C il SEGNO 26settembre2014 HIESA LOCALE 15 DON COLMEGNA OSPITE DELL’AC A TRE SANTI Modi di dire “Lavarsene le mani” Don Virginio Colmegna si confronta quotidianamente con le difficoltà dell’emarginazione I mpropriamente la chiamiamo “emergenza immigrati” o “emergenza profughi”. Per don Virginio Colmegna, direttore della Casa della Carità di Milano, è la quotidianità. Quella che per l’opinione pubblica è una “emergenza”, per lui e per gli operatori della struttura voluta dal card. Martini, sono volti. Volti di uomini in cerca di un futuro, di donne che stringono a sé i loro piccoli, di “bambini che ogni qual volta sentono passare un aereo in arrivo o in partenza da Linate si avvinghiano alle proprie madri, perché loro – che non hanno mai vissuto un giorno di vera pace – quel suono ricorda i giorni passati nella paura delle bombe”. È un racconto vibrante, quello che don Colmegna offre a quanti hanno raccolto l’invito a partecipare al secondo incontro organizzato dall’Azione cattolica diocesana nella chiesa di Tre Santi. Al centro della serata, martedì scorso (23 settembre), c’è il detto “lavarsene le mani”. “È il Vangelo a chiederci di essere responsabili gli uni degli altri – commenta don Colmegna – tante volte in questi mesi abbiamo sentito papa Francesco ripetere che esiste una globalizzazione dell’indifferenza. Il suo è un constante e continuo richiamo al bisogno di formare comunità e comunione, al bisogno che la nostra società oggi ha di una globalizzazione della solidarietà”. Il detto “lavarsene le mani” è legato alla celebre scena evangelica di Ponzio Pilato, che decide di non macchiarsi del sangue di Gesù e di assecondare la richiesta della folla, che per la festa vuole che restituisca la libertà a Barabba. “Pilato si trova da un lato a fronteggiare la pressione dei potenti – spiega don Colmegna – dall’altro ha la moglie che gli dice di non avere a che fare con Gesù, un giusto. E poi ha davanti a sé Gesù, il suo sguardo. Fuori in piazza c’è la gente che vuole la condanna di Gesù, lo stesso uomo che poco prima aveva salutato come un re. Pilato sa che la condanna di Gesù è istigata, e nasce dall’invidia. Ma di fronte alla scelta, a quel o – o di fronte a cui si trova, decide di non scegliere. Ecco che si fa portare dell’acqua per lavarsi le mani”. Un gesto simbolico, dal significato profondo. “Si lava le mani dalla polvere del lavoro e dal sangue di un innocente – prosegue don Colmegna – dalla fatica di una scelta, si lava le mani perché ha paura e non vuole compromettersi”. Seguendo l’esempio di Pilato, si rischia “di vivere una e del rifiuto. Nella Casa della Carità, voluta dal card. Martini, ospita chi vive al margine della metropoli milanese. Attualmente ci sono tanti letti e brandine che quasi non si riesce a girare. E proprio da questa esperienza quotidiana di accoglienza e solidarietà è partito per commentare il detto “lavarsene le mani” al centro del secondo incontro del ciclo di appuntamenti sui modi di dire organizzato dall’Azione cattolica diocesana. Nella chiesa di Tre Santi, martedì scorso (23 settembre) ha riletto il passo evangelico in cui si narra del gesto di Ponzio Pilato nella prospettiva della società attuale, spesso assai propensa a “lavarsene le mani” e a mascherare questo mancanza di assunzione di responsabilità con il falso manto del desiderio di valorizzare le qualità altrui delegando agli altri compiti spesso molto onerosi e poco prestigiosi. Ordinato sacerdote il 28 giugno 1969, viene desgignato nel 1993 dal cardinale Carlo Maria Martini, a direttore della Caritas Ambrosiana. Nel 2002, sempre il card. Martini la nomina presidente della neonata fondazione Casa della carità “Angelo Abriani” di cui tuttora è presidente e alla quale, dal 2004, si dedica completamente, dopo aver lasciato la guida della Caritas Ambrosiana. “Oggi siamo una grande foresteria, ma dobbiamo metterci al centro un po’ di monastero. Dio sa suscitare speranze inaspettate” Don Virginio Colmegna è stato ospite, martedì 23 settembre, dell’Azione cattolica diocesana a Tre Santi (fotoservizio Fernando Gardini) I l personaggio Chi era Ponzio Pilato Pilato è il nome (Ponzio Pilato, lat. Pontius Pilatus) di un personaggio storico, procuratore romano della Giudea dall’anno 26 al 36, che prese parte, secondo la narrazione evangelica (Matteo 27, Marco 15, Luca 23, Giovanni 18-19), al processo contro Gesù e alla sua condanna a morte, decisa da Pilato non perché egli fosse convinto della colpevolezza di Gesù ma perché sospinto dalle grida della folla in tumulto, cedimento simboleggiato dal gesto di lavarsi le mani (Matteo 27, 24: accepta aqua lavit manus coram populo dicens: Innocens ego sum a sanguine huius iusti «presa l’acqua si lavò le mani davanti al popolo dicendo: Io sono innocente del sangue di questo giusto»). Nel concetto popolare, la figura di Pilato è rimasta il simbolo di chi, avendo incarichi di responsabilità, evita ipocritamente o pavidamente di prendere