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arte / storia / sapori / tradizioni
il racconto di fabrizio mangoni
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DOLCE
NATALE
FABRIZIO
MANGONI
Ovunque si festeggi il Natale c’è un dolce; arriva alla
fine del pasto e parla all’anima Forme simboliche e
sapori suggestivi sono destinati ad evocare sentimenti
di gioia, di pace, di buon augurio Il Christmas
Pudding rappresenta il Natale degli inglesi, il tronchetto
di Natale quello francese, il Pane di San Basilio quello
dei greci, lo Stollen accompagna il Natale prussiano
A Milano c’è il Panettone, a Verona il Pandoro e a
Napoli? A Napoli e in Campania si preparano ben otto
dolci di Natale; alcuni li preparavano le monache dei
conventi e portano ancora i loro nomi Così le Paste
Reali di San Gregorio Armeno, i dolcetti zuccherati
del Divino Amore, i biscotti speziati e morbidi della
Sapienza, nati nelle mani delle monache, sono finiti
nella tradizione pasticcera della città Si aggiungono
a dolci le cui origini si trovano lungo le rotte del
Mediterraneo, come gli Struffoli d’oriente, il Marzapane
degli arabi, o i Mostaccioli che qui da noi hanno
incrociato la bevanda degli Aztechi: il cioccolato
Questi dolci veicolano storie e paesaggi e possono
considerarsi a pieno titolo beni culturali Questa
ricchezza dolciaria e gastronomica incontrerà, nel
progetto Dolce Natale, la bellezza di sette monumenti
della Campania I visitatori potranno conoscere la
storia di luoghi spettacolari, impararne le ricette da
maestri pasticceri, e gustare un dolce del Natale
campano, scoprendone suggestive connessioni con
i monumenti visitati
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DAL 27
DICEMBRE AL
5 GENNAIO
Visite guidate,
showcooking
e degustazioni
in sette luoghi
d’arte della
Campania:
•Certosa e Museo di San Martino,
Napoli
•Museobottega della Tarsialignea – MUTA, Sorrento
•Tunnel Borbonico, Napoli
•Museo Archeologico Provinciale di Salerno
•Reggia di Caserta
•Palazzo Abbaziale
del Loreto,
Avellino
•Chiesa di Santa Sofia
e Palazzo di Paolo V, Benevento
Così come i monumenti,
l’arte della pasticceria
campana è un
patrimonio culturale.
L’arte e la tradizione
dolciaria natalizia
della Campania
s’incontrano in questo
Dolce Natale con
visite, degustazioni e
showcooking. Durante
gli showcooking abili
pasticceri mostrano
come preparare i tipici
dolci natalizi campani,
Fabrizio Mangoni ne
racconta la storia,
le origini dei loro nomi,
e l’associazione tra dolci
e monumenti.
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GLI
APPUNTAMENTI DEL
DOLCE
NATALE
ROCCOCÒ
MOSTACCIOLI
SAPIENZA
CASTAGNETTE
STRUFFOLI
DIVINO AMORE
E RAFFIOLI
SUSAMIELLO
TORRONE BIANCO
MORBIDO
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Sab 27 dic / ore 11.00
Napoli
Certosa e Museo
di San Martino
visita guidata e
showcooking
Le lunghe rotte del
Roccocò
IL PROGRAMMA POTREBBE
SUBIRE VARIAZIONI
WWW.CAMPANIARTECARD.IT
Dom 28 dic / ore 11.00
Sorrento
Museobottega della
Tarsialignea – MUTA
visita guidata e
showcooking
Un candido rombo
incontra il cioccolato
Servizio navetta da
Napoli, P.zza Garibaldi
ore 9.30 con prenotazione
obbligatoria
Lun 29 dic / ore 20.30
Napoli
Tunnel Borbonico
visita guidata e
showcooking
La tufacea consistenza
della dolce Sapienza
Ingresso
Via Domenico Morelli c/o
Parcheggio Morelli
Mar 30 dic / ore 17.30
Salerno
Museo Archeologico
Provinciale di Salerno
visita guidata e
degustazione
Castagnette e Struffoli
Sab 3 gen / ore 11.00
Caserta
Reggia di Caserta
visita guidata e
degustazione
Perle su volute pregiate
Servizio navetta da
Napoli, P.zza Garibaldi ore
Servizio navetta da
Napoli, P.zza Garibaldi ore 10.00 con prenotazione
obbligatoria
15.45 con prenotazione
obbligatoria
Dom 4 gen / ore 11.00
Avellino
Palazzo Abbaziale del
Loreto
Visita guidata e
degustazione
Il susamiello irpino
Lun 5 gen / ore 16.30
Benevento
Chiesa di Santa Sofia
e Palazzo di Paolo V
visita guidata,
spettacolo per famiglie
e degustazione
Il chiarore della pietra
nella morbidezza del
torrone
Servizio navetta da
Napoli, P.zza Garibaldi ore
10.00 con prenotazione
obbligatoria
Servizio navetta da
Napoli, P.zza Garibaldi
ore 15.00 con prenotazione
obbligatoria
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ROCCOCÒ
ROCCOCÒ
CERTOSA E MUSEO DI SAN MARTINO
NAPOLI
Duro, anzi durissimo ma buono e
profumato, queste le caratteristiche del
Roccocò. Il più antico lo preparavano
nel 1320 le Monache del convento della
Maddalena. I conventi napoletani nel
corso dei secoli sono stati il riferimento
cittadino di produzione pasticcera. Questa
mirabile rete offriva ai napoletani dolci che
affondavano le loro radici in antichissime
tradizioni. Bisogna ricordare che Napoli è
metropoli da sempre. La città romana si è
impiantata sulla stessa struttura urbana di
quella greca; quella medievale su quella
romana e così via. Qualcosa di simile è
avvenuto con i dolci; è significativo che
nessun dolce napoletano di tradizione
prevede il lievito. Brioches, Babà, sono
arrivati per importazione, anche quando
sono stati “napoletanizzati”. Il lievito è
un prodotto legato alla panetteria, alla
cultura della campagna ed è lontano
dalla pasticceria della metropoli. Le
monache quindi riproducevano tradizioni
antichissime, e il Roccocò affonda le
radici nei biscotti speziati del Medioevo.
