Scarica il PDF

MISTERIOSE FORZE PER LA RIAFFERMAZIONE DELLA PROPRIA DIGNITA’
Riflessioni su Eugenio Montale
di Matilde Perriera, con la collaborazione di Clizia Sardo
E' ancora possibile la poesia dinanzi alla povertà, alla pedofilia, alla disoccupazione, alle guerre che seminano
morte, che originano dolore, colpiscono innocenti e indifesi? Gli intellettuali hanno ancora in mano lo strumento
per esprimere, nelle forme a loro congeniali, i sentimenti che le crisi generano e le parole catartiche che alleviano
dalle afflizioni? Lunghi interrogativi, spesso disperati e angosciosi, che richiamano la fortissima domanda
retorica del “come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore” 1, con cui Quasimodo si chiede se
tale genere letterario possa ancora esistere in un mondo distrutto e sconvolto, “fra i morti abbandonati nelle
piazze, sull’erba dura di ghiaccio”2, richiamando il preciso momento dell’occupazione tedesca di Milano,
quando, durante il drammatico conflitto mondiale, il 25 luglio 1945, era cominciata la Resistenza. E’ eticamente
funzionale che la poesia, dinanzi alla crudeltà brutale, all’orrore, alla distruzione, alla disumanizzazione
dell’uomo, paralizzi le mani, offuschi le menti, non sia sollecitata da una proficua volontà comunicativa, resti
muta, taccia, priva ormai di qualsiasi significato e valore? “Nell’attuale civiltà consumistica, che vede affacciarsi
alla storia nuove nazioni e nuovi linguaggi, nella civiltà dell'uomo robot, in sostanza, quale può essere la sorte
della poesia? Ha ancora un senso la sua eventuale "sopravvivenza nell'universo delle comunicazioni di massa"?3
EUGENIO MONTALE4, assunto il "male di vivere"5 come leitmotiv della sua lirica, rifiuta vaghe consolazioni,
constata la crisi del ruolo dell’intellettuale, decreta la fine della fiducia espressiva - ideologica propria della
precedente generazione, respinge l’immagine di “laureato” 6 e, fedele a una sorta di teologia negativa, sottolinea
che il poeta, rinchiuso nella “turris eburnea” e “condannato alla solitudine” 7, può dare solo «qualche storta sillaba
e secca»8; non è più l’eterodiegetico detentore di verità assolute capaci di trovare “la parola che squadri da ogni
lato l'animo informe”9, né il veggente codificato dal fanciullino pascoliano, né “il profeta”10 in grado di
pronunziare “a lettere di fuoco”11 la parola tanto chiarificatrice da illuminare, attraverso la fede in qualche valore,
l’animo privo di certezze, "codesto solo oggi possono dire, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo"12.
Voce inquieta e problematica che, attraverso gli scintillanti "correlativi oggettivi" di un paesaggio scarnificato, si
interroga e interroga, fertile penna capace di scandagliare, con incisive figure sinestetiche e dense trame musicali
affidate spesso a iterate allitterazioni, il “travaglio in una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia" 13,
vibrante eco della misteriosa cittadella dell'inconscio di chi, "rivo che "gorgoglia" o “foglia accartocciata” 14, è
costretto a sopportare, di fronte a “uno scalcinato muro” 15, una condizione storica demistificante tra aridi “ossi di
1 Salvatore Quasimodo, Giorno dopo giorno, Alle fronde dei salici, 1945
2 Salvatore Quasimodo, Alle fronde dei salici, Ibidem
3 Eugenio Montale, È ancora possibile la poesia, Conferenza a Stoccolma, 1975
4 Eugenio Montale, Genova 12 ottobre 1896 – Milano 12 settembre 1981
5 Eugenio Montale, Ossi di seppia, Spesso il male di vivere ho incontrato, 1925
6 Eugenio Montale, Ossi di seppia, I limoni, 1925
7 Eugenio Montale, Della Poesia d'oggi, La Gazzetta del Popolo, Torino, 4 novembre 1931
8 Eugenio Montale, Ossi di seppia, Non chiederci la parola, 1923
9 Eugenio Montale, Non chiederci la parola, Ibidem
10 Eugenio Montale, Della Poesia d'oggi, Ibidem
11 Eugenio Montale, Non chiederci la parola, Ibidem
12 Eugenio Montale, Non chiederci la parola, Ibidem
13 Eugenio Montale, Ossi di seppia, Meriggiare pallido e assorto, 1916
14 Eugenio Montale, Spesso il male di vivere ho incontrato, Ibidem
seppia”16 in cui, a seguito della “vittoria mutilata”, sono stati creati i presupposti per i tragici genocidi nazifascisti e per l'imposizione all'Europa della “Bufera che sgronda sulle foglie dure della magnolia” 17. Le
manifestazioni fenomeniche sono un esempio di quell'elencazione ellittica che, escludendo l'occasione-spinta e
giustapponendo oggetti visti come segni criptici di un mondo profondamente snaturato, alludono allo scoppio
della guerra; ci si riferisce “in ispecie a quella guerra” 18 che, ambita da unità politiche nel segno della coercizione
autoritaria e voluta dai "princes”, dont les mains ne servent plus” , le cui mani non servono più, “qu' à
persécuter"19, che a perseguitare, “è anche guerra cosmica, di sempre e di tutti”20 mentre “i lunghi tuoni marzolini
e la grandine”21 precorrono “lo schianto rude, i sistri, il fremere dei tamburelli sulla Fossa Fuia” 22 che inghiottiva
i prigionieri destinati alla morte.
