arte / storia / sapori / tradizioni il racconto di fabrizio mangoni ••• DOLCE NATALE FABRIZIO MANGONI Ovunque si festeggi il Natale c’è un dolce; arriva alla fine del pasto e parla all’anima Forme simboliche e sapori suggestivi sono destinati ad evocare sentimenti di gioia, di pace, di buon augurio Il Christmas Pudding rappresenta il Natale degli inglesi, il tronchetto di Natale quello francese, il Pane di San Basilio quello dei greci, lo Stollen accompagna il Natale prussiano A Milano c’è il Panettone, a Verona il Pandoro e a Napoli? A Napoli e in Campania si preparano ben otto dolci di Natale; alcuni li preparavano le monache dei conventi e portano ancora i loro nomi Così le Paste Reali di San Gregorio Armeno, i dolcetti zuccherati del Divino Amore, i biscotti speziati e morbidi della Sapienza, nati nelle mani delle monache, sono finiti nella tradizione pasticcera della città Si aggiungono a dolci le cui origini si trovano lungo le rotte del Mediterraneo, come gli Struffoli d’oriente, il Marzapane degli arabi, o i Mostaccioli che qui da noi hanno incrociato la bevanda degli Aztechi: il cioccolato Questi dolci veicolano storie e paesaggi e possono considerarsi a pieno titolo beni culturali Questa ricchezza dolciaria e gastronomica incontrerà, nel progetto Dolce Natale, la bellezza di sette monumenti della Campania I visitatori potranno conoscere la storia di luoghi spettacolari, impararne le ricette da maestri pasticceri, e gustare un dolce del Natale campano, scoprendone suggestive connessioni con i monumenti visitati ••• DAL 27 DICEMBRE AL 5 GENNAIO Visite guidate, showcooking e degustazioni in sette luoghi d’arte della Campania: •Certosa e Museo di San Martino, Napoli •Museobottega della Tarsialignea – MUTA, Sorrento •Tunnel Borbonico, Napoli •Museo Archeologico Provinciale di Salerno •Reggia di Caserta •Palazzo Abbaziale del Loreto, Avellino •Chiesa di Santa Sofia e Palazzo di Paolo V, Benevento Così come i monumenti, l’arte della pasticceria campana è un patrimonio culturale. L’arte e la tradizione dolciaria natalizia della Campania s’incontrano in questo Dolce Natale con visite, degustazioni e showcooking. Durante gli showcooking abili pasticceri mostrano come preparare i tipici dolci natalizi campani, Fabrizio Mangoni ne racconta la storia, le origini dei loro nomi, e l’associazione tra dolci e monumenti. ••• GLI APPUNTAMENTI DEL DOLCE NATALE ROCCOCÒ MOSTACCIOLI SAPIENZA CASTAGNETTE STRUFFOLI DIVINO AMORE E RAFFIOLI SUSAMIELLO TORRONE BIANCO MORBIDO ••• ••• ••• ••• ••• ••• ••• Sab 27 dic / ore 11.00 Napoli Certosa e Museo di San Martino visita guidata e showcooking Le lunghe rotte del Roccocò IL PROGRAMMA POTREBBE SUBIRE VARIAZIONI WWW.CAMPANIARTECARD.IT Dom 28 dic / ore 11.00 Sorrento Museobottega della Tarsialignea – MUTA visita guidata e showcooking Un candido rombo incontra il cioccolato Servizio navetta da Napoli, P.zza Garibaldi ore 9.30 con prenotazione obbligatoria Lun 29 dic / ore 20.30 Napoli Tunnel Borbonico visita guidata e showcooking La tufacea consistenza della dolce Sapienza Ingresso Via Domenico Morelli c/o Parcheggio Morelli Mar 30 dic / ore 17.30 Salerno Museo Archeologico Provinciale di Salerno visita guidata e degustazione Castagnette e Struffoli Sab 3 gen / ore 11.00 Caserta Reggia di Caserta visita guidata e degustazione Perle su volute pregiate Servizio navetta da Napoli, P.zza Garibaldi ore Servizio navetta da Napoli, P.zza Garibaldi ore 10.00 con prenotazione obbligatoria 15.45 con prenotazione obbligatoria Dom 4 gen / ore 11.00 Avellino Palazzo Abbaziale del Loreto Visita guidata e degustazione Il susamiello irpino Lun 5 gen / ore 16.30 Benevento Chiesa di Santa Sofia e Palazzo di Paolo V visita guidata, spettacolo per famiglie e degustazione Il chiarore della pietra nella morbidezza del torrone Servizio navetta da Napoli, P.zza Garibaldi ore 10.00 con prenotazione obbligatoria Servizio navetta da Napoli, P.zza Garibaldi ore 15.00 con prenotazione obbligatoria ••• ROCCOCÒ ROCCOCÒ CERTOSA E MUSEO DI SAN MARTINO NAPOLI Duro, anzi durissimo ma buono e profumato, queste le caratteristiche del Roccocò. Il più antico lo preparavano nel 1320 le Monache del convento della Maddalena. I conventi napoletani nel corso dei secoli sono stati