Farina, zucchero, mandorle abbrustolite
e frantumate costituiscono la struttura
portante del Roccocò. Poi ci sono le
scorzette d’arancia candite, la cannella, i
chiodi di garofano, il pepe. La caratteristica
che rende particolare il Roccocò rispetto
agli altri dolci natalizi napoletani prevede
nell’impasto il risultato della fusione del
Giulebbe (acqua e zucchero bolliti fino
al piccolo filetto) col Miele. È li che si
basa il gusto di fondo di questo biscotto;
la sua durezza ha fatto pensare ad una
derivazione del nome dal francese Rocaille,
che è poi la stessa origine del nome che
definisce lo stile architettonico. Roccioso
lo stile, con le sue decorazioni e volute,
con i muri che si muovono tra rientranze e
sporgenze. Certo guardando alcune chiese
barocche napoletane, si ha l’impressione
della durezza del Roccocò. Ora il dolce si
faceva a Napoli fin dal medioevo; potrebbe
aver preso questo nome all’inizio del
Settecento in parallelo all’affermarsi dello
stile. Il nome dovette diffondersi anche
per dolci diversi da quello Napoletano.
Giovanni Luraschi nel suo Nuovo Cuoco alla
Milanese, a metà dell’Ottocento, descrive
la ricetta di Biscottini alla Roccocò. Si tratta
di biscotti di pasta di mandorla tramezzati
da marmellata. La caratteristica della pasta
che può essere modellata in varie forme,
potrebbe giustificare il riferimento allo
stile architettonico. La durezza rocciosa
del nostro biscotto conventuale, può
aver ispirato un rapporto con Rocaille. Di
recente è stata avanzata da studiosi della
cucina araba, una possibile influenza nel
nome del termine arabo Ruqāq; oggi indica
dei dolci morbidi e profumati, ma non si
può escludere che nel passato potessero
esserci corrispondenze tra spezie e profumi
del dolce arabo e di quello napoletano.
L’incontro tra farina, miele e spezie,
caratterizza tutta una serie di dolcetti
(Ka’K) della cucina medievale di Baghdad
e di quella andalusa. È un’ipotesi tutta
da approfondire; tuttavia sarebbe bello
immaginare, pensando che la regina Sancia
d’Aragona, moglie di Roberto d’Angiò
fondava conventi in Italia e in Terra Santa,
che una monaca trasferitasi dall’oriente nel
convento della Maddalena, abbia portato
con sé una ricetta….
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LA RICETTA
ROCCOCÒ
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CERTOSA DI
SAN MARTINO
LA SPEZIERIA
Da sempre le spezie si sono collocate tra
la medicina e la cucina. La tradizione dei
monaci certosini alsaziani si è diffusa nella
mirabile rete di Certose del mondo. Le
Farmacie e le spezierie erano una fonte
di sapere medico e di guadagno per i
complessi monastici. Famose erano le
palle mediche che venivano sciolte in
infusione nel vino; curcuma, cardo, trifoglio,
coclearia, assenzio, tamarindo, elleboro e
semi di anice entravano nei composti. Più
semplicemente la cannella col vino caldo
curava i raffreddori dei monaci esposti ai
salti di temperatura tra le loro celle e i canti
notturni nella chiesa. La cannella, i chiodi
di garofano, la noce moscata del Roccocò
stavano certamente nei vasi della Farmacia
della Certosa. Ma poi… guardando bene…
nella cornice ai lati del quadro del soffitto
della sala… forse intravediamo il colore e le
forme di biscotti speziati.
