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DALL’IDEA ALL’IMPRESA:
CO-SVILUPPO TRA LOMBARDIA E TADLA AZILAL
RAPPORTO DI RICERCA
curato da Francesco Marini
con testi di Francesco Marini, Egidio Riva e una Premessa di Marco Sergi
Supervisione scientifica: Marco Caselli
Marzo 2014
"Dall'idea all'impresa: co-sviluppo tra Lombardia e Tadla Azilal" è un progetto co-finanziato dal Comune di Milano.
Il contenuto di questo studio non può essere in nessun caso considerato responsabilità del donatore e non ne riflette le posizioni.
INDICE
Premessa
4
Introduzione
Il percorso di ricerca
7
7
Capitolo primo – I migranti marocchini in Lombardia
1.1
1.2
1.3
1.3.1
1.3.2.
1.3.3
1.3.4
Principali caratteristiche della comunità marocchina in Lombardia
Caratteristiche dei migranti originari della regione di Tadla Azilal in
Lombardia
I migranti marocchini a Milano
La condizione lavorativa
Lavoro autonomo e imprenditoria
I redditi da lavoro
Spesa, risparmio e rimesse
10
10
15
17
18
21
24
24
Capitolo secondo – Flussi migratori di ritorno in Marocco
2.1
Le migrazioni di ritorno in Marocco: il quadro d’insieme
Effetti e caratteristiche dei flussi di ritorno nella regione di
2.2
Tadla Azilal
2.2.1 Gli investimenti dei migranti di ritorno
25
25
41
Capitolo terzo – Esperienze di impresa tra Lombardia e Tadla Azilal
3.1
Le teorie sulla migrazione di ritorno e i casi studio
3.2
Le attività di impresa
3.3
Fattori di stimolo dell’imprenditoria di ritorno
3.3.1 Gli stimoli dal versante italiani
3.3.2 Gli stimoli dal versante marocchino
3.4
Il percorso migratorio
3.5
I problemi per la realizzazione dell’impresa transnazionale
3.5.1 Le difficoltà derivanti dal contesto italiano
3.5.2 Le difficoltà derivanti dal contesto marocchino
3.6
Il ruolo delle istituzioni
3.7
Le dinamiche di re-integrazione
57
57
58
67
67
70
73
78
78
81
86
89
Schede studi di caso
Sté Compix Linijara
Vitalité Café
Atmani Lighting Led
Consorzio Iride
50
92
92
93
94
95
2
Consorzio MaItal
Frantoio industriale della famiglia El Mir
Bed & Breakfast
96
97
98
Appendice 1 Lista degli intervistati
Appendice 2 Traccia di intervista
99
100
Bibliografia
102
3
PREMESSA
Questa ricerca nasce all’interno di un percorso che MEDInaTERRANEA ha avviato nel 2010
sul tema del co-sviluppo, grazie ai contributi del Comune di Milano.
MEDInaTERRANEA è una associazione di mediatori culturali formata da emigrati
italiani nei paesi del Mediterraneo e da immigrati arabi in Italia che si è occupata negli ultimi
anni della creazione di prodotti editoriali multilingue. La modalità di lavoro è lo “sviluppo di
reti”: il coinvolgimento diretto di attori con obiettivi comuni quali imprenditori, associazioni,
istituzioni e istituti di ricerca che lavorano per rafforzare le relazioni culturali, economiche e
commerciali tra Italia e Marocco.
Numerosi sono i partner marocchini e italiani con cui l'associazione ha collaborato in
questi anni: il Comune di Milano, l'Ong COSV, associazioni marocchine in Lombardia
(Anessic, ACMID Lombardia, al Ouissal, Marocco Integrazione, Shorfa MRE), l'Unione
Artigiani di Milano, Monza e Brianza, la fondazione ISMU, PROMOS e Ispramed (Camera di
Commercio di Milano), l'università Statale di Milano, Iride contratto di rete, il Ministero
della Comunità Marocchina Residente all'Estero, il Consolato marocchino a Milano, il Centro
Regionale per gli Investimenti della regione Tadla Azilal, la Fondazione Creazione d'Impresa
della Banca Popolare del Marocco, l'associazione per l'aiuto alle start-up IntEnt Maroc.
In questa premessa vogliamo soffermarci sul ruolo del non-governativo/no-profit nello
sviluppo di nuove relazioni economiche tra paesi del Mediterraneo. Fondamentale per questa
analisi è scardinare alcuni luoghi comuni sulla Cooperazione Internazionale cercando di
superare una visione solo filantropica della Cooperazione e far capire che le interconnessioni
tra Nord e Sud sono sempre più strette e solo un sistema aperto può dare risultati utili per tutti
attraverso uno scambio equo e corretto.
Co-sviluppo è la parola chiave: grazie alla sua posizione nel Mediterraneo e grazie al
suo know how, l'Italia rappresenta un importante ponte verso l'Africa, il vicino e il medio
oriente e l'Asia. Gli investimenti stranieri e le migrazioni degli ultimi decenni hanno garantito
la conoscenza e la fiducia verso il nostro Paese da parte di altre zone del mondo, oggi pronte
ad offrire agli emigrati di rientro e alle imprese italiane interessanti opportunità. Inoltre,
l'innovazione italiana può garantire ai paesi in crescita gli strumenti necessari per gestire il
proprio sviluppo in chiave sostenibile e duratura, migliorando la qualità dei prodotti offerti,
contribuendo all'educazione dei più giovani e alla formazione della manodopera specializzata
di domani, sviluppando una reciproca crescita cosciente e rispettosa delle risorse oggi a
disposizione.
Durante il Forum della Cooperazione Internazionale, svoltosi a Milano l’1 e 2 ottobre
2012, un gruppo di lavoro specifico ha elaborato un position paper sul co-sviluppo e un
4
FuoriForum è stato dedicato al Mediterraneo. Il gruppo di lavoro del Forum che ha trattato la
questione del “ruolo delle diaspore e delle comunità dei migranti nella cooperazione”
sottolinea l'assenza di politiche coerenti a livello nazionale e transnazionale. E’ ormai
evidente la necessità di sviluppare politiche di co-sviluppo dirette al sostegno e alla
valorizzazione delle capacità professionali e imprenditoriali dei migranti con un approccio
maggiormente focalizzato sui paesi del Sud, che oggi attraggono sempre di più flussi di
persone provenienti dall’Europa in cerca di nuovi mercati.
La modalità d’intervento del co-sviluppo è infatti diretta a valorizzare le competenze,
le risorse e la mobilità dei migranti in un processo dinamico, centrato sul valore della persona
e sulla rete di relazioni sviluppata nelle comunità di origine e di accoglienza.
L’elaborazione di politiche trasversali e coerenti devono tenere in considerazione il percorso
migratorio nel suo complesso. I progetti volti a valorizzare il contributo degli stranieri e delle
loro associazioni nell’avvio di attività generatrici di reddito o in ambiti socio-comunitari
mostrano risultati promettenti, ma emerge il bisogno di politiche più coerenti in ambito
economico, culturale e sociale.
I fenomeni migratori rappresentano una delle caratteristiche più tipiche dell’area EuroMediterranea e oggi la Cooperazione allo Sviluppo deve confrontarsi in maniera prioritaria
con essi.
Per rispondere a sfide globali si devono chiamare a raccolta risorse globali e questo è
possibile solo in un’ottica di collaborazione multisettoriale. L’ottavo obiettivo del millennio
dell'ONU stabilisce che per assicurare a tutti i popoli un livello di vita dignitoso è
indispensabile la partecipazione di tutti gli attori della scacchiera economica mondiale: dalle
istituzioni del settore pubblico, a quelle regolatrici del settore commerciale e finanziario, alle
imprese private, alle Ong.
Quali sono quindi le vie attraverso cui le diverse strategie e necessità possono
integrarsi in un approccio di sistema? Come passare dal modello tradizionale di cooperazione
allo sviluppo a un nuovo modello dove gli attori privati profit svolgono un ruolo decisivo?
Determinante a nostro parere è che gli attori privati, profit e non profit, collaborino a partire
dal riconoscimento delle reciproche specificità e competenze, all’interno di finalità condivise.
In questa prospettiva, i comportamenti e gli investimenti di oggi rappresentano l’economia e
lo sviluppo di domani.
Argomenti quali sviluppo economico, commercio internazionale, investimenti,
partnership economiche, joint ventures, non sono sicuramente delle novità. Lo diventano però
se nella loro natura imprenditoriale vengono coniugate col tema dello sviluppo come
affrontato dalla Cooperazione Internazionale: con il coinvolgimento di partner locali, con una
attenzione verso lo sfruttamento sostenibile delle risorse, promuovendo il rispetto dei diritti
5
dei lavoratori enfatizzando la responsabilità sociale d'impresa.
In questo scenario, la partecipazione diretta delle comunità immigrate occupa un ruolo
centrale: non è solo una questione di rimesse, ma si tratta anche di strategie di crescita
imprenditoriale ed economica personale che possono trovare nuovi canali di espansione
favorendo lo sviluppo nel proprio Paese.
La presente ricerca egregiamente realizzato dalla Fondazione ISMU vuole contribuire
ad analizzare da un punto di vista scientifico la forza lavoro marocchina in Lombardia e le
ricadute sulla principale regione di provenienza di questa comunità, Tadla Azilal. Vengono
proposti esempi relativi alle intenzioni degli imprenditori di rientro, alle opportunità a loro
offerte e ai problemi da loro riscontrati durante questo percorso. Oggi molti marocchini
residenti in Italia si trovano ad affrontare una “seconda migrazione” verso la loro terra
d'origine, portatori di saperi, contatti con imprenditori italiani e idee innovative.
Potranno queste persone aiutare i loro connazionali di rientro e gli imprenditori italiani
emigrati in Marocco a sviluppare relazioni economiche, commerciali e culturali, grazie
all'esperienza coltivata durante la loro migrazione verso l'Italia?
A nostro avviso, con il dovuto supporto da parte degli attori coinvolti in questo processo,
questo percorso può rappresentare un importate stimolo di rilancio dell'economia su entrambe
le sponde.
Marco Sergi, Presidente di MEDInaTERRANEA
6
INTRODUZIONE
In questo rapporto vengono presentati i risultati di una ricerca condotta dalla Fondazione Ismu
riguardante i legami tra la regione Lombardia e la regione marocchina di Tadla Azilal, da cui
ha origine buona parte dei migranti marocchini presenti sul territorio. In particolare la ricerca,
che si colloca nell’ambito del progetto “Dall’idea all’impresa: co-sviluppo tra Lombardia e
Tadla Azilal”, ha indagato gli investimenti imprenditoriali realizzati in patria dai migranti
marocchini che sono rientrati nel luogo di origine o che li gestiscono a distanza, continuando
a vivere in Lombardia. La ricerca contribuisce a fare luce sul ruolo e sulle potenzialità dei
migranti come attori transnazionali che mettono in contatto il luogo di origine con quello di
destinazione dando vita a effetti positivi in entrambi i contesti
La ricerca si inserisce nell’interesse della Fondazione Ismu a esplorare l’evoluzione
dei fenomeni migratori. In quest’ottica il transnazionalismo e il co-sviluppo rappresentano
delle tematiche che mettono in evidenza nuove caratterizzazioni e potenzialità delle
migrazioni verso le quali la Fondazione ha dedicato ampia attenzione attraverso numerosi
studi1, la partecipazione a progetti internazionali 2 e l’adesione all’European Network on
Migration and Development (Eunomad).
Il percorso di ricerca
In accordo con l’Associazione Medinaterranea, capofila del progetto, la ricerca si è posta il
duplice obiettivo di chiarire i legami transnazionali tra la Lombardia e il Marocco – in modo
particolare con la regione di Tadla Azilal – e di capire se e come i marocchini presenti nella
regione italiana acquisiscano competenze e capacità in grado di stimolare lo sviluppo
economico del contesto locale di origine.
Il rapporto è composto da tre capitoli, ognuno corrispondente ad una fase della ricerca.
Il primo capitolo contiene i risultati della fase iniziale della ricerca, durante la quale si
provveduto ad analizzare le caratteristiche della presenza marocchina in Lombardia attraverso
i dati della ricerca che l’Osservatorio Regionale sull’Integrazione e la Multietnicità (Orim)
realizza annualmente nel territorio regionale. Si è approfondito in modo particolare la
situazione economica e lavorativa dei marocchini residenti a Milano e provincia attraverso
l’indagine annuale che l’Orim conduce relativamente a questo territorio. Poiché i dati Orim
forniscono indicazioni solo sul paese di provenienza e non sulla regione, è stata estesa la
ricerca ad altre fonti internazionali che permettessero di rintracciare qualche dato sui
marocchini provenienti dalla regione di Tadla Azilal in Lombardia. I dati più recenti che sono
Ci si limita a ricordare le principali pubblicazioni al riguardo: Ambrosini e Berti 2009; Caselli 2009a, 2009b;
Zanfrini e Sarli 2009, 2010; Lombardi 2010; Marini 2012, 2014.
2
“MAPID - Migrants’ associations and Philippine Institutions for Development”, “Due Sponde - Sviluppo
economico e promozione di imprese socialmente orientate nei dipartimenti d’origine dell’emigrazione
peruviana”, “Perù Migrante”. Per informazioni si veda il sito: http://www.ismu.org
1
7
stati reperiti sono relativi alla ricerca dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni
(OIM) “Mig-ressources, migrazione e ritorno risorse per lo sviluppo”, pubblicata nel 2010,
utilizzando i dati forniti dal Ministero degli Esteri e della Cooperazione del Marocco relativi
al 2008.
Inoltre si sono analizzati i dati forniti dalla Camera di Commercio relativamente agli
imprenditori marocchini presenti a Milano e provincia. La mancanza di un coordinamento
camerale a livello regionale e le risorse a disposizione non hanno reso possibile l’estensione
di questo tipo di analisi anche alle altre province lombarde.
Nella fase successiva della ricerca, esposta nel secondo capitolo, è stata condotta una
rassegna della letteratura relativamente ai flussi migratori di ritorno verso il Marocco. In
questo modo si è cercato di fare luce sulle cause, gli effetti e le caratteristiche dei marocchini
che rientrano nel paese di origine prestando attenzione al ruolo svolto nel settore
imprenditoriale e in particolare nel contesto di Tadla Azilal. Da questo punto di vista è stata
particolarmente utile la ricerca condotta dall’European University Institute nell’ambito del
progetto MIREM (Khachani et al. 2008) che ha preso in considerazione anche questa regione.
I dati di tale ricerca sono stati integrati con quelli di ulteriori studi che hanno riguardato altre
zone del Marocco (CERED 2004; Khachani 2011; ETF 2013).
Il terzo capitolo contiene l’analisi degli studi di caso, condotti nella fase conclusiva
della ricerca. Quest’ultima fase in realtà si è svolta parallelamente a quelle sopra esposte ed è
consistita nell’individuazione degli studi di caso e nella ricerca sul campo in Italia e in
Marocco. L’identificazione degli studi di caso si è rivelata una fase particolarmente difficile.
Infatti, con le eccezioni dell’Associazione Medinaterranea, del Centre Régional des
Investissements di Tadla Azilal (CRI) e, nella fase finale, della Fondation Banque Populaire
pour la Création d’Entreprise, tutti gli altri partner progettuali non hanno fornito la propria
collaborazione in questo delicato passaggio della ricerca. In particolare, i dati forniti dalla
Camera di Commercio non erano fruibili a questo scopo in quanto, oltre alla nazionalità, non
permettono di capire né il luogo di provenienza del singolo imprenditore né tantomeno di
capire le eventuali connessioni transnazionali che egli possa avere in Marocco. Ci si è quindi
messi in contatto con l’Ambasciata Italiana in Marocco e con la Camera di Commercio ItaloAraba me entrambe non sono state in grado di fornire indicazioni utili. A questo punto si è
rivelato prezioso l’aiuto del CRI che ha messo a disposizione il proprio database contenente la
lista dei migranti marocchini che hanno dato avvio a degli investimenti nella regione negli
ultimi dieci anni. Da questa lista è stato possibile estrapolare gli investitori rientrati dall’Italia.
Il CRI, tramite un suo funzionario, ha quindi provveduto a contattare gli imprenditori per
capire in quale regione italiana avessero vissuto. In questo modo sono stati isolati alcuni
possibili casi da studiare e sono stati contattati telefonicamente gli imprenditori. In questo
8
modo si è appurato l’effettiva connessione dell’imprenditore con la Lombardia e le
dimensione della propria impresa. Si è giunti pertanto all’individuazione di tre casi studio: Sté
Compix Linijara, Atmani Lighting Led e Vitalité Café.
Tuttavia le difficoltà con cui si sono individuati i casi da studiare hanno reso
indispensabile prendere contatti anche con altri attori marocchini presenti in Lombardia. In
particolare i contatti con il Console generale di Milano, con un funzionario della banca
marocchina Societé Génerale, con sede a Milano, e la collaborazione con Medinaterranea
hanno reso possibile entrare in contatto con altre esperienze imprenditoriali che si è deciso di
analizzare comunque anche se rappresentano dei progetti imprenditoriali non realizzati (il
progetto di avvio di un bed & breakfast), non ancora compiuti (il caso di un frantoio
industriale) o che non riguardano la zona specifica di Tadla Azilal (il Consorzio Iride e il
Consorzio MaItal).
La fase di campo vera e propria si è svolta, attraverso la somministrazione di interviste
semi-strutturate, in Italia nei mesi di settembre e ottobre 2013 e in Marocco nel mese di
novembre 2013. Nel testo le interviste sono collegate a ciascuna fase di campo
rispettivamente con le sigle IT e MA. L’elenco dettagliato degli intervistati è riportato
nell’appendice 1 mentre la traccia dell’intervista, in italiano e in francese, si trova
nell’appendice 2.
9
CAPITOLO PRIMO
I MIGRANTI MAROCCHINI IN LOMBARDIA
1.1 Principali caratteristiche della comunità marocchina in Lombardia3
Secondo i dati del Ministero dell’Interno (2012) i migranti regolari in Italia sono 3.637.724, di
cui il 26,8% sono residenti in Lombardia. I migranti marocchini, con 124mila presenze
regolari, risultano essere il più grande gruppo di extracomunitari nella regione, seguiti da
albanesi (103mila), egiziani (81mila), cinesi (61mila) e indiani (54mila), come illustra la
tabella 1.
Anche a livello nazionale i marocchini, con 506mila presenze regolari, risultano essere
la più grande comunità di cittadini non comunitari seguita da quella albanese (491mila),
cinese (278mila), ucraina (224mila) e filippina (152mila).
Tabella 1: Cittadini non comunitari regolarmente presenti al 1° gennaio 2012
(Prime 5 nazionalità in Lombardia)
Fonte: elaborazioni Istat (2012) su dati Ministero dell’Interno
Paesi di cittadinanza
Ambito di presenza
Lombardia
Italia
Marocco
123.533
506.369
Albania
102.577
491.495
Egitto
80.973
117.145
Cina
61.140
277.570
Indiani
54.367
145.164
La comunità marocchina in Lombardia è caratterizzata da una prevalenza di genere infatti i
maschi sono il 56,3% mentre le femmine rappresentano il 43,7%. Questo dato è superiore
rispetto alla suddivisione di genere del totale dei migranti presenti in regione: il 51,2% sono
uomini e il 48,8% donne.
Tenendo conto anche della popolazione irregolare, l’Orim stima in 128mila le
presenze marocchine nella regione. A partire dal 2001 il numero assoluto dei migranti
marocchini in Lombardia è stato caratterizzato da un trend in crescita ad un tasso annuo del
7,1% tra 2001 e il 2011. Questo trend subisce una inversione di tendenza solo a partire dal
2012, anno in cui, per la prima volta, si registra un calo di presenze marocchine in numero
assoluto come si vede dal grafico 1.
Dove non viene esplicitata la fonte dei dati si fa riferimento a: Osservatorio Regionale per l’integrazione e la
multietnicità - Orim (2013).
3
10
Grafico 1
Numero di marocchini presenti in Lombardia
dal 1 gennaio 2001 al 1 luglio 2012
Fonte: Elaborazione su dati Orim (2013)
140.000
120.000
100.000
80.000
60.000
40.000
20.000
0
2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012
N. marocchini 58.400 63.000 70.60081.40094.600 98.600106.70 115.30127.50 129.70 131.80128.00
Secondo la stessa fonte spetta agli immigrati di origine marocchina la più alta numerosità di
presenze irregolari in Lombardia: con più di 12mila casi rappresentano il 12,5% del totale
seppur, rispetto al 2011, vi sia un calo di 2mila casi. Tuttavia i marocchini fanno registrare i
più alti tassi di irregolarità, tra gli stranieri provenienti dai paesi di forte pressione migratoria
(Pfpm), solo nelle provincie di Como (16%) e Varese (11%).
Tabella 2: Stima dei migranti marocchini presenti in Lombardia al 1 luglio 2012
per province. Arrotondamento a 50 unità.
Fonte: Orim (2013)
Provincia
Varese
Como
Sondrio
Milano
Monza Brianza
Bergamo
Brescia
Pavia
Cremona
Mantova
Lecco
Lodi
Totale
Migranti marocchini
11.250
7.200
2.300
21.800
8.650
24.550
23.350
5.750
5.700
9.400
4.950
3.050
128.000
Rispetto alla distribuzione geografica dei migranti marocchini all’interno del territorio
regionale, la maggiore concentrazione si trova in provincia di Bergamo (24mila), seguita da
quella di Brescia (23mila) e Milano (poco meno di 22mila). In tutte le altre province le
presenze vengono stimate al di sotto delle 10mila unità, come risulta dalla tabella 2.
11
Dal punto di vista anagrafico, come si vede dai dati del grafico 2, più del 50% dei
cittadini marocchini in Lombardia sono concentrati nelle fasce d’età che vanno dai 30 ai 49
anni. La fascia di età tra i 30 e i 34 anni risulta essere la più numerosa con il 22% delle
presenze. Questa fascia d’età, in linea con la tendenza regionale circa la distribuzione
anagrafica della popolazione migrante, rappresenta uno spartiacque per la popolazione
marocchina: la quota della popolazione cresce costantemente nelle fasce d’età precedenti ai
30-34 anni per poi scendere in quelle successive fino ad arrivare a dei livelli molto bassi in
quella superiore ai 65 anni.
Grafico 2
Distribuzione in fasce d'eta (%)
dei migranti marocchini in Lombardia
Fonte: Elaborazione su dati Orim (2013)
65+
60-64
55-59
50-54
45-49
40-44
35-39
30-34
25-29
20-24
15-19
0
5
10
15
20
25
Per quanto riguarda lo stato civile, per il 65% i marocchini risultano coniugati e circa
nel 30% dei casi risultano celibi/nubili. Facendo riferimento alla dimensione religiosa, la
quasi totalità di essi (98,7%) è mussulmana e non si registra nessuna presenza di cattolici.
Analizzando i titoli di studio dei migranti marocchini si nota una sorta di convergenza
ai due estremi: se il 10,4% non ha nessun titolo, l’8,6% ha un titolo universitario. Tra questi
due estremi il 35,7% ha completato la scuola secondaria di primo grado e il 32,2% quella di
secondo grado. Rispetto ai dati relativi al totale della popolazione straniera in Lombardia, i
marocchini tendono a scostarsi facendo registrare percentuali inferiori per quanto riguarda i
titoli universitari e della scuola secondaria di II grado e superiori per quanto riguarda tutti gli
altri titoli. In modo particolare, rispetto alle altre principali nazionalità dei migranti presenti in
regione, il Marocco fa registrare il valore più alto (10,4%) di persone che non sono in
possesso di nessun titolo di studio scostandosi di molto rispetto ai dati relativi all’insieme dei
migranti in regione come mostrato dalla tabella 3.
12
Il 52,2% dei casi è in possesso di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato a
fronte del 58,5% del totale della popolazione migrante. Colpisce il dato relativo ai permessi
per ricongiungimento famigliare che con il 40,7% risulta essere secondo solo all’India
(42,7%) e supera di quasi 10 punti percentuali il dato riferito al totale regionale (30%). I
permessi per lavoro autonomo sono il 5%, lievemente al di sotto rispetto al dato riferito al
totale dei migranti che è del 6,2%.
Tabella 3: Ripartizione (%) secondo il titolo di studio dei migranti marocchini e
del totale dei migranti in Lombardia
Fonte: Orim (2013)
Titolo di studio
Nessun titolo formale
Scuola primaria
Scuola secondaria I grado
Scuola secondaria II grado
Titolo universitario o post
laurea
Totale
% migranti marocchini
10,4
13,1
35,7
32,2
8,6
% migranti in Lombardia
3,9
7,7
29,0
44,5
14,9
100,0
100,0
Dal punto di vista dell’anzianità migratoria, i marocchini residenti in Lombardia sono presenti
in Italia da più di 10 anni nel 55,3% dei casi e nel 37% dai 5 ai 10 anni. Se per quanto
riguarda la permanenza in Italia da oltre 10 anni sono superati solo dai filippini (57,9%),
assieme agli albanesi fanno registrare il dato minimo (1,6%) per quanto riguarda l’arrivo in
Italia da meno di 2 anni. Essi sembrano inoltre essere caratterizzati da un certa stabilità in
regione in quanto vi abitano nel 49,3% dei casi da oltre 10 anni e nel 41,0% da 5 a 10 anni. Lo
stesso trend si osserva per quanto riguarda l’anzianità di presenza nella provincia di residenza
che supera i 10 anni nel 45,9% e nel 43,2% si colloca tra i 5 e i 10 anni.
Analizzando la situazione abitativa in Lombardia i marocchini fanno registrare la più
alta percentuale (62,9%) tra le principali comunità di migranti per quanto riguarda l’affitto di
immobili con contratto mentre nel 17,4% dei casi hanno una casa di proprietà. Quest’ultimo
dato merita una specifica attenzione nel contesto dell’attuale crisi economica. I marocchini
sembrano avere sofferto particolarmente gli effetti della crisi in quanto la percentuale dei
proprietari di casa nel 2011 risultava del 22%. Inoltre rispetto alle altre nazionalità, come
illustra la tabella 4, i marocchini che hanno un mutuo attivo sono solo il 60,1% e pagano un
importo medio di 579 euro mensili, che si configura come il più basso in assoluto rispetto alle
altre comunità di migranti. Questi sono entrambi indici di investimenti cominciati da un più
lungo periodo. Tuttavia a fronte di ciò l’incidenza del mutuo è pari al 41,2% del reddito, tra i
valori più alti; inoltre i marocchini registrano la più alta percentuale (10,7%) di persone che
13
hanno un mutuo e si trovano in uno stato di grave sofferenza nei pagamenti, ossia situazioni
in cui il mutuo supera il 60% del reddito.
Tabella 4: Indicatori rispetto agli eventuali pagamenti di mutui tra la popolazione
proprietaria di abitazione in Italia, proveniente da Pfpm e
presente inLombardia al 1 luglio 2012, per cittadinanza
Fonte: Orim (2013)
Provenienza
% in
abitazione
di
proprietà
Romania
Albania
Cina
Marocco
Egitto
America Lat.
Totale
18,2
29,0
28,4
17,4
17,1
25,3
20,1
% con
mutuo
da
pagare
68,8
79,6
60,5
60,1
86,2
65,0
67,8
Reddito
famigliare
medio
mensile in
euro
2.035
2.191
2.597
1.753
1.690
1.994
2007
Importo
medio
mensile
del
mutuo in
euro
608
609
815
579
696
696
646
Incidenza
% del
mutuo sul
reddito
famigliare
medio
30,2
30,8
36,8
41,2
42,5
36,5
35,0
Tra chi ha
mutuo
% in
sofferenza
nei
pagamenti
2,6
14,9
11,0
9,8
9,7
8,1
Tra chi ha
mutuo
% in grave
sofferenza
nei
pagamenti
10,4
10,7
6,9
3,9
5,1
In quasi la metà dei casi (44%) i marocchini vivono in famiglia con il coniuge e i figli e nel
17,8% con altri parenti. Tuttavia il 37,8% dei migranti dal Marocco dichiara di non avere figli
e solo nel 24,4% dei casi nei hanno almeno 2. È interessante notare come, tra coloro che
hanno figli, il 44,9% dichiari che i propri figli non sono in Italia. Tra coloro che hanno i figli
in Italia, il 45,7% non vive con loro mentre il restante convive con almeno un figlio. Le
famiglie marocchine in Lombardia non sembrano essere molto numerose in quanto solo il
4,1% conta al suo interno più di 4 figli e il 22,1% ne conta 2. I migranti marocchini che hanno
almeno un figlio nato in Italia sono quasi il 50% di coloro che hanno figli; nella stragrande
maggioranza dei casi (88,5%) i figli nati in Italia sono di nazionalità marocchina.
Dal punto di vista reddituale più del 60% dei marocchini in Lombardia guadagna tra i
751 e i 1.500 euro in modo equamente ripartito tra tre fasce reddituali: 751-1.000, 1.0011.251, 1.251-1.500. Da notare è la percentuale di persone il cui reddito è inferiore ai 500 euro
che è dell’11,4% ed è inferiore solo agli ecuadoregni (12,8%). Tutto ciò mette in luce una
situazione abbastanza precaria dal punto di vista economico della popolazione di origine
marocchina in Lombardia. Infatti, in quasi l’80% dei casi, valore tra i più alti rispetto alle altre
comunità, non sarebbe in grado di fare fronte ad una spesa imprevista di 750 euro e più del
50% dichiara di essersi trovato in arretrato con i pagamenti correnti nel corso degli ultimi 12
mesi.
Tutto ciò influisce nel determinare una certa propensione al ritorno. Dalla ricerca
condotta annualmente dall’Orim, emerge che, nel 2012, i migranti marocchini fanno registrare
tra le più basse percentuali di risposte negative (79%) circa l’intenzione di trasferirsi altrove
14
nell’arco di un anno. A ciò corrisponde una delle più alte percentuali di propensione al ritorno
verso il paese di origine (9,1%) e di trasferimento in un altro stato (6,9%).
Rispetto al livello di integrazione è possibile fare riferimento all’indicatore elaborato
dall’Orim composto da quattro variabili in grado di verificare la presenza di elementi di base
che agevolano il processo di integrazione: la regolarità del soggiorno, la stabilità residenziale,
la condizione lavorativa e abitativa. In base a quest’indice i migranti marocchini hanno
registrato complessivamente nel 2012 un punteggio di 0,55, che si colloca al quinto posto
(dopo rumeni, albanesi, filippini e peruviani) e corrisponde esattamente al punteggio riferito
al totale degli immigrati.
A livello generale si osserva che il livello di integrazione aumenta con l’aumentare
degli anni di permanenza sul territorio. Anche la popolazione marocchina conferma questa
tendenza: l’indice di integrazione calcolato sulle persone arrivate da almeno 10 anni è pari
allo 0,61, anche se in questo caso i marocchini occupano l’ottavo posto. Facendo una
comparazione diacronica, i marocchini, così come nei casi delle altre nazionalità, sembrano
essere caratterizzati da un miglioramento delle proprie condizioni di vita per lo meno per
quanto riguarda le variabili prese in considerazione dall’indice.
