Capitolo 3(Compton) - INFN

Capitolo 3
Esperimento # 1
Studio dello Scattering Compton
A.H. Compton
Versione 4.1 Settembre 2014
1
3.1
Introduzione
La teoria elettromagnetica classica non poteva spiegare correttamente la diffusione della radiazione
elettromagnetica da parte di particelle cariche. Compton e Debye derivarono indipendentemente nel
1923 la relazione tra lunghezza d’onda (o energia) e angolo di diffusione per lo scattering della
radiazione elettromagnetica da parte di elettroni liberi ed in quiete.
La lunghezza d’onda della radiazione diffusa (f) viene espressa come:
(hν f)free = (hν i) / [1 + (hν i /mec2 ) (1-cos Θ f )]
(1)
in funzione dell’angolo di diffusione (Θf) e delle condizioni iniziali (i). Quindi per una data
lunghezza d’onda incidente, esiste una relazione univoca che lega la lunghezza d’onda e l’angolo
della radiazione diffusa.
Compton utilizzò la (1) per analizzare dati sperimentali sulla diffusione di fotoni da campioni solidi.
La lunghezza d’onda diffusa ad un dato angolo risultò avere una distribuzione caratterizzata da una
larghezza finita. Quest’osservazione venne interpretata come evidenza che gli elettroni nei solidi
non potevano essere considerati in quiete.
Nel 1929 Klein e Nishina derivarono la formula per la sezione d’urto di diffusione singola
differenziale:
dσ(Θ f)/dΩ=r0/2 [(hν f)free / (hν i)]2 {[(hν f)free / (hν i)] + [(hν f)free /(hν i)]- 1-sin2 Θ f }
(2)
dove r0=e2 / mec2 è il raggio classico dell’ elettrone.
Nel limite elastico (hνf)free ~hνi che si ottiene quando hνi <<mec2 , la (2) si riduce alla formula
classica (Thomson) dello scattering elastico da elettrone libero:
dσ(Θ f)/dΩ=r0/2 {1 +cos2 Θ f } (3).
L’andamento della sezione d’urto differenziale è riportato in Fig.3.1 per alcune energie di fotone
incidente.
La diffusione Compton riveste un ruolo estremamente importante nella Fisica Moderna, poiché esso
rappresenta il modo prevalente di interazione della radiazione elettromagnetica con la materia per
energie intorno al MeV, come mostrato in Fig.3.2. Inoltre lo scattering Compton può essere
utilizzato per investigare le proprierà della materia.
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Fig.3.1 Sezione d’ urto differenziale dello scattering Compton in funzione dell’ angolo di
diffusione per tre differenti energie incidenti 256, 511 e 1022 keV (date in unità di mec2 )
Fig.3.2 Importanza relativa dell’effetto fotoelettrico, dello scattering Compton e della creazione
di coppie in funzione dell’ energia del fotone incidente e del numero atomico Z del materiale.
3
3.2
Apparato sperimentale
Scopo di questo esperimento è:
1) la verifica della dipendenza dell'energia dall'angolo di diffusione del fotone diffuso
2) la misura della sezione d’ urto differenziale.
La sorgente di 22Na è collimata per mezzo di un apposito blocco di piombo per ottenere un fascio di
fotoni avente geometria definita. Il fascio incide sul DIFFUSORE, costituito, almeno per la prima
parte dell’esperimento, da uno scintillatore NaI(Tl) montato verticalmente. Lo scintillatore NaI(Tl)
usato come diffusore è un cilindro retto di diametro 7.5 cm ed altezza 7.5 cm.
Poichè la sorgente di 22Na produce gamma da 511 keV e da 1275 keV, occorre selezionare i fotoni
che incideranno sul Diffusore. A questo scopo il fascio incidente viene “etichettato” tramite la
coincidenza con il secondo fotone da 511 keV emesso dalla sorgente. Per rivelare il fotone di
“etichettamento” si utilizza un secondo scintillatore NaI(Tl), simile al primo, che verrà indicato
come ETICHETTATORE. La coincidenza tra il rivelatore ETICHETTATORE ed il DIFFUSORE
fornisce il trigger dell’ evento di diffusione e puo’ essere utilizzata per normalizzare le misure.
Notiamo che, mentre l’efficienza di coincidenza tra due fotoni da 511 keV è unitaria dato che i due
fotoni sono emmessi collinearmente, nel caso di coincidenze 511 keV - 1275 keV non vi e’ una
definita correlazione angolare. Ciò significa che per ogni 511 keV identificato nell’
ETICHETTATORE, il fotone da 1275 keV emesso in coincidenza può essere emesso in maniera
isotropa in tutto lo spazio. L’efficienza di coincidenza 511 keV- 1275 keV può essere stimata
valutando la frazione dell’ angolo solido totale (ΔΩ/4π) associato al DIFFUSORE e definito dal
collimatore in piombo.