Fabrizio Mangoni
La ricetta del Maestro Pasticcere
Ciro Scarpato
Ingredienti
/ farina integrale
kg 1
/ zucchero kg 1 / mandorle tostate kg 1
/ ammoniaca g 3 / acqua calda g 350
/ cannella in polvere g 5 / pisto (chiodi di garofano, noce moscata
e cannella bastoncini) g 5
/ buccia di arancia grattugiata
/vaniglia
Procedimento
Impastare il tutto, lasciare riposare per
12 ore. Quindi ricavare dei bastoncini di
2 cm di diametro con i quali fare delle
ciambelle di circa 10 cm di diametro,
spennellare con tuorlo d’uovo e cuocere
in forno a 190°C per 20 minuti.
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MOSTACCIOLI
MOSTACCIOLI
MUSEOBOTTEGA DELLA TARSIALIGNEA - MUTA
SORRENTO
All’origine ci sono degli sposi. I matrimoni
nell’antica Roma erano coronati dai
Mostacea. Catone ce ne ha lasciato la
ricetta. Un impasto di mosto e farina, con
grasso e formaggio, viene speziato da
anice, cumino e rametti di alloro grattugiati.
Veniva cotto su un piano di foglie di alloro,
messe su una piastra. Ma possiamo davvero
considerarlo un antenato dei nostri rombi
ricoperti di cioccolato?
Tra il 200 a.C. di Catone e i primi ricettari
del tardo medioevo, abbiamo solo il libro
di Apicio del quarto secolo d.C.; in mezzo
un vuoto, su cui si comincia a far luce solo
da pochi decenni attraverso contributi
frammentari e, soprattutto, la divulgazione
dei testi arabi. Il mosto di Catone per
i Romani era, insieme al miele, un
dolcificante per eccellenza; gli arabi hanno
poi portato lo zucchero. Farina, zucchero
e spezie sono la base con cui i mostaccioli
compaiono nei ricettari del Rinascimento
e con varianti, più o meno significative,
arrivano fino alla ricetta napoletana. Non si
può escluderne una derivazione dai pani
speziati del Medioevo, mentre la forma
potrebbe ispirarsi ai dolci di marzapane
provenzali. Nel 1557 Cristoforo di
Messisburgo li descrive come una base di
miele e farina con zafferano, cedro candito,
noce moscata e cinnamomo. All’inizio sono
dei biscotti senza grassi, molto speziati e
utili, una volta sbriciolati, come addensante
di sapori per torte; li usa così Bartolomeo
Scappi, cuoco del Papa Pio V, per preparare
una mitica torta al gusto di Cantalupo. Nei
suoi mostaccioli alla milanese compaiono
le uova, mentre più tardi, a metà ‘600, si
aggiungono le mandorle tostate e pestate.
Proprio a Napoli, alla fine del ‘600, Antonio
Latini descrive i Mostaccioli con cedri
canditi, mandorle, spezie ma, per la prima
volta, ricoperti di una glassa di zucchero
al gusto di cannella. Bisogna aspettare
gli ultimi anni del Settecento per l’arrivo
del cioccolato sui Mostaccioli. Vincenzo
Corrado nel 1778 descrive un naspro al
cioccolato con cui coprire ogni dolce che
si vuole. Poiché qualche decennio dopo
riporta in un nuovo ricettario la sua ricetta
del Mostacciolo glassato al cioccolato, è
credibile datare a fine Settecento l’origine
del Mostacciolo napoletano. Ne prevede
sia una versione con cannella, chiodi di
garofano e noce moscata, sia una con
cedro candito, mandorle, e un pizzico di
pepe. Una versione semplificata è quella
proposta da Michele Somma di Nola, che
nel 1810 descrive un Mostacciolo fatto solo
di zucchero, farina e mandorle, ricoperto di
cioccolato. Si arriva così all’ultima proposta
di Jeanne Carola Francesconi (1972)
che propone una semplificazione della
ricetta, riducendo le spezie del ricettario di
Vincenzo Corrado, e inserisce la raschiatura
d’arancia, e la glassa al cioccolato.
Introduce però un tema che ci riporta alle
atmosfere viennesi d’inizio Ottocento.
Interpone tra il biscotto e la glassa vetrosa
al cacao, un sottile strato di amarena e di
albicocche.
E qui siamo in piena Sachertorte; mi piace
immaginare che le note di “Palummella
zompa e vola” che poteva cantare Vincenzo
Corrado si mescolino con quelle di un
valzer di Strauss.
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LA RICETTA
MOSTACCIOLI
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MUSEOBOTTEGA
DELLA
TARSIALIGNEA
- MUTA
… metti su un piano un mostacciolo scuro
di cioccolato e affiancane altri quattro
glassati bianchi alla cannella, e poi così via
a formare come un pavimento a rombi
chiari e scuri. Dove finisce il pavimento?