1.2 Caratteristiche dei migranti originari della regione di Tadla Azilal in Lombardia
Secondo i dati consolari del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione del Marocco
relativi al 2008, i migranti originari di Tadla Azilal che risiedono in Lombardia rappresentano
il 41,8% dei marocchini sotto i 15 anni che vivono in regione, il 35,7% dei marocchini tra i 15
e i 59 anni e il 36,4% di quelli con più di 60 anni. Come si può vedere dalle tabelle 5 e 6
Tadla Azilal rappresenta la regione da cui proviene la maggior parte dei marocchini che
vivono in Lombardia. Quest’ultima sembra costituire un polo di attrazione per le persone
provenienti da Tadla Azilal in quanto in tutte le altre regioni d’Italia, e in modo trasversale
alle diverse classi di età, le presenze dei marocchini provenienti da questa regione si aggirano
intorno al 10%. Dal punto di vista del genere i maschi originari di Tadla Azilal sono il 39%
del totale dei marocchini di sesso maschile presenti in Lombardia mentre le donne sono pari al
27,5% delle marocchine in regione.
Tabella 5: Marocchini originari di Tadla Azilal suddivisi per età
e regione di residenza in Italia
Fonte: Ministero Affari Esteri e Cooperazione Marocco (2008)
Regione di residenza Meno di 15 anni
in Italia
Piemonte
5,8
15
15-59 anni
60 anni e oltre
5,6
5,3
Lombardia
Veneto
Emilia Romagna
Altre
Totale Italia
41,8
9,4
13,1
10,6
15,6
35,7
11,0
12,7
10,5
16,3
28,7
10,4
10,6
7,8
12,6
Tabella 6: Marocchini in Lombardia suddivisi per età e regione di origine in Marocco
Fonte: Ministero Affari Esteri e Cooperazione Marocco (2008)
Regione di origine in
Marocco
Chaouia Ouardigha
Grand Casablanca
Rabat Salé
Zemmour Zaer
Tadla Azilal
Altre
Totale
Meno di 15 anni
15-59 anni
60 anni e oltre
11,6
16,5
6,4
12,9
14,6
10,4
18,0
8,7
8,2
41,8
23,7
100,0
35,7
26,5
100,0
28,7
36,4
100,0
Per quanto riguarda l’anzianità migratoria, come si può vedere dalla tabella 7, i
marocchini di Tadla Azilal sono concentrati in modo preponderante in Lombardia dove
costituiscono circa un terzo di ciascuna fascia di anni di permanenza in Italia con una
preponderanza di coloro che vi vivono da un periodo compreso tra i 5 e i 10 anni.
Tabella 7: Ripartizione dei marocchini originari di Tadla Azilal (%)
per regione di residenza in Italia e per anzianità migratoria
Fonte: Ministero Affari Esteri e Cooperazione Marocco (2008)
Regione di
residenza in Italia
Piemonte
Lombardia
Veneto
Emilia Romagna
Altre
Totale Italia
Meno di 2 anni
2-5 anni
5-10 anni
Più di 10 anni
5,4
31,5
8,5
11,3
8,4
13,0
5,8
34,2
11,4
13,6
11,0
14,0
5,5
37,2
11,6
12,0
11,0
20,2
5,8
33,3
8,6
9,7
9,9
12,7
Nella regione Lombardia inoltre i migranti di Tadla Azilal rappresentano il gruppo
principale sia tra i marocchini attivi (36,3%) sia tra quelli inattivi (33,4%). Come si vede dalla
tabella 8, in entrambi i casi i valori sono di molto superiori alle altre regioni d’Italia in cui
rappresentano circa il 10% sia degli attivi che degli inattivi (solo in Piemonte sono il 5,6% per
entrambe le categorie).
Tabella 8: Ripartizione dei marocchini originari di Tadla Azilal (%)
per regione di residenza in Italia e per attività
Fonte: Ministero Affari Esteri e Cooperazione Marocco (2008)
16
Regione di residenza
in Italia
Piemonte
Lombardia
Veneto
Emilia Romagna
Altre
Totale Italia
Attivi
Inattivi
5,6
36,3
11,3
12,4
10,2
16,6
5,6
33,4
9,9
13,0
10,8
14,9
Analizzando i dati della tabella 9 si nota che i migranti provenienti da Tadla Azilal
superano di molto, in Lombardia, la quota dei marocchini provenienti altre regioni che
lavorano sia come salariati, sia come imprenditori che come lavoratori autonomi.
Tabella 9: Ripartizione dei marocchini residenti in Lombardia (%)
secondo la regione d’origine in Marocco per condizione professionale
Fonte: Ministero Affari Esteri e Cooperazione Marocco (2008)
Regione di origine
in Marocco
Chaouia Ouardigha
Grand Casablanca
Rabat Salé
Zemmour Zaer
Tadla Azilal
Altre
Totale
Lavoratori
autonomi
13,9
17,0
9,4
Imprenditori
Salariati
12,9
16,5
13,7
13,2
14,2
10,5
29,3
30,4
100
29,5
27,3
100
36,5
25,7
100
1.3 I migranti marocchini a Milano4
I migranti marocchini a Milano nel 2012 sono 21.800 di cui 12.800 uomini e 8.900 donne.
Facendo un raffronto con gli anni precedenti si nota che rispetto al 2006 vi è stato un
incremento di quasi 3.000 persone, di cui però solo 700 si sono aggiunte dal 2008 in poi.
Inoltre, se la popolazione maschile resta pressoché invariata rispetto al 2006, quella femminile
è aumenta di quasi 2.500 persone. L’incremento dei migranti marocchini a Milano negli
ultimi anni è dovuto quindi in buona parte alle donne e, verosimilmente, ai ricongiungimenti
famigliari.
Nel 2012 il 25% dei marocchini presenti a Milano risulta avere tra i 30 e i 34 anni e
circa il 32% è compreso nella fascia tra i 35 e i 44 anni. Nel complesso sembrano essere
caratterizzati da una certa stabilità in quanto quasi il 60% si è traferito in Italia da più di 10
anni a fronte di un 40% nel 2006. Parallelamente risulta diminuita di molto la presenza di
persone che si sono trasferite da meno di 5 anni: erano più del 27% nel 2006 mentre nel 2012
I dati contenuti nel paragrafo sono ricavati dalla ricerca del 2012 che l’Orim conduce annualmente sulla
popolazione migrante a Milano.
4
17
sono solo il 7,2%. Aumenta inoltre la percentuale degli sposati che passa dal 51% al 65% e
diminuisce quella dei celibi/nubili dal 44% al 26% nel 2012.
Dal punto di vista del titolo di studio posseduto, il 42% ha terminato la scuola
dell’obbligo mentre un 32% ha un diploma di scuola superiore. Circa la metà abita in una casa
in affitto con un regolare contratto mentre il 18% ha una casa di proprietà.
1.3.1 La condizione lavorativa
Le informazioni raccolte grazie all’annuale indagine campionaria condotta dall’Osservatorio
Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità (ORIM) mostrano che, tra i marocchini (14
anni e più) che risiedono nel territorio milanese, poco meno dei tre quarti è parte delle forze di
Grafico 3
Condizione lavorativa della popolazione straniera in provincia di Milano, per paese di origine
(%)
Fonte: Orim 2012
Socio lavoratore di cooperativa
Altra condizione non professionale
Lavoratore autonomo non regolare
Lavoratore autonomo regolare (imprenditori inclusi)
Occupato lavoro parasubordinato
Occupato irregolare in modo instabile
Occupato irregolare in modo abbastanza stabile
Occupato regolare a tempo indeterminato e con
orario normale
Occupato regolare part-time
Occupato regolare a tempo determinato
Totale Pfpm
Marocco
Casalinga
Studente
Disoccupato
0
5
10
15
20
25
30
35
lavoro. In effetti, la quota di soggetti inattivi – perché studenti (5,7%) o casalinghe (21,1%) –
vale il 26,8%. Gli occupati costituiscono il 53,9% del totale della popolazione marocchina
presente a Milano, mentre i soggetti alla ricerca di un impiego sono il 19,3%. Il confronto con
le medie osservate tra i soggetti provenienti da Paesi a forte pressione migratoria (grafico 3)
mette in luce, quale primo elemento d’interesse, che tra i marocchini si registrano valori più
contenuti di partecipazione al mercato del lavoro e volumi più elevati di disoccupazione.
Quanto agli occupati, tra i marocchini la quota più consistente è data dai lavoratori con
impiego standard, vale a dire a orario pieno e con contratto di lavoro a tempo indeterminato
(21,2%). Seguono gli occupati irregolari, che rappresentano il 12,2%, e quindi i lavoratori
autonomi e gli imprenditori (7,8%). Di nuovo, rispetto alla media degli stranieri presenti nel
milanese, i soggetti originari del Marocco si caratterizzano per livelli nettamente più contenuti
di occupazione standard e di lavoro a tempo parziale, mentre presentano, invece, valori più
elevati di occupazione irregolare.
18
Nel confronto con gli anni precedenti (tabella 10), la condizione lavorativa dei soggetti
provenienti dal Marocco è nettamente peggiorata. In particolare, tra il 2006 e il 2012, la
percentuale di disoccupati è sostanzialmente triplicata, rispetto al 7,7% iniziale. In aggiunta, a
riprova delle crescenti difficoltà occupazionali, la quota di soggetti con contratto di lavoro a
tempo indeterminato e orario pieno si è ridotta di quasi 15 punti percentuali, dal 35,0%.
Infine, quale esito della crisi economica e occupazionale tuttora in atto, la quota di
imprenditori, che ha subito oscillazioni di rilievo nel corso degli anni, è diminuita in modo
tendenziale per un totale di –2,5 punti percentuali (rispetto al 10,3%).
Tabella 10: Condizione lavorativa dei soggetti originari del Marocco, per anno (%)
Fonte: Orim (2013)
Condizione lavorativa
Disoccupato
Studente
Casalinga
Occupato regolare a tempo determinato
Occupato regolare part-time
Occupato regolare a tempo indeterminato e con orario normale
Occupato irregolare in modo abbastanza stabile
Occupato irregolare in modo instabile
Occupato lavoro parasubordinato
Lavoratore autonomo regolare (imprenditori inclusi)
Lavoratore autonomo non regolare
Altra condizione non professionale
Socio lavoratore di cooperativa
Totale
2006
7,7
6,5
14,0
6,3
3,9
35,0
7,6
4,4
3,3
10,3
1,1
100,0
2008
11,2
3,1
11,6
8,5
4,8
28,7
8,8
11,0
2,3
6,9
2,1
0,4
0,8
100,0
2010
11,3
11,6
15,7
8,1
9,7
22,1
4,4
7,4
2,6
3,8
1,8
1,6
100,0
Tabella 11: Condizione lavorativa dei soggetti originari del Marocco
(professioni principali), per anno (%)
Fonte: Orim (2013)
Condizione lavorativa
Operai edili
Addetti alle pulizie
Addetti alle attività commerciali
Addetti alla ristorazione/alberghi
Professioni intellettuali
Operai generici nel terziario
Mestieri artigianali
Assistenti domiciliari
Impiegati esecutivi e di concetto
Addetti alle vendite e servizi
Operai generici nell'industria
Operai specializzati
2006
15,9
2,7
9,3
7,6
8,7
11,5
7,4
1,9
4,4
3,4
7,6
7,2
19
2008
25,1
5,7
13,5
7,9
2,1
7,3
5,7
2,1
2,4
6,4
8,8
1,4
2010
20,6
5,2
9,3
8,4
10,4
6,1
1,1
6,1
6,7
9,5
0,9
2012
18,1
10,1
8,8
8,6
8,2
7,7
7,2
5,9
5,9
4,9
4,2
3,2
2012
19,3
5,7
21,1
4,2
5,3
21,2
6,0
6,2
0,9
7,8
1,4
0,9
100,0
Baby-sitter
Altro
Addetti ai trasporti
Assistenti in campo sociale
Domestici a ore
Domestici fissi
Medici e paramedici
Operai agricoli e assimilati
Prostituzione
1,9
3,4
0,5
4,6
0,9
1,2
0,8
0,7
1,2
6,5
2,4
-
3,1
4,4
3,9
0,9
2,2
1,1
-
2,8
2,5
2,0
-
Sul versante delle professioni svolte, tra i marocchini prevalgono gli operai edili (18,1%),
seguiti dagli addetti alle pulizie (10,1%), gli addetti alle attività commerciali (8,8%), gli
addetti del settore alberghiero/ristorazione (8,6%). Completano il quadro delle figure più
diffuse entro l’aggregato nazionale in esame, le professioni intellettuali (8,2%), gli operai
generici del terziario (7,7%) e i mestieri artigianali (7,2%). Il quadro delle professioni svolte
ha subito un aggiustamento contenuto nell’intervallo temporale sotto osservazione. In
particolare, dai dati riportati nella tabella 11 si evince un incremento del lavoro manuale
nell’edilizia, degli addetti alle pulizie, degli assistenti domiciliari, a fronte di un calo delle
figure di operaio generico nel terziario e nell’industria e soprattutto, del lavoro operaio
qualificato. Si tratta, dunque, di un rimescolamento della struttura professionale, più che di un
mutamento in termini qualitativi della stessa. Da ultimo, rispetto alla media degli stranieri che
lavorano a Milano e provincia, vale la pena rimarcare che i lavoratori originari del Marocco
sono presenti in misura maggiore nelle professioni generiche dell’edilizia e dei servizi alle
imprese, mentre sono sotto-rappresentati nel lavoro manuale in ambiti quali la manifattura, la
ristorazione e l’alberghiero, i servizi domestici e di cura.
1.3.2 Lavoro autonomo e imprenditoria
Passando ora al lavoro autonomo e alle attività imprenditoriali, la comunità marocchina si
caratterizza per una spiccata propensione imprenditoriale. A livello italiano, nel 2012 i
marocchini titolari di impresa hanno costituito un sesto delle ditte individuali intestate a
stranieri (38.203 su 232.668), con prevalenza di quelle operanti nel commercio al minuto e
nelle costruzioni (IDOS 2013).
Tabella 12: Ditte individuali attive a Milano e provincia con titolare nato in Marocco,
per settore di attività (primi 10), 2012
Fonte: Infocamere
Settore
Commercio al dettaglio
Lavori di costruzione specializzati
Commercio all'ingrosso
Totale (v.a.)
1.182
326
84
20
% sul totale
58,1%
16,0%
4,1%
Attività di servizi per edifici e paesaggio
Telecomunicazioni
Attività dei servizi di ristorazione
Trasporto terrestre e mediante condotte
Altre attività di servizi per la persona
Costruzione di edifici
Attività di supporto per le funzioni d'ufficio e altri se...
Totale
72
71
44
41
41
39
26
2.036
3,5%
3,5%
2,2%
2,0%
2,0%
1,9%
1,3%
100,0%
I dati di fonte Infocamere consentono di studiare nel dettaglio il fenomeno
dell’impresa individuale in Lombardia. Ebbene, delle ditte individuali attive 5 a Milano e
provincia – che nel 2012 sono 118.764 – quelle a titolarità marocchina6 sono 2.036 e dunque
rappresentano l’1,7% del totale. Quasi i due terzi di queste sono concentrati nel commercio al
dettaglio (58,1%) (tabella 12). Altro ambito in cui si condensano le ditte individuali condotte
da soggetti originari del Marocco è quello dei lavori di costruzione specializzati, in cui vi
sono 326 imprese, vale a dire poco meno di un quinto del totale (16,7%). A grande distanza
seguono, quindi, il commercio all’ingrosso, dove sono attive 84 imprese il cui titolare
proviene dal Marocco (4,1%), le telecomunicazioni (3,5%), le attività di servizi per edifici e
paesaggio (3,5%), le attività e i servizi di ristorazione (2,2%), il trasporto (2,0%), la
costruzione di edifici (1,9%).
Se misuriamo, invece, l’incidenza delle ditte individuali a titolarità marocchina sul
totale delle imprese individuali, i valori più alti si osservano nelle telecomunicazioni (10,4%),
nel commercio al dettaglio (6,0%), nell’ingegneria civile (4,6%), nelle attività e nei servizi di
viaggio (2,3%), nelle attività di servizi per edifici e paesaggio (2,1%), nei servizi postali e
attività di corriere (2,0%). Sono dunque questi gli ambiti in cui la presenza delle imprese
condotte da lavoratori originari del Marocco è maggiormente visibile nel contesto economico
e produttivo della provincia di Milano.
Tabella 13: Dinamica demografica delle ditte individuali,
per Paese di origine del titolare, 1997-2012 (valori medi)
Fonte: elaborazione su dati Infocamere
Nazionalità
Bangladesh
Ecuador
Albania
Natalità
77,9%
59,2%
47,7%
Mortalità
13,7%
13,5%
12,0%
Crescita
64,3%
45,7%
35,7%
Imprese attive: l’insieme delle imprese operative da un punto di vista economico (ad esempio hanno utilizzato
forza lavoro o realizzato fatturato) durante il periodo di riferimento, ossia l’anno.
6
È utile ricordare, in proposito, che, siccome i titolari d’impresa sono tenuti a comunicare, al momento
dell’iscrizione agli archivi camerali, il Paese di nascita, ma non la nazionalità, parleremo di marocchini o, più in
generale di stranieri, a prescindere dal fatto che i soggetti in parola abbiano acquisito, a seguito di un processo di
naturalizzazione, la cittadinanza italiana. Il che, è chiaro, implica la possibilità di una sovrastima
dell’imprenditorialità marocchina, più in generale di quella straniera .
5
21
Perù
Pakistan
Romania
Marocco
Senegal
Sri Lanka
Filippine
Egitto
Brasile
Cina
Tunisia
Altri Pfpm
Italia
42,6%
45,8%
38,1%
30,7%
28,4%
26,6%
30,5%
23,5%
26,9%
29,4%
20,2%
17,9%
8,8%
11,1%
18,7%
11,5%
7,7%
6,3%
7,3%
13,7%
8,2%
11,8%
15,7%
10,3%
10,4%
9,0%
31,5%
27,1%
26,6%
23,0%
22,1%
19,3%
16,8%
15,3%
15,1%
13,7%
9,9%
7,4%
-0,1%
Tra il 1997 e il 2012, periodo per il quale si dispone dei dati al riguardo, le ditte
individuali marocchine hanno fatto registrare un tasso di natalità7 (valore medio annuo), pari
al 30,7%, di circa quattro volte superiore a quello osservato tra le imprese italiane (8,8%). Vi
sono, ad ogni modo, gruppi nazionali in cui la propensione all’imprenditorialità è stata molto
più accentuata; tra questi, ad esempio, bengalesi (77,9%), ecuadoregni (59,2%), albanesi
(42,6%), pakistani (45,8%), peruviani (42,6%). Quanto al tasso di mortalità 8, sempre calcolato
come valore medio, esso è pari al 7,7%. Si tratta di uno dei valori più contenuti, atteso che il
medesimo valore – pari al 9,0% tra le imprese italiane – segna tassi inferiori solo entro il
gruppo dei senegalesi e dei cingalesi (6,3%). Quale esito di tali dinamiche, il tasso di crescita
fatto registrare dalle imprese marocchine è pari al 23,0%.
Per analizzare le performance delle ditte individuali, oltre a commentare i dati su
natalità e mortalità, è utile approfondirne, infine, la capacità di tenuta nel tempo. Al riguardo,
i dati riportati nella tabella 14 – e relativi alle durate quartiliche di sopravvivenza – rivelano
che la sopravvivenza mediana delle imprese individuali di Milano e provincia è di 78 mesi. Il
che significa, in altre parole, che dopo 78 mesi la metà delle imprese nate entro la finestra
temporale di riferimento cessa l’attività. Quanto ai principali Paesi di provenienza dei titolari,
è interessante notare che le durate mediane di sopravvivenza più elevate si osservano proprio
tra i soggetti originari del Marocco (158 mesi), che dunque fanno registrare, in merito a
questo indicatore, la migliore performance in assoluto.
Calcolato come rapporto tra il numero d’imprese nate nell’anno t e la popolazione d’imprese attive nell’anno t
(in percentuale).
8
Per definizione il rapporto tra il numero d’imprese cessate nell’anno t e la popolazione d’imprese attive
nell’anno t (in percentuale).
7
22
Tabella 14: Durate quartiliche di sopravvivenza delle imprese individuali,
per Paese di nascita del titolare (n. mesi)
Fonte: elaborazione su dati Infocamere
Paese
Italia
Egitto
Cina
Romania
Marocco
Albania
Perù
Bangladesh
Ecuador
Senegal
Brasile
Pakistan
Tunisia
Sri Lanka
Filippine
Altri Pfpm
Totale
n. casi
127.002
7.811
7.576
3.528
2.512
1.998
1.823
1.295
1.242
973
875
833
805
469
383
5607
164.732
25%
26
34
21
24
48
30
29
54
27
45
22
14
23
42
28
25
23
50%
76
143
55
78
158
90
89
.
107
.
73
68
91
.
83
74
78
75%
.
.
119
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
1.3.3 I redditi da lavoro
Gli ultimi dati a nostra disposizione consentono di indagare, infine, l’ammontare del reddito
medio da lavoro. Secondo i dati di fonte Orim, tra i soggetti provenienti dal Marocco, il
reddito medio personale netto è, nel 2012, di 868 euro su base mensile (900 euro il valore
mediano). Il peggioramento della condizione lavorativa registrato tra il 2006 e il 2012 e in
precedenza commentato, ha portato con sé una diminuzione molto marcata, e tendenzialmente
continua, dei redditi in parola. Questi valevano, infatti, 1.201 euro nel 2006, ma sono
diminuiti a 1.035 euro nel 2008, per poi scendere ancora e attestarsi a 1.008 euro nel 2012. Il
calo complessivo sull’intero periodo è dunque molto accentuato, essendo pari al -27,7%.
1.3.4 Spesa, risparmio e rimesse
Il livello di spesa dei marocchini a Milano (per l’abitazione, l’alimentazione, l’abbigliamento
e altro) si mantiene sostanzialmente invariato. A fronte di questo si osserva una forte
contrazione del risparmio medio mensile (da 161 a 53 euro) e delle rimesse (da 176 a 60
euro). La contrazione dell’importo medio delle rimesse è legata in parte alla diminuzione
delle possibilità economiche ma non solo. Infatti, come è stato detto precedentemente, quanto
più lunga è la permanenza tanto maggiore è il livello di integrazione. Secondo i dati Orim, le
rimesse tendono a diminuire con l’aumentare del livello di integrazione (in media infatti i
migranti più integrati inviano a casa 81 euro mensili a fronte di 153 euro inviati da quello
meno integrati). Poiché a Milano quasi il 60% dei migranti marocchini è in Italia da più di 10
23
anni e il trend è in crescita, sembrerebbe che la riduzione del volume delle rimesse sia
imputabile anche questo.
24
CAPITOLO SECONDO
FLUSSI MIGRATORI DI RITORNO IN MAROCCO
2.1 Le migrazioni di ritorno in Marocco: il quadro d’insieme
Quello dal Marocco costituisce uno tra i maggiori flussi migratori verso la penisola italiana,
seppur ad un tasso di crescita ridotto rispetto al passato (ISMU 2013). A questo movimento di
persone che continuano ad emigrare verso il nostro paese se ne affianca un altro di segno
opposto, ossia composto da persone marocchine che, dopo un certo periodo di tempo passato
all’estero, ritornano in patria in maniera temporanea o definitiva. Su questo fenomeno sono
state svolte alcune ricerche a partire dagli anni 2000 (CERED 2004; Khachani et al. 2008;
Khachani 2011; ETF 2013) che hanno messo in luce le caratteristiche dei cosiddetti “migranti
di ritorno”, i possibili apporti che possono dare allo sviluppo del Marocco ma anche le
difficoltà che incontrano una volta ritornati in patria.
Gli imprenditori transnazionali, che sono oggetto di questa ricerca, possono essere
assimilati al gruppo dei migranti di ritorno in quanto rappresentano soggetti che,
principalmente a causa della crisi economica che ha investito l’Italia, sono ritornati nel paese
di origine o hanno cominciato comunque a farvi visita molto più spesso e per periodi di tempo
maggiori, a causa degli investimenti economici di cui sono protagonisti. Come sarà messo in
luce nell’analisi degli studi di caso, il lungo vissuto in Italia e gli interessi economici in
Marocco, fanno sì che queste persone siano caratterizzate da un certo pendolarismo tra i due
paesi e da abitudini e da modi di pensare e stili di vita bifocali (Guarnizo 1997) che, sotto certi
aspetti, permettono loro di vivere simultaneamente sia nel paese di destinazione sia nel paese
di origine (Glick Schiller et al. 1992, Basch et al. 1994, Portes 2001, Vertovec 2009). Infatti il
progetto imprenditoriale in patria non è sempre e necessariamente legato ad un rientro stabile
e definitivo: molti dei migranti che investono in un progetto di questo tipo intendono
comunque restare a vivere all’estero seguendo i loro affari a distanza e attraverso visite
frequenti (Bouoiyour e Miftah 2013). Per tale motivo le esperienze imprenditoriali oggetto di
questo studio vengono indagate sia attraverso una prospettiva transnazionale sia
riconoscendovi in essi una dinamica transnazionale (Caselli 2009b).
L’analisi delle caratteristiche di questo flusso di migranti evidenzia le loro
caratteristiche e quindi le potenzialità ma anche le difficoltà e le problematiche che affrontano
e che spesso impediscono loro di mettere a frutto il capitale economico, umano e sociale
acquisito durante gli anni di migrazione. Ciò consente di evidenziare le politiche e le azioni
che sia i paesi di origine sia quelli di destinazione possono attuare per sostenere lo sviluppo
attraverso la valorizzazione dei fenomeni migratori. La questione dei migranti di ritorno
assume un valore ulteriore in un paese come il Marocco in cui la propensione all’emigrazione
25
è molto alta. Infatti secondo i dati dell’OECD del biennio 2005-2006, il tasso di espatrio dal
Marocco verso i paesi aderenti a questa organizzazione era pari al 10%. Questo valore è molto
alto soprattutto se paragonato al tasso di espatrio nello stesso periodo, verso gli stessi paesi
OECD, dall’Africa sub-sahariana e dal Maghreb pari rispettivamente all’1% e al 3%.
A questo proposito la ricerca condotta dalla European Training Foundation (ETF
2013), su incarico dell’Unione Europea (UE), rappresenta la più recente ma anche il più vasto
studio condotto sui migranti marocchini rientrati in patria. Quest’ultimo si iscrive nell’ambito
delle negoziazioni per la stipulazione del partenariato per la mobilità tra il Marocco e la UE,
firmato nel giugno 20139. Adottando un approccio proattivo alla migrazione, attraverso questa
ricerca, la UE ha voluto esplorare se e in quale modo i migranti di ritorno sostengono lo
sviluppo del proprio paese. L’indagine, condotta su un campione rappresentativo composto da
1.400 migranti di ritorno, analizza la loro vita, durante e dopo la migrazione al fine di
evidenziare i fattori di spinta all’avventura migratoria, il tipo di capitale acquisito all’estero e
come questo viene o meno valorizzato al ritorno nel paese di origine.
Grafico 1
Migranti di ritorno per fasce d'età (%)
Fonte: ETF (2013)
7%
3%
9%
32%
18 - 24
25 - 34
35 - 44
20%
45 - 54
55 - 64
65 +
29%
Dal punto di vista socio-demografico la ricerca mette in evidenza una forte prevalenza,
tra i migranti di ritorno, dei maschi rispetto alle femmine che, nella maggior parte dei casi
(82%) vanno a vivere in contesti urbani. L’età media risulta essere di 39 anni per le donne e
42 per gli uomini. Il 61% dei migranti di ritorno hanno tra i 25 ei 44 anni (rispettivamente il
29% sono nella fascia di età 25-34 anni e il 29% nella fascia 35-44 anni). Il 20% sono
Si veda: http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/what-isnew/news/news/2013/docs/20130607_declaration_conjointe-maroc_eu_version_3_6_13_fr.pdf
9
26
collocati nella fascia di età 45-54 mentre un restante 16% ha un’età compresa tra 55 e più di
65% anni.
Il 61% del campione della ricerca è sposato, con percentuali abbastanza simili tra
maschi e femminine (rispettivamente 62% e 57%). Da notare è la differenza rispetto allo
status matrimoniale dei non migranti, che risultano sposati nel 67% dei casi, ma soprattutto
rispetto a chi ha l’intenzione di emigrare all’estero che è sposato solo nel 40% dei casi.
Questo mette in luce una certa importanza dello status civile rispetto al progetto migratorio:
sembra infatti che la mancanza del vincolo matrimoniale abbia una relazione positiva con
l’orientamento alla migrazione. Inoltre il 75% dei migranti di ritorno sposati dichiarano di
essere emigrati senza il/la consorte, in misura molto maggiore per gli uomini (78%) rispetto
alle donne (60%). Le principali motivazioni addotte rispetto alla scelta di emigrare da soli
riguardano la necessità di prendersi cura dei figli e la mancanza di risorse finanziarie per poter
affrontare entrambi l’avventura migratoria.
Tabella 1: Migranti di ritorno e migranti potenziali secondo il livello di studio (%)
Fonte: ETF (2013)
Livello di studio
Migranti di ritorno
Migranti potenziali
Basso
Medio
Superiore
Totale
58
23
19
100
83
10
7
100
Migranti potenziali
che intendono
emigrare
84
11
6
100
È particolarmente interessante analizzare i dati riguardanti il livello di studio dei migranti di
ritorno che, in linea con i dati di ricerche svolte in altri paesi (OCDE 2008), mostrano come
gli ex migranti abbiano un livello di educazione maggiore rispetto al resto della popolazione
del paese di origine. Questo permette di evidenziare che i migranti di ritorno hanno un
capitale umano che può essere messo a disposizione del paese di origine. Per quanto riguarda
il Marocco i migranti di ritorno hanno nel 58% dei casi un livello di studio basso, nel 23% dei
casi un livello medio e nel 19% un livello superiore, con percentuali molti simili tra i due
sessi. Per quanto riguarda il resto della popolazione marocchina le percentuali, come di vede
nella tabella 1, sono invece molto più alte nella fascia di istruzione bassa. L’età e il livello di
studio sono caratterizzati da una relazione inversamente proporzionale: se più del 50% dei
migranti di ritorno di un’età compresa tra 18 e i 34 anni hanno livello di studio medio o
superiore, solo l’8% di quelli con più di 65 anni hanno un livello di studio simile. Gli ex
migranti nella fascia di età compresa tra i 35 e i 54 anni hanno un livello di studio medio o
superiore in circa il 45% dei casi e quelli tra i 55 e i 64 anni nel 24% dei casi. Per quanto
27
riguarda il tipo di studio svolto dalle persone con un livello di studio medio-alto, il 33% ha
seguito una formazione nelle scienze sociali, nel commercio e nel diritto, il 24% in scienze, il
17% in ingegneria o architettura; solo il 4% ha svolto studi nell’ambito educativo e un
residuale 2% in quello sanitario.