1l poeta ligure, lauree honoris causa dalle Università di Milano (1961), Cambridge (1967), La Sapienza (1974),
ha bussato alle porte di quel meraviglioso e terribile enigma che è la vita e, pur non potendo dare "la formula" 23
per spingere a scatenarsi contro la prepotenza del destino, materializza, per i lettori di tutti i tempi, gli intensi
riflessi della difficoltà insorgente dell'essere uomini di cultura in un periodo di crisi in cui, caduti gli ideali della
civiltà ottocentesca, "la realtà è apparsa all'allibita coscienza contemporanea come un nulla da contemplare con
sgomento"24. Questo inquieto sguardo indagatore, tentando di ricercare la verità nascosta dietro le apparenze, ha
scoperto, con un susseguirsi di immagini lampeggianti, la fragilità di un “cavallo stramazzato”25 schiacciato
dall’impotente disorientamento delle coscienze; la preclusione di ogni miracolosa e catartica epifania è
sottolineata, con grande efficacia descrittiva, dalle pitture particolarmente elequenti. Ecco “Angoscia” 26, il cui
urto cromatico serve a Edvard Munch per far risaltare le espressioni deprimenti di uomini che si muovono
smarriti nel gran mare dell'essere e, in tal senso, le linee concentriche sembrano allargare una condizione
spirituale, apparentemente limitata a un gruppo vago e indeterminato, a tutta l’umanità … o “Il critico” 27,
un'ironica allusione di Arthur Dove al critico d'arte; ha la tuba rossa in testa, è costituito da un giornale che ha al
centro la riproduzione di un quadro inserito tra i giornali. Pare creato dalla sola carta stampata, privo di umanità,
con i pattini a rotelle per correre da una mostra all'altra, la lente d'ingrandimento per vedere le opere d'arte nei
minimi dettagli perdendo di vista l'insieme, mentre l'aspirapolvere, tenuto con una mano, serve per pulirle dai
presunti sbagli o, più precisamente, da quanto il regime ritenga lesivo delle proprie ideologie ... o, ancora, da “I
pilastri della società”28, sul cui fondo spiccano i militari, ghignanti, crudeli, con l'elmetto, la spada insanguinata
e la croce di guerra appuntata sul petto; al centro, rivolto verso una finestra aperta, divampa un incendio, un
magistrato o, peggio, un prete, sta arringando, è la voce della legge che richiama all'ordine. In primo piano, i
15 Eugenio Montale, Ossi di seppia, Non chiederci la parola, Ibidem
16 Eugenio Montale, Ossi di seppia, 1916 / 1925
17 Eugenio Montale, La bufera e altro, La bufera, 1941; uscita nel 1943 nella neutrale Svizzera, poi a Firenze nel
1945 e, infine, confluita, nel 1956, ne La bufera e altro .