Su un bordo intarsiato magari con decori
d’avorio zuccherino. Avevo in casa una
scatola di legno intarsiato, di fattura
sorrentina, che era fatta così. Losanghe
chiare e scure si alternavano e facevano
pensare ai mostaccioli di Natale. Anche
perché la scatola conteneva frammenti di
pastori rotti dell’anno precedente. Per fare
il presepe si apriva la scatola e si provava a
riattribuire i pezzi ai pastori che li avevano
persi. Molti erano, però, i frammenti
orfani del proprietario. Il mio contributo al
presepe era il loro riutilizzo; così da finestre
di casette, da dietro ai muretti uscivano
braccia con oggetti offerti, gambe che
facevano immaginare una figura nascosta
da un alberello, persino la coda di tacchini
che mettevano la testa sotto terra a cercare
qualcosa.
La scatola sorrentina era in stile Liberty;
i bordi presentavano strati alterni chiari
e scuri. Il Liberty usa spesso le forme
allungate per assecondare il movimento
e la dinamica decorativa. L’ovale è più
dinamico del cerchio, il rombo più mosso
del quadrato. Non sappiamo quando il
mostacciolo ha preso la forma del rombo;
forse erano così già all’origine, ma mi
piace pensare che a cavallo tra ‘800 e
‘900, come in quella scatola sorrentina, si
siano dinamicamente allungati e allora il
mostacciolo viennese con la marmellata,
potrebbe mescolare le sue note con quelle
di Reginella col cappello con le rose
e le viole …
Fabrizio Mangoni
Ingredienti
/ farina integrale kg 1
/ zucchero g 500 / miele g 200 / mandorle triturate g 300
/ ammoniaca
g 4
/ acqua calda g 250
/ cioccolato fondente puro
Procedimento
Impastare il tutto, lasciare riposare per
12 ore. Quindi stendere la pasta ad uno
spessore di 1,5 cm circa ritagliare dei
rombi di circa 15 cm. Cuocere in forno
a 180 °C per 20 minuti. Una volta freddi
ricoprire col cioccolato.
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SAPIENZA
SAPIENZA
TUNNEL BORBONICO
NAPOLI
Simile ai Susamielli per ingredienti, deve
il suo nome all’omonimo Convento
delle Clarisse che lo confezionavano. Il
Monastero si trovava lungo il decumano
superiore della città, all’incrocio tra Via del
Sole e Via della Sapienza. Qui, nel 1507, il
potente Cardinale Oliviero Carafa aveva
acquistato un palazzo per farne un luogo
dove s’insegnassero da peritissimi maestri…
tutte le scienze e i buoni costumi. Morto il
Cardinale qualche anno dopo e rimasta
incompiuta l’impresa, fu fondato un
convento di Clarisse, nominato Santa Maria
della Sapienza. Una decina di anni dopo,
il Convento passò all’ordine Domenicano
e divenne Madre Priora suor Maria Carafa,
sorella del futuro Papa Paolo IV. In quel
periodo il Susamiello compare nei ricettari
dell’epoca, è quindi ipotizzabile che la
notorietà e la potenza politica del Convento
riuscissero a caratterizzare il nome del
dolce che le monache preparavano. Oggi
il convento non c’è più, sostituito dagli
edifici universitari del Policlinico, mentre le
Sapienze ci sono rimaste, anche se non si
trovano in tutte le pasticcerie. La ragione
è forse nel lungo tempo di preparazione;
l’impasto di miele, zucchero, mandorle
tritate, buccia d’arancia grattugiata, spezie
varie e ammoniaca, viene conservato per
molti giorni, prima di essere infornato.
Questa conservazione e la lievitatura della
pasta servono a conferire alle Sapienze
la loro principale caratteristica: una sorta
di morbidezza gommosa. A differenza
dei Susamielli a volte le Sapienze sono
decorate nella superficie da mandorle
intere. La forma non è a S, ma di solito è
un ovale leggermente allungato e di un
certo spessore. L’apparenza un po’ rude e
sgraziata nasconde un sapore delicatissimo
nascosto nella sua morbidezza.
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LA RICETTA
SAPIENZA
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TUNNEL
BORBONICO
La porosità tufacea del tunnel borbonico
richiama l’antica duttilità delle Sapienze.
Frammenti duri di mandorla interrompono la
morbidezza della roccia mentre un profumo
speziato restituisce il sapore umido del
percorso. I pilastri rocciosi sembrano piegarsi
alla creazione del cammino, lo spazio è
pronto a sorprenderti, con vertiginose
aperture, quasi delle cattedrali. Il mondo di
sopra ha qui versato i suoi resti. Una sorta di
archeologia di materiale versato nel tempo.
Così l’assaggio della Sapienza ti fa scendere
nei meandri della sua pasta e nella plasticità
della sua forma, mai veramente dura, mai
veramente morbida.
Walter Benjamin in una straordinaria
descrizione di Napoli ne coglie un tratto
particolare: la porosità. “ Impressioni di
viaggio fantastiche hanno colorato la città.
In realtà è grigia: un grigio rosso o ocra, un
bianco-grigio. È molto grigia nei confronti del
cielo e del mare. … La città è rocciosa”…
La Sapienza è un dolce roccioso e di un
colore grigio – ocra.
