durante il Festino di S. Rosalia a
Palermo, forse legandosi all’uso del tronco cavo da cui si ricavava un fischietto che se
suonato calmava tutte le bestiole selvatiche.
URGINEA MARITIMA
SCILLA
Cipuddazza
Nella notte della vigilia di san Giovanni ci si incoronava con varie erbe, fra cui la scilla. Il
bulbo veniva messo sopra il portico delle case così come si faceva con la ruta, perché la si
considerava rimedio contro tutti i mali. L’olio in cui veniva macerata era considerato un
medicamento contro i morsi velenosi. Per allontanare i serpenti si recitava questo
“Ciarmu”: “A Badduottula ca cipuddazza mangiau, tutti i scursuna alluntanau, S. Giovanni
caminau e li pistau”.
CHAMAEROPS UMILIS
PALMA NANA
Scupazza
Nell’area mediterranea il miglior complimento a una donna consisteva nel paragonarla a
una palma, come testimoniano per esempio i versi del Cantico dei Cantici dove lo sposo
loda la bellezza della sposa dicendo: «La tua statura assomiglia a una palma e i tuoi seni
ai datteri». I datteri e le ghiande mature messi a bollire e ridotti in poltiglia sono un ottimo
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rimedio per i dolori alle gambe e le vene varicose. La palma e i rami di frassino venivano
usati dal contadino siciliano per richiamare la pioggia.
MICROMERIA
MICROPHYLLA
ISSOPO
Eriva i scuopu
“Intinto nel sangue dell’agnello sacrificato”, l’issopo fu il ramoscello in cima al quale venne
infissa la spugna imbevuta di aceto data a Gesù morente. L’issopo veniva prescritto inoltre
per alcuni riti di purificazione dei lebbrosi e degli immondi e serviva anche nella
benedizione degli altari. Per chi soffre di virtigini i morriri un enolito con vino rosso e
issopo fa scumparriri tuttu.
MATRICARIA
CHAMOMILLA
CAMOMILLA
Umidda
Il nome italiano, camomilla, deriva dal tardo latino camomilla a sua volta adattamento del
greco Khamaimelon, in riferimento alla mela, per l’odore dei fiori simili alle piccole mele
odorose. Le levatrici sostenevano che l’acqua di camomilla giovasse alle donne partorienti
perché avrebbe esercitato un’influenza benefica sulla muscolatura dell’utero, inoltre era
consigliato un oliolito alla camomilla per le donne che presentavano duroni alle mammelle
durante l’allattamento. Inoltre durante i parti più complicati sul grembo materno veniva
poggiato un rovo e si diceva questa preghiera: erunu spini e divintau ciuri, era duluri e
divintau amuri.
EQUISETUM
TELMATEJA
EQUISETO
Cura i cavaddu
Al di sopra dei cinquant’anni, più di un quarto delle persone viene colpita da una malattia
subdola che interessa entrambi i sessi e comporta la decalcificazione delle ossa:
l’osteoporosi. Dall’equiseto, ci giunge un valido aiuto nell’affrontare e, soprattutto, nel
prevenire questo importante problema medico. L’erbaiuolo la consigliava soprattutto alle
donne in menopausa da assumere come infuso insieme all’ortica.
MANDRAGORA
AUTUNNALIS
MANDRAGORA
Mandraula
Fin dall’antichità la mandragora ha evocato qualità magiche ed afrodisiache, tuttavia non è
semplice estrarre la radice, perché se non si adottavano certe precauzioni si rischiava
addirittura di morire. In primo luogo la pianta va spiantata di notte, in sintonia con il
legame della Mandragora con la dea Ecate. Quanto al rito, chi la coglieva doveva evitare di
avere il vento contrario, poi tracciava intorno alla pianta tre cerchi con una spada
benedetta, e infine la dissotterrava guardando ad occidente, mentre una donna di facili
costumi intonava canzoni erotiche per distrarre l’anima del defunto contenuta nella radice
della pianta. La mjara la consigliava a chi nel sonno voleva incontrare l’amato o l’amata,
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bastava ingerire del vino rosso prima di addormentarsi dove erano stati grattugiati
frammenti di “Mandraula”.