il riferimento cittadino di produzione pasticcera. Questa mirabile rete offriva ai napoletani dolci che affondavano le loro radici in antichissime tradizioni. Bisogna ricordare che Napoli è metropoli da sempre. La città romana si è impiantata sulla stessa struttura urbana di quella greca; quella medievale su quella romana e così via. Qualcosa di simile è avvenuto con i dolci; è significativo che nessun dolce napoletano di tradizione prevede il lievito. Brioches, Babà, sono arrivati per importazione, anche quando sono stati “napoletanizzati”. Il lievito è un prodotto legato alla panetteria, alla cultura della campagna ed è lontano dalla pasticceria della metropoli. Le monache quindi riproducevano tradizioni antichissime, e il Roccocò affonda le radici nei biscotti speziati del Medioevo. Farina, zucchero, mandorle abbrustolite e frantumate costituiscono la struttura portante del Roccocò. Poi ci sono le scorzette d’arancia candite, la cannella, i chiodi di garofano, il pepe. La caratteristica che rende particolare il Roccocò rispetto agli altri dolci natalizi napoletani prevede nell’impasto il risultato della fusione del Giulebbe (acqua e zucchero bolliti fino al piccolo filetto) col Miele. È li che si basa il gusto di fondo di questo biscotto; la sua durezza ha fatto pensare ad una derivazione del nome dal francese Rocaille, che è poi la stessa origine del nome che definisce lo stile architettonico. Roccioso lo stile, con le sue decorazioni e volute, con i muri che si muovono tra rientranze e sporgenze. Certo guardando alcune chiese barocche napoletane, si ha l’impressione della durezza del Roccocò. Ora il dolce si faceva a Napoli fin dal medioevo; potrebbe aver preso questo nome all’inizio del Settecento in parallelo all’affermarsi dello stile. Il nome dovette diffondersi anche per dolci diversi da quello Napoletano. Giovanni Luraschi nel suo Nuovo Cuoco alla Milanese, a metà dell’Ottocento, descrive la ricetta di Biscottini alla Roccocò. Si tratta di biscotti di pasta di mandorla tramezzati da marmellata. La caratteristica della pasta che può essere modellata in varie forme, potrebbe giustificare il riferimento allo stile architettonico. La durezza rocciosa del nostro biscotto conventuale, può aver ispirato un rapporto con Rocaille. Di recente è stata avanzata da studiosi della cucina araba, una possibile influenza nel nome del termine arabo Ruqāq; oggi indica dei dolci morbidi e profumati, ma non si può escludere che nel passato potessero esserci corrispondenze tra spezie e profumi del dolce arabo e di quello napoletano. L’incontro tra farina, miele e spezie, caratterizza tutta una serie di dolcetti (Ka’K) della cucina medievale di Baghdad e di quella andalusa. È un’ipotesi tutta da approfondire; tuttavia sarebbe bello immaginare, pensando che la regina Sancia d’Aragona, moglie di Roberto d’Angiò fondava conventi in Italia e in Terra Santa, che una monaca trasferitasi dall’oriente nel convento della Maddalena, abbia portato con sé una ricetta…. ••• LA RICETTA ROCCOCÒ ••• CERTOSA DI SAN MARTINO LA SPEZIERIA Da sempre le spezie si sono collocate tra la medicina e la cucina. La tradizione dei monaci certosini alsaziani si è diffusa nella mirabile rete di Certose del mondo. Le Farmacie e le spezierie erano una fonte di sapere medico e di guadagno per i complessi monastici. Famose erano le palle mediche che venivano sciolte in infusione nel vino; curcuma, cardo, trifoglio, coclearia, assenzio, tamarindo, elleboro e semi di anice entravano nei composti. Più semplicemente la cannella col vino caldo curava i raffreddori dei monaci esposti ai salti di temperatura tra le loro celle e i canti notturni nella chiesa. La cannella, i chiodi di garofano, la noce moscata del Roccocò stavano certamente nei vasi della Farmacia della Certosa. Ma poi… guardando bene… nella cornice ai lati del quadro del soffitto della sala… forse intravediamo il colore e le forme di biscotti speziati. Fabrizio Mangoni La ricetta del Maestro Pasticcere Ciro Scarpato Ingredienti / farina integrale kg 1 / zucchero kg 1 / mandorle tostate kg 1 / ammoniaca g 3 / acqua calda g 350 / cannella in polvere g 5 / pisto (chiodi di garofano, noce moscata e cannella bastoncini) g 5 / buccia di arancia grattugiata /vaniglia Procedimento Impastare il tutto, lasciare riposare per 12 ore. Quindi ricavare dei bastoncini di 2 cm di diametro con i quali fare delle ciambelle di circa 10 cm di diametro, spennellare con tuorlo d’uovo e cuocere in forno a 190°C per 20 minuti. ••• MOSTACCIOLI MOSTACCIOLI MUSEOBOTTEGA DELLA TARSIALIGNEA - MUTA SORRENTO All’origine ci sono degli sposi. I matrimoni nell’antica Roma erano coronati dai Mostacea. Catone ce ne ha lasciato la ricetta. Un impasto di mosto e farina, con grasso e formaggio, viene speziato da anice, cumino e rametti di alloro grattugiati. Veniva cotto su un piano di foglie di alloro, messe su una piastra. Ma possiamo davvero considerarlo un antenato dei nostri rombi ricoperti di cioccolato? Tra il 200 a.C. di Catone e i primi ricettari del tardo medioevo, abbiamo solo il libro di Apicio del quarto secolo d.C.; in mezzo un vuoto, su cui si comincia a far luce solo da pochi decenni attraverso contributi frammentari e, soprattutto, la divulgazione dei testi arabi. Il mosto di Catone per i Romani era, insieme al miele, un dolcificante per eccellenza; gli arabi hanno poi portato lo zucchero. Farina, zucchero e spezie sono la base con cui i mostaccioli compaiono nei ricettari del Rinascimento e con varianti, più o meno significative, arrivano fino alla ricetta napoletana. Non si può escluderne una derivazione dai pani speziati del Medioevo, mentre la forma potrebbe ispirarsi ai dolci di marzapane provenzali. Nel 1557 Cristoforo di Messisburgo li descrive come una base di miele e farina con zafferano, cedro candito, noce moscata e cinnamomo. All’inizio sono dei biscotti senza grassi, molto speziati e utili, una volta sbriciolati, come addensante di sapori per torte; li usa così Bartolomeo Scappi, cuoco del Papa Pio V, per preparare una mitica torta al gusto di Cantalupo. Nei suoi mostaccioli alla milanese compaiono le uova, mentre più tardi, a metà ‘600, si aggiungono le mandorle tostate e pestate. Proprio a Napoli, alla fine del ‘600, Antonio Latini descrive i Mostaccioli con cedri canditi, mandorle, spezie ma, per la prima volta, ricoperti di una glassa di zucchero al gusto di cannella. Bisogna aspettare gli ultimi anni del Settecento per l’arrivo del cioccolato sui Mostaccioli. Vincenzo Corrado nel 1778 descrive un naspro al cioccolato con cui coprire ogni dolce che si vuole. Poiché qualche decennio dopo riporta in un nuovo ricettario la sua ricetta del Mostacciolo glassato al cioccolato, è credibile datare a fine Settecento l’origine del Mostacciolo napoletano. Ne prevede sia una versione con cannella, chiodi di garofano e noce moscata, sia una con cedro candito, mandorle, e un pizzico di pepe. Una versione semplificata è quella proposta da Michele Somma di Nola, che nel 1810 descrive un Mostacciolo fatto solo di zucchero, farina e mandorle, ricoperto di cioccolato. Si arriva così all’ultima proposta di Jeanne Carola Francesconi (1972) che propone una semplificazione della ricetta, riducendo le spezie del ricettario di Vincenzo Corrado, e inserisce la raschiatura d’arancia, e la glassa al cioccolato. Introduce però un tema che ci riporta alle atmosfere viennesi d’inizio Ottocento. Interpone tra il biscotto e la glassa vetrosa al cacao, un sottile strato di amarena e di albicocche. E qui siamo in piena Sachertorte; mi piace immaginare che le note di “Palummella zompa e vola” che poteva cantare Vincenzo Corrado si mescolino con quelle di un valzer di Strauss. ••• LA RICETTA MOSTACCIOLI ••• MUSEOBOTTEGA DELLA TARSIALIGNEA - MUTA … metti su un piano un mostacciolo scuro di cioccolato e affiancane altri quattro glassati bianchi alla cannella, e poi così via a formare come un pavimento a rombi chiari e scuri. Dove finisce il pavimento? Su un bordo intarsiato magari con decori d’avorio zuccherino. Avevo in casa una scatola di legno intarsiato, di fattura sorrentina, che era fatta così. Losanghe chiare e scure si alternavano e facevano pensare ai mostaccioli di Natale. Anche perché la scatola conteneva frammenti di pastori rotti dell’anno precedente. Per fare il presepe si apriva la scatola e si provava a riattribuire i pezzi ai pastori che li avevano persi. Molti erano, però, i frammenti orfani del proprietario. Il mio contributo al