posizione e pronunciare un giudizio; di qui la frase lavarsi le mani come Pilato, e più comunemente, lavarsi le mani di qualche cosa, lavarsene le mani, non volersene assumere alcuna responsabilità. Con riferimento allo scambio di Gesù tra Erode (governatore della Galilea) e Pilato, nessuno dei quali trova un motivo per condannarlo (cfr. Luca 23, 5-12), la frase mandare da Erode a Pilato, allusiva a uffici o funzionarî che, per incuria o indolenza, si rifiutano di risolvere i casi di loro competenza rimettendone ad altri la soluzione. vita tiepida. Vogliamo inscatolare Dio nei nostri schemi, che ci dia quella sicurezza che non abbiamo. Ma Dio è il Cristo croficisso”. E poi ricorda il card. Martini. “Anche quando non si può fare niente – commenta – abbiamo sempre da inchiodarci nella preghiera. Il card. Martini, quando scoppiò la guerra in Iraq scrisse una preghiera di intercessione. E con la preghiera continuiamo a stare nel mezzo della storia”. “Fallo diventare un luogo di ospitalità dove dare uno sguardo nuovo alla città”: questo il mandato che il card. Martini affidò a don Colmegna con la nascita della Casa della Carità. Un luogo dove quotidianamente si sperimenta che “non ci si può lavare le mani di fronte ai problemi della gente”, spiega don Colmegna. “I poveri hanno molto da insegnarci – prosegue -. Don Milani ha capovolto l’orizzonte quando ha annunciato che nella sua parrocchia sarebbe ‘arrivata la salvezza: una famiglia con sei figli tutti handicappati’. Un’affermazione profetica, straordinaria, che ci fa cambiare prospettiva, ci fa guardare L a parola Il modo di dire “lavarsene le mani” significa disinteressarsi di qualcosa in cui non si vuole essere coinvolti, lasciare che se ne occupi qualcun altro. È legato al gesto attribuito a Ponzio Pilato con il quale egli declinò qualsiasi responsabilità nella condanna di Gesù. IL PASSO EVANGELICO Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: “Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!”. Matteo 27,24 alla vita con occhi diversi”. “Purtroppo – aggiunge – noi oggi a volte usiamo i poveri come cavie dei nostri esperimenti di bontà e poi ce ne dimentichiamo. Alla Casa della carità stiamo accanto agli ultimi, italiani o stranieri che siano. E non senza difficoltà. Quando abbiamo iniziato abbiamo trovato molte resistenze. Abbiamo allora deciso di avviare un centro diurno per gli anziani del quartiere e sono stati proprio loro a smantellare pregiudizi e diffidenze, a cacciare le paure a insegnarci quanto sia bello stare in- sieme”. Riferendosi ad un passo del Credo, don Colmegna ricorda che la domenica a messa ripetiamo che “Cristo discese agli inferi”: “Gesù ha toccato il peggio, ha fatto il pieno di morte, assurdità, paura, nausea di esistere, abbandono e tradimento. Il Signore per ridarci un respiro di speranza ha attraversato il dolore e la sofferenza e ci dice oggi che non possiamo escludere nessuno. Dobbiamo stare nel mezzo della storia e sentirci fortemente impegnati dalla storia presente”. Ricorda quindi un passo di una preghiera di don Primo Mazzolari, nella quale dice che “ci impegniamo non per riordinare il mondo, non per rifarlo su misura, ma per amarlo”. Per leggere in controluce il detto “lavarsene le mani”, il Vangelo ci offre la parabola del buon Samaritano. Da questa don Colmegna mette a fuoco tre scene. “Innanzitutto c’è il luogo: la strada pericolosa dove un anonimo viandante deve passare. C’è cioè l’incertezza della vita ordinaria in cui si vive uno stato di insicurezza. La strada è il luogo del cammino, impolverato, è l’immagine di una Chiesa che cammina e che si impasta di fatica, delle contraddizioni dell’esistenza”. “C’è poi il rapporto tra stranieri – prosegue – il viandante viene soccorso dallo straniero reietto e abbandonato da tutti: solo lui si ferma, incontra, vede nell’umanità dolente il riflesso di se stesso. È l’immagine di una Chiesa che si ferma, ascolta, si indigna e si commuove, di una Chiesa che sa accogliere”. La terza immagine è quella del locandiere. “Ce lo dimentichiamo sempre – commenta don Colmegna – è l’immagine della Chiesa che si prende cura, con l’attesa che ci sarà un ritorno, una ricostruzione di senso. Ma per accogliere l’altro bisogna avere nel cuore la passione per l’umanità e dobbiamo far festa, nel cuore deve esserci il desiderio di un’umanità fraterna”. E per fare tutto questo c’è bisogno di recuperare la dimensione del silenzio e della preghiera. La dimensione della contemplazione. “Nessuna esperienza monacale non ha mai avuto accanto una foresteria. Oggi – aggiunge – siamo una grande foresteria, ma dobbiamo metterci al centro un po’ di monastero. Dio sa suscitare speranze inaspettate. Regaliamoci speranza, di cui oggi c’è tanto bisogno”. “L’ospitalità – conclude don Colmegna – genera futuro, è feconda. Cerchiamo di essere più ospitali e più fecondo nel nostro quotidiano”. i.a.
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