La sorgente collimata, l’ETICHETTATORE ed il DIFFUSORE sono posti tutti su sostegni
indipendenti. L’allineamento del sistema è verificato dal personale del laboratorio.
I fotoni diffusi sono rivelati a vari angoli θlab da un terzo scintillatore NaI(Tl), simile agli altri due,
indicato come RIVELATORE, posto su di un braccio rotante che permette non solo di cambiare l’
angolo θlab a step di 10° tra 0° e 120°, ma anche di variare con continuità la distanza tra il
DIFFUSORE ed il RIVELATORE. Una fotografia dell’apparato è in Fig. 3.3.
Fig.3.3 Apparato sperimentale per lo studio dello scattering Compton
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3.3
Spettroscopia gamma con gli scintillatori NaI(Tl)
Un rivelatore a scintillazione è un apparato in cui la radiazione incidente (il fotone nel nostro caso)
viene convertito all’ interno del materiale attraverso una delle interazioni fotoni-materia
(fotoelettrico, Compton, coppie) generando un elettrone energetico. Quest’ultimo produce luce di
scintillazione in un range di lunghezze d’onda opportuna all’interno del cristallo. La luce prodotta
nella scintillazione rappresenta il segnale dell’avvenuta interazione tra la radiazione (il fotone) ed il
cristallo. Le caratteristiche salienti di un rivelatore a scintillatore possono essere riassunte nei
segneunti punti:
1) la luce di scintillazione deve essere rivelabile da un trasduttore, normalmente il
fotomoltiplicatore (indicato come PMT nel seguito), che genererà un segnale elettrico;
2) la quantità di luce di scintillazione raccolta dal PMT deve essere proporzionale all’ energia
cinetica rilasciata dalla radiazione incidente all’ interno dello scintillatore e la luce di
scintillazione non deve essere auto-assobita all’ interno del cristallo;
3) il materiale ottimale per realizzare un rivelatore a scintillazione deve avere una buona
densità ed essere costituito da elementi ad alto Z, in modo da massimizzare la probabilità di
interazione per unità di percorso nello scintillatore. Inoltre il materiale deve essere
meccanicamente stabile e disponibile in volumi sufficentemente grandi e con le geometrie
necessarie per le diverse applicazioni.
Maggiori dettagli sui rivelatori a scintillazioni sono reperibili nel testo del Knoll o nel Capitolo 6
del manuale della PHOTONIS (APPENDICE II). La descrizione tecnica dei fotomoltiplicatori può
essere anch’essa reperita nei testi indicati.
Lo scintillatore NaI(Tl) rappresenta un cristallo standard utilizzato da più di 50 anni in spettroscopia
gamma. Le caratteristiche del NaI(Tl) sono comparate in Tabella 3.1 con quelle di altri scintillatori
inorganici.
Descriviamo brevemente il principio di funzionamento degli scintillatori inorganici.
conduction band
exciton
band
scintillation
(200-600nm)
excitation
quenching
luminescense
activation
centres
(impurities)
electron
traps
Eg
hole
valence band
Fig. 3.4 Schema di funzionamento di uno scintillatore inorganico.
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Quando una particella ionizzante (per esempio un elettrone energetico) entra in un cristallo possono
accadere 2 processi:
i.
a causa delle collisioni tra la particella incidente e gli elettroni del cristallo che sono
alla base del processo di perdita di energia, si promuovono un certo numero di
elettroni dalla banda di valenza a quella di conduzione, creando così coppie
elettrone-lacuna liberi di muoversi nelle rispettive bande. (processo di ionizzazione)
ii.
si crea un eccitone promuovendo uno o più elettroni dalla banda di valenza in quella
degli eccitoni (posta appena al di sotto della banda di conduzione). In questo caso
elettrone e lacuna rimangono legati, ma possono muoversi liberamente nel cristallo.
(processo di eccitazione)
Se il cristallo contiene delle impurità (come per esempio il Tallio nello Ioduro di Sodio), si creano
localmente dei livelli elettronici nella gap proibita e gli atomi di impurità sono chiamati centri
attivatori.
Se una lacuna libera o una lacuna di un eccitone incontra uno di questi centri attivatori, può
ionizzare uno di questi atomi d’impurità. Se ora un elettrone occupa la lacuna creata dalla
ionizzazione precedente si ha emissione rapida di fotoni nel visibile (se tale modo di diseccitazione
è permesso). Se la transizione avviene senza emissione rapida di radiazione l’impurità diventa una
trappola e l’energia può essere persa in altri modi come ad esempio l’ emissione ritardata.