presepe era il loro riutilizzo; così da finestre di casette, da dietro ai muretti uscivano braccia con oggetti offerti, gambe che facevano immaginare una figura nascosta da un alberello, persino la coda di tacchini che mettevano la testa sotto terra a cercare qualcosa. La scatola sorrentina era in stile Liberty; i bordi presentavano strati alterni chiari e scuri. Il Liberty usa spesso le forme allungate per assecondare il movimento e la dinamica decorativa. L’ovale è più dinamico del cerchio, il rombo più mosso del quadrato. Non sappiamo quando il mostacciolo ha preso la forma del rombo; forse erano così già all’origine, ma mi piace pensare che a cavallo tra ‘800 e ‘900, come in quella scatola sorrentina, si siano dinamicamente allungati e allora il mostacciolo viennese con la marmellata, potrebbe mescolare le sue note con quelle di Reginella col cappello con le rose e le viole … Fabrizio Mangoni Ingredienti / farina integrale kg 1 / zucchero g 500 / miele g 200 / mandorle triturate g 300 / ammoniaca g 4 / acqua calda g 250 / cioccolato fondente puro Procedimento Impastare il tutto, lasciare riposare per 12 ore. Quindi stendere la pasta ad uno spessore di 1,5 cm circa ritagliare dei rombi di circa 15 cm. Cuocere in forno a 180 °C per 20 minuti. Una volta freddi ricoprire col cioccolato. ••• SAPIENZA SAPIENZA TUNNEL BORBONICO NAPOLI Simile ai Susamielli per ingredienti, deve il suo nome all’omonimo Convento delle Clarisse che lo confezionavano. Il Monastero si trovava lungo il decumano superiore della città, all’incrocio tra Via del Sole e Via della Sapienza. Qui, nel 1507, il potente Cardinale Oliviero Carafa aveva acquistato un palazzo per farne un luogo dove s’insegnassero da peritissimi maestri… tutte le scienze e i buoni costumi. Morto il Cardinale qualche anno dopo e rimasta incompiuta l’impresa, fu fondato un convento di Clarisse, nominato Santa Maria della Sapienza. Una decina di anni dopo, il Convento passò all’ordine Domenicano e divenne Madre Priora suor Maria Carafa, sorella del futuro Papa Paolo IV. In quel periodo il Susamiello compare nei ricettari dell’epoca, è quindi ipotizzabile che la notorietà e la potenza politica del Convento riuscissero a caratterizzare il nome del dolce che le monache preparavano. Oggi il convento non c’è più, sostituito dagli edifici universitari del Policlinico, mentre le Sapienze ci sono rimaste, anche se non si trovano in tutte le pasticcerie. La ragione è forse nel lungo tempo di preparazione; l’impasto di miele, zucchero, mandorle tritate, buccia d’arancia grattugiata, spezie varie e ammoniaca, viene conservato per molti giorni, prima di essere infornato. Questa conservazione e la lievitatura della pasta servono a conferire alle Sapienze la loro principale caratteristica: una sorta di morbidezza gommosa. A differenza dei Susamielli a volte le Sapienze sono decorate nella superficie da mandorle intere. La forma non è a S, ma di solito è un ovale leggermente allungato e di un certo spessore. L’apparenza un po’ rude e sgraziata nasconde un sapore delicatissimo nascosto nella sua morbidezza. ••• LA RICETTA SAPIENZA ••• TUNNEL BORBONICO La porosità tufacea del tunnel borbonico richiama l’antica duttilità delle Sapienze. Frammenti duri di mandorla interrompono la morbidezza della roccia mentre un profumo speziato restituisce il sapore umido del percorso. I pilastri rocciosi sembrano piegarsi alla creazione del cammino, lo spazio è pronto a sorprenderti, con vertiginose aperture, quasi delle cattedrali. Il mondo di sopra ha qui versato i suoi resti. Una sorta di archeologia di materiale versato nel tempo. Così l’assaggio della Sapienza ti fa scendere nei meandri della sua pasta e nella plasticità della sua forma, mai veramente dura, mai veramente morbida. Walter Benjamin in una straordinaria descrizione di Napoli ne coglie un tratto particolare: la porosità. “ Impressioni di viaggio fantastiche hanno colorato la città. In realtà è grigia: un grigio rosso o ocra, un bianco-grigio. È molto grigia nei confronti del cielo e del mare. … La città è rocciosa”… La Sapienza è un dolce roccioso e di un colore grigio – ocra. … “Nel basamento di roccia, dove raggiunge la riva, sono state scavate delle grotte … L’ architettura è porosa