DALL’IDEA ALL’IMPRESA: CO-SVILUPPO TRA LOMBARDIA E TADLA AZILAL RAPPORTO DI RICERCA curato da Francesco Marini con testi di Francesco Marini, Egidio Riva e una Premessa di Marco Sergi Supervisione scientifica: Marco Caselli Marzo 2014 "Dall'idea all'impresa: co-sviluppo tra Lombardia e Tadla Azilal" è un progetto co-finanziato dal Comune di Milano. Il contenuto di questo studio non può essere in nessun caso considerato responsabilità del donatore e non ne riflette le posizioni. INDICE Premessa 4 Introduzione Il percorso di ricerca 7 7 Capitolo primo – I migranti marocchini in Lombardia 1.1 1.2 1.3 1.3.1 1.3.2. 1.3.3 1.3.4 Principali caratteristiche della comunità marocchina in Lombardia Caratteristiche dei migranti originari della regione di Tadla Azilal in Lombardia I migranti marocchini a Milano La condizione lavorativa Lavoro autonomo e imprenditoria I redditi da lavoro Spesa, risparmio e rimesse 10 10 15 17 18 21 24 24 Capitolo secondo – Flussi migratori di ritorno in Marocco 2.1 Le migrazioni di ritorno in Marocco: il quadro d’insieme Effetti e caratteristiche dei flussi di ritorno nella regione di 2.2 Tadla Azilal 2.2.1 Gli investimenti dei migranti di ritorno 25 25 41 Capitolo terzo – Esperienze di impresa tra Lombardia e Tadla Azilal 3.1 Le teorie sulla migrazione di ritorno e i casi studio 3.2 Le attività di impresa 3.3 Fattori di stimolo dell’imprenditoria di ritorno 3.3.1 Gli stimoli dal versante italiani 3.3.2 Gli stimoli dal versante marocchino 3.4 Il percorso migratorio 3.5 I problemi per la realizzazione dell’impresa transnazionale 3.5.1 Le difficoltà derivanti dal contesto italiano 3.5.2 Le difficoltà derivanti dal contesto marocchino 3.6 Il ruolo delle istituzioni 3.7 Le dinamiche di re-integrazione 57 57 58 67 67 70 73 78 78 81 86 89 Schede studi di caso Sté Compix Linijara Vitalité Café Atmani Lighting Led Consorzio Iride 50 92 92 93 94 95 2 Consorzio MaItal Frantoio industriale della famiglia El Mir Bed & Breakfast 96 97 98 Appendice 1 Lista degli intervistati Appendice 2 Traccia di intervista 99 100 Bibliografia 102 3 PREMESSA Questa ricerca nasce all’interno di un percorso che MEDInaTERRANEA ha avviato nel 2010 sul tema del co-sviluppo, grazie ai contributi del Comune di Milano. MEDInaTERRANEA è una associazione di mediatori culturali formata da emigrati italiani nei paesi del Mediterraneo e da immigrati arabi in Italia che si è occupata negli ultimi anni della creazione di prodotti editoriali multilingue. La modalità di lavoro è lo “sviluppo di reti”: il coinvolgimento diretto di attori con obiettivi comuni quali imprenditori, associazioni, istituzioni e istituti di ricerca che lavorano per rafforzare le relazioni culturali, economiche e commerciali tra Italia e Marocco. Numerosi sono i partner marocchini e italiani con cui l'associazione ha collaborato in questi anni: il Comune di Milano, l'Ong COSV, associazioni marocchine in Lombardia (Anessic, ACMID Lombardia, al Ouissal, Marocco Integrazione, Shorfa MRE), l'Unione Artigiani di Milano, Monza e Brianza, la fondazione ISMU, PROMOS e Ispramed (Camera di Commercio di Milano), l'università Statale di Milano, Iride contratto di rete, il Ministero della Comunità Marocchina Residente all'Estero, il Consolato marocchino a Milano, il Centro Regionale per gli Investimenti della regione Tadla Azilal, la Fondazione Creazione d'Impresa della Banca Popolare del Marocco, l'associazione per l'aiuto alle start-up IntEnt Maroc. In questa premessa vogliamo soffermarci sul ruolo del non-governativo/no-profit nello sviluppo di nuove relazioni economiche tra paesi del Mediterraneo. Fondamentale per questa analisi è scardinare alcuni luoghi comuni sulla Cooperazione Internazionale cercando di superare una visione solo filantropica della Cooperazione e far capire che le interconnessioni tra Nord e Sud sono sempre più strette e solo un sistema aperto può dare risultati utili per tutti attraverso uno scambio equo e corretto. Co-sviluppo è la parola chiave: grazie alla sua posizione nel Mediterraneo e grazie al suo know how, l'Italia rappresenta un importante ponte verso l'Africa, il vicino e il medio oriente e l'Asia. Gli investimenti stranieri e le migrazioni degli ultimi decenni hanno garantito la conoscenza e la fiducia verso il nostro Paese da parte di altre zone del mondo, oggi pronte ad offrire agli emigrati di rientro e alle imprese italiane interessanti opportunità. Inoltre, l'innovazione italiana può garantire ai paesi in crescita gli strumenti necessari per gestire il proprio sviluppo in chiave sostenibile e duratura, migliorando la qualità dei prodotti offerti, contribuendo all'educazione dei più giovani e alla formazione della manodopera specializzata di domani, sviluppando una reciproca crescita cosciente e rispettosa delle risorse oggi a disposizione. Durante il Forum della Cooperazione Internazionale, svoltosi a Milano l’1 e 2 ottobre 2012, un gruppo di lavoro specifico ha elaborato un position paper sul co-sviluppo e un 4 FuoriForum è stato dedicato al Mediterraneo. Il gruppo di lavoro del Forum che ha trattato la questione del “ruolo delle diaspore e delle comunità dei migranti nella cooperazione” sottolinea l'assenza di politiche coerenti a livello nazionale e transnazionale. E’ ormai evidente la necessità di sviluppare politiche di co-sviluppo dirette al sostegno e alla valorizzazione delle capacità professionali e imprenditoriali dei migranti con un approccio maggiormente focalizzato sui paesi del Sud, che oggi attraggono sempre di più flussi di persone provenienti dall’Europa in cerca di nuovi mercati. La modalità d’intervento del co-sviluppo è infatti diretta a valorizzare le competenze, le risorse e la mobilità dei migranti in un processo dinamico, centrato sul valore della persona e sulla rete di relazioni sviluppata nelle comunità di origine e di accoglienza. L’elaborazione di politiche trasversali e coerenti devono tenere in considerazione il percorso migratorio nel suo complesso. I progetti volti a valorizzare il contributo degli stranieri e delle loro associazioni nell’avvio di attività generatrici di reddito o in ambiti socio-comunitari mostrano risultati promettenti, ma emerge il bisogno di politiche più coerenti in ambito economico, culturale e sociale. I fenomeni migratori rappresentano una delle caratteristiche più tipiche dell’area EuroMediterranea e oggi la Cooperazione allo Sviluppo deve confrontarsi in maniera prioritaria con essi. Per rispondere a sfide globali si devono chiamare a raccolta risorse globali e questo è possibile solo in un’ottica di collaborazione multisettoriale. L’ottavo obiettivo del millennio dell'ONU stabilisce che per assicurare a tutti i popoli un livello di vita dignitoso è indispensabile la partecipazione di tutti gli attori della scacchiera economica mondiale: dalle istituzioni del settore pubblico, a quelle regolatrici del settore commerciale e finanziario, alle imprese private, alle Ong. Quali sono quindi le vie attraverso cui le diverse strategie e necessità possono integrarsi in un approccio di sistema? Come passare dal modello tradizionale di cooperazione allo sviluppo a un nuovo modello dove gli attori privati profit svolgono un ruolo decisivo? Determinante a nostro parere è che gli attori privati, profit e non profit, collaborino a partire dal riconoscimento delle reciproche specificità e competenze, all’interno di finalità condivise. In questa prospettiva, i comportamenti e gli investimenti di oggi rappresentano l’economia e lo sviluppo di domani. Argomenti quali sviluppo economico, commercio internazionale, investimenti, partnership economiche, joint ventures, non sono sicuramente delle novità. Lo diventano però se nella loro natura imprenditoriale vengono coniugate col tema dello sviluppo come affrontato dalla Cooperazione Internazionale: con il coinvolgimento di partner locali, con una attenzione verso lo sfruttamento sostenibile delle risorse, promuovendo il rispetto dei diritti 5 dei lavoratori enfatizzando la responsabilità sociale d'impresa. In questo scenario, la partecipazione diretta delle comunità immigrate occupa un ruolo centrale: non è solo una questione di rimesse, ma si tratta anche di strategie di crescita imprenditoriale ed economica personale che possono trovare nuovi canali di espansione favorendo lo sviluppo nel proprio Paese. La presente ricerca egregiamente realizzato dalla Fondazione ISMU vuole contribuire ad analizzare da un punto di vista scientifico la forza lavoro marocchina in Lombardia e le ricadute sulla principale regione di provenienza di questa comunità, Tadla Azilal. Vengono proposti esempi relativi alle intenzioni degli imprenditori di rientro, alle opportunità a loro offerte e ai problemi da loro riscontrati durante questo percorso. Oggi molti marocchini residenti in Italia si trovano ad affrontare una “seconda migrazione” verso la loro terra d'origine, portatori di saperi, contatti con imprenditori italiani e idee innovative. Potranno queste persone aiutare i loro connazionali di rientro e gli imprenditori italiani emigrati in Marocco a sviluppare relazioni economiche, commerciali e culturali, grazie all'esperienza coltivata durante la loro migrazione verso l'Italia? A nostro avviso, con il dovuto supporto da parte degli attori coinvolti in questo processo, questo percorso può rappresentare un importate stimolo di rilancio dell'economia su entrambe le sponde. Marco Sergi, Presidente di MEDInaTERRANEA 6 INTRODUZIONE In questo rapporto vengono presentati i risultati di una ricerca condotta dalla Fondazione Ismu riguardante i legami tra la regione Lombardia e la regione marocchina di Tadla Azilal, da cui ha origine buona parte dei migranti marocchini presenti sul territorio. In particolare la ricerca, che si colloca nell’ambito del progetto “Dall’idea all’impresa: co-sviluppo tra Lombardia e Tadla Azilal”, ha indagato gli investimenti imprenditoriali realizzati in patria dai migranti marocchini che sono rientrati nel luogo di origine o che li gestiscono a distanza, continuando a vivere in Lombardia. La ricerca contribuisce a fare luce sul ruolo e sulle potenzialità dei migranti come attori transnazionali che mettono in contatto il luogo di origine con quello di destinazione dando vita a effetti positivi in entrambi i contesti La ricerca si inserisce nell’interesse della Fondazione Ismu a esplorare l’evoluzione dei fenomeni migratori. In quest’ottica il transnazionalismo e il co-sviluppo rappresentano delle tematiche che mettono in evidenza nuove caratterizzazioni e potenzialità delle migrazioni verso le quali la Fondazione ha dedicato ampia attenzione attraverso numerosi studi1, la partecipazione a progetti internazionali 2 e l’adesione all’European Network on Migration and Development (Eunomad). Il percorso di ricerca In accordo con l’Associazione Medinaterranea, capofila del progetto, la ricerca si è posta il duplice obiettivo di chiarire i legami transnazionali tra la Lombardia e il Marocco – in modo particolare con la regione di Tadla Azilal – e di capire se e come i marocchini presenti nella regione italiana acquisiscano competenze e capacità in grado di stimolare lo sviluppo economico del contesto locale di origine. Il rapporto è composto da tre capitoli, ognuno corrispondente ad una fase della ricerca. Il primo capitolo contiene i risultati della fase iniziale della ricerca, durante la quale si provveduto ad analizzare le caratteristiche della presenza marocchina in Lombardia attraverso i dati della ricerca che l’Osservatorio Regionale sull’Integrazione e la Multietnicità (Orim) realizza annualmente nel territorio regionale. Si è approfondito in modo particolare la situazione economica e lavorativa dei marocchini residenti a Milano e provincia attraverso l’indagine annuale che l’Orim conduce relativamente a questo territorio. Poiché i dati Orim forniscono indicazioni solo sul paese di provenienza e non sulla regione, è stata estesa la ricerca ad altre fonti internazionali che permettessero di rintracciare qualche dato sui marocchini provenienti dalla regione di Tadla Azilal in Lombardia. I dati più recenti che sono Ci si limita a ricordare le principali pubblicazioni al riguardo: Ambrosini e Berti 2009; Caselli 2009a, 2009b; Zanfrini e Sarli 2009, 2010; Lombardi 2010; Marini 2012, 2014. 2 “MAPID - Migrants’ associations and Philippine Institutions for Development”, “Due Sponde - Sviluppo economico e promozione di imprese socialmente orientate nei dipartimenti d’origine dell’emigrazione peruviana”, “Perù Migrante”. Per informazioni si veda il sito: http://www.ismu.org 1 7 stati reperiti sono relativi alla ricerca dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM) “Mig-ressources, migrazione e ritorno risorse per lo sviluppo”, pubblicata nel 2010, utilizzando i dati forniti dal Ministero degli Esteri e della Cooperazione del Marocco relativi al 2008. Inoltre si sono analizzati i dati forniti dalla Camera di Commercio relativamente agli imprenditori marocchini presenti a Milano e provincia. La mancanza di un coordinamento camerale a livello regionale e le risorse a disposizione non hanno reso possibile l’estensione di questo tipo di analisi anche alle altre province lombarde. Nella fase successiva della ricerca, esposta nel secondo capitolo, è stata condotta una rassegna della letteratura relativamente ai flussi migratori di ritorno verso il Marocco. In questo modo si è cercato di fare luce sulle cause, gli effetti e le caratteristiche dei marocchini che rientrano nel paese di origine prestando attenzione al ruolo svolto nel settore imprenditoriale e in particolare nel contesto di Tadla Azilal. Da questo punto di vista è stata particolarmente utile la ricerca condotta dall’European University Institute nell’ambito del progetto MIREM (Khachani et al. 2008) che ha preso in considerazione anche questa regione. I dati di tale ricerca sono stati integrati con quelli di ulteriori studi che hanno riguardato altre zone del Marocco (CERED 2004; Khachani 2011; ETF 2013). Il terzo capitolo contiene l’analisi degli studi di caso, condotti nella fase conclusiva della ricerca. Quest’ultima fase in realtà si è svolta parallelamente a quelle sopra esposte ed è consistita nell’individuazione degli studi di caso e nella ricerca sul campo in Italia e in Marocco. L’identificazione degli studi di caso si è rivelata una fase particolarmente difficile. Infatti, con le eccezioni dell’Associazione Medinaterranea, del Centre Régional des Investissements di Tadla Azilal (CRI) e, nella fase finale, della Fondation Banque Populaire pour la Création d’Entreprise, tutti gli altri partner progettuali non hanno fornito la propria collaborazione in questo delicato passaggio della ricerca. In particolare, i dati forniti dalla Camera di Commercio non erano fruibili a questo scopo in quanto, oltre alla nazionalità, non permettono di capire né il luogo di provenienza del singolo imprenditore né tantomeno di capire le eventuali connessioni transnazionali che egli possa avere in Marocco. Ci si è quindi messi in contatto con l’Ambasciata Italiana in Marocco e con la Camera di Commercio ItaloAraba me entrambe non sono state in grado di fornire indicazioni utili. A questo punto si è rivelato prezioso l’aiuto del CRI che ha messo a disposizione il proprio database contenente la lista dei migranti marocchini che hanno dato avvio a degli investimenti nella regione negli ultimi dieci anni. Da questa lista è stato possibile estrapolare gli investitori rientrati dall’Italia. Il CRI, tramite un suo funzionario, ha quindi provveduto a contattare gli imprenditori per capire in quale regione italiana avessero vissuto. In questo modo sono stati isolati alcuni possibili casi da studiare e sono stati contattati telefonicamente gli imprenditori. In questo 8 modo si è appurato l’effettiva connessione dell’imprenditore con la Lombardia e le dimensione della propria impresa. Si è giunti pertanto all’individuazione di tre casi studio: Sté Compix Linijara, Atmani Lighting Led e Vitalité Café. Tuttavia le difficoltà con cui si sono individuati i casi da studiare hanno reso indispensabile prendere contatti anche con altri attori marocchini presenti in Lombardia. In particolare i contatti con il Console generale di Milano, con un funzionario della banca marocchina Societé Génerale, con sede a Milano, e la collaborazione con Medinaterranea hanno reso possibile entrare in contatto con altre esperienze imprenditoriali che si è deciso di analizzare comunque anche se rappresentano dei progetti imprenditoriali non realizzati (il progetto di avvio di un bed & breakfast), non ancora compiuti (il caso di un frantoio industriale) o che non riguardano la zona specifica di Tadla Azilal (il Consorzio Iride e il Consorzio MaItal). La fase di campo vera e propria si è svolta, attraverso la somministrazione di interviste semi-strutturate, in Italia nei mesi di settembre e ottobre 2013 e in Marocco nel mese di novembre 2013. Nel testo le interviste sono collegate a ciascuna fase di campo rispettivamente con le sigle IT e MA. L’elenco dettagliato degli intervistati è riportato nell’appendice 1 mentre la traccia dell’intervista, in italiano e in francese, si trova nell’appendice 2. 9 CAPITOLO PRIMO I MIGRANTI MAROCCHINI IN LOMBARDIA 1.1 Principali caratteristiche della comunità marocchina in Lombardia3 Secondo i dati del Ministero dell’Interno (2012) i migranti regolari in Italia sono 3.637.724, di cui il 26,8% sono residenti in Lombardia. I migranti marocchini, con 124mila presenze regolari, risultano essere il più grande gruppo di extracomunitari nella regione, seguiti da albanesi (103mila), egiziani (81mila), cinesi (61mila) e indiani (54mila), come illustra la tabella 1. Anche a livello nazionale i marocchini, con 506mila presenze regolari, risultano essere la più grande comunità di cittadini non comunitari seguita da quella albanese (491mila), cinese (278mila), ucraina (224mila) e filippina (152mila). Tabella 1: Cittadini non comunitari regolarmente presenti al 1° gennaio 2012 (Prime 5 nazionalità in Lombardia) Fonte: elaborazioni Istat (2012) su dati Ministero dell’Interno Paesi di cittadinanza Ambito di presenza Lombardia Italia Marocco 123.533 506.369 Albania 102.577 491.495 Egitto 80.973 117.145 Cina 61.140 277.570 Indiani 54.367 145.164 La comunità marocchina in Lombardia è caratterizzata da una prevalenza di genere infatti i maschi sono il 56,3% mentre le femmine rappresentano il 43,7%. Questo dato è superiore rispetto alla suddivisione di genere del totale dei migranti presenti in regione: il 51,2% sono uomini e il 48,8% donne. Tenendo conto anche della popolazione irregolare, l’Orim stima in 128mila le presenze marocchine nella regione. A partire dal 2001 il numero assoluto dei migranti marocchini in Lombardia è stato caratterizzato da un trend in crescita ad un tasso annuo del 7,1% tra 2001 e il 2011. Questo trend subisce una inversione di tendenza solo a partire dal 2012, anno in cui, per la prima volta, si registra un calo di presenze marocchine in numero assoluto come si vede dal grafico 1. Dove non viene esplicitata la fonte dei dati si fa riferimento a: Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità - Orim (2013). 3 10 Grafico 1 Numero di marocchini presenti in Lombardia dal 1 gennaio 2001 al 1 luglio 2012 Fonte: Elaborazione su dati Orim (2013) 140.000 120.000 100.000 80.000 60.000 40.000 20.000 0 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 N. marocchini 58.400 63.000 70.60081.40094.600 98.600106.70 115.30127.50 129.70 131.80128.00 Secondo la stessa fonte spetta agli immigrati di origine marocchina la più alta numerosità di presenze irregolari in Lombardia: con più di 12mila casi rappresentano il 12,5% del totale seppur, rispetto al 2011, vi sia un calo di 2mila casi. Tuttavia i marocchini fanno registrare i più alti tassi di irregolarità, tra gli stranieri provenienti dai paesi di forte pressione migratoria (Pfpm), solo nelle provincie di Como (16%) e Varese (11%). Tabella 2: Stima dei migranti marocchini presenti in Lombardia al 1 luglio 2012 per province. Arrotondamento a 50 unità. Fonte: Orim (2013) Provincia Varese Como Sondrio Milano Monza Brianza Bergamo Brescia Pavia Cremona Mantova Lecco Lodi Totale Migranti marocchini 11.250 7.200 2.300 21.800 8.650 24.550 23.350 5.750 5.700 9.400 4.950 3.050 128.000 Rispetto alla distribuzione geografica dei migranti marocchini all’interno del territorio regionale, la maggiore concentrazione si trova in provincia di Bergamo (24mila), seguita da quella di Brescia (23mila) e Milano (poco meno di 22mila). In tutte le altre province le presenze vengono stimate al di sotto delle 10mila unità, come risulta dalla tabella 2. 11 Dal punto di vista anagrafico, come si vede dai dati del grafico 2, più del 50% dei cittadini marocchini in Lombardia sono concentrati nelle fasce d’età che vanno dai 30 ai 49 anni. La fascia di età tra i 30 e i 34 anni risulta essere la più numerosa con il 22% delle presenze. Questa fascia d’età, in linea con la tendenza regionale circa la distribuzione anagrafica della popolazione migrante, rappresenta uno spartiacque per la popolazione marocchina: la quota della popolazione cresce costantemente nelle fasce d’età precedenti ai 30-34 anni per poi scendere in quelle successive fino ad arrivare a dei livelli molto bassi in quella superiore ai 65 anni. Grafico 2 Distribuzione in fasce d'eta (%) dei migranti marocchini in Lombardia Fonte: Elaborazione su dati Orim (2013) 65+ 60-64 55-59 50-54 45-49 40-44 35-39 30-34 25-29 20-24 15-19 0 5 10 15 20 25 Per quanto riguarda lo stato civile, per il 65% i marocchini risultano coniugati e circa nel 30% dei casi risultano celibi/nubili. Facendo riferimento alla dimensione religiosa, la quasi totalità di essi (98,7%) è mussulmana e non si registra nessuna presenza di cattolici. Analizzando i titoli di studio dei migranti marocchini si nota una sorta di convergenza ai due estremi: se il 10,4% non ha nessun titolo, l’8,6% ha un titolo universitario. Tra questi due estremi il 35,7% ha completato la scuola secondaria di primo grado e il 32,2% quella di secondo grado. Rispetto ai dati relativi al totale della popolazione straniera in Lombardia, i marocchini tendono a scostarsi facendo registrare percentuali inferiori per quanto riguarda i titoli universitari e della scuola secondaria di II grado e superiori per quanto riguarda tutti gli altri titoli. In modo particolare, rispetto alle altre principali nazionalità dei migranti presenti in regione, il Marocco fa registrare il valore più alto (10,4%) di persone che non sono in possesso di nessun titolo di studio scostandosi di molto rispetto ai dati relativi all’insieme dei migranti in regione come mostrato dalla tabella 3. 12 Il 52,2% dei casi è in possesso di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato a fronte del 58,5% del totale della popolazione migrante. Colpisce il dato relativo ai permessi per ricongiungimento famigliare che con il 40,7% risulta essere secondo solo all’India (42,7%) e supera di quasi 10 punti percentuali il dato riferito al totale regionale (30%). I permessi per lavoro autonomo sono il 5%, lievemente al di sotto rispetto al dato riferito al totale dei migranti che è del 6,2%. Tabella 3: Ripartizione (%) secondo il titolo di studio dei migranti marocchini e del totale dei migranti in Lombardia Fonte: Orim (2013) Titolo di studio Nessun titolo formale Scuola primaria Scuola secondaria I grado Scuola secondaria II grado Titolo universitario o post laurea Totale % migranti marocchini 10,4 13,1 35,7 32,2 8,6 % migranti in Lombardia 3,9 7,7 29,0 44,5 14,9 100,0 100,0 Dal punto di vista dell’anzianità migratoria, i marocchini residenti in Lombardia sono presenti in Italia da più di 10 anni nel 55,3% dei casi e nel 37% dai 5 ai 10 anni. Se per quanto riguarda la permanenza in Italia da oltre 10 anni sono superati solo dai filippini (57,9%), assieme agli albanesi fanno registrare il dato minimo (1,6%) per quanto riguarda l’arrivo in Italia da meno di 2 anni. Essi sembrano inoltre essere caratterizzati da un certa stabilità in regione in quanto vi abitano nel 49,3% dei casi da oltre 10 anni e nel 41,0% da 5 a 10 anni. Lo stesso trend si osserva per quanto riguarda l’anzianità di presenza nella provincia di residenza che supera i 10 anni nel 45,9% e nel 43,2% si colloca tra i 5 e i 10 anni. Analizzando la situazione abitativa in Lombardia i marocchini fanno registrare la più alta percentuale (62,9%) tra le principali comunità di migranti per quanto riguarda l’affitto di immobili con contratto mentre nel 17,4% dei casi hanno una casa di proprietà. Quest’ultimo dato merita una specifica attenzione nel contesto dell’attuale crisi economica. I marocchini sembrano avere sofferto particolarmente gli effetti della crisi in quanto la percentuale dei proprietari di casa nel 2011 risultava del 22%. Inoltre rispetto alle altre nazionalità, come illustra la tabella 4, i marocchini che hanno un mutuo attivo sono solo il 60,1% e pagano un importo medio di 579 euro mensili, che si configura come il più basso in assoluto rispetto alle altre comunità di migranti. Questi sono entrambi indici di investimenti cominciati da un più lungo periodo. Tuttavia a fronte di ciò l’incidenza del mutuo è pari al 41,2% del reddito, tra i valori più alti; inoltre i marocchini registrano la più alta percentuale (10,7%) di persone che 13 hanno un mutuo e si trovano in uno stato di grave sofferenza nei pagamenti, ossia situazioni in cui il mutuo supera il 60% del reddito. Tabella 4: Indicatori rispetto agli eventuali pagamenti di mutui tra la popolazione proprietaria di abitazione in Italia, proveniente da Pfpm e presente inLombardia al 1 luglio 2012, per cittadinanza Fonte: Orim (2013) Provenienza % in abitazione di proprietà Romania Albania Cina Marocco Egitto America Lat. Totale 18,2 29,0 28,4 17,4 17,1 25,3 20,1 % con mutuo da pagare 68,8 79,6 60,5 60,1 86,2 65,0 67,8 Reddito famigliare medio mensile in euro 2.035 2.191 2.597 1.753 1.690 1.994 2007 Importo medio mensile del mutuo in euro 608 609 815 579 696 696 646 Incidenza % del mutuo sul reddito famigliare medio 30,2 30,8 36,8 41,2 42,5 36,5 35,0 Tra chi ha mutuo % in sofferenza nei pagamenti 2,6 14,9 11,0 9,8 9,7 8,1 Tra chi ha mutuo % in grave sofferenza nei pagamenti 10,4 10,7 6,9 3,9 5,1 In quasi la metà dei casi (44%) i marocchini vivono in famiglia con il coniuge e i figli e nel 17,8% con altri parenti. Tuttavia il 37,8% dei migranti dal Marocco dichiara di non avere figli e solo nel 24,4% dei casi nei hanno almeno 2. È interessante notare come, tra coloro che hanno figli, il 44,9% dichiari che i propri figli non sono in Italia. Tra coloro che hanno i figli in Italia, il 45,7% non vive con loro mentre il restante convive con almeno un figlio. Le famiglie marocchine in Lombardia non sembrano essere molto numerose in quanto solo il 4,1% conta al suo interno più di 4 figli e il 22,1% ne conta 2. I migranti marocchini che hanno almeno un figlio nato in Italia sono quasi il 50% di coloro che hanno figli; nella stragrande maggioranza dei casi (88,5%) i figli nati in Italia sono di nazionalità marocchina. Dal punto di vista reddituale più del 60% dei marocchini in Lombardia guadagna tra i 751 e i 1.500 euro in modo equamente ripartito tra tre fasce reddituali: 751-1.000, 1.0011.251, 1.251-1.500. Da notare è la percentuale di persone il cui reddito è inferiore ai 500 euro che è dell’11,4% ed è inferiore solo agli ecuadoregni (12,8%). Tutto ciò mette in luce una situazione abbastanza precaria dal punto di vista economico della popolazione di origine marocchina in Lombardia. Infatti, in quasi l’80% dei casi, valore tra i più alti rispetto alle altre comunità, non sarebbe in grado di fare fronte ad una spesa imprevista di 750 euro e più del 50% dichiara di essersi trovato in arretrato con i pagamenti correnti nel corso degli ultimi 12 mesi. Tutto ciò influisce nel determinare una certa propensione al ritorno. Dalla ricerca condotta annualmente dall’Orim, emerge che, nel 2012, i migranti marocchini fanno registrare tra le più basse percentuali di risposte negative (79%) circa l’intenzione di trasferirsi altrove 14 nell’arco di un anno. A ciò corrisponde una delle più alte percentuali di propensione al ritorno verso il paese di origine (9,1%) e di trasferimento in un altro stato (6,9%). Rispetto al livello di integrazione è possibile fare riferimento all’indicatore elaborato dall’Orim composto da quattro variabili in grado di verificare la presenza di elementi di base che agevolano il processo di integrazione: la regolarità del soggiorno, la stabilità residenziale, la condizione lavorativa e abitativa. In base a quest’indice i migranti marocchini hanno registrato complessivamente nel 2012 un punteggio di 0,55, che si colloca al quinto posto (dopo rumeni, albanesi, filippini e peruviani) e corrisponde esattamente al punteggio riferito al totale degli immigrati. A livello generale si osserva che il livello di integrazione aumenta con l’aumentare degli anni di permanenza sul territorio. Anche la popolazione marocchina conferma questa tendenza: l’indice di integrazione calcolato sulle persone arrivate da almeno 10 anni è pari allo 0,61, anche se in questo caso i marocchini occupano l’ottavo posto. Facendo una comparazione diacronica, i marocchini, così come nei casi delle altre nazionalità, sembrano essere caratterizzati da un miglioramento delle proprie condizioni di vita per lo meno per quanto riguarda le variabili prese in considerazione dall’indice. 