Di conseguenza si possono avere 2 costanti di tempo per l’emissione della luce di scintillazione:
§ ricombinazione rapida dai centri di attivazione (emissione nel range di ns-µs)
§ ricombinazione ritardata (trappole) (emissione nel range di ~100 µs)
La proprietà degli scintillatori di emettere radiazione luminosa è normalmente indicata come
luminescenza. Materiali luminescenti saranno in generale quelli che assorbono l’energia cinetica
persa direttamente dalle particelle ionizzanti e la riemettono sotto forma di luce visibile.
Se l’emissione avviene in tempi rapidi rispetto all’assorbimento il processo è chiamato
fluorescenza. Se invece l’emissione è ritardata (lo stato eccitato è metastabile) il processo si chiama
fosforescenza. In questo caso il tempo fra l’assorbimento e l’emissione può avvenire per tempi
superiori ai µs, a seconda del materiale.
In prima approssimazione l’evoluzione temporale del processo di emissione può essere descritto da
una semplice legge esponenziale
N(t) =
N0 − t τd
⋅e
τd
dove N(t) è il numero di fotoni emessi al tempo t, τd il tempo di decadimento ed N0 il numero totale
di fotoni emessi, quantità quest’ ultima proporzionale all’ energia depositata dalla radiazione
ionizzante.
Il tempo di assorbimento dell’energia (eccitazione degli atomi e delle molecole) è in generale molto
breve e quindi trascurabile rispetto al tempo di emissione. Inoltre quasi tutti gli scintillatori hanno 2
componenti di emissione, una veloce (tf) ed una lenta (ts) (fluorescenza e fosforescenza) e quindi:
N = Ae
− t
tf
+ Be
− t
ts
Generalmente è la componente veloce, dominante, che viene utilizzata nei rivelatori per radiazione
ionizzante.
Nel caso di uno scintillatore, un parametro fondamentale è l’efficienza di rivelazione. In Fig. 3.5 è
riportata l’ efficenza di rivelazione, definita come il rapporto tra il numero dei conteggi registrati nel
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sistema di misura ed il numero dei fotoni incidenti sul rivelatore, in funzione dell’ energia dei fotoni
incidenti su scintillatori NaI(Tl) cilindrici. Si assume che i fotoni incidano sulla superfice di base
del cilindro.
Fig. 3.5 Efficienza di uno scintillatore NaI(Tl) in funzione dell’ energia del fotone per cristalli
cilindrici. Il contributo relativo dell’effetto fotoelettrico, scattering compton e creazione di coppie
è anche indicato.
Tabella 3.1 Proprietà degli scintillatori inorganici
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Dalla Fig.3.5 notiamo come un fotone da 500 keV incidente su di uno scintillatore spesso 7.5 cm
abbia circa il 90 % di probabilità di interagire con il materiale. A questa energia, gli unici tipi di
interazione fotone-materiale sono l’ effetto fotoelettrico che dovrebbe contribuire per circa il 3040% e lo scattering Compton. Questa stima serve per capire quanti eventi Compton avrete nel
vostro apparato visto che il diffusore è uno scintillatore NaI(Tl).
3.3.1 Spettro gamma
La funzione di risposta (cioè lo spettro delle ampiezze) ottenuto irraggiando un cristallo con fotoni
monoenergetici dipende da una serie di fattori geometrici (geometria dello scintillatore, dimensioni
del fascio di fotoni, distanza sorgente-rivelatore) e dalla presenza o meno di materiale posto intorno
allo scintillatore che puo’ anch’esso contribuire agli eventi “visti” dal rivelatore a scintillazione,
come illustrato in Fig.3.6
Fig. 3.6 Tipica configurazione di un rivelatore a scintillazione
In Fig. 3.7 viene mostrato un tipico spettro ottenuto con una sorgente di 137Cs, sorgente che emette
fotoni da 662 keV.
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Fig. 3.7 Tipico spettro ottenuto con una sorgente di 137Cs.