18 Eugenio Montale, Lettera a Gianfranco Contini, 1945
19 Agrippa D’Aubigne’, 1552-1630, A’ Dieu, ripristinata nel 1943
20 Eugenio Montale, A Gianfranco Contini, Ibidem
21 Eugenio Montale, La bufera, Ibidem
22 Eugenio Montale, La bufera, Ibidem
23 Eugenio Montale, Ossi di seppia, Non chiederci la parola, Ibidem
24 Angelo Marchese, Amico dell'invisibile - La personalità e la poesia di Eugenio Montale, 1996
25 Eugenio Montale, Ossi di seppia, Spesso il male di vivere …, Ibidem
26 Edvard Munch, Angoscia, 1894; olio su tela, cm.94 x 73. Oslo, Kommunes Kunstamlinger.
27Arthur Dove, Il critico, 1925; Collage, cm. 47,5 x 31. New York the Downtown Gallery
28 George Grosz, I pilastri della società, 1926; olio su tela, m.2,00 x 1,08. Berlino, Staatliche Museen
veri padroni, i mandanti delle stragi e degli arresti; due politici borghesi e un giornalista, eleganti, con i colletti
alti inamidati e le cravatte impeccabili, come il magistrato, hanno colli taurini, volti e nasi arrossati dal gran
bere, recano chiari i simboli delle vessazioni identificabili nella spada, nei boccali di birra, nel monocolo, negli
occhiali a pinz-nez, nella croce uncinata, nell'opuscoletto propagandistico del “Sozialismus ist arbeit” con il
quale strumentalizzano l'opinione pubblica. Dalle teste scoperchiate di due di essi escono i loro pensieri
formalizzati da un soldato a cavallo, con la lancia abbassata pronta a colpire, e sterco fumante; sul capo del terzo,
come un cappello, vi è un orinale capovolto. Sono tutti particolari di cui si serve George Grosz per meglio
rappresentare il potere nella societá … e si potrebbe continuare all’infinito nell’esegesi di opere espressive che,
in un’età in cui la vita parve un male e la morte un bene da scontare con la pena del vivere, stigmatizzano la
situazione politico-sociale della Germania nazista, dipinti brutali quanto i tempi che li hanno generati …
Il commento inicisivo a ciascuna di tali rappresentazioni grafiche giunge ancora da Montale, che si presenta con
l'unico discorso ancora possibile contrassegnato dal martellante NON 29 anaforico, inteso come dolorosa ma ferma
rivolta morale contro il caotico magma di un destino che, paradossalmente, l'uomo non può accettare, ma contro
il quale non può nemmeno ribellarsi … eppure, anche se si evince il grido incapace di rischiarare i misteri
imperscrutabili, il “poeta della negatività” invita implicitamente a stabilire il contatto con gli altri uomini e
scartare la resistenza passiva. Nel 1967, il Presidente Saragat, riflettendo sui risultati dei suoi scritti, lo ha
nominato senatore a vita "non solo per aver illustrato la patria nel campo letterario e artistico, ma perché lo
scrittore, con la sua saggezza, ha fatto scaturire, dalle continue frustrazioni, un pessimismo attivo che farà
divenire migliori"30. L’artista, in effetti, rifacendosi a teorie eliotiane, ribadisce più volte che il male non è
implicito in un regime, ma in una forma di "degenerazione universalizzata ed eternizzata da cui deriva il
progressivo impoverimento dell'umanità, condizione esistenziale di morte in vita che annulla ogni diacronia" 31.
Dalla sua poesia “nata dal silenzio”, con “il rifiuto di ogni facile ottimismo consolatorio, di ogni mitologia, di
stoica consapevolezza del male di vivere, in molti, al di là delle stesse intenzioni di Montale, è derivata, a tutta
una generazione dominata dall'assolutismo, una lezione etica profonda che ha spinto i giovani a rifiutare ogni
compromesso e ad affilare le armi per orientarsi verso l’antifascismo militante"32.
Le asserzioni estrapolate dall’esegesi dei suoi versi potenti aprono, quindi, una nuova strada per la comprensione
di un autore che, in apparenza borghese scettico al di sopra della mischia, ha lasciato, nel 1966, un “atto di fede”
dal quale si coglie il suo più convincente profilo di uomo e di artista nonchè la sua presenza attiva nell' epoca
in cui è vissuto … "Egli non vuole confondersi con i balordi laudatori del passato che incontro a ogni passo e che
trasmettono false idee …. Di che cosa può lamentarsi? E’ riuscito a vivere a lungo senza lustrare le scarpe a
nessun tiranno, ha visto ascendere ai fastigi della vita pubblica criminosi idioti e non gli è mancato il piacere
di vederne alcuni ruzzolare dai loro seggi, ha visto scomparire molte miserie, ma anche consolidarsi molte
forme di servilismo collettivo ... Egli ama l'età in cui è nato, nell'epoca che conosce le sue piaghe, piuttosto
che nella stagione in cui le piaghe erano coperte dalle bende dell'ipocrisia e, solo se fosse certo della disfatta
finale, potrebbe ascriversi alla schiera dei pessimisti"33.