Il livello di studio dei migranti di ritorno si mantiene praticamente inalterato alla fine
dell’esperienza migratoria. Infatti solo il 31% di essi ha frequentato dei corsi di formazione
nel paese di accoglienza e, quando questo è avvenuto, ha riguardato nella maggior parte dei
casi i soggetti con un’istruzione superiore (72% per i maschi e 64% per le donne).
Il livello di formazione è in correlazione con la conoscenza delle lingue straniere da parte dei
migranti di ritorno. Nella quasi totalità dei casi (97%) parlano almeno una lingua straniera,
verosimilmente quella del paese di destinazione; inoltre il 73% degli intervistati parla due o
più lingue straniere. Questi ultimi sono in larga parte costituiti da persone che hanno un
livello di studio medio o superiore.
La durata media della permanenza all’estero tra gli intervistati è di 10 anni. La
migrazione circolare non pare avere molta importanza in quanto l’82% dei migranti di ritorno
dichiara di avere intrapreso la migrazione una sola volta. L’Italia (15%) si situa al terzo posto
come paese di emigrazione dopo Francia (32%) e Spagna (21%). La Francia ha rappresentato
la destinazione maggiore per i migranti con livello di studio medio superiore (51%), seguita,
anche se con percentuali molto più basse da Italia e Canada (8%) e dalla Spagna (7%).
L’Italia inoltre è stata scelta come destinazione dal 17% dei migranti di ritorno con un basso
livello di studio e dal 13% di quelli con livello di studio medio.
28
Tabella 2: Migranti di ritorno in Marocco secondo il primo paese di destinazione
e secondo il livello di studio (%)
Fonte: ETF (2013)
Paese di destinazione
Francia
Spagna
Italia
Altri
Paesi Bassi
Libia
Belgio
Germania
Emirati Arabi Uniti
Stati Uniti
Canada
Arabia Saudita
Quatar
Algeria
Tunisia
Totale
% Migranti di ritorno
Basso
27
25
17
6
6
5
2
3
3
1
0
2
1
1
1
100
32
21
15
6
5
4
3
3
3
2
2
2
1
1
0
100
Livello di studio
Medio
Superiore
34
51
20
7
13
8
6
5
4
2
1
1
6
6
3
2
3
2
4
5
2
8
2
1
1
2
0
0
1
0
100
100
Tra le motivazioni che hanno indotto alla partenza primeggiano, per entrambi i sessi,
la difficoltà a trovare lavoro (29% e 28%), la ricerca di un livello di vita migliore (26% e
23%) e lo studio e la formazione (13% e 11%). Le prime due motivazioni hanno
rappresentano la spinta ad emigrare soprattutto per chi ha un livello di studio basso e medio.
Invece i migranti di ritorno con il livello di studio superiore hanno deciso di emigrare
principalmente per motivi di studio anche se, differentemente dalle motivazioni precedenti, in
misura significativamente diversa tra maschi (52%) e femmine (28%).
Per l’89% dei migranti di ritorno la migrazione è avvenuta un modo autonomo senza il
sostegno di alcun tipo di programma governativo. Solo il 6% ha usufruito di programmi per
aiutare l’inserimento lavorativo all’estero. A fronte di ciò, il tipo di appoggio di cui si sarebbe
sentito maggiormente la necessità prima di emigrare viene riconosciuto proprio nell’aiuto a
trovare lavoro (66% per i maschi e 74% per le femmine) e nell’aiuto per trovare un alloggio
(11% e 8%).
Tabella 3: Motivazione per l’emigrazione dei migranti di ritorno
per genere e livello di studio (%)
Fonte: ETF (2013)
Difficoltà a
trovare lavoro
Basso
35
Uomini
Medio Super.
25
11
Totale
29
29
Basso
35
Donne
Medio Super.
25
8
Totale
28
Miglioramento
del livello di
vita
Salario e
carriera
insoddisfacenti
Trovare un
impiego più
remunerativo
Studi e
formazione
Altre
motivazioni
Totale
29
24
17
26
28
16
18
23
4
4
3
4
1
3
3
2
10
6
4
8
6
1
8
5
1
21
52
13
2
18
28
11
23
21
13
21
29
37
36
33
100
100
100
100
100
100
100
100
Analizzando i dati relativi al tipo di impiego svolto all’estero, emerge che il 71% dei
marocchini di ritorno, come primo impiego, ha lavorato come dipendente. Dalla suddivisione
dei dati per genere emerge che se gli uomini hanno lavorato di più come dipendenti (72%
contro il 64%), le donne hanno lavorato maggiormente in modo autonomo (9% contro il 6%
dei maschi). Solo l’1% tra i maschi e il 2% tra le femmine è stato imprenditore o
imprenditrice.
Rapportando il tipo di lavoro svolto al livello di studio non emergono differenze
significative: la distribuzione dei migranti di ritorno nelle diverse tipologie occupazionali è
pressoché uguale rispetto ai 3 livelli di studio considerati. Solo nel caso delle donne si nota
che l’impego come dipendente aumenta all’aumentare del livello di studio (rispettivamente
58% delle donne un basso titolo di studio, 69% di quelle con un livello medio e ben l’80% di
quelle con un livello di istruzione superiore).
Tabella 4: Primo impiego trovato dai migranti di ritorno nel paese di destinazione (%)
Fonte: ETF (2013)
Tipologia di occupazione
Imprenditore
Lavoratore autonomo
Dipendente
Lavoratore occasionale
Lavoro domestico
(remunerato)
Lavoro domestico (non
remunerato)
Altro
Totale
1
6
71
16
4
0
2
100
All’estero i migranti di ritorno hanno lavorato principalmente nel settore alberghiero e della
ristorazione, in quello delle costruzioni, nel settore agricolo, nel commercio, nell’industria
30
manifatturiera e nei servizi domestici. Si tratta di settori a basso livello di qualificazione in cui
viene richiesta la manodopera degli immigrati nei paesi di accoglienza. La tendenza generale
vede gli uomini impiegati per lo più nell’agricoltura e nelle costruzioni mentre le donne
lavorano maggiormente nei servizi.
Inoltre si evidenza che i migranti di ritorno hanno passato in media un periodo di dieci
mesi di disoccupazione prima di trovare una prima occupazione nel paese di destinazione
dove il 44% degli uomini e il 45% delle donne ha lavorato senza contratto di lavoro.
Nel paese di emigrazione circa un terzo dei migranti di ritorno hanno ottenuto il
riconoscimento del proprio titolo di studio (31% per gli uomini e 33% per le donne). Dalla
ricerca di ETF emerge che hanno ottenuto il riconoscimento del titolo di studio il 72% (dato
identico sia tra i maschi sia tra le femmine) dei migranti in possesso di un titolo di istruzione
superiore. Circa il 65% dei migranti di ritorno dichiara che il loro impiego era proporzionale
al proprio livello di studio ma il 42% degli uomini e il 51% delle donne mettono in evidenza
di aver sofferto di una certa dequalificazione in quanto dichiarano che le loro competenze
erano superiori, o anche molto superiori, rispetto al tipo di occupazione svolta.
Ciò nonostante vengono identificate delle competenze che sono apprese durante la
permanenza all’estero: il 62% del totale dei migranti indica le competenze linguistiche e il
55% indica competenze di tipo tecnico e professionale.
Tabella 5: Riconoscimento delle qualifiche dei migranti di ritorno
nel paese di destinazione per livello di studio e genere (%).
Fonte: ETF (2013)
Riconoscimento delle
qualifiche all’estero per gli
uomini / Livello di studio
Sì
No, era difficile
No, era impossibile
No, non sapevo che era
possibile
No, nessuna relazione con il
tipo di lavoro
Totale
Riconoscimento delle
qualifiche all’estero per le
donne / Livello di studio
Sì
No, era difficile
No, era impossibile
No, non sapevo che era
possibile
No, nessuna relazione con il
tipo di lavoro
Totale
Basso
Medio
Superiore
Totale
15
11
13
8
44
18
10
8
72
17
1
3
31
14
10
7
53
21
7
37
100
Basso
100
Medio
100
Superiore
100
Totale
18
11
8
3
40
14
11
7
72
8
5
10
33
11
8
5
60
29
5
43
100
100
100
100
31
In generale i migranti di ritorno fanno un bilancio positivo della propria esperienza
migratoria: per il 72% di essi il progetto migratorio è riuscito bene o molto bene; tale
percentuale aumenta all’aumentare del livello di studio: 80% di chi ha fatto studi superiori,
72% di chi ha un livello medio e 70% di chi ha un livello di studio basso.
Per quanto riguarda il ritorno in patria per il 44% si è trattato di un ritorno obbligato a
causa principalmente della crisi economica che ha coinvolto i paesi di destinazione e, in
misura minore, le difficoltà professionali. Per il 40% degli intervistati si è trattato invece di
una scelta compiuta per lo più per motivi famigliari e in modo meno preponderante per motivi
culturali o perché è stata raggiunto il pensionamento dal lavoro. Interessante ai fini di questo
rapporto è notare come il 5% dei migranti di ritorno dichiari di essere tornato per investire in
Marocco. Inoltre il 16% del campione è tornato in modo forzoso: si tratta di persone il cui
permesso di soggiorno nel paese di emigrazione è scaduto, o è stato ritirato per vari motivi, e
conseguentemente i migranti sono dovuti rientrare, in Marocco, spesso a seguito di
provvedimenti delle autorità dei paesi di accoglienza.
I programmi volti al sostegno e alla valorizzazione dei migranti di ritorno sono
pressoché sconosciuti. Infatti solo il 7% degli intervistati è al corrente dell’esistenza di
programmi rivolti ai migranti di ritorno. In generale le donne e le persone con un basso livello
di istruzione tendono a conoscere meno queste iniziative.
Per quanto concerne la situazione lavorativa dopo il ritorno, il 61% dei rispondenti è
occupato: le donne occupate sono però solo il 49% a fronte di una percentuale del 63% per gli
uomini. Il tasso di occupazione è direttamente proporzionale al livello di studio; risulta infatti
occupato il 78% degli ex migranti con un livello di studio superiore mentre il livello di
occupazione per i livelli di studio basso e medio si attestano rispettivamente al 55% e 62%.
Tabella 6: Occupazione dei migranti di ritorno (dopo il ritorno)
secondo il genere e il livello si studio (%).
Fonte: ETF (2013)
Uomini
Donne
Totale
Basso
57
46
55
Medio
65
47
62
Superiore
82
61
78
Totale
63
49
61
Per quanto riguarda il tipo di lavoro svolto dopo il rientro in Marocco, i dati riferiti al
totale dei rispondenti mettono in luce che il 45% lavora come dipendente, il 25% è lavoratore
autonomo e il 18% è imprenditore e ha alcuni lavoratori alle proprie dipendenze. Il lavoratori
dipendenti rappresentano il 63% delle donne, il 42% degli uomini e il 65% del totale dei
migranti di ritorno con un livello di studio superiore. Invece i lavoratori autonomi sono
32
inversamente proporzionali al livello di studio dei soggetti del campione in quanto aumentano
al diminuire del livello di istruzione.
Dall’analisi dei dati riguardanti gli imprenditori, se da un lato emerge un legame per
quanto riguarda il genere (sono il 20% degli uomini e solo il 6% delle donne), non emerge un
legame altrettanto chiaro con il livello di istruzione. Come si può vedere dalla tabella 7, solo
nel caso delle imprenditrici emerge che queste ultime tendono ad avere un livello di istruzione
superiore; mentre sia dai dati riguardanti il totale dei migranti di da quelli relativi ai maschi
emerge una distribuzione all’incirca simile in ciascuno dei tre livelli di istruzione.
Tabella 7: Tipo di impiego per i migranti di ritorno
secondo il livello di studio e il genere (%).
Fonte: ETF (2013)
Tipo di impiego per gli uomini
Altri
Imprenditore
Lavoratore autonomo
Dipendente
Lavoratore occasionale
Lavoratore domestico
(non remunerato)
Lavoratore domestico
(remunerato)
Totale
Tipo di impiego per le donne
Altri
Imprenditrice
Lavoratrice autonoma
Dipendente
Lavoratrice occasionale
Lavoratrice domestico
(non remunerata)
Lavoratrice domestico
(remunerata)
Totale
Tipo di impiego per i due sessi
Altri
Imprenditore
Lavoratore autonomo
Dipendente
Lavoratore occasionale
Lavoratore domestico
(non remunerato)
Lavoratore domestico
(remunerato)
Totale
Basso
0
19
33
35
11
2
Livello di studio
Medio
1
21
30
37
5
4
Superiore
2
19
11
63
5
1
Totale
1
20
27
42
8
2
1
1
0
1
100
Basso
0
4
11
58
13
7
100
Medio
0
4
22
61
9
4
100
Superiore
4
11
7
75
4
0
100
Totale
1
6
16
63
9
5
0
0
0
0
100
Basso
0
17
31
38
11
3
100
Medio
1
19
29
40
6
4
100
Superiore
2
18
10
65
5
1
100
Totale
1
18
25
45
8
2
1
1
0
1
100
100
100
100
Il tempo medio per la ricerca di un lavoro dopo il ritorno è in media di 5 mesi. I dati inoltre
dimostrano che l’esperienza migratoria influisce sulle opportunità lavorative che i migranti di
33
ritorno incontrano in Marocco. Infatti più del 60% di questi ultimi riconoscono che grazie
all’esperienza migratoria hanno migliorato la loro posizione occupazionale. In effetti il tasso
di attività tra i migranti di ritorno è dell’80%, a fronte del 62% dei migranti potenziali. Inoltre
la disoccupazione tra i migranti di ritorno si attesta al 15% a fronte del 18% a livello
nazionale, che arriva al 32% nelle aree urbane.
Rispetto all’esperienza del ritorno in generale, il 59% del campione si dichiara
soddisfatto e l’11% molto soddisfatto mentre circa un quarto mantiene una posizione di
indifferenza e un residuale 8% non si ritiene soddisfatto rispetto alle aspettative. Gli uomini in
particolare tenderebbero ad essere maggiormente soddisfatti rispetto alle donne che sono
rientrate. La tabella 8 fa notare che se il 55% del totale dei rispondenti dice di non avere avuto
nessun problema nella fase di rientro, circa un quarto, in misura simile tra maschi e femmine,
segnala la difficoltà di trovare un lavoro come principale problema incontrato.
Tabella 8: Difficoltà trovate dai migranti di ritorno per genere (%)
Fonte: ETF (2013)
Principali difficoltà trovate al
rientro
Nessun problema
Difficoltà a trovare lavoro
Il coniuge non ha trovato lavoro
Difficoltà a trovare un’abitazione
Mancanza di servizi educativi per
sé e la famiglia
Mancanza di servizi sanitari per sé
e la famiglia
Problemi di reintegrazione
Mancanza di informazioni sui
diritti e gli obblighi giuridici
Totale
Uomini
Donne
Totale
54
24
0
1
2
60
23
2
0
4
55
24
1
1
2
3
2
3
8
4
3
2
7
4
100
100
100
La ricerca di ETF analizza la situazione economica e sociale dei migranti dopo il
ritorno in patria. Il 66% del totale del campione risulta vivere in buone condizioni sociali, il
28% in condizioni medie e il 6% in condizioni pessime. Queste ultime vengono misurate
attraverso un indicatore composito che prende in considerazione il rapporto tra i membri del
nucleo famigliare e il numero di stanze dell’abitazione e l’accesso a beni e servizi come
l’acqua potabile, il riscaldamento, l’automobile, gli elettrodomestici, ecc. L’indice permette di
analizzare l’impatto della migrazione in quanto tra coloro che non sono emigrati solo il 33%
risulta vivere in buone condizioni sociali, il 45% è in medie condizioni e il 22% in pessime.
Inoltre le condizioni sociali appaiono legate positivamente con il livello di studio in quanto i
migranti di ritorno che presentano buone condizioni sociali rappresentano il 56% di chi ha un
basso livello di studio, il 73% di coloro che hanno un livello medio e ben l’88% di coloro che
hanno un livello di studio superiore.
34
Di segno opposto appare invece la situazione economica dei migranti di ritorno che
viene misurata attraverso un altro indicatore composito: l’indicatore della situazione
economica. Quest’ultimo prende in considerazione variabili quali: le proprietà immobiliari, il
reddito famigliare equivalente, la proprietà fondiaria e il denaro ricevuto dall’estero.
Nonostante il 73% dei migranti di ritorno risieda in abitazioni di proprietà mentre solo il 16%
sia in affitto, l’indicatore mette in evidenza che il 49% dei migranti di ritorno presentano
condizioni economiche non buone e il 25% addirittura pessime a fronte di un 22% che è in
condizioni buone e di un 4% che presenta una situazione economica molto buona.
Alla luce di questo Lahlou (2006) sottolinea come il ritorno rappresenti una vera e
propria scommessa per i migranti che confidano da un lato che il mercato del lavoro cambi in
35
modo da poter spendervi le competenze acquisite all’estero e dall’altro lato che vengano
create condizioni tali per cui i proprio investimenti possano andare a buon fine.
L’invio di rimesse rappresenta una importante fonte di reddito per la famiglia lasciata
in patria, che attraverso queste risorse può migliorare la propria situazione economica e
sociale di cui usufruisce anche il migrante una volta rientrato. In questo senso le rimesse
rappresentano per il migrante una sorta di investimento per il proprio tenore di vita futuro. Dai
dati risulta che il 63% dei migranti ha inviato denaro a casa durante la permanenza all’estero.
Questo dato varia in modo inversamente proporzionale rispetto al livello di istruzione. Infatti,
si vede nella tabella 9, dichiarano di avere inviato rimesse il 69% dei rispondenti con un basso
livello di istruzione, il 59% di quelli con un livello medio e il 48% di quello con un livello di
istruzione superiore. Questa differenza può essere imputata al fatto che i migranti meno
istruiti tendono ad essere originari di aree rurali e ad avere un attaccamento maggiore al luogo
di origine. Essi sembrano quindi maggiormente orientati ad un progetto di rientro futuro e
quindi ad investire in progetti da realizzare in patria piuttosto che nel contesto di destinazione.
I dati di questa ricerca, condotta su un campione di migranti rientrati da al massimo 10 anni,
divergono con quella di un’altra ricerca condotta nel 2005 dalla Fondazione Hassan II (2008)
su un campione di 2100 migranti. Quest’ultima ricerca conferma il rapporto inverso tra livello
di studio e invio di rimesse, ma evidenzia come i migranti che inviano rimesse sarebbero la
quasi totalità (99,1%).
Tabella 9: Rimesse inviate dai migranti suddivise per livello di studio e il genere (%)
Fonte: ETF (2013)
Livello di studio
Superiore
Invio di
rimesse
Sì
No
Totale
Basso
Medio
71
29
100
61
39
100
50
50
100
65
35
100
Donne
Sì
No
Totale
58
42
100
51
49
100
42
58
100
54
46
100
Uomini e
donne
Sì
69
59
48
63
No
Totale
31
100
41
100
52
100
37
100
Uomini
Totale
Le rimesse vengono impiegate, in ordine di frequenza, per le spese correnti (89%), il
risparmio (20%), le spese sanitarie (18%) e gli acquisti immobiliari (14%). Circa il 70% dei
migranti di ritorno dichiara inoltre di avere risparmiato durante la permanenza all’estero.
36
Questo risparmio è utilizzato in larga parte per le spese famigliari (64%) ma anche per
l’acquisto di immobili (33%) e per l’avvio di attività commerciali (32%).
La ricerca della Fondazione Hassan II (2008) mette in luce che il principale canale di
invio delle rimesse è quello informale che passa dal 13,7% del 1998 al 40,36% nel 2005, a
fronte di una cospicua diminuzione dell’uso degli altri canali ufficiali (banche, servizi postali,
Western Union). Inoltre l’Italia vanta il primato relativo al costo delle rimesse pari in media a
182 dirham seguita dalla Germania dove l’invio delle rimesse costa in media 153 dirham. Ciò
si spiega con l’alto ricorso dei marocchini a canali come Western Union che danno maggiori
garanzie in termini di rapidità rispetto agli altri presenti nel contesto italiano.
Come si può vedere dal grafico 4 l’ammontare delle rimesse verso il Marocco è
aumentato nel tempo e ha rappresentato un sostegno molto importante per l’economia
marocchina. I motivi di questo trend in crescita sono da ricercarsi nella crescita del numero di
migranti all’estero, negli sforzi delle autorità marocchine per creare dei canali ufficiali per
l’invio delle rimesse oltre che nel livello dei salari e dei vantaggi sociali nei paesi di
emigrazione che hanno consentito di destinare risorse ai famigliari rimasti in patria
(Bouoiyour e Miftah 2013). Però, secondo Lahlou (2006), questo flusso è destinato a
diminuire nel tempo per ragioni sia di tipo interno sia di tipo esterno al contesto marocchino.
Nel lungo periodo le rimesse sarebbero destinate a diminuire a causa delle politiche di
sviluppo economiche del Marocco che riducono la propensione a emigrare; dal punto di vista
delle ragioni esterne, l’irrigidimento delle politiche migratorie dei paesi europei contrarrebbe
ulteriormente i flussi in uscita dal paese andando quindi ad incidere sul volume delle rimesse.
37
In effetti, nel 2008, agli albori della crisi finanziaria, le rimesse verso il Marocco hanno subito
una contrazione del 3,5%. Tuttavia, paragonando il dato a quello relativo alla contrazione
degli investimenti diretti esteri (IDE), pari al 26,3% nello stesso anno, si può notare una sorta
di contro-ciclicità delle rimesse. Inoltre, nella classifica dei paesi recettori di rimesse, il
Marocco si qualifica nei primi posti, con flussi che nel 2010 hanno avuto una dimensione pari
al 6,8% del PIL (Bouoiyour e Miftah 2013).
Il pensionamento lavorativo è stato maturato all’estero dal 35% degli uomini e dal
20% delle donne rientrati in Marocco: le persone che hanno maturato questi diritti sociali
all’estero rappresentano l’88% dei migranti con una esperienza di ritorno riuscita molto bene
e il 31% di chi ha una buona esperienza di rientro.
Se il 71% del totale dei migranti di ritorno intervistati non vuole ri-emigrare, poco
meno di un terzo di essi manifesta questa intenzione. Questo orientamento riguarda
maggiormente le persone con un livello di istruzione medio (31%) e basso (29%) e in misura
minore chi ha un’istruzione superiore (23%). Questi ultimi, rispetto a quanto detto
precedentemente, tendono ad essere caratterizzati da condizioni di vita migliori dal punto di
vista sociale, economico e lavorativo. La ragione principale che viene addotta per giustificare
il desiderio di ritentare il progetto migratorio è la difficoltà a trovare lavoro.
I dati della ricerca di ETF permettono di mettere in luce il profilo tipico del migrante
marocchino: generalmente è un uomo celibe con un livello medio-basso di istruzione che in
media emigra per un periodo di almeno 10 anni. A fonte di ciò il migrante di ritorno presenta
un livello di qualificazione migliore rispetto alla media della popolazione marocchina. Quanto
più alto è il suo livello di formazione tanto maggiori sono le competenze e le esperienze
professionali acquisite durante la migrazione, che gli permettono di re-inserirsi nel mercato
del lavoro marocchino in una posizione migliore rispetto a quella occupata prima della
partenza. Secondo il profilo tratteggiato, nella fase di ritorno il migrante conta principalmente
sul proprio capitale sociale (famigliari e amici) per trovare un lavoro come dipendente.
Sebbene i migranti di ritorno che avviano esperienze imprenditoriali siano una piccola parte
del totale (5%), l’esperienza migratoria accresce le possibilità di diventare imprenditore come
viene confermano anche Bouoiyour e Miftah (2013)10. Tale ricerca evidenzia che fattori come
il genere, il livello di educazione, la situazione economico-professionale, la proprietà o meno
di un’abitazione e il livello dei risparmi accumulato incidono sulla propensione dei migranti a
ristabilirsi nel paese di origine. Innanzitutto le donne tendono ad essere meno propense degli
uomini a ritornare stabilmente in Marocco anche per le condizioni di autonomia economica e
sociale che acquisiscono all’estero; un migliore livello di educazione generalmente porta a
Gli autori analizzano i risultati di una ricerca condotta nel 2007 sulla comunità marocchina residente in
Francia volta ad analizzare i fattori che maggiormente influiscono sulla decisione di ritornare nel paese di
origine.
10
38
condizione lavorative e salariali all’estero migliori soprattutto relativamente a quelle a cui
avrebbero accesso in Marocco e quindi non stimola a farvi ritorno. Soprattutto, per chi ha
intenzione di avviare delle forme di investimento, l’esperienza migratoria si prolunga fino a
quando si è raggiunto un certo livello di risparmio tale da rendere possibile l’investimento.
L’indagine di ETF evidenzia che perché la migrazione realizzi degli effetti positivi nei
confronti del migrante, del paese di origine e di quello di destinazione, ossia perché si instauri
la dinamica del co-sviluppo, sono necessari degli interventi esterni. Infatti buona parte dei
migranti marocchini non acquisisce competenze durante il periodo all’estero e se ha questa
possibilità non sempre ha modo di metterla a frutto una volta di ritorno in Marocco. Chi
implementa le proprie competenze sono quei migranti che alla partenza possiedono una
migliore dotazione di capitale umano e grazie a questo hanno maggiori possibilità di successo
nella fase di ritorno. Dato che buona parte dei migranti marocchini ha un livello di studio
piuttosto basso appare evidente che il contributo della migrazione allo sviluppo è ancora al di
sotto del proprio potenziale .
Il miglioramento del livello di istruzione in Marocco appare come una prima linea
strategica per la realizzazione del co-sviluppo. Inoltre risulta fondamentale la creazione di
modalità per valorizzare le competenze accumulate dai migranti di ritorno all’interno del
mercato del lavoro marocchino. Come verrà messo in evidenza anche dai casi studio, uno dei
principali ostacoli che i migranti incontrano quando rientrano in Marocco sono le scarse
possibilità di innovare il tessuto economico-lavorativo attraverso l’apporto delle specifiche
conoscenze apprese. Sia per i lavoratori dipendenti che per gli imprenditori è spesso molto
difficile introdurre nuovi prodotti e nuovi metodi di lavoro e questo influenza negativamente
la propensione ad investire da parte dei migranti di ritorno. Un terzo ed ultimo asse strategico
viene visto nella diffusione di informazioni, nei confronti dei migranti potenziali,
relativamente ai paesi di emigrazione e, soprattutto nel frangente della crisi economica
attuale, circa le reali opportunità di impego nei paesi di destinazione.
2.2 Effetti e caratteristiche dei flussi di ritorno nella regione di Tadla Azilal
Relativamente alla regione di Tadla Azilal, oggetto di questo rapporto, non vi sono dati
specifici sui migranti di ritorno. Tuttavia la ricerca Migration de Retour au Maghreb
(MIREM)11 condotta tra il 2006 e il 2007 dall’European University Institute di Firenze
(Cassarino 2008; Khachani et al. 2008), ha preso in considerazione un campione di 330
migranti marocchini di ritorno composto per un terzo da persone originarie di Tadla Azilal 12.
Oltre al Marocco la ricerca ha riguardato anche la Tunisia e l’Algeria prendendo in considerazione un
campione totale di 992 soggetti. Per ulteriori informazioni si veda: http://rsc.eui.eu/RDP/researchprojects/mirem/
12
Le altre regioni rappresentate nel campione sono: Casablanca, Chaouia-Ourdigha, Rabat-Salé-Zemmour-Zaër.
Tuttavia Tadla Azilal è la regione maggiormente rappresentata nel campione.
11
39
Pertanto i dati di questa ricerca permettono di avere un quadro indicativo delle caratteristiche
dei migranti di ritorno nella regione.
Tabella 10: Migranti di ritorno per fascia d’età (%)
Fonte: MIREM (2008)
Fascia d’età
Fino a 30
31 - 40
41 - 50
50 - 64
65 +
Totale
Tipo di ritorno
Volontario
Forzato
15,6
41,4
30,7
34,3
24,2
19,2
19,9
4,0
9,5
1,0
100,0
100,0
Totale
23,3
31,8
22,7
15,2
7,0
100,0
Anche i dati della ricerca MIREM confermano la forte prevalenza dei maschi rispetto
alle femmine tra i migranti di ritorno: le femmine rappresentano infatti solo il 12,7% del
campione. La ricerca non analizza i dati attraverso una suddivisione di genere ma
distinguendo i migranti di ritorno che hanno scelto di tornare in patria da quelli il cui ritorno è
stato invece forzato da cause di forza maggiore. Il ritorno volontario rappresenta il 70% dei
casi mentre quello forzato il 30% e sembra riguardare in modo preponderante gli uomini
(31,6% a fronte del 19,1% delle donne). Una possibile spiegazione della differenza di questo
dato, rispetto alla ricerca ETF, può essere imputata al fatto la ricerca MIREM si è svolta nel
periodo immediatamente antecedente alla crisi economica e quindi in un periodo in cui i
migranti marocchini non avevano a che fare con difficoltà lavorative di dimensioni così ampie
come quelle che si sono trovati ad affrontare negli anni successivi e che hanno costretto molti
a tornare.
Gli intervistati sono abbastanza giovani: il 55,1% ha meno di 40 anni (il 31,8% ha tra i
31 e i 40 anni e il 23,3% ha meno di 30 anni); le fasce più vecchie rappresentano circa un
quinto del campione: le persone con più di 65 anni sono il 7,0% e quelle tra i 50 e i 64 il
15,2%. Come si può notare dalla tabella 10, i migranti il cui ritorno è stato forzato sono
principalmente giovani (il 75,7% ha meno di 40 anni) mentre i migranti che decidono
liberamente di tornare sono di età più avanzata (il 53,6% ha più di 40 anni).
Dal punto di vista dello stato civile si nota anche qui come esso eserciti una certa
influenza sul percorso migratorio: buona parte dei migranti di ritorno (67,9%) erano single
prima della partenza e in misura molto inferiore (23%) lo sono ancora quando ritornano. Essi
inoltre sono molto più numerosi tra chi ritorna forzatamente (43,3%) rispetto ai migranti che
scelgono di rientrare (14,3%). Verosimilmente i migranti di ritorno in modo forzato hanno
40
avuto un’esperienza migratoria più difficile e meno positiva dal punto di vista economicolavorativo il che ha reso più difficoltoso la costituzione di una famiglia.
Nella quasi totalità dei casi (93%) prima della partenza i migranti di ritorno vivevano
con la propria famiglia o con il nucleo allargato, composto da genitori, fratelli e altri parenti,
mentre dopo essere rientrati in Marocco circa la metà di essi (52%) vive nel nucleo famigliare
ristretto e solo meno di un terzo vive ancora con la famiglia allargata. Sono principalmente i
migranti obbligati a ritornare che si trovano in questa seconda situazione (62,5%).
Tabella 11: Tipologia abitativa dei migranti di ritorno all’arrivo
e alla partenza dal paese di destinazione (%).