In Fig. 3.7 si nota tra canale 350 e canale 400 la presenza del picco, corrispondente all’assorbimento
totale dell’ energia del fotone incidente nello scintillatore. Tale tipo di evento è dovuto innanzitutto
dalle interazioni di tipo effetto fotoelettrico (da cui il termine comunemente usato di fotopicco per
indicare questa struttura nello spettro). In questo tipo d’interazione infatti il fotone viene convertito
in un’elettrone di energia pari a quella del fotone incidente meno l’ energia di legame dell’
elettrone. Nel caso di volumi di scintillatore paragonabili a quelli utilizzati nel presente
esperimento, è anche possibile che eventi di scattering Compton multipli o eventi Compton seguiti
da una interazione di tipo fotoelettrico portino alla conversione completa dell’ energia del fotone
incidente. In questo caso il picco nello spettro corrispondente all’energia del fotone iniziale prende
il nome di “full-energy peak”, in quanto popolato anche da eventi diversi dalla singola interazione
di tipo fotoelettrico. Nel range 0-270 canali si estende il continuo dovuto agli eventi Compton in cui
il fotone è diffuso a differenti angoli. In questo caso si registra nello scintillatore il segnale dovuto
all’elettrone diffuso che rilascerà la propria energia cinetica nel materiale. L’energia dell’elettrone
diffuso è minima quando il fotone è deviato a piccoli angoli e quindi l’energia del fotone finale è
vicina a quella del fotone incidente. All’incontrario, l’ energia del fotone è massima quando il
fotone viene diffuso all’ indietro. In queste condizioni il massimo del continuo Compton (circa a
canale 270 in Fig.3.7) prende il nome di Compton-Edge.
Notiamo ancora come tra il picco di full-energy ed il Compton-Edge, nell’ ipotesi che il fotone
abbia un’ unica interazione all’ interno dello scintillatore, non dovrebbero trovarsi eventi. Se questo
non accade, come in Fig.3.7, ciò dimostra che vi sono eventi Compton multipli, in cui anche il
fotone diffuso Compton nella prima interazione all’ interno del cristallo non fuoriesce dallo
scintillatore ma ha la possibilità di avere una seconda interazione ancora di tipo Compton. Poichè la
distanza temporale tra i due eventi Compton è trascurabile rispetto al tempo di emissione della luce
di scintillazione, le due interazioni sono viste come un unico evento. Infine si notano a bassa
energia due strutture ben distinte:
a) Due picchi a canali 25 e 50 dovuti all’ emissione di raggi X che accompagna l’ effetto
fotoelettrico nei materiali che circondano lo scintillatore (tipicamente il piombo delle
schermature)
b) Una struttura larga a canale 125 dovuta al back-scattering dei fotoni primari sul materiale
che circonda il rivelatore (tipicamente il piombo delle schermature).
Una serie di spettri gamma ottenuti con scintillatori NaI(Tl) 7.5 cm x 7.5 cm per diverse sorgenti
gamma è mostrata in Fig.3.8.
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Fig. 3.8 Tipici spettri gamma di diverse sorgenti ottenuti con uno scintillatore NaI(Tl) 7.6 cm x
7.6 cm.
Scopo della spettroscopia gamma è l’interpretazione dello spettro misurato, identificando le
transizioni gamma presenti nello spettro dai picchi di full-energy. Nel caso di spettri complessi, l’
identificazione delle transizioni è sicuramente semplificata se il sistema spettrometrico presenta una
buona risoluzione energetica percentuale R. La risoluzione R è definita come il rapporto tra la
larghezza a mezza ampiezza del picco, Full Width Half Maximum [FWHM], e il centroide del
picco H0:
R = FWHM/H0 (%).
Dagli spettri di Fig.3.8 notiamo come i valori di risoluzione siano funzione decrescente dell’ energia
della transizione gamma. Questo suggerisce che il contributo maggiore alla risoluzione energetica
dipenda dalla fluttazione statistica nella raccolta e conversione in segnale elettrico dei fotoni di
scintillazione. La risoluzione quindi migliora all’aumentare del numero dei fotoni di scintillazione
nel cristallo, rivelando nello scintillatore per esempio fotoni di energia maggiore.
3.3.2 Elettronica per spettrometria gamma
Per ottenere uno spettro di ampiezze da un rivelatore a scintillazione occorre realizzare il sistema
spettrometrico mostrato in Fig. 3.9.
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Fig. 3.9 Tipico sistema per spettrometria gamma.
La luce di scintillazione è convertita in segnale elettrico tramite l’uso di un fotomoltiplicatore
(PMT). All’interno del PMT i fotoni di scintillazione sono convertiti in elettroni nel fotocatodo.
Dopo la conversione occorre raccogliere ed accelerare gli elettroni emessi dal fotocatodo tramite un
opportuno campo elettrico, focalizzandoli sul primo elemento della catena di amplificazione
(chiamato primo dinodo). Quando gli elettroni colpiscono il primo dinodo, sono emessi in media δ
elettroni secondari per ogni elettrone incidente. Gli elettroni in uscita dal primo dinodo vengono a
loro volta accelerati e focalizzati sul dinodo successivo da un secondo campo elettrico, dando
origine ad una ulteriore moltiplicazione. Se il fotomoltiplicatore contiene N dinodi, il guadagno G,
definito come rapporto tra il numero degli elettroni raccolti sull’anodo alla fine della catena
dinodica e quello degli elettroni inizialmente prodotti dal fotocatodo risulta essere:
G= δ
Ν
Con questa tecnica si ottengono nei PMT guadagni tipici dell’ordine di 106. Notiamo ancora che
avremo bisogno di un partitore che permetta di ripartire un’unica differenza di potenziale, fornita da
un alimentatore HV tra le componenti (fotocatodo, dinodi, anodo) del PMT in maniera opportuna.