come questa roccia.” … la Sapienza è morbida e duttile, la puoi piegare senza romperla… Fabrizio Mangoni La ricetta del Maestro Pasticcere Ciro Scarpato Ingredienti / miele kg 1 / zucchero g 400 / farina 00 kg 1 / mandorle triturate grosse kg 1,2 / cubetti cedro e arancia kg 1,2 / ammoniaca g 5 / pisto (chiodi di garofano, noce moscata e cannella bastoncini) g 20 / buccia d’arancia grattugiata /vaniglia Procedimento Portare il miele a circa 80° C, quindi versarlo in planetaria insieme agli altri ingredienti, lasciare miscelare per 2-3 minuti. Fare delle piccole sfere di circa 30 g quindi ovalizzarle leggermente e cuocerle per circa 15 minuti a 170°C. ••• CASTAGNETTE CASTAGNETTE MUSEO ARCHEOLOGICO PROVINCIALE DI SALERNO SALERNO Si presenta, come molti dolci delle feste, sotto forma di ammasso di dolci. Struffoli, Pignoccate, Croquenbouche, sono bocconi che aspettano di essere staccati con le mani, che necessariamente si azzeccano, ti sporcano e ti costringono a leccarti le dita. L’ammasso è simbolo di abbondanza, è saccheggio annunciato, invito a tuffarsi come nelle architetture mangiabili delle cuccagne del ‘600. Queste Castagnette della tradizione salernitana sono bocconi croccanti che si ricoprono di cioccolato. Il nome deriva dal fatto che sembrano tante castagne accumulate. E qui il pensiero non può che andare agli immensi boschi di castagni del Cilento, che il millefoglie del flysch roccioso su cui nascono crea l’alternanza provocata dall’acqua che scorre negli strati rocciosi, tra l’arida macchia e il florido castagneto. Portano anche un altro nome: “pidocchi delle monache”. Ritroviamo in questo nome la mitologia dell’immaginario conventuale. Che cosa succede dietro le mura delle clausure? Santità o diavolerie? Se i conventi erano la mirabile rete delle pasticcerie del passato e cronache antiche ci restituiscono elaborazioni sublimi di quelle cucine, non c’è da stupirsi che la gastronomia si arricchisca di nomi come gli Strangolapreti, le Scazzette di cardinale, lo stesso Cappuccino. Ma qui forse più che a suore povere e indigenti, costrette a convivere con fastidiosi ospiti nei loro capelli, ci si riferisce al gesto di spulciarle, di piluccare, di staccare con le dita i gustosi bocconi dalla massa informe. ••• LA RICETTA CASTAGNETTE ••• MUSEO ARCHEOLOGICO PROVINCIALE DI SALERNO “Questi sono frammenti di stelle che ci dicono qualcosa che non riusciamo a capire”. Così il grande archeologo Umberto Zanotti Bianco, che ha molto scavato in queste terre, descriveva i reperti che si trovava davanti. Un museo archeologico è come una cuccagna, da cui staccare ora un frammento, ora una testa miracolosamente impigliata nella rete dei pescatori, ora un vaso. Poi piano piano i frammenti si compongono in un racconto, sempre incerto; una nuova scoperta è in agguato per distruggere le certezze. … Ogni castagnetta che staccheremo con le dita, ci restituirà frammenti diversi e ci spingerà a esplorare quel suo vuoto leggero e croccante. La ricetta del maestro pasticcere Mario Pantaleone Ingredienti /farina /zucchero /acqua / pisto (chiodi di garofano, noce moscata e cannella bastoncini) /mandorle / naspro di zucchero, cioccolato e cannella ••• DIVINO AMORE E RAFFIOLI DIVINO AMORE E RAFFIOLI REGGIA DI CASERTA CASERTA Un giorno di fine settecento il Re Ferdinando IV di Borbone si recò in visita al Convento di San Gregorio Armeno. La storia racconta che le monache presentarono al Re, nel loro Refettorio, una tavola imbandita di polli, carne, frutta, salumi. Era pomeriggio e il Re aveva da poco mangiato; declinò quindi l’invito ad accomodarsi a tavola. Le suore, con insistenza, gli proposero almeno l’assaggio di un boccone e il Re accettò. Il boccone non era salato, anzi dolcissimo; tutte le pietanze erano mirabili e realistiche sculture di Marzapane. Da allora i dolci di marzapane, tanto a Napoli che in Sicilia, furono chiamati Paste Reali. Il Marzapane viene dall’oriente e fu portato in Occidente, in Sicilia, in Spagna, a Napoli e in Provenza, già nel Medioevo. Lo stesso termine Marzapane deriva da una moneta d’argento araba dal nome mawthabán, che corrispondeva all’acquisto di una certa quantità di pasta di mandorle contenuta in una scatola che ne definiva univocamente la