… “Nel basamento di roccia, dove raggiunge
la riva, sono state scavate delle grotte …
L’ architettura è porosa come questa roccia.”
… la Sapienza è morbida e duttile, la puoi
piegare senza romperla…
Fabrizio Mangoni
La ricetta del Maestro Pasticcere
Ciro Scarpato
Ingredienti
/ miele kg 1
/ zucchero
g 400
/ farina 00
kg 1
/ mandorle triturate grosse kg 1,2
/ cubetti cedro e arancia kg 1,2
/ ammoniaca
g 5
/ pisto
(chiodi di garofano, noce moscata e cannella bastoncini) g 20
/ buccia d’arancia grattugiata
/vaniglia
Procedimento
Portare il miele a circa 80° C, quindi
versarlo in planetaria insieme agli altri
ingredienti, lasciare miscelare per 2-3
minuti.
Fare delle piccole sfere di circa
30 g quindi ovalizzarle leggermente e
cuocerle per circa 15 minuti a 170°C.
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CASTAGNETTE
CASTAGNETTE
MUSEO ARCHEOLOGICO PROVINCIALE DI SALERNO
SALERNO
Si presenta, come molti dolci delle feste,
sotto forma di ammasso di dolci. Struffoli,
Pignoccate, Croquenbouche, sono bocconi
che aspettano di essere staccati con le
mani, che necessariamente si azzeccano,
ti sporcano e ti costringono a leccarti le
dita. L’ammasso è simbolo di abbondanza,
è saccheggio annunciato, invito a tuffarsi
come nelle architetture mangiabili delle
cuccagne del ‘600. Queste Castagnette
della tradizione salernitana sono bocconi
croccanti che si ricoprono di cioccolato.
Il nome deriva dal fatto che sembrano tante
castagne accumulate. E qui il pensiero
non può che andare agli immensi boschi
di castagni del Cilento, che il millefoglie
del flysch roccioso su cui nascono crea
l’alternanza provocata dall’acqua che scorre
negli strati rocciosi, tra l’arida macchia e il
florido castagneto.
Portano anche un altro nome: “pidocchi
delle monache”. Ritroviamo in questo nome
la mitologia dell’immaginario conventuale.
Che cosa succede dietro le mura delle
clausure? Santità o diavolerie? Se i conventi
erano la mirabile rete delle pasticcerie del
passato e cronache antiche ci restituiscono
elaborazioni sublimi di quelle cucine,
non c’è da stupirsi che la gastronomia si
arricchisca di nomi come gli Strangolapreti,
le Scazzette di cardinale, lo stesso
Cappuccino. Ma qui forse più che a suore
povere e indigenti, costrette a convivere
con fastidiosi ospiti nei loro capelli, ci si
riferisce al gesto di spulciarle, di piluccare,
di staccare con le dita i gustosi bocconi
dalla massa informe.
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LA RICETTA
CASTAGNETTE
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MUSEO
ARCHEOLOGICO
PROVINCIALE
DI SALERNO
“Questi sono frammenti di stelle che ci
dicono qualcosa che non riusciamo a
capire”. Così il grande archeologo Umberto
Zanotti Bianco, che ha molto scavato in
queste terre, descriveva i reperti che si
trovava davanti. Un museo archeologico è
come una cuccagna, da cui staccare ora un
frammento, ora una testa miracolosamente
impigliata nella rete dei pescatori, ora un
vaso.
Poi piano piano i frammenti si compongono
in un racconto, sempre incerto; una nuova
scoperta è in agguato per distruggere le
certezze. …
Ogni castagnetta che staccheremo con
le dita, ci restituirà frammenti diversi e ci
spingerà a esplorare quel suo vuoto leggero
e croccante.
La ricetta del maestro pasticcere
Mario Pantaleone
Ingredienti
/farina
/zucchero
/acqua
/ pisto (chiodi di garofano, noce moscata
e cannella bastoncini)
/mandorle
/ naspro di zucchero, cioccolato e cannella
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DIVINO AMORE
E RAFFIOLI
DIVINO AMORE E RAFFIOLI
REGGIA DI CASERTA
CASERTA
Un giorno di fine settecento il Re
Ferdinando IV di Borbone si recò in visita
al Convento di San Gregorio Armeno.
La storia racconta che le monache
presentarono al Re, nel loro Refettorio,
una tavola imbandita di polli, carne, frutta,
salumi. Era pomeriggio e il Re aveva da
poco mangiato; declinò quindi l’invito
ad accomodarsi a tavola. Le suore, con
insistenza, gli proposero almeno l’assaggio
di un boccone e il Re accettò. Il boccone
non era salato, anzi dolcissimo; tutte
le pietanze erano mirabili e realistiche
sculture di Marzapane. Da allora i dolci
di marzapane, tanto a Napoli che in
Sicilia, furono chiamati Paste Reali. Il
Marzapane viene dall’oriente e fu portato
in Occidente, in Sicilia, in Spagna, a Napoli
e in Provenza, già nel Medioevo. Lo
stesso termine Marzapane deriva da una
moneta d’argento araba dal nome mawthabán, che corrispondeva all’acquisto di
una certa quantità di pasta di mandorle
contenuta in una scatola che ne definiva
univocamente la quantità. È probabile che
già intorno all’anno Mille, in occasione
delle crociate, vi siano stati intensi scambi
tra le culture gastronomiche occidentali e
quelle dell’area araba - persiana. Grande
attenzione dedica al Marzapane Mastro
Martino di Como, intorno alla metà del
1400 nel suo ricettario De Arte Coquinaria.