Tale partitore potrà essere anche semplicemente di tipo resistivo e sarà contenuto nella base
collegata fisicamente al PMT.
Il segnale in uscita dall’ultimo dinodo del PMT viene normalmente letto tramite un
preamplificatore di carica. Scopo del preamplificatore di carica è quello di raccogliere tutta la carica
associata al singolo evento. Se la costante di tempo del circuito RC in ingresso del preamplificatore
è molto minore del tempo caratteristico di emissione e raccolta del segnale nel sistema scintillatore
+ PMT, il tempo di salita del segnale V=V(t) all’ uscita dal preamplificatore riprodurrà la
distribuzione temporale propria della raccolta della carica Q=Q(t) . Si può dimostrare
(vedi Knoll) che in questo caso l’ ampiezza massima del segnale in tensione all’ uscita del
preamplificatore è proporzionale a tutta la carica raccolta. Poiché quest’ultima dipende dall’ energia
cinetica convertita nello scintillatore, risulta quindi che l’ ampiezza di ogni segnale all’ uscita dal
preamplificatore porta l’ informazione sull’ energia convertita nello scintillatore.
Poichè, come riportato in Tabella 3.1, ciascuno scintillatore produce una differente quantità di luce
di scintillazione per MeV di energia convertita, con tempi di emissione dei fotoni di scinntillazione
estremamente variabile, sarebbe necessario realizzare un particolare circuito di amplificazione per
ciascun tipo di scintillatore, variando per esempio il guadagno del pre-amplificatore. Un’alternativa
possibile è quella di utilizzare moduli commerciali che si basano su un pre-amplificatore a
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guadagno fisso ed un amplificatore in cui sia possibile selezionare i parametri a seconda del tipo di
scintillatore utilizzato. Quest’ultima soluzione è quella utilizzata in laboratorio per il presente
esperimento. In questo caso i parametri dell’amplificatore che vanno definiti sono:
a) La polarità del segnale in ingresso;
b) Lo shaping time (ST, con valori tipici di qualche µs): tempo d’integrazione del segnale in
ingresso; lo ST deve essere maggiore del tempo di salita all’uscita dal preamplificatore;
c) Il guadagno ( G definito come rapporto tra ampiezza del segnale in uscita su ampiezza del
segnale in ingresso), normalmente diviso in Coarse Gain e Fine Gain (G=CG × FG);
d) Il tipo di segnale in uscita da utilizzare: UNIPOLARE o BIPOLARE.
Notamo come nel caso di segnale UNIPOLARE, il massimo della forma quasi gaussiana del
segnale si presenta al tempo t=2 × ST. Ricordiamo che il valore del massimo del segnale è
proporzionale all’energia della particella convertita nello scintillatore ed è quindi la zona del
massimo del segnale in uscita dall’amplificatore che deve essere “letta” dal circuito successivo.
Una volta ottenuto il segnale opportunamente formato dall’amplificatore, esso puo’ essere
digitalizzato e l’informazione immagazzinata in una opportuna memoria per la successiva
istogrammazione ed analisi. Queste funzioni sono normalmente realizzate tramite un
ANALIZZATORE MULTICANALE (Multi-Channel Analyzer, MCA).
Storicamente, i sistemi MCA rappresentarono lo sviluppo naturale della tecnica di conteggio di
eventi tramite finestre di energia (circuiti MONOCANALE) che comandavano scale di conteggio.
La distribuzione delle ampiezze veniva così ricostruita andando a registrare manualmente i
conteggi corrispondenti a differenti posizioni in energia delle finestre.
Attualmente, il cuore di un sistema d’immagazzinamento di uno spettro è il convertitore analogico
digitale (ANALOG TO DIGITAL CONVERTER: ADC). Un ADC normalmente digitalizza un
segnale fino al valore massimo di ampiezza Vmax, utilizzando un numero di canali Nch, per esempio
Vmax=5 Volt, Nch=4096. Questo significa che, in questo caso, la larghezza di ciascun canale per cui i
segnali saranno tutti identificati con lo stesso digit è ΔV= Vmax / Nch=1.2 mV nel caso esaminato. Il
valore di ΔV determina quindi la precisione con cui sarà istogrammato lo spettro.