1.2 Caratteristiche dei migranti originari della regione di Tadla Azilal in Lombardia Secondo i dati consolari del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione del Marocco relativi al 2008, i migranti originari di Tadla Azilal che risiedono in Lombardia rappresentano il 41,8% dei marocchini sotto i 15 anni che vivono in regione, il 35,7% dei marocchini tra i 15 e i 59 anni e il 36,4% di quelli con più di 60 anni. Come si può vedere dalle tabelle 5 e 6 Tadla Azilal rappresenta la regione da cui proviene la maggior parte dei marocchini che vivono in Lombardia. Quest’ultima sembra costituire un polo di attrazione per le persone provenienti da Tadla Azilal in quanto in tutte le altre regioni d’Italia, e in modo trasversale alle diverse classi di età, le presenze dei marocchini provenienti da questa regione si aggirano intorno al 10%. Dal punto di vista del genere i maschi originari di Tadla Azilal sono il 39% del totale dei marocchini di sesso maschile presenti in Lombardia mentre le donne sono pari al 27,5% delle marocchine in regione. Tabella 5: Marocchini originari di Tadla Azilal suddivisi per età e regione di residenza in Italia Fonte: Ministero Affari Esteri e Cooperazione Marocco (2008) Regione di residenza Meno di 15 anni in Italia Piemonte 5,8 15 15-59 anni 60 anni e oltre 5,6 5,3 Lombardia Veneto Emilia Romagna Altre Totale Italia 41,8 9,4 13,1 10,6 15,6 35,7 11,0 12,7 10,5 16,3 28,7 10,4 10,6 7,8 12,6 Tabella 6: Marocchini in Lombardia suddivisi per età e regione di origine in Marocco Fonte: Ministero Affari Esteri e Cooperazione Marocco (2008) Regione di origine in Marocco Chaouia Ouardigha Grand Casablanca Rabat Salé Zemmour Zaer Tadla Azilal Altre Totale Meno di 15 anni 15-59 anni 60 anni e oltre 11,6 16,5 6,4 12,9 14,6 10,4 18,0 8,7 8,2 41,8 23,7 100,0 35,7 26,5 100,0 28,7 36,4 100,0 Per quanto riguarda l’anzianità migratoria, come si può vedere dalla tabella 7, i marocchini di Tadla Azilal sono concentrati in modo preponderante in Lombardia dove costituiscono circa un terzo di ciascuna fascia di anni di permanenza in Italia con una preponderanza di coloro che vi vivono da un periodo compreso tra i 5 e i 10 anni. Tabella 7: Ripartizione dei marocchini originari di Tadla Azilal (%) per regione di residenza in Italia e per anzianità migratoria Fonte: Ministero Affari Esteri e Cooperazione Marocco (2008) Regione di residenza in Italia Piemonte Lombardia Veneto Emilia Romagna Altre Totale Italia Meno di 2 anni 2-5 anni 5-10 anni Più di 10 anni 5,4 31,5 8,5 11,3 8,4 13,0 5,8 34,2 11,4 13,6 11,0 14,0 5,5 37,2 11,6 12,0 11,0 20,2 5,8 33,3 8,6 9,7 9,9 12,7 Nella regione Lombardia inoltre i migranti di Tadla Azilal rappresentano il gruppo principale sia tra i marocchini attivi (36,3%) sia tra quelli inattivi (33,4%). Come si vede dalla tabella 8, in entrambi i casi i valori sono di molto superiori alle altre regioni d’Italia in cui rappresentano circa il 10% sia degli attivi che degli inattivi (solo in Piemonte sono il 5,6% per entrambe le categorie). Tabella 8: Ripartizione dei marocchini originari di Tadla Azilal (%) per regione di residenza in Italia e per attività Fonte: Ministero Affari Esteri e Cooperazione Marocco (2008) 16 Regione di residenza in Italia Piemonte Lombardia Veneto Emilia Romagna Altre Totale Italia Attivi Inattivi 5,6 36,3 11,3 12,4 10,2 16,6 5,6 33,4 9,9 13,0 10,8 14,9 Analizzando i dati della tabella 9 si nota che i migranti provenienti da Tadla Azilal superano di molto, in Lombardia, la quota dei marocchini provenienti altre regioni che lavorano sia come salariati, sia come imprenditori che come lavoratori autonomi. Tabella 9: Ripartizione dei marocchini residenti in Lombardia (%) secondo la regione d’origine in Marocco per condizione professionale Fonte: Ministero Affari Esteri e Cooperazione Marocco (2008) Regione di origine in Marocco Chaouia Ouardigha Grand Casablanca Rabat Salé Zemmour Zaer Tadla Azilal Altre Totale Lavoratori autonomi 13,9 17,0 9,4 Imprenditori Salariati 12,9 16,5 13,7 13,2 14,2 10,5 29,3 30,4 100 29,5 27,3 100 36,5 25,7 100 1.3 I migranti marocchini a Milano4 I migranti marocchini a Milano nel 2012 sono 21.800 di cui 12.800 uomini e 8.900 donne. Facendo un raffronto con gli anni precedenti si nota che rispetto al 2006 vi è stato un incremento di quasi 3.000 persone, di cui però solo 700 si sono aggiunte dal 2008 in poi. Inoltre, se la popolazione maschile resta pressoché invariata rispetto al 2006, quella femminile è aumenta di quasi 2.500 persone. L’incremento dei migranti marocchini a Milano negli ultimi anni è dovuto quindi in buona parte alle donne e, verosimilmente, ai ricongiungimenti famigliari. Nel 2012 il 25% dei marocchini presenti a Milano risulta avere tra i 30 e i 34 anni e circa il 32% è compreso nella fascia tra i 35 e i 44 anni. Nel complesso sembrano essere caratterizzati da una certa stabilità in quanto quasi il 60% si è traferito in Italia da più di 10 anni a fronte di un 40% nel 2006. Parallelamente risulta diminuita di molto la presenza di persone che si sono trasferite da meno di 5 anni: erano più del 27% nel 2006 mentre nel 2012 I dati contenuti nel paragrafo sono ricavati dalla ricerca del 2012 che l’Orim conduce annualmente sulla popolazione migrante a Milano. 4 17 sono solo il 7,2%. Aumenta inoltre la percentuale degli sposati che passa dal 51% al 65% e diminuisce quella dei celibi/nubili dal 44% al 26% nel 2012. Dal punto di vista del titolo di studio posseduto, il 42% ha terminato la scuola dell’obbligo mentre un 32% ha un diploma di scuola superiore. Circa la metà abita in una casa in affitto con un regolare contratto mentre il 18% ha una casa di proprietà. 1.3.1 La condizione lavorativa Le informazioni raccolte grazie all’annuale indagine campionaria condotta dall’Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità (ORIM) mostrano che, tra i marocchini (14 anni e più) che risiedono nel territorio milanese, poco meno dei tre quarti è parte delle forze di Grafico 3 Condizione lavorativa della popolazione straniera in provincia di Milano, per paese di origine (%) Fonte: Orim 2012 Socio lavoratore di cooperativa Altra condizione non professionale Lavoratore autonomo non regolare Lavoratore autonomo regolare (imprenditori inclusi) Occupato lavoro parasubordinato Occupato irregolare in modo instabile Occupato irregolare in modo abbastanza stabile Occupato regolare a tempo indeterminato e con orario normale Occupato regolare part-time Occupato regolare a tempo determinato Totale Pfpm Marocco Casalinga Studente Disoccupato 0 5 10 15 20 25 30 35 lavoro. In effetti, la quota di soggetti inattivi – perché studenti (5,7%) o casalinghe (21,1%) – vale il 26,8%. Gli occupati costituiscono il 53,9% del totale della popolazione marocchina presente a Milano, mentre i soggetti alla ricerca di un impiego sono il 19,3%. Il confronto con le medie osservate tra i soggetti provenienti da Paesi a forte pressione migratoria (grafico 3) mette in luce, quale primo elemento d’interesse, che tra i marocchini si registrano valori più contenuti di partecipazione al mercato del lavoro e volumi più elevati di disoccupazione. Quanto agli occupati, tra i marocchini la quota più consistente è data dai lavoratori con impiego standard, vale a dire a orario pieno e con contratto di lavoro a tempo indeterminato (21,2%). Seguono gli occupati irregolari, che rappresentano il 12,2%, e quindi i lavoratori autonomi e gli imprenditori (7,8%). Di nuovo, rispetto alla media degli stranieri presenti nel milanese, i soggetti originari del Marocco si caratterizzano per livelli nettamente più contenuti di occupazione standard e di lavoro a tempo parziale, mentre presentano, invece, valori più elevati di occupazione irregolare. 18 Nel confronto con gli anni precedenti (tabella 10), la condizione lavorativa dei soggetti provenienti dal Marocco è nettamente peggiorata. In particolare, tra il 2006 e il 2012, la percentuale di disoccupati è sostanzialmente triplicata, rispetto al 7,7% iniziale. In aggiunta, a riprova delle crescenti difficoltà occupazionali, la quota di soggetti con contratto di lavoro a tempo indeterminato e orario pieno si è ridotta di quasi 15 punti percentuali, dal 35,0%. Infine, quale esito della crisi economica e occupazionale tuttora in atto, la quota di imprenditori, che ha subito oscillazioni di rilievo nel corso degli anni, è diminuita in modo tendenziale per un totale di –2,5 punti percentuali (rispetto al 10,3%). Tabella 10: Condizione lavorativa dei soggetti originari del Marocco, per anno (%) Fonte: Orim (2013) Condizione lavorativa Disoccupato Studente Casalinga Occupato regolare a tempo determinato Occupato regolare part-time Occupato regolare a tempo indeterminato e con orario normale Occupato irregolare in modo abbastanza stabile Occupato irregolare in modo instabile Occupato lavoro parasubordinato Lavoratore autonomo regolare (imprenditori inclusi) Lavoratore autonomo non regolare Altra condizione non professionale Socio lavoratore di cooperativa Totale 2006 7,7 6,5 14,0 6,3 3,9 35,0 7,6 4,4 3,3 10,3 1,1 100,0 2008 11,2 3,1 11,6 8,5 4,8 28,7 8,8 11,0 2,3 6,9 2,1 0,4 0,8 100,0 2010 11,3 11,6 15,7 8,1 9,7 22,1 4,4 7,4 2,6 3,8 1,8 1,6 100,0 Tabella 11: Condizione lavorativa dei soggetti originari del Marocco (professioni principali), per anno (%) Fonte: Orim (2013) Condizione lavorativa Operai edili Addetti alle pulizie Addetti alle attività commerciali Addetti alla ristorazione/alberghi Professioni intellettuali Operai generici nel terziario Mestieri artigianali Assistenti domiciliari Impiegati esecutivi e di concetto Addetti alle vendite e servizi Operai generici nell'industria Operai specializzati 2006 15,9 2,7 9,3 7,6 8,7 11,5 7,4 1,9 4,4 3,4 7,6 7,2 19 2008 25,1 5,7 13,5 7,9 2,1 7,3 5,7 2,1 2,4 6,4 8,8 1,4 2010 20,6 5,2 9,3 8,4 10,4 6,1 1,1 6,1 6,7 9,5 0,9 2012 18,1 10,1 8,8 8,6 8,2 7,7 7,2 5,9 5,9 4,9 4,2 3,2 2012 19,3 5,7 21,1 4,2 5,3 21,2 6,0 6,2 0,9 7,8 1,4 0,9 100,0 Baby-sitter Altro Addetti ai trasporti Assistenti in campo sociale Domestici a ore Domestici fissi Medici e paramedici Operai agricoli e assimilati Prostituzione 1,9 3,4 0,5 4,6 0,9 1,2 0,8 0,7 1,2 6,5 2,4 - 3,1 4,4 3,9 0,9 2,2 1,1 - 2,8 2,5 2,0 - Sul versante delle professioni svolte, tra i marocchini prevalgono gli operai edili (18,1%), seguiti dagli addetti alle pulizie (10,1%), gli addetti alle attività commerciali (8,8%), gli addetti del settore alberghiero/ristorazione (8,6%). Completano il quadro delle figure più diffuse entro l’aggregato nazionale in esame, le professioni intellettuali (8,2%), gli operai generici del terziario (7,7%) e i mestieri artigianali (7,2%). Il quadro delle professioni svolte ha subito un aggiustamento contenuto nell’intervallo temporale sotto osservazione. In particolare, dai dati riportati nella tabella 11 si evince un incremento del lavoro manuale nell’edilizia, degli addetti alle pulizie, degli assistenti domiciliari, a fronte di un calo delle figure di operaio generico nel terziario e nell’industria e soprattutto, del lavoro operaio qualificato. Si tratta, dunque, di un rimescolamento della struttura professionale, più che di un mutamento in termini qualitativi della stessa. Da ultimo, rispetto alla media degli stranieri che lavorano a Milano e provincia, vale la pena rimarcare che i lavoratori originari del Marocco sono presenti in misura maggiore nelle professioni generiche dell’edilizia e dei servizi alle imprese, mentre sono sotto-rappresentati nel lavoro manuale in ambiti quali la manifattura, la ristorazione e l’alberghiero, i servizi domestici e di cura. 1.3.2 Lavoro autonomo e imprenditoria Passando ora al lavoro autonomo e alle attività imprenditoriali, la comunità marocchina si caratterizza per una spiccata propensione imprenditoriale. A livello italiano, nel 2012 i marocchini titolari di impresa hanno costituito un sesto delle ditte individuali intestate a stranieri (38.203 su 232.668), con prevalenza di quelle operanti nel commercio al minuto e nelle costruzioni (IDOS 2013). Tabella 12: Ditte individuali attive a Milano e provincia con titolare nato in Marocco, per settore di attività (primi 10), 2012 Fonte: Infocamere Settore Commercio al dettaglio Lavori di costruzione specializzati Commercio all'ingrosso Totale (v.a.) 1.182 326 84 20 % sul totale 58,1% 16,0% 4,1% Attività di servizi per edifici e paesaggio Telecomunicazioni Attività dei servizi di ristorazione Trasporto terrestre e mediante condotte Altre attività di servizi per la persona Costruzione di edifici Attività di supporto per le funzioni d'ufficio e altri se... Totale 72 71 44 41 41 39 26 2.036 3,5% 3,5% 2,2% 2,0% 2,0% 1,9% 1,3% 100,0% I dati di fonte Infocamere consentono di studiare nel dettaglio il fenomeno dell’impresa individuale in Lombardia. Ebbene, delle ditte individuali attive 5 a Milano e provincia – che nel 2012 sono 118.764 – quelle a titolarità marocchina6 sono 2.036 e dunque rappresentano l’1,7% del totale. Quasi i due terzi di queste sono concentrati nel commercio al dettaglio (58,1%) (tabella 12). Altro ambito in cui si condensano le ditte individuali condotte da soggetti originari del Marocco è quello dei lavori di costruzione specializzati, in cui vi sono 326 imprese, vale a dire poco meno di un quinto del totale (16,7%). A grande distanza seguono, quindi, il commercio all’ingrosso, dove sono attive 84 imprese il cui titolare proviene dal Marocco (4,1%), le telecomunicazioni (3,5%), le attività di servizi per edifici e paesaggio (3,5%), le attività e i servizi di ristorazione (2,2%), il trasporto (2,0%), la costruzione di edifici (1,9%). Se misuriamo, invece, l’incidenza delle ditte individuali a titolarità marocchina sul totale delle imprese individuali, i valori più alti si osservano nelle telecomunicazioni (10,4%), nel commercio al dettaglio (6,0%), nell’ingegneria civile (4,6%), nelle attività e nei servizi di viaggio (2,3%), nelle attività di servizi per edifici e paesaggio (2,1%), nei servizi postali e attività di corriere (2,0%). Sono dunque questi gli ambiti in cui la presenza delle imprese condotte da lavoratori originari del Marocco è maggiormente visibile nel contesto economico e produttivo della provincia di Milano. Tabella 13: Dinamica demografica delle ditte individuali, per Paese di origine del titolare, 1997-2012 (valori medi) Fonte: elaborazione su dati Infocamere Nazionalità Bangladesh Ecuador Albania Natalità 77,9% 59,2% 47,7% Mortalità 13,7% 13,5% 12,0% Crescita 64,3% 45,7% 35,7% Imprese attive: l’insieme delle imprese operative da un punto di vista economico (ad esempio hanno utilizzato forza lavoro o realizzato fatturato) durante il periodo di riferimento, ossia l’anno. 6 È utile ricordare, in proposito, che, siccome i titolari d’impresa sono tenuti a comunicare, al momento dell’iscrizione agli archivi camerali, il Paese di nascita, ma non la nazionalità, parleremo di marocchini o, più in generale di stranieri, a prescindere dal fatto che i soggetti in parola abbiano acquisito, a seguito di un processo di naturalizzazione, la cittadinanza italiana. Il che, è chiaro, implica la possibilità di una sovrastima dell’imprenditorialità marocchina, più in generale di quella straniera . 5 21 Perù Pakistan Romania Marocco Senegal Sri Lanka Filippine Egitto Brasile Cina Tunisia Altri Pfpm Italia 42,6% 45,8% 38,1% 30,7% 28,4% 26,6% 30,5% 23,5% 26,9% 29,4% 20,2% 17,9% 8,8% 11,1% 18,7% 11,5% 7,7% 6,3% 7,3% 13,7% 8,2% 11,8% 15,7% 10,3% 10,4% 9,0% 31,5% 27,1% 26,6% 23,0% 22,1% 19,3% 16,8% 15,3% 15,1% 13,7% 9,9% 7,4% -0,1% Tra il 1997 e il 2012, periodo per il quale si dispone dei dati al riguardo, le ditte individuali marocchine hanno fatto registrare un tasso di natalità7 (valore medio annuo), pari al 30,7%, di circa quattro volte superiore a quello osservato tra le imprese italiane (8,8%). Vi sono, ad ogni modo, gruppi nazionali in cui la propensione all’imprenditorialità è stata molto più accentuata; tra questi, ad esempio, bengalesi (77,9%), ecuadoregni (59,2%), albanesi (42,6%), pakistani (45,8%), peruviani (42,6%). Quanto al tasso di mortalità 8, sempre calcolato come valore medio, esso è pari al 7,7%. Si tratta di uno dei valori più contenuti, atteso che il medesimo valore – pari al 9,0% tra le imprese italiane – segna tassi inferiori solo entro il gruppo dei senegalesi e dei cingalesi (6,3%). Quale esito di tali dinamiche, il tasso di crescita fatto registrare dalle imprese marocchine è pari al 23,0%. Per analizzare le performance delle ditte individuali, oltre a commentare i dati su natalità e mortalità, è utile approfondirne, infine, la capacità di tenuta nel tempo. Al riguardo, i dati riportati nella tabella 14 – e relativi alle durate quartiliche di sopravvivenza – rivelano che la sopravvivenza mediana delle imprese individuali di Milano e provincia è di 78 mesi. Il che significa, in altre parole, che dopo 78 mesi la metà delle imprese nate entro la finestra temporale di riferimento cessa l’attività. Quanto ai principali Paesi di provenienza dei titolari, è interessante notare che le durate mediane di sopravvivenza più elevate si osservano proprio tra i soggetti originari del Marocco (158 mesi), che dunque fanno registrare, in merito a questo indicatore, la migliore performance in assoluto. Calcolato come rapporto tra il numero d’imprese nate nell’anno t e la popolazione d’imprese attive nell’anno t (in percentuale). 8 Per definizione il rapporto tra il numero d’imprese cessate nell’anno t e la popolazione d’imprese attive nell’anno t (in percentuale). 7 22 Tabella 14: Durate quartiliche di sopravvivenza delle imprese individuali, per Paese di nascita del titolare (n. mesi) Fonte: elaborazione su dati Infocamere Paese Italia Egitto Cina Romania Marocco Albania Perù Bangladesh Ecuador Senegal Brasile Pakistan Tunisia Sri Lanka Filippine Altri Pfpm Totale n. casi 127.002 7.811 7.576 3.528 2.512 1.998 1.823 1.295 1.242 973 875 833 805 469 383 5607 164.732 25% 26 34 21 24 48 30 29 54 27 45 22 14 23 42 28 25 23 50% 76 143 55 78 158 90 89 . 107 . 73 68 91 . 83 74 78 75% . . 119 . . . . . . . . . . . . . . 1.3.3 I redditi da lavoro Gli ultimi dati a nostra disposizione consentono di indagare, infine, l’ammontare del reddito medio da lavoro. Secondo i dati di fonte Orim, tra i soggetti provenienti dal Marocco, il reddito medio personale netto è, nel 2012, di 868 euro su base mensile (900 euro il valore mediano). Il peggioramento della condizione lavorativa registrato tra il 2006 e il 2012 e in precedenza commentato, ha portato con sé una diminuzione molto marcata, e tendenzialmente continua, dei redditi in parola. Questi valevano, infatti, 1.201 euro nel 2006, ma sono diminuiti a 1.035 euro nel 2008, per poi scendere ancora e attestarsi a 1.008 euro nel 2012. Il calo complessivo sull’intero periodo è dunque molto accentuato, essendo pari al -27,7%. 1.3.4 Spesa, risparmio e rimesse Il livello di spesa dei marocchini a Milano (per l’abitazione, l’alimentazione, l’abbigliamento e altro) si mantiene sostanzialmente invariato. A fronte di questo si osserva una forte contrazione del risparmio medio mensile (da 161 a 53 euro) e delle rimesse (da 176 a 60 euro). La contrazione dell’importo medio delle rimesse è legata in parte alla diminuzione delle possibilità economiche ma non solo. Infatti, come è stato detto precedentemente, quanto più lunga è la permanenza tanto maggiore è il livello di integrazione. Secondo i dati Orim, le rimesse tendono a diminuire con l’aumentare del livello di integrazione (in media infatti i migranti più integrati inviano a casa 81 euro mensili a fronte di 153 euro inviati da quello meno integrati). Poiché a Milano quasi il 60% dei migranti marocchini è in Italia da più di 10 23 anni e il trend è in crescita, sembrerebbe che la riduzione del volume delle rimesse sia imputabile anche questo. 24 CAPITOLO SECONDO FLUSSI MIGRATORI DI RITORNO IN MAROCCO 2.1 Le migrazioni di ritorno in Marocco: il quadro d’insieme Quello dal Marocco costituisce uno tra i maggiori flussi migratori verso la penisola italiana, seppur ad un tasso di crescita ridotto rispetto al passato (ISMU 2013). A questo movimento di persone che continuano ad emigrare verso il nostro paese se ne affianca un altro di segno opposto, ossia composto da persone marocchine che, dopo un certo periodo di tempo passato all’estero, ritornano in patria in maniera temporanea o definitiva. Su questo fenomeno sono state svolte alcune ricerche a partire dagli anni 2000 (CERED 2004; Khachani et al. 2008; Khachani 2011; ETF 2013) che hanno messo in luce le caratteristiche dei cosiddetti “migranti di ritorno”, i possibili apporti che possono dare allo sviluppo del Marocco ma anche le difficoltà che incontrano una volta ritornati in patria. Gli imprenditori transnazionali, che sono oggetto di questa ricerca, possono essere assimilati al gruppo dei migranti di ritorno in quanto rappresentano soggetti che, principalmente a causa della crisi economica che ha investito l’Italia, sono ritornati nel paese di origine o hanno cominciato comunque a farvi visita molto più spesso e per periodi di tempo maggiori, a causa degli investimenti economici di cui sono protagonisti. Come sarà messo in luce nell’analisi degli studi di caso, il lungo vissuto in Italia e gli interessi economici in Marocco, fanno sì che queste persone siano caratterizzate da un certo pendolarismo tra i due paesi e da abitudini e da modi di pensare e stili di vita bifocali (Guarnizo 1997) che, sotto certi aspetti, permettono loro di vivere simultaneamente sia nel paese di destinazione sia nel paese di origine (Glick Schiller et al. 1992, Basch et al. 1994, Portes 2001, Vertovec 2009). Infatti il progetto imprenditoriale in patria non è sempre e necessariamente legato ad un rientro stabile e definitivo: molti dei migranti che investono in un progetto di questo tipo intendono comunque restare a vivere all’estero seguendo i loro affari a distanza e attraverso visite frequenti (Bouoiyour e Miftah 2013). Per tale motivo le esperienze imprenditoriali oggetto di questo studio vengono indagate sia attraverso una prospettiva transnazionale sia riconoscendovi in essi una dinamica transnazionale (Caselli 2009b). L’analisi delle caratteristiche di questo flusso di migranti evidenzia le loro caratteristiche e quindi le potenzialità ma anche le difficoltà e le problematiche che affrontano e che spesso impediscono loro di mettere a frutto il capitale economico, umano e sociale acquisito durante gli anni di migrazione. Ciò consente di evidenziare le politiche e le azioni che sia i paesi di origine sia quelli di destinazione possono attuare per sostenere lo sviluppo attraverso la valorizzazione dei fenomeni migratori. La questione dei migranti di ritorno assume un valore ulteriore in un paese come il Marocco in cui la propensione all’emigrazione 25 è molto alta. Infatti secondo i dati dell’OECD del biennio 2005-2006, il tasso di espatrio dal Marocco verso i paesi aderenti a questa organizzazione era pari al 10%. Questo valore è molto alto soprattutto se paragonato al tasso di espatrio nello stesso periodo, verso gli stessi paesi OECD, dall’Africa sub-sahariana e dal Maghreb pari rispettivamente all’1% e al 3%. A questo proposito la ricerca condotta dalla European Training Foundation (ETF 2013), su incarico dell’Unione Europea (UE), rappresenta la più recente ma anche il più vasto studio condotto sui migranti marocchini rientrati in patria. Quest’ultimo si iscrive nell’ambito delle negoziazioni per la stipulazione del partenariato per la mobilità tra il Marocco e la UE, firmato nel giugno 20139. Adottando un approccio proattivo alla migrazione, attraverso questa ricerca, la UE ha voluto esplorare se e in quale modo i migranti di ritorno sostengono lo sviluppo del proprio paese. L’indagine, condotta su un campione rappresentativo composto da 1.400 migranti di ritorno, analizza la loro vita, durante e dopo la migrazione al fine di evidenziare i fattori di spinta all’avventura migratoria, il tipo di capitale acquisito all’estero e come questo viene o meno valorizzato al ritorno nel paese di origine. Grafico 1 Migranti di ritorno per fasce d'età (%) Fonte: ETF (2013) 7% 3% 9% 32% 18 - 24 25 - 34 35 - 44 20% 45 - 54 55 - 64 65 + 29% Dal punto di vista socio-demografico la ricerca mette in evidenza una forte prevalenza, tra i migranti di ritorno, dei maschi rispetto alle femmine che, nella maggior parte dei casi (82%) vanno a vivere in contesti urbani. L’età media risulta essere di 39 anni per le donne e 42 per gli uomini. Il 61% dei migranti di ritorno hanno tra i 25 ei 44 anni (rispettivamente il 29% sono nella fascia di età 25-34 anni e il 29% nella fascia 35-44 anni). Il 20% sono Si veda: http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/what-isnew/news/news/2013/docs/20130607_declaration_conjointe-maroc_eu_version_3_6_13_fr.pdf 9 26 collocati nella fascia di età 45-54 mentre un restante 16% ha un’età compresa tra 55 e più di 65% anni. Il 61% del campione della ricerca è sposato, con percentuali abbastanza simili tra maschi e femminine (rispettivamente 62% e 57%). Da notare è la differenza rispetto allo status matrimoniale dei non migranti, che risultano sposati nel 67% dei casi, ma soprattutto rispetto a chi ha l’intenzione di emigrare all’estero che è sposato solo nel 40% dei casi. Questo mette in luce una certa importanza dello status civile rispetto al progetto migratorio: sembra infatti che la mancanza del vincolo matrimoniale abbia una relazione positiva con l’orientamento alla migrazione. Inoltre il 75% dei migranti di ritorno sposati dichiarano di essere emigrati senza il/la consorte, in misura molto maggiore per gli uomini (78%) rispetto alle donne (60%). Le principali motivazioni addotte rispetto alla scelta di emigrare da soli riguardano la necessità di prendersi cura dei figli e la mancanza di risorse finanziarie per poter affrontare entrambi l’avventura migratoria. Tabella 1: Migranti di ritorno e migranti potenziali secondo il livello di studio (%) Fonte: ETF (2013) Livello di studio Migranti di ritorno Migranti potenziali Basso Medio Superiore Totale 58 23 19 100 83 10 7 100 Migranti potenziali che intendono emigrare 84 11 6 100 È particolarmente interessante analizzare i dati riguardanti il livello di studio dei migranti di ritorno che, in linea con i dati di ricerche svolte in altri paesi (OCDE 2008), mostrano come gli ex migranti abbiano un livello di educazione maggiore rispetto al resto della popolazione del paese di origine. Questo permette di evidenziare che i migranti di ritorno hanno un capitale umano che può essere messo a disposizione del paese di origine. Per quanto riguarda il Marocco i migranti di ritorno hanno nel 58% dei casi un livello di studio basso, nel 23% dei casi un livello medio e nel 19% un livello superiore, con percentuali molti simili tra i due sessi. Per quanto riguarda il resto della popolazione marocchina le percentuali, come di vede nella tabella 1, sono invece molto più alte nella fascia di istruzione bassa. L’età e il livello di studio sono caratterizzati da una relazione inversamente proporzionale: se più del 50% dei migranti di ritorno di un’età compresa tra 18 e i 34 anni hanno livello di studio medio o superiore, solo l’8% di quelli con più di 65 anni hanno un livello di studio simile. Gli ex migranti nella fascia di età compresa tra i 35 e i 54 anni hanno un livello di studio medio o superiore in circa il 45% dei casi e quelli tra i 55 e i 64 anni nel 24% dei casi. Per quanto 27 riguarda il tipo di studio svolto dalle persone con un livello di studio medio-alto, il 33% ha seguito una formazione nelle scienze sociali, nel commercio e nel diritto, il 24% in scienze, il 17% in ingegneria o architettura; solo il 4% ha svolto studi nell’ambito educativo e un residuale 2% in quello sanitario. Il livello di studio dei migranti di ritorno si mantiene praticamente inalterato alla fine dell’esperienza migratoria. Infatti solo il 31% di essi ha frequentato dei corsi di formazione nel paese di accoglienza e, quando questo è avvenuto, ha riguardato nella maggior parte dei casi i soggetti con un’istruzione superiore (72% per i maschi e 64% per le donne). Il livello di formazione è in correlazione con la conoscenza delle lingue straniere da parte dei migranti di ritorno. Nella quasi totalità dei casi (97%) parlano almeno una lingua straniera, verosimilmente quella del paese di destinazione; inoltre il 73% degli intervistati parla due o più lingue straniere. Questi ultimi sono in larga parte costituiti da persone che hanno un livello di studio medio o superiore. La durata media della permanenza all’estero tra gli intervistati è di 10 anni. La migrazione circolare non pare avere molta importanza in quanto l’82% dei migranti di ritorno dichiara di avere intrapreso la migrazione una sola volta. L’Italia (15%) si situa al terzo posto come paese di emigrazione dopo Francia (32%) e Spagna (21%). La Francia ha rappresentato la destinazione maggiore per i migranti con livello di studio medio superiore (51%), seguita, anche se con percentuali molto più basse da Italia e Canada (8%) e dalla Spagna (7%). L’Italia inoltre è stata scelta come destinazione dal 17% dei migranti di ritorno con un basso livello di studio e dal 13% di quelli con livello di studio medio. 