Fonte: MIREM (2008)
Tipo di abitazione nel paese
di destinazione
Proprietario
Inquilino
Abitazione gratuita
Abitazione legata al lavoro
Altro
Non risponde
Totale
Arrivo nel paese di
destinazione
5,5
73,3
15,2
1,5
1,2
3,3
100,0
Partenza dal paese di
destinazione
10,9
64,2
8,8
1,2
1,8
13,1
100,0
Per quanto riguarda la condizione abitativa più del 70% degli intervistati viveva in una
casa tradizionale o rurale prima della partenza mentre nel paese di destinazione vivono per lo
più in appartamenti in affitto. Confrontando il momento dell’arrivo nel paese ospitante con
quello antecedente al ritorno in patria si nota una piccola progressione della carriera abitativa:
la percentuali degli affittuari diminuisce dal 73,3% al 64,2% mentre raddoppia quella dei
proprietari di casa che passa dal 5,5% al 10,9%.
Circa il 60% dei migranti di ritorno è nato nel contesto urbano. Nel periodo di
emigrazione i marocchini tendono a concentrarsi nelle aree urbane (85,2%). Da notare che i
migranti tornati in modo forzoso abitano molto più spesso in un contesto rurale nel paese di
emigrazione (21,2%) rispetto agli altri migranti di ritorno (8,7%). Inoltre, dopo il ritorno i
migranti tendono a spostarsi nei centri urbani: se prima della partenza vi risiede circa il 65%
dei casi dopo il ritorno vi abita l’84,2%. Conformemente ai dati della ricerca svolta da ETF si
nota quindi uno spostamento geografico verso i centri urbani soprattutto tra i migranti che
scelgono di ritornare : generalmente chi prima di emigrare viveva in campagna si trasferisce
in città e chi viveva in piccoli centri urbani tende a spostarsi verso città più grandi. Infatti
circa il 38% dei migranti di ritorno intervistati va ad abitare in un posto diverso rispetto
all’ultimo luogo di residenza in Marocco, dove vi torna il 24% mentre il 36% torna ad abitare
nel luogo di origine. Tale dato viene confermato da Lahlou (2006) secondo il quale entro il
41
2019 circa 9 milioni marocchini, pari al 51% della popolazione, vivrà in aree urbane dove,
peraltro, la disoccupazione è più elevata stante anche il fatto che nelle zone rurali ci sono
ampie sacche di sotto-occupazione. Quest’ultimo fenomeno è riferito alla persone che sono
occupate ma non remunerate ossia che sono dedite a forme di agricoltura di sussistenza o che
lavorano nell’ambito domestico.
Per quanto concerne la situazione lavorativa prima della partenza i dati sembrano
distanziarsi rispetto alla ricerca condotta da ETF basata su un campione di migranti di ritorno
provenienti da tutto il Marocco. Dai dati della ricerca MIREM risulta che, prima di emigrare,
più di un quarto degli intervistati era studente (26,7%), in misura identica (9,1%) erano
lavoratori stagionali, lavoratori autonomi e disoccupati mentre solo l’8,8% era occupato
stabilmente. Da notare che coloro che sono ritornati in modo forzoso risultavano disoccupati
in una percentuale di 10 punti superiore a quella di coloro che hanno pianificato il rientro;
inoltre i primi risultavano occupati stabilmente in una percentuale (5,1%) pari a meno della
metà dei secondi. Prima della partenza i rispondenti risultano occupati principalmente nel
settore agricolo (28,8%) e nel commercio (17,8%). Se nel settore agricolo i migranti rientrati
in modo forzoso erano maggiormente impegnati (36,1%) rispetto agli altri (25,9%), nel settore
del commercio non si riscontrano differenze: entrambe le categorie di migranti di ritorno si
attestano attorno al 18% prima della partenza.
42
Tabella 12: Status di impiego dei migranti di ritorno all’arrivo nel paese di destinazione,
alla partenza dal paese di destinazione e dopo il rientro in Marocco (%).
Fonte: MIREM (2008)
Status d’impiego all’arrivo
nel paese di destinazione
Status
Ritorno
Ritorno
d’impiego
volontario forzato
Impiego
27,3
11,1
stabile
Impiego
11,7
11,1
occasionale
Impiego part 2,2
2,0
time
Lavoratore
12,6
30,3
stagionale
Imprenditore 1,7
1,0
Lavoratore
autonomo
Lavoratore
autonomo
(sett.
informale)
Lavoratore
domestico
Disoccupato
Studente
Casalinga
Altro
Nessuna
risposta
Totale
Totale
22,4
11,5
2,1
17,9
1,5
2,6
4,0
3,0
10,8
19,2
13,3
1,3
3,0
1,8
1,3
17,3
1,7
7,4
2,2
4,0
6,1
1,0
7,1
0
2,1
13,9
1,5
7,3
1,5
100,0
100,0
100,0
Status di impiego alla partenza
dal paese di destinazione
Status
Ritorno
Ritorno Totale
d’impiego
volontario forzato
Impiego
32,5
12,1
26,4
stabile
Impiego
9,5
14,1
10,9
occasionale
Impiego
1,7
3,0
2,1
part time
Lavoratore
10
25,3
14,5
stagionale
Imprenditore 3,9
1,0
3,0
Status di impiego dopo il ritorno in Marocco
(al momento della ricerca)
Status
Ritorno
Ritorno Totale
d’impiego
volontario forzato
Impiego
23,8
6,1
18,5
stabile
Impiego
3,0
0
2,1
occasionale
Impiego
3,9
18,2
8,2
part time
Lavoratore
19,5
5,1
15,2
stagionale
Imprenditore 14,7
10,1
13,3
Lavoratore
autonomo
Lavoratore
autonomo
(sett.
informale)
Lavoratore
domestico
Disoccupato
Studente
Casalinga
Altro
Nessuna
risposta
Totale
Lavoratore
autonomo
Lavoratore
autonomo
(sett.
informale)
Lavoratore
domestico
Disoccupato
Studente
Casalinga
Altro
Nessuna
risposta
Totale
7,4
4,0
6,4
8,7
13,1
10,0
1,7
2,0
1,8
1,3
5,2
1,3
13,4
3,5
10,1
3,0
1,0
11,1
0
3,9
4,5
1,2
12,7
2,4
100,0
100,0
100,0
43
2,6
5,1
3,3
0
2,0
0,6
0,4
1,0
0,6
3,9
3,5
6,9
17,8
0
38,4
2,0
2,0
10,1
0
14,2
3,0
5,5
16,4
0
100,0
100,0
100,0
Confrontando i dati sulla situazione lavorativa nel momento di arrivo nel paese di
destinazione con quello del ritorno in patria non emergono particolari differenze. La
percentuale degli occupati poco dopo l’arrivo è del 73,5% e al momento della partenza è del
75,1%, così come il dato relativo agli occupati in modo stabile (22,4% all’arrivo e 26,4% alla
partenza). Tutti gli alti dati, come si può vedere nella tabella 12 rimangono sostanzialmente
inalterati. Da notare è innanzitutto il livello di disoccupazione che seppur variando di poco
tende ad aumentare, passando dal 2,1% al 3,9%. Tuttavia esso resta inalterato per i migranti
che decidono di ritornare (1,3%) mentre passa dal 4,o% al 10,1% per chi è obbligato a
ritornare in Marocco, che in generale risultano più numerosi, in entrambi i momenti, negli
status occupazionali meno stabili. Tuttavia, soprattutto per quanto riguarda i dati relativi alla
disoccupazione è necessario ricordare ancora una volta che la ricerca è stata svolta tra il 2006
e il 2007 ossia ai primi albori della crisi economica. Verosimilmente i dati attuali potrebbero
essere molto diversi. I settori occupazionali nel paese di destinazione, ricalcano quelli messi
in evidenza di dati della ricerca del paragrafo precedente: commercio (26,1%), agricoltura
(11,9%), costruzioni (10,5%), settore alberghiero e della ristorazione (8,5%), industria
manifatturiera (7,1%).
Tabella 13: Livello di studio dei migranti di ritorno prima di emigrare (%)
Fonte: MIREM (2008)
Livello di studio
prima della partenza
Nessun titolo di
studio
Educazione
pre-scolare
Scuola elementare
Scuola Media
Scuola Superiore
Studi universitari
/Master
Dottorato
Altro
Nessuna risposta
Totale
Ritorno volontario
Ritorno forzato
Totale
14,3
5,1
11,5
6,5
4,0
5,8
14,7
9,5
23,4
22,5
24,2
22,2
29,3
14,1
17,6
13,3
25,2
20,0
3,5
1,3
4,3
100,0
1,0
0
0
100,0
2,7
0,9
3,0
100,0
Raffrontando la situazione occupazionale nell’ultimo periodo di vita all’estero con la
situazione occupazionale una volta rientrati in patria emerge una situazione negativa in quanto
i migranti di ritorno risultano meno occupati (61,2%) e conseguentemente più disoccupati
(14,2%). Tuttavia questi ultimi sono prevalentemente migranti rientrati in modo obbligato
(38,4% a fronte del 3,9%). I principali settori di occupazione dei migranti di ritorno in
Marocco risultano essere: il commercio (24,9%), l’agricoltura (13,8%), il settore edile (7,9%)
44
e quello dei trasporti e delle telecomunicazioni (7,1%). Solo l’agricoltura e l’edilizia
registrano una prevalenza dei migranti tornati forzatamente mentre negli altri settori non vi
sono disequilibri tra le due categorie.
Per quanto riguarda il livello di studio dei migranti di ritorno i dati sono in netto
contrasto con la ricerca di ETF, e delineano una situazione migliore. Prima della partenza i
migranti di ritorno che compongono il campione presentano un livello di istruzione basso
nella misura del 34,9% del totale mentre quelli che hanno un titolo di studio superiore o
universitario sono quasi la metà (47,9%). Sembra quindi che i migranti delle regioni prese in
considerazione dalla ricerca, che sono relativamente giovani, abbiamo avuto maggiori
opportunità di formazione rispetto ai primi flussi migratori in uscita dal Marocco composti
prevalentemente da persone con un livello di istruzione molto basso. In effetti i migranti
sembrerebbero essere più istruiti rispetto al totale della popolazione: secondo i dati del
censimento del 1994 a Béni Mellal, il capoluogo della regione, gli analfabeti risultavano
essere il 37,3% della popolazione, con un tasso netto di scolarizzazione pari all’83,8%.
L’esperienza migratoria sembra avere un certo effetto sul miglioramento del capitale
umano: il 13,9% del campione è costituito da soggetti che entrano nel mondo dell’istruzione
come studenti subito dopo essere arrivati nel paese di destinazione, mentre questa percentuale
si assottiglia al 4,5% al momento del ritorno in patria. Il dato interessante è che ben il 65,8%
dei migranti che hanno fatto un percorso di studio nel paese ospitante lo hanno portato a
termine ottenendo un diploma di livello superiore rispetto a quello di cui erano in possesso.
Tra questi ben il 25,6% ha conseguito una laurea e il 35,9% ha conseguito un dottorato di
ricerca. La ricerca mette quindi in luce che i migranti di ritorno hanno a disposizione un
ampio capitale umano che può essere sfruttato a favore della collettività del paese di origine.
A fronte di ciò sono pochi (16,1%) coloro che hanno beneficiato di corsi di formazione
professionale nel paese di destinazione e ancora meno (4,2%) coloro che ne hanno usufruito
in Marocco dopo il rientro. Da questo punto di vista Chiguer et al. (2006a) mettono in luce la
situazione carente di Tadla Azilal che, su 16 regioni, si colloca in 12° posizione dal punto di
vista delle attività di formazione professionale che sono quasi del tutto concentrate a Béni
Mellal.
Prima della partenza i migranti di ritorno, delle regioni prese in considerazione dalla
ricerca, presentano una situazione economico-finanziaria abbastanza buona: più del 50% ha
una situazione media e circa il 17% presenta una situazione buona o molto buona. A fronte di
questo, circa un quarto degli intervistati si trovava in una situazione precaria dal punto di vista
economico. Inoltre il 46% degli intervistati possedeva degli appezzamenti di terreno prima
della partenza (il 43% dei quali è costituito da migranti che ritornano in modo forzoso). Il dato
si spiega sia per il contesto prevalentemente agricolo delle regioni prese in considerazione
45
dalla ricerca MIREM, come Tadla Azilal che è la regione più rappresentata nel campione.
Viene messo in luce la spiccata tendenza all’opzione migratoria da parte dei proprietari
terrieri a causa della siccità ricorrente nella zona che ha messo in difficoltà i raccolti anche
perché, nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di terreni non irrigati.
I dati della tabella 14 mostrano che la situazione finanziaria sembra migliorata, grazie
alla migrazione, per il 75% dei rispondenti a fronte di un 20% per cui tale situazione è rimasta
la stessa o è addirittura peggiorata. Questi dati sembrano in controtendenza con i risultati della
ricerca di ETF secondo i quali il 74% dei migranti di ritorno si troverebbe in una situazione
economica pessima e, verosimilmente, quantomeno non hanno migliorato le loro condizioni
economiche precedenti alla migrazione. È ipotizzabile che lo squilibrio tra questi dati sia
imputabile alla crisi economica: essendo che la ricerca MIREM è stata condotta prima
dell’esplosione di quest’ultima i migranti di ritorno indagati non hanno subito nel paese di
destinazione le restrizioni economiche che sicuramente si sono trovati ad affrontare i migranti
rientrati in Marocco negli anni successivi.
Tabella 14: Valutazione del miglioramento della situazione economica
da parte dei migranti di ritorno nel paese di destinazione
rispetto alla propria situazione economica prima dell’emigrazione.
Fonte: MIREM (2008)
Situazione economica
nel paese di
destinazione
Molto migliore
Migliore
Uguale
Peggiorata
Nessuna opinione
Nessuna risposta
Totale
Ritorno volontario
Ritorno forzato
Totale
37,2
39,0
14,7
2,6
3,5
3,0
100,0
13,1
60,6
20,2
3,0
2,0
1,0
100,0
30,0
45,5
16,4
2,7
3,0
2,4
100,0
Inoltre dalla ricerca risulta anche una più alta propensione all’invio delle rimesse: solo
il 23% degli intervistati non ha inviato soldi a casa durante la permanenza all’estero a fronte
del 37% dei partecipanti alla ricerca di ETF. Circa il 38% di coloro che hanno inviato rimesse
lo facevano almeno una volta ogni 3 mesi mentre il 19% inviava soldi in modo irregolare. Se
coloro che sono stati obbligati a rientrare erano più irregolari nell’invio del denaro a casa
rispetto a chi ha scelto di ritornare in Marocco (rispettivamente 27,3% e 16%), tra coloro che
non hanno mai inviato rimesse sono di più i migranti che sono spontaneamente ritornati
(rispettivamente 24,2% e 20,2%). L’importo mediano delle rimesse annuali si colloca nella
fascia tra i 500 e i 1.000 euro, con un 28,3% che invia più di 1.000 euro l’anno e un 16,5%
che rimette meno di 200 euro annui. Per quanto riguarda gli usi delle rimesse, l’80% degli
intervistati dichiara che sono state impiegate per provvedere ai consumi famigliari, il 25% per
46
la costruzione della propria abitazione, il 24% per l’istruzione dei figli. Inoltre il 14% ha
dichiarato di avere investito le rimesse per l’avvio di un progetto imprenditoriale.
Tabella 15: Ammontare delle rimesse annuali inviate dai migranti di ritorno (%)
Fonte: MIREM (2008)
Ammontare delle
rimesse annuali
inviate
Meno di 200 euro
Da 200 a 500 euro
Da 501 a 1.000 euro
Più di 1.000 euro
Nessuna risposta
Totale
Ritorno volontario
Ritorno forzato
Totale
14,9
22,3
21,7
29,7
11,4
100,0
20,3
31,6
17,7
25,3
5,1
100,0
16,5
25,2
20,5
28,3
9,4
100,0
Tabella 16: Paesi di destinazione dei migranti di ritorno (%)
Fonte: MIREM (2008)
Paese di destinazione
Francia
Paesi Bassi
Germania
Italia
Regno Unito
Grecia
Spagna
Belgio
Svezia
Finlandia
Svizzera
Mauritania
Canada
Nessuna risposta
Totale
Ritorno volontario
36,8
1,3
3,0
38,1
1,0
0,4
4,3
1,7
0,4
0,4
1,3
0,4
2,2
7,8
100,0
Ritorno forzato
9,1
1,0
5,1
54,2
0
0
16,2
2,0
1,0
0
1,0
0
0
10,1
100,0
Totale
28,5
1,2
3,6
43
0,9
0,3
7,9
1,8
0,6
0,3
1,2
0,3
1,5
8,5
100,0
Il principale paese di residenza durante la migrazione è l’Italia (43%) seguita da
Francia (28,5%) e Spagna (7,5%). Il dato evidenzia l’esistenza di una catena migratoria tra
l’Italia e le regioni centrali del Marocco prese in considerazione dalla ricerca MIREM e in
modo particolare con Tadla Azilal. La scelta del paese di destinazione viene infatti motivata
dalla presenza di parenti e conoscenti oltre che dalla facilità di accesso e dalle possibilità di
lavoro. Più della metà degli intervistati che sono rientrati in patria forzatamente (54,5%) e il
38,1% di chi ritorna spontaneamente arriva dall’Italia.
Per analizzare il livello di reintegrazione nel contesto marocchino la ricerca MIREM
analizza i dati relativi alla situazione lavorativa, finanziaria e l’andamento degli investimenti
dei migranti di ritorno.
47
I dati relativi all’integrazione lavorativa sono ambigui. Infatti confrontando i dati
relativi alla situazione occupazionale prima della partenza con quelli relativi alla situazione al
momento della ricerca, contenuti nella tabella 17, si nota che le persone con un’occupazione
stabile sono aumentate di 10 punti percentuali (si passa dall’8,8% al 18,5%). Ma l’incremento
più alto lo si trova proprio nella categoria degli imprenditori: prima della partenza quasi
nessuno degli intervistati apparteneva a questa categoria mentre al momento dell’intervista gli
imprenditori ammontano al 13,3% del totale del campione. Tuttavia questi effetti positivi
sono smorzati dall’incremento dei disoccupati che prima della partenza erano il 9,1% mentre
dopo il ritorno sono il 14,2%. In realtà i disoccupati sono prevalentemente i migranti obbligati
a rientrare che sono aumentati nel tempo conseguentemente al cambiamento delle politiche
migratorie in paesi come l’Italia che, come abbiamo visto, costituisce la principale
destinazione dei migranti delle regioni indagate.
Tabella 17: Confronto dello status d’impiego dei migranti di ritorno
prima della partenza e dopo il ritorno (%)
Fonte: MIREM (2008)
Status d’impiego
Impiego stabile
Impiego occasionale
Impiego part time
Lavoratore stagionale
Imprenditore
Lavoratore autonomo
Lavoratore autonomo
(sett. informale)
Lavoratore domestico
Disoccupato
Studente
Casalinga
Pensionato
Altro
Nessuna risposta
Totale
Prima della
partenza
8,8
6,4
2,4
9,1
0,6
9,1
4,8
Dopo il
ritorno
18,5
2,1
8,2
15,2
13,3
3,3
0,6
5,2
9,1
26,7
0,9
0,3
9,1
7,6
100,0
0,6
14,2
3
5,5
1,9
4,5
0
100,0
Tabella 18: Situazione economica dei migranti di ritorno dopo il rientro in Marocco in
rapporto alla situazione economica nel paese di emigrazione (%)
Fonte: MIREM (2008)
Situazione economica
in Marocco dopo il
ritorno
Molto migliore
Migliore
Ritorno volontario
Ritorno forzato
Totale
17,7
30,7
5,1
16,2
13,9
26,4
48
Uguale
Peggiorata
Nessuna opinione
Totale
25,5
20,3
4,8
100,0
20,2
54,5
3,0
100,0
23,9
30,6
4,2
100,0
Per quanto riguarda la situazione finanziaria dei migranti di ritorno la ricerca mette in
evidenza una situazione di luci e ombre. Infatti circa il 40% di essi dichiara che la propria
situazione è migliorata, o addirittura molto migliorata rispetto alla situazione precedente alla
partenza. A fianco a questo però per il 23,9% la situazione è rimasta uguale e per ben il 30,6%
è peggiorata. Come è intuibile circa la metà di chi ha scelto di tornare in patria dichiara che la
propria situazione economica è almeno migliorata, tuttavia per circa un quinto di essi la
situazione sembra essere peggiorata. Invece nel caso dei migranti tornati in maniera forzata la
situazione economica è peggiorata nel 54,5% dei casi a fronte di 21% per cui è invece
migliorata.
Le condizioni di vita in Marocco e il riadattamento al contesto non pare così semplice
per chi rientra, e ancora di più per chi non ha scelto di ritornare, anche a causa delle precarie
condizione del mercato del lavoro in Marocco. Infatti, se quando sono rientranti circa il 44%
aveva l’intenzione di rimanere per sempre in Marocco, al momento dell’intervista pensa di riemigrare circa il 40% del totale degli intervistati (di cui il 53% dei ritornati in modo
obbligato). Colpisce inoltre il dato relativo a chi è rientrato per una propria scelta: se più della
metà pensava di rientrare definitivamente al momento dell’intervista è solo il 19% che pensa
di restare a vivere in Marocco. La difficoltà percepita più diffusa riguardo alla vita nel
contesto marocchino è rappresentata dal sistema sanitario il cui livello di funzionamento è
molto basso e a cui si fa fatica ad adattarsi, soprattutto se ci è abituati ai sistemi di welfare dei
paesi europei. Proprio questa, a fianco alle difficoltà lavorative, rappresenta infatti la
principale motivazione a ri-emigrare.
2.2.1 Gli investimenti dei migranti di ritorno
Come è stato già messo in evidenza nel paragrafo precedente, il 14% dei migranti di ritorno
inclusi nel campione ha destinato almeno parte delle rimesse all’investimento in un progetto
imprenditoriale. Da questo punto di vista, molto rilevante ai fini di questo rapporto, è da
osservare che circa il 43% dei migranti che hanno realizzato degli investimenti, ne ha avviato
almeno uno, con una prevalenza di coloro che hanno scelto di ritornare rispetto a chi è stato
obbligato. Infatti circa la metà degli appartenenti alla prima categoria ha avviato almeno un
progetto di investimento mentre tra gli appartenenti alla seconda sono solo poco più di un
quinto a farlo.
49
Gli investimenti imprenditoriali sono tra le motivazioni principali che spingono i
migranti a ritornare in Marocco, ovviamente per coloro che scelgono di tornare 13. Infatti il
14,7% di questi ultimi torna per gestire il proprio giro di affari che già ha creato e che diventa
difficile seguire a distanza; un altro 12,7% sceglie di tornare per creare un’impresa che quindi
richiede la propria presenza fisica in loco. Infatti il contesto geografico di Tadla Azilal si
presta molto allo sviluppo di attività artigianali e industriali.
La ricerca MIREM mette in luce come la migrazione eserciti un impulso sul settore
imprenditoriale. Come si può osservare dalla tabella 19, prima di emigrare solo lo 0,6% degli
intervistati faceva l’imprenditore. Nel momento in cui rientrano in patria il 3% di essi è
imprenditore nel paese di destinazione. Questo valore subisce un’improvvisa impennata nel
momento successivo al ritorno raggiungendo il valore dell’11,5% per poi raggiungere un
valore pari al 13,3% al momento dell’intervista (massimo 10 anni dal rientro). All’indomani
del rientro in Marocco gli imprenditori sono quasi esclusivamente persone che hanno deciso
di rientrare e non che hanno subito un rientro forzoso (16% a fronte dell’1%). È interessante
vedere che, nel momento della ricerca, gli imprenditori rientrati volontariamente sono
diminuiti (14,7%) mentre gli imprenditori rientrati in modo coatto sono aumentati in modo
esponenziale (10,1%). È intuibile quindi che coloro che hanno deciso liberamente di rientrare
in Marocco lo abbiano fatto in modo pianificato organizzando per tempo, attraverso risparmi
e investimenti, l’avvio di un’impresa a differenza dei migranti che sono costretti a rientrare in
modo forzoso e quindi improvviso che non hanno avuto il tempo per farlo. Gubert e Nordman
(2008) identificano le cause di questo impulso nei risparmio accumulato grazie al lavoro
all’estero, che ovvia alla scarsità di risorse economiche nel contesto marocchino, e
nell’esperienza di lavoro acquisita nel paese di emigrazione grazie alla quale si acquisiscono
nuove competenze ma anche nuove idee.
Tabella 19: Quota (%) di imprenditori tra i migranti di ritorno nelle diverse fasi del
percorso migratorio e secondo la modalità di ritorno
Fonte: MIREM (2008)
Prima di emigrare
Arrivo nel paese di
destinazione
Partenza nel paese di
destinazione
Ritorno in Marocco
Ritorno volontario
0,9
1,7
Ritorno forzato
0
1,0
Totale
0,6
1,5
3,9
1,0
3,0
16,0
1,0
11,5
Le principali cause del rientro per coloro che ritornano forzatamente sono le seguenti: ordine di lasciare il
paese (57%), problemi fiscali e amministrativi (20%), problemi famigliari (17%), mancato rinnovo del permesso
di soggiorno (16%), problemi di salute (8%).
13
50
Entro 10 anni dal
ritorno in Marocco
(momento della
ricerca)
14,7
10,1
13,3
Dall’analisi dei dati emerge che quasi la metà (48,9%) dei migranti che hanno avviato delle
imprese in Marocco erano dei dipendenti nel paese di destinazione, a fronte di un 10,9% che
faceva già l’imprenditore anche all’estero e di un 14,9% di lavoratori autonomi. Mentre circa
il 54% dei lavoratori autonomi lo era anche nel paese di emigrazione.
Come mostra la tabella 20 le risorse necessarie per gli investimenti derivano nell’80%
circa dei casi da risparmi propri dei migranti di ritorno. Solo il 16% di essi ricorre a prestiti
bancari il che è dovuto sia a motivazioni di tipo religioso (il prestito a interesse contraddice
alcuni principi dell’Islam) sia anche a un certo scetticismo delle banche rispetto agli
investimenti degli ex migranti (Cassarino 2008). Tale situazione induce questi ultimi a
chiedere dei prestiti ai membri della propria famiglia, a cui tuttavia fanno ricorso in modo
molto maggiore i migranti ritornati forzatamente (22%) rispetto agli altri (6%).
Tabella 20: Modalità di finanziamento degli investimenti dei migranti di ritorno (%).
Fonte: MIREM (2008)
Tipo di finanziamento
Solo risparmi propri
Risparmi e prestito bancario
Risparmi e altre risorse informali
Solo prestito bancario
Solo prestito dei famigliari
Prestito bancario e altre risorse informali
Insieme di tutte le risorse informali
Totale
%
68,1
2,9
11,6
9,4
1,4
3,6
2,9
100
Se il 19% dei migranti di ritorno non ha mai pensato ad investire, circa il 12% è stato
dissuaso dal farlo per le difficoltà con cui si è scontrato. Queste ultime vengono identificate
nella mancanza di capitale, nei vincoli amministrativi, nella forte concorrenza e nella
mancanza di esperienza e di formazione. Se i primi due ostacoli riguardano principalmente i
migranti obbligati a ritornare, il terzo riguarda in misura uguale anche chi sceglie di tornare in
Marocco. Infatti la costituzione di un’impresa richiede una certa esperienza, preparazione e
formazione che i migranti di ritorno sentono di non avere a sufficienza per gestire la
complessità dei problemi connessi a un’azienda.
Invece le principali motivazioni che vengono indicate tra chi non ha avviato nessun
tipo di investimento sono: la mancanza di un capitale sufficiente e i vincoli burocratici e
amministrativi in Marocco che rendono difficili gli investimenti. Inoltre la propensione ad
investire viene anche limitata dall’adozione di uno stile di vita consumistico, dovuto alla
51
buona integrazione nel contesto di destinazione, che conseguentemente limita le capacità di
risparmio e quindi di investimento (Cassarino 2008).
Come metteranno in evidenza anche i casi studio che verranno esaminati in questo
rapporto, il supporto delle istituzioni a questi progetti di investimento è molto basso in quanto
solo l’7,8% dei migranti di ritorno ne ha usufruito. Tra le misure che i migranti di ritorno
indicano come necessarie per stimolare gli investimenti in patria spiccano: la facilitazione
dell’accesso alla terra, la semplificazione delle procedure amministrative (in quanto poterebbe
anche a ridurre la corruzione) e la riduzione della pressione fiscale.
La tabella 21 mette in luce che i migranti di ritorno che diventano imprenditori
presentano un livello di educazione più alto (poco meno del 50% ha un diploma di istruzione
superiore) rispetto al totale del campione e soprattutto rispetto alla categoria dei lavoratori
autonomi, più della metà dei quali (56%) ha un livello di educazione basso o molto basso.
Tabella 21: Livello di studio dei migranti di ritorno imprenditori
rispetto ai non imprenditori (%)
Fonte: MIREM (2008)
Livello di studio
dopo il ritorno
Nessuno
Pre-scolare
Primario
Secondario I grado
Secondario II grado
Superiore
Altro
Totale
Non imprenditori
Lavoratori autonomi
Imprenditori
9,5
4,7
12,1
13,4
16,8
27,6
11,2
100,0
20,8
4,2
31,3
2,1
12,5
20,8
8,3
100,0
0
0
12,2
2
22,4
46,9
12,2
100,0
Prendendo in considerazione il paese di emigrazione coloro che sono emigrati in Italia
manifestano una maggiore tendenza a diventare lavoratori autonomi (64,6%) e imprenditori
(34%) una volta ritornati in Marocco, rispetto a chi è vissuto in altri paesi. Gubert e Nordman
(2008) imputano ciò alle opportunità lavorative che i migranti marocchini incontrano in Italia,
paese in cui tendono a lavorare come dipendenti in modo minore che in altri e che quindi
stimola, più o meno direttamente, l’avvio di esperienze lavorative autonome e imprenditoriali.
In questo modo vengono acquisite nuove abilità gestionali da trasferire in Marocco al
momento del rientro che quindi permettono di portare avanti il lavoro anche in contesto
diverso. Un’ulteriore motivazione di questa tendenza di chi è emigrato in Italia ci sembra
essere rappresentata dall’acquisizione di un’abitudine a lavorare in modo indipendente che
difficilmente porterà le persone a riadattarsi ad una condizione lavorativa in cui si debba
dipendere da un superiore.
52
Tabella 22: Paesi di destinazione dei migranti di ritorno imprenditori
e lavoratori autonomi rispetto ai non imprenditori (%)
Fonte: MIREM (2008)
Paese di destinazione
Francia
Italia
Spagna
Germania
Altri Europa
Medio Oriente e
Nord Africa
Nord America
Totale
Non imprenditori
29,7
40,5
9,9
4,3
6,0
0,4
Lavoratori autonomi
14,6
64,6
4,2
2,1
6,3
0
Imprenditori
36,0
34,0
2,0
2,0
8,0
0
0,9
100,0
0
100,0
6,0
100,0
I settori dove si concentrano gli investimenti dei marocchini di ritorno sono il
commercio (48,5%) seguito da agricoltura (24,6%), edilizia (22,7%) e dal mercato
immobiliare (15,2%). I migranti investono principalmente nella costruzione di case,
nell’acquisto di terreni e in piccole attività commerciali come panetterie, negozi di pezzi di
ricambio, ecc. (Chiguer et al. 2006b).