E’ chiaro che bisogna accordare al meglio il range utile dell’ADC (per es 0-5 Volt) e il guadagno
dell’ amplificatore, in modo da “distribuire” gli eventi su una parte significativa dei canali a
disposizione. Un secondo punto importante è la verifica che l’ADC identifichi correttamente il
massimo del segnale. Senza entrare nei dettagli tecnici sul funzionamento dell’ADC, se si usa il
segnale unipolare di un amplificatore con ST=1 µs, il massimo del segnale si presenterà a t=2 µs.
Bisogna quindi essere sicuri che l’ADC “ricerchi“ il massimo del segnale per un tempo maggiore di
2 µs, affinchè avvenga la corretta identificazione del massimo del segnale e quindi la misura dell’
energia della particella. In caso contrario si otterrebbero spettri non lineari con l’energia rilasciata
nello scintillatore.
Il modo per impostare il tempo di lettura del segnale nell’ADC varia secondo il tipo di ADC. Puo’
essere un parametro d’input software o hardware o può essere realizzato tramite un opportuno
segnale di GATE generabile in maniera appropriata per “aprire” e “chiudere” l’ intervallo temporale
di lettura del segnale di input.
Ciascun segnale digitalizzato può andare ad incrementare il contenuto del canale ennesimo in una
memoria di massa hardware o essere passato, tramite un opportuno software, ad un PC che
provvederà alla scrittura su disco dell’ evento ed alla succesiva istogrammazione dei risultati. In
generale l’analizzatore multicanale fornisce in tempo reale lo spettro delle ampiezze, aggiornato in
continuazione, in modo da poter valutare quanto acquisito in tempo reale. Alla fine dell’
acquisizione, lo spettro sarà salvato in modo permanente come file in un disco di PC in un formato
tale da rendere possibile la successiva lettura da parte del software utilizzato per l’ analisi off-line.
12
3.3.4 Il Discriminatore a Frazione Costante
Una seconda informazione che occorre estrarre da ciascuno scintillatore NaI(Tl) è il tempo di
occorrenza di ciascun evento. Tale informazione è necessaria per definire, tramite la coincidenze tra
i vari rivelatori, gli eventi che si voglioni registrare.
Dalla tabella 3.1 sulle proprietà degli scintillatore sappiamo che il tempo di decadimento della luce
di scintillazione all’ interno del cristallo di NaI(Tl), definito come il tempo necessario per l’
emissione a livello di 1/e dei fotoni che caratterizzano un determinato evento è di 250 ns. Poiche’ il
PMT è per sua natura un trasduttore molto più veloce del tempo di emissione del NaI(Tl), il fronte
di salita del segnale analogico all’ uscita dal PMT sarà, grosso modo, dell’ ordine di 200 ns. Nel
caso degli eventi gamma, a cui siamo interessati, l’ ampiezza dei segnali è variabile, a seconda che
si considerino eventi di full energy o eventi Compton. E’ quindi essenziale convertire il segnale
analogico in un segnale logico standard che porti solo l’informazione sul tempo di arrivo di un
determinato evento, senza più alcuna informazione analogica sull’ energia che viene invece
determinata separatamente tramite la catena elettronica riportata in Fig. 3.9. In questo modo ciascun
evento sarà processato in parallelo tramite due sistemi elettronici speciallizati nell’analisi in energia
ed in tempo.
Per quanto riguarda il segnale temporale, il modo più semplice per derivare il segnale logico è
quello di generarlo nell’ istante in cui il segnale analogico in input supera un valore prefissato,
definito come soglia di discriminazione. Un sistema di questo tipo prende il nome di discriminatore
leading-edge ed è discusso in dettaglio nel paragrafo 4.2.2 (esperimento sui Raggi Cosmici). Nel
caso di tempi di salita come quelli dello scintillatore NaI(Tl) ciò provocherebbe un inacettabile
indeterminazione sul punto di attraversamento della soglia e quindi sul segnale di timing.
Per ovviare a questo problema, negli anni scorsi è stata sviluppata la tecnica del Discriminatore a
Frazione Costante (Constant Fraction Discriminator), il cui principio di funzionamento è mostrato
in Fig. 3.10. In sintesi, il segnale in ingresso al discriminatore è sdoppiato. Il primo segnale è solo
ritardato per una quantità che corrisponde ad una frazione fissa del tempo di salita, mentre il
secondo viene invertito ed attenuato. I due segnali vengono a questo punto sommati, ottenendo un
segnale bipolare. Si può dimostrare che la minima dispersione temporale si ottiene nell’
attraversamento del livello di zero. In queste condizioni quindi si minimizza l’indeterminazione
temporale associata alla presenza di ampiezze (o anche di tempi di salita) diverse.