quantità. È probabile che già intorno all’anno Mille, in occasione delle crociate, vi siano stati intensi scambi tra le culture gastronomiche occidentali e quelle dell’area araba - persiana. Grande attenzione dedica al Marzapane Mastro Martino di Como, intorno alla metà del 1400 nel suo ricettario De Arte Coquinaria. La descrizione della ricetta è lunga e piena di raccomandazioni sulle quantità degli ingredienti e sui tempi di cottura per garantire la delicatezza magica della Sostanza. Sostanza che torna nella struttura di un’altra ricetta del libro di Mastro Martino: i Caliscioni. Sono questi dolcetti di pasta di mandorla che richiamano i famosi Calissons provenzali, che vengono glassati con lo zucchero profumato. Di questi dolcetti parlerà in un suo trattato sulle confetture, a metà del 1500, il medico provenzale, più noto per le sue profezie, Nostradamus. Le Paste Reali sono accomunate ai Caliscioni dall’essere appoggiati su un’ostia. La glassatura ricorre a diversi colori e si arricchisce di finiture fatte da confetti argentei, da bottoni di cioccolato, da piccole decorazioni glassate. ••• LA RICETTA DIVINO AMORE Da Ricettario di Casa Mangoni Ingredienti / mandorle pelate g 500 / zucchero g 500 / uova intere 3 / cubetti d’arancia canditi circa g 80 / vaniglia una bustina Per coprire / marmellata di albicocche q.b. / naspro (zucchero fondente) / colorante rosa ••• REGGIA DI CASERTA Non fa il verso a Versailles… la reggia di Caserta è mediterranea, accoglie la luce delle nostre terre e ne riverbera i colori. Negli intonaci le superfici prendono le varie nuance del giallo, del rosa, dell’azzurro. Superfici lucide e colorate ricoprono morbidi cuscini di marzapane; quando diventano parati, si decorano con perle, decori argentati, screziature di cioccolato… Procedimento Sbollentare le mandorle e raffinarle unite allo zucchero fino a che non si ottiene una pasta di mandorla, unire le uova e i canditi. Fare delle forme ovali pizzicandone il bordo superiore. Cuocere in forno a 200° C per circa 10 minuti. Raffreddare e cospargere poi di marmellata e quindi mettere il naspro sottile di colore rosa. ••• SUSAMIELLO IRPINO SUSAMIELLO IRPINO PALAZZO ABBAZIALE DEL LORETO AVELLINO I dolci viaggiano. Viaggiano nei territori, ma viaggiano e cambiano anche nel tempo. Conservano un nome, che ne ricorda l’origine, ma sono sostenuti da ricette che non presentano più gli ingredienti di un tempo. Probabilmente il nome deriva da una possibile presenza del sesamo. Non se ne può escludere un’origine nella cucina dell’antica Roma; molti dolci, come i Globulos, palline di formaggio fritte, immerse nel miele, venivano coperte da semi di sesamo. Il pane degli antichi si arricchiva di diversi sapori e, tra questi, anche il sesamo che godeva di una buona reputazione salutista, capace di dare forza agli atleti. Nelle prime ricette rinascimentali il sesamo non lo troviamo più, mentre incontriamo moltissimi sapori. Nei Sosamielli Perfettissimi di Cristoforo da Messisburgo del 1557 l’impasto è basato su farina, zucchero e cedro candito; viene poi amalgamato con le uova, che scompariranno nelle ricette più recenti. Colpisce la varietà delle spezie: cannella, pepe, spezie varie pestate, profumo di acqua di rose e, volendo, il muschio, essenza estratta dalle glandole del cervo. D’altra parte Cristoforo di Messisburgo lavorava per la corte degli Estensi a Ferrara e poi a Mantova presso i Gonzaga. La cucina dei ricchi ostentava le spezie, come manifestazione di potere e di opulenza. Gli stessi ingredienti li troviamo circa cento anni dopo nel ricettario di Antonio Latini, che operava a Napoli, alla corte del Viceré spagnolo. Ancora circa cento anni e i Sosamielli delle Monache sono descritti nel Credenziere del Buon Gusto di Vincenzo Corrado, cuoco e filosofo che lavorò a Napoli a cavallo tra ‘700 e ‘800. Nella ricetta compaiono le mandorle abbrustolite e pestate e i dolcetti, di forma ovale, sono glassati con zucchero insaporito all’arancia. Forse le monache cui si richiama il Corrado sono quelle del Convento della Sapienza, cui si devono le Sapienze, altri tipici biscotti di Natale, che un po’ assomigliano ai Sosamielli. È interessante che nei ricettari di pochi anni successivi a quello di Corrado, il