Montale, Nobel per la letteratura 1975 “per la poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato
i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni” 34; con i suoi scritti, che scorreranno per
sempre nella cineteca della memoria e che saranno un punto di riferimento per i giovani dal domani incerto, si è,
infatti, posto l'obiettivo di di cantare "ciò che unisce l'uomo agli altri uomini, ma non nega quanto lo disunisce,
perché, per lui, la poesia non è evasione dalla realtà, bensì una forma di conoscenza per la comprensione del
29 Eugenio Montale, Ossi di seppia, Non chiederci la parola, Ibidem
30 Giuseppe Saragat, motivazione della nomina di senatore a vita a Eugenio Montale,13 giugno 1967
31 Thomas Stearns Eliot, The Waste Land, La terra desolata, 1922
32 Salvatore Guglielmino, Guida al Novecento, Principato, Milano, 1986
33 Eugenio Montale, Auto da fè, 1966
34 Motivazione del Premio Nobel per la Letteratura 1975
mondo"35. Il tragico testimone della coscienza intellettuale preferisce l'ammissione di una crisi del sapere alla
false conoscenze dell' "uomo che se ne va sicuro e l'ombra sua non cura" 36, anche se le premesse della sua
sentimentalische Dichtung, della sua poesia sentimentale, farebbero propendere per una fuga dal contingente,
codificato dalla fredda e marmorea insensibilità di una "statua nella sonnolenza del meriggio”, o per
l’aspirazione a essere "nuvola" evanescente o "falco"37 librato in volo. Egli, in sostanza, sente la necessità
dell’impegno civile, dimostra l’apertura della sua poesia verso il collettivo e la storia, esprime implicitamente la
volontà di insistere sulla fase “corale” della sua produzione imperniata sull’urgenza comunicativa di “una nuova
armonia sociale di cui esistono presentimenti solo nei vasti domini dell'Utopia” 38 ... E, in moto circolare, si
ritorna all’incipit … “Potrà sopravvivere, nell'universo delle comunicazioni di massa, la poesia, quella che sorge
quasi per miracolo e sembra eternare tutta un'epoca? La risposta non può che essere affermativa perchè la trepida
auscultazione di un cuore potrà affievolirsi, ritemprarsi, smorzarsi, ma resterà sempre una delle vette dell'anima
umana”39.
Questo scrittore, insomma, trasmette l’idea secondo cui la tensione verso un’esistenza più alta, confluendo
nella poesia, si trasforma in una misteriosa forza propulsiva, vigoroso richiamo interiore anti-nichilistico in grado
di far capire come sia necessario costruire, “a colpi di scalpello, una scala di marmo che conduce al tempio della
gioia"40 e riscattare i “burattini mossi da mani ostili”41 dalla veemenza impietosa della storia. Con questo
atteggiamento combattivo, SI NEUTRALIZZERANNO “i cieli cupi, i venti di distruzione, i parchi spogli, gli
stormi di nere cornacchie piombati su carogne in putrefazione”42, tutti simboli della indecifrabile lebbra che
consuma anche l'anima del poeta, SI GUIDERANNO gli “uomini vuoti che appoggiano l'un l'altro la testa piena
di paglia"43 aiutandoli a “varcare, senza vittimismo e senza avvilenti implicazioni, il fiume che separa la vita
dalla morte”44, SI ACCOMPAGNERANNO PER MANO i tanti decisi a sollevare la testa nella lotta coraggiosa
per la riaffermazione della propria dignità.
35 Eugenio Montale, La Rassegna d'Italia, Intervista immaginaria, I, n. 1, gennaio 1946
36 Eugenio Montale, Ossi di seppia, Non chiederci la parola, Ibidem
37 Eugenio Montale, Spesso il male di vivere ho incontrato, Ibidem
38 Eugenio Montale, È ancora possibile la poesia, Ibidem
39 Eugenio Montale, È ancora possibile la poesia, Ibidem
40 Zenta Maurina Randive, Poesie, 1965
41 Eugenio Montale, Diario postumo, Siamo burattini mossi da mani ostili, 1970
42 Georg Trakl, Winterdämmerung, Crepuscolo Invernale, 1913
43 Thomas Stearns Eliot, The Hollow Man, Gli uomini vuoti, 1925
44 Thomas Stearns Eliot, The Waste Land, Ibidem