Fig. 3.10 Formazione di segnali in un Discrinatore a Frazione Costante con compensazione di
ampiezza e tempo di salita (ARC)
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Fig. 3.11 Schema circuitale di un Discriminatore a Frazione Costante.
Lo schema funzionale del circuito di un Discriminatore a Frazione Costante è riportato in Fig.3.11.
4. Elettronica per l’esperimento Compton
Lo schema a blocchi dell’elettronica che sarà utilizzata per l’ esperimento Compton è riportato in
Fig. 3.12.
Ciascuno dei tre scintillatori NaI(Tl) è connesso direttamente con una base contenente il partitore
resistivo ed un preamplificatore (ORTEC mod. 276). Poiche’ bisogna fornire le basse tensioni per il
funzionamento del preamplificatore, ciascuna base prende tali tensioni tramite un apposito cavo da
un connettore posto sul retro dell’ amplificatore. Inoltre la base è collegata tramite un cavo coassiale
(tipo SHV) ad un HV Power Supply che fornisce l’ alta tensione necessaria al funzionamento del
PMT. I rivelatori sono operati a valori HV=700-850 Volt. Normalmente troverete già i rivelatori in
funzione con impostati valori di HV adeguati.
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NaI(Tl)_1
NaI(Tl)_2
NaI(Tl)_3
ETICHET
TATORE
DIFFUSO
RE
RIVELAT
ORE
Anode
Anode
Anode
Preamp
Preamp
Preamp
HV_2
HV_1
Shaping
Amplifier
Fast
Amplifier
HV_3
Shaping
Amplifier
CFTD_1
Fast
Amplifier
Shaping
Amplifier
CFTD_2
Fast
Amplifier
CFTD_3
Multiplicity
Unit
M=3
NIM-TTL
Converter
ADC#1
ETICHETTATORE
ADC#2
DIFFUSORE
ADC#3
RIVELATORE
Fig. 3.12 Schema dell’ elettronica per l’ esperimento Compton
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MASTER
GATE
#4
Ciascuna base fornisce in uscita, tramite due connettori BNC sia il segnale di anodo diretto del
PMT che il segnale dell’ ultimo dinodo pre-amplificato. Questi due connettori sono collegati tramite
appositi cavi coassiali BNC con il pannello montato sul rack dell’elettronica. Le due linee per l’
analisi in energia e tempo dei segnali vengono realizzate utilizzando moduli di elettronica NIM
(Nuclear Instrumentation Modul). Il NIM è uno degli standard disponibili per elettronica
utilizzabile per esperimenti di fisica. Lo standard è definito dalle caratteristiche geometriche di
ciascun modulo che permette la sua inserzione in un NIM-BIN che contiene l’alimentatore
stabilizzato che fornisce le differenze di potenziale necessarie (+6,+12,+24 Volt) tramite un
apposito connettore multipin. I moduli NIM sono controllati da helipot o switch normalmente
accessibili sul pannello frontale.
Per ciascun rivelatore si collega l’uscita del preamplificatore ad un Amplifier CAMBERRA mod
2011. L’uscita unipolare dell’amplificatore viene collegata direttamente all’ input del sistema di
acquisizione dati descritto in APPENDICE V. Le connessioni con la scheda di acquisizione dati
sono indicate in un apposito cartello posto vicino all’ apparato sperimentale.
Il segnale logico di timing di ciascun rivelatore è ottenuto amplificando il segnale di anodo tramite
un modulo del 12 Channel PM Amplifier LeCroy mod. 612° e quindi collegando l’ uscita di questo
amplificatore con l’ input di uno dei canali del Discriminatore a Frazione Costante (CFTD mod
INFN Pd). Il CFTD fornisce due tipi di segnali di output, un segnale prompt ed un segnale delayed,
di cui è possibile variare sia la durata temporale (width) del segnale sia il ritardo tramite
microswitches. La possibilità di aggiustare durata e ritardo del segnale logico è estremamente utile
per realizzare una coincidenza ad overlap tra i vari rivelatori utilizzando la 32 Inputs Logic Unit
(SEN mod LU 278). Questo modulo permette di ottenere coincidenze tra N rivelatori (con N< 32)
fornendo segnali di uscita (standard NIM, -800 mV) a seconda della fold dei segnali. Con fold si
intende il numero di rivelatori che sono in coincidenza per ogni evento, a prescindere dal numero d’
ordine dell’ input. Ad esempio se colleghiamo i tre NaI(Tl) agli inputs 1,2,3, un segnale in uscita
dal connettore di fold=1 si otterrà quando almeno uno dei tre segnali è presente; un segnale fold=2
implicherà che almeno due (sui tre collegati) sia presente e fold=3 nel nostro caso si avrà solo
quando tutti e tre i segnali sono presenti.