Sosamiello diventa il Susamiello alla Napoletana. Così lo nomina Salvatore Campisi Pistoja che prevede un impasto di farina, miele, spezie e giulebbe d’arancia; ne descrive sia una forma circolare con buco centrale che una a forma di 8. Ancora nel 1830 l’Angioletti, cuoco che ha operato alla corte di Parma, descrive i Susamielli alla napoletana, anche se senza le mandorle. Ne prevede però una forma glassata al cioccolato. È probabile che la forma a S sia più recente, insieme alle tre versioni: − il Susamiello dei Nobili, fatto con farina fine; − il Susamiello dei Zampognari o dei poveri fatto con farina più grossolana; − il Susamiello del Buon Cammino, destinato ai preti che bussavano a Natale alle porte delle case per la questua. Era un doppio Susamiello farcito con marmellata. Forse questa differenza tra dolce per poveri e per ricchi ci riporta di nuovo nell’antica Roma, dove i pani si distinguevano, forse anche quelli al sesamo, tra quelli destinati ai nobili e quelli per la plebe. Poi c’è il Susamiello che ha viaggiato, si è spinto ai confini della Puglia e, in Alta Irpinia, si contamina ibridandosi di gusti e di sostanze. Incontra le patate di quelle colline, il burro di quei pascoli, l’olio degli uliveti e compone un impasto che cresce grazie al lievito madre. Tre bastoncini di pasta sonno affiancati e uniti per le punte. La forma che si genera, non priva di simbolismo erotico, fa uscire il sosamiello irpino dal mondo dei biscotti, per entrare in quello delle frittelle. Dopo la frittura, la forma dorata e trilobata accoglie un lucido succoso a base di vino cotto, cioccolato, miele, compensati dall’asprezza e dl profumo della buccia d’arancia grattugiata si addensa intorno a grani di noci. Susammiedr’ è il nome dialettale. Mosto, miele e pasta fritta possono essere un’influenza delle carteddate di Natale della vicina Puglia. Sul confine si mescolano i paesaggi e anche i sapori. ••• LA RICETTA SUSAMIELLO IRPINO Fabrizio Mangoni La ricetta del ristorante Minicuccio di Vallesaccarda (AV) Ingredienti / lievito madre /patate / 10 uova /farina / burro sciolto, a temperatura ambiente / olio extravergine di oliva /sale /zucchero Condimento / vin cotto /miele /cioccolato / buccia grattugiata di arance / noci tritate /zucchero ••• PALAZZO ABBAZIALE DEL LORETO L’Abbazia è un luogo di accoglienza, passaggio dei pellegrini che si recano a Montevergine. Qui si è passati da una costruzione originaria, che oggi non c’è più, certamente austera come il Susamiello del Buon cammino alla ricostruzione di Cosimo Fanzago che ha conferito un impianto barocco all’abbazia benedettina. La cura e l’accoglienza dei viandanti si è arricchita di farmaci contenuti in ricchi vasi decorati… una cantina ha accolto vini preziosi il vino cotto è finito sul Susamiello di un tempo, rendendo scintillante e voluttuoso il fiore trilobato e le volute di pasta gonfia e dorata. Procedimento Lievito madre Qualche giorno prima si prepara il lievito madre. In alternativa si può acquistare un lievito madre già pronto. Il lievito madre si prepara con un impasto di farina, una farina forte, acqua, un po’ di zucchero per accelerare la lievitazione. L’impasto deve essere morbido. Si lascia fermentare finché non s’inacidisce, comunque non meno di 48 ore. Quando il lievito è pronto si procede a preparare l’impasto. Prima si lessano le patate con la buccia; una volta cotte, si sbucciano, si passano con il passaverdure (si usa il setaccio con i fori stretti), in modo da ottenere una purea liscia che si lascia raffreddare . In un contenitore capiente si sbattono le uova e vi si scioglie dentro il lievito madre. Si aggiunge l’olio di oliva, il burro sciolto mantenuto a temperatura ambiente, il sale, lo zucchero e la purea di patate. Si amalgama il tutto e si aggiunge la farina setacciata (per quanto ne assorbe), fino ad ottenere un composto morbido. S’impasta bene e si lascia lievitare coperto da un canovaccio umido, per almeno 8 ore in un luogo caldo, evitando sbalzi di temperatura. L’impasto è pronto quando si è raddoppiato. Lo si versa dsu una spianatoia infarinata e lo si lavora. Si taglia a pezzetti e per ogni pezzetto si creano con le mani dei tronchetti di pasta di 2 cm di diametro; da questi si tagliano