La descrizione della ricetta è lunga e
piena di raccomandazioni sulle quantità
degli ingredienti e sui tempi di cottura
per garantire la delicatezza magica della
Sostanza. Sostanza che torna nella struttura
di un’altra ricetta del libro di Mastro
Martino: i Caliscioni. Sono questi dolcetti
di pasta di mandorla che richiamano i
famosi Calissons provenzali, che vengono
glassati con lo zucchero profumato. Di
questi dolcetti parlerà in un suo trattato
sulle confetture, a metà del 1500, il medico
provenzale, più noto per le sue profezie,
Nostradamus.
Le Paste Reali sono accomunate ai
Caliscioni dall’essere appoggiati su un’ostia.
La glassatura ricorre a diversi colori e si
arricchisce di finiture fatte da confetti
argentei, da bottoni di cioccolato, da
piccole decorazioni glassate.
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LA RICETTA
DIVINO AMORE
Da Ricettario di Casa Mangoni
Ingredienti
/ mandorle pelate g 500
/ zucchero g 500
/ uova intere 3
/ cubetti d’arancia canditi circa g 80
/ vaniglia una bustina
Per coprire
/ marmellata di albicocche q.b.
/ naspro (zucchero fondente)
/ colorante rosa
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REGGIA DI
CASERTA
Non fa il verso a Versailles… la reggia di
Caserta è mediterranea, accoglie la luce
delle nostre terre e ne riverbera i colori.
Negli intonaci le superfici prendono le varie
nuance del giallo, del rosa, dell’azzurro.
Superfici lucide e colorate ricoprono
morbidi cuscini di marzapane; quando
diventano parati, si decorano con perle,
decori argentati, screziature di cioccolato…
Procedimento
Sbollentare le mandorle e raffinarle
unite allo zucchero fino a che non si
ottiene una pasta di mandorla, unire
le uova e i canditi. Fare delle forme ovali
pizzicandone il bordo superiore. Cuocere
in forno a 200° C per circa 10 minuti.
Raffreddare e cospargere poi
di marmellata e quindi mettere il naspro
sottile di colore rosa.
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SUSAMIELLO
IRPINO
SUSAMIELLO IRPINO
PALAZZO ABBAZIALE DEL LORETO
AVELLINO
I dolci viaggiano. Viaggiano nei territori, ma
viaggiano e cambiano anche nel tempo.
Conservano un nome, che ne ricorda l’origine,
ma sono sostenuti da ricette che non
presentano più gli ingredienti di un tempo.
Probabilmente il nome deriva da una possibile
presenza del sesamo. Non se ne può escludere
un’origine nella cucina dell’antica Roma; molti
dolci, come i Globulos, palline di formaggio
fritte, immerse nel miele, venivano coperte
da semi di sesamo. Il pane degli antichi si
arricchiva di diversi sapori e, tra questi, anche il
sesamo che godeva di una buona reputazione
salutista, capace di dare forza agli atleti. Nelle
prime ricette rinascimentali il sesamo non lo
troviamo più, mentre incontriamo moltissimi
sapori. Nei Sosamielli Perfettissimi di Cristoforo
da Messisburgo del 1557 l’impasto è basato
su farina, zucchero e cedro candito; viene poi
amalgamato con le uova, che scompariranno
nelle ricette più recenti. Colpisce la varietà
delle spezie: cannella, pepe, spezie varie
pestate, profumo di acqua di rose e, volendo,
il muschio, essenza estratta dalle glandole del
cervo. D’altra parte Cristoforo di Messisburgo
lavorava per la corte degli Estensi a Ferrara e
poi a Mantova presso i Gonzaga. La cucina dei
ricchi ostentava le spezie, come manifestazione
di potere e di opulenza. Gli stessi ingredienti li
troviamo circa cento anni dopo nel ricettario
di Antonio Latini, che operava a Napoli, alla
corte del Viceré spagnolo. Ancora circa cento
anni e i Sosamielli delle Monache sono descritti
nel Credenziere del Buon Gusto di Vincenzo
Corrado, cuoco e filosofo che lavorò a Napoli a
cavallo tra ‘700 e ‘800. Nella ricetta compaiono
le mandorle abbrustolite e pestate e i dolcetti,
di forma ovale, sono glassati con zucchero
insaporito all’arancia. Forse le monache cui si
richiama il Corrado sono quelle del Convento
della Sapienza, cui si devono le Sapienze, altri
tipici biscotti di Natale, che un po’ assomigliano
ai Sosamielli. È interessante che nei ricettari
di pochi anni successivi a quello di Corrado,
il Sosamiello diventa il Susamiello alla
Napoletana. Così lo nomina Salvatore Campisi
Pistoja che prevede un impasto di farina, miele,
spezie e giulebbe d’arancia; ne descrive sia una
forma circolare con buco centrale che una a
forma di 8. Ancora nel 1830 l’Angioletti, cuoco
che ha operato alla corte di Parma, descrive i
Susamielli alla napoletana, anche se senza le
mandorle. Ne prevede però una forma glassata
al cioccolato. È probabile che la forma a S sia più
recente, insieme alle tre versioni:
− il Susamiello dei Nobili, fatto con farina fine;
− il Susamiello dei Zampognari o dei poveri
fatto con farina più grossolana;
− il Susamiello del Buon Cammino, destinato
ai preti che bussavano a Natale alle porte delle
case per la questua. Era un doppio Susamiello
farcito con marmellata.