I dati della tabella 23 evidenziano che le imprese che vengono create sono piuttosto
piccole: in quasi i tre quarti dei casi hanno meno di 10 dipendenti mentre meno del 3% hanno
più di 50 lavoratori assunti.
Tabella 23: Imprese create dai migranti di ritorno
suddivise per numero di dipendenti (%)
Fonte: MIREM (2008)
Numero di dipendenti
Meno di 10
Tra 11 e 50
Più di 50
Nessuna risposta
Totale
%
73,8
14,2
2,8
9,2
100
In generale la ricerca “Il migrante marocchino in Italia come agente di co-sviluppo e
di innovazione nelle comunità di origine”, condotta da AMERM, COOPI, El Sur e Punto.Sud
tra il 2003 e il 2005, mette in luce un’ampia disponibilità da parte dei piccoli imprenditori di
Béni Mellal a creare relazioni commerciali con i marocchini residenti in Italia principalmente
al fine di espandere il proprio volume di affari. Anche se la ricerca non individua delle
modalità concrete per poter porre in essere tali collaborazioni transnazionali, viene messo in
luce come attraverso la migrazione non vengano solo finanziate le piccole attività produttive
autonome ma vengano anche diffuse delle innovazioni nei processi produttivi. Se attraverso i
soldi inviati dall’Italia viene finanziato e sostenuto l’avvio di nuove realtà produttive gestite
da non migranti, l’innovazione dei processi produttivi viene apportata dai migranti di ritorno
53
che mettono a frutto le specializzazioni tecniche apprese in Italia sia nello stesso settore un cui
erano occupato prima di emigrare sia in settori lavorativi nuovi che hanno arricchito il
capitale umano dei migranti.
Tabella 23: Progetti, valore e numero di posti di lavoro
creati nei diversi settori di investimento dal 2003 al 2012 nella regione di Tadla Azilal
Fonte: CRI (2013)
Settore
Industria
Edilizia e lavori
pubblici
Energia e
minerario
Turismo
Commercio
Servizi
Agricoltura
Numero progetti dal Valore totale degli
2003 al 2012
investimenti dal
2003 al 2012
(milioni di dirham)
140
15.439,64
270
797,67
Numero totale
occupazione creata
dal 2003 al 2013
296
655,66
2.495
83
9
90
6
974,98
586,68
1.123,38
140,96
2.683
1.811
6.670
515
9.046
19.270
Tuttavia tale ricerca mette in luce anche come spesso questo capitale umano venga in
parte sprecato in quanto i migranti di ritorno orientano i propri investimenti in attività
produttive che considerano più sicure come i caffè, gli internet point, i negozi per lo sviluppo
delle fotografie e non invece in quei settori che sono considerati come più promettenti, date le
caratteristiche della regione, e che si presterebbero alla creazione di sinergie con l’Italia come
i settori della trasformazione dei prodotti agricoli e il turismo di montagna (Chinguer et al.
2006b). In effetti i dati forniti dal Centre Régional d’Investissements (CRI) di Tadla Azilal,
illustrati nella tabella 24, evidenziano come proprio questi due ultimi settori per la quantità e
il valore degli investimenti. I dati sono riferiti al totale degli investimenti che vengono
effettuati rispetto ai quali uno dei responsabili del CRI, intervistato in Marocco (Int. 5 MA),
stima siano da imputare ai migranti o ai migranti di ritorno in una misura non superiore al 2%
per quanto riguarda i progetti imprenditoriali e al 6% per quanto concerne l’avvio di piccole
unità produttive autonome. C’è quindi una certa difficoltà da parte dei migranti di ritorno a
Tadla Azilal a farsi promotori dello sviluppo imprenditoriale anche a causa da un lato del
basso livello di istruzione e dall’altro del lavoro dequalificato a cui hanno accesso in Italia che
non creano una cultura imprenditoriale. Serve quindi che le istituzioni locali si adoperino per
creare le condizioni che permettano di valorizzare al meglio le competenze acquisite durante
la migrazione.
54
CAPITOLO TERZO
ESPERIENZE DI IMPRESA TRA LOMBARDIA E TADLA AZILAL
3.1 Le teorie sulla migrazione di ritorno e i casi studio
Cassarino (2004) identifica cinque teorie attraverso le quali può essere spiegato il fenomeno
della migrazione di ritorno. La prima fa riferimento agli economisti neo-classici: attraverso la
migrazione le persone cercano di migliorare le proprie condizioni di vita per cui chi ci riesce
rimane all’estero mentre chi ritorna in patria è solo perché ha fallito in questo progetto. Invece
secondo i teorici della New Economics of Labour Migration (NELM), che concepiscono
l’opzione migratoria fortemente influenzata dalle dinamiche famigliari, il ritorno fa parte della
strategia di sopravvivenza del nucleo famigliare e avviene nel momento in cui il migrante ha
raggiunto i propri obiettivi all’estero. Una terza visione è quella strutturalista: la decisione di
ritornare nel paese di origine viene presa solo attraverso informazioni parziali di cui il
migrante dispone. Una volta in patria egli si scontra con il cotesto socio-culturale locale nel
quale si deve reintegrare senza la possibilità di apportarvi grandi cambiamenti. Quando questo
non avviene viene presa in considerazione l’idea di riemigrare. Nello schema di Cassarino il
transnazionalismo rappresenta un quarto punto di vista secondo il quale la migrazione di
ritorno avrebbe luogo nel momento in cui il migrante ha accumulato sufficienti risorse
finanziarie e, al tempo stesso, grazie ai frequenti contatti con la madrepatria, ha acquisito
informazioni, ha preparato adeguatamente il rientro assicurandosi di mantenere i contatti con
il contesto di emigrazione. Infine l’autore individua nei legami sociali cross-border un’ultima
spiegazione: il mantenimento dei legami economici e sociali con il paese di origine permette
ai migranti di ottenere informazioni e di mobilitare risorse che gli permettono di preparare
adeguatamente il proprio ritorno. In questo senso il ritorno viene visto come una delle prime
fasi del completamento del progetto migratorio che, quindi, coinvolge sia i migranti sia i non
migranti.
Nei casi studio esaminati in questo capitolo si possono trovare elementi di ognuna
delle teorie esposte, sintomo che sono diversi i percorsi e le motivazioni che spingono i
migranti marocchini a ritornare in patria. Tuttavia non convince molto la differenziazione
proposta di Cassarino (ibid.) tra transnazionalismo e legami sociali cross border in quanto i
secondi sembrano essere già compresi nel primo. A questo proposito Levitt e Glick Schiller
(2004) parlano di «campo sociale transnazionale» riferendosi all’insieme delle relazioni
sociali tramite le quali vengono scambiate idee, pratiche e risorse attraverso i confini
nazionali. Inoltre, Boccagni (2009) evidenzia come le reti transnazionali si esplichino sia
attraverso le relazioni sociali sia attraverso i comportamenti, in quanto entrambi
contribuiscono a mantenere saldo il rapporto tra le due sponde della migrazione, nonché tra
migranti e non migranti. I casi studio esaminati in questa ricerca evidenziano come tale
55
orizzonte bifocale (Guarnizo 1997) non venga meno nel momento in cui i migranti ritornano
in patria. Anzi, ciò potenzialmente apre nuove opportunità di successo per gli investimenti
imprenditoriali dei migranti.
La ricerca si è focalizzata sull’analisi di alcuni casi studio riguardanti esperienze
imprenditoriali di migranti che tuttora vivono in Lombardia oppure che vi hanno vissuto e
sono rientrati nella regione di Tadla Azilal. I casi studio riguardano le esperienze di tre
imprese che sono state create nella regione marocchina da migranti (Vitalité Café) e da
migranti di ritorno (Atmani Lighting Led e Sté Compix Linijara), un’idea imprenditoriale in
fase di realizzazione che prevede l’avvio di un frantoio industriale da parte di un capofamiglia
in collaborazione con i famigliari in migrazione in Italia e Spagna e un progetto, abbandonato
sul nascere, di avviare un Bed and Breakfast a Béni Mellal. Inoltre sono state prese in
considerazione le realtà del Consorzio Iride e del Consorzio MaItal in quanto nate dal tessuto
imprenditoriale lombardo anche se, per il momento, non svolgono attività a Tadla Azilal. Il
primo è formato da un gruppo di piccoli imprenditori lombardi mentre il secondo è formato da
professionisti e imprenditori italiani e marocchini. Entrambi stanno cercando di approfittare
delle opportunità di crescita offerte dal mercato marocchino.
In questo capitolo verranno descritti i casi studio analizzando le attività
imprenditoriali, il percorso migratorio degli imprenditori, i fattori che hanno stimolato l’idea
imprenditoriale, i rapporti con le istituzioni in Italia e in Marocco e le problematiche
incontrate nella conduzione dell’impresa.
Nel corso della ricerca è stato possibile anche conoscere la realtà dell’Associazione
Jamaia Usrat Al Muhajir (Associazione Famiglia del Migrante) formata da un gruppo di
migranti di ritorno originari di Fkih Ben Salah, cittadina della regione di Tadla Azilal con un
forte legame migratorio con l’Italia. L’incontro con i membri dell’associazione è stato
particolarmente utile per comprendere il percorso di reintegrazione dei migranti che, a causa
della difficile condizione economica italiana, sono costretti a rientrare nel contesto di origine.
3.2 Le attività di impresa
I casi studio confermano i dati del capitolo precedente, relativi alla situazione generale del
tessuto imprenditoriale di Tadla Azilal, dominato da imprese medio-piccole. I casi studiati
riguardano il settore commerciale, artigianale, quello della trasformazione dei prodotti
agricoli e quello turistico.
Vitalité Café è una piccola impresa di torrefazione, distribuzione e vendita di caffè alle
attività commerciali. Il caffè viene acquistato dall’Indonesia, dal Togo e dalla Guinea tramite
un importatore marocchino di Casablanca, dove viene eseguita la torrefazione del prodotto
grezzo che quindi viene imbustato e imballato. Le confezioni vengono poi spedite a Béni
56
Mellal e da qui vengono distribuite ai clienti, nelle zone di Tadla Azilal, Meknès e Marrakech.
Ad oggi l’impresa è gestita in concreto dal padre e dal fratello dell’ideatore, Abdelilah
Ouabich, che abitano da sempre in Marocco mentre lui supervisiona le attività dall’Italia.
Attualmente questa piccola attività imprenditoriale dà lavoro a un operatore che è
incaricato della vendita del caffè ai clienti. L’impresa corrisponde al venditore una cifra
prestabilita per ogni chilo di caffè che riesce a vendere (circa 100 kg alla settimana). Questa
forma di pagamento viene vista come un meccanismo necessario per incoraggiare il
dipendente a vendere, il quale deve provvedere da sé alla gestione dell’auto che è di sua
proprietà.
L’attività di Vitalité Cafè è oggi diversa rispetto a quella per cui l’impresa è stata
creata nel 2012. Il progetto iniziale prevedeva, infatti, la costituzione di un’impresa di importexport dall’Italia di caffè in grani, caffè in cialde e macchinette per il caffè in cialde, settore in
cui il migrante ideatore dell’impresa vantava una buona expertise. A causa della crisi
economica, il giovane migrante decide, dopo circa una ventina d’anni passati in Italia, di
rientrare in Marocco dove prevede di ristabilirsi proprio sfruttando le competenze che ha
appreso nel contesto lombardo. Per questo motivo passa circa un anno in Marocco per capire
se questo tipo di prodotto possa trovare un mercato di sbocco anche nel suo paese di origine,
facendo uno studio di mercato.
«Ho fatto lo studio di mercato con ricerche di mercato e
quant’altro. Poi dopo un anno, quando ho avuto il materiale
necessario per convincermi a fare questo passo l’ho fatto. Quindi ho
creato legalmente un’azienda per l’import-export, sono venuto qua in
Italia e ho fatto il mio primo ordine di caffè che fu di una
tonnellata di caffè in grani, 20 macchinette e 500 capsule. Era un
primo ordine comunque per partire.» (Int.2 IT)
Il migrante decide di investire questo anno di vita spinto dalla possibilità concreta di poter
ottenere un finanziamento attraverso il programma statale “Marocains du Monde” (MDM), di
cui si parlerà nei paragrafi successivi, rivolto ai migranti di ritorno e ai giovani in modo
particolare. Tuttavia questo finanziamento non arriverà mai e per questo motivo il padre mette
a disposizione delle risorse personali contraendo anche dei debiti. Inoltre, a causa dell’alto
livello di tassazione che viene imposto alla dogana, più o meno legalmente, ai prodotti
importati dall’Italia l’impresa è stata costretta a orientarsi verso la vendita di caffè proveniente
da altri paesi in via di sviluppo, e per questo tassati meno, facendo così cessare qualsiasi
forma di legame commerciale con l’Italia.
In questo modo l’attività incomincia inizialmente dando lavoro a 3 venditori. Tuttavia
la mancanza della liquidità necessaria per fare dei grossi ordini, che permettano di contenere i
costi dei singoli quantitativi venduti, costringono al momento l’impresa ad un livello minimo
di attività che permette di dare lavoro a un solo venditore e di avere un profitto che garantisce
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la mera sopravvivenza. Esso infatti viene del tutto impiegato per colmare il debito contratto
senza nessun’altra forma di guadagno. Poiché l’attività non garantiva un guadagno
sufficientemente sicuro il migrante-imprenditore ha quindi deciso di ri-emigrare in Italia.
Nonostante le difficoltà si è comunque deciso di portare avanti il progetto
imprenditoriale sia per un motivo di orgoglio sia in quanto si vedono le reali opportunità di
questo mercato. Queste motivazioni sono condivise sia dal migrante intervistato in Italia sia
dal padre che è stato intervistato in Marocco. Entrambi mettono in luce da un lato gli
apprezzamenti per la qualità della miscela che sarebbe richiesta da altri clienti ma che non si
riescono a soddisfare per una questione di mancanza di liquidità e dall’altro il desiderio di
essere appagati degli sforzi fatti. Inoltre c’è anche il sogno di poter replicare il tipo di
formazione sul campo ricevuta in Italia che ha permesso al migranti di fare il passaggio da
dipendente a imprenditore:
«Avevo in mente di creare una rete commerciale in modo tale da dare
la possibilità ai ragazzi di giù di diventare un domani dei
concessionari autonomi… avrebbero acquistato da me ad uno sconto
talmente elevato che avrebbero avuto la possibilità di venderlo in
autonomia. Avrei replicato lo stesso meccanismo che io avevo
imparato in Italia attraverso il mio lavoro.» (Int.2 IT)
La Atmani Lighting Led è una piccola impresa che sta muovendo i primi passi in
Marocco e che rappresenta l’esito del progetto di ritorno del suo fondatore, Salah Atmani, che
da pochi mesi si è ristabilito con la sua famiglia a Béni Mellal, sua città natale, dopo avere
vissuto in varie città d’Italia e in varie parti dell’Europa. L’impresa si occupa di sistemi di
illuminazione pubblica attraverso la tecnologia dei led che permettono di contenere di molto i
costi. In questo caso l’imprenditore, che aveva alle spalle una formazione di elettrotecnico
prima di emigrare, ha deciso di investire in un’ulteriore formazione in questo particolare
campo, dopo alcuni anni passati in Italia lavorando in altri settori. In questo modo è riuscito
ad inventare alcuni prodotti che prevede di brevettare a breve in Marocco e che produce in
proprio in un piccolo laboratorio, per il momento ubicato nella sua abitazione. L’impresa
mantiene un rapporto transnazionale con l’Italia in quanto la maggior parte dei singoli pezzi,
che compongono i prodotti finali e che vengono assemblati nel laboratorio, sono importati da
aziende di varie parti d’Italia e in modo particolare della Lombardia.
In Italia l’imprenditore aveva già cominciato a lavorare in proprio nel settore
dell’illuminazione elettrica con lavori di dimensioni medio-piccole. Tuttavia si rende conto di
avere le potenzialità per ottenere dei lavori più grandi ma, al tempo stesso, di non possedere
un capitale economico tale da poter anticipare le spese necessarie. In Marocco invece questo
non sembra costituire un problema altrettanto insormontabile. Il ritorno in patria appare quindi
da un lato come la conseguenza naturale per permettere alla propria attività produttiva di fare
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un salto di qualità e dall’altro il soddisfacimento del desiderio di ritornare a vivere in Marocco
e di fare crescere il proprio figlio in quella che viene percepita come la propria cultura.
«Era questione che il mio capitale è ancora piccolo e non c'era una
facilità di inserirti nella grande committenza perché serve un
grande capitale alle spalle. Per cui sono arrivato al punto che
quando facevo la ricerca avevo visto che andavano comunque bene con
clienti come i piccoli bar e ristoranti eccetera però adesso quel
passaggio lo ho superato e voglio arrivare a prendere dei progetti
più grossi. E quindi per prendere dei progetti grossi sono arrivato
qua. […] Quindi in Marocco c'è il terreno e il Marocco è un paese
sviluppato, siamo quasi a livello europeo e anche i prezzi vengono
accettati. Tutti i clienti che ho già fatto qui in Marocco accettano
il prezzo una volta che hanno visto il prodotto e quindi c'è una
certa facilità anche a vendere la facilità anche d'arrivare a
commissioni importanti.» (Int.7 MA)
L’imprenditore al momento sta lavorando da solo, avvalendosi saltuariamente
dell’aiuto di un collaboratore, prendendo piccoli lavori ma, al tempo stesso, sembra avere ben
chiaro i passi da seguire per ampliare la propria impresa: sviluppare una strategia di
marketing, sviluppare delle collaborazioni su progetti di ampie dimensioni in modo da
suddividere i costi e in questo modo espandere poco a poco le dimensioni dell’impresa
assumendo manodopera.
«Per i privati c'è un costo perché per vendere 10 pezzi non vale la
pena quindi cerco dei progetti dove si può vendere 1000 come aziende
e centri commerciali o per esempio ora c’è tanto lavoro per
l'illuminazione stradale… ho dei clienti anche a Casablanca 4-5
clienti anche là. […] L'idea c'è al momento di svilupparmi di fare
un'azienda di fare quest'attività di marketing però al momento non
ho tempo di farlo perché mi sto concentrando sullo sviluppo dei
prodotti. Io ho la modalità che se ci sono degli investitori, per
esempio ho un prodotto che potrebbe essere interessante per il
comune di Béni Mellal che avrebbe bisogno di 4/5000 pezzi, posso
fare entrare qualcuno che ha i soldi e poi collaboriamo solo per
quel progetto non per diventare soci… Sto pensando di fare così.
Così quando mi daranno il terreno posso incominciare a fare anche
una sorta di ufficio e di azienda vera e propria.» (Int.7 MA)
Sté Compix Linijara è una piccola impresa di falegnameria creata nel 2008 a Béni
Mellal e ormai consolidata. Il proprietario, Abdelaziz Rezki, ha vissuto circa vent’anni in
Italia, prima a Milano e successivamente si è stabilito in provincia di Ravenna dove tutt’ora
abitano i suoi figli maggiori. Questo imprenditore ha sempre lavorato come falegname fin da
prima di emigrare. In Italia ha avuto l’opportunità di crescere ulteriormente nella sua
professionalità lavorando dapprima come dipendente e successivamente gestendo in modo
autonomo un’attività. È subentrato infatti nella gestione di una falegnameria al momento del
pensionamento del proprietario che gli ha ceduto i macchinari. Tuttavia dopo qualche anno ha
incominciato a intravedere i primi segnali della crisi economica e, contemporaneamente, a
vedere delle possibilità per la sua attività in Marocco. Con molta lungimiranza ha chiuso
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l’impresa in Italia, ha trasferito i macchinari in Marocco e ha aperto la ditta a Béni Mellal,
ottenendo dal comune un lotto di terreno nella zona industriale14, che progressivamente ha
ampliato con investimenti graduali senza ricorrere a prestiti. In questo modo l’impresa si è
affermata nel contesto locale e oggi dà lavoro a quattro operai e a una segretaria. Il fatto di
avere costruito una fabbrica molto ampia, rispetto alle dimensioni dei laboratori di
falegnameria locali, e di fare dei prodotti diversi grazie all’uso dei macchinari italiani sono
elementi che gli hanno permesso di farsi un nome nella zona. Ma non solo: per affermarsi nel
mercato locale è stato importante anche il poter contare su un certo capitale sociale che gli ha
permesso di ottenere visibilità e al tempo stesso di risocializzarsi nei confronti del mercato
marocchino da cui ormai era assente da parecchi anni.
«Quando sono ritornato un amico, anche lui tornato dall’Italia,
stava facendo dei palazzi e quindi ho detto a lui che potevo
lavorare con lui, potevo fornire a lui il mio lavoro. Mi ha dato un
palazzo: quindi ho fatto loro le porte e le finestre ad un palazzo
che lui stava costruendo e quindi in questo modo ho cominciato ad
aprire gli occhi, mi sono fatto l'esperienza per vedere come
funzionava il lavoro in Marocco. Con lui è andato tutto bene perché
mi ha pagato e in questo modo mi sono anche fatto conoscere alla
gente si era fatto conoscere anche qual era il mio lavoro.» (Int.6
MA)
È interessante notare come le relazioni più importanti che permettono all’imprenditore di
muovere i primi passi nel mercato locale siano quelle con altri migranti di ritorno che hanno
avviato delle imprese. Questo caso mette in luce che le relazioni che si creano con altri
compagni di migrazione diventano talvolta centrali anche nel percorso di reintegrazione nel
contesto di origine.
A fronte di una consolidata stabilità questa impresa al momento lavora solo nel
mercato locale e non ha rapporti con il mercato italiano verso il quale però si vorrebbe aprire
senza sapere nel concreto come fare.
Ahmed El Mir è un professore di tecnologia in un liceo di Kourigba ed ha preso le
redini della sua famiglia allargata, originaria delle vicinanze di Béni Mellal, alla morte del
padre. I fratelli sono quasi tutti emigrati: ha quattro fratelli in Spagna e due sorelle in Italia.
Lui stesso ha alle spalle una breve esperienza di migrazione in Italia da dove è rientrato dopo
pochi mesi di permanenza a Roma, dove si è reso conto delle difficoltà economiche e
lavorative che avrebbe dovuto affrontare.
La responsabilità nei confronti dei fratelli viene sentita ancora di più nell’ultimo
periodo in cui la crisi economica peggiora le condizioni di vita del resto della famiglia
Il comune di Béni Mellal, al fine di stimolare lo sviluppo industriale della zona, ha creato da alcuni anni una
zona industriale all’interno della quale è stata effettuata una lottizzazione. Gli imprenditori, dando alcune
garanzie circa la solidità della propria azienda, possono ottenere i terreni ad un prezzo irrisorio di circa 10 euro il
metro quadro, con il vincolo però di non poter rivendere il terreno.
14
60
all’estero e rende sempre più concreta la necessità di un rientro in patria. Per questo occorre
pensare ad un’attività che permetta il mantenimento dei fratelli e delle loro famiglie una volta
rientrati. Vengono consultati tutti in fratelli all’estero e si decide di avviare un frantoio per la
produzione e vendita di olio e olive sott’olio. La famiglia possiede infatti 10 uliveti e al
momento il raccolto viene venduto a dei mulini locali con dei guadagni irrisori. Dato che in
zona non sono presenti frantoi di ampie dimensioni si decide di costruirne uno che sia in
grado non solo di lavorare il proprio raccolto ma anche di essere il recettore dei raccolti dei
piccoli coltivatori locali potendo in questo modo avviare un certo stock di produzione.
È stata quindi portata a termine la costruzione di un capannone di 500 metri quadri,
finanziata interamente con le rimesse dei migranti, su uno dei terreni di proprietà della
famiglia. Parallelamente a questo si sono avviati i contatti con un’industria di Bari per
l’acquisto di una macchina per la spremitura a freddo delle olive di cui sono in corso le
trattative. Si prevede di fare partire le attività nell’arco di un anno senza tuttavia avere una
chiara strategia in mente.
In tutto questo processo è stato fondamentale il ruolo del cognato, Khalil Youbi,
proprietario di una macelleria a Milano che sta gestendo i rapporti con la controparte italiana.
Ma non solo: la sua esperienza di piccolo commerciante in Italia e la conoscenza del mercato
gli permette di ipotizzare l’ampliamento della produzione del frantoio a prodotti che possono
trovare sbocchi commerciali anche in Italia. Anche se tuttavia non sembra avere molte
informazione sulle modalità e sui costi di produzione.
«Pensando questa cosa ci siamo chiesti perché dobbiamo fare solo
l'olio perché non facciamo anche le olive sott'olio e sott'aceto
eccetera dato che qui in Europa arriva la stessa merce… perché qui
in macelleria mi arrivano le olive confezionate ecc. e quindi
possiamo pensare di fare anche queste cose, con tutte le varie
regole, oltre a fare l'olio. E quindi ci stiamo informando, anche
perché nella zona del nord del Marocco ci sono già delle fabbriche e
delle piccole esperienze di persone che stanno già preparando olive
sott'olio e le stanno esportando. Abbiamo pensato di fare la stessa
cosa anche noi.» (Int.3 IT)
Fakhita Haouari, leader di un’associazione di donne migranti a Milano e con alle
spalle un tentativo di creare una beauty farm in provincia di Brescia, viene in contatto con il
progetto “In-formare: percorsi di co-sviluppo tra Italia e Marocco” ed è stimolata a scrivere
un business plan per l’avvio di un’attività a Tadla Azial, grazie anche alla possibilità di essere
affiancata dai partner del progetto costituiti da istituzioni e organizzazioni italiane e
marocchine. Scrive un business plan per l’apertura di un bed & breakfast a Béni Mellal e si
attiva con una serie di visite in loco per trovare un contesto abitativo idoneo. Tuttavia per una
serie di difficoltà dovute al contesto, alla scarsa conoscenza del settore e all’appoggio non
sempre costante di almeno alcuni degli attori, il progetto non è stato avviato.
61
Appaiono molto innovative inoltre le esperienze dei consorzi di imprese formate da
realtà produttive medio piccole in Lombardia che si mettono in rete per aprirsi alle
opportunità di investimento del mercato marocchino.
Una di queste è il Consorzio MaItal, formato da una ventina tra liberi professionisti e
imprenditori delle province di Brescia e Bergamo tra cui vi sono anche quattro migranti
marocchini. Il Consorzio si è formato nel 2012 e raggruppa realtà imprenditoriali che
lavorano principalmente nel settore dell’estrazione delle materie prime e delle costruzioni ma
anche di realtà che lavorano nel campo dei servizi e in modo particolare dell’assistenza
sanitaria. Il consorzio è gestito da un presidente, un amministratore delegato, un consiglio di
amministrazione formato da sette persone e tre garanti tutti eletti dai soci del consorzio. La
realtà del consorzio MaItal nasce con lo scopo di creare delle sinergie, di condividere le
risorse e i rischi imprenditoriali tra imprese e liberi professionisti interessati ad investire in
Marocco.
Il consorzio viene creato su iniziativa di Muhammed Sghayr, molto attivo nel tessuto
sociale bresciano, che vanta alcuni contatti con funzionari politici e ministeriali in Marocco.
Grazie a questi viene a conoscenza delle diverse possibilità di investimento che si stanno
aprendo nel settore dei lavori pubblici in Marocco, soprattutto quelli connessi alla costruzione
delle autostrade e della linea di alta velocità su cui si sta investendo. Si mette quindi in
contatto con un imprenditore bresciano che lavora nel settore estrattivo e lo invita a fare un
primo viaggio di conoscenza in Marocco. Al loro ritorno viene messo in moto un processo di
allargamento di questo progetto ad altri soggetti che porterà alla creazione del consorzio. Esso
viene costituito formalmente grazie all’aiuto del Consolato generale di Milano che registra lo
statuto rendendolo quindi valido anche in Marocco. Questo fatto ha permesso di risparmiare
molto tempo per l’accreditamento del consorzio presso i diversi enti e ministeri marocchini.
Attualmente il consorzio lavora principalmente attraverso la partecipazione a gare di
appalto per l’affidamento di lavori pubblici attraverso un monitoraggio costante dei siti e dei
bollettini ufficiali dei ministeri. Al momento il consorzio sta gestendo una cava di
calcestruzzo vicino ad Agadir, è in corso il procedimento per ottenere l’autorizzazione di una
cava nei pressi di Rabat connessa ai lavori per la costruzione della linea dell’alta velocità e si
progetta di ottenere l’uso di un’ulteriore cava a Marrakech per l’estrazione di sabbia e ghiaia
per il recupero ambientale e la sistemazione delle sponde dei fiumi.
Poiché i soci, che pagano una quota di adesione al consorzio, si occupano di settori
diversi e non sono vincolati a partecipare a tutti progetti, è stata adottata una formula
organizzativa piuttosto elastica che prevede che ogni nuovo progetto venga esaminato dal
consiglio di amministrazione. Se viene approvato, i singoli soci possono poi scegliere di
parteciparvi o meno investendo in proprio ulteriori quote. Si forma quindi una sorta di gruppo
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di lavoro attorno ad ogni singolo progetto con una precisa suddivisione degli incarichi
all’interno di esso. A seconda del tipo di progetto può essere richiesto il trasferimento in loco
dei soci italiani e/o marocchini, o dei dipendenti dei soci, in una o più fasi delle attività per
periodi talvolta anche prolungati.
Il Consorzio Iride raggruppa invece 28 piccole imprese italiane quasi tutte della
Lombardia e tutte interessate ad ampliare i loro affari in Marocco. Differentemente dal caso
precedente, il Consorzio Iride raggruppa realtà produttive principalmente nel settore dei
servizi e presenta delle modalità organizzative diverse. Il consorzio infatti rappresenta una
realtà a supporto delle imprese garantendo loro delle possibilità di sostegno concreto
nell’approcciare il mercato marocchino. Questo supporto è rappresentato dalla presenza a
Casablanca di un ufficio di rappresentanza gestito da un funzionario marocchino, Hafid
Fajlane, con alle spalle una lunga esperienza di migrazione in Italia, che ha l’incarico di
mettere in contatto gli imprenditori italiani con possibili partner d’affari marocchini.
Quando uno dei soci è interessato a creare delle partnership in Marocco si rivolge al
funzionario in Marocco, il quale si attiva per individuare le imprese marocchine che operino
in quel determinato settore e che possano avere le caratteristiche strutturali per poter essere
considerate come dei partner potenziali. Vengono quindi contattate dal funzionario il quale
provvede a fissare un appuntamento con l’imprenditore italiano. Poiché su 10 appuntamenti
fissati solo 2-3 in media portano all’instaurazione di collaborazioni vere e proprie, cerca di
organizzare vari appuntamenti nell’arco di pochi giorni per rispondere alle esigenze di tempo
degli imprenditori italiani. Quindi comunica le date in Italia e organizza il soggiorno in loco
accompagnando gli imprenditori nei vari incontri e sopralluoghi e svolgendo un
importantissimo ruolo di interprete e mediatore culturale. Quindi, seguendo le indicazioni di
entrambi i partner, resta a disposizione ogni qualvolta gli imprenditori abbiano bisogno di un
aiuto nella traduzione o nel disbrigo di pratiche che non richiedano necessariamente la loro
presenza fisica.