28 Tabella 2: Migranti di ritorno in Marocco secondo il primo paese di destinazione e secondo il livello di studio (%) Fonte: ETF (2013) Paese di destinazione Francia Spagna Italia Altri Paesi Bassi Libia Belgio Germania Emirati Arabi Uniti Stati Uniti Canada Arabia Saudita Quatar Algeria Tunisia Totale % Migranti di ritorno Basso 27 25 17 6 6 5 2 3 3 1 0 2 1 1 1 100 32 21 15 6 5 4 3 3 3 2 2 2 1 1 0 100 Livello di studio Medio Superiore 34 51 20 7 13 8 6 5 4 2 1 1 6 6 3 2 3 2 4 5 2 8 2 1 1 2 0 0 1 0 100 100 Tra le motivazioni che hanno indotto alla partenza primeggiano, per entrambi i sessi, la difficoltà a trovare lavoro (29% e 28%), la ricerca di un livello di vita migliore (26% e 23%) e lo studio e la formazione (13% e 11%). Le prime due motivazioni hanno rappresentano la spinta ad emigrare soprattutto per chi ha un livello di studio basso e medio. Invece i migranti di ritorno con il livello di studio superiore hanno deciso di emigrare principalmente per motivi di studio anche se, differentemente dalle motivazioni precedenti, in misura significativamente diversa tra maschi (52%) e femmine (28%). Per l’89% dei migranti di ritorno la migrazione è avvenuta un modo autonomo senza il sostegno di alcun tipo di programma governativo. Solo il 6% ha usufruito di programmi per aiutare l’inserimento lavorativo all’estero. A fronte di ciò, il tipo di appoggio di cui si sarebbe sentito maggiormente la necessità prima di emigrare viene riconosciuto proprio nell’aiuto a trovare lavoro (66% per i maschi e 74% per le femmine) e nell’aiuto per trovare un alloggio (11% e 8%). Tabella 3: Motivazione per l’emigrazione dei migranti di ritorno per genere e livello di studio (%) Fonte: ETF (2013) Difficoltà a trovare lavoro Basso 35 Uomini Medio Super. 25 11 Totale 29 29 Basso 35 Donne Medio Super. 25 8 Totale 28 Miglioramento del livello di vita Salario e carriera insoddisfacenti Trovare un impiego più remunerativo Studi e formazione Altre motivazioni Totale 29 24 17 26 28 16 18 23 4 4 3 4 1 3 3 2 10 6 4 8 6 1 8 5 1 21 52 13 2 18 28 11 23 21 13 21 29 37 36 33 100 100 100 100 100 100 100 100 Analizzando i dati relativi al tipo di impiego svolto all’estero, emerge che il 71% dei marocchini di ritorno, come primo impiego, ha lavorato come dipendente. Dalla suddivisione dei dati per genere emerge che se gli uomini hanno lavorato di più come dipendenti (72% contro il 64%), le donne hanno lavorato maggiormente in modo autonomo (9% contro il 6% dei maschi). Solo l’1% tra i maschi e il 2% tra le femmine è stato imprenditore o imprenditrice. Rapportando il tipo di lavoro svolto al livello di studio non emergono differenze significative: la distribuzione dei migranti di ritorno nelle diverse tipologie occupazionali è pressoché uguale rispetto ai 3 livelli di studio considerati. Solo nel caso delle donne si nota che l’impego come dipendente aumenta all’aumentare del livello di studio (rispettivamente 58% delle donne un basso titolo di studio, 69% di quelle con un livello medio e ben l’80% di quelle con un livello di istruzione superiore). Tabella 4: Primo impiego trovato dai migranti di ritorno nel paese di destinazione (%) Fonte: ETF (2013) Tipologia di occupazione Imprenditore Lavoratore autonomo Dipendente Lavoratore occasionale Lavoro domestico (remunerato) Lavoro domestico (non remunerato) Altro Totale 1 6 71 16 4 0 2 100 All’estero i migranti di ritorno hanno lavorato principalmente nel settore alberghiero e della ristorazione, in quello delle costruzioni, nel settore agricolo, nel commercio, nell’industria 30 manifatturiera e nei servizi domestici. Si tratta di settori a basso livello di qualificazione in cui viene richiesta la manodopera degli immigrati nei paesi di accoglienza. La tendenza generale vede gli uomini impiegati per lo più nell’agricoltura e nelle costruzioni mentre le donne lavorano maggiormente nei servizi. Inoltre si evidenza che i migranti di ritorno hanno passato in media un periodo di dieci mesi di disoccupazione prima di trovare una prima occupazione nel paese di destinazione dove il 44% degli uomini e il 45% delle donne ha lavorato senza contratto di lavoro. Nel paese di emigrazione circa un terzo dei migranti di ritorno hanno ottenuto il riconoscimento del proprio titolo di studio (31% per gli uomini e 33% per le donne). Dalla ricerca di ETF emerge che hanno ottenuto il riconoscimento del titolo di studio il 72% (dato identico sia tra i maschi sia tra le femmine) dei migranti in possesso di un titolo di istruzione superiore. Circa il 65% dei migranti di ritorno dichiara che il loro impiego era proporzionale al proprio livello di studio ma il 42% degli uomini e il 51% delle donne mettono in evidenza di aver sofferto di una certa dequalificazione in quanto dichiarano che le loro competenze erano superiori, o anche molto superiori, rispetto al tipo di occupazione svolta. Ciò nonostante vengono identificate delle competenze che sono apprese durante la permanenza all’estero: il 62% del totale dei migranti indica le competenze linguistiche e il 55% indica competenze di tipo tecnico e professionale. Tabella 5: Riconoscimento delle qualifiche dei migranti di ritorno nel paese di destinazione per livello di studio e genere (%). Fonte: ETF (2013) Riconoscimento delle qualifiche all’estero per gli uomini / Livello di studio Sì No, era difficile No, era impossibile No, non sapevo che era possibile No, nessuna relazione con il tipo di lavoro Totale Riconoscimento delle qualifiche all’estero per le donne / Livello di studio Sì No, era difficile No, era impossibile No, non sapevo che era possibile No, nessuna relazione con il tipo di lavoro Totale Basso Medio Superiore Totale 15 11 13 8 44 18 10 8 72 17 1 3 31 14 10 7 53 21 7 37 100 Basso 100 Medio 100 Superiore 100 Totale 18 11 8 3 40 14 11 7 72 8 5 10 33 11 8 5 60 29 5 43 100 100 100 100 31 In generale i migranti di ritorno fanno un bilancio positivo della propria esperienza migratoria: per il 72% di essi il progetto migratorio è riuscito bene o molto bene; tale percentuale aumenta all’aumentare del livello di studio: 80% di chi ha fatto studi superiori, 72% di chi ha un livello medio e 70% di chi ha un livello di studio basso. Per quanto riguarda il ritorno in patria per il 44% si è trattato di un ritorno obbligato a causa principalmente della crisi economica che ha coinvolto i paesi di destinazione e, in misura minore, le difficoltà professionali. Per il 40% degli intervistati si è trattato invece di una scelta compiuta per lo più per motivi famigliari e in modo meno preponderante per motivi culturali o perché è stata raggiunto il pensionamento dal lavoro. Interessante ai fini di questo rapporto è notare come il 5% dei migranti di ritorno dichiari di essere tornato per investire in Marocco. Inoltre il 16% del campione è tornato in modo forzoso: si tratta di persone il cui permesso di soggiorno nel paese di emigrazione è scaduto, o è stato ritirato per vari motivi, e conseguentemente i migranti sono dovuti rientrare, in Marocco, spesso a seguito di provvedimenti delle autorità dei paesi di accoglienza. I programmi volti al sostegno e alla valorizzazione dei migranti di ritorno sono pressoché sconosciuti. Infatti solo il 7% degli intervistati è al corrente dell’esistenza di programmi rivolti ai migranti di ritorno. In generale le donne e le persone con un basso livello di istruzione tendono a conoscere meno queste iniziative. Per quanto concerne la situazione lavorativa dopo il ritorno, il 61% dei rispondenti è occupato: le donne occupate sono però solo il 49% a fronte di una percentuale del 63% per gli uomini. Il tasso di occupazione è direttamente proporzionale al livello di studio; risulta infatti occupato il 78% degli ex migranti con un livello di studio superiore mentre il livello di occupazione per i livelli di studio basso e medio si attestano rispettivamente al 55% e 62%. Tabella 6: Occupazione dei migranti di ritorno (dopo il ritorno) secondo il genere e il livello si studio (%). Fonte: ETF (2013) Uomini Donne Totale Basso 57 46 55 Medio 65 47 62 Superiore 82 61 78 Totale 63 49 61 Per quanto riguarda il tipo di lavoro svolto dopo il rientro in Marocco, i dati riferiti al totale dei rispondenti mettono in luce che il 45% lavora come dipendente, il 25% è lavoratore autonomo e il 18% è imprenditore e ha alcuni lavoratori alle proprie dipendenze. Il lavoratori dipendenti rappresentano il 63% delle donne, il 42% degli uomini e il 65% del totale dei migranti di ritorno con un livello di studio superiore. Invece i lavoratori autonomi sono 32 inversamente proporzionali al livello di studio dei soggetti del campione in quanto aumentano al diminuire del livello di istruzione. Dall’analisi dei dati riguardanti gli imprenditori, se da un lato emerge un legame per quanto riguarda il genere (sono il 20% degli uomini e solo il 6% delle donne), non emerge un legame altrettanto chiaro con il livello di istruzione. Come si può vedere dalla tabella 7, solo nel caso delle imprenditrici emerge che queste ultime tendono ad avere un livello di istruzione superiore; mentre sia dai dati riguardanti il totale dei migranti di da quelli relativi ai maschi emerge una distribuzione all’incirca simile in ciascuno dei tre livelli di istruzione. Tabella 7: Tipo di impiego per i migranti di ritorno secondo il livello di studio e il genere (%). Fonte: ETF (2013) Tipo di impiego per gli uomini Altri Imprenditore Lavoratore autonomo Dipendente Lavoratore occasionale Lavoratore domestico (non remunerato) Lavoratore domestico (remunerato) Totale Tipo di impiego per le donne Altri Imprenditrice Lavoratrice autonoma Dipendente Lavoratrice occasionale Lavoratrice domestico (non remunerata) Lavoratrice domestico (remunerata) Totale Tipo di impiego per i due sessi Altri Imprenditore Lavoratore autonomo Dipendente Lavoratore occasionale Lavoratore domestico (non remunerato) Lavoratore domestico (remunerato) Totale Basso 0 19 33 35 11 2 Livello di studio Medio 1 21 30 37 5 4 Superiore 2 19 11 63 5 1 Totale 1 20 27 42 8 2 1 1 0 1 100 Basso 0 4 11 58 13 7 100 Medio 0 4 22 61 9 4 100 Superiore 4 11 7 75 4 0 100 Totale 1 6 16 63 9 5 0 0 0 0 100 Basso 0 17 31 38 11 3 100 Medio 1 19 29 40 6 4 100 Superiore 2 18 10 65 5 1 100 Totale 1 18 25 45 8 2 1 1 0 1 100 100 100 100 Il tempo medio per la ricerca di un lavoro dopo il ritorno è in media di 5 mesi. I dati inoltre dimostrano che l’esperienza migratoria influisce sulle opportunità lavorative che i migranti di 33 ritorno incontrano in Marocco. Infatti più del 60% di questi ultimi riconoscono che grazie all’esperienza migratoria hanno migliorato la loro posizione occupazionale. In effetti il tasso di attività tra i migranti di ritorno è dell’80%, a fronte del 62% dei migranti potenziali. Inoltre la disoccupazione tra i migranti di ritorno si attesta al 15% a fronte del 18% a livello nazionale, che arriva al 32% nelle aree urbane. Rispetto all’esperienza del ritorno in generale, il 59% del campione si dichiara soddisfatto e l’11% molto soddisfatto mentre circa un quarto mantiene una posizione di indifferenza e un residuale 8% non si ritiene soddisfatto rispetto alle aspettative. Gli uomini in particolare tenderebbero ad essere maggiormente soddisfatti rispetto alle donne che sono rientrate. La tabella 8 fa notare che se il 55% del totale dei rispondenti dice di non avere avuto nessun problema nella fase di rientro, circa un quarto, in misura simile tra maschi e femmine, segnala la difficoltà di trovare un lavoro come principale problema incontrato. Tabella 8: Difficoltà trovate dai migranti di ritorno per genere (%) Fonte: ETF (2013) Principali difficoltà trovate al rientro Nessun problema Difficoltà a trovare lavoro Il coniuge non ha trovato lavoro Difficoltà a trovare un’abitazione Mancanza di servizi educativi per sé e la famiglia Mancanza di servizi sanitari per sé e la famiglia Problemi di reintegrazione Mancanza di informazioni sui diritti e gli obblighi giuridici Totale Uomini Donne Totale 54 24 0 1 2 60 23 2 0 4 55 24 1 1 2 3 2 3 8 4 3 2 7 4 100 100 100 La ricerca di ETF analizza la situazione economica e sociale dei migranti dopo il ritorno in patria. Il 66% del totale del campione risulta vivere in buone condizioni sociali, il 28% in condizioni medie e il 6% in condizioni pessime. Queste ultime vengono misurate attraverso un indicatore composito che prende in considerazione il rapporto tra i membri del nucleo famigliare e il numero di stanze dell’abitazione e l’accesso a beni e servizi come l’acqua potabile, il riscaldamento, l’automobile, gli elettrodomestici, ecc. L’indice permette di analizzare l’impatto della migrazione in quanto tra coloro che non sono emigrati solo il 33% risulta vivere in buone condizioni sociali, il 45% è in medie condizioni e il 22% in pessime. Inoltre le condizioni sociali appaiono legate positivamente con il livello di studio in quanto i migranti di ritorno che presentano buone condizioni sociali rappresentano il 56% di chi ha un basso livello di studio, il 73% di coloro che hanno un livello medio e ben l’88% di coloro che hanno un livello di studio superiore. 34 Di segno opposto appare invece la situazione economica dei migranti di ritorno che viene misurata attraverso un altro indicatore composito: l’indicatore della situazione economica. Quest’ultimo prende in considerazione variabili quali: le proprietà immobiliari, il reddito famigliare equivalente, la proprietà fondiaria e il denaro ricevuto dall’estero. Nonostante il 73% dei migranti di ritorno risieda in abitazioni di proprietà mentre solo il 16% sia in affitto, l’indicatore mette in evidenza che il 49% dei migranti di ritorno presentano condizioni economiche non buone e il 25% addirittura pessime a fronte di un 22% che è in condizioni buone e di un 4% che presenta una situazione economica molto buona. Alla luce di questo Lahlou (2006) sottolinea come il ritorno rappresenti una vera e propria scommessa per i migranti che confidano da un lato che il mercato del lavoro cambi in 35 modo da poter spendervi le competenze acquisite all’estero e dall’altro lato che vengano create condizioni tali per cui i proprio investimenti possano andare a buon fine. L’invio di rimesse rappresenta una importante fonte di reddito per la famiglia lasciata in patria, che attraverso queste risorse può migliorare la propria situazione economica e sociale di cui usufruisce anche il migrante una volta rientrato. In questo senso le rimesse rappresentano per il migrante una sorta di investimento per il proprio tenore di vita futuro. Dai dati risulta che il 63% dei migranti ha inviato denaro a casa durante la permanenza all’estero. Questo dato varia in modo inversamente proporzionale rispetto al livello di istruzione. Infatti, si vede nella tabella 9, dichiarano di avere inviato rimesse il 69% dei rispondenti con un basso livello di istruzione, il 59% di quelli con un livello medio e il 48% di quello con un livello di istruzione superiore. Questa differenza può essere imputata al fatto che i migranti meno istruiti tendono ad essere originari di aree rurali e ad avere un attaccamento maggiore al luogo di origine. Essi sembrano quindi maggiormente orientati ad un progetto di rientro futuro e quindi ad investire in progetti da realizzare in patria piuttosto che nel contesto di destinazione. I dati di questa ricerca, condotta su un campione di migranti rientrati da al massimo 10 anni, divergono con quella di un’altra ricerca condotta nel 2005 dalla Fondazione Hassan II (2008) su un campione di 2100 migranti. Quest’ultima ricerca conferma il rapporto inverso tra livello di studio e invio di rimesse, ma evidenzia come i migranti che inviano rimesse sarebbero la quasi totalità (99,1%). Tabella 9: Rimesse inviate dai migranti suddivise per livello di studio e il genere (%) Fonte: ETF (2013) Livello di studio Superiore Invio di rimesse Sì No Totale Basso Medio 71 29 100 61 39 100 50 50 100 65 35 100 Donne Sì No Totale 58 42 100 51 49 100 42 58 100 54 46 100 Uomini e donne Sì 69 59 48 63 No Totale 31 100 41 100 52 100 37 100 Uomini Totale Le rimesse vengono impiegate, in ordine di frequenza, per le spese correnti (89%), il risparmio (20%), le spese sanitarie (18%) e gli acquisti immobiliari (14%). Circa il 70% dei migranti di ritorno dichiara inoltre di avere risparmiato durante la permanenza all’estero. 36 Questo risparmio è utilizzato in larga parte per le spese famigliari (64%) ma anche per l’acquisto di immobili (33%) e per l’avvio di attività commerciali (32%). La ricerca della Fondazione Hassan II (2008) mette in luce che il principale canale di invio delle rimesse è quello informale che passa dal 13,7% del 1998 al 40,36% nel 2005, a fronte di una cospicua diminuzione dell’uso degli altri canali ufficiali (banche, servizi postali, Western Union). Inoltre l’Italia vanta il primato relativo al costo delle rimesse pari in media a 182 dirham seguita dalla Germania dove l’invio delle rimesse costa in media 153 dirham. Ciò si spiega con l’alto ricorso dei marocchini a canali come Western Union che danno maggiori garanzie in termini di rapidità rispetto agli altri presenti nel contesto italiano. Come si può vedere dal grafico 4 l’ammontare delle rimesse verso il Marocco è aumentato nel tempo e ha rappresentato un sostegno molto importante per l’economia marocchina. I motivi di questo trend in crescita sono da ricercarsi nella crescita del numero di migranti all’estero, negli sforzi delle autorità marocchine per creare dei canali ufficiali per l’invio delle rimesse oltre che nel livello dei salari e dei vantaggi sociali nei paesi di emigrazione che hanno consentito di destinare risorse ai famigliari rimasti in patria (Bouoiyour e Miftah 2013). Però, secondo Lahlou (2006), questo flusso è destinato a diminuire nel tempo per ragioni sia di tipo interno sia di tipo esterno al contesto marocchino. Nel lungo periodo le rimesse sarebbero destinate a diminuire a causa delle politiche di sviluppo economiche del Marocco che riducono la propensione a emigrare; dal punto di vista delle ragioni esterne, l’irrigidimento delle politiche migratorie dei paesi europei contrarrebbe ulteriormente i flussi in uscita dal paese andando quindi ad incidere sul volume delle rimesse. 37 In effetti, nel 2008, agli albori della crisi finanziaria, le rimesse verso il Marocco hanno subito una contrazione del 3,5%. Tuttavia, paragonando il dato a quello relativo alla contrazione degli investimenti diretti esteri (IDE), pari al 26,3% nello stesso anno, si può notare una sorta di contro-ciclicità delle rimesse. Inoltre, nella classifica dei paesi recettori di rimesse, il Marocco si qualifica nei primi posti, con flussi che nel 2010 hanno avuto una dimensione pari al 6,8% del PIL (Bouoiyour e Miftah 2013). Il pensionamento lavorativo è stato maturato all’estero dal 35% degli uomini e dal 20% delle donne rientrati in Marocco: le persone che hanno maturato questi diritti sociali all’estero rappresentano l’88% dei migranti con una esperienza di ritorno riuscita molto bene e il 31% di chi ha una buona esperienza di rientro. Se il 71% del totale dei migranti di ritorno intervistati non vuole ri-emigrare, poco meno di un terzo di essi manifesta questa intenzione. Questo orientamento riguarda maggiormente le persone con un livello di istruzione medio (31%) e basso (29%) e in misura minore chi ha un’istruzione superiore (23%). Questi ultimi, rispetto a quanto detto precedentemente, tendono ad essere caratterizzati da condizioni di vita migliori dal punto di vista sociale, economico e lavorativo. La ragione principale che viene addotta per giustificare il desiderio di ritentare il progetto migratorio è la difficoltà a trovare lavoro. I dati della ricerca di ETF permettono di mettere in luce il profilo tipico del migrante marocchino: generalmente è un uomo celibe con un livello medio-basso di istruzione che in media emigra per un periodo di almeno 10 anni. A fonte di ciò il migrante di ritorno presenta un livello di qualificazione migliore rispetto alla media della popolazione marocchina. Quanto più alto è il suo livello di formazione tanto maggiori sono le competenze e le esperienze professionali acquisite durante la migrazione, che gli permettono di re-inserirsi nel mercato del lavoro marocchino in una posizione migliore rispetto a quella occupata prima della partenza. Secondo il profilo tratteggiato, nella fase di ritorno il migrante conta principalmente sul proprio capitale sociale (famigliari e amici) per trovare un lavoro come dipendente. Sebbene i migranti di ritorno che avviano esperienze imprenditoriali siano una piccola parte del totale (5%), l’esperienza migratoria accresce le possibilità di diventare imprenditore come viene confermano anche Bouoiyour e Miftah (2013)10. Tale ricerca evidenzia che fattori come il genere, il livello di educazione, la situazione economico-professionale, la proprietà o meno di un’abitazione e il livello dei risparmi accumulato incidono sulla propensione dei migranti a ristabilirsi nel paese di origine. Innanzitutto le donne tendono ad essere meno propense degli uomini a ritornare stabilmente in Marocco anche per le condizioni di autonomia economica e sociale che acquisiscono all’estero; un migliore livello di educazione generalmente porta a Gli autori analizzano i risultati di una ricerca condotta nel 2007 sulla comunità marocchina residente in Francia volta ad analizzare i fattori che maggiormente influiscono sulla decisione di ritornare nel paese di origine. 10 38 condizione lavorative e salariali all’estero migliori soprattutto relativamente a quelle a cui avrebbero accesso in Marocco e quindi non stimola a farvi ritorno. Soprattutto, per chi ha intenzione di avviare delle forme di investimento, l’esperienza migratoria si prolunga fino a quando si è raggiunto un certo livello di risparmio tale da rendere possibile l’investimento. L’indagine di ETF evidenzia che perché la migrazione realizzi degli effetti positivi nei confronti del migrante, del paese di origine e di quello di destinazione, ossia perché si instauri la dinamica del co-sviluppo, sono necessari degli interventi esterni. Infatti buona parte dei migranti marocchini non acquisisce competenze durante il periodo all’estero e se ha questa possibilità non sempre ha modo di metterla a frutto una volta di ritorno in Marocco. Chi implementa le proprie competenze sono quei migranti che alla partenza possiedono una migliore dotazione di capitale umano e grazie a questo hanno maggiori possibilità di successo nella fase di ritorno. Dato che buona parte dei migranti marocchini ha un livello di studio piuttosto basso appare evidente che il contributo della migrazione allo sviluppo è ancora al di sotto del proprio potenziale . Il miglioramento del livello di istruzione in Marocco appare come una prima linea strategica per la realizzazione del co-sviluppo. Inoltre risulta fondamentale la creazione di modalità per valorizzare le competenze accumulate dai migranti di ritorno all’interno del mercato del lavoro marocchino. Come verrà messo in evidenza anche dai casi studio, uno dei principali ostacoli che i migranti incontrano quando rientrano in Marocco sono le scarse possibilità di innovare il tessuto economico-lavorativo attraverso l’apporto delle specifiche conoscenze apprese. Sia per i lavoratori dipendenti che per gli imprenditori è spesso molto difficile introdurre nuovi prodotti e nuovi metodi di lavoro e questo influenza negativamente la propensione ad investire da parte dei migranti di ritorno. Un terzo ed ultimo asse strategico viene visto nella diffusione di informazioni, nei confronti dei migranti potenziali, relativamente ai paesi di emigrazione e, soprattutto nel frangente della crisi economica attuale, circa le reali opportunità di impego nei paesi di destinazione. 2.2 Effetti e caratteristiche dei flussi di ritorno nella regione di Tadla Azilal Relativamente alla regione di Tadla Azilal, oggetto di questo rapporto, non vi sono dati specifici sui migranti di ritorno. Tuttavia la ricerca Migration de Retour au Maghreb (MIREM)11 condotta tra il 2006 e il 2007 dall’European University Institute di Firenze (Cassarino 2008; Khachani et al. 2008), ha preso in considerazione un campione di 330 migranti marocchini di ritorno composto per un terzo da persone originarie di Tadla Azilal 12. Oltre al Marocco la ricerca ha riguardato anche la Tunisia e l’Algeria prendendo in considerazione un campione totale di 992 soggetti. Per ulteriori informazioni si veda: http://rsc.eui.eu/RDP/researchprojects/mirem/ 12 Le altre regioni rappresentate nel campione sono: Casablanca, Chaouia-Ourdigha, Rabat-Salé-Zemmour-Zaër. Tuttavia Tadla Azilal è la regione maggiormente rappresentata nel campione. 11 39 Pertanto i dati di questa ricerca permettono di avere un quadro indicativo delle caratteristiche dei migranti di ritorno nella regione. Tabella 10: Migranti di ritorno per fascia d’età (%) Fonte: MIREM (2008) Fascia d’età Fino a 30 31 - 40 41 - 50 50 - 64 65 + Totale Tipo di ritorno Volontario Forzato 15,6 41,4 30,7 34,3 24,2 19,2 19,9 4,0 9,5 1,0 100,0 100,0 Totale 23,3 31,8 22,7 15,2 7,0 100,0 Anche i dati della ricerca MIREM confermano la forte prevalenza dei maschi rispetto alle femmine tra i migranti di ritorno: le femmine rappresentano infatti solo il 12,7% del campione. La ricerca non analizza i dati attraverso una suddivisione di genere ma distinguendo i migranti di ritorno che hanno scelto di tornare in patria da quelli il cui ritorno è stato invece forzato da cause di forza maggiore. Il ritorno volontario rappresenta il 70% dei casi mentre quello forzato il 30% e sembra riguardare in modo preponderante gli uomini (31,6% a fronte del 19,1% delle donne). Una possibile spiegazione della differenza di questo dato, rispetto alla ricerca ETF, può essere imputata al fatto la ricerca MIREM si è svolta nel periodo immediatamente antecedente alla crisi economica e quindi in un periodo in cui i migranti marocchini non avevano a che fare con difficoltà lavorative di dimensioni così ampie come quelle che si sono trovati ad affrontare negli anni successivi e che hanno costretto molti a tornare. Gli intervistati sono abbastanza giovani: il 55,1% ha meno di 40 anni (il 31,8% ha tra i 31 e i 40 anni e il 23,3% ha meno di 30 anni); le fasce più vecchie rappresentano circa un quinto del campione: le persone con più di 65 anni sono il 7,0% e quelle tra i 50 e i 64 il 15,2%. Come si può notare dalla tabella 10, i migranti il cui ritorno è stato forzato sono principalmente giovani (il 75,7% ha meno di 40 anni) mentre i migranti che decidono liberamente di tornare sono di età più avanzata (il 53,6% ha più di 40 anni). Dal punto di vista dello stato civile si nota anche qui come esso eserciti una certa influenza sul percorso migratorio: buona parte dei migranti di ritorno (67,9%) erano single prima della partenza e in misura molto inferiore (23%) lo sono ancora quando ritornano. Essi inoltre sono molto più numerosi tra chi ritorna forzatamente (43,3%) rispetto ai migranti che scelgono di rientrare (14,3%). Verosimilmente i migranti di ritorno in modo forzato hanno 40 avuto un’esperienza migratoria più difficile e meno positiva dal punto di vista economicolavorativo il che ha reso più difficoltoso la costituzione di una famiglia. Nella quasi totalità dei casi (93%) prima della partenza i migranti di ritorno vivevano con la propria famiglia o con il nucleo allargato, composto da genitori, fratelli e altri parenti, mentre dopo essere rientrati in Marocco circa la metà di essi (52%) vive nel nucleo famigliare ristretto e solo meno di un terzo vive ancora con la famiglia allargata. Sono principalmente i migranti obbligati a ritornare che si trovano in questa seconda situazione (62,5%). Tabella 11: Tipologia abitativa dei migranti di ritorno all’arrivo e alla partenza dal paese di destinazione (%). Fonte: MIREM (2008) Tipo di abitazione nel paese di destinazione Proprietario Inquilino Abitazione gratuita Abitazione legata al lavoro Altro Non risponde Totale Arrivo nel paese di destinazione 5,5 73,3 15,2 1,5 1,2 3,3 100,0 Partenza dal paese di destinazione 10,9 64,2 8,8 1,2 1,8 13,1 100,0 Per quanto riguarda la condizione abitativa più del 70% degli intervistati viveva in una casa tradizionale o rurale prima della partenza mentre nel paese di destinazione vivono per lo più in appartamenti in affitto. Confrontando il momento dell’arrivo nel paese ospitante con quello antecedente al ritorno in patria si nota una piccola progressione della carriera abitativa: la percentuali degli affittuari diminuisce dal 73,3% al 64,2% mentre raddoppia quella dei proprietari di casa che passa dal 5,5% al 10,9%. Circa il 60% dei migranti di ritorno è nato nel contesto urbano. Nel periodo di emigrazione i marocchini tendono a concentrarsi nelle aree urbane (85,2%). Da notare che i migranti tornati in modo forzoso abitano molto più spesso in un contesto rurale nel paese di emigrazione (21,2%) rispetto agli altri migranti di ritorno (8,7%). Inoltre, dopo il ritorno i migranti tendono a spostarsi nei centri urbani: se prima della partenza vi risiede circa il 65% dei casi dopo il ritorno vi abita l’84,2%. Conformemente ai dati della ricerca svolta da ETF si nota quindi uno spostamento geografico verso i centri urbani soprattutto tra i migranti che scelgono di ritornare : generalmente chi prima di emigrare viveva in campagna si trasferisce in città e chi viveva in piccoli centri urbani tende a spostarsi verso città più grandi. Infatti circa il 38% dei migranti di ritorno intervistati va ad abitare in un posto diverso rispetto all’ultimo luogo di residenza in Marocco, dove vi torna il 24% mentre il 36% torna ad abitare nel luogo di origine. Tale dato viene confermato da Lahlou (2006) secondo il quale entro il 41 2019 circa 9 milioni marocchini, pari al 51% della popolazione, vivrà in aree urbane dove, peraltro, la disoccupazione è più elevata stante anche il fatto che nelle zone rurali ci sono ampie sacche di sotto-occupazione. Quest’ultimo fenomeno è riferito alla persone che sono occupate ma non remunerate ossia che sono dedite a forme di agricoltura di sussistenza o che lavorano nell’ambito domestico. Per quanto concerne la situazione lavorativa prima della partenza i dati sembrano distanziarsi rispetto alla ricerca condotta da ETF basata su un campione di migranti di ritorno provenienti da tutto il Marocco. Dai dati della ricerca MIREM risulta che, prima di emigrare, più di un quarto degli intervistati era studente (26,7%), in misura identica (9,1%) erano lavoratori stagionali, lavoratori autonomi e disoccupati mentre solo l’8,8% era occupato stabilmente. Da notare che coloro che sono ritornati in modo forzoso risultavano disoccupati in una percentuale di 10 punti superiore a quella di coloro che hanno pianificato il rientro; inoltre i primi risultavano occupati stabilmente in una percentuale (5,1%) pari a meno della metà dei secondi. Prima della partenza i rispondenti risultano occupati principalmente nel settore agricolo (28,8%) e nel commercio (17,8%). Se nel settore agricolo i migranti rientrati in modo forzoso erano maggiormente impegnati (36,1%) rispetto agli altri (25,9%), nel settore del commercio non si riscontrano differenze: entrambe le categorie di migranti di ritorno si attestano attorno al 18% prima della partenza. 