dei bastoncini di pasta di 10-15 cm di lunghezza. I bastoncini vanno cavati con le dita; si procede quindi a formare il susamiello allineando tre bastoncini e unendoli alle due estremità. Dopo la preparazione, è necessaria una ulteriore lievitazione di almeno un’ora. Infine si friggono in abbondante olio di semi facendo attenzione ad avere una temperatura piuttosto elevata all’inizio in modo che il Susamiello non assorba olio. Condimento Si pongono in una pentola gli ingredienti, Vin cotto, Miele, Cioccolato, Buccia grattugiata di arance, Noci tritate e Zucchero. Si porta ad ebollizione rimestando fino a quando il tutto non diventa più denso, circa 10 minuti (il tempo dipende dalla consistenza del vin cotto utilizzato). Una volta pronto, si aspetta che si raffreddi leggermente in modo che diventando più denso si possano condire i Susamielli. ••• TORRONE TORRONE BIANCO MORBIDO CHIESA DI SANTA SOFIA BENEVENTO Nel primo secolo dopo la nascita di Cristo, Marziale definisce Benevento con i suoi prodotti tipici che iniziano tutti con la C; Carduus, cepae, cerebrata, cupedia, chordae cioè Cardone, cipolle, cervellate, copeta, corde. Copeta è il torrone e Cupetari erano i venditori ambulanti che lo smerciavano. Un impasto di miele, zucchero, mandorle e uova che portava un nome simile a quello di Cupido. Tra i ricettari romani e quelli trecenteschi di area meridionale, c’è la grande cucina di Baghdad. Intorno al X secolo si elabora, partendo dalle basi romane, ma arricchendola con i prodotti provenienti dall’estremo oriente, come dal mediterraneo, una tradizioni culinarie che vive sullo sfondo delle Mille e una Notte. E qui il torrone, che nell’ultimo periodo dell’Impero romano era il basamento, attraverso il croccante, di monumentali architetture pasticcere, si ripropone sulle rive del Mediterraneo nella cucina arabo – andalusa, e la Cupeta diventa Cubaita. Ma anche Cupido ritorna sulla scena. Tutta la cucina araba si basa sulla medicina umorale, sulla necessità di compensare col cibo gli squilibri del temperamento del corpo (flemmatico, melanconico, collerico e sanguigno). Bisogna mangiare assecondando il desiderio, perché naturalmente cerchiamo quello di cui abbiamo bisogno. Nell’alto medioevo Baghdad, Cordoba, Salerno e Kairouan in Tunisia erano i centri che attraverso cui la tradizione medica greca di Ippocrate e di Galeno, tramite da Avicenna, ispira le basi di quella che sarà la dieta mediterranea. E Benevento ritrova il torrone (torùn è un altro termine arabo) e ne rinverdisce la tradizione, arricchendolo di colori, ricoprendo i croccantini baci di naspro al cioccolato, esplorando composizioni ardite di paste morbide al liquore, avvolte dalla massa bianca del torrone. ••• LA RICETTA TORRONE BIANCO CLASSICO ••• CHIESA DI SANTA SOFIA Se possiamo immaginare la Napoli delle origini, la Napoli prima di Napoli come una distesa di tufo tra il beige e il marrone, Benevento è una tabula rasa bianca. Piano piano la sua pietra si è alzata ha preso le forme delle architetture romane, le pareti dell’arco di Traiano hanno fatto lievitare forme che raccontano storie eroiche, le chiese hanno scavato nel chiarore le loro cripte. La sostanza morbida delinea colonne e capitelli zuccherini …. Ricetta del maestro pasticcere Umberto Russo Ingredienti / miele 1kg / albume 20 g / acqua 53 g / zucchero a velo 13 g / mandorle e nocciole 800 g / assenzio q.b. Preparazione Sciogliere il miele, l’albume, l’acqua e cuocere a 60° per 2 ore. Terminata la fase di montaggio, aggiungere lo zucchero a velo e continuare a cuocere a fuoco lento per altre 3 ore. A fine cottura aggiungere le mandorle, le nocciole e l’assenzio. Lasciare raffreddare e tagliare. ••• ••• numero verde campania> artecard 800 600 601 cellulari ed estero +39 06 39967650 prenotazione obbligatoria fino ad esaurimento posti disponibili Info e prenotazioni / dal lunedì al venerdì ore 9.00 / 18.00 sabato ore 9.00 / 14.00 Modalità di partecipazione / Partecipa agli eventi di Dolce Natale con la Grand Tour Card Evento da € 10.00 [email protected] www.campaniartecard.it Accesso gratuito all’evento con la Grand campania>artecard è su Tour Card Napoli/ Campania in corso di validità
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