«Per esempio nel caso di una ditta che si occupa di materiale di
sicurezza, il proprietario mi ha chiamato e mi ha detto che dalla
data X alla data y può venire in Marocco e mi ha chiesto di creargli
degli appuntamenti e quindi comincio a chiamare aziende, vado da
loro, spiego cosa faccio e cosa fanno loro e poi fisso degli
appuntamenti e magari nell’arco di 2 giorni fisso 4-5 appuntamenti.
Poi viene lui e io lo porto dalle aziende oppure vengono
direttamente qua perché qui abbiamo una sala di riunioni e quindi
sediamo al tavolo e si parla: cosa fate, quanti operai avete, ecc. e
poi da cosa nasce cosa.» (Int.1 MA)
Il reperimento delle aziende marocchine che possano rappresentare dei potenziali
partner per gli imprenditori italiani rappresenta il compito principale del rappresentante del
Consorzio Iride in Marocco. Le imprese marocchine vengono reperite attraverso internet e il
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registro delle imprese; tuttavia questi canali non sono così affidabili anche perché la rete
internet non è ancora così estesa in Marocco. Più spesso i canali informali, in particolare il
passaparola attraverso aziende che già si conoscono, sono quelli che meglio permettono di
conoscere realtà nuove ma anche di avere informazioni sul tipo di lavoro svolto e soprattutto
sull’affidabilità o meno dell’impresa marocchina. A quel punto si va direttamente a bussare
alla porta dell’azienda per presentare sia il Consorzio che la singola azienda italiana e si fissa
quindi l’appuntamento.
Un ulteriore servizio offerto ai soci è la consulenza di un commercialista italiano che
da molti anni lavora in Marocco e quindi conosce molto bene la normativa fiscale e
amministrativa e interviene sia nella fase di preparazione sia in quella della stipula degli
accordi.
In un anno di lavoro, grazie al Consorzio Iride si sono avviate alcune partnership tra
imprese italiane e imprese marocchine principalmente nel campo dell’edilizia, in quello dei
trasporti e dei servizi in generale. In quest’ultimo campo in particolare l’azienda di Marcello
Belotti, il fondatore del consorzio Iride, sta sviluppando un progetto di diffusione di edicole
per la distribuzione dei quotidiani locali nel centro di Casablanca. L’idea di creare il consorzio
è partita infatti dall’imprenditore che si è aperto al mercato marocchino trovandovi una
situazione dinamica e carica di opportunità anche per altri colleghi. Per fare questo si è quindi
reso conto della necessità di poter contare sulla collaborazione di un intermediario locale di
fiducia che conoscesse entrambi i contesti e che potesse occuparsi di mettere in contatto realtà
produttive con interessi complementari come nel caso seguente:
«Tipo ti do un esempio: un’azienda di sicurezza elettronica ha
cercato qua un’azienda e poi abbiamo mandato il responsabile della
ditta marocchina a fare la formazione in Italia e adesso lui sta
iniziando a fare la distribuzione del prodotto italiano in Marocco.»
(Int.1 MA)
I soci pagano una quota per il mantenimento del costo della struttura e del servizio
offerto, ossia l’affitto dell’ufficio e lo stipendio del rappresentante marocchino. Dal momento
che i soci sono oramai parecchi, il costo è molto contenuto.
3.3 Fattori di stimolo dell’imprenditoria di ritorno
Il progetto di un investimento imprenditoriale di ritorno rappresenta l’esito di una valutazione
da parte del migrante dei vincoli e delle opportunità sia del contesto italiano sia del contesto
marocchino. Le aspirazioni, i desideri ma anche i bisogni e le circostanze economiche spesso
portano a vedere le criticità di un luogo come opportunità nell’altro e viceversa.
3.3.1 Gli stimoli dal versante italiano
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Prendendo in considerazione il versante italiano la partecipazione a corsi di formazione o
iniziative per l’avviamento di un’attività imprenditoriale sono uno dei fattori che in alcuni casi
hanno spinto i migranti ha riprendere in considerazione un proprio sogno nel cassetto. È
questo il caso di Abdelilah Ouabich, fondatore di Vitalité Café, e di Fakhita Haouari che ha
tentato di avviare un bed & breakfast.
Nel primo caso l’idea è nata dopo avere frequentato parzialmente un corso organizzato
dalla Camera di Commercio di Pavia per l’avvio di nuove start up. Il corso gli ha permesso di
imparare a condurre uno studio di mercato e a redigere un business plan dandogli la
possibilità di consolidare una già ampia conoscenza in materia che aveva accumulato sul
campo. Infatti aveva avuto l’opportunità di lavorare per alcuni anni per una compagnia in
franchising che vendeva un robottino elettronico. Il percorso di inserimento nell’azienda
prevedeva una carriera graduale che cominciava con lo svolgere il ruolo di venditore
attraverso l’organizzazione di dimostrazioni per poi diventare il responsabile di una
concessionaria e per poi aprirne una in proprio. Tuttavia si è fermato al penultimo step perché
proprio poco prima di ottenere la promozione finale l’azienda è fallita. Il proprietario ne ha
aperta un’altra ma in un settore diverso, quello del caffè in cialde, e il migrante avrebbe
dovuto ricominciare daccapo il percorso di carriera. Si è quindi proposto di mettere a frutto le
conoscenze teoriche e pratiche apprese in Italia per cercare di aprire un nuovo mercato in
Marocco per questo prodotto. Con questo scopo si è trasferito in Marocco dove ha trascorso
circa un anno per fare uno studio di mercato prima di fare partire l’impresa, cercando in
questo modo di realizzare anche il sogno di dimostrare ai proprio parenti e conoscenti rimasti
in patria quello che è diventato vivendo in Italia.
Nel caso di Fakhita Haouari l’idea di fare qualcosa per il proprio paese ha sempre
rappresentato un desiderio che tuttavia non aveva mai cercato di realizzare concretamente ma
a cui ipotizzava di dedicarsi dopo essere andata in pensione, motivata anche da una sorta di
bisogno di dover portare in qualche modo in Marocco quanto appreso all’estero.
«Quest’idea ce l'avevo già prima assolutamente anche perché appunto
anche con gli anni uno pensa di tornare in patria anche per fare
un'attività in patria… quando finisce di lavorare per fare il
pensionato e al tempo stesso di poter fare una piccola attività
anche per appoggiare lo sviluppo del mio paese e dare una mano
quindi alla manodopera locale. Perché appunto ci sono dei posti che
vanno valorizzati turisticamente in questo senso si potrebbe creare
delle esperienze di sviluppo… io penso che l'esperienza che abbiamo
acquisito qui possiamo portarla là per appoggiare lo sviluppo allo
stesso tempo del paese e sviluppare.» (Int.1 IT)
La partecipazione al progetto “In-formare: percorsi di co-sviluppo tra Italia e
Marocco” e il coinvolgimento di enti del settore imprenditoriale, che avrebbero dovuto
accompagnare l’avvio dell’impresa, rappresentano una reale possibilità di dare concretezza a
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questa idea. Pertanto la migrante decide di approfittarne. Un tentativo pregresso di avviare un
centro benessere ha permesso alla signora di avere già delle competenze di base e dei contatti
(il proprio commercialista) che le hanno permesso di predisporre il business plan per l’avvio
del bed & breakfast.
La partecipazione a iniziative istituzionali è anche all’origine del Consorzio Iride:
l’idea infatti matura gradualmente dopo la partecipazione da parte dell’ideatore ad una
missione in Marocco organizzata dalla Camera di Commercio di Milano. Dopo questa prima
conoscenza del tessuto economico marocchino il progetto si struttura a mano a mano che si
constatano le buone opportunità di investimento in quel mercato e l’interesse di altri
imprenditori lombardi. Per la strutturazione del consorzio si rivela fondamentale la
conoscenza pluriennale di alcuni migranti marocchini che lavorano da parecchio tempo nella
ditta del fondatore del Consorzio Iride e con i quali si è instaurato un rapporto di fiducia
consolidato. A uno di essi in particolare, Hafid Fajlane, viene proposto di trasferirsi in
Marocco per fare da punto di riferimento in loco per i soci italiani e mantenere i rapporti con
questi ultimi. Il migrante rappresenta una risorsa centrale per la realizzazione e il
potenziamento del Consorzio in quanto conoscendo sia il contesto culturale italiano sia quello
marocchino e parlando perfettamente l’arabo, il francese e l’italiano è in grado di mettere
direttamente in dialogo potenziali partner commerciali di entrambe le realtà. Questo permette
una conclusione degli affari in tempi più rapidi e in modo potenzialmente più proficuo.
Lo stimolo a costituire il Consorzio Maital deriva invece da parte marocchina in
quanto il fondatore, Muhamed Sghayr, coltiva da molto tempo il progetto di incentivare gli
imprenditori italiani a investire in Marocco. L’integrazione del migrante nel contesto italiano,
e in modo particolare bresciano, si rivela fondamentale per la concretizzazione dell’idea. Da
un lato infatti l’impegno nel sociale per l’integrazione dei migranti lo porta a organizzare
importanti manifestazioni che lo pongono in contatto con esponenti di spicco del contesto
politico-amministrativo marocchino; dall’altro il suo inserimento sociale ed economico in
Italia gli permette di entrare in contatto con alcuni professionisti con cui socializza l’idea.
«È una realtà che è nata da una piccola idea un piccolo sogno mio,
di un immigrato marocchino che voleva costruire e aiutare le persone
italiane e gli investimenti in Marocco. L'idea è nata tramite il
ministro delle infrastrutture e trasporti che è venuto qui a Brescia
per un incontro che avevo organizzato… prima di essere un ministro,
alla fine del 2011. Il progetto era di accompagnare e portare in
Marocco imprenditori italiani o marocchini che vogliono fare
l'investimento in Marocco. Questo era solo un sogno. […] Poi nel mio
piccolo mondo di lavoro il mio commercialista mi ha fatto conoscere
un ingegnere e, tramite lui, gli altri imprenditori. Quindi ho
condiviso con l’ingegnere questo progetto e poi, dopo che è stato in
Marocco, con gli altri imprenditori… abbiamo fatto degli incontri e
siamo andati avanti a fare altri incontri dopo incontri a Brescia e
a Bergamo» (Int.4 IT)
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A fronte di questi contatti personali un primo imprenditore ha deciso di fare un viaggio di
conoscenza in Marocco attraverso il quale si sono sfatati alcuni pregiudizi sul paese, si sono
appurate le reali opportunità di investimento. Una volta tornato in Italia, l’imprenditore
contatta altri colleghi, vengono organizzate altre missioni in loco e dopo avere ottenuto
l’interesse iniziale di circa 15 imprenditori, sia italiani sia marocchini, viene creato il
Consorzio.
Un fattore che spinge a spostare i propri investimenti in Marocco è la crisi economica.
Come già anticipato nel paragrafo precedente, nel caso del proprietario di Sté Compix
Linijara, è proprio l’intravedere i primi sintomi della crisi che lo spingono a trasferire la
propria realtà produttiva in Marocco. In particolare, il vedere le prima difficoltà di alcuni
imprenditori italiani già nel 2008 lo inducono a intravedere dei problemi ancora maggiori che
nel prossimo futuro sarebbero emersi per i migranti. Dopo avere costatato le possibili concrete
offerte dal tessuto economico di Tadla Azilal, nell’arco di 4 mesi organizza il suo rientro
definitivo.
«…sai perché io ho visto i miei amici che vendevano il rame
piuttosto che le vernici con cui avevo delle collaborazioni che loro
piangevano tutti e quindi mi sono immaginato che se anche per quelli
italiani era difficile anche per me diventava difficile ancora di
più. Così dopo 3-4 mesi ho preso tutte le macchine, le ho caricate
in un container e le ho trasferite in Marocco. Così ho trasferito la
mia impresa che già avevo da 3 anni in Italia.» (Int.7 MA)
Al contrario, nel caso del proprietario di Atmani Lighiting Led la crisi economica non
pare avere costituito un elemento che ha motivato il ritorno in quanto ha alle spalle anche la
creazione di una piccola catena di negozi di parrucchieri che sta andando bene e l’impresa che
ha trasferito in Marocco stava andando bene anche in Italia. Per questo è convinto che con una
programmazione oculata delle proprie attività, con la disponibilità a ridurre i profitti e con la
capacità di saper intercettare i nuovi bisogni si possa sopravvivere alla crisi. Infatti gli
investimenti fatti in Italia gli hanno permesso di accumulare le risorse necessarie per il rientro
in patria in modo produttivo. Nel suo caso il ritorno avviene principalmente per delle
motivazioni di carattere personale, legate ai bisogni della famiglia di origine, religiose e
culturali. Rispetto a queste ultime la diversa mentalità italiana rispetto a quella marocchina, di
cui vuole che il figlio non perda le radici, costituisce la principale motivazione al ritorno
specie nel momento in cui il figlio raggiunge l’età scolare.
«Ho deciso di tornare per mio figlio perché ha l'età che entra a
scuola e allora non voglio che inizia la scuola lì [in Italia] e poi
deve tornare qua e ricominciare tutto da zero, come sta facendo qua…
anche adesso l'ho portato prima un po' all'asilo per riprendere un
po' l'arabo ben prima di mandarlo a scuola. Potevo stare ancora di
67
più lì in Italia però ho mio figlio che sta diventando grande e per
questo ho deciso di tornare.» (Int.7 MA)
In questo caso la particolare motivazione al ritorno assume un aspetto ancora più interessante
poiché il migrante ha sempre cercato di integrarsi al meglio nelle diverse città italiane in cui si
è trovato a vivere prendendo parte attivamente a realtà della società civile per l’integrazione
degli immigrati.
«In Italia mi sentivo sempre come a casa mia perché guarda io
rispetto molto e la prima cosa che ho fatto in Italia penso di
essere stato uno dei primi immigrati ad avere Internet a casa mia,
anzi il primo perché me l'ha detto Telecom! Volevo avere l'Internet
proprio per inserirmi… perché le persone marocchine che sono là non
sanno l'Italia come è. Andavo a scuola per imparare l'italiano però
al tempo stesso cercavo di inserirmi all'interno della comunità
italiana e a Genova ho creato un’associazione per aiutare quelli di
noi in difficoltà a inserirsi e ne ho aiutati tanti.» (Int.7 MA)
3.3.2 Gli stimoli dal versante marocchino
I casi studiati mettono in evidenza come la decisione di rientrare in patria per avviare un
progetto imprenditoriale venga influenzata anche dalle possibilità concrete offerte dal
contesto marocchino. Negli esempi indagati i fattori di attrazione verso il Marocco sono
relativi alle possibilità offerte dal settore istituzionale, alla valutazione delle opportunità
economiche e a fattori legati ai famigliari rimasti in patria.
Per la creazione di Vitalité Café è stato determinante il contatto con la filiale di Béni
Mellal della Fondation Banque Populaire pour la Création d’Entreprise (ente del settore
privato che offre consulenze di vario tipo per l’avvio di piccole imprese). Attraverso un
funzionario della Fondazione l’aspirante imprenditore è venuto a conoscenza del programma
di finanziamento “MDM Invest”15 rivolto ai marocchini residenti all’estero intenzionati ad
investire nel paese. Si tratta di un programma governativo tramite il quale le banche possono
concedere dei finanziamenti particolarmente vantaggiosi ai progetti imprenditoriali più
meritevoli su presentazione quindi di un opportuno studio di mercato e di un business plan. I
progetti devono prevedere un investimento di almeno 2 milioni di dirham. Se vengono
valutati come finanziabili dalle banche ottengono un finanziamento a fondo perduto dallo
stato pari al 10%, un prestito agevolato dalla banche pari al 65% mentre il restante 25% deve
essere anticipato dall’imprenditore.
Forte dell’esperienza acquisita in Italia nella gestione della piccola impresa e delle
conoscenze acquisite durante il corso di formazione, l’aspirante imprenditore prepara una
prima bozza di progetto ricevendo l’incoraggiamento da parte della Fondazione a proseguire
Si veda: http://www.marocainsdumonde.gov.ma/vous-avez-un-projet-d
%E2%80%99investissement/fonds-'mdm-invest'.aspx
15
68
in quanto l’approvazione del progetto per l’accesso a MDM Invest viene visto come molto
probabile. Inoltre la Fondazione è disponibile ad offrire i propri servizi all’imprenditore in
tutte le fasi di preparazione dell’investimento e di studio del progetto. Questo, unitamente ad
una situazione economica precaria in Italia, è la molla che fa decidere al migrante di investire
seriamente nel progetto e per questo si trasferisce in Marocco per circa un anno. Durante
questo anno, con la consulenza costante della Fondazione, effettua lo studio di mercato ed
elabora il business plan del suo progetto imprenditoriale.
«Sono venuto qui per Natale ho parlato con tanti amici e ho visto
che stavano facendo dei palazzi grandi… quindi sono tornato qui, mi
sono informato un po' e ho visto un po' l'economia come andava e
avevo visto che le cose andavano bene. E allora ho pensato di
ritornare, di provare a tornare perché secondo me nella vita bisogna
sempre provare» (Int.6 MA)
Le parole di Abdelaziz Rezki mettono in luce un secondo fattore, che deriva dal versante
marocchino, che spinge i migranti al ritorno: il mercato economico in espansione, per lo meno
in alcuni settori come quello edile, nella regione di Tadla Azilal. Nel caso in questione, dopo
circa 4 mesi dal ritorno in Marocco per la visita annuale alla famiglia e la presa di alcune
informazioni, l’imprenditore decide di fare il grande passo di ritornare. Il ritorno in questo
caso non è accompagnato da studi di mercato particolari ma si affida su quanto visto
direttamente e riportato da altri imprenditori, a loro volta rientrati dall’Italia. Saranno loro a
garantire le prime commesse all’impresa ma anche ad appoggiarla nel disbrigo di alcune
problemi burocratici iniziali. Infatti per l’ottenimento di un lotto nella zona industriale di Béni
Mellal, il Comune pone come condizione che il richiedente abbia una certa somma di denaro
a disposizione nel proprio conto corrente. In questo caso il migrante non disponeva di tale
somma ma proprio uno di questi amici gli ha prestato la somma di denaro di cui aveva
bisogno per una ventina di giorni, ossia per il tempo necessario perché il Comune verificasse
che lui effettivamente avesse il capitale a disposizione. Una volta effettuati questi
accertamenti e avere ottenuto quindi il lotto, il denaro è stato restituito al legittimo
proprietario.
Anche la decisione di dare vita la Consorzio MaItal è una diretta conseguenza della
presa di coscienza delle condizioni favorevoli del mercato marocchino ma anche del
superamento di alcuni stereotipi e precomprensioni nei confronti di un paese sconosciuto.
Ovviamente in questo caso non era il migrante marocchino che doveva superare questi
ostacoli ma il partner italiano. In questo caso il migrante ha svolto un ruolo di vero e proprio
mediatore culturale portando l’imprenditore in Marocco e facendogli conoscere la realtà
locale. Dopo questo viaggio l’imprenditore italiano non solo si motiva a dare vita al
Consorzio ma farà ritorno più volte in Marocco anche per scopi personali.
69
«Abbiamo iniziato materialmente ad accompagnare l'ingegnere a
conoscere la realtà perché, per dirla fuori dai denti, l'ingegnere
la prima volta aveva paura rispetto al Marocco perché non lo
conosceva e allora ho detto: ”Vieni con me che ti faccio conoscere
il Marocco”. Infatti, dopo essere sceso, dopo è sceso ancora con sua
moglie per un viaggio turistico perché subito gli è piaciuto il
Marocco e da lì è iniziato il tutto. Ha visto che c’è un'altra
cultura, che è un'altra realtà rispetto a quello che è dimostrato
dai marocchini in Italia ed effettivamente è quello che hanno notato
anche altri imprenditori che sono stati in Marocco. Poi il bello è
che il Marocco porta a una serie di agevolazioni per l'imprenditore
italiano…» (Int.4 IT)
Un’ultima motivazione è relativa ai problemi di gestione dei famigliari rimasti in
Marocco soprattutto quando diventano anziani e molti altri membri della famiglia sono
emigrati, come mette in luce Salah Atmani:
«Per tanti motivi… i miei genitori, io ho sette fratelli, e ne è
rimasto solo uno perché tutti gli altri sono fuori. Ho due fratelli
che sono in Italia, tutti gli altri sono sposati e poi è rimasto con
loro solo il mio fratello piccolo e quindi io ho pensato che dovevo
stare vicino o a loro anche. Questa è la prima motivazione.» (Int.7
MA)
3.4 Il percorso migratorio
Quasi tutti gli imprenditori marocchini intervistati sono arrivati in Italia da giovani, intorno ai
vent’anni, e già in possesso di un titolo di studio medio alto conseguito in patria. La
formazione conseguita in Marocco non viene quasi mai sfruttata in Italia in quanto, nella fase
di inserimento, i migranti trovano per lo più impieghi con mansioni dequalificate. Tuttavia il
bagaglio culturale da un lato sembra rappresentare una sorta di garanzia in più nei confronti
dell’avventura migratoria. Dall’altro lato viene talvolta riscoperto proprio nel momento in cui
si pianifica l’avvio di un progetto imprenditoriale di ritorno in Marocco.
È questo il caso di Salah Atmani, arrivato in Italia nel 1999 a 25 anni, che possedeva
un diploma di elettrotecnico. Tuttavia quella dell’elettrotecnica è destinata a rimanere solo
una passione per molto tempo in quanto lavora come parrucchiere per qualche anno prima di
emigrare in Italia. Una volta in Italia decide di imparare al meglio questo mestiere per poter
essere spendibile anche sul mercato italiano. Si iscrive quindi alla scuola per parrucchieri di
Jean Louis David e, dopo qualche tempo, apre un suo primo negozio. Piano piano investe i
soldi guadagnati per espandere questa attività e, in società con altri colleghi, apre una piccola
catena di 3 negozi di parrucchiere ad Alessandria, Asti e Serravalle.
Grazie alla sua forte mentalità imprenditoriale, nel 2008, decide ancora una volta di
investire gli utili di queste attività per l’avvio di un’impresa in Marocco, in quanto, come si è
detto nel paragrafo precedente, pensava di farvi ritorno per motivi famigliari. Inizialmente
pensa di aprire un’impresa nel mercato del mobile ma, dopo una breve indagine effettuata in
70
Marocco, si è reso conto che serviva un capitale inziale molto cospicuo di cui non disponeva e
quindi ha abbandonato l’idea. Parallelamente a ciò il suo interesse per l’elettrotecnica lo ha
portato a scoprire la tecnologia dei led che, a parità di prestazione, permette di ridurre
considerevolmente le spese per l’energia elettrica. Si tratta di un settore nuovo di cui,
soprattutto in tempi di crisi, vede le potenzialità sia in Italia sia in Marocco. Per questo si
iscrive a dei corsi di formazione specifici per questo settore trasferendosi per un periodo
anche in Germania dove prende vari contatti, partecipando anche alla fiera dell’elettronica di
Francoforte. Ha quindi inventato alcuni nuovi prodotti che a breve brevetterà in Marocco, in
quanto è meno costoso rispetto all’Italia. Comincia a fare dei piccoli lavori in questo settore in
Italia ma si rende conto che questa attività ha bisogno di un forte impulso che può arrivare da
ordini di ampie dimensioni; in Italia la concorrenza però è molto forte mentre in Marocco non
lo è altrettanto. Decide quindi di rientrare con la moglie e il figlio in patria, a Béni Mellal,
dove si ristabilisce definitivamente nel 2013 e dove crea la Atmani Ligting Led che al
momento sta muovendo i primi passi: ha già dei clienti importanti, si sta occupando di
sviluppare una strategia di marketing e sta ottenendo un lotto nella zona industriale di Béni
Mellal dove l’azienda potrà avere la sua sede ufficiale.
«Mi è venuto in mente questo progetto perché avevo fatto
elettrotecnica e ho saputo che i led sono una cosa conveniente poi
ho fatto una sorta di formazione specifica su vari fronti per
specializzarmi proprio su questa produzione di led è poi sono andato
ad una fiera specifica elettronica a Francoforte e lì mi è venuta
l'idea di inserirmi in questo mercato. Quindi facendo un po' di
sacrifici ho fatto il mio laboratorio lì senza andare in nessuno e
quindi visitavo le aziende e vedevo che c'era a una mancanza anche
da loro quindi ho investito nelle mie capacità.» (Int.7 MA)
Per Hafid Fajlane, del Consorzio Iride, il rientro in patria rappresenta l’esito di un
rapporto di fiducia costruito nel tempo che si traduce in una concreta opportunità di ascesa dal
punto di vista lavorativo. Hafid arriva in Italia nel 1999 a 18 anni di età dopo avere
frequentato un anno alla facoltà di economia. Vede che non ci sono buone possibilità di
lavoro per i laureati e quindi decide di venire in Italia:
Studiavo, ho fatto il primo anno di economia e ho visto persone
laureate che non avevano lavoro e quindi mi sono detto: “Se vado
avanti così perdo tempo”. Io studiavo per lavorare, per creare una
famiglia e mi è venuta questa idea vedendo gli altri che andavano in
Italia per lavorare e che andavano per 2-3 anni e poi tornavano con
la macchina e quindi mi sono chiesto: “Perché non vado anch'io?” e
così sono andato anche io. (Int.1 MA)
In Italia trova lavoro come operaio prima in un’azienda che produceva piastrelle e
successivamente presso il Gruppo Anna, l’azienda del fondatore del Consorzio Iride, che si
occupa della distribuzione di giornali. Vi entra attraverso una cooperativa e successivamente
71
viene assunto come operaio. Lavora per 10 anni come operaio in quest’azienda dove sono
impiegate circa 70 persone di cui solo due sono marocchine. Quando viene creato il
consorzio, matura l’esigenza di avere una persona di fiducia in loco che possa interagire sia
con gli imprenditori italiani che con quelli marocchini. Dato il rapporto di fiducia creatosi la
proposta viene fatta ad entrambi ma il collega rifiuta in quanto, avendo dei figli grandi, non se
la sentiva di spostare la famiglia in Marocco. Hafid invece accetta questa sfida in quanto si sta
per sposare e non ha particolari vincoli famigliari che gli impediscono di ritornare. Inoltre
vede in questa proposta una nuova opportunità di crescita professionale oltre che economica.
Dopo un periodo di formazione in Italia per conoscere lo scopo della sua nuova mansione e
conoscere le aziende che formano il consorzio si trasferisce con la moglie a Casablanca dove
apre l’ufficio del Consorzio Iride.
Oltre a chi rientra in modo permanente in Marocco, trasferendovi l’esperienza appresa
in Italia, altri imprenditori intervistati decidono di investire nel paese di origine pur
continuando ad abitare in Italia.
È il caso di Khalil Youbi che arriva in Italia la prima volta nel 1989 per un breve
vacanza da un amico che abita a Roma, poco prima di laurearsi in biologia animale. Ritorna in
Marocco e si laurea ma non trova lavoro così poco dopo decide di intraprendere la strada
dell’emigrazione in Italia, mai intrapresa prima di lui da nessun membro della sua famiglia.
Trova lavoro in una ditta di import-export di biancheria a Roma dove lavora fino al 2008.
Grazie a questo lavoro si integra molto bene dal punto di vista economico comperando una
casa attraverso un mutuo bancario. Si sposa nel 2006 con una ragazza marocchina conosciuta
in Italia che abita con i suoi fratelli a Milano e, per motivi di lavoro, resta a vivere a Milano
anche dopo il matrimonio mentre lui continua a vivere a Roma fino al 2008.
In quell’anno decide di licenziarsi in quanto la ditta presso cui lavora risente molto
della crisi economica. Infatti nel 1990, quando fu assunto, era l’unico dipendente della ditta
che successivamente si è ampliata fino ad averne 18. A partire del 2005 gli affari cominciano
a calare sempre di più, così come i dipendenti. Anche per questo motivo decide di non fare
trasferire la moglie da Milano perché possa mantenere il suo lavoro. Poco prima che l’azienda
fallisca, decide di licenziarsi, di vendere la casa a Roma e investire i propri risparmi
nell’apertura di una macelleria e rivendita di generi alimentari a Milano nella zona di Piazzale
Cuoco, che al momento riesce a mantenere aperta anche se il livello di profitto è modesto.
Nel suo caso un rientro definitivo in Marocco non viene preso in considerazione
principalmente per la difficoltà di riadattarsi ad una cultura e a un modo di vivere che oramai
non sente più di tanto appartenergli. Tuttavia vede nella sua duplice appartenenza all’Italia e
al Marocco un’opportunità concreta per ampliare il volume dei propri affari. Partecipa infatti
alla costruzione di un frantoio da parte della famiglia della moglie e, oltre che
72
economicamente attraverso le rimesse, vi prende parte mettendo in contatto il cognato che si
occupa del frantoio con un venditore di macchine per la spremitura delle olive in Puglia, con
cui al momento stanno contrattando un prezzo finale per l’acquisto. Al tempo stesso pensa di
poter utilizzare la propria esperienza, le proprie relazioni nonché la propria licenza
commerciale per vendere in Italia e in altri paesi europei i prodotti del frantoio industriale che
stanno costruendo. In questo caso quindi non vi è un progetto di ritorno ma quello di dare vita
a relazioni più frequenti e fattive con la madre patria.
Questo è il progetto anche di Muhammed Sghayr, fondatore del Consorzio MaItal. È
arrivato in Italia nel 1999, raggiungendo i genitori e tutti i suoi fratelli che erano arrivati
precedentemente, dopo avere studiato per un anno giurisprudenza e avere fatto parte di una
squadra di atletica come professionista. Quando arriva in Italia pensa di poter portare avanti i
propri studi e la propria passione sportiva ma ben presto si accorge che la realtà è diversa
dalle sue aspettative. Lavora infatti come operaio e, contemporaneamente, si iscrive alla
facoltà di informatica all’Università di Brescia ma la deve abbandonare in quanto non riesce a
conciliare studio e lavoro. Per qualche periodo si trasferisce prima in Belgio e poi in Olanda
ma, non trovando opportunità particolari, decide di rientrare in Italia. Qui tenta di iscriversi
alla facoltà di medicina a Brescia ma viene escluso per una problematica di natura
burocratica. Decide quindi di iscriversi ad un corso regionale per operatore socio
assistenziale. Una volta ottenuto il diploma incomincia una carriera in ascesa in questo
settore: lavora un anno come operatore, quindi diventa responsabile di un gruppo di operatori
fino a fondare una cooperativa di servizi sanitari, infermieristici e di assistenza domiciliare.
Attualmente ne è il presidente e coordina il lavoro di 18 soci fornendo servizi alle realtà
ospedaliere e sanitarie della zona.
Ha portato quindi l’esperienza imprenditoriale maturata all’interno del Consorzio
MaItal dove si sta interessando, in collaborazione con gli altri soci, per inserirsi nel settore
sanitario marocchino attraverso la gestione di alcuni progetti.
Il percorso migratorio di Abdelilah Ouabich si distanzia dai precedenti in quanto
questo imprenditore arriva in Italia negli anni ’90 come minore non accompagnato a 13 anni.