42 Tabella 12: Status di impiego dei migranti di ritorno all’arrivo nel paese di destinazione, alla partenza dal paese di destinazione e dopo il rientro in Marocco (%). Fonte: MIREM (2008) Status d’impiego all’arrivo nel paese di destinazione Status Ritorno Ritorno d’impiego volontario forzato Impiego 27,3 11,1 stabile Impiego 11,7 11,1 occasionale Impiego part 2,2 2,0 time Lavoratore 12,6 30,3 stagionale Imprenditore 1,7 1,0 Lavoratore autonomo Lavoratore autonomo (sett. informale) Lavoratore domestico Disoccupato Studente Casalinga Altro Nessuna risposta Totale Totale 22,4 11,5 2,1 17,9 1,5 2,6 4,0 3,0 10,8 19,2 13,3 1,3 3,0 1,8 1,3 17,3 1,7 7,4 2,2 4,0 6,1 1,0 7,1 0 2,1 13,9 1,5 7,3 1,5 100,0 100,0 100,0 Status di impiego alla partenza dal paese di destinazione Status Ritorno Ritorno Totale d’impiego volontario forzato Impiego 32,5 12,1 26,4 stabile Impiego 9,5 14,1 10,9 occasionale Impiego 1,7 3,0 2,1 part time Lavoratore 10 25,3 14,5 stagionale Imprenditore 3,9 1,0 3,0 Status di impiego dopo il ritorno in Marocco (al momento della ricerca) Status Ritorno Ritorno Totale d’impiego volontario forzato Impiego 23,8 6,1 18,5 stabile Impiego 3,0 0 2,1 occasionale Impiego 3,9 18,2 8,2 part time Lavoratore 19,5 5,1 15,2 stagionale Imprenditore 14,7 10,1 13,3 Lavoratore autonomo Lavoratore autonomo (sett. informale) Lavoratore domestico Disoccupato Studente Casalinga Altro Nessuna risposta Totale Lavoratore autonomo Lavoratore autonomo (sett. informale) Lavoratore domestico Disoccupato Studente Casalinga Altro Nessuna risposta Totale 7,4 4,0 6,4 8,7 13,1 10,0 1,7 2,0 1,8 1,3 5,2 1,3 13,4 3,5 10,1 3,0 1,0 11,1 0 3,9 4,5 1,2 12,7 2,4 100,0 100,0 100,0 43 2,6 5,1 3,3 0 2,0 0,6 0,4 1,0 0,6 3,9 3,5 6,9 17,8 0 38,4 2,0 2,0 10,1 0 14,2 3,0 5,5 16,4 0 100,0 100,0 100,0 Confrontando i dati sulla situazione lavorativa nel momento di arrivo nel paese di destinazione con quello del ritorno in patria non emergono particolari differenze. La percentuale degli occupati poco dopo l’arrivo è del 73,5% e al momento della partenza è del 75,1%, così come il dato relativo agli occupati in modo stabile (22,4% all’arrivo e 26,4% alla partenza). Tutti gli alti dati, come si può vedere nella tabella 12 rimangono sostanzialmente inalterati. Da notare è innanzitutto il livello di disoccupazione che seppur variando di poco tende ad aumentare, passando dal 2,1% al 3,9%. Tuttavia esso resta inalterato per i migranti che decidono di ritornare (1,3%) mentre passa dal 4,o% al 10,1% per chi è obbligato a ritornare in Marocco, che in generale risultano più numerosi, in entrambi i momenti, negli status occupazionali meno stabili. Tuttavia, soprattutto per quanto riguarda i dati relativi alla disoccupazione è necessario ricordare ancora una volta che la ricerca è stata svolta tra il 2006 e il 2007 ossia ai primi albori della crisi economica. Verosimilmente i dati attuali potrebbero essere molto diversi. I settori occupazionali nel paese di destinazione, ricalcano quelli messi in evidenza di dati della ricerca del paragrafo precedente: commercio (26,1%), agricoltura (11,9%), costruzioni (10,5%), settore alberghiero e della ristorazione (8,5%), industria manifatturiera (7,1%). Tabella 13: Livello di studio dei migranti di ritorno prima di emigrare (%) Fonte: MIREM (2008) Livello di studio prima della partenza Nessun titolo di studio Educazione pre-scolare Scuola elementare Scuola Media Scuola Superiore Studi universitari /Master Dottorato Altro Nessuna risposta Totale Ritorno volontario Ritorno forzato Totale 14,3 5,1 11,5 6,5 4,0 5,8 14,7 9,5 23,4 22,5 24,2 22,2 29,3 14,1 17,6 13,3 25,2 20,0 3,5 1,3 4,3 100,0 1,0 0 0 100,0 2,7 0,9 3,0 100,0 Raffrontando la situazione occupazionale nell’ultimo periodo di vita all’estero con la situazione occupazionale una volta rientrati in patria emerge una situazione negativa in quanto i migranti di ritorno risultano meno occupati (61,2%) e conseguentemente più disoccupati (14,2%). Tuttavia questi ultimi sono prevalentemente migranti rientrati in modo obbligato (38,4% a fronte del 3,9%). I principali settori di occupazione dei migranti di ritorno in Marocco risultano essere: il commercio (24,9%), l’agricoltura (13,8%), il settore edile (7,9%) 44 e quello dei trasporti e delle telecomunicazioni (7,1%). Solo l’agricoltura e l’edilizia registrano una prevalenza dei migranti tornati forzatamente mentre negli altri settori non vi sono disequilibri tra le due categorie. Per quanto riguarda il livello di studio dei migranti di ritorno i dati sono in netto contrasto con la ricerca di ETF, e delineano una situazione migliore. Prima della partenza i migranti di ritorno che compongono il campione presentano un livello di istruzione basso nella misura del 34,9% del totale mentre quelli che hanno un titolo di studio superiore o universitario sono quasi la metà (47,9%). Sembra quindi che i migranti delle regioni prese in considerazione dalla ricerca, che sono relativamente giovani, abbiamo avuto maggiori opportunità di formazione rispetto ai primi flussi migratori in uscita dal Marocco composti prevalentemente da persone con un livello di istruzione molto basso. In effetti i migranti sembrerebbero essere più istruiti rispetto al totale della popolazione: secondo i dati del censimento del 1994 a Béni Mellal, il capoluogo della regione, gli analfabeti risultavano essere il 37,3% della popolazione, con un tasso netto di scolarizzazione pari all’83,8%. L’esperienza migratoria sembra avere un certo effetto sul miglioramento del capitale umano: il 13,9% del campione è costituito da soggetti che entrano nel mondo dell’istruzione come studenti subito dopo essere arrivati nel paese di destinazione, mentre questa percentuale si assottiglia al 4,5% al momento del ritorno in patria. Il dato interessante è che ben il 65,8% dei migranti che hanno fatto un percorso di studio nel paese ospitante lo hanno portato a termine ottenendo un diploma di livello superiore rispetto a quello di cui erano in possesso. Tra questi ben il 25,6% ha conseguito una laurea e il 35,9% ha conseguito un dottorato di ricerca. La ricerca mette quindi in luce che i migranti di ritorno hanno a disposizione un ampio capitale umano che può essere sfruttato a favore della collettività del paese di origine. A fronte di ciò sono pochi (16,1%) coloro che hanno beneficiato di corsi di formazione professionale nel paese di destinazione e ancora meno (4,2%) coloro che ne hanno usufruito in Marocco dopo il rientro. Da questo punto di vista Chiguer et al. (2006a) mettono in luce la situazione carente di Tadla Azilal che, su 16 regioni, si colloca in 12° posizione dal punto di vista delle attività di formazione professionale che sono quasi del tutto concentrate a Béni Mellal. Prima della partenza i migranti di ritorno, delle regioni prese in considerazione dalla ricerca, presentano una situazione economico-finanziaria abbastanza buona: più del 50% ha una situazione media e circa il 17% presenta una situazione buona o molto buona. A fronte di questo, circa un quarto degli intervistati si trovava in una situazione precaria dal punto di vista economico. Inoltre il 46% degli intervistati possedeva degli appezzamenti di terreno prima della partenza (il 43% dei quali è costituito da migranti che ritornano in modo forzoso). Il dato si spiega sia per il contesto prevalentemente agricolo delle regioni prese in considerazione 45 dalla ricerca MIREM, come Tadla Azilal che è la regione più rappresentata nel campione. Viene messo in luce la spiccata tendenza all’opzione migratoria da parte dei proprietari terrieri a causa della siccità ricorrente nella zona che ha messo in difficoltà i raccolti anche perché, nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di terreni non irrigati. I dati della tabella 14 mostrano che la situazione finanziaria sembra migliorata, grazie alla migrazione, per il 75% dei rispondenti a fronte di un 20% per cui tale situazione è rimasta la stessa o è addirittura peggiorata. Questi dati sembrano in controtendenza con i risultati della ricerca di ETF secondo i quali il 74% dei migranti di ritorno si troverebbe in una situazione economica pessima e, verosimilmente, quantomeno non hanno migliorato le loro condizioni economiche precedenti alla migrazione. È ipotizzabile che lo squilibrio tra questi dati sia imputabile alla crisi economica: essendo che la ricerca MIREM è stata condotta prima dell’esplosione di quest’ultima i migranti di ritorno indagati non hanno subito nel paese di destinazione le restrizioni economiche che sicuramente si sono trovati ad affrontare i migranti rientrati in Marocco negli anni successivi. Tabella 14: Valutazione del miglioramento della situazione economica da parte dei migranti di ritorno nel paese di destinazione rispetto alla propria situazione economica prima dell’emigrazione. Fonte: MIREM (2008) Situazione economica nel paese di destinazione Molto migliore Migliore Uguale Peggiorata Nessuna opinione Nessuna risposta Totale Ritorno volontario Ritorno forzato Totale 37,2 39,0 14,7 2,6 3,5 3,0 100,0 13,1 60,6 20,2 3,0 2,0 1,0 100,0 30,0 45,5 16,4 2,7 3,0 2,4 100,0 Inoltre dalla ricerca risulta anche una più alta propensione all’invio delle rimesse: solo il 23% degli intervistati non ha inviato soldi a casa durante la permanenza all’estero a fronte del 37% dei partecipanti alla ricerca di ETF. Circa il 38% di coloro che hanno inviato rimesse lo facevano almeno una volta ogni 3 mesi mentre il 19% inviava soldi in modo irregolare. Se coloro che sono stati obbligati a rientrare erano più irregolari nell’invio del denaro a casa rispetto a chi ha scelto di ritornare in Marocco (rispettivamente 27,3% e 16%), tra coloro che non hanno mai inviato rimesse sono di più i migranti che sono spontaneamente ritornati (rispettivamente 24,2% e 20,2%). L’importo mediano delle rimesse annuali si colloca nella fascia tra i 500 e i 1.000 euro, con un 28,3% che invia più di 1.000 euro l’anno e un 16,5% che rimette meno di 200 euro annui. Per quanto riguarda gli usi delle rimesse, l’80% degli intervistati dichiara che sono state impiegate per provvedere ai consumi famigliari, il 25% per 46 la costruzione della propria abitazione, il 24% per l’istruzione dei figli. Inoltre il 14% ha dichiarato di avere investito le rimesse per l’avvio di un progetto imprenditoriale. Tabella 15: Ammontare delle rimesse annuali inviate dai migranti di ritorno (%) Fonte: MIREM (2008) Ammontare delle rimesse annuali inviate Meno di 200 euro Da 200 a 500 euro Da 501 a 1.000 euro Più di 1.000 euro Nessuna risposta Totale Ritorno volontario Ritorno forzato Totale 14,9 22,3 21,7 29,7 11,4 100,0 20,3 31,6 17,7 25,3 5,1 100,0 16,5 25,2 20,5 28,3 9,4 100,0 Tabella 16: Paesi di destinazione dei migranti di ritorno (%) Fonte: MIREM (2008) Paese di destinazione Francia Paesi Bassi Germania Italia Regno Unito Grecia Spagna Belgio Svezia Finlandia Svizzera Mauritania Canada Nessuna risposta Totale Ritorno volontario 36,8 1,3 3,0 38,1 1,0 0,4 4,3 1,7 0,4 0,4 1,3 0,4 2,2 7,8 100,0 Ritorno forzato 9,1 1,0 5,1 54,2 0 0 16,2 2,0 1,0 0 1,0 0 0 10,1 100,0 Totale 28,5 1,2 3,6 43 0,9 0,3 7,9 1,8 0,6 0,3 1,2 0,3 1,5 8,5 100,0 Il principale paese di residenza durante la migrazione è l’Italia (43%) seguita da Francia (28,5%) e Spagna (7,5%). Il dato evidenzia l’esistenza di una catena migratoria tra l’Italia e le regioni centrali del Marocco prese in considerazione dalla ricerca MIREM e in modo particolare con Tadla Azilal. La scelta del paese di destinazione viene infatti motivata dalla presenza di parenti e conoscenti oltre che dalla facilità di accesso e dalle possibilità di lavoro. Più della metà degli intervistati che sono rientrati in patria forzatamente (54,5%) e il 38,1% di chi ritorna spontaneamente arriva dall’Italia. Per analizzare il livello di reintegrazione nel contesto marocchino la ricerca MIREM analizza i dati relativi alla situazione lavorativa, finanziaria e l’andamento degli investimenti dei migranti di ritorno. 47 I dati relativi all’integrazione lavorativa sono ambigui. Infatti confrontando i dati relativi alla situazione occupazionale prima della partenza con quelli relativi alla situazione al momento della ricerca, contenuti nella tabella 17, si nota che le persone con un’occupazione stabile sono aumentate di 10 punti percentuali (si passa dall’8,8% al 18,5%). Ma l’incremento più alto lo si trova proprio nella categoria degli imprenditori: prima della partenza quasi nessuno degli intervistati apparteneva a questa categoria mentre al momento dell’intervista gli imprenditori ammontano al 13,3% del totale del campione. Tuttavia questi effetti positivi sono smorzati dall’incremento dei disoccupati che prima della partenza erano il 9,1% mentre dopo il ritorno sono il 14,2%. In realtà i disoccupati sono prevalentemente i migranti obbligati a rientrare che sono aumentati nel tempo conseguentemente al cambiamento delle politiche migratorie in paesi come l’Italia che, come abbiamo visto, costituisce la principale destinazione dei migranti delle regioni indagate. Tabella 17: Confronto dello status d’impiego dei migranti di ritorno prima della partenza e dopo il ritorno (%) Fonte: MIREM (2008) Status d’impiego Impiego stabile Impiego occasionale Impiego part time Lavoratore stagionale Imprenditore Lavoratore autonomo Lavoratore autonomo (sett. informale) Lavoratore domestico Disoccupato Studente Casalinga Pensionato Altro Nessuna risposta Totale Prima della partenza 8,8 6,4 2,4 9,1 0,6 9,1 4,8 Dopo il ritorno 18,5 2,1 8,2 15,2 13,3 3,3 0,6 5,2 9,1 26,7 0,9 0,3 9,1 7,6 100,0 0,6 14,2 3 5,5 1,9 4,5 0 100,0 Tabella 18: Situazione economica dei migranti di ritorno dopo il rientro in Marocco in rapporto alla situazione economica nel paese di emigrazione (%) Fonte: MIREM (2008) Situazione economica in Marocco dopo il ritorno Molto migliore Migliore Ritorno volontario Ritorno forzato Totale 17,7 30,7 5,1 16,2 13,9 26,4 48 Uguale Peggiorata Nessuna opinione Totale 25,5 20,3 4,8 100,0 20,2 54,5 3,0 100,0 23,9 30,6 4,2 100,0 Per quanto riguarda la situazione finanziaria dei migranti di ritorno la ricerca mette in evidenza una situazione di luci e ombre. Infatti circa il 40% di essi dichiara che la propria situazione è migliorata, o addirittura molto migliorata rispetto alla situazione precedente alla partenza. A fianco a questo però per il 23,9% la situazione è rimasta uguale e per ben il 30,6% è peggiorata. Come è intuibile circa la metà di chi ha scelto di tornare in patria dichiara che la propria situazione economica è almeno migliorata, tuttavia per circa un quinto di essi la situazione sembra essere peggiorata. Invece nel caso dei migranti tornati in maniera forzata la situazione economica è peggiorata nel 54,5% dei casi a fronte di 21% per cui è invece migliorata. Le condizioni di vita in Marocco e il riadattamento al contesto non pare così semplice per chi rientra, e ancora di più per chi non ha scelto di ritornare, anche a causa delle precarie condizione del mercato del lavoro in Marocco. Infatti, se quando sono rientranti circa il 44% aveva l’intenzione di rimanere per sempre in Marocco, al momento dell’intervista pensa di riemigrare circa il 40% del totale degli intervistati (di cui il 53% dei ritornati in modo obbligato). Colpisce inoltre il dato relativo a chi è rientrato per una propria scelta: se più della metà pensava di rientrare definitivamente al momento dell’intervista è solo il 19% che pensa di restare a vivere in Marocco. La difficoltà percepita più diffusa riguardo alla vita nel contesto marocchino è rappresentata dal sistema sanitario il cui livello di funzionamento è molto basso e a cui si fa fatica ad adattarsi, soprattutto se ci è abituati ai sistemi di welfare dei paesi europei. Proprio questa, a fianco alle difficoltà lavorative, rappresenta infatti la principale motivazione a ri-emigrare. 2.2.1 Gli investimenti dei migranti di ritorno Come è stato già messo in evidenza nel paragrafo precedente, il 14% dei migranti di ritorno inclusi nel campione ha destinato almeno parte delle rimesse all’investimento in un progetto imprenditoriale. Da questo punto di vista, molto rilevante ai fini di questo rapporto, è da osservare che circa il 43% dei migranti che hanno realizzato degli investimenti, ne ha avviato almeno uno, con una prevalenza di coloro che hanno scelto di ritornare rispetto a chi è stato obbligato. Infatti circa la metà degli appartenenti alla prima categoria ha avviato almeno un progetto di investimento mentre tra gli appartenenti alla seconda sono solo poco più di un quinto a farlo. 49 Gli investimenti imprenditoriali sono tra le motivazioni principali che spingono i migranti a ritornare in Marocco, ovviamente per coloro che scelgono di tornare 13. Infatti il 14,7% di questi ultimi torna per gestire il proprio giro di affari che già ha creato e che diventa difficile seguire a distanza; un altro 12,7% sceglie di tornare per creare un’impresa che quindi richiede la propria presenza fisica in loco. Infatti il contesto geografico di Tadla Azilal si presta molto allo sviluppo di attività artigianali e industriali. La ricerca MIREM mette in luce come la migrazione eserciti un impulso sul settore imprenditoriale. Come si può osservare dalla tabella 19, prima di emigrare solo lo 0,6% degli intervistati faceva l’imprenditore. Nel momento in cui rientrano in patria il 3% di essi è imprenditore nel paese di destinazione. Questo valore subisce un’improvvisa impennata nel momento successivo al ritorno raggiungendo il valore dell’11,5% per poi raggiungere un valore pari al 13,3% al momento dell’intervista (massimo 10 anni dal rientro). All’indomani del rientro in Marocco gli imprenditori sono quasi esclusivamente persone che hanno deciso di rientrare e non che hanno subito un rientro forzoso (16% a fronte dell’1%). È interessante vedere che, nel momento della ricerca, gli imprenditori rientrati volontariamente sono diminuiti (14,7%) mentre gli imprenditori rientrati in modo coatto sono aumentati in modo esponenziale (10,1%). È intuibile quindi che coloro che hanno deciso liberamente di rientrare in Marocco lo abbiano fatto in modo pianificato organizzando per tempo, attraverso risparmi e investimenti, l’avvio di un’impresa a differenza dei migranti che sono costretti a rientrare in modo forzoso e quindi improvviso che non hanno avuto il tempo per farlo. Gubert e Nordman (2008) identificano le cause di questo impulso nei risparmio accumulato grazie al lavoro all’estero, che ovvia alla scarsità di risorse economiche nel contesto marocchino, e nell’esperienza di lavoro acquisita nel paese di emigrazione grazie alla quale si acquisiscono nuove competenze ma anche nuove idee. Tabella 19: Quota (%) di imprenditori tra i migranti di ritorno nelle diverse fasi del percorso migratorio e secondo la modalità di ritorno Fonte: MIREM (2008) Prima di emigrare Arrivo nel paese di destinazione Partenza nel paese di destinazione Ritorno in Marocco Ritorno volontario 0,9 1,7 Ritorno forzato 0 1,0 Totale 0,6 1,5 3,9 1,0 3,0 16,0 1,0 11,5 Le principali cause del rientro per coloro che ritornano forzatamente sono le seguenti: ordine di lasciare il paese (57%), problemi fiscali e amministrativi (20%), problemi famigliari (17%), mancato rinnovo del permesso di soggiorno (16%), problemi di salute (8%). 13 50 Entro 10 anni dal ritorno in Marocco (momento della ricerca) 14,7 10,1 13,3 Dall’analisi dei dati emerge che quasi la metà (48,9%) dei migranti che hanno avviato delle imprese in Marocco erano dei dipendenti nel paese di destinazione, a fronte di un 10,9% che faceva già l’imprenditore anche all’estero e di un 14,9% di lavoratori autonomi. Mentre circa il 54% dei lavoratori autonomi lo era anche nel paese di emigrazione. Come mostra la tabella 20 le risorse necessarie per gli investimenti derivano nell’80% circa dei casi da risparmi propri dei migranti di ritorno. Solo il 16% di essi ricorre a prestiti bancari il che è dovuto sia a motivazioni di tipo religioso (il prestito a interesse contraddice alcuni principi dell’Islam) sia anche a un certo scetticismo delle banche rispetto agli investimenti degli ex migranti (Cassarino 2008). Tale situazione induce questi ultimi a chiedere dei prestiti ai membri della propria famiglia, a cui tuttavia fanno ricorso in modo molto maggiore i migranti ritornati forzatamente (22%) rispetto agli altri (6%). Tabella 20: Modalità di finanziamento degli investimenti dei migranti di ritorno (%). Fonte: MIREM (2008) Tipo di finanziamento Solo risparmi propri Risparmi e prestito bancario Risparmi e altre risorse informali Solo prestito bancario Solo prestito dei famigliari Prestito bancario e altre risorse informali Insieme di tutte le risorse informali Totale % 68,1 2,9 11,6 9,4 1,4 3,6 2,9 100 Se il 19% dei migranti di ritorno non ha mai pensato ad investire, circa il 12% è stato dissuaso dal farlo per le difficoltà con cui si è scontrato. Queste ultime vengono identificate nella mancanza di capitale, nei vincoli amministrativi, nella forte concorrenza e nella mancanza di esperienza e di formazione. Se i primi due ostacoli riguardano principalmente i migranti obbligati a ritornare, il terzo riguarda in misura uguale anche chi sceglie di tornare in Marocco. Infatti la costituzione di un’impresa richiede una certa esperienza, preparazione e formazione che i migranti di ritorno sentono di non avere a sufficienza per gestire la complessità dei problemi connessi a un’azienda. Invece le principali motivazioni che vengono indicate tra chi non ha avviato nessun tipo di investimento sono: la mancanza di un capitale sufficiente e i vincoli burocratici e amministrativi in Marocco che rendono difficili gli investimenti. Inoltre la propensione ad investire viene anche limitata dall’adozione di uno stile di vita consumistico, dovuto alla 51 buona integrazione nel contesto di destinazione, che conseguentemente limita le capacità di risparmio e quindi di investimento (Cassarino 2008). Come metteranno in evidenza anche i casi studio che verranno esaminati in questo rapporto, il supporto delle istituzioni a questi progetti di investimento è molto basso in quanto solo l’7,8% dei migranti di ritorno ne ha usufruito. Tra le misure che i migranti di ritorno indicano come necessarie per stimolare gli investimenti in patria spiccano: la facilitazione dell’accesso alla terra, la semplificazione delle procedure amministrative (in quanto poterebbe anche a ridurre la corruzione) e la riduzione della pressione fiscale. La tabella 21 mette in luce che i migranti di ritorno che diventano imprenditori presentano un livello di educazione più alto (poco meno del 50% ha un diploma di istruzione superiore) rispetto al totale del campione e soprattutto rispetto alla categoria dei lavoratori autonomi, più della metà dei quali (56%) ha un livello di educazione basso o molto basso. Tabella 21: Livello di studio dei migranti di ritorno imprenditori rispetto ai non imprenditori (%) Fonte: MIREM (2008) Livello di studio dopo il ritorno Nessuno Pre-scolare Primario Secondario I grado Secondario II grado Superiore Altro Totale Non imprenditori Lavoratori autonomi Imprenditori 9,5 4,7 12,1 13,4 16,8 27,6 11,2 100,0 20,8 4,2 31,3 2,1 12,5 20,8 8,3 100,0 0 0 12,2 2 22,4 46,9 12,2 100,0 Prendendo in considerazione il paese di emigrazione coloro che sono emigrati in Italia manifestano una maggiore tendenza a diventare lavoratori autonomi (64,6%) e imprenditori (34%) una volta ritornati in Marocco, rispetto a chi è vissuto in altri paesi. Gubert e Nordman (2008) imputano ciò alle opportunità lavorative che i migranti marocchini incontrano in Italia, paese in cui tendono a lavorare come dipendenti in modo minore che in altri e che quindi stimola, più o meno direttamente, l’avvio di esperienze lavorative autonome e imprenditoriali. In questo modo vengono acquisite nuove abilità gestionali da trasferire in Marocco al momento del rientro che quindi permettono di portare avanti il lavoro anche in contesto diverso. Un’ulteriore motivazione di questa tendenza di chi è emigrato in Italia ci sembra essere rappresentata dall’acquisizione di un’abitudine a lavorare in modo indipendente che difficilmente porterà le persone a riadattarsi ad una condizione lavorativa in cui si debba dipendere da un superiore. 52 Tabella 22: Paesi di destinazione dei migranti di ritorno imprenditori e lavoratori autonomi rispetto ai non imprenditori (%) Fonte: MIREM (2008) Paese di destinazione Francia Italia Spagna Germania Altri Europa Medio Oriente e Nord Africa Nord America Totale Non imprenditori 29,7 40,5 9,9 4,3 6,0 0,4 Lavoratori autonomi 14,6 64,6 4,2 2,1 6,3 0 Imprenditori 36,0 34,0 2,0 2,0 8,0 0 0,9 100,0 0 100,0 6,0 100,0 I settori dove si concentrano gli investimenti dei marocchini di ritorno sono il commercio (48,5%) seguito da agricoltura (24,6%), edilizia (22,7%) e dal mercato immobiliare (15,2%). I migranti investono principalmente nella costruzione di case, nell’acquisto di terreni e in piccole attività commerciali come panetterie, negozi di pezzi di ricambio, ecc. (Chiguer et al. 2006b). I dati della tabella 23 evidenziano che le imprese che vengono create sono piuttosto piccole: in quasi i tre quarti dei casi hanno meno di 10 dipendenti mentre meno del 3% hanno più di 50 lavoratori assunti. Tabella 23: Imprese create dai migranti di ritorno suddivise per numero di dipendenti (%) Fonte: MIREM (2008) Numero di dipendenti Meno di 10 Tra 11 e 50 Più di 50 Nessuna risposta Totale % 73,8 14,2 2,8 9,2 100 In generale la ricerca “Il migrante marocchino in Italia come agente di co-sviluppo e di innovazione nelle comunità di origine”, condotta da AMERM, COOPI, El Sur e Punto.Sud tra il 2003 e il 2005, mette in luce un’ampia disponibilità da parte dei piccoli imprenditori di Béni Mellal a creare relazioni commerciali con i marocchini residenti in Italia principalmente al fine di espandere il proprio volume di affari. Anche se la ricerca non individua delle modalità concrete per poter porre in essere tali collaborazioni transnazionali, viene messo in luce come attraverso la migrazione non vengano solo finanziate le piccole attività produttive autonome ma vengano anche diffuse delle innovazioni nei processi produttivi. Se attraverso i soldi inviati dall’Italia viene finanziato e sostenuto l’avvio di nuove realtà produttive gestite da non migranti, l’innovazione dei processi produttivi viene apportata dai migranti di ritorno 53 che mettono a frutto le specializzazioni tecniche apprese in Italia sia nello stesso settore un cui erano occupato prima di emigrare sia in settori lavorativi nuovi che hanno arricchito il capitale umano dei migranti. Tabella 23: Progetti, valore e numero di posti di lavoro creati nei diversi settori di investimento dal 2003 al 2012 nella regione di Tadla Azilal Fonte: CRI (2013) Settore Industria Edilizia e lavori pubblici Energia e minerario Turismo Commercio Servizi Agricoltura Numero progetti dal Valore totale degli 2003 al 2012 investimenti dal 2003 al 2012 (milioni di dirham) 140 15.439,64 270 797,67 Numero totale occupazione creata dal 2003 al 2013 296 655,66 2.495 83 9 90 6 974,98 586,68 1.123,38 140,96 2.683 1.811 6.670 515 9.046 19.270 Tuttavia tale ricerca mette in luce anche come spesso questo capitale umano venga in parte sprecato in quanto i migranti di ritorno orientano i propri investimenti in attività produttive che considerano più sicure come i caffè, gli internet point, i negozi per lo sviluppo delle fotografie e non invece in quei settori che sono considerati come più promettenti, date le caratteristiche della regione, e che si presterebbero alla creazione di sinergie con l’Italia come i settori della trasformazione dei prodotti agricoli e il turismo di montagna (Chinguer et al. 2006b). In effetti i dati forniti dal Centre Régional d’Investissements (CRI) di Tadla Azilal, illustrati nella tabella 24, evidenziano come proprio questi due ultimi settori per la quantità e il valore degli investimenti. I dati sono riferiti al totale degli investimenti che vengono effettuati rispetto ai quali uno dei responsabili del CRI, intervistato in Marocco (Int. 5 MA), stima siano da imputare ai migranti o ai migranti di ritorno in una misura non superiore al 2% per quanto riguarda i progetti imprenditoriali e al 6% per quanto concerne l’avvio di piccole unità produttive autonome. C’è quindi una certa difficoltà da parte dei migranti di ritorno a Tadla Azilal a farsi promotori dello sviluppo imprenditoriale anche a causa da un lato del basso livello di istruzione e dall’altro del lavoro dequalificato a cui hanno accesso in Italia che non creano una cultura imprenditoriale. Serve quindi che le istituzioni locali si adoperino per creare le condizioni che permettano di valorizzare al meglio le competenze acquisite durante la migrazione. 