Forse questa differenza tra dolce per poveri e
per ricchi ci riporta di nuovo nell’antica Roma,
dove i pani si distinguevano, forse anche
quelli al sesamo, tra quelli destinati ai nobili e
quelli per la plebe. Poi c’è il Susamiello che ha
viaggiato, si è spinto ai confini della Puglia e, in
Alta Irpinia, si contamina ibridandosi di gusti e
di sostanze.
Incontra le patate di quelle colline, il burro di
quei pascoli, l’olio degli uliveti e compone un
impasto che cresce grazie al lievito madre. Tre
bastoncini di pasta sonno affiancati e uniti per
le punte. La forma che si genera, non priva di
simbolismo erotico, fa uscire il sosamiello irpino
dal mondo dei biscotti, per entrare in quello
delle frittelle. Dopo la frittura, la forma dorata
e trilobata accoglie un lucido succoso a base
di vino cotto, cioccolato, miele, compensati
dall’asprezza e dl profumo della buccia d’arancia
grattugiata si addensa intorno a grani di noci.
Susammiedr’ è il nome dialettale. Mosto, miele
e pasta fritta possono essere un’influenza delle
carteddate di Natale della vicina Puglia. Sul
confine si mescolano i paesaggi e
anche i sapori.
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LA RICETTA
SUSAMIELLO
IRPINO
Fabrizio Mangoni
La ricetta del ristorante Minicuccio
di Vallesaccarda (AV)
Ingredienti
/ lievito madre
/patate
/ 10 uova
/farina
/ burro sciolto, a temperatura ambiente
/ olio extravergine di oliva
/sale
/zucchero
Condimento
/ vin cotto
/miele
/cioccolato
/ buccia grattugiata di arance
/ noci tritate
/zucchero
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PALAZZO
ABBAZIALE
DEL LORETO
L’Abbazia è un luogo di accoglienza,
passaggio dei pellegrini che si recano
a Montevergine. Qui si è passati da una
costruzione originaria, che oggi non c’è più,
certamente austera come il Susamiello del
Buon cammino alla ricostruzione di Cosimo
Fanzago che ha conferito un impianto
barocco all’abbazia benedettina. La cura e
l’accoglienza dei viandanti si è arricchita di
farmaci contenuti in ricchi vasi decorati…
una cantina ha accolto vini preziosi il vino
cotto è finito sul Susamiello di un tempo,
rendendo scintillante e voluttuoso il fiore
trilobato e le volute di pasta gonfia e dorata.
Procedimento
Lievito madre
Qualche giorno prima si prepara il lievito
madre. In alternativa si può acquistare un
lievito madre già pronto.
Il lievito madre si prepara con un impasto
di farina, una farina forte, acqua, un po’ di
zucchero per accelerare la lievitazione.
L’impasto deve essere morbido. Si lascia
fermentare finché non s’inacidisce,
comunque non meno di 48 ore.
Quando il lievito è pronto si procede a
preparare l’impasto.
Prima si lessano le patate con la buccia; una
volta cotte, si sbucciano, si passano con il
passaverdure (si usa il setaccio con i fori
stretti), in modo da ottenere una purea liscia
che si lascia raffreddare .
In un contenitore capiente si sbattono le
uova e vi si scioglie dentro il lievito madre.
Si aggiunge l’olio di oliva, il burro sciolto
mantenuto a temperatura ambiente, il
sale, lo zucchero e la purea di patate. Si
amalgama il tutto e si aggiunge la farina
setacciata (per quanto ne assorbe), fino ad
ottenere un composto morbido. S’impasta
bene e si lascia lievitare coperto da un
canovaccio umido, per almeno 8 ore in un
luogo caldo, evitando sbalzi di temperatura.
L’impasto è pronto quando si è raddoppiato.