In quegli anni l’Europa, e l’Italia in particolare, vengono visti nella mentalità marocchina
come luoghi di benessere dove si possono fare soldi in modo facile. Molti ragazzi sono attratti
da questo sogno e le famiglie vedono positivamente la migrazione dei figli, anche se molto
giovani, come forma di investimento per l’avvenire di tutto il nucleo famigliare.
«Sono arrivato in Italia a 13 anni. Il primo anno purtroppo l’ho
passato per la strada dormivo in baracche, giardini, dovunque
capitava. L’unica cosa che sapevo è che non volevo spacciare né
rubare. Io sono venuto con l’idea, non lo dico per scherzare, di
venire e raccogliere i soldi per terra, ero convinto di riempire 3-4
sacchi al giorni di soldi. Questo era quello che ci facevano credere
73
in Marocco. Nessuno ti veniva a dire quella che era la realtà.
Quindi quando mi sono trovato nella realtà che non ci sono soldi per
terra allora lì ho capito che l’unico modo per farli nell’immediato
era spacciare o rubare oppure dove studiare però si trattava di
aspettare [a guadagnare]. Ho parlato con i miei e ho spiegato loro
la situazione e loro mi hanno appoggiato.» (Int.2 IT)
Quindi appurate le difficili condizioni che si trova ad affrontare in Italia e non volendo
finire in circuiti delinquenziali, tramite un conoscente marocchino si fa accompagnare in
Questura da dove viene affidato ad un comunità per minori. Ha quindi frequentato la scuola
media e successivamente i primi tre anni della scuola superiore grazie all’ottenimento di un
proseguo amministrativo, ossia l’estensione del diritto ad usufruire dell’accoglienza e del
mantenimento da parte del Comune anche oltre il compimento dei 18 anni di età, quando cioè
questo diritto cessa di sussistere. Si è quindi iscritto ad un Istituto industriale ottenendo dopo
tre anni la qualifica di perito elettrotecnico. Era intenzionato a proseguire per prendere la
maturità ma, per motivi economici, il Comune di Milano ha deciso di interrompere il
proseguo amministrativo e lui si è trovato nelle condizioni di non poter più andare a scuola in
quanto doveva trovarsi un lavoro per potersi mantenere. Trova quindi un lavoro come
falegname e contemporaneamente ha l’opportunità di entrare in un progetto del Centro
Ausiliario Minori (CAM) che dava l’opportunità ai ragazzi in situazioni simili di essere
alloggiati, solo per la notte, in famiglie che si offrivano a questo scopo. Viene ospitato da una
famiglia in provincia di Pavia con cui entra in buonissimi rapporti finendo praticamente con il
vivere con loro anziché essere ospitato solo per la notte.
Portando avanti il suo lavoro in falegnameria decide di iscriversi alle scuole serali per
prendere la maturità di dirigente di comunità ma, a causa del poco tempo a disposizione per lo
studio, non riesce a superare l’esame. Dopo qualche anno di lavoro in falegnameria, dove nel
frattempo viene assunto a tempo indeterminato, vuole aprirsi a nuove esperienze professionali
che gli permettano di crescere ulteriormente. Viene in contatto con il Gruppo Kirby, una
catena di negozi in franchising che vendono un robot elettrico. Contro il parere di tutti si
licenzia e comincia un percorso in questa azienda in cui deve seguire un iter di formazione e
di carriera che prevede inizialmente uno stipendio a provvigione per un tipo di lavoro che
inizialmente consiste nel vendere attraverso l’organizzazione di dimostrazioni. Sceglie di fare
questo passo perché si sente capace di poter dare il meglio di sé in un lavoro autonomo dove
deve contare solo sue forze ma dove, al tempo stesso, si sente più motivato e valorizzato.
«Certo era un lavoro nuovo ed era un lavoro che non mi offriva
alcuna garanzia mentre nel lavoro nella falegnameria avevo un tempo
indeterminato, alla Kilby avevo un lavoro a provvigione. Però in
quel lavoro mi veniva data la possibilità di diventare qualcuno
contando sulle mie forze e non sul fatto che devo piacere al capo.
Potevo andare avanti e crescere grazie quello che facevo io come
persona e siccome mi reputo una persona capace, una persona che ama
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quello che fa e si applica anima e corpo non ho avuto timore di dare
le dimissioni contro tutti quelli che mi erano vicino che non
approvavano questa scelta perché avevo un contratto a tempo
indeterminato. E comunque i fatti mi hanno dato ragione infatti dopo
un anno la falegnameria ha fallito e io, invece, nella Kirby nel
frattempo sono cresciuto e quindi anche il lavoro che sto facendo
oggi in quest'ufficio è grazie a quello che mi hanno insegnato alla
Kirby. Quindi insomma diciamo che se ritornassi indietro farei le
stesse scelte.» (Int.2 IT)
Nel tempo riesce a fare una progressione di carriera nella Kirby, ma proprio nel
momento in cui avrebbe dovuto ottenere la promozione per aprire una concessionaria in
proprio l’azienda è fallita. Il proprietario ha quindi creato un’altra azienda per la vendita di
macchinette per il caffè a cialde, replicando la stessa struttura organizzativa. A quel punto
Abdelilah, non volendo ricominciare da zero ha cercato di aprire direttamente una propria
concessionaria in Marocco trasferendovisi per un anno per effettuare uno studio di mercato.
L’idea era di restare se le cose fossero andate bene. Tuttavia per una serie di problemi, di cui
si parlerà nei paragrafi successivi, l’azienda non dà i risultati sperati ed è costretto a ritornare
in Italia. Qui, grazie alle esperienze manageriali acquisite nel tempo, ha recentemente trovato
lavoro nell’ufficio amministrativo di una grande palestra a Milano.
3.5 I problemi per la realizzazione dell’impresa transnazionale
Per la realizzazione di investimenti imprenditoriali di successo i migranti si trovano a fare
fronte ad una serie di difficoltà che, in alcuni casi, hanno compromesso l’avvio dell’impresa.
Dai casi analizzati in questa ricerca emerge che gli ostacoli derivano soprattutto dal contesto
marocchino; tuttavia vengono segnalate alcune difficoltà relative anche al contesto italiano di
accoglienza.
3.5.1 Le difficoltà derivanti dal contesto italiano
Per quanto riguarda il contesto di residenza dei migranti, sia che vogliano tornare
definitivamente sia che vogliano realizzare degli investimenti transnazionali, le problematiche
segnalate riguardano:
a) la realizzazione di corsi e iniziative per la creazione di impresa il cui apporto rimane
confinato al piano teorico;
b) la difficoltà ad instaurare rapporti commerciali con possibili partner italiani;
c) il superamento di alcuni stereotipi relativi al Marocco;
d) la disponibilità degli imprenditori italiani a recarsi spesso in Marocco.
L’idea di avviare un’impresa in Marocco spesso viene stimolata da alcune iniziative realizzate
in Italia con cui i migranti vengono in contatto. È questo il caso sia di Vitalité Café di
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Abdelilah Ouabich sia del tentativo fallito di avviare un bed & breakfast da parte di Fakhita
Haouari.
Nel primo caso, la partecipazione ad un corso per lo start up di imprese realizzato
dalla Camera di Commercio di Pavia ha dato ancora più slancio al progetto imprenditoriale da
realizzare in Marocco. Tuttavia ciò che, perlomeno agli occhi dell’imprenditore marocchino,
non appare chiaro fin dall’inizio è il fatto che il corso avrà una valenza teorica e non fornirà
degli incentivi o contributi finanziari ai partecipanti. Quando viene appurato questo,
l’imprenditore decide di interrompere la frequenza del corso in quanto non è interessato a tutti
gli argomenti che vengono affrontati ma solo alle nozioni che gli possono esser utili per
preparare il business plan.
«Il corso è durato circa tre giornate da sei ore l'una. Hanno dato
proprio delle informazioni così generali, poi il corso andava avanti
comunque. Poi però le altre cose erano cose che non m'interessavano
più di tanto: una volta che mi hanno dato gli strumenti per fare il
business plan e una volta scoperto che comunque attraverso loro non
avrei avuto aiuti economici, per me era una perdita di tempo quindi
io ho preso le cose che mi interessavano per partire e basta.»
(Int.2 IT)
La signora Haouari viene stimolata a partecipare al progetto finanziato dal Comune di
Milano e gestito dal Cosv attratta dalla possibilità di poter avvalersi di un accompagnamento
costante da parte di tutti i partener del progetti sia italiani che marocchini. Scrive il business
plan in autonomia e lo presenta alla Camera di Commercio che avrebbe dovuto fornire il
proprio parere. Partecipa quindi a un viaggio a Tadla Azilal organizzato dalla stessa dove
incontra i partner locali che la scoraggiano a portare avanti questo tipo di investimento in
quanto non lo vedono adatto rispetto al livello di sviluppo economico e turistico locale. A
parte questo, l’aspetto che appare più utile da mettere in evidenza, anche in vista di possibili
repliche future di iniziative simili, è la mancata comprensione da parte dell’aspirante
imprenditrice che attraverso la partecipazione a questa iniziativa avrebbe ottenuto solo
l’appoggio ad avviare l’impresa e un aiuto ad ottenere il credito necessario per l’investimento
iniziale.
«Int.Ent [uno dei partner marocchini] ci ha dato poi degli indirizzi
per prendere contatti con delle banche. Sono andato ma la banca mi
hanno detto di lasciare perdere perché assolutamente l'investimento
a Tadla Azilal non era buono. Mi hanno detto che come attività non
potevano darmi credito e mi hanno detto che per darmi credito avrei
dovuto mettere il mio patrimonio personale come garanzia e per me
questo assolutamente non esiste.» (Int.1 IT)
Emerge che non risulta chiaro all’imprenditrice che per ottenere un credito avrebbe
comunque dovuto fornire adeguate garanzie personali patrimoniali alla banche. Infatti il
progetto viene abbandonato quando viene alla luce questo aspetto che per lei risulta essere
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imprescindibile in quanto non è disposta a rischiare il proprio patrimonio personale. Forse tale
elemento poteva essere chiarito prima di partecipare all’iniziativa verificando da un lato la
disponibilità al rischio dell’aspirante imprenditrice e dall’altro la reale disponibilità di un
patrimonio personale.
Abdelaziz Rezki, proprietario di Sté Compix Linijara che tra i casi esaminati
rappresenta l’impresa di più lunga durata e maggiormente inserita nel tessuto economico di
Tadla Azilal, manifesta la difficoltà a mettersi in relazione con possibili partner d’affari
italiani. Infatti l’impresa al momento lavora solo per clienti locali e non sfrutta il capitale
sociale che l’imprenditore si è costruito in Italia dopo molti anni di permanenza. Come si nota
dalle sue stesse parole viene ipotizzato di sfruttare il minor costo del lavoro in Marocco e la
tecnologia italiana da lui utilizzata per realizzare parte della lavorazione di prodotti da
vendere poi in Italia. Tuttavia non sa con chi e come prendere contatti per tradurre nella
pratica questa idea.
«Ho solo clienti marocchini… magari trovassi qualche cliente
italiano! Mi piacerebbe trovare qualche cliente italiano si potrebbe
fare anche alcuni pezzi di lavoro e in collaborazione con l'Italia
quindi che è non penso di lavoro in Italia e poi, finiscono e c'è un
mercato Quattro questo tipo di prodotti …ma non so ma non so che
rivolge almeno so cosa fare per avere dei partner con l'Italia
potrei mettermi alla ricerca di qualcuno in Sicilia nel sud Italia,
per esempio, con cui ci si può anche mettere d'accordo sui prezzi.»
(Int.7 MA)
L’esperienza del Consorzio MaItal mette in luce una certa difficoltà da parte
dell’imprenditore italiano a superare una serie di stereotipi che impediscono di vedere il
Marocco come una economia in crescita dove gli investimenti sono sicuri. Predomina una
visione del Marocco come paese in via di sviluppo e si evidenzia come gli imprenditori
italiani siano all’oscuro del processo di crescita economica che lo ha investito negli ultimi
anni. Si registra inoltre una sorta di paura non solo relativa all’approcciare una realtà diversa e
sconosciuta dal punto di vista culturale ma anche dovuta alla tutela giuridica degli
investimenti effettuati. In questo senso, secondo Muhammed Sghayr, si determinano delle
perdite di opportunità per entrambi i paesi proprio per una mancanza di conoscenza
dell’attuale contesto economico marocchino e delle agevolazioni che vengono offerte per
attrarre investimenti esteri.
D’altro lato, Hafid Fajlane, del Consorzio Iride, mette in luce anche una mancanza di
conoscenza delle imprese marocchine nei confronti delle imprese italiane per cui occorre un
tempo e una intermediazione maggiore per la realizzazione di partnership commerciali. Gli
imprenditori marocchini infatti sono naturalmente portati a guardare al mercato francese con
cui hanno anche elementi culturali, oltre che linguistici, in comune. Per questo motivo è
77
necessario un lungo processo di conoscenza reciproca tra l’imprenditore marocchino e quello
italiano. Perciò è indispensabile la disponibilità dell’imprenditore italiano a recarsi almeno
una volta al mese per qualche giorno in Marocco: solo in questo modo riuscirà a concretizzare
dei risultati. Tuttavia questo si scontra con i limiti della disponibilità di tempo da parte degli
italiani che non sempre riescono a recarsi in Marocco così spesso o non ne comprendono
appieno l’importanza. Non basta, infatti, la presenza del rappresentante locale del Consorzio
poiché non è quest’ultimo a concludere l’affare ma l’imprenditore italiano.
«Per iniziare a fare qualcosa qui in Marocco, per fare il business
ogni imprenditore italiano deve venire spesso non basta la mia
presenza qua perché io creo gli appuntamenti però poi l'affare lo
deve fare l'imprenditore perché è lui che decide, è lui che investe.
E quindi la presenza a volte è un problema perché il minimo per un
imprenditore che è interessato a creare qualcosa qui, a fare
qualcosa con i marocchini deve almeno venire una volta al mese,
anche 48 ore una volta al mese, per cercare, vedere, conoscere e
parlare e per far andare avanti le cose perché se rimani lì a
parlare al telefono e vieni solo una volta all'anno secondo me non
va avanti. Io non decido per la sua azienda, lavoro per fissare
appuntamenti e poi li seguo ma poi è lui a concludere l’affare e se
non viene qui fisicamente è difficile. […] Non basta entrare in
Iride e poi il business inizia da solo.» (Int.1 MA)
3.5.2 Le difficoltà derivanti dal contesto marocchino
Le problematiche che i migranti affrontano nella realizzazione dei loro investimenti in
Marocco sono relative a:
a) difficoltà di accesso al credito
b) eccessiva burocrazia e interpretazione poco chiara delle regole
c) scarsa fiducia nelle istituzioni
d) mancanza di manodopera specializzata
L’esperienza di Vitalité Café rappresenta un archetipo delle difficoltà che i migranti di
ritorno affrontano relativamente all’accesso al credito e alla burocrazia. Come è già stato
detto, infatti, l’idea di avviare questa impresa è nata dalla possibilità di ottenere un credito
attraverso il programma “MDM Invest”. Il business plan che è stato preparato, dopo un anno
passato in Marocco, era basato sull’ottenimento di un credito attraverso questo programma. A
questo proposito erano state fornite al giovane imprenditore delle rassicurazioni, da parte della
Fondation Banque Populaire pour la Création d’Entreprise (FBP), che il progetto aveva tutte
la caratteristiche per poter essere finanziato. La FBP, che proprio come mission principale ha
quello di appoggiare la costituzione di nuove imprese, ha preso in carico il progetto seguendo
tutte le fasi dello studio preparatorio.
Nonostante ciò, dopo avere presentato proprio alla Banque Populaire la richiesta di
finanziamento attraverso il programma “MDM Invest” il progetto non è stato finanziato.
78
«Insieme a mio padre abbiamo fatto un po’ di insistenze sulla banca
e lì ci hanno detto che purtroppo il progetto non era neanche stato
preso in considerazione perché su 100 persone a cui hanno dato
questi finanziamenti, 99 sono andati male e quindi loro per adesso
non danno più nulla. Anche se come programma è previsto che loro
diano questi finanziamenti, non li stanno dando.» (Int.2 IT)
I funzionari della banca hanno negato, infatti, il finanziamento giustificandosi con il
fatto che i finanziamenti sarebbero bloccati. In pratica questa linea di finanziamento viene
gestita a livello statale attraverso l’erogazione dei crediti da parte delle banche che quindi
svolgono una sorta di intermediazione. Sembra che, qualora la banca superi una certa
percentuale di insoluti rispetto al totale dei finanziamenti concessi attraverso il programma,
non possa più concedere ulteriori crediti a nessuno. Per questo motivo la pratica presentata da
Abdelilah Ouabich non viene nemmeno presa in considerazione e questo viene confermato
anche dal padre durante l’intervista raccolta a Béni Mellal (Int.8 MA).
Dall’intervista di Driss El Omari (Int.4 MA), il funzionario della FBP che ha seguito
la pratica, la spiegazione non appare altrettanto chiara. Egli, se da un lato conferma che non
era possibile ottenere il credito per i problemi esposti, dall’altro lato nega che quella specifica
linea di finanziamento sia al momento non percorribile. Emerge infatti un ulteriore elemento
di cui forse non sono stati messi al corrente il giovane imprenditore e suo padre: la decisione
finale sarebbe stata presa da una commissione di valutazione interna alla banca, la quale non
avrebbe valutato come finanziabile il progetto di Vitalité café. Nei confronti di questo parere
anche il funzionario di FBP non avrebbe potuto farci nulla. Sembra quindi emergere una
situazione di scarsa trasparenza da parte del servizio offerto dalla FBP in quanto non si
capisce come mai, se la linea di finanziamento era veramente chiusa, non abbia potuto mettere
al corrente fin dall’inizio il giovane imprenditore evitando di fargli perdere tempo. Inoltre se il
progetto non è stato ritenuto idoneo da parte della commissione, nonostante la consulenza
della FBP, c’è da dubitare sulla qualità del servizio che è stato offerto.
Questa situazione ha generato una forte delusione nel giovane imprenditore che si è
sentito preso in giro e al tempo stesso ha generato in lui e anche nella sua famiglia un
desiderio di riscatto di fronte alla fatica e alle energie impiegate. Per questo motivo hanno
deciso di avviare comunque l’impresa anche se con un volume d’affari molto ridotto in
quanto non hanno a disposizione la liquidità necessaria per poter fare un investimento iniziale
che permetta di dare slancio all’impresa.
«Io non sono riuscito ad applicare le strategie che ho messo nel
business plan. Ma non l'ho potuto applicare per l'assenza del
credito su cui contavo perché se avessi avuto il finanziamento della
Banca le cose sarebbero andate a meraviglia… perché la mia era
proprio una strategia cioè un modo di lavorare che in Marocco è
ancora poco conosciuto» (Int.2 IT)
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Nelle parole dell’imprenditore, per questo tipo di commercio c’è bisogno infatti di tre
capitali: un capitale per avere uno stock di magazzino, un capitale per comperare la merce da
immettere nel mercato (ricevendo il pagamento solo al momento della consegna del secondo
ordine) e un terzo capitale per comperare i gadget (tazzine, parasoli, ecc.) che devono essere
regalati ai clienti. Non avendo liquidità a disposizione non possono fare grossi quantitativi di
acquisti che permetterebbero di contenere i costi e quindi di ampliare i profitti. La cifra che gli
permetterebbe di dare slancio agli affari è di 20 – 25.000 euro: con questi soldi l’impresa
potrebbe aumentare lo stock di merce a disposizione, investire nel marketing e allargare il
portafoglio di clienti.
Come già detto, nonostante il mancato ottenimento del finanziamento, si è comunque
deciso di fare partire l’impresa utilizzando il patrimonio personale del padre e in parte
ricorrendo anche a debiti. I piccoli profitti dell’impresa servono al momento per coprire i
debiti e senza che nulla resti per integrare il reddito della famiglia in Marocco. Inizialmente
erano stati assunti 3 venditori ma proprio per la mancanza di soldi da investire si è dovuto
ridurre il volume degli affari e al momento è impiegato un solo venditore. Questo ha anche
costretto a rivedere l’idea iniziale rispetto all’inquadramento dei dipendenti. L’idea del
migrante-imprenditore era di poter garantire delle condizioni contrattuali migliori ai
dipendenti rispetto a quelle normalmente offerte in Marocco, con poche garanzie e tutele. Il
progetto era anche quello di replicare il meccanismo del progresso di carriera sperimentato in
Italia in modo da fare diventare i dipendenti dei venditori autonomi che si sarebbero riforniti
da Vitalité Café, sviluppando in questo modo una rete di venditori. Ma anche questo non è
stato possibile realizzarlo.
Nonostante tutto si continua comunque a credere in questa impresa perché si vedono le
potenzialità di crescita e anche perché il padre, direttore di una scuola primaria, prevede di
dedicarsi all’impresa a tempo piano nel momento in cui andrà in pensione tra qualche anno.
L’esperienza di Vitalité Café mette anche in luce un altro importante problema con cui
gli aspiranti imprenditori si scontrano in Marocco: la burocrazia. Durante lo studio per il
business plan aveva appurato, attraverso un commercialista marocchino che ha seguito tutta la
pratica, che per importare le cialde e le macchinette per il caffè gli sarebbe bastata la
certificazione del Made in Italy. In questo modo sarebbe stato soggetto alla tassazione per le
merci provenienti dall’Europa pari al 20%. Una volta arrivato con la propria merce alla
dogana marocchina gli viene detto che avrebbe dovuto ritornare indietro per farsi fare il
certificato Euro 1. È quindi costretto a reimbarcarsi subito per la Spagna dove passa 10 giorni
per farsi fare il certificato. Tuttavia quando ritorna alla dogana marocchina gli viene detto che
comunque per il caffè non viene considerato valido il certificato Euro 1 e che quindi sarebbe
stato soggetto alla tassazione per i prodotti extra europei pari al 75%.
80
«Alla dogana mi hanno detto che per il caffè non è previsto l'Euro 1
in quanto il caffè non viene coltivato in Italia nonostante io abbia
detto che avevo certificato Euro 1 e il certificato dice che nel
momento in cui il prodotto viene lavorato al punto di modificarne il
gusto e il colore acquisisce l'originalità di quel paese. Ma
nonostante questo loro se ne sono fregati altamente.» (Int.2 IT)
Ha dovuto così pagare circa 8.000 euro di tasse alla dogana, denaro che gli sarebbe dovuto
servire per l’avvio dell’impresa che già non aveva ottenuto in finanziamento dalla banca. Si
mettono quindi in evidenza una mancanza di certezze delle regole e comportamenti poco
chiari da parte dei funzionari doganali. Infatti, anche da altre interviste emerge la tendenza a
creare dei problemi per le merci provenienti dai paesi occidentali differentemente da quelli
provenienti da altri paesi. Per questo motivo è stata abbandonata l’idea di importare
direttamente il caffè in cialde dall’Italia ma di appoggiarsi ad un grossista locale che importa
chicchi di caffè dall’Indonesia, dalla Guinea e dal Togo e che per questo non incontra
problemi alla dogana. Il caso dimostra come la burocrazia possa interrompere dei flussi
commerciali transnazionali tra Italia e Marocco generando uno svantaggio per entrambi i
paesi.
Bisogna comunque mettere in evidenza anche l’esperienza diversa di imprenditori
come Salah Atmani e Abdelaziz Rezki, che invece dichiarano di non avere avuto nessun tipo
di problema burocratico sia nell’importare materiale dall’Italia che nella fase di avvio
dell’Impresa. Tuttavia il secondo mette in luce un ulteriore ostacolo a cui deve far fronte
tuttora e che talvolta rallenta le attività della sua azienda: la mancanza di operai specializzati.
«Il problema che ho trovato è solo relativo agli operai ma per la
burocrazia non ne ho trovati, anche per i documenti non ho avuto
nessun tipo di problema. L'unico tipo di problema che ho trovato fin
dall'inizio è stato relativo agli operai perché non sanno lavorare
con le macchine che ho importato dall'Italia e poi non vogliono
avere dei pensieri loro non si pongono il problema di fare le cose
in un certo modo, loro pensano a fare una porta e se qualcosa viene
storto non è un problema per loro. Mentre io mi sono abituato a
lavorare in un altro modo perché tutto tutto dev'essere perfetto e
preciso… non vogliono usare il cervello, vogliono semplicemente fare
le cose ma senza pensare.» (Int.6 MA)
Come si nota il problema è relativo al dover formare gli operai per lavorare con il tipo di
macchinari importanti dall’Italia che non vengono impiegati in Marocco. Ma il problema è
anche relativo ad una diverso metodo di lavoro: come verrà messo in luce più avanti, i
migranti hanno appreso in Italia una mentalità di lavoro diversa sia in quanto hanno appreso
tecniche nuove e differenti sia perché si sono abituati a svolgere bene la propria mansione per
garantire un ottimo risultato finale complessivo in quanto il mercato italiano richiede un
prodotto finale perfetto. Invece le piccole falegnamerie di Tadla Azilal sono abituate a
lavorare in modo molto artigianale per un mercato molto localizzato in cui quelle che agli
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occhi di un migrante rappresentano delle imperfezioni, non vengono percepite come tali. Per
questo motivo l’imprenditore ammette che preferisce assumere persone giovani e senza grandi
esperienze nel settore piuttosto che persone con già anni di lavoro come falegnami alle spalle
in quanto sono meno disposte a modificare il proprio metodo di lavoro. Inoltre viene messa in
luce una diversa concezione della puntualità e delle assenze dal lavoro che talvolta rallentano
molto la produzione ma di cui la manovalanza locale, abituata a lavorare in modo autonomo e
artigianale, non sembra rendersi conto. Questo rappresenta un problema non secondario in
quanto l’imprenditore si è già trovato a rifiutare importanti commesse perché si è reso conto
che non avrebbe potuto garantire la consegna in un certo lasso di tempo e nemmeno una certa
qualità del lavoro.
Un ultimo problema che emerge dalla ricerca è relativo alla mancanza di fiducia nelle
istituzioni locali alle quali talvolta non si ricorre nella certezza che non potranno fare nulla o
per il dilagare della corruzione. È il caso sia del proprietario di Vitalité Café che, dopo
l’esperienza negativa, non prende in considerazione l’ipotesi di presentare il proprio progetto
ad altre banche per ottenere un finanziamento, sia del frantoio industriale della famiglia El
Mir a cui partecipa un migrante italiano. In questo caso il capo famiglia non conosce
nemmeno i servizi a cui teoricamente potrebbe avere accesso e non è nemmeno interessato a
conoscerli nella convinzione che comunque si rivelerebbero dei tentativi inutili. In questo
caso se per la prima parte del progetto, ossia per la costruzione del capannone, si è fatto
ricorso interamente alle rimesse dei famigliari all’estero e ora non sono più nelle condizioni di
inviare denaro a casa, si pensa di fare ricorso a un prestito bancario o più verosimilmente di
vendere parte della campagna di proprietà.
Il funzionario del CRI di Tadla Azilal (Int. 5 MA), ente pubblico marocchino che
opera per la promozione degli investimenti imprenditoriali, mette in luce quelle che sono le
difficoltà specifiche che riguardano i migranti che realizzano degli investimenti rispetto agli
altri investitori. Egli evidenzia come in primo luogo spesso ci sia il problema della gestione
concreta degli affari che viene affidata a parenti o amici. In questo caso il migrante avvia
l’impresa attraverso l’esperienza che ha acquisito all’estero e la segue a distanza. Tuttavia i
problemi sorgono in quanto la sua interfaccia locale spesso non ha l’esperienza e la
preparazione per guidare un certo tipo di affari.
Inoltre, sempre secondo il funzionario, spesso i migranti non conoscono più tanto bene
il contesto economico, sociale e giuridico locale. Quindi tentano di avviare degli affari senza
rendersi conto che sarebbero adatti nel contesto di emigrazione in cui si sono trasferiti e non
alle possibilità economiche e ai bisogni del contesto di origine.
Infine un ulteriore problema è relativo alla terra: talvolta accade che i migranti
concludano degli compravendite terriere durante il breve periodo di visita alla famiglia e non
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appurino se i terreni che acquistano, allo scopo di costruirvi una abitazione o un’attività
economica, siano fabbricabili. Capita quindi che si accorgano solo in un secondo momento di
avere acquistato dei terreni agricoli e si rivolgono poi alle istituzioni per ottenere il cambio
della destinazione d’uso che in genere, però, non è possibile ottenere.
3.6 Il ruolo delle istituzioni
Per quanto riguarda il contesto italiano sono pochi gli immigrati che sono entrati in contatto
con qualche istituzione per la realizzazione del proprio investimento imprenditoriale in
Marocco. Tra queste vi sono le Camere di Commercio: come già detto, nel caso di Vitalité
Café la partecipazione a parte di un corso organizzato dalla Camera di Commercio di Pavia ha
fornito all’imprenditore alcune nozioni per la realizzazione del business plan mentre altri
imprenditori sono entrati in contatto più o meno diretto con la Camera di Commercio di
Milano. Quest’ultima infatti era partner del progetto “In-formare: percorsi di co-sviluppo tra
Italia e Marocco”, si è occupata dell’organizzazione di alcune missioni a Tadla Azilal e
doveva svolgere delle attività di consulenza rispetto ai business plan presentati dai
partecipanti. Tuttavia nell’esperienza di Fakhita Haouari, l’unica intervistata ad avere preso
parte al progetto, l’ente camerale non ha svolto alcun ruolo di rilievo.
Viceversa i forum16 tra attori italiani e marocchini, che sono stati organizzati nel corso
del 2012 e del 2013 a Milano, hanno rappresentato per alcuni l’occasione di entrare in
contatto con alcune istituzioni come il CRI e successivamente cercare di mettere in contatto
con questo ente i parenti in loco che seguono direttamente i progetti. È il caso del frantoio
della famiglia El Mir di Béni Mellal: nel giugno 2013 Khalil Youbi partecipa al forum e mette
in contatto in questo modo il cognato in Marocco che gestisce il progetto. Tuttavia
dall’intervista di quest’ultimo emerge che successivamente si sia solo limitato a prendere un
contatto telefonico senza dare seguito ad ulteriori rapporti.
È interessante inoltre notare come nel caso sia del Consorzio MaItal sia del Consorzio
Iride le istituzioni italiane siano state del tutto ininfluenti in quanto le organizzazioni si sono
sviluppate in completa autonomia su iniziativa degli imprenditori senza appoggi istituzionali
in quanto non ne hanno sentito la necessità.
Per quanto riguarda invece il contesto marocchino, risulta da varie fonti (El Asri 2012;
FIIAP 2012; JMDI 2012) la proliferazione di enti istituzionali con competenze relative ai
marocchini residenti all’estero, senza tuttavia realizzare azioni che vadano oltre le
dichiarazioni di intento.
Il seminario “Percorsi di co-sviluppo tra Italia e Marocco” tenutosi a Milano nel maggio 2011 nell’ambito del
progetto “In-formare: percorsi di co-sviluppo tra Italia e Marocco” e il seminario “MEDEA – MEDiterraneo,
Expo e Agroalimantare” tenuto a Milano nel giugno 2013 nell’ambito del progetto “Dall’idea all’impresa: cosviluppo tra Lombardia e Tadla Azilal”, di cui anche il presente rapporto è parte.