54 CAPITOLO TERZO ESPERIENZE DI IMPRESA TRA LOMBARDIA E TADLA AZILAL 3.1 Le teorie sulla migrazione di ritorno e i casi studio Cassarino (2004) identifica cinque teorie attraverso le quali può essere spiegato il fenomeno della migrazione di ritorno. La prima fa riferimento agli economisti neo-classici: attraverso la migrazione le persone cercano di migliorare le proprie condizioni di vita per cui chi ci riesce rimane all’estero mentre chi ritorna in patria è solo perché ha fallito in questo progetto. Invece secondo i teorici della New Economics of Labour Migration (NELM), che concepiscono l’opzione migratoria fortemente influenzata dalle dinamiche famigliari, il ritorno fa parte della strategia di sopravvivenza del nucleo famigliare e avviene nel momento in cui il migrante ha raggiunto i propri obiettivi all’estero. Una terza visione è quella strutturalista: la decisione di ritornare nel paese di origine viene presa solo attraverso informazioni parziali di cui il migrante dispone. Una volta in patria egli si scontra con il cotesto socio-culturale locale nel quale si deve reintegrare senza la possibilità di apportarvi grandi cambiamenti. Quando questo non avviene viene presa in considerazione l’idea di riemigrare. Nello schema di Cassarino il transnazionalismo rappresenta un quarto punto di vista secondo il quale la migrazione di ritorno avrebbe luogo nel momento in cui il migrante ha accumulato sufficienti risorse finanziarie e, al tempo stesso, grazie ai frequenti contatti con la madrepatria, ha acquisito informazioni, ha preparato adeguatamente il rientro assicurandosi di mantenere i contatti con il contesto di emigrazione. Infine l’autore individua nei legami sociali cross-border un’ultima spiegazione: il mantenimento dei legami economici e sociali con il paese di origine permette ai migranti di ottenere informazioni e di mobilitare risorse che gli permettono di preparare adeguatamente il proprio ritorno. In questo senso il ritorno viene visto come una delle prime fasi del completamento del progetto migratorio che, quindi, coinvolge sia i migranti sia i non migranti. Nei casi studio esaminati in questo capitolo si possono trovare elementi di ognuna delle teorie esposte, sintomo che sono diversi i percorsi e le motivazioni che spingono i migranti marocchini a ritornare in patria. Tuttavia non convince molto la differenziazione proposta di Cassarino (ibid.) tra transnazionalismo e legami sociali cross border in quanto i secondi sembrano essere già compresi nel primo. A questo proposito Levitt e Glick Schiller (2004) parlano di «campo sociale transnazionale» riferendosi all’insieme delle relazioni sociali tramite le quali vengono scambiate idee, pratiche e risorse attraverso i confini nazionali. Inoltre, Boccagni (2009) evidenzia come le reti transnazionali si esplichino sia attraverso le relazioni sociali sia attraverso i comportamenti, in quanto entrambi contribuiscono a mantenere saldo il rapporto tra le due sponde della migrazione, nonché tra migranti e non migranti. I casi studio esaminati in questa ricerca evidenziano come tale 55 orizzonte bifocale (Guarnizo 1997) non venga meno nel momento in cui i migranti ritornano in patria. Anzi, ciò potenzialmente apre nuove opportunità di successo per gli investimenti imprenditoriali dei migranti. La ricerca si è focalizzata sull’analisi di alcuni casi studio riguardanti esperienze imprenditoriali di migranti che tuttora vivono in Lombardia oppure che vi hanno vissuto e sono rientrati nella regione di Tadla Azilal. I casi studio riguardano le esperienze di tre imprese che sono state create nella regione marocchina da migranti (Vitalité Café) e da migranti di ritorno (Atmani Lighting Led e Sté Compix Linijara), un’idea imprenditoriale in fase di realizzazione che prevede l’avvio di un frantoio industriale da parte di un capofamiglia in collaborazione con i famigliari in migrazione in Italia e Spagna e un progetto, abbandonato sul nascere, di avviare un Bed and Breakfast a Béni Mellal. Inoltre sono state prese in considerazione le realtà del Consorzio Iride e del Consorzio MaItal in quanto nate dal tessuto imprenditoriale lombardo anche se, per il momento, non svolgono attività a Tadla Azilal. Il primo è formato da un gruppo di piccoli imprenditori lombardi mentre il secondo è formato da professionisti e imprenditori italiani e marocchini. Entrambi stanno cercando di approfittare delle opportunità di crescita offerte dal mercato marocchino. In questo capitolo verranno descritti i casi studio analizzando le attività imprenditoriali, il percorso migratorio degli imprenditori, i fattori che hanno stimolato l’idea imprenditoriale, i rapporti con le istituzioni in Italia e in Marocco e le problematiche incontrate nella conduzione dell’impresa. Nel corso della ricerca è stato possibile anche conoscere la realtà dell’Associazione Jamaia Usrat Al Muhajir (Associazione Famiglia del Migrante) formata da un gruppo di migranti di ritorno originari di Fkih Ben Salah, cittadina della regione di Tadla Azilal con un forte legame migratorio con l’Italia. L’incontro con i membri dell’associazione è stato particolarmente utile per comprendere il percorso di reintegrazione dei migranti che, a causa della difficile condizione economica italiana, sono costretti a rientrare nel contesto di origine. 3.2 Le attività di impresa I casi studio confermano i dati del capitolo precedente, relativi alla situazione generale del tessuto imprenditoriale di Tadla Azilal, dominato da imprese medio-piccole. I casi studiati riguardano il settore commerciale, artigianale, quello della trasformazione dei prodotti agricoli e quello turistico. Vitalité Café è una piccola impresa di torrefazione, distribuzione e vendita di caffè alle attività commerciali. Il caffè viene acquistato dall’Indonesia, dal Togo e dalla Guinea tramite un importatore marocchino di Casablanca, dove viene eseguita la torrefazione del prodotto grezzo che quindi viene imbustato e imballato. Le confezioni vengono poi spedite a Béni 56 Mellal e da qui vengono distribuite ai clienti, nelle zone di Tadla Azilal, Meknès e Marrakech. Ad oggi l’impresa è gestita in concreto dal padre e dal fratello dell’ideatore, Abdelilah Ouabich, che abitano da sempre in Marocco mentre lui supervisiona le attività dall’Italia. Attualmente questa piccola attività imprenditoriale dà lavoro a un operatore che è incaricato della vendita del caffè ai clienti. L’impresa corrisponde al venditore una cifra prestabilita per ogni chilo di caffè che riesce a vendere (circa 100 kg alla settimana). Questa forma di pagamento viene vista come un meccanismo necessario per incoraggiare il dipendente a vendere, il quale deve provvedere da sé alla gestione dell’auto che è di sua proprietà. L’attività di Vitalité Cafè è oggi diversa rispetto a quella per cui l’impresa è stata creata nel 2012. Il progetto iniziale prevedeva, infatti, la costituzione di un’impresa di importexport dall’Italia di caffè in grani, caffè in cialde e macchinette per il caffè in cialde, settore in cui il migrante ideatore dell’impresa vantava una buona expertise. A causa della crisi economica, il giovane migrante decide, dopo circa una ventina d’anni passati in Italia, di rientrare in Marocco dove prevede di ristabilirsi proprio sfruttando le competenze che ha appreso nel contesto lombardo. Per questo motivo passa circa un anno in Marocco per capire se questo tipo di prodotto possa trovare un mercato di sbocco anche nel suo paese di origine, facendo uno studio di mercato. «Ho fatto lo studio di mercato con ricerche di mercato e quant’altro. Poi dopo un anno, quando ho avuto il materiale necessario per convincermi a fare questo passo l’ho fatto. Quindi ho creato legalmente un’azienda per l’import-export, sono venuto qua in Italia e ho fatto il mio primo ordine di caffè che fu di una tonnellata di caffè in grani, 20 macchinette e 500 capsule. Era un primo ordine comunque per partire.» (Int.2 IT) Il migrante decide di investire questo anno di vita spinto dalla possibilità concreta di poter ottenere un finanziamento attraverso il programma statale “Marocains du Monde” (MDM), di cui si parlerà nei paragrafi successivi, rivolto ai migranti di ritorno e ai giovani in modo particolare. Tuttavia questo finanziamento non arriverà mai e per questo motivo il padre mette a disposizione delle risorse personali contraendo anche dei debiti. Inoltre, a causa dell’alto livello di tassazione che viene imposto alla dogana, più o meno legalmente, ai prodotti importati dall’Italia l’impresa è stata costretta a orientarsi verso la vendita di caffè proveniente da altri paesi in via di sviluppo, e per questo tassati meno, facendo così cessare qualsiasi forma di legame commerciale con l’Italia. In questo modo l’attività incomincia inizialmente dando lavoro a 3 venditori. Tuttavia la mancanza della liquidità necessaria per fare dei grossi ordini, che permettano di contenere i costi dei singoli quantitativi venduti, costringono al momento l’impresa ad un livello minimo di attività che permette di dare lavoro a un solo venditore e di avere un profitto che garantisce 57 la mera sopravvivenza. Esso infatti viene del tutto impiegato per colmare il debito contratto senza nessun’altra forma di guadagno. Poiché l’attività non garantiva un guadagno sufficientemente sicuro il migrante-imprenditore ha quindi deciso di ri-emigrare in Italia. Nonostante le difficoltà si è comunque deciso di portare avanti il progetto imprenditoriale sia per un motivo di orgoglio sia in quanto si vedono le reali opportunità di questo mercato. Queste motivazioni sono condivise sia dal migrante intervistato in Italia sia dal padre che è stato intervistato in Marocco. Entrambi mettono in luce da un lato gli apprezzamenti per la qualità della miscela che sarebbe richiesta da altri clienti ma che non si riescono a soddisfare per una questione di mancanza di liquidità e dall’altro il desiderio di essere appagati degli sforzi fatti. Inoltre c’è anche il sogno di poter replicare il tipo di formazione sul campo ricevuta in Italia che ha permesso al migranti di fare il passaggio da dipendente a imprenditore: «Avevo in mente di creare una rete commerciale in modo tale da dare la possibilità ai ragazzi di giù di diventare un domani dei concessionari autonomi… avrebbero acquistato da me ad uno sconto talmente elevato che avrebbero avuto la possibilità di venderlo in autonomia. Avrei replicato lo stesso meccanismo che io avevo imparato in Italia attraverso il mio lavoro.» (Int.2 IT) La Atmani Lighting Led è una piccola impresa che sta muovendo i primi passi in Marocco e che rappresenta l’esito del progetto di ritorno del suo fondatore, Salah Atmani, che da pochi mesi si è ristabilito con la sua famiglia a Béni Mellal, sua città natale, dopo avere vissuto in varie città d’Italia e in varie parti dell’Europa. L’impresa si occupa di sistemi di illuminazione pubblica attraverso la tecnologia dei led che permettono di contenere di molto i costi. In questo caso l’imprenditore, che aveva alle spalle una formazione di elettrotecnico prima di emigrare, ha deciso di investire in un’ulteriore formazione in questo particolare campo, dopo alcuni anni passati in Italia lavorando in altri settori. In questo modo è riuscito ad inventare alcuni prodotti che prevede di brevettare a breve in Marocco e che produce in proprio in un piccolo laboratorio, per il momento ubicato nella sua abitazione. L’impresa mantiene un rapporto transnazionale con l’Italia in quanto la maggior parte dei singoli pezzi, che compongono i prodotti finali e che vengono assemblati nel laboratorio, sono importati da aziende di varie parti d’Italia e in modo particolare della Lombardia. In Italia l’imprenditore aveva già cominciato a lavorare in proprio nel settore dell’illuminazione elettrica con lavori di dimensioni medio-piccole. Tuttavia si rende conto di avere le potenzialità per ottenere dei lavori più grandi ma, al tempo stesso, di non possedere un capitale economico tale da poter anticipare le spese necessarie. In Marocco invece questo non sembra costituire un problema altrettanto insormontabile. Il ritorno in patria appare quindi da un lato come la conseguenza naturale per permettere alla propria attività produttiva di fare 58 un salto di qualità e dall’altro il soddisfacimento del desiderio di ritornare a vivere in Marocco e di fare crescere il proprio figlio in quella che viene percepita come la propria cultura. «Era questione che il mio capitale è ancora piccolo e non c'era una facilità di inserirti nella grande committenza perché serve un grande capitale alle spalle. Per cui sono arrivato al punto che quando facevo la ricerca avevo visto che andavano comunque bene con clienti come i piccoli bar e ristoranti eccetera però adesso quel passaggio lo ho superato e voglio arrivare a prendere dei progetti più grossi. E quindi per prendere dei progetti grossi sono arrivato qua. […] Quindi in Marocco c'è il terreno e il Marocco è un paese sviluppato, siamo quasi a livello europeo e anche i prezzi vengono accettati. Tutti i clienti che ho già fatto qui in Marocco accettano il prezzo una volta che hanno visto il prodotto e quindi c'è una certa facilità anche a vendere la facilità anche d'arrivare a commissioni importanti.» (Int.7 MA) L’imprenditore al momento sta lavorando da solo, avvalendosi saltuariamente dell’aiuto di un collaboratore, prendendo piccoli lavori ma, al tempo stesso, sembra avere ben chiaro i passi da seguire per ampliare la propria impresa: sviluppare una strategia di marketing, sviluppare delle collaborazioni su progetti di ampie dimensioni in modo da suddividere i costi e in questo modo espandere poco a poco le dimensioni dell’impresa assumendo manodopera. «Per i privati c'è un costo perché per vendere 10 pezzi non vale la pena quindi cerco dei progetti dove si può vendere 1000 come aziende e centri commerciali o per esempio ora c’è tanto lavoro per l'illuminazione stradale… ho dei clienti anche a Casablanca 4-5 clienti anche là. […] L'idea c'è al momento di svilupparmi di fare un'azienda di fare quest'attività di marketing però al momento non ho tempo di farlo perché mi sto concentrando sullo sviluppo dei prodotti. Io ho la modalità che se ci sono degli investitori, per esempio ho un prodotto che potrebbe essere interessante per il comune di Béni Mellal che avrebbe bisogno di 4/5000 pezzi, posso fare entrare qualcuno che ha i soldi e poi collaboriamo solo per quel progetto non per diventare soci… Sto pensando di fare così. Così quando mi daranno il terreno posso incominciare a fare anche una sorta di ufficio e di azienda vera e propria.» (Int.7 MA) Sté Compix Linijara è una piccola impresa di falegnameria creata nel 2008 a Béni Mellal e ormai consolidata. Il proprietario, Abdelaziz Rezki, ha vissuto circa vent’anni in Italia, prima a Milano e successivamente si è stabilito in provincia di Ravenna dove tutt’ora abitano i suoi figli maggiori. Questo imprenditore ha sempre lavorato come falegname fin da prima di emigrare. In Italia ha avuto l’opportunità di crescere ulteriormente nella sua professionalità lavorando dapprima come dipendente e successivamente gestendo in modo autonomo un’attività. È subentrato infatti nella gestione di una falegnameria al momento del pensionamento del proprietario che gli ha ceduto i macchinari. Tuttavia dopo qualche anno ha incominciato a intravedere i primi segnali della crisi economica e, contemporaneamente, a vedere delle possibilità per la sua attività in Marocco. Con molta lungimiranza ha chiuso 59 l’impresa in Italia, ha trasferito i macchinari in Marocco e ha aperto la ditta a Béni Mellal, ottenendo dal comune un lotto di terreno nella zona industriale14, che progressivamente ha ampliato con investimenti graduali senza ricorrere a prestiti. In questo modo l’impresa si è affermata nel contesto locale e oggi dà lavoro a quattro operai e a una segretaria. Il fatto di avere costruito una fabbrica molto ampia, rispetto alle dimensioni dei laboratori di falegnameria locali, e di fare dei prodotti diversi grazie all’uso dei macchinari italiani sono elementi che gli hanno permesso di farsi un nome nella zona. Ma non solo: per affermarsi nel mercato locale è stato importante anche il poter contare su un certo capitale sociale che gli ha permesso di ottenere visibilità e al tempo stesso di risocializzarsi nei confronti del mercato marocchino da cui ormai era assente da parecchi anni. «Quando sono ritornato un amico, anche lui tornato dall’Italia, stava facendo dei palazzi e quindi ho detto a lui che potevo lavorare con lui, potevo fornire a lui il mio lavoro. Mi ha dato un palazzo: quindi ho fatto loro le porte e le finestre ad un palazzo che lui stava costruendo e quindi in questo modo ho cominciato ad aprire gli occhi, mi sono fatto l'esperienza per vedere come funzionava il lavoro in Marocco. Con lui è andato tutto bene perché mi ha pagato e in questo modo mi sono anche fatto conoscere alla gente si era fatto conoscere anche qual era il mio lavoro.» (Int.6 MA) È interessante notare come le relazioni più importanti che permettono all’imprenditore di muovere i primi passi nel mercato locale siano quelle con altri migranti di ritorno che hanno avviato delle imprese. Questo caso mette in luce che le relazioni che si creano con altri compagni di migrazione diventano talvolta centrali anche nel percorso di reintegrazione nel contesto di origine. A fronte di una consolidata stabilità questa impresa al momento lavora solo nel mercato locale e non ha rapporti con il mercato italiano verso il quale però si vorrebbe aprire senza sapere nel concreto come fare. Ahmed El Mir è un professore di tecnologia in un liceo di Kourigba ed ha preso le redini della sua famiglia allargata, originaria delle vicinanze di Béni Mellal, alla morte del padre. I fratelli sono quasi tutti emigrati: ha quattro fratelli in Spagna e due sorelle in Italia. Lui stesso ha alle spalle una breve esperienza di migrazione in Italia da dove è rientrato dopo pochi mesi di permanenza a Roma, dove si è reso conto delle difficoltà economiche e lavorative che avrebbe dovuto affrontare. La responsabilità nei confronti dei fratelli viene sentita ancora di più nell’ultimo periodo in cui la crisi economica peggiora le condizioni di vita del resto della famiglia Il comune di Béni Mellal, al fine di stimolare lo sviluppo industriale della zona, ha creato da alcuni anni una zona industriale all’interno della quale è stata effettuata una lottizzazione. Gli imprenditori, dando alcune garanzie circa la solidità della propria azienda, possono ottenere i terreni ad un prezzo irrisorio di circa 10 euro il metro quadro, con il vincolo però di non poter rivendere il terreno. 14 60 all’estero e rende sempre più concreta la necessità di un rientro in patria. Per questo occorre pensare ad un’attività che permetta il mantenimento dei fratelli e delle loro famiglie una volta rientrati. Vengono consultati tutti in fratelli all’estero e si decide di avviare un frantoio per la produzione e vendita di olio e olive sott’olio. La famiglia possiede infatti 10 uliveti e al momento il raccolto viene venduto a dei mulini locali con dei guadagni irrisori. Dato che in zona non sono presenti frantoi di ampie dimensioni si decide di costruirne uno che sia in grado non solo di lavorare il proprio raccolto ma anche di essere il recettore dei raccolti dei piccoli coltivatori locali potendo in questo modo avviare un certo stock di produzione. È stata quindi portata a termine la costruzione di un capannone di 500 metri quadri, finanziata interamente con le rimesse dei migranti, su uno dei terreni di proprietà della famiglia. Parallelamente a questo si sono avviati i contatti con un’industria di Bari per l’acquisto di una macchina per la spremitura a freddo delle olive di cui sono in corso le trattative. Si prevede di fare partire le attività nell’arco di un anno senza tuttavia avere una chiara strategia in mente. In tutto questo processo è stato fondamentale il ruolo del cognato, Khalil Youbi, proprietario di una macelleria a Milano che sta gestendo i rapporti con la controparte italiana. Ma non solo: la sua esperienza di piccolo commerciante in Italia e la conoscenza del mercato gli permette di ipotizzare l’ampliamento della produzione del frantoio a prodotti che possono trovare sbocchi commerciali anche in Italia. Anche se tuttavia non sembra avere molte informazione sulle modalità e sui costi di produzione. «Pensando questa cosa ci siamo chiesti perché dobbiamo fare solo l'olio perché non facciamo anche le olive sott'olio e sott'aceto eccetera dato che qui in Europa arriva la stessa merce… perché qui in macelleria mi arrivano le olive confezionate ecc. e quindi possiamo pensare di fare anche queste cose, con tutte le varie regole, oltre a fare l'olio. E quindi ci stiamo informando, anche perché nella zona del nord del Marocco ci sono già delle fabbriche e delle piccole esperienze di persone che stanno già preparando olive sott'olio e le stanno esportando. Abbiamo pensato di fare la stessa cosa anche noi.» (Int.3 IT) Fakhita Haouari, leader di un’associazione di donne migranti a Milano e con alle spalle un tentativo di creare una beauty farm in provincia di Brescia, viene in contatto con il progetto “In-formare: percorsi di co-sviluppo tra Italia e Marocco” ed è stimolata a scrivere un business plan per l’avvio di un’attività a Tadla Azial, grazie anche alla possibilità di essere affiancata dai partner del progetto costituiti da istituzioni e organizzazioni italiane e marocchine. Scrive un business plan per l’apertura di un bed & breakfast a Béni Mellal e si attiva con una serie di visite in loco per trovare un contesto abitativo idoneo. Tuttavia per una serie di difficoltà dovute al contesto, alla scarsa conoscenza del settore e all’appoggio non sempre costante di almeno alcuni degli attori, il progetto non è stato avviato. 61 Appaiono molto innovative inoltre le esperienze dei consorzi di imprese formate da realtà produttive medio piccole in Lombardia che si mettono in rete per aprirsi alle opportunità di investimento del mercato marocchino. Una di queste è il Consorzio MaItal, formato da una ventina tra liberi professionisti e imprenditori delle province di Brescia e Bergamo tra cui vi sono anche quattro migranti marocchini. Il Consorzio si è formato nel 2012 e raggruppa realtà imprenditoriali che lavorano principalmente nel settore dell’estrazione delle materie prime e delle costruzioni ma anche di realtà che lavorano nel campo dei servizi e in modo particolare dell’assistenza sanitaria. Il consorzio è gestito da un presidente, un amministratore delegato, un consiglio di amministrazione formato da sette persone e tre garanti tutti eletti dai soci del consorzio. La realtà del consorzio MaItal nasce con lo scopo di creare delle sinergie, di condividere le risorse e i rischi imprenditoriali tra imprese e liberi professionisti interessati ad investire in Marocco. Il consorzio viene creato su iniziativa di Muhammed Sghayr, molto attivo nel tessuto sociale bresciano, che vanta alcuni contatti con funzionari politici e ministeriali in Marocco. Grazie a questi viene a conoscenza delle diverse possibilità di investimento che si stanno aprendo nel settore dei lavori pubblici in Marocco, soprattutto quelli connessi alla costruzione delle autostrade e della linea di alta velocità su cui si sta investendo. Si mette quindi in contatto con un imprenditore bresciano che lavora nel settore estrattivo e lo invita a fare un primo viaggio di conoscenza in Marocco. Al loro ritorno viene messo in moto un processo di allargamento di questo progetto ad altri soggetti che porterà alla creazione del consorzio. Esso viene costituito formalmente grazie all’aiuto del Consolato generale di Milano che registra lo statuto rendendolo quindi valido anche in Marocco. Questo fatto ha permesso di risparmiare molto tempo per l’accreditamento del consorzio presso i diversi enti e ministeri marocchini. Attualmente il consorzio lavora principalmente attraverso la partecipazione a gare di appalto per l’affidamento di lavori pubblici attraverso un monitoraggio costante dei siti e dei bollettini ufficiali dei ministeri. Al momento il consorzio sta gestendo una cava di calcestruzzo vicino ad Agadir, è in corso il procedimento per ottenere l’autorizzazione di una cava nei pressi di Rabat connessa ai lavori per la costruzione della linea dell’alta velocità e si progetta di ottenere l’uso di un’ulteriore cava a Marrakech per l’estrazione di sabbia e ghiaia per il recupero ambientale e la sistemazione delle sponde dei fiumi. Poiché i soci, che pagano una quota di adesione al consorzio, si occupano di settori diversi e non sono vincolati a partecipare a tutti progetti, è stata adottata una formula organizzativa piuttosto elastica che prevede che ogni nuovo progetto venga esaminato dal consiglio di amministrazione. Se viene approvato, i singoli soci possono poi scegliere di parteciparvi o meno investendo in proprio ulteriori quote. Si forma quindi una sorta di gruppo 62 di lavoro attorno ad ogni singolo progetto con una precisa suddivisione degli incarichi all’interno di esso. A seconda del tipo di progetto può essere richiesto il trasferimento in loco dei soci italiani e/o marocchini, o dei dipendenti dei soci, in una o più fasi delle attività per periodi talvolta anche prolungati. Il Consorzio Iride raggruppa invece 28 piccole imprese italiane quasi tutte della Lombardia e tutte interessate ad ampliare i loro affari in Marocco. Differentemente dal caso precedente, il Consorzio Iride raggruppa realtà produttive principalmente nel settore dei servizi e presenta delle modalità organizzative diverse. Il consorzio infatti rappresenta una realtà a supporto delle imprese garantendo loro delle possibilità di sostegno concreto nell’approcciare il mercato marocchino. Questo supporto è rappresentato dalla presenza a Casablanca di un ufficio di rappresentanza gestito da un funzionario marocchino, Hafid Fajlane, con alle spalle una lunga esperienza di migrazione in Italia, che ha l’incarico di mettere in contatto gli imprenditori italiani con possibili partner d’affari marocchini. Quando uno dei soci è interessato a creare delle partnership in Marocco si rivolge al funzionario in Marocco, il quale si attiva per individuare le imprese marocchine che operino in quel determinato settore e che possano avere le caratteristiche strutturali per poter essere considerate come dei partner potenziali. Vengono quindi contattate dal funzionario il quale provvede a fissare un appuntamento con l’imprenditore italiano. Poiché su 10 appuntamenti fissati solo 2-3 in media portano all’instaurazione di collaborazioni vere e proprie, cerca di organizzare vari appuntamenti nell’arco di pochi giorni per rispondere alle esigenze di tempo degli imprenditori italiani. Quindi comunica le date in Italia e organizza il soggiorno in loco accompagnando gli imprenditori nei vari incontri e sopralluoghi e svolgendo un importantissimo ruolo di interprete e mediatore culturale. Quindi, seguendo le indicazioni di entrambi i partner, resta a disposizione ogni qualvolta gli imprenditori abbiano bisogno di un aiuto nella traduzione o nel disbrigo di pratiche che non richiedano necessariamente la loro presenza fisica. «Per esempio nel caso di una ditta che si occupa di materiale di sicurezza, il proprietario mi ha chiamato e mi ha detto che dalla data X alla data y può venire in Marocco e mi ha chiesto di creargli degli appuntamenti e quindi comincio a chiamare aziende, vado da loro, spiego cosa faccio e cosa fanno loro e poi fisso degli appuntamenti e magari nell’arco di 2 giorni fisso 4-5 appuntamenti. Poi viene lui e io lo porto dalle aziende oppure vengono direttamente qua perché qui abbiamo una sala di riunioni e quindi sediamo al tavolo e si parla: cosa fate, quanti operai avete, ecc. e poi da cosa nasce cosa.» (Int.1 MA) Il reperimento delle aziende marocchine che possano rappresentare dei potenziali partner per gli imprenditori italiani rappresenta il compito principale del rappresentante del Consorzio Iride in Marocco. Le imprese marocchine vengono reperite attraverso internet e il 63 registro delle imprese; tuttavia questi canali non sono così affidabili anche perché la rete internet non è ancora così estesa in Marocco. Più spesso i canali informali, in particolare il passaparola attraverso aziende che già si conoscono, sono quelli che meglio permettono di conoscere realtà nuove ma anche di avere informazioni sul tipo di lavoro svolto e soprattutto sull’affidabilità o meno dell’impresa marocchina. A quel punto si va direttamente a bussare alla porta dell’azienda per presentare sia il Consorzio che la singola azienda italiana e si fissa quindi l’appuntamento. Un ulteriore servizio offerto ai soci è la consulenza di un commercialista italiano che da molti anni lavora in Marocco e quindi conosce molto bene la normativa fiscale e amministrativa e interviene sia nella fase di preparazione sia in quella della stipula degli accordi. In un anno di lavoro, grazie al Consorzio Iride si sono avviate alcune partnership tra imprese italiane e imprese marocchine principalmente nel campo dell’edilizia, in quello dei trasporti e dei servizi in generale. In quest’ultimo campo in particolare l’azienda di Marcello Belotti, il fondatore del consorzio Iride, sta sviluppando un progetto di diffusione di edicole per la distribuzione dei quotidiani locali nel centro di Casablanca. L’idea di creare il consorzio è partita infatti dall’imprenditore che si è aperto al mercato marocchino trovandovi una situazione dinamica e carica di opportunità anche per altri colleghi. Per fare questo si è quindi reso conto della necessità di poter contare sulla collaborazione di un intermediario locale di fiducia che conoscesse entrambi i contesti e che potesse occuparsi di mettere in contatto realtà produttive con interessi complementari come nel caso seguente: «Tipo ti do un esempio: un’azienda di sicurezza elettronica ha cercato qua un’azienda e poi abbiamo mandato il responsabile della ditta marocchina a fare la formazione in Italia e adesso lui sta iniziando a fare la distribuzione del prodotto italiano in Marocco.» (Int.1 MA) I soci pagano una quota per il mantenimento del costo della struttura e del servizio offerto, ossia l’affitto dell’ufficio e lo stipendio del rappresentante marocchino. Dal momento che i soci sono oramai parecchi, il costo è molto contenuto. 