Lo si versa dsu una spianatoia infarinata
e lo si lavora. Si taglia a pezzetti e per ogni
pezzetto si creano con le mani dei tronchetti
di pasta di 2 cm di diametro; da questi si
tagliano dei bastoncini di pasta di 10-15 cm
di lunghezza.
I bastoncini vanno cavati con le dita; si
procede quindi a formare il susamiello
allineando tre bastoncini e unendoli alle due
estremità.
Dopo la preparazione, è necessaria una
ulteriore lievitazione di almeno un’ora.
Infine si friggono in abbondante olio di
semi facendo attenzione ad avere una
temperatura piuttosto elevata all’inizio in
modo che il Susamiello non assorba olio.
Condimento
Si pongono in una pentola gli ingredienti,
Vin cotto, Miele, Cioccolato, Buccia
grattugiata di arance, Noci tritate e
Zucchero. Si porta ad ebollizione rimestando
fino a quando il tutto non diventa più
denso, circa 10 minuti (il tempo dipende
dalla consistenza del vin cotto utilizzato).
Una volta pronto, si aspetta che si raffreddi
leggermente in modo che diventando più
denso si possano condire i Susamielli.
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TORRONE
TORRONE BIANCO MORBIDO
CHIESA DI SANTA SOFIA
BENEVENTO
Nel primo secolo dopo la nascita di Cristo,
Marziale definisce Benevento con i suoi
prodotti tipici che iniziano tutti con la C;
Carduus, cepae, cerebrata, cupedia, chordae
cioè Cardone, cipolle, cervellate, copeta,
corde. Copeta è il torrone e Cupetari erano
i venditori ambulanti che lo smerciavano.
Un impasto di miele, zucchero, mandorle
e uova che portava un nome simile a
quello di Cupido. Tra i ricettari romani e
quelli trecenteschi di area meridionale,
c’è la grande cucina di Baghdad. Intorno
al X secolo si elabora, partendo dalle basi
romane, ma arricchendola con i prodotti
provenienti dall’estremo oriente, come dal
mediterraneo, una tradizioni culinarie che
vive sullo sfondo delle Mille e una Notte.
E qui il torrone, che nell’ultimo periodo
dell’Impero romano era il basamento,
attraverso il croccante, di monumentali
architetture pasticcere, si ripropone sulle
rive del Mediterraneo nella cucina arabo –
andalusa, e la Cupeta diventa Cubaita. Ma
anche Cupido ritorna sulla scena.
Tutta la cucina araba si basa sulla medicina
umorale, sulla necessità di compensare
col cibo gli squilibri del temperamento
del corpo (flemmatico, melanconico,
collerico e sanguigno). Bisogna mangiare
assecondando il desiderio, perché
naturalmente cerchiamo quello di cui
abbiamo bisogno.
Nell’alto medioevo Baghdad, Cordoba,
Salerno e Kairouan in Tunisia erano i centri
che attraverso cui la tradizione medica
greca di Ippocrate e di Galeno, tramite da
Avicenna, ispira le basi di quella che sarà la
dieta mediterranea.
E Benevento ritrova il torrone (torùn è
un altro termine arabo) e ne rinverdisce
la tradizione, arricchendolo di colori,
ricoprendo i croccantini baci di naspro al
cioccolato, esplorando composizioni ardite
di paste morbide al liquore, avvolte dalla
massa bianca del torrone.
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LA RICETTA
TORRONE
BIANCO
CLASSICO
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CHIESA DI
SANTA SOFIA
Se possiamo immaginare la Napoli delle
origini, la Napoli prima di Napoli come
una distesa di tufo tra il beige e il marrone,
Benevento è una tabula rasa bianca. Piano
piano la sua pietra si è alzata ha preso le
forme delle architetture romane, le pareti
dell’arco di Traiano hanno fatto lievitare
forme che raccontano storie eroiche, le
chiese hanno scavato nel chiarore le loro
cripte. La sostanza morbida delinea colonne
e capitelli zuccherini ….
Ricetta del maestro pasticcere
Umberto Russo
Ingredienti
/ miele 1kg
/ albume 20 g
/ acqua 53 g
/ zucchero a velo 13 g
/ mandorle e nocciole 800 g
/ assenzio q.b.
Preparazione
Sciogliere il miele, l’albume, l’acqua
e cuocere a 60° per 2 ore.
Terminata la fase di montaggio,
aggiungere lo zucchero a velo e
continuare a cuocere a fuoco lento
per altre 3 ore.
A fine cottura aggiungere le mandorle,
le nocciole e l’assenzio.
Lasciare raffreddare e tagliare.
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numero verde
campania> artecard
800 600 601
cellulari ed estero
+39 06 39967650
prenotazione
obbligatoria fino
ad esaurimento posti
disponibili
Info e
prenotazioni /
dal lunedì al venerdì
ore 9.00 / 18.00
sabato
ore 9.00 / 14.00
Modalità di
partecipazione /
Partecipa agli eventi
di Dolce Natale con la
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da € 10.00
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www.campaniartecard.it Accesso gratuito
all’evento con la Grand
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