16
83
Facendo riferimento ai casi analizzati, l’ente che viene menzionato più spesso dagli
intervistati è il CRI che ha una sua sede regionale a Tadla Azilal. L’ente ha lo scopo di
facilitare e incentivare gli investimenti nella zona al fine di stimolare la crescita economica
locale. Il CRI opera facendo studi di settore, fornendo informazioni ai potenziali investitori,
aiutando gli imprenditori nel disbrigo delle pratiche burocratiche e mettendo in contatto i
potenziali partner d’affari. In particolare nella fase di avvio della Sté Compix Liniara e della
Atmani Lighting Led è stato molto utile l’apporto del CRI nella fase inziale:
«Il centro di investimento per le attività mi ha aiutato per creare
l'attività, mi ha dato dei contatti di alberghi, di centri
commerciali ecc. Sono venuto prima a marzo per avere queste
informazioni, sono andato da loro e se sto partendo adesso è grazie
anche ai contatti che mi hanno dato. Adesso ho tutte le condizioni
per poter partire aspetto solo i prodotti. Mi hanno anche aiutato
con i permessi: sono andato lì e solo in tre giorni ho avuto il
permesso.» (Int.7 MA)
Tuttavia viene messo in luce ancora una volta il problema dell’accesso al credito, contro il
quale può fare poco anche il CRI: gli appoggi nel disbrigo delle pratiche burocratiche e le
altre forme di sostegno all’impresa non servono a molto se non si ottengono i soldi necessari
per realizzare gli investimenti.
«Quelli del CRI aiutano in un certo modo gli aspiranti imprenditori
ma poi possono ritornare indietro come prima perché il problema è
sempre relativo ai soldi. Lo stato ti dà pari opportunità ma se non
hai soldi non vai avanti. Loro ci aiutano per fare documenti, ecc.
ecc. però poi se non hai i soldi uno non può andare avanti.» (Int.6
MA)
Il rapporto con le banche risulta essere particolarmente critico e, di fatto, tra le imprese
che sono state analizzate nella ricerca quelle che sono più in salute, la Sté Coplix Linjara e la
Atmani Lighting Led, non hanno avuto rapporti con le banche per motivazioni di tipo
religioso. Gli imprenditori, infatti, nonostante l’interesse delle banche nei loro confronti,
hanno preferito investire a poco a poco i risparmi accumulati per ingrandire i loro
investimenti.
«Non ho chiesto soldi alla banca per prima cosa per la religione: io
non voglio prendere i soldi dalla banca perché sono soldi sporchi,
dal punto di vista dell'Islam è una cosa brutta perché gli interessi
non sono per noi una buona cosa. Ma loro mi hanno chiamato perché
volevano darmi soldi però io non li voglio. In verità io ho paura
perché se per caso io non vado bene come faccio a dare indietro i
soldi alla banca? Mi rubano tutto quello che ho fatto in Italia,
tutta la fatica che ho fatto in Italia me la rubano loro per un mese
o due mesi che non posso pagare. Quindi se ce la faccio vado avanti
se non ce la faccio con quello che ho.» (Int.6 MA)
84
A fianco a queste esperienze c’è il caso, di cui si è già parlato ampiamente, di Vitalité
Café che è stata penalizzata in partenza, più o meno direttamente, proprio dall’aver fatto
troppo affidamento sulle garanzie fornite da un istituto bancario.
Nel caso del Consorzio MaItal hanno avuto un certo peso i contatti personali che
l’ideatore del Consorzio, Muhammed Sghayr, aveva con alcune personalità politiche di spicco
in Marocco. Appare interessante notare come la dimensione transnazionale abbia rinsaldato
questi contatti. L’imprenditore è una figura di riferimento per la comunità marocchina di
Brescia dove è stato tra i fondatori del Forum Marocchino per l’Integrazione in Italia legato al
Partito della Giustizia e dello Sviluppo che al momento governa in Marocco. Proprio
nell’ambito di questa associazione ha preso parte all’organizzazione di diverse attività per
l’integrazione non solo dei marocchini ma anche dei migranti di varie nazionalità. Tra le altre
cose hanno organizzato una serie di incontri per fare conoscere il Marocco in Italia, invitando
alcuni politici tra i quali alcuni ministri marocchini. L’idea di formare un consorzio per
sostenere gli investimenti delle imprese italiane in Marocco è maturata proprio dal confronto
che si è istaurato in queste occasioni.
Successivamente questi rapporti sono stati fondamentali per l’avvio concreto degli
investimenti non solo incoraggiando l’iniziativa ma anche fornendo concrete informazioni su
come muovere i primi passi e su come inoltrare le richieste per ottenere le concessioni
governative o per la partecipazione ai bandi pubblici.
«Siamo in contatto con i ministri e con le organizzazioni civili poi
c'è il ministro dell'industria, il vicesegretario del ministro
dell'industria, la rappresentante del Parlamento marocchino nel
Parlamento europeo. C'è un gruppo di gente come il ministro delle
infrastrutture di trasporto che ha dato un grande appoggio al nostro
progetto ancora prima che iniziasse perché lo scopo generale del
progetto è quello di portare il buono del nostro paese e aiutare
l'imprenditore italiano a venire a investire in Marocco.» (Int.4 IT)
3.7 Le dinamiche di re-integrazione
Gli imprenditori intervistati mettono in luce una serie di difficoltà che hanno incontrato nel
momento in cui si sono ristabiliti in Marocco. Queste problematiche non riguardano solo il
processo di inserimento nel mercato locale ma soprattutto il fatto di doversi riadattare ad una
cultura e ad uno stile di vita a cui ormai non erano più abituati. Tali dinamiche risultano sia
dalle interviste effettuate con gli imprenditori ma soprattutto da un’intervista che è stato
possibile raccogliere con i membri dell’Associazione Jamaia Usrat Al Muhajir (Associazione
della Famiglia del Migrante) creata da pochi mesi da 11 migranti rientrati dall’Italia a causa
85
della crisi economica. L’associazione ha sede a Fkih Ben Salah da cui tutti i soci fondatori
sono originari.
Una prima difficoltà a reintegrarsi nel tessuto sociale marocchino deriva dal fatto di
avere sviluppato un’appartenenza identitaria forte all’Italia e alla sua mentalità da cui ci si
distacca a fatica. Il senso di appartenenza all’Italia risulta in molte interviste anche dal fatto
che molti ritornano in Italia per le vacanze proprio come un tempo facevano con il Marocco.
Accade spesso che parte della famiglia sia rimasta in Italia, soprattutto quando i figli sono
cresciuti lì, e quindi vi si faccia ritorno non appena possibile per stare in famiglia. È quindi
molto curioso vedere come i flussi di ritorno temporaneo tra Italia e Marocco si siano
invertiti, nel caso di questi migranti. Inoltre essi talvolta pianificano di acquistare una casa in
Italia grazie ai risparmi accumulati in Marocco con la propria attività imprenditoriale, con lo
scopo di tornarci una volta in pensione per passare la vecchiaia con la propria famiglia.
«Voi vi sentite italiani o marocchini?
Un 50 e 50. Questa è la nostra terra madre ma l'Italia è il paese
che ci ha allevato che ha fatto di noi di veri uomini… perché quello
che va in Italia e vede quello che abbiamo visto noi non penserà mai
di tornare. Ci siamo trovati bene e siamo stati bene. Lo dico
sinceramente per me se vedo qualche luce ancora in Italia, qualche
speranza di miglioramento, ci vado subito perché quando parlo
dell'Italia mi tocca proprio il cuore.» (Int.2 MA)
«Ti senti più appartenente all’Italia o al Marocco?
Più all’Italia perché dopo 10 anni passati lì mi sono abituato lì e
la mia mentalità è cambiata. È stato difficile tornare per vivere
qui in pianta stabile. Si sa che quando manchi da 10 anni trovi
tutto diverso, è come se fossi straniero nel tuo paese.» (Int.1 MA)
La difficoltà di riadattarsi alla mentalità marocchina si concretizza in un diverso
concetto del tempo e della puntualità, nelle difficoltà di inserire i figli che parlano l’italiano
nella scuola locale dove si parla l’arabo o il francese piuttosto che un metodo di lavoro
diverso.
«Con la gente qua non è come in Italia. Noi lì ci siamo abituati
alla puntualità, a tante cose e qui il tempo è un concetto diverso.
Diciamo che non so che cosa sono se sono marocchino, se sono
italiano non lo so bene che cosa sono.» (Int. 1 MA)
«…poi quando vieni qua per esempio i miei figli anche quando sono
andati a scuola hanno sempre avuto dei problemi di integrarsi perché
dovevano imparare ancora il francese e quindi hanno avuto dei
problemi di integrarsi anche qua. Quindi non è semplice ritornare
qua.» (Int.2 MA)
Inoltre c’è anche il rammarico di avere dovuto lasciare i rapporti sociali e le amicizie costruite
nel tempo, nonostante le difficoltà sopportate e talvolta alcuni episodi di discriminazione che
tendono a essere relativizzati.
86
«Abbiamo fatto un'esperienza di vita troppo diversa: abbiamo fatto
un'esperienza lavorativa e sociale, abbiamo conosciuto amici,
colleghi, anche medici e quindi abbiamo creato rapporti e abbiamo
lasciato questi rapporti in Italia.» (Int.2 MA)
«Abbiamo vissuto delle cose brutte però le cose belle sono state di
più di quelle brutte perché ci sono degli amici che c'hanno accolto,
dei padroni che non ci conoscevano nemmeno e invece hanno aperto le
porte per darci delle esperienze di lavoro in campi dove non avrei
mai pensato di lavorare.» (Int.2 MA)
Un’ulteriore difficoltà che emerge è relativa al riadattamento alla condizioni lavorative
in Marocco sia per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro sia per quanto riguarda il
livello degli stipendi. Dal primo punto di vista i migranti di ritorno subiscono una sorta di
frustrazione perché la loro esperienza acquisita in Italia non viene valorizzata ma anzi
vengono percepiti come competitors dagli altri lavoratori. Proprio al pari di come avviene
talvolta in Italia, vengono accusati dagli altri connazionali di rubargli il lavoro per via della
loro esperienza migratoria. In realtà non vi pare essere la disponibilità a dare credito alla
innovazioni che i migranti potrebbero portare poiché si riscontra una scarsa disponibilità a
modificare metodi di produzione consolidati.
«Io se vedo qualche cantiere in giro mi fermo sempre a vedere quello
che stanno facendo. Quando vedo che cosa fanno mi sento male perché
vedo che cosa fanno e vorrei dirgli: “Ma non si fa così! Si fa in un
altro modo” ma non ho la possibilità di poterglielo dire e non
accettano neanche i consigli che gli puoi dare. Se parliamo di fare
vedere e valorizzare l'esperienza che abbiamo avuto non ci danno la
possibilità di metterci in mostra. Hanno sempre nella loro mentalità
che vieni qua a rubargli il lavoro o a cambiare delle cose che per
loro vanno bene. Questo problema l'abbiamo trovato due volte una
volta in Italia e adesso in Marocco che c'accusano di rubare il
lavoro. E adesso mi domando perché qui non ci danno ascolto? Non ci
danno ascolto per valorizzare quello che abbiamo appreso che
potrebbe essere utile a loro stessi e al lavoro qui in Marocco?»
(Int.2 MA)
Lo stipendio in Marocco è molto inferiore rispetto alla paga media che un migrante riceve in
Italia per effettuare lo stesso tipo di lavoro. Questo determina che i migranti di ritorno non
possano permettersi lo stesso tenore di vita a cui erano abituati in Italia. Ciò è fonte di
frustrazione e di demotivazione al lavoro in quanto, nonostante tutti gli sforzi fatti, viene
percepito come una sorta di retrocessione sociale oltre che economica.
«Siamo abituati a vivere in Italia diciamo che uno è abituato a uno
stipendio di € 1500 al mese si fa una vita migliore dello stipendio
che puoi prendere qua che ti pagano 2000 dirham. Noi non siamo
disponibili a fare questi sacrifici perché ci siamo sacrificati per
farci un futuro in Italia e pari pari rientriamo indietro e dobbiamo
ricominciare a fare dei sacrifici ancora una volta. Diciamo che se
uno vuole cominciare da 2000 dirham può cominciare a lavorare anche
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già da domani ma io non lo accetto. Che cosa ci fa uno con 2000
dirham? Non può prendersi neanche un paio di scarpe!» (Int.2 MA)
Proprio il riadattarsi al tenore di vita in Marocco rappresenta la motivazione addotta da
alcuni imprenditori per gestire il proprio investimento in Marocco a distanza continuando ad
abitare in Italia.
«Tutto sarebbe difficile perché se torni giù in paese per carità
puoi creare anche altri posti di lavoro facendo un negozio, una
società, eccetera solo che lì è la mentalità della gente che è
diversa più che altro perché ormai io sono abituato qua e sono
abituato a fare un certo tipo di vita. Dovrei rinunciare a tante
cose… sono abituato a un certo mangiare, a un certo vestire, a
uscire ad andare al supermercato e trovare tante cose… tutte cose
che lo non fai.» (Int.3 IT)
Emerge quindi una dinamica molto interessante: una volta in Marocco i migranti di
ritorno devono riaffrontare per intero tutto il percorso di integrazione che hanno fatto in Italia.
Come viene messo in luce dalle parole di uno dei membri dell’Associazione, la differenza è
che mentre la migrazione verso l’Italia era l’esito di una scelta libera e sostenuta dal desiderio
e dall’entusiasmo di crescere e di costruirsi un domani migliore, il ritorno in Marocco
rappresenta una scelta obbligata verso una situazione caratterizzata da un livello di benessere
inferiore rispetto a quella faticosamente raggiunta in Italia.
«Abbiamo emigrato due volte solo che la prima poi è stata
un’integrazione fatta da noi perché siamo noi che siamo andati
incontro a quest'integrazione in Italia con la nostra volontà, per
cercare una vita migliore. Però la seconda no perché è stato un
atterraggio d'emergenza perché siamo dovuti rientrare obbligati.»
(Int.2 MA)
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SCHEDE STUDI DI CASO
STÉ COMPIX LINIJARA (BÉNI MELLAL)
PROPRIETARIO
Abdelaziz Rezki
ANNO DI CREAZIONE
2008
DESCRIZIONE ATTIVITÁ
Si tratta di una falegnameria industriale che lavora per clienti medio-piccoli nella zona di
Béni Mellal e nelle zone limitrofe. L’impresa dà lavoro a quattro operai e a una segretaria. È
stata creata investendo gradualmente i guadagni accumulati e inviando dall’Italia i
macchinari di una piccola impresa che il proprietario aveva avviato e chiuso agli albori della
crisi.
RAPPORTI CON L’ITALIA
Ad oggi non vi è alcun contatto commerciale con l’Italia. Il proprietario mantiene uno
stretto legame con il paese in quanto vi risiedono ancora alcuni dei suoi figli e vi si reca per
le vacanze annuali.
CONTATTI CON ISTITUZIONI
Marocco: CRI, Comune di Béni Mellal.
PROBLEMI
Il problema principale è costituito dalla mancanza di manodopera locale e dalla differente
cultura del lavoro degli operai che necessitano di essere continuamente supervisionati.
Questo ha impedito di accettare lavori di grandi dimensioni perché l’impresa non sarebbe
stata in grado di rispettare i tempi di consegna.
Un altro problema è costituito dalla mancanza di informazioni su come realizzare delle
partnership con produttore del settore in Italia.
89
VITALITÉ CAFÉ (BÉNI MELLAL)
PROPRIETARIO
Abdelilah Ouabich. Il referente locale in Marocco è il padre, Mustafah Ouabich.
ANNO DI CREAZIONE
2012
DESCRIZIONE ATTIVITÁ
Al momento l’attività dell’impresa consiste nella torrefazione e nella distribuzione di caffè
ai locali nelle zone di Bèni Mellal, Meknès e Marrakech. Il caffè in grani viene acquistato
da un importatore locale che acquista il caffè in Indonesia, Guinea e Togo. La torrefazione
avviene a Casablanca dove il caffè viene imbustato e inviato a Béni Mellal. Da qui viene
distribuito attraverso un venditore che lavora per l’impresa e pagato con una percentuale sul
venduto.
RAPPORTI CON L’ITALIA
Il proprietario è dovuto rientrare in Italia a causa del mancato sviluppo dell’impresa e
monitora gli affari attraverso costanti contatti telefonici e tramite rapporti settimanali che gli
vengono inviati tramite mail.
CONTATTI CON ISTITUZIONI
Marocco: Fondation Banque Populaire pour la Création d’Entreprise, Banque Populaire du
Maroc, CRI.
Italia: Camera di Commercio di Pavia.
PROBLEMI
L’attività è stata fortemente penalizzata a causa del mancato accesso al credito attraverso il
programma MDM Invest su cui era stata basata la strategia di sviluppo. Si è dovuto inoltre
cambiare il progetto iniziale di vendere caffè in cialde e macchinette per il caffè importati
dall’Italia a causa del mancato riconoscimento dell’applicazione del certificato Euro1, e
delle conseguente tassazione ridotta, su questa tipologia di merce. Per questo ci si è orientati
sulla commercializzazione di caffè proveniente da paesi in via di sviluppo.
90
ATMANI LIGHTING LED (BÉNI MELLAL)
PROPRIETARIO
Salah Atmani
ANNO DI CREAZIONE
2013
DESCRIZIONE ATTIVITÁ
L’impresa si occupa della vendita e dell’installazione di impianti di illuminazione che usano
la tecnologia innovativa dei led per negozi, attività aperte al pubblico e hotel. L’impresa sta
cercando di ottenere lavori di ampie dimensioni anche attraverso la realizzazione di
partnership con altri imprenditori.
RAPPORTI CON L’ITALIA
La maggior parte dei materiali vengono acquistate da aziende italiane soprattutto della
Lombardia. Il proprietario mantiene regolari contatti con l’Italia dove è socio di una catena
di negozi di parrucchiere, settore in cui precedentemente ha lavorato.
CONTATTI CON ISTITUZIONI
Marocco: CRI, Comune di Béni Mellal.
PROBLEMI
Ad oggi non viene riscontrato nessun tipo di problema.
91
CONSORZIO IRIDE (MILANO - CASABLANCA)
IDEATORE E SOCI
Ideato da Marcello Belotti (Gruppo Anna).
I soci sono 28 imprese medio-piccole prevalentemente della Lombardia.
Il referente locale in Marocco è Hafid Fajlane, con alle spalle una lunga esperienza come
operaio, presso il Gruppo Anna.
ANNO DI CREAZIONE
2011
DESCRIZIONE ATTIVITÁ
Il consorzio si occupa di fornire servizi a sostegno delle aziende interessate a investire nel
mercato marocchino. Il referente locale si occupa trovare partner commerciali in Marocco in
relazione al tipo di business e alle esigenze dell’imprenditore italiano; li assiste negli
incontri attraverso la traduzione, fornisce informazioni e li mette in contatto con un
commercialista italiano in Marocco. Ad oggi sono già state avviate alcune partnership tra
imprenditori italiani e marocchini prevalentemente nel settore terziario.
RAPPORTI CON L’ITALIA
Il rapporto con l’Italia è costante poiché le aziende italiane devono comunicare le loro
esigenze al referente locale il quale, a sua volta, comunica l’evoluzione dei contatti e
l’organizzazione degli incontri.
CONTATTI CON ISTITUZIONI
Marocco: Fondation Banque Populaire pour la Création d’Entreprise.
PROBLEMI
Per poter concludere gli affari gli imprenditori italiani devono essere disponibili a recarsi in
Marocco per qualche giorno almeno una volta al mese ma essi spesso non hanno il tempo
per farlo e questo rallenta i tempi per dare vita alle collaborazioni.
92
CONSORZIO MAITAL
(BRESCIA – VARIE LOCALITÁ DEL MAROCCO)
FONDATORE E SOCI
Ideato da Muhammed Sghayr.
Composto da 18 imprenditori e liberi professionisti, italiani e marocchini, residenti in
Lombardia (prevalentemente nelle province di Brescia e Bergamo).
ANNO DI CREAZIONE
2012
DESCRIZIONE ATTIVITÁ
Il consorzio si occupa di promuovere la realizzazione di investimenti da parte dei soci nel
contesto marocchino. La maggior parte dei soci lavora nel settore dell’estrazione delle
materie prime e in quello dell’edilizia ma ci sono anche soci che lavorano nel settore
sanitario e assistenziale. Il consorzio è impegnato a reperire, attraverso canali istituzionali,
le opportunità di realizzare degli affari attraverso la partecipazione a bandi e gare pubbliche.
Rispetto a ciascuna opportunità i singoli soci decidono liberamente di aderirvi o meno. Ad
oggi i soci del consorzio hanno ottenuto la concessione all’uso di due cave di calcestruzzo
ad Agadir e Rabat ed è in corso l’ottenimento di una ulteriore concessione per una cava nei
pressi di Marrakech.
RAPPORTI CON L’ITALIA
Tutti i soci sono residenti in Italia e da qui controllano i propri interessi in Marocco
attraverso frequenti viaggi in loco e attraverso contatti di alto livello nel contesto politico
marocchino.
CONTATTI CON ISTITUZIONI
Marocco: Ministro e Viceministro dell’Industria, Ministro delle Infrastrutture e dei
Trasporti, Rappresentante del Marocco presso il Parlamento Europeo.
Italia: Italcementi (azienda che già operava in Marocco).
PROBLEMI
Gli imprenditori italiani non sono a conoscenza delle buone opportunità di investimento
che, oggigiorno, offre il mercato marocchino che è in crescita. Ci sono una serie di stereotipi
e pregiudizi rispetto al paese che possono rappresentare degli ostacoli importanti che
generalmente vengono superati dopo una visita in loco.
93
FRANTOIO INDUSTRIALE DELLA FAMIGLIA EL MIR
(BÉNI MELLAL)
PROPRIETARIO
Famiglia El Mir. Gestisce il progetto in Marocco il capo famiglia: Amed El Mir
È sostenuto dai famigliari in Spagna e Italia tra cui il cognato Khalil Youbi che abita a
Milano.
ANNO DI CREAZIONE
Il frantoio è in fase di realizzazione.
DESCRIZIONE ATTIVITÁ
Si progetta di avviare un frantoio industriale per la produzione di olio e di olive sott’olio da
vendere in loco ed esportare all’estero soprattutto con l’aiuto del cognato in Italia. È stata
completata la costruzione di un fabbricato su uno dei terreni di proprietà grazie alle rimesse
dei famigliari all’estero. Sono attualmente in corso le trattative con una ditta pugliese per
l’acquisto di una macchina per la spremitura delle olive.
RAPPORTI CON L’ITALIA
È in collegamento con il cognato a Milano che ha procurato il contatto con l’azienda
pugliese e che gli ha procurato alcuni contatti con le istituzioni marocchine grazie alla
partecipazione al forum Medea avvenuto nel giugno 2013 a Milano.
CONTATTI CON ISTITUZIONI
Marocco: nessuno.
Italia: banca Crédit Génerale e, tramite la partecipazione a Medea, è entrato in contatto con
il CRI e la Fondation Banque Populaire pour la Création d’Entreprise (questi contatti non
sono però stati portati avanti dal capofamiglia in Marocco).
PROBLEMI
La mancanza di risorse economiche per la realizzazione delle successive fasi progettuali
porta a ipotizzare la vendita di parte della campagna della famiglia, poiché dai migranti non
arrivano più soldi a causa della crisi economica. Inoltre non vi è nessuna fiducia nelle
istituzioni locali. Ciò induce a non cercare il loro sostegno e porta a non avere in mente
nessuna strategia di sviluppo dell’impresa.
94
BED & BREAKFAST (BÉNI MELLAL)
PROPRIETARIO
Fakhita Haouari
ANNO DI CREAZIONE
Il progetto non è stato realizzato.
DESCRIZIONE ATTIVITÁ
Si era progettato di aprire un bed & breakfast a Béni Mellal con l’idea di potenziare l’offerta
turistica della zone e di creare di flussi turistici diretti dall’Italia verso Tadla Azilal. Il
progetto è stato creato all’interno del percorso per l’avvio di start up in Marocco nell’ambito
del progetto “In-formare: percorsi di co-sviluppo tra Italia e Marocco”.
RAPPORTI CON L’ITALIA
L’aspirante imprenditrice risiede in Italia da molti anni ed è sposata con un italiano.
CONTATTI CON ISTITUZIONI
Marocco: CRI, Fondation Banque Populaire pour la Création d’Entreprise, Fondation IntEnt.
Italia: Camera di Commercio di Milano, Cosv, Medinaterranea.
PROBLEMI
L’avvio di questa attività è stato sconsigliato in quanto non ancora adatta al piccolo mercato
turistico locale. Si sono riscontrate difficoltà tecniche come la mancanza di servizi e di
infrastrutture nella zona. All’inizio del percorso non è stato chiarito all’aspirante
imprenditrice che per ottenere il credito necessario per investire avrebbe dovuto mettere il
proprio patrimonio personale come garanzia. Inoltre non ha trovato nei partner del progetto
il supporto concreto che si sarebbe aspettata di trovare.
95
APPENDICE 1
LISTA DEGLI INTERVISTATI
ITALIA
1. FAKHITA HAOUARI, aspirante imprenditrice (tentativo fallito di creare un bed &
breakfast a Béni Mellal), Milano, 24 settembre 2013, italiano.
2. ABDELILAH OUABICH, proprietario impresa Vitalité Café, Milano, 8 ottobre e 23
ottobre 2013, italiano.
3. KHALIL YOUBI, referente italiano del progetto di avvio di un frantoio industriale a
Béni Mellal, Milano, 24 ottobre 2013, italiano.
4. MUHAMMED SGHAYR, ideatore Consorzio MaItal, Ospedaletto (Brescia), 23
ottobre 2013, italiano.
MAROCCO
1. HAFID FAJLANE, referente in Marocco del Consorzio Iride, Casablanca, 25
novembre 2013, italiano.
2. Soci fondatori ASSOCIAZIONE JAMAIA USRAT AL MUHAJIR (Associazione
della Famiglia del Migrante), Fkih Ben Salah, 25 novembre 2013, italiano.
3. AHMED EL MIR, responsabile del progetto di avvio di un frantoio industriale a Béni
Mellal, 26 novembre 2013, francese.
4. DRISS EL OMARI, responsabile della sede di Béni Mellal della Fondation Banque
Populaire du Maroc pour la Création d’Entreprise, Béni Mellal, 26 novembre 2013,
francese.
5. ADIL AZMI, funzionario Centre Régional des Investissements di Tadla Azilal, Béni
Mellal, 26 novembre 2013, inglese.
96
6. ABDELAZIZ REZKI, proprietario Sté Comix Linijara, Béni Mellal, 27 novembre
2013, italiano.
7. SALAH ATMANI, proprietario Atmani Lighting Led, Béni Mellal, 27 novembre
2013, italiano.
8. MUSTAFAH OUABICH, referente locale e padre del proprietario di Vitalité Café,
Béni Mellal, 27 novembre 2013, francese.
APPENDICE 2
TRACCIA DI INTERVISTA
Come è nata l’idea di questa attività in Marocco?
Da quanto tempo stava pensando di investire in Marocco?
Quali fattori l’hanno spinta a mettere in pratica la sua idea di investimento in Marocco?
Come ha scelto il luogo dove creare la sua impresa in Marocco?
C’è stata qualche persona/ufficio/istituzione che, in Italia, l’ha aiutata nella fase di
progettazione?
Se sì chi/quale? Come ha trovato l’aiuto che le hanno fornito?
C’è stata qualche persona/ufficio/istituzione che, in Marocco, l’ha aiutata nella fase di
progettazione?
Se sì chi/quale? Come ha trovato l’aiuto che le hanno fornito?
Ha avviato l’attività da solo o in partnership con qualche altro socio? Se sì in Italia o in
Marocco? Come ha trovato questo/i socio/i?
In cosa consiste attualmente la sua attività?
Ha dovuto modificare la sua attività rispetto all’iniziale idea progettuale? Se sì che cosa ha
cambiato? Perché?
Quali sono state le principali difficoltà che ha affrontato durante l’avvio della sua attività
imprenditoriale? Quali sono le difficoltà che si trova a fronteggiare ora?
Quali sono gli obiettivi che si pone per lo sviluppo della sua attività nel futuro?
Secondo lei in che modo le istituzioni italiane potrebbero aiutare le attività come la sua? E le
istituzioni marocchine?
Brevemente mi potrebbe raccontare la sua storia?
97
Quando è arrivato in Italia?
Come mai ha scelto di emigrare in Italia?
Quali lavori ha svolto?
In quali città ha abitato?
Vive con la sua famiglia? Se sì quando l’hanno raggiunta?
Perché ha deciso di rientrare in Marocco e quali sono stati i problemi principali che ha
affrontato quando è ritornato?
TRACCIA D’INTERVISTA IN FRANCESE
Comment est née l’idée de faire cette activité au Maroc?
C'était depuis combien de temps que vous aviez l’intention de créer une activité au Maroc?
Quels sont les facteurs qui vous ont poussé à mettre en pratique votre idée d’investissement
au Maroc?
Comment avez-vous choisi le lieu où réaliser votre activité au Maroc?
Est-ce que il y a eu de personnes/bureaux/institutions en Italie qui vous ont aidé pendant la
phase de préparation? Si oui, qui/quel/le? Comment avez-vous trouvé l’aide qu’ils vous ont
donné?
Est-ce que il y a eu de personnes/bureaux/institutions au Maroc qui vous ont aidé pendant la
phase de préparation? Si oui qui/quel/lle? Comment avez-vous trouvé l’aide qu’ils vous ont
donné?
Est-ce que vous avez commencé votre activité tout seul ou avec des partenaires? Si oui, vous
les avez trouvés en Italie ou au Maroc? Comment avez-vous trouvé ces partenaires?
Actuellement de quoi il s'agit-il votre activité?
Est-ce que vous avez dû apporter des modifications à votre activité par rapport à l’idée du
projet initial? Si oui, qu’est-ce que vous avez changé? Pourquoi?
Quelles ont été les difficultés les principales que vous avez expérimenté quand vous avez
commencé cette activité? Quelles sont les difficultés que vous avez maintenant?
Quels sont vos objectifs pour développer votre activité dans le futur?
Selon vous de quelle manière les institutions italiennes pourraient aider les activités comme la
vôtre? Et les institutions marocaines?
Pouvez-vous me raconter brièvement votre histoire?
Quand est-ce que vous êtes arrivé en Italie?
Pourquoi avez-vous décidé d’émigrer en Italie?
98
Quels travaux avez-vous fait?
Dans quelles villes avez-vous habité?
Est-ce que vous vivez avec votre famille? Si oui, quand est-ce qu’ils vous ont rejoint?
Pourquoi avez-vous décidé de rentrer au Maroc? Quelles ont été les problèmes principaux que
vous avez rencontré quand vous êtes rentrés au Maroc?
99
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