3.3 Fattori di stimolo dell’imprenditoria di ritorno Il progetto di un investimento imprenditoriale di ritorno rappresenta l’esito di una valutazione da parte del migrante dei vincoli e delle opportunità sia del contesto italiano sia del contesto marocchino. Le aspirazioni, i desideri ma anche i bisogni e le circostanze economiche spesso portano a vedere le criticità di un luogo come opportunità nell’altro e viceversa. 3.3.1 Gli stimoli dal versante italiano 64 Prendendo in considerazione il versante italiano la partecipazione a corsi di formazione o iniziative per l’avviamento di un’attività imprenditoriale sono uno dei fattori che in alcuni casi hanno spinto i migranti ha riprendere in considerazione un proprio sogno nel cassetto. È questo il caso di Abdelilah Ouabich, fondatore di Vitalité Café, e di Fakhita Haouari che ha tentato di avviare un bed & breakfast. Nel primo caso l’idea è nata dopo avere frequentato parzialmente un corso organizzato dalla Camera di Commercio di Pavia per l’avvio di nuove start up. Il corso gli ha permesso di imparare a condurre uno studio di mercato e a redigere un business plan dandogli la possibilità di consolidare una già ampia conoscenza in materia che aveva accumulato sul campo. Infatti aveva avuto l’opportunità di lavorare per alcuni anni per una compagnia in franchising che vendeva un robottino elettronico. Il percorso di inserimento nell’azienda prevedeva una carriera graduale che cominciava con lo svolgere il ruolo di venditore attraverso l’organizzazione di dimostrazioni per poi diventare il responsabile di una concessionaria e per poi aprirne una in proprio. Tuttavia si è fermato al penultimo step perché proprio poco prima di ottenere la promozione finale l’azienda è fallita. Il proprietario ne ha aperta un’altra ma in un settore diverso, quello del caffè in cialde, e il migrante avrebbe dovuto ricominciare daccapo il percorso di carriera. Si è quindi proposto di mettere a frutto le conoscenze teoriche e pratiche apprese in Italia per cercare di aprire un nuovo mercato in Marocco per questo prodotto. Con questo scopo si è trasferito in Marocco dove ha trascorso circa un anno per fare uno studio di mercato prima di fare partire l’impresa, cercando in questo modo di realizzare anche il sogno di dimostrare ai proprio parenti e conoscenti rimasti in patria quello che è diventato vivendo in Italia. Nel caso di Fakhita Haouari l’idea di fare qualcosa per il proprio paese ha sempre rappresentato un desiderio che tuttavia non aveva mai cercato di realizzare concretamente ma a cui ipotizzava di dedicarsi dopo essere andata in pensione, motivata anche da una sorta di bisogno di dover portare in qualche modo in Marocco quanto appreso all’estero. «Quest’idea ce l'avevo già prima assolutamente anche perché appunto anche con gli anni uno pensa di tornare in patria anche per fare un'attività in patria… quando finisce di lavorare per fare il pensionato e al tempo stesso di poter fare una piccola attività anche per appoggiare lo sviluppo del mio paese e dare una mano quindi alla manodopera locale. Perché appunto ci sono dei posti che vanno valorizzati turisticamente in questo senso si potrebbe creare delle esperienze di sviluppo… io penso che l'esperienza che abbiamo acquisito qui possiamo portarla là per appoggiare lo sviluppo allo stesso tempo del paese e sviluppare.» (Int.1 IT) La partecipazione al progetto “In-formare: percorsi di co-sviluppo tra Italia e Marocco” e il coinvolgimento di enti del settore imprenditoriale, che avrebbero dovuto accompagnare l’avvio dell’impresa, rappresentano una reale possibilità di dare concretezza a 65 questa idea. Pertanto la migrante decide di approfittarne. Un tentativo pregresso di avviare un centro benessere ha permesso alla signora di avere già delle competenze di base e dei contatti (il proprio commercialista) che le hanno permesso di predisporre il business plan per l’avvio del bed & breakfast. La partecipazione a iniziative istituzionali è anche all’origine del Consorzio Iride: l’idea infatti matura gradualmente dopo la partecipazione da parte dell’ideatore ad una missione in Marocco organizzata dalla Camera di Commercio di Milano. Dopo questa prima conoscenza del tessuto economico marocchino il progetto si struttura a mano a mano che si constatano le buone opportunità di investimento in quel mercato e l’interesse di altri imprenditori lombardi. Per la strutturazione del consorzio si rivela fondamentale la conoscenza pluriennale di alcuni migranti marocchini che lavorano da parecchio tempo nella ditta del fondatore del Consorzio Iride e con i quali si è instaurato un rapporto di fiducia consolidato. A uno di essi in particolare, Hafid Fajlane, viene proposto di trasferirsi in Marocco per fare da punto di riferimento in loco per i soci italiani e mantenere i rapporti con questi ultimi. Il migrante rappresenta una risorsa centrale per la realizzazione e il potenziamento del Consorzio in quanto conoscendo sia il contesto culturale italiano sia quello marocchino e parlando perfettamente l’arabo, il francese e l’italiano è in grado di mettere direttamente in dialogo potenziali partner commerciali di entrambe le realtà. Questo permette una conclusione degli affari in tempi più rapidi e in modo potenzialmente più proficuo. Lo stimolo a costituire il Consorzio Maital deriva invece da parte marocchina in quanto il fondatore, Muhamed Sghayr, coltiva da molto tempo il progetto di incentivare gli imprenditori italiani a investire in Marocco. L’integrazione del migrante nel contesto italiano, e in modo particolare bresciano, si rivela fondamentale per la concretizzazione dell’idea. Da un lato infatti l’impegno nel sociale per l’integrazione dei migranti lo porta a organizzare importanti manifestazioni che lo pongono in contatto con esponenti di spicco del contesto politico-amministrativo marocchino; dall’altro il suo inserimento sociale ed economico in Italia gli permette di entrare in contatto con alcuni professionisti con cui socializza l’idea. «È una realtà che è nata da una piccola idea un piccolo sogno mio, di un immigrato marocchino che voleva costruire e aiutare le persone italiane e gli investimenti in Marocco. L'idea è nata tramite il ministro delle infrastrutture e trasporti che è venuto qui a Brescia per un incontro che avevo organizzato… prima di essere un ministro, alla fine del 2011. Il progetto era di accompagnare e portare in Marocco imprenditori italiani o marocchini che vogliono fare l'investimento in Marocco. Questo era solo un sogno. […] Poi nel mio piccolo mondo di lavoro il mio commercialista mi ha fatto conoscere un ingegnere e, tramite lui, gli altri imprenditori. Quindi ho condiviso con l’ingegnere questo progetto e poi, dopo che è stato in Marocco, con gli altri imprenditori… abbiamo fatto degli incontri e siamo andati avanti a fare altri incontri dopo incontri a Brescia e a Bergamo» (Int.4 IT) 66 A fronte di questi contatti personali un primo imprenditore ha deciso di fare un viaggio di conoscenza in Marocco attraverso il quale si sono sfatati alcuni pregiudizi sul paese, si sono appurate le reali opportunità di investimento. Una volta tornato in Italia, l’imprenditore contatta altri colleghi, vengono organizzate altre missioni in loco e dopo avere ottenuto l’interesse iniziale di circa 15 imprenditori, sia italiani sia marocchini, viene creato il Consorzio. Un fattore che spinge a spostare i propri investimenti in Marocco è la crisi economica. Come già anticipato nel paragrafo precedente, nel caso del proprietario di Sté Compix Linijara, è proprio l’intravedere i primi sintomi della crisi che lo spingono a trasferire la propria realtà produttiva in Marocco. In particolare, il vedere le prima difficoltà di alcuni imprenditori italiani già nel 2008 lo inducono a intravedere dei problemi ancora maggiori che nel prossimo futuro sarebbero emersi per i migranti. Dopo avere costatato le possibili concrete offerte dal tessuto economico di Tadla Azilal, nell’arco di 4 mesi organizza il suo rientro definitivo. «…sai perché io ho visto i miei amici che vendevano il rame piuttosto che le vernici con cui avevo delle collaborazioni che loro piangevano tutti e quindi mi sono immaginato che se anche per quelli italiani era difficile anche per me diventava difficile ancora di più. Così dopo 3-4 mesi ho preso tutte le macchine, le ho caricate in un container e le ho trasferite in Marocco. Così ho trasferito la mia impresa che già avevo da 3 anni in Italia.» (Int.7 MA) Al contrario, nel caso del proprietario di Atmani Lighiting Led la crisi economica non pare avere costituito un elemento che ha motivato il ritorno in quanto ha alle spalle anche la creazione di una piccola catena di negozi di parrucchieri che sta andando bene e l’impresa che ha trasferito in Marocco stava andando bene anche in Italia. Per questo è convinto che con una programmazione oculata delle proprie attività, con la disponibilità a ridurre i profitti e con la capacità di saper intercettare i nuovi bisogni si possa sopravvivere alla crisi. Infatti gli investimenti fatti in Italia gli hanno permesso di accumulare le risorse necessarie per il rientro in patria in modo produttivo. Nel suo caso il ritorno avviene principalmente per delle motivazioni di carattere personale, legate ai bisogni della famiglia di origine, religiose e culturali. Rispetto a queste ultime la diversa mentalità italiana rispetto a quella marocchina, di cui vuole che il figlio non perda le radici, costituisce la principale motivazione al ritorno specie nel momento in cui il figlio raggiunge l’età scolare. «Ho deciso di tornare per mio figlio perché ha l'età che entra a scuola e allora non voglio che inizia la scuola lì [in Italia] e poi deve tornare qua e ricominciare tutto da zero, come sta facendo qua… anche adesso l'ho portato prima un po' all'asilo per riprendere un po' l'arabo ben prima di mandarlo a scuola. Potevo stare ancora di 67 più lì in Italia però ho mio figlio che sta diventando grande e per questo ho deciso di tornare.» (Int.7 MA) In questo caso la particolare motivazione al ritorno assume un aspetto ancora più interessante poiché il migrante ha sempre cercato di integrarsi al meglio nelle diverse città italiane in cui si è trovato a vivere prendendo parte attivamente a realtà della società civile per l’integrazione degli immigrati. «In Italia mi sentivo sempre come a casa mia perché guarda io rispetto molto e la prima cosa che ho fatto in Italia penso di essere stato uno dei primi immigrati ad avere Internet a casa mia, anzi il primo perché me l'ha detto Telecom! Volevo avere l'Internet proprio per inserirmi… perché le persone marocchine che sono là non sanno l'Italia come è. Andavo a scuola per imparare l'italiano però al tempo stesso cercavo di inserirmi all'interno della comunità italiana e a Genova ho creato un’associazione per aiutare quelli di noi in difficoltà a inserirsi e ne ho aiutati tanti.» (Int.7 MA) 3.3.2 Gli stimoli dal versante marocchino I casi studiati mettono in evidenza come la decisione di rientrare in patria per avviare un progetto imprenditoriale venga influenzata anche dalle possibilità concrete offerte dal contesto marocchino. Negli esempi indagati i fattori di attrazione verso il Marocco sono relativi alle possibilità offerte dal settore istituzionale, alla valutazione delle opportunità economiche e a fattori legati ai famigliari rimasti in patria. Per la creazione di Vitalité Café è stato determinante il contatto con la filiale di Béni Mellal della Fondation Banque Populaire pour la Création d’Entreprise (ente del settore privato che offre consulenze di vario tipo per l’avvio di piccole imprese). Attraverso un funzionario della Fondazione l’aspirante imprenditore è venuto a conoscenza del programma di finanziamento “MDM Invest”15 rivolto ai marocchini residenti all’estero intenzionati ad investire nel paese. Si tratta di un programma governativo tramite il quale le banche possono concedere dei finanziamenti particolarmente vantaggiosi ai progetti imprenditoriali più meritevoli su presentazione quindi di un opportuno studio di mercato e di un business plan. I progetti devono prevedere un investimento di almeno 2 milioni di dirham. Se vengono valutati come finanziabili dalle banche ottengono un finanziamento a fondo perduto dallo stato pari al 10%, un prestito agevolato dalla banche pari al 65% mentre il restante 25% deve essere anticipato dall’imprenditore. Forte dell’esperienza acquisita in Italia nella gestione della piccola impresa e delle conoscenze acquisite durante il corso di formazione, l’aspirante imprenditore prepara una prima bozza di progetto ricevendo l’incoraggiamento da parte della Fondazione a proseguire Si veda: http://www.marocainsdumonde.gov.ma/vous-avez-un-projet-d %E2%80%99investissement/fonds-'mdm-invest'.aspx 15 68 in quanto l’approvazione del progetto per l’accesso a MDM Invest viene visto come molto probabile. Inoltre la Fondazione è disponibile ad offrire i propri servizi all’imprenditore in tutte le fasi di preparazione dell’investimento e di studio del progetto. Questo, unitamente ad una situazione economica precaria in Italia, è la molla che fa decidere al migrante di investire seriamente nel progetto e per questo si trasferisce in Marocco per circa un anno. Durante questo anno, con la consulenza costante della Fondazione, effettua lo studio di mercato ed elabora il business plan del suo progetto imprenditoriale. «Sono venuto qui per Natale ho parlato con tanti amici e ho visto che stavano facendo dei palazzi grandi… quindi sono tornato qui, mi sono informato un po' e ho visto un po' l'economia come andava e avevo visto che le cose andavano bene. E allora ho pensato di ritornare, di provare a tornare perché secondo me nella vita bisogna sempre provare» (Int.6 MA) Le parole di Abdelaziz Rezki mettono in luce un secondo fattore, che deriva dal versante marocchino, che spinge i migranti al ritorno: il mercato economico in espansione, per lo meno in alcuni settori come quello edile, nella regione di Tadla Azilal. Nel caso in questione, dopo circa 4 mesi dal ritorno in Marocco per la visita annuale alla famiglia e la presa di alcune informazioni, l’imprenditore decide di fare il grande passo di ritornare. Il ritorno in questo caso non è accompagnato da studi di mercato particolari ma si affida su quanto visto direttamente e riportato da altri imprenditori, a loro volta rientrati dall’Italia. Saranno loro a garantire le prime commesse all’impresa ma anche ad appoggiarla nel disbrigo di alcune problemi burocratici iniziali. Infatti per l’ottenimento di un lotto nella zona industriale di Béni Mellal, il Comune pone come condizione che il richiedente abbia una certa somma di denaro a disposizione nel proprio conto corrente. In questo caso il migrante non disponeva di tale somma ma proprio uno di questi amici gli ha prestato la somma di denaro di cui aveva bisogno per una ventina di giorni, ossia per il tempo necessario perché il Comune verificasse che lui effettivamente avesse il capitale a disposizione. Una volta effettuati questi accertamenti e avere ottenuto quindi il lotto, il denaro è stato restituito al legittimo proprietario. Anche la decisione di dare vita la Consorzio MaItal è una diretta conseguenza della presa di coscienza delle condizioni favorevoli del mercato marocchino ma anche del superamento di alcuni stereotipi e precomprensioni nei confronti di un paese sconosciuto. Ovviamente in questo caso non era il migrante marocchino che doveva superare questi ostacoli ma il partner italiano. In questo caso il migrante ha svolto un ruolo di vero e proprio mediatore culturale portando l’imprenditore in Marocco e facendogli conoscere la realtà locale. Dopo questo viaggio l’imprenditore italiano non solo si motiva a dare vita al Consorzio ma farà ritorno più volte in Marocco anche per scopi personali. 69 «Abbiamo iniziato materialmente ad accompagnare l'ingegnere a conoscere la realtà perché, per dirla fuori dai denti, l'ingegnere la prima volta aveva paura rispetto al Marocco perché non lo conosceva e allora ho detto: ”Vieni con me che ti faccio conoscere il Marocco”. Infatti, dopo essere sceso, dopo è sceso ancora con sua moglie per un viaggio turistico perché subito gli è piaciuto il Marocco e da lì è iniziato il tutto. Ha visto che c’è un'altra cultura, che è un'altra realtà rispetto a quello che è dimostrato dai marocchini in Italia ed effettivamente è quello che hanno notato anche altri imprenditori che sono stati in Marocco. Poi il bello è che il Marocco porta a una serie di agevolazioni per l'imprenditore italiano…» (Int.4 IT) Un’ultima motivazione è relativa ai problemi di gestione dei famigliari rimasti in Marocco soprattutto quando diventano anziani e molti altri membri della famiglia sono emigrati, come mette in luce Salah Atmani: «Per tanti motivi… i miei genitori, io ho sette fratelli, e ne è rimasto solo uno perché tutti gli altri sono fuori. Ho due fratelli che sono in Italia, tutti gli altri sono sposati e poi è rimasto con loro solo il mio fratello piccolo e quindi io ho pensato che dovevo stare vicino o a loro anche. Questa è la prima motivazione.» (Int.7 MA) 3.4 Il percorso migratorio Quasi tutti gli imprenditori marocchini intervistati sono arrivati in Italia da giovani, intorno ai vent’anni, e già in possesso di un titolo di studio medio alto conseguito in patria. La formazione conseguita in Marocco non viene quasi mai sfruttata in Italia in quanto, nella fase di inserimento, i migranti trovano per lo più impieghi con mansioni dequalificate. Tuttavia il bagaglio culturale da un lato sembra rappresentare una sorta di garanzia in più nei confronti dell’avventura migratoria. Dall’altro lato viene talvolta riscoperto proprio nel momento in cui si pianifica l’avvio di un progetto imprenditoriale di ritorno in Marocco. È questo il caso di Salah Atmani, arrivato in Italia nel 1999 a 25 anni, che possedeva un diploma di elettrotecnico. Tuttavia quella dell’elettrotecnica è destinata a rimanere solo una passione per molto tempo in quanto lavora come parrucchiere per qualche anno prima di emigrare in Italia. Una volta in Italia decide di imparare al meglio questo mestiere per poter essere spendibile anche sul mercato italiano. Si iscrive quindi alla scuola per parrucchieri di Jean Louis David e, dopo qualche tempo, apre un suo primo negozio. Piano piano investe i soldi guadagnati per espandere questa attività e, in società con altri colleghi, apre una piccola catena di 3 negozi di parrucchiere ad Alessandria, Asti e Serravalle. Grazie alla sua forte mentalità imprenditoriale, nel 2008, decide ancora una volta di investire gli utili di queste attività per l’avvio di un’impresa in Marocco, in quanto, come si è detto nel paragrafo precedente, pensava di farvi ritorno per motivi famigliari. Inizialmente pensa di aprire un’impresa nel mercato del mobile ma, dopo una breve indagine effettuata in 70 Marocco, si è reso conto che serviva un capitale inziale molto cospicuo di cui non disponeva e quindi ha abbandonato l’idea. Parallelamente a ciò il suo interesse per l’elettrotecnica lo ha portato a scoprire la tecnologia dei led che, a parità di prestazione, permette di ridurre considerevolmente le spese per l’energia elettrica. Si tratta di un settore nuovo di cui, soprattutto in tempi di crisi, vede le potenzialità sia in Italia sia in Marocco. Per questo si iscrive a dei corsi di formazione specifici per questo settore trasferendosi per un periodo anche in Germania dove prende vari contatti, partecipando anche alla fiera dell’elettronica di Francoforte. Ha quindi inventato alcuni nuovi prodotti che a breve brevetterà in Marocco, in quanto è meno costoso rispetto all’Italia. Comincia a fare dei piccoli lavori in questo settore in Italia ma si rende conto che questa attività ha bisogno di un forte impulso che può arrivare da ordini di ampie dimensioni; in Italia la concorrenza però è molto forte mentre in Marocco non lo è altrettanto. Decide quindi di rientrare con la moglie e il figlio in patria, a Béni Mellal, dove si ristabilisce definitivamente nel 2013 e dove crea la Atmani Ligting Led che al momento sta muovendo i primi passi: ha già dei clienti importanti, si sta occupando di sviluppare una strategia di marketing e sta ottenendo un lotto nella zona industriale di Béni Mellal dove l’azienda potrà avere la sua sede ufficiale. «Mi è venuto in mente questo progetto perché avevo fatto elettrotecnica e ho saputo che i led sono una cosa conveniente poi ho fatto una sorta di formazione specifica su vari fronti per specializzarmi proprio su questa produzione di led è poi sono andato ad una fiera specifica elettronica a Francoforte e lì mi è venuta l'idea di inserirmi in questo mercato. Quindi facendo un po' di sacrifici ho fatto il mio laboratorio lì senza andare in nessuno e quindi visitavo le aziende e vedevo che c'era a una mancanza anche da loro quindi ho investito nelle mie capacità.» (Int.7 MA) Per Hafid Fajlane, del Consorzio Iride, il rientro in patria rappresenta l’esito di un rapporto di fiducia costruito nel tempo che si traduce in una concreta opportunità di ascesa dal punto di vista lavorativo. Hafid arriva in Italia nel 1999 a 18 anni di età dopo avere frequentato un anno alla facoltà di economia. Vede che non ci sono buone possibilità di lavoro per i laureati e quindi decide di venire in Italia: Studiavo, ho fatto il primo anno di economia e ho visto persone laureate che non avevano lavoro e quindi mi sono detto: “Se vado avanti così perdo tempo”. Io studiavo per lavorare, per creare una famiglia e mi è venuta questa idea vedendo gli altri che andavano in Italia per lavorare e che andavano per 2-3 anni e poi tornavano con la macchina e quindi mi sono chiesto: “Perché non vado anch'io?” e così sono andato anche io. (Int.1 MA) In Italia trova lavoro come operaio prima in un’azienda che produceva piastrelle e successivamente presso il Gruppo Anna, l’azienda del fondatore del Consorzio Iride, che si occupa della distribuzione di giornali. Vi entra attraverso una cooperativa e successivamente 71 viene assunto come operaio. Lavora per 10 anni come operaio in quest’azienda dove sono impiegate circa 70 persone di cui solo due sono marocchine. Quando viene creato il consorzio, matura l’esigenza di avere una persona di fiducia in loco che possa interagire sia con gli imprenditori italiani che con quelli marocchini. Dato il rapporto di fiducia creatosi la proposta viene fatta ad entrambi ma il collega rifiuta in quanto, avendo dei figli grandi, non se la sentiva di spostare la famiglia in Marocco. Hafid invece accetta questa sfida in quanto si sta per sposare e non ha particolari vincoli famigliari che gli impediscono di ritornare. Inoltre vede in questa proposta una nuova opportunità di crescita professionale oltre che economica. Dopo un periodo di formazione in Italia per conoscere lo scopo della sua nuova mansione e conoscere le aziende che formano il consorzio si trasferisce con la moglie a Casablanca dove apre l’ufficio del Consorzio Iride. Oltre a chi rientra in modo permanente in Marocco, trasferendovi l’esperienza appresa in Italia, altri imprenditori intervistati decidono di investire nel paese di origine pur continuando ad abitare in Italia. È il caso di Khalil Youbi che arriva in Italia la prima volta nel 1989 per un breve vacanza da un amico che abita a Roma, poco prima di laurearsi in biologia animale. Ritorna in Marocco e si laurea ma non trova lavoro così poco dopo decide di intraprendere la strada dell’emigrazione in Italia, mai intrapresa prima di lui da nessun membro della sua famiglia. Trova lavoro in una ditta di import-export di biancheria a Roma dove lavora fino al 2008. Grazie a questo lavoro si integra molto bene dal punto di vista economico comperando una casa attraverso un mutuo bancario. Si sposa nel 2006 con una ragazza marocchina conosciuta in Italia che abita con i suoi fratelli a Milano e, per motivi di lavoro, resta a vivere a Milano anche dopo il matrimonio mentre lui continua a vivere a Roma fino al 2008. In quell’anno decide di licenziarsi in quanto la ditta presso cui lavora risente molto della crisi economica. Infatti nel 1990, quando fu assunto, era l’unico dipendente della ditta che successivamente si è ampliata fino ad averne 18. A partire del 2005 gli affari cominciano a calare sempre di più, così come i dipendenti. Anche per questo motivo decide di non fare trasferire la moglie da Milano perché possa mantenere il suo lavoro. Poco prima che l’azienda fallisca, decide di licenziarsi, di vendere la casa a Roma e investire i propri risparmi nell’apertura di una macelleria e rivendita di generi alimentari a Milano nella zona di Piazzale Cuoco, che al momento riesce a mantenere aperta anche se il livello di profitto è modesto. Nel suo caso un rientro definitivo in Marocco non viene preso in considerazione principalmente per la difficoltà di riadattarsi ad una cultura e a un modo di vivere che oramai non sente più di tanto appartenergli. Tuttavia vede nella sua duplice appartenenza all’Italia e al Marocco un’opportunità concreta per ampliare il volume dei propri affari. Partecipa infatti alla costruzione di un frantoio da parte della famiglia della moglie e, oltre che 72 economicamente attraverso le rimesse, vi prende parte mettendo in contatto il cognato che si occupa del frantoio con un venditore di macchine per la spremitura delle olive in Puglia, con cui al momento stanno contrattando un prezzo finale per l’acquisto. Al tempo stesso pensa di poter utilizzare la propria esperienza, le proprie relazioni nonché la propria licenza commerciale per vendere in Italia e in altri paesi europei i prodotti del frantoio industriale che stanno costruendo. In questo caso quindi non vi è un progetto di ritorno ma quello di dare vita a relazioni più frequenti e fattive con la madre patria. Questo è il progetto anche di Muhammed Sghayr, fondatore del Consorzio MaItal. È arrivato in Italia nel 1999, raggiungendo i genitori e tutti i suoi fratelli che erano arrivati precedentemente, dopo avere studiato per un anno giurisprudenza e avere fatto parte di una squadra di atletica come professionista. Quando arriva in Italia pensa di poter portare avanti i propri studi e la propria passione sportiva ma ben presto si accorge che la realtà è diversa dalle sue aspettative. Lavora infatti come operaio e, contemporaneamente, si iscrive alla facoltà di informatica all’Università di Brescia ma la deve abbandonare in quanto non riesce a conciliare studio e lavoro. Per qualche periodo si trasferisce prima in Belgio e poi in Olanda ma, non trovando opportunità particolari, decide di rientrare in Italia. Qui tenta di iscriversi alla facoltà di medicina a Brescia ma viene escluso per una problematica di natura burocratica. Decide quindi di iscriversi ad un corso regionale per operatore socio assistenziale. Una volta ottenuto il diploma incomincia una carriera in ascesa in questo settore: lavora un anno come operatore, quindi diventa responsabile di un gruppo di operatori fino a fondare una cooperativa di servizi sanitari, infermieristici e di assistenza domiciliare. Attualmente ne è il presidente e coordina il lavoro di 18 soci fornendo servizi alle realtà ospedaliere e sanitarie della zona. Ha portato quindi l’esperienza imprenditoriale maturata all’interno del Consorzio MaItal dove si sta interessando, in collaborazione con gli altri soci, per inserirsi nel settore sanitario marocchino attraverso la gestione di alcuni progetti. Il percorso migratorio di Abdelilah Ouabich si distanzia dai precedenti in quanto questo imprenditore arriva in Italia negli anni ’90 come minore non accompagnato a 13 anni. In quegli anni l’Europa, e l’Italia in particolare, vengono visti nella mentalità marocchina come luoghi di benessere dove si possono fare soldi in modo facile. Molti ragazzi sono attratti da questo sogno e le famiglie vedono positivamente la migrazione dei figli, anche se molto giovani, come forma di investimento per l’avvenire di tutto il nucleo famigliare. «Sono arrivato in Italia a 13 anni. Il primo anno purtroppo l’ho passato per la strada dormivo in baracche, giardini, dovunque capitava. L’unica cosa che sapevo è che non volevo spacciare né rubare. Io sono venuto con l’idea, non lo dico per scherzare, di venire e raccogliere i soldi per terra, ero convinto di riempire 3-4 sacchi al giorni di soldi. Questo era quello che ci facevano credere 73 in Marocco. Nessuno ti veniva a dire quella che era la realtà. Quindi quando mi sono trovato nella realtà che non ci sono soldi per terra allora lì ho capito che l’unico modo per farli nell’immediato era spacciare o rubare oppure dove studiare però si trattava di aspettare [a guadagnare]. Ho parlato con i miei e ho spiegato loro la situazione e loro mi hanno appoggiato.» (Int.2 IT) Quindi appurate le difficili condizioni che si trova ad affrontare in Italia e non volendo finire in circuiti delinquenziali, tramite un conoscente marocchino si fa accompagnare in Questura da dove viene affidato ad un comunità per minori. Ha quindi frequentato la scuola media e successivamente i primi tre anni della scuola superiore grazie all’ottenimento di un proseguo amministrativo, ossia l’estensione del diritto ad usufruire dell’accoglienza e del mantenimento da parte del Comune anche oltre il compimento dei 18 anni di età, quando cioè questo diritto cessa di sussistere. Si è quindi iscritto ad un Istituto industriale ottenendo dopo tre anni la qualifica di perito elettrotecnico. Era intenzionato a proseguire per prendere la maturità ma, per motivi economici, il Comune di Milano ha deciso di interrompere il proseguo amministrativo e lui si è trovato nelle condizioni di non poter più andare a scuola in quanto doveva trovarsi un lavoro per potersi mantenere. Trova quindi un lavoro come falegname e contemporaneamente ha l’opportunità di entrare in un progetto del Centro Ausiliario Minori (CAM) che dava l’opportunità ai ragazzi in situazioni simili di essere alloggiati, solo per la notte, in famiglie che si offrivano a questo scopo. Viene ospitato da una famiglia in provincia di Pavia con cui entra in buonissimi rapporti finendo praticamente con il vivere con loro anziché essere ospitato solo per la notte. Portando avanti il suo lavoro in falegnameria decide di iscriversi alle scuole serali per prendere la maturità di dirigente di comunità ma, a causa del poco tempo a disposizione per lo studio, non riesce a superare l’esame. Dopo qualche anno di lavoro in falegnameria, dove nel frattempo viene assunto a tempo indeterminato, vuole aprirsi a nuove esperienze professionali che gli permettano di crescere ulteriormente. Viene in contatto con il Gruppo Kirby, una catena di negozi in franchising che vendono un robot elettrico. Contro il parere di tutti si licenzia e comincia un percorso in questa azienda in cui deve seguire un iter di formazione e di carriera che prevede inizialmente uno stipendio a provvigione per un tipo di lavoro che inizialmente consiste nel vendere attraverso l’organizzazione di dimostrazioni. Sceglie di fare questo passo perché si sente capace di poter dare il meglio di sé in un lavoro autonomo dove deve contare solo sue forze ma dove, al tempo stesso, si sente più motivato e valorizzato. «Certo era un lavoro nuovo ed era un lavoro che non mi offriva alcuna garanzia mentre nel lavoro nella falegnameria avevo un tempo indeterminato, alla Kilby avevo un lavoro a provvigione. Però in quel lavoro mi veniva data la possibilità di diventare qualcuno contando sulle mie forze e non sul fatto che devo piacere al capo. Potevo andare avanti e crescere grazie quello che facevo io come persona e siccome mi reputo una persona capace, una persona che ama 74 quello che fa e si applica anima e corpo non ho avuto timore di dare le dimissioni contro tutti quelli che mi erano vicino che non approvavano questa scelta perché avevo un contratto a tempo indeterminato. E comunque i fatti mi hanno dato ragione infatti dopo un anno la falegnameria ha fallito e io, invece, nella Kirby nel frattempo sono cresciuto e quindi anche il lavoro che sto facendo oggi in quest'ufficio è grazie a quello che mi hanno insegnato alla Kirby. Quindi insomma diciamo che se ritornassi indietro farei le stesse scelte.» (Int.2 IT) Nel tempo riesce a fare una progressione di carriera nella Kirby, ma proprio nel momento in cui avrebbe dovuto ottenere la promozione per aprire una concessionaria in proprio l’azienda è fallita. Il proprietario ha quindi creato un’altra azienda per la vendita di macchinette per il caffè a cialde, replicando la stessa struttura organizzativa. A quel punto Abdelilah, non volendo ricominciare da zero ha cercato di aprire direttamente una propria concessionaria in Marocco trasferendovisi per un anno per effettuare uno studio di mercato. L’idea era di restare se le cose fossero andate bene. Tuttavia per una serie di problemi, di cui si parlerà nei paragrafi successivi, l’azienda non dà i risultati sperati ed è costretto a ritornare in Italia. Qui, grazie alle esperienze manageriali acquisite nel tempo, ha recentemente trovato lavoro nell’ufficio amministrativo di una grande palestra a Milano. 