ROSA SEMPERVIRENS
ROSACANINA
Rosa
Narra una leggenda che il dio Bacco, invaghitosi di una ninfa, tentò di conquistarla ma lei
cercò di fuggire per boschi e prati, fino a quando il suo abito s’impigliò in un cespuglio e fu
catturata. Allora bacco, riconoscente, toccò il cespuglio dal quale spuntarono splendidi fiori
d’un delicato rosso, proprio del colore delle guance della pudica ninfa. Così nacque la rosa.
L’erbaiolo la consigliava ai bambini, come astringente, e, mista al timo come espettorante.
Le donne spesso dopo aver preparato il pane si lavavano le mani con acqua di rosa forse
perché la rosa è un appellativo della Vergine Maria a cui loro erano devote.
URTICA DIOICA
ORTICA
Ardiculi
Le sue radici bollite per mezzora nel latte sono un efficace rimedio contro i calcoli biliari,
l’acetolito veniva utilizzato per arrestare la caduta dei capelli e la forfora. Era credenza
diffusa che un rametto di ortica allontanasse i fulmini dalle case, recitando anche questa
preghiera: “San Giovanni apuostulu ranni luntanu a mari, unni nun ci su turchi e mancu
cristiani”.
PINUS HALEPENSIS
PINO
Pinu
Gli arabi hanno una forte venerazione per questa pianta e la credono eterna e simbolo
della saggezza, infatti la loro meditazione spesso avveniva sotto la chioma di questi alberi.
La corteccia del pino marittimo veniva usata per attassare il cotto siciliano e le reti dei
pescatori, mentre gli aghi di pino erano consigliati a chi soffriva di forti dolori reumatici,
bisognava inserirli insieme alla lana dentro il materasso.
JUNGLAS REGIA
NOCE
Nuci
Un tempo sugli Iblei il 29 settembre, festa di San Michele, le ragazze per sapere se si
sarebbero sposate presto interrogavano le noci. Mescolavano noci piene e noci vuote, poi
con gli occhi bendati, ne afferravano una a caso: se era piena, avrebbero trovato presto
un marito. Anticamente il frutto venne consacrato a Giove e fu simbolo di fertilità e di
abbondanza, come testimonia il suo nome: nux iunglans, dove il secondo termine era,
secondo l’interpretazione popolare, la contrazione di Iovis Glans , cioè ghianda di Giove.
Fino all’inizio di questo secolo a Modica, si gettavano grano e noci al passaggio degli sposi.
L’olio di noce veniva utilizzato per combattere il verme solitario, mentre abbiamo notizie
certe sull’uso delle foglie che servivano come tintura; un infuso misto all’achillea si usava,
non sappiamo con quali risultati, come dimagrante. Per esorcizzare la presenza di fantasmi
in un antico casale si recitavano queste parole: “Spiritu di ficu, Sancu di nuci, tanti pampini
siti, tanti riavuli faciti”.
LAURO NOBILIS
ALLORO
Addauro
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Scriveva Tibullo: “…e gli allori accesi sulle fiamme rituali mandino un crepitio di buon
augurio, e con questo fausto presagio vi sarà un sacro anno ricco e felice. Quando il lauro
offre buoni auspici, gioite, o coloni: Cerere coprirà di spighe il colmo granaio”.
Nelle nostre campagne l’uso di bruciare l’alloro era legato alla credenza che questi fuochi
avrebbero allontanato i serpenti. La pianta infatti era sacra a San Paolo e per allontanare
le vipere dalle case si recitava questo ciarmu: “San Paulu maccia ri addauru,spina
pungenti, nun muzzicari a mia ne autri genti”.
Immagine
Crisantemo selvatico
U ciuri i maju
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Nel terzo incontro, dedicato alla memoria gustativa, sapori e ricette tradizionali, si è svolto
il laboratorio di cucina per la preparazione delle nnfigghiluate canicattinesi con le erbe
aromatiche degli Iblei. L’incontro ha previsto un momento di aggregazione con
degustazione di prodotti tipici locali: nnfigghiulate, olive degli Iblei, vota vota.
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