3.5 I problemi per la realizzazione dell’impresa transnazionale Per la realizzazione di investimenti imprenditoriali di successo i migranti si trovano a fare fronte ad una serie di difficoltà che, in alcuni casi, hanno compromesso l’avvio dell’impresa. Dai casi analizzati in questa ricerca emerge che gli ostacoli derivano soprattutto dal contesto marocchino; tuttavia vengono segnalate alcune difficoltà relative anche al contesto italiano di accoglienza. 3.5.1 Le difficoltà derivanti dal contesto italiano Per quanto riguarda il contesto di residenza dei migranti, sia che vogliano tornare definitivamente sia che vogliano realizzare degli investimenti transnazionali, le problematiche segnalate riguardano: a) la realizzazione di corsi e iniziative per la creazione di impresa il cui apporto rimane confinato al piano teorico; b) la difficoltà ad instaurare rapporti commerciali con possibili partner italiani; c) il superamento di alcuni stereotipi relativi al Marocco; d) la disponibilità degli imprenditori italiani a recarsi spesso in Marocco. L’idea di avviare un’impresa in Marocco spesso viene stimolata da alcune iniziative realizzate in Italia con cui i migranti vengono in contatto. È questo il caso sia di Vitalité Café di 75 Abdelilah Ouabich sia del tentativo fallito di avviare un bed & breakfast da parte di Fakhita Haouari. Nel primo caso, la partecipazione ad un corso per lo start up di imprese realizzato dalla Camera di Commercio di Pavia ha dato ancora più slancio al progetto imprenditoriale da realizzare in Marocco. Tuttavia ciò che, perlomeno agli occhi dell’imprenditore marocchino, non appare chiaro fin dall’inizio è il fatto che il corso avrà una valenza teorica e non fornirà degli incentivi o contributi finanziari ai partecipanti. Quando viene appurato questo, l’imprenditore decide di interrompere la frequenza del corso in quanto non è interessato a tutti gli argomenti che vengono affrontati ma solo alle nozioni che gli possono esser utili per preparare il business plan. «Il corso è durato circa tre giornate da sei ore l'una. Hanno dato proprio delle informazioni così generali, poi il corso andava avanti comunque. Poi però le altre cose erano cose che non m'interessavano più di tanto: una volta che mi hanno dato gli strumenti per fare il business plan e una volta scoperto che comunque attraverso loro non avrei avuto aiuti economici, per me era una perdita di tempo quindi io ho preso le cose che mi interessavano per partire e basta.» (Int.2 IT) La signora Haouari viene stimolata a partecipare al progetto finanziato dal Comune di Milano e gestito dal Cosv attratta dalla possibilità di poter avvalersi di un accompagnamento costante da parte di tutti i partener del progetti sia italiani che marocchini. Scrive il business plan in autonomia e lo presenta alla Camera di Commercio che avrebbe dovuto fornire il proprio parere. Partecipa quindi a un viaggio a Tadla Azilal organizzato dalla stessa dove incontra i partner locali che la scoraggiano a portare avanti questo tipo di investimento in quanto non lo vedono adatto rispetto al livello di sviluppo economico e turistico locale. A parte questo, l’aspetto che appare più utile da mettere in evidenza, anche in vista di possibili repliche future di iniziative simili, è la mancata comprensione da parte dell’aspirante imprenditrice che attraverso la partecipazione a questa iniziativa avrebbe ottenuto solo l’appoggio ad avviare l’impresa e un aiuto ad ottenere il credito necessario per l’investimento iniziale. «Int.Ent [uno dei partner marocchini] ci ha dato poi degli indirizzi per prendere contatti con delle banche. Sono andato ma la banca mi hanno detto di lasciare perdere perché assolutamente l'investimento a Tadla Azilal non era buono. Mi hanno detto che come attività non potevano darmi credito e mi hanno detto che per darmi credito avrei dovuto mettere il mio patrimonio personale come garanzia e per me questo assolutamente non esiste.» (Int.1 IT) Emerge che non risulta chiaro all’imprenditrice che per ottenere un credito avrebbe comunque dovuto fornire adeguate garanzie personali patrimoniali alla banche. Infatti il progetto viene abbandonato quando viene alla luce questo aspetto che per lei risulta essere 76 imprescindibile in quanto non è disposta a rischiare il proprio patrimonio personale. Forse tale elemento poteva essere chiarito prima di partecipare all’iniziativa verificando da un lato la disponibilità al rischio dell’aspirante imprenditrice e dall’altro la reale disponibilità di un patrimonio personale. Abdelaziz Rezki, proprietario di Sté Compix Linijara che tra i casi esaminati rappresenta l’impresa di più lunga durata e maggiormente inserita nel tessuto economico di Tadla Azilal, manifesta la difficoltà a mettersi in relazione con possibili partner d’affari italiani. Infatti l’impresa al momento lavora solo per clienti locali e non sfrutta il capitale sociale che l’imprenditore si è costruito in Italia dopo molti anni di permanenza. Come si nota dalle sue stesse parole viene ipotizzato di sfruttare il minor costo del lavoro in Marocco e la tecnologia italiana da lui utilizzata per realizzare parte della lavorazione di prodotti da vendere poi in Italia. Tuttavia non sa con chi e come prendere contatti per tradurre nella pratica questa idea. «Ho solo clienti marocchini… magari trovassi qualche cliente italiano! Mi piacerebbe trovare qualche cliente italiano si potrebbe fare anche alcuni pezzi di lavoro e in collaborazione con l'Italia quindi che è non penso di lavoro in Italia e poi, finiscono e c'è un mercato Quattro questo tipo di prodotti …ma non so ma non so che rivolge almeno so cosa fare per avere dei partner con l'Italia potrei mettermi alla ricerca di qualcuno in Sicilia nel sud Italia, per esempio, con cui ci si può anche mettere d'accordo sui prezzi.» (Int.7 MA) L’esperienza del Consorzio MaItal mette in luce una certa difficoltà da parte dell’imprenditore italiano a superare una serie di stereotipi che impediscono di vedere il Marocco come una economia in crescita dove gli investimenti sono sicuri. Predomina una visione del Marocco come paese in via di sviluppo e si evidenzia come gli imprenditori italiani siano all’oscuro del processo di crescita economica che lo ha investito negli ultimi anni. Si registra inoltre una sorta di paura non solo relativa all’approcciare una realtà diversa e sconosciuta dal punto di vista culturale ma anche dovuta alla tutela giuridica degli investimenti effettuati. In questo senso, secondo Muhammed Sghayr, si determinano delle perdite di opportunità per entrambi i paesi proprio per una mancanza di conoscenza dell’attuale contesto economico marocchino e delle agevolazioni che vengono offerte per attrarre investimenti esteri. D’altro lato, Hafid Fajlane, del Consorzio Iride, mette in luce anche una mancanza di conoscenza delle imprese marocchine nei confronti delle imprese italiane per cui occorre un tempo e una intermediazione maggiore per la realizzazione di partnership commerciali. Gli imprenditori marocchini infatti sono naturalmente portati a guardare al mercato francese con cui hanno anche elementi culturali, oltre che linguistici, in comune. Per questo motivo è 77 necessario un lungo processo di conoscenza reciproca tra l’imprenditore marocchino e quello italiano. Perciò è indispensabile la disponibilità dell’imprenditore italiano a recarsi almeno una volta al mese per qualche giorno in Marocco: solo in questo modo riuscirà a concretizzare dei risultati. Tuttavia questo si scontra con i limiti della disponibilità di tempo da parte degli italiani che non sempre riescono a recarsi in Marocco così spesso o non ne comprendono appieno l’importanza. Non basta, infatti, la presenza del rappresentante locale del Consorzio poiché non è quest’ultimo a concludere l’affare ma l’imprenditore italiano. «Per iniziare a fare qualcosa qui in Marocco, per fare il business ogni imprenditore italiano deve venire spesso non basta la mia presenza qua perché io creo gli appuntamenti però poi l'affare lo deve fare l'imprenditore perché è lui che decide, è lui che investe. E quindi la presenza a volte è un problema perché il minimo per un imprenditore che è interessato a creare qualcosa qui, a fare qualcosa con i marocchini deve almeno venire una volta al mese, anche 48 ore una volta al mese, per cercare, vedere, conoscere e parlare e per far andare avanti le cose perché se rimani lì a parlare al telefono e vieni solo una volta all'anno secondo me non va avanti. Io non decido per la sua azienda, lavoro per fissare appuntamenti e poi li seguo ma poi è lui a concludere l’affare e se non viene qui fisicamente è difficile. […] Non basta entrare in Iride e poi il business inizia da solo.» (Int.1 MA) 3.5.2 Le difficoltà derivanti dal contesto marocchino Le problematiche che i migranti affrontano nella realizzazione dei loro investimenti in Marocco sono relative a: a) difficoltà di accesso al credito b) eccessiva burocrazia e interpretazione poco chiara delle regole c) scarsa fiducia nelle istituzioni d) mancanza di manodopera specializzata L’esperienza di Vitalité Café rappresenta un archetipo delle difficoltà che i migranti di ritorno affrontano relativamente all’accesso al credito e alla burocrazia. Come è già stato detto, infatti, l’idea di avviare questa impresa è nata dalla possibilità di ottenere un credito attraverso il programma “MDM Invest”. Il business plan che è stato preparato, dopo un anno passato in Marocco, era basato sull’ottenimento di un credito attraverso questo programma. A questo proposito erano state fornite al giovane imprenditore delle rassicurazioni, da parte della Fondation Banque Populaire pour la Création d’Entreprise (FBP), che il progetto aveva tutte la caratteristiche per poter essere finanziato. La FBP, che proprio come mission principale ha quello di appoggiare la costituzione di nuove imprese, ha preso in carico il progetto seguendo tutte le fasi dello studio preparatorio. Nonostante ciò, dopo avere presentato proprio alla Banque Populaire la richiesta di finanziamento attraverso il programma “MDM Invest” il progetto non è stato finanziato. 78 «Insieme a mio padre abbiamo fatto un po’ di insistenze sulla banca e lì ci hanno detto che purtroppo il progetto non era neanche stato preso in considerazione perché su 100 persone a cui hanno dato questi finanziamenti, 99 sono andati male e quindi loro per adesso non danno più nulla. Anche se come programma è previsto che loro diano questi finanziamenti, non li stanno dando.» (Int.2 IT) I funzionari della banca hanno negato, infatti, il finanziamento giustificandosi con il fatto che i finanziamenti sarebbero bloccati. In pratica questa linea di finanziamento viene gestita a livello statale attraverso l’erogazione dei crediti da parte delle banche che quindi svolgono una sorta di intermediazione. Sembra che, qualora la banca superi una certa percentuale di insoluti rispetto al totale dei finanziamenti concessi attraverso il programma, non possa più concedere ulteriori crediti a nessuno. Per questo motivo la pratica presentata da Abdelilah Ouabich non viene nemmeno presa in considerazione e questo viene confermato anche dal padre durante l’intervista raccolta a Béni Mellal (Int.8 MA). Dall’intervista di Driss El Omari (Int.4 MA), il funzionario della FBP che ha seguito la pratica, la spiegazione non appare altrettanto chiara. Egli, se da un lato conferma che non era possibile ottenere il credito per i problemi esposti, dall’altro lato nega che quella specifica linea di finanziamento sia al momento non percorribile. Emerge infatti un ulteriore elemento di cui forse non sono stati messi al corrente il giovane imprenditore e suo padre: la decisione finale sarebbe stata presa da una commissione di valutazione interna alla banca, la quale non avrebbe valutato come finanziabile il progetto di Vitalité café. Nei confronti di questo parere anche il funzionario di FBP non avrebbe potuto farci nulla. Sembra quindi emergere una situazione di scarsa trasparenza da parte del servizio offerto dalla FBP in quanto non si capisce come mai, se la linea di finanziamento era veramente chiusa, non abbia potuto mettere al corrente fin dall’inizio il giovane imprenditore evitando di fargli perdere tempo. Inoltre se il progetto non è stato ritenuto idoneo da parte della commissione, nonostante la consulenza della FBP, c’è da dubitare sulla qualità del servizio che è stato offerto. Questa situazione ha generato una forte delusione nel giovane imprenditore che si è sentito preso in giro e al tempo stesso ha generato in lui e anche nella sua famiglia un desiderio di riscatto di fronte alla fatica e alle energie impiegate. Per questo motivo hanno deciso di avviare comunque l’impresa anche se con un volume d’affari molto ridotto in quanto non hanno a disposizione la liquidità necessaria per poter fare un investimento iniziale che permetta di dare slancio all’impresa. «Io non sono riuscito ad applicare le strategie che ho messo nel business plan. Ma non l'ho potuto applicare per l'assenza del credito su cui contavo perché se avessi avuto il finanziamento della Banca le cose sarebbero andate a meraviglia… perché la mia era proprio una strategia cioè un modo di lavorare che in Marocco è ancora poco conosciuto» (Int.2 IT) 79 Nelle parole dell’imprenditore, per questo tipo di commercio c’è bisogno infatti di tre capitali: un capitale per avere uno stock di magazzino, un capitale per comperare la merce da immettere nel mercato (ricevendo il pagamento solo al momento della consegna del secondo ordine) e un terzo capitale per comperare i gadget (tazzine, parasoli, ecc.) che devono essere regalati ai clienti. Non avendo liquidità a disposizione non possono fare grossi quantitativi di acquisti che permetterebbero di contenere i costi e quindi di ampliare i profitti. La cifra che gli permetterebbe di dare slancio agli affari è di 20 – 25.000 euro: con questi soldi l’impresa potrebbe aumentare lo stock di merce a disposizione, investire nel marketing e allargare il portafoglio di clienti. Come già detto, nonostante il mancato ottenimento del finanziamento, si è comunque deciso di fare partire l’impresa utilizzando il patrimonio personale del padre e in parte ricorrendo anche a debiti. I piccoli profitti dell’impresa servono al momento per coprire i debiti e senza che nulla resti per integrare il reddito della famiglia in Marocco. Inizialmente erano stati assunti 3 venditori ma proprio per la mancanza di soldi da investire si è dovuto ridurre il volume degli affari e al momento è impiegato un solo venditore. Questo ha anche costretto a rivedere l’idea iniziale rispetto all’inquadramento dei dipendenti. L’idea del migrante-imprenditore era di poter garantire delle condizioni contrattuali migliori ai dipendenti rispetto a quelle normalmente offerte in Marocco, con poche garanzie e tutele. Il progetto era anche quello di replicare il meccanismo del progresso di carriera sperimentato in Italia in modo da fare diventare i dipendenti dei venditori autonomi che si sarebbero riforniti da Vitalité Café, sviluppando in questo modo una rete di venditori. Ma anche questo non è stato possibile realizzarlo. Nonostante tutto si continua comunque a credere in questa impresa perché si vedono le potenzialità di crescita e anche perché il padre, direttore di una scuola primaria, prevede di dedicarsi all’impresa a tempo piano nel momento in cui andrà in pensione tra qualche anno. L’esperienza di Vitalité Café mette anche in luce un altro importante problema con cui gli aspiranti imprenditori si scontrano in Marocco: la burocrazia. Durante lo studio per il business plan aveva appurato, attraverso un commercialista marocchino che ha seguito tutta la pratica, che per importare le cialde e le macchinette per il caffè gli sarebbe bastata la certificazione del Made in Italy. In questo modo sarebbe stato soggetto alla tassazione per le merci provenienti dall’Europa pari al 20%. Una volta arrivato con la propria merce alla dogana marocchina gli viene detto che avrebbe dovuto ritornare indietro per farsi fare il certificato Euro 1. È quindi costretto a reimbarcarsi subito per la Spagna dove passa 10 giorni per farsi fare il certificato. Tuttavia quando ritorna alla dogana marocchina gli viene detto che comunque per il caffè non viene considerato valido il certificato Euro 1 e che quindi sarebbe stato soggetto alla tassazione per i prodotti extra europei pari al 75%. 80 «Alla dogana mi hanno detto che per il caffè non è previsto l'Euro 1 in quanto il caffè non viene coltivato in Italia nonostante io abbia detto che avevo certificato Euro 1 e il certificato dice che nel momento in cui il prodotto viene lavorato al punto di modificarne il gusto e il colore acquisisce l'originalità di quel paese. Ma nonostante questo loro se ne sono fregati altamente.» (Int.2 IT) Ha dovuto così pagare circa 8.000 euro di tasse alla dogana, denaro che gli sarebbe dovuto servire per l’avvio dell’impresa che già non aveva ottenuto in finanziamento dalla banca. Si mettono quindi in evidenza una mancanza di certezze delle regole e comportamenti poco chiari da parte dei funzionari doganali. Infatti, anche da altre interviste emerge la tendenza a creare dei problemi per le merci provenienti dai paesi occidentali differentemente da quelli provenienti da altri paesi. Per questo motivo è stata abbandonata l’idea di importare direttamente il caffè in cialde dall’Italia ma di appoggiarsi ad un grossista locale che importa chicchi di caffè dall’Indonesia, dalla Guinea e dal Togo e che per questo non incontra problemi alla dogana. Il caso dimostra come la burocrazia possa interrompere dei flussi commerciali transnazionali tra Italia e Marocco generando uno svantaggio per entrambi i paesi. Bisogna comunque mettere in evidenza anche l’esperienza diversa di imprenditori come Salah Atmani e Abdelaziz Rezki, che invece dichiarano di non avere avuto nessun tipo di problema burocratico sia nell’importare materiale dall’Italia che nella fase di avvio dell’Impresa. Tuttavia il secondo mette in luce un ulteriore ostacolo a cui deve far fronte tuttora e che talvolta rallenta le attività della sua azienda: la mancanza di operai specializzati. «Il problema che ho trovato è solo relativo agli operai ma per la burocrazia non ne ho trovati, anche per i documenti non ho avuto nessun tipo di problema. L'unico tipo di problema che ho trovato fin dall'inizio è stato relativo agli operai perché non sanno lavorare con le macchine che ho importato dall'Italia e poi non vogliono avere dei pensieri loro non si pongono il problema di fare le cose in un certo modo, loro pensano a fare una porta e se qualcosa viene storto non è un problema per loro. Mentre io mi sono abituato a lavorare in un altro modo perché tutto tutto dev'essere perfetto e preciso… non vogliono usare il cervello, vogliono semplicemente fare le cose ma senza pensare.» (Int.6 MA) Come si nota il problema è relativo al dover formare gli operai per lavorare con il tipo di macchinari importanti dall’Italia che non vengono impiegati in Marocco. Ma il problema è anche relativo ad una diverso metodo di lavoro: come verrà messo in luce più avanti, i migranti hanno appreso in Italia una mentalità di lavoro diversa sia in quanto hanno appreso tecniche nuove e differenti sia perché si sono abituati a svolgere bene la propria mansione per garantire un ottimo risultato finale complessivo in quanto il mercato italiano richiede un prodotto finale perfetto. Invece le piccole falegnamerie di Tadla Azilal sono abituate a lavorare in modo molto artigianale per un mercato molto localizzato in cui quelle che agli 81 occhi di un migrante rappresentano delle imperfezioni, non vengono percepite come tali. Per questo motivo l’imprenditore ammette che preferisce assumere persone giovani e senza grandi esperienze nel settore piuttosto che persone con già anni di lavoro come falegnami alle spalle in quanto sono meno disposte a modificare il proprio metodo di lavoro. Inoltre viene messa in luce una diversa concezione della puntualità e delle assenze dal lavoro che talvolta rallentano molto la produzione ma di cui la manovalanza locale, abituata a lavorare in modo autonomo e artigianale, non sembra rendersi conto. Questo rappresenta un problema non secondario in quanto l’imprenditore si è già trovato a rifiutare importanti commesse perché si è reso conto che non avrebbe potuto garantire la consegna in un certo lasso di tempo e nemmeno una certa qualità del lavoro. Un ultimo problema che emerge dalla ricerca è relativo alla mancanza di fiducia nelle istituzioni locali alle quali talvolta non si ricorre nella certezza che non potranno fare nulla o per il dilagare della corruzione. È il caso sia del proprietario di Vitalité Café che, dopo l’esperienza negativa, non prende in considerazione l’ipotesi di presentare il proprio progetto ad altre banche per ottenere un finanziamento, sia del frantoio industriale della famiglia El Mir a cui partecipa un migrante italiano. In questo caso il capo famiglia non conosce nemmeno i servizi a cui teoricamente potrebbe avere accesso e non è nemmeno interessato a conoscerli nella convinzione che comunque si rivelerebbero dei tentativi inutili. In questo caso se per la prima parte del progetto, ossia per la costruzione del capannone, si è fatto ricorso interamente alle rimesse dei famigliari all’estero e ora non sono più nelle condizioni di inviare denaro a casa, si pensa di fare ricorso a un prestito bancario o più verosimilmente di vendere parte della campagna di proprietà. Il funzionario del CRI di Tadla Azilal (Int. 5 MA), ente pubblico marocchino che opera per la promozione degli investimenti imprenditoriali, mette in luce quelle che sono le difficoltà specifiche che riguardano i migranti che realizzano degli investimenti rispetto agli altri investitori. Egli evidenzia come in primo luogo spesso ci sia il problema della gestione concreta degli affari che viene affidata a parenti o amici. In questo caso il migrante avvia l’impresa attraverso l’esperienza che ha acquisito all’estero e la segue a distanza. Tuttavia i problemi sorgono in quanto la sua interfaccia locale spesso non ha l’esperienza e la preparazione per guidare un certo tipo di affari. Inoltre, sempre secondo il funzionario, spesso i migranti non conoscono più tanto bene il contesto economico, sociale e giuridico locale. Quindi tentano di avviare degli affari senza rendersi conto che sarebbero adatti nel contesto di emigrazione in cui si sono trasferiti e non alle possibilità economiche e ai bisogni del contesto di origine. Infine un ulteriore problema è relativo alla terra: talvolta accade che i migranti concludano degli compravendite terriere durante il breve periodo di visita alla famiglia e non 82 appurino se i terreni che acquistano, allo scopo di costruirvi una abitazione o un’attività economica, siano fabbricabili. Capita quindi che si accorgano solo in un secondo momento di avere acquistato dei terreni agricoli e si rivolgono poi alle istituzioni per ottenere il cambio della destinazione d’uso che in genere, però, non è possibile ottenere. 3.6 Il ruolo delle istituzioni Per quanto riguarda il contesto italiano sono pochi gli immigrati che sono entrati in contatto con qualche istituzione per la realizzazione del proprio investimento imprenditoriale in Marocco. Tra queste vi sono le Camere di Commercio: come già detto, nel caso di Vitalité Café la partecipazione a parte di un corso organizzato dalla Camera di Commercio di Pavia ha fornito all’imprenditore alcune nozioni per la realizzazione del business plan mentre altri imprenditori sono entrati in contatto più o meno diretto con la Camera di Commercio di Milano. Quest’ultima infatti era partner del progetto “In-formare: percorsi di co-sviluppo tra Italia e Marocco”, si è occupata dell’organizzazione di alcune missioni a Tadla Azilal e doveva svolgere delle attività di consulenza rispetto ai business plan presentati dai partecipanti. Tuttavia nell’esperienza di Fakhita Haouari, l’unica intervistata ad avere preso parte al progetto, l’ente camerale non ha svolto alcun ruolo di rilievo. Viceversa i forum16 tra attori italiani e marocchini, che sono stati organizzati nel corso del 2012 e del 2013 a Milano, hanno rappresentato per alcuni l’occasione di entrare in contatto con alcune istituzioni come il CRI e successivamente cercare di mettere in contatto con questo ente i parenti in loco che seguono direttamente i progetti. È il caso del frantoio della famiglia El Mir di Béni Mellal: nel giugno 2013 Khalil Youbi partecipa al forum e mette in contatto in questo modo il cognato in Marocco che gestisce il progetto. Tuttavia dall’intervista di quest’ultimo emerge che successivamente si sia solo limitato a prendere un contatto telefonico senza dare seguito ad ulteriori rapporti. È interessante inoltre notare come nel caso sia del Consorzio MaItal sia del Consorzio Iride le istituzioni italiane siano state del tutto ininfluenti in quanto le organizzazioni si sono sviluppate in completa autonomia su iniziativa degli imprenditori senza appoggi istituzionali in quanto non ne hanno sentito la necessità. Per quanto riguarda invece il contesto marocchino, risulta da varie fonti (El Asri 2012; FIIAP 2012; JMDI 2012) la proliferazione di enti istituzionali con competenze relative ai marocchini residenti all’estero, senza tuttavia realizzare azioni che vadano oltre le dichiarazioni di intento. Il seminario “Percorsi di co-sviluppo tra Italia e Marocco” tenutosi a Milano nel maggio 2011 nell’ambito del progetto “In-formare: percorsi di co-sviluppo tra Italia e Marocco” e il seminario “MEDEA – MEDiterraneo, Expo e Agroalimantare” tenuto a Milano nel giugno 2013 nell’ambito del progetto “Dall’idea all’impresa: cosviluppo tra Lombardia e Tadla Azilal”, di cui anche il presente rapporto è parte. 16 83 Facendo riferimento ai casi analizzati, l’ente che viene menzionato più spesso dagli intervistati è il CRI che ha una sua sede regionale a Tadla Azilal. L’ente ha lo scopo di facilitare e incentivare gli investimenti nella zona al fine di stimolare la crescita economica locale. Il CRI opera facendo studi di settore, fornendo informazioni ai potenziali investitori, aiutando gli imprenditori nel disbrigo delle pratiche burocratiche e mettendo in contatto i potenziali partner d’affari. In particolare nella fase di avvio della Sté Compix Liniara e della Atmani Lighting Led è stato molto utile l’apporto del CRI nella fase inziale: «Il centro di investimento per le attività mi ha aiutato per creare l'attività, mi ha dato dei contatti di alberghi, di centri commerciali ecc. Sono venuto prima a marzo per avere queste informazioni, sono andato da loro e se sto partendo adesso è grazie anche ai contatti che mi hanno dato. Adesso ho tutte le condizioni per poter partire aspetto solo i prodotti. Mi hanno anche aiutato con i permessi: sono andato lì e solo in tre giorni ho avuto il permesso.» (Int.7 MA) Tuttavia viene messo in luce ancora una volta il problema dell’accesso al credito, contro il quale può fare poco anche il CRI: gli appoggi nel disbrigo delle pratiche burocratiche e le altre forme di sostegno all’impresa non servono a molto se non si ottengono i soldi necessari per realizzare gli investimenti. «Quelli del CRI aiutano in un certo modo gli aspiranti imprenditori ma poi possono ritornare indietro come prima perché il problema è sempre relativo ai soldi. Lo stato ti dà pari opportunità ma se non hai soldi non vai avanti. Loro ci aiutano per fare documenti, ecc. ecc. però poi se non hai i soldi uno non può andare avanti.» (Int.6 MA) Il rapporto con le banche risulta essere particolarmente critico e, di fatto, tra le imprese che sono state analizzate nella ricerca quelle che sono più in salute, la Sté Coplix Linjara e la Atmani Lighting Led, non hanno avuto rapporti con le banche per motivazioni di tipo religioso. Gli imprenditori, infatti, nonostante l’interesse delle banche nei loro confronti, hanno preferito investire a poco a poco i risparmi accumulati per ingrandire i loro investimenti. «Non ho chiesto soldi alla banca per prima cosa per la religione: io non voglio prendere i soldi dalla banca perché sono soldi sporchi, dal punto di vista dell'Islam è una cosa brutta perché gli interessi non sono per noi una buona cosa. Ma loro mi hanno chiamato perché volevano darmi soldi però io non li voglio. In verità io ho paura perché se per caso io non vado bene come faccio a dare indietro i soldi alla banca? Mi rubano tutto quello che ho fatto in Italia, tutta la fatica che ho fatto in Italia me la rubano loro per un mese o due mesi che non posso pagare. Quindi se ce la faccio vado avanti se non ce la faccio con quello che ho.» (Int.6 MA) 84 A fianco a queste esperienze c’è il caso, di cui si è già parlato ampiamente, di Vitalité Café che è stata penalizzata in partenza, più o meno direttamente, proprio dall’aver fatto troppo affidamento sulle garanzie fornite da un istituto bancario. Nel caso del Consorzio MaItal hanno avuto un certo peso i contatti personali che l’ideatore del Consorzio, Muhammed Sghayr, aveva con alcune personalità politiche di spicco in Marocco. Appare interessante notare come la dimensione transnazionale abbia rinsaldato questi contatti. L’imprenditore è una figura di riferimento per la comunità marocchina di Brescia dove è stato tra i fondatori del Forum Marocchino per l’Integrazione in Italia legato al Partito della Giustizia e dello Sviluppo che al momento governa in Marocco. Proprio nell’ambito di questa associazione ha preso parte all’organizzazione di diverse attività per l’integrazione non solo dei marocchini ma anche dei migranti di varie nazionalità. Tra le altre cose hanno organizzato una serie di incontri per fare conoscere il Marocco in Italia, invitando alcuni politici tra i quali alcuni ministri marocchini. L’idea di formare un consorzio per sostenere gli investimenti delle imprese italiane in Marocco è maturata proprio dal confronto che si è istaurato in queste occasioni. Successivamente questi rapporti sono stati fondamentali per l’avvio concreto degli investimenti non solo incoraggiando l’iniziativa ma anche fornendo concrete informazioni su come muovere i primi passi e su come inoltrare le richieste per ottenere le concessioni governative o per la partecipazione ai bandi pubblici. «Siamo in contatto con i ministri e con le organizzazioni civili poi c'è il ministro dell'industria, il vicesegretario del ministro dell'industria, la rappresentante del Parlamento marocchino nel Parlamento europeo. C'è un gruppo di gente come il ministro delle infrastrutture di trasporto che ha dato un grande appoggio al nostro progetto ancora prima che iniziasse perché lo scopo generale del progetto è quello di portare il buono del nostro paese e aiutare l'imprenditore italiano a venire a investire in Marocco.» (Int.4 IT) 3.7 Le dinamiche di re-integrazione Gli imprenditori intervistati mettono in luce una serie di difficoltà che hanno incontrato nel momento in cui si sono ristabiliti in Marocco. Queste problematiche non riguardano solo il processo di inserimento nel mercato locale ma soprattutto il fatto di doversi riadattare ad una cultura e ad uno stile di vita a cui ormai non erano più abituati. Tali dinamiche risultano sia dalle interviste effettuate con gli imprenditori ma soprattutto da un’intervista che è stato possibile raccogliere con i membri dell’Associazione Jamaia Usrat Al Muhajir (Associazione della Famiglia del Migrante) creata da pochi mesi da 11 migranti rientrati dall’Italia a causa 85 della crisi economica. L’associazione ha sede a Fkih Ben Salah da cui tutti i soci fondatori sono originari. Una prima difficoltà a reintegrarsi nel tessuto sociale marocchino deriva dal fatto di avere sviluppato un’appartenenza identitaria forte all’Italia e alla sua mentalità da cui ci si distacca a fatica. Il senso di appartenenza all’Italia risulta in molte interviste anche dal fatto che molti ritornano in Italia per le vacanze proprio come un tempo facevano con il Marocco. Accade spesso che parte della famiglia sia rimasta in Italia, soprattutto quando i figli sono cresciuti lì, e quindi vi si faccia ritorno non appena possibile per stare in famiglia. È quindi molto curioso vedere come i flussi di ritorno temporaneo tra Italia e Marocco si siano invertiti, nel caso di questi migranti. Inoltre essi talvolta pianificano di acquistare una casa in Italia grazie ai risparmi accumulati in Marocco con la propria attività imprenditoriale, con lo scopo di tornarci una volta in pensione per passare la vecchiaia con la propria famiglia. «Voi vi sentite italiani o marocchini? Un 50 e 50. Questa è la nostra terra madre ma l'Italia è il paese che ci ha allevato che ha fatto di noi di veri uomini… perché quello che va in Italia e vede quello che abbiamo visto noi non penserà mai di tornare. Ci siamo trovati bene e siamo stati bene. Lo dico sinceramente per me se vedo qualche luce ancora in Italia, qualche speranza di miglioramento, ci vado subito perché quando parlo dell'Italia mi tocca proprio il cuore.» (Int.2 MA) «Ti senti più appartenente all’Italia o al Marocco? Più all’Italia perché dopo 10 anni passati lì mi sono abituato lì e la mia mentalità è cambiata. È stato difficile tornare per vivere qui in pianta stabile. Si sa che quando manchi da 10 anni trovi tutto diverso, è come se fossi straniero nel tuo paese.» (Int.1 MA) La difficoltà di riadattarsi alla mentalità marocchina si concretizza in un diverso concetto del tempo e della puntualità, nelle difficoltà di inserire i figli che parlano l’italiano nella scuola locale dove si parla l’arabo o il francese piuttosto che un metodo di lavoro diverso. «Con la gente qua non è come in Italia. Noi lì ci siamo abituati alla puntualità, a tante cose e qui il tempo è un concetto diverso. Diciamo che non so che cosa sono se sono marocchino, se sono italiano non lo so bene che cosa sono.» (Int. 1 MA) «…poi quando vieni qua per esempio i miei figli anche quando sono andati a scuola hanno sempre avuto dei problemi di integrarsi perché dovevano imparare ancora il francese e quindi hanno avuto dei problemi di integrarsi anche qua. Quindi non è semplice ritornare qua.» (Int.2 MA) Inoltre c’è anche il rammarico di avere dovuto lasciare i rapporti sociali e le amicizie costruite nel tempo, nonostante le difficoltà sopportate e talvolta alcuni episodi di discriminazione che tendono a essere relativizzati. 86 «Abbiamo fatto un'esperienza di vita troppo diversa: abbiamo fatto un'esperienza lavorativa e sociale, abbiamo conosciuto amici, colleghi, anche medici e quindi abbiamo creato rapporti e abbiamo lasciato questi rapporti in Italia.» (Int.2 MA) «Abbiamo vissuto delle cose brutte però le cose belle sono state di più di quelle brutte perché ci sono degli amici che c'hanno accolto, dei padroni che non ci conoscevano nemmeno e invece hanno aperto le porte per darci delle esperienze di lavoro in campi dove non avrei mai pensato di lavorare.» (Int.2 MA) Un’ulteriore difficoltà che emerge è relativa al riadattamento alla condizioni lavorative in Marocco sia per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro sia per quanto riguarda il livello degli stipendi. Dal primo punto di vista i migranti di ritorno subiscono una sorta di frustrazione perché la loro esperienza acquisita in Italia non viene valorizzata ma anzi vengono percepiti come competitors dagli altri lavoratori. Proprio al pari di come avviene talvolta in Italia, vengono accusati dagli altri connazionali di rubargli il lavoro per via della loro esperienza migratoria. In realtà non vi pare essere la disponibilità a dare credito alla innovazioni che i migranti potrebbero portare poiché si riscontra una scarsa disponibilità a modificare metodi di produzione consolidati. «Io se vedo qualche cantiere in giro mi fermo sempre a vedere quello che stanno facendo. Quando vedo che cosa fanno mi sento male perché vedo che cosa fanno e vorrei dirgli: “Ma non si fa così! Si fa in un altro modo” ma non ho la possibilità di poterglielo dire e non accettano neanche i consigli che gli puoi dare. Se parliamo di fare vedere e valorizzare l'esperienza che abbiamo avuto non ci danno la possibilità di metterci in mostra. Hanno sempre nella loro mentalità che vieni qua a rubargli il lavoro o a cambiare delle cose che per loro vanno bene. Questo problema l'abbiamo trovato due volte una volta in Italia e adesso in Marocco che c'accusano di rubare il lavoro. E adesso mi domando perché qui non ci danno ascolto? Non ci danno ascolto per valorizzare quello che abbiamo appreso che potrebbe essere utile a loro stessi e al lavoro qui in Marocco?» (Int.2 MA) Lo stipendio in Marocco è molto inferiore rispetto alla paga media che un migrante riceve in Italia per effettuare lo stesso tipo di lavoro. Questo determina che i migranti di ritorno non possano permettersi lo stesso tenore di vita a cui erano abituati in Italia. Ciò è fonte di frustrazione e di demotivazione al lavoro in quanto, nonostante tutti gli sforzi fatti, viene percepito come una sorta di retrocessione sociale oltre che economica. «Siamo abituati a vivere in Italia diciamo che uno è abituato a uno stipendio di € 1500 al mese si fa una vita migliore dello stipendio che puoi prendere qua che ti pagano 2000 dirham. Noi non siamo disponibili a fare questi sacrifici perché ci siamo sacrificati per farci un futuro in Italia e pari pari rientriamo indietro e dobbiamo ricominciare a fare dei sacrifici ancora una volta. Diciamo che se uno vuole cominciare da 2000 dirham può cominciare a lavorare anche 87 già da domani ma io non lo accetto. Che cosa ci fa uno con 2000 dirham? Non può prendersi neanche un paio di scarpe!» (Int.2 MA) Proprio il riadattarsi al tenore di vita in Marocco rappresenta la motivazione addotta da alcuni imprenditori per gestire il proprio investimento in Marocco a distanza continuando ad abitare in Italia. «Tutto sarebbe difficile perché se torni giù in paese per carità puoi creare anche altri posti di lavoro facendo un negozio, una società, eccetera solo che lì è la mentalità della gente che è diversa più che altro perché ormai io sono abituato qua e sono abituato a fare un certo tipo di vita. Dovrei rinunciare a tante cose… sono abituato a un certo mangiare, a un certo vestire, a uscire ad andare al supermercato e trovare tante cose… tutte cose che lo non fai.» (Int.3 IT) Emerge quindi una dinamica molto interessante: una volta in Marocco i migranti di ritorno devono riaffrontare per intero tutto il percorso di integrazione che hanno fatto in Italia. Come viene messo in luce dalle parole di uno dei membri dell’Associazione, la differenza è che mentre la migrazione verso l’Italia era l’esito di una scelta libera e sostenuta dal desiderio e dall’entusiasmo di crescere e di costruirsi un domani migliore, il ritorno in Marocco rappresenta una scelta obbligata verso una situazione caratterizzata da un livello di benessere inferiore rispetto a quella faticosamente raggiunta in Italia. «Abbiamo emigrato due volte solo che la prima poi è stata un’integrazione fatta da noi perché siamo noi che siamo andati incontro a quest'integrazione in Italia con la nostra volontà, per cercare una vita migliore. Però la seconda no perché è stato un atterraggio d'emergenza perché siamo dovuti rientrare obbligati.» (Int.2 MA) 88 SCHEDE STUDI DI CASO STÉ COMPIX LINIJARA (BÉNI MELLAL) PROPRIETARIO Abdelaziz Rezki ANNO DI CREAZIONE 2008 DESCRIZIONE ATTIVITÁ Si tratta di una falegnameria industriale che lavora per clienti medio-piccoli nella zona di Béni Mellal e nelle zone limitrofe. L’impresa dà lavoro a quattro operai e a una segretaria. È stata creata investendo gradualmente i guadagni accumulati e inviando dall’Italia i macchinari di una piccola impresa che il proprietario aveva avviato e chiuso agli albori della crisi. RAPPORTI CON L’ITALIA Ad oggi non vi è alcun contatto commerciale con l’Italia. Il proprietario mantiene uno stretto legame con il paese in quanto vi risiedono ancora alcuni dei suoi figli e vi si reca per le vacanze annuali. CONTATTI CON ISTITUZIONI Marocco: CRI, Comune di Béni Mellal. PROBLEMI Il problema principale è costituito dalla mancanza di manodopera locale e dalla differente cultura del lavoro degli operai che necessitano di essere continuamente supervisionati. Questo ha impedito di accettare lavori di grandi dimensioni perché l’impresa non sarebbe stata in grado di rispettare i tempi di consegna. Un altro problema è costituito dalla mancanza di informazioni su come realizzare delle partnership con produttore del settore in Italia. 89 VITALITÉ CAFÉ (BÉNI MELLAL) PROPRIETARIO Abdelilah Ouabich. Il referente locale in Marocco è il padre, Mustafah Ouabich. ANNO DI CREAZIONE 2012 DESCRIZIONE ATTIVITÁ Al momento l’attività dell’impresa consiste nella torrefazione e nella distribuzione di caffè ai locali nelle zone di Bèni Mellal, Meknès e Marrakech. Il caffè in grani viene acquistato da un importatore locale che acquista il caffè in Indonesia, Guinea e Togo. La torrefazione avviene a Casablanca dove il caffè viene imbustato e inviato a Béni Mellal. Da qui viene distribuito attraverso un venditore che lavora per l’impresa e pagato con una percentuale sul venduto. RAPPORTI CON L’ITALIA Il proprietario è dovuto rientrare in Italia a causa del mancato sviluppo dell’impresa e monitora gli affari attraverso costanti contatti telefonici e tramite rapporti settimanali che gli vengono inviati tramite mail. CONTATTI CON ISTITUZIONI Marocco: Fondation Banque Populaire pour la Création d’Entreprise, Banque Populaire du Maroc, CRI. Italia: Camera di Commercio di Pavia. PROBLEMI L’attività è stata fortemente penalizzata a causa del mancato accesso al credito attraverso il programma MDM Invest su cui era stata basata la strategia di sviluppo. Si è dovuto inoltre cambiare il progetto iniziale di vendere caffè in cialde e macchinette per il caffè importati dall’Italia a causa del mancato riconoscimento dell’applicazione del certificato Euro1, e delle conseguente tassazione ridotta, su questa tipologia di merce. Per questo ci si è orientati sulla commercializzazione di caffè proveniente da paesi in via di sviluppo. 90 ATMANI LIGHTING LED (BÉNI MELLAL) PROPRIETARIO Salah Atmani ANNO DI CREAZIONE 2013 DESCRIZIONE ATTIVITÁ L’impresa si occupa della vendita e dell’installazione di impianti di illuminazione che usano la tecnologia innovativa dei led per negozi, attività aperte al pubblico e hotel. L’impresa sta cercando di ottenere lavori di ampie dimensioni anche attraverso la realizzazione di partnership con altri imprenditori. RAPPORTI CON L’ITALIA La maggior parte dei materiali vengono acquistate da aziende italiane soprattutto della Lombardia. Il proprietario mantiene regolari contatti con l’Italia dove è socio di una catena di negozi di parrucchiere, settore in cui precedentemente ha lavorato. CONTATTI CON ISTITUZIONI Marocco: CRI, Comune di Béni Mellal. PROBLEMI Ad oggi non viene riscontrato nessun tipo di problema. 91 CONSORZIO IRIDE (MILANO - CASABLANCA) IDEATORE E SOCI Ideato da Marcello Belotti (Gruppo Anna). I soci sono 28 imprese medio-piccole prevalentemente della Lombardia. Il referente locale in Marocco è Hafid Fajlane, con alle spalle una lunga esperienza come operaio, presso il Gruppo Anna. ANNO DI CREAZIONE 2011 DESCRIZIONE ATTIVITÁ Il consorzio si occupa di fornire servizi a sostegno delle aziende interessate a investire nel mercato marocchino. Il referente locale si occupa trovare partner commerciali in Marocco in relazione al tipo di business e alle esigenze dell’imprenditore italiano; li assiste negli incontri attraverso la traduzione, fornisce informazioni e li mette in contatto con un commercialista italiano in Marocco. Ad oggi sono già state avviate alcune partnership tra imprenditori italiani e marocchini prevalentemente nel settore terziario. RAPPORTI CON L’ITALIA Il rapporto con l’Italia è costante poiché le aziende italiane devono comunicare le loro esigenze al referente locale il quale, a sua volta, comunica l’evoluzione dei contatti e l’organizzazione degli incontri. CONTATTI CON ISTITUZIONI Marocco: Fondation Banque Populaire pour la Création d’Entreprise. PROBLEMI Per poter concludere gli affari gli imprenditori italiani devono essere disponibili a recarsi in Marocco per qualche giorno almeno una volta al mese ma essi spesso non hanno il tempo per farlo e questo rallenta i tempi per dare vita alle collaborazioni. 92 CONSORZIO MAITAL (BRESCIA – VARIE LOCALITÁ DEL MAROCCO) FONDATORE E SOCI Ideato da Muhammed Sghayr. Composto da 18 imprenditori e liberi professionisti, italiani e marocchini, residenti in Lombardia (prevalentemente nelle province di Brescia e Bergamo). ANNO DI CREAZIONE 2012 DESCRIZIONE ATTIVITÁ Il consorzio si occupa di promuovere la realizzazione di investimenti da parte dei soci nel contesto marocchino. La maggior parte dei soci lavora nel settore dell’estrazione delle materie prime e in quello dell’edilizia ma ci sono anche soci che lavorano nel settore sanitario e assistenziale. Il consorzio è impegnato a reperire, attraverso canali istituzionali, le opportunità di realizzare degli affari attraverso la partecipazione a bandi e gare pubbliche. Rispetto a ciascuna opportunità i singoli soci decidono liberamente di aderirvi o meno. Ad oggi i soci del consorzio hanno ottenuto la concessione all’uso di due cave di calcestruzzo ad Agadir e Rabat ed è in corso l’ottenimento di una ulteriore concessione per una cava nei pressi di Marrakech. RAPPORTI CON L’ITALIA Tutti i soci sono residenti in Italia e da qui controllano i propri interessi in Marocco attraverso frequenti viaggi in loco e attraverso contatti di alto livello nel contesto politico marocchino. CONTATTI CON ISTITUZIONI Marocco: Ministro e Viceministro dell’Industria, Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Rappresentante del Marocco presso il Parlamento Europeo. Italia: Italcementi (azienda che già operava in Marocco). PROBLEMI Gli imprenditori italiani non sono a conoscenza delle buone opportunità di investimento che, oggigiorno, offre il mercato marocchino che è in crescita. Ci sono una serie di stereotipi e pregiudizi rispetto al paese che possono rappresentare degli ostacoli importanti che generalmente vengono superati dopo una visita in loco. 93 FRANTOIO INDUSTRIALE DELLA FAMIGLIA EL MIR (BÉNI MELLAL) PROPRIETARIO Famiglia El Mir. Gestisce il progetto in Marocco il capo famiglia: Amed El Mir È sostenuto dai famigliari in Spagna e Italia tra cui il cognato Khalil Youbi che abita a Milano. ANNO DI CREAZIONE Il frantoio è in fase di realizzazione. DESCRIZIONE ATTIVITÁ Si progetta di avviare un frantoio industriale per la produzione di olio e di olive sott’olio da vendere in loco ed esportare all’estero soprattutto con l’aiuto del cognato in Italia. È stata completata la costruzione di un fabbricato su uno dei terreni di proprietà grazie alle rimesse dei famigliari all’estero. Sono attualmente in corso le trattative con una ditta pugliese per l’acquisto di una macchina per la spremitura delle olive. RAPPORTI CON L’ITALIA È in collegamento con il cognato a Milano che ha procurato il contatto con l’azienda pugliese e che gli ha procurato alcuni contatti con le istituzioni marocchine grazie alla partecipazione al forum Medea avvenuto nel giugno 2013 a Milano. CONTATTI CON ISTITUZIONI Marocco: nessuno. Italia: banca Crédit Génerale e, tramite la partecipazione a Medea, è entrato in contatto con il CRI e la Fondation Banque Populaire pour la Création d’Entreprise (questi contatti non sono però stati portati avanti dal capofamiglia in Marocco). PROBLEMI La mancanza di risorse economiche per la realizzazione delle successive fasi progettuali porta a ipotizzare la vendita di parte della campagna della famiglia, poiché dai migranti non arrivano più soldi a causa della crisi economica. Inoltre non vi è nessuna fiducia nelle istituzioni locali. Ciò induce a non cercare il loro sostegno e porta a non avere in mente nessuna strategia di sviluppo dell’impresa. 94 BED & BREAKFAST (BÉNI MELLAL) PROPRIETARIO Fakhita Haouari ANNO DI CREAZIONE Il progetto non è stato realizzato. DESCRIZIONE ATTIVITÁ Si era progettato di aprire un bed & breakfast a Béni Mellal con l’idea di potenziare l’offerta turistica della zone e di creare di flussi turistici diretti dall’Italia verso Tadla Azilal. Il progetto è stato creato all’interno del percorso per l’avvio di start up in Marocco nell’ambito del progetto “In-formare: percorsi di co-sviluppo tra Italia e Marocco”. RAPPORTI CON L’ITALIA L’aspirante imprenditrice risiede in Italia da molti anni ed è sposata con un italiano. CONTATTI CON ISTITUZIONI Marocco: CRI, Fondation Banque Populaire pour la Création d’Entreprise, Fondation IntEnt. Italia: Camera di Commercio di Milano, Cosv, Medinaterranea. PROBLEMI L’avvio di questa attività è stato sconsigliato in quanto non ancora adatta al piccolo mercato turistico locale. Si sono riscontrate difficoltà tecniche come la mancanza di servizi e di infrastrutture nella zona. All’inizio del percorso non è stato chiarito all’aspirante imprenditrice che per ottenere il credito necessario per investire avrebbe dovuto mettere il proprio patrimonio personale come garanzia. Inoltre non ha trovato nei partner del progetto il supporto concreto che si sarebbe aspettata di trovare. 95 APPENDICE 1 LISTA DEGLI INTERVISTATI ITALIA 1. FAKHITA HAOUARI, aspirante imprenditrice (tentativo fallito di creare un bed & breakfast a Béni Mellal), Milano, 24 settembre 2013, italiano. 2. ABDELILAH OUABICH, proprietario impresa Vitalité Café, Milano, 8 ottobre e 23 ottobre 2013, italiano. 3. KHALIL YOUBI, referente italiano del progetto di avvio di un frantoio industriale a Béni Mellal, Milano, 24 ottobre 2013, italiano. 4. MUHAMMED SGHAYR, ideatore Consorzio MaItal, Ospedaletto (Brescia), 23 ottobre 2013, italiano. MAROCCO 1. HAFID FAJLANE, referente in Marocco del Consorzio Iride, Casablanca, 25 novembre 2013, italiano. 2. Soci fondatori ASSOCIAZIONE JAMAIA USRAT AL MUHAJIR (Associazione della Famiglia del Migrante), Fkih Ben Salah, 25 novembre 2013, italiano. 3. AHMED EL MIR, responsabile del progetto di avvio di un frantoio industriale a Béni Mellal, 26 novembre 2013, francese. 4. DRISS EL OMARI, responsabile della sede di Béni Mellal della Fondation Banque Populaire du Maroc pour la Création d’Entreprise, Béni Mellal, 26 novembre 2013, francese. 5. ADIL AZMI, funzionario Centre Régional des Investissements di Tadla Azilal, Béni Mellal, 26 novembre 2013, inglese. 96 6. ABDELAZIZ REZKI, proprietario Sté Comix Linijara, Béni Mellal, 27 novembre 2013, italiano. 7. SALAH ATMANI, proprietario Atmani Lighting Led, Béni Mellal, 27 novembre 2013, italiano. 8. MUSTAFAH OUABICH, referente locale e padre del proprietario di Vitalité Café, Béni Mellal, 27 novembre 2013, francese. APPENDICE 2 TRACCIA DI INTERVISTA Come è nata l’idea di questa attività in Marocco? Da quanto tempo stava pensando di investire in Marocco? Quali fattori l’hanno spinta a mettere in pratica la sua idea di investimento in Marocco? Come ha scelto il luogo dove creare la sua impresa in Marocco? C’è stata qualche persona/ufficio/istituzione che, in Italia, l’ha aiutata nella fase di progettazione? Se sì chi/quale? Come ha trovato l’aiuto che le hanno fornito? C’è stata qualche persona/ufficio/istituzione che, in Marocco, l’ha aiutata nella fase di progettazione? Se sì chi/quale? Come ha trovato l’aiuto che le hanno fornito? Ha avviato l’attività da solo o in partnership con qualche altro socio? Se sì in Italia o in Marocco? Come ha trovato questo/i socio/i? In cosa consiste attualmente la sua attività? Ha dovuto modificare la sua attività rispetto all’iniziale idea progettuale? Se sì che cosa ha cambiato? Perché? Quali sono state le principali difficoltà che ha affrontato durante l’avvio della sua attività imprenditoriale? Quali sono le difficoltà che si trova a fronteggiare ora? Quali sono gli obiettivi che si pone per lo sviluppo della sua attività nel futuro? Secondo lei in che modo le istituzioni italiane potrebbero aiutare le attività come la sua? E le istituzioni marocchine? Brevemente mi potrebbe raccontare la sua storia? 97 Quando è arrivato in Italia? Come mai ha scelto di emigrare in Italia? Quali lavori ha svolto? In quali città ha abitato? Vive con la sua famiglia? Se sì quando l’hanno raggiunta? Perché ha deciso di rientrare in Marocco e quali sono stati i problemi principali che ha affrontato quando è ritornato? TRACCIA D’INTERVISTA IN FRANCESE Comment est née l’idée de faire cette activité au Maroc? C'était depuis combien de temps que vous aviez l’intention de créer une activité au Maroc? Quels sont les facteurs qui vous ont poussé à mettre en pratique votre idée d’investissement au Maroc? Comment avez-vous choisi le lieu où réaliser votre activité au Maroc? Est-ce que il y a eu de personnes/bureaux/institutions en Italie qui vous ont aidé pendant la phase de préparation? Si oui, qui/quel/le? Comment avez-vous trouvé l’aide qu’ils vous ont donné? Est-ce que il y a eu de personnes/bureaux/institutions au Maroc qui vous ont aidé pendant la phase de préparation? Si oui qui/quel/lle? Comment avez-vous trouvé l’aide qu’ils vous ont donné? Est-ce que vous avez commencé votre activité tout seul ou avec des partenaires? Si oui, vous les avez trouvés en Italie ou au Maroc? Comment avez-vous trouvé ces partenaires? Actuellement de quoi il s'agit-il votre activité? Est-ce que vous avez dû apporter des modifications à votre activité par rapport à l’idée du projet initial? Si oui, qu’est-ce que vous avez changé? Pourquoi? Quelles ont été les difficultés les principales que vous avez expérimenté quand vous avez commencé cette activité? Quelles sont les difficultés que vous avez maintenant? Quels sont vos objectifs pour développer votre activité dans le futur? Selon vous de quelle manière les institutions italiennes pourraient aider les activités comme la vôtre? Et les institutions marocaines? Pouvez-vous me raconter brièvement votre histoire? Quand est-ce que vous êtes arrivé en Italie? Pourquoi avez-vous décidé d’émigrer en Italie? 98 Quels travaux avez-vous fait? Dans quelles villes avez-vous habité? Est-ce que vous vivez avec votre famille? Si oui, quand est-ce qu’ils vous ont rejoint? Pourquoi avez-vous décidé de rentrer au Maroc? Quelles ont été les problèmes principaux que vous avez rencontré quand vous êtes rentrés au Maroc? 99 BIBLIOGRAFIA AMBROSINI M. e BERTI F. (a cura di), 2009. Persone e migrazioni. Integrazione locale e sentieri di co-sviluppo. Milano: Franco Angeli. AMERM, COOPI, EL SUR e PUNTO.SUD, 2006. Le migrant marocain en Italie comme agent de développement et d’innovation dans les communautés d’origine. Milano: Exodus, 190-256. BASCH, L.,GLICK SCHILLER, N. e BLANC-SZANTON, C., 1994. Nations unbound. Transnational projects, postcolonial predicaments and deterritorialized nation-states. Londra: Routledge. 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