La coincidenza ad overlap è verificata quando due segnali V1(t) e V2(t) diano una intersezione
temporale non nulla, come mostrato in Fig 3.13
IN_1
IN_1
IN_2
IN_2
OUT
OUT
T (ns)
Fig.3.13 Coincidenze ad overlap
16
L’uscita del modulo di Logic Unit è standard NIM (-800 mV) e deve essere convertita in TTL (+3
V) per essere utilizzata come MASTER GATE della scheda di acquisizione, cioè come segnale che
abilita la lettura degli ADC. Ciascuno dei Flash ADC (vedi APPENDICE V) campionerà il segnale
in input per un tempo T da impostare. Se negli Amplificatori è stato utilizzato uno Shaping Time
ST=0.5 µs, il massimo del segnale gaussiano sarà a t=1 µs. Si può quindi selezionare un tempo di
campionamento maggiore di 2 µs per essere sicuri di campionare completamente il segnale. La
selezione dei parametri dell’ ADC è in automatico.
Poiché in passato si sono verificate derive del guadagno dei rivelatori, sia sul DIFFUSORE che sul
RIVELATORE viene inviato il segnale di un impulsatore di precisione in modo da monitorare la
stabilità del sistema. Il segnale dell’impulsatore viene inviato direttamente nel preamplificatore per
poter essere processato dalle catene lineari. Inoltre tale segnale genera anche un trigger che è inviato
in OR con quello di Fig. 3.12 al MASTER GATE dell’ acquisizione. Il segnale dell’impulsatore è
quindi acquisito sempre in ogni spettro del DIFFUSORE e RIVELATORE. La determinazione della
posizione del picco dell’impulsatore permette di monitorare la stabilità dell’ elettronica.
5. Protocollo Sperimentale
Come già indicato, lo scopo dell’esperimento Compton è:
a) Verificare la dipendenza dell’energia del fotone diffuso e dell’elettrone in funzione dell’
angolo di diffusione.
b) Determinare il valore della sezione d’urto differenziale per la diffusione Compton da un
campione di Alluminio.
Per il punto a) si utilizzeranno i tre rivelatori (ETICHETTATORE, DIFFUSORE, RIVELATORE)
mentre per il punto b) il rivelatore DIFFUSORE sarà sostituito da un campione di Alluminio.
Il protocollo sperimentale è direttamente ripartito nelle tre sessioni a disposizione per l’
esperimento. Lo schema temporale riportato qui di seguito è solo una guida per l’attività e può
essere variata dagli studenti anche in relazione con i possibili problemi incontrati in laboratorio.
Prima sessione: preparazione e calibrazione degli scintillatori
1) Troverete la sorgente di 22Na già inserita nel collimatore, collegate i segnali di anodo e
preamplificatore dell’ ETICHETTATORE (prelevati dai connettori montati sul pannellino posto sul
rack dell’ elettronica) all’ oscilloscopio. Osservate i segnali all’oscilloscopio e prendete nota della
polarità, ampiezza e tempo di salita.
2) Collegate il segnale del preamplificatore allo input dell’ amplificatore, collegate l’ uscita
unipolare dell’ amplificatore all’oscilloscopio e verificate l’ effetto dei diversi parametri dell’
amplificatore. Controllate che lo Shaping Time dell’amplificatore sia S.T.=0.5 µs. Identificate all’
oscilloscopio la posizione corrispondente ai picchi di full-energy delle transizioni a 511 keV e 1275
keV.
3) Controllate i collegamenti del segnale di anodo all’ingresso del Fast Amplifier LeCroy 612A e
l’output di questo all’ input del CFTD, inviate all’ oscilloscopio il segnale di output prompt del
CFTD ed osservatelo. Triggherando sul segnale output prompt, collegate al secondo canale
dell’oscilloscopio il segnale output delayed ed osservatelo. Controllate il funzionamento dei
microswitch per i diversi valori di width e delay.
4) Impostazione della soglia del CFTD. Il CFTD fornisce un segnale in uscita solo se l’ampiezza
del segnale in ingresso è maggiore di un valore di soglia Vth. La soglia di discriminazione serve per
17
evitare che il CFTD scatti sul rumore bianco dell’elettronica. In questo esperimento dovranno essere
misurate energie relativamente basse in caso di fotoni retrodiffusi. E’ quindi di estrema importanza
la verifica dei valori della soglia di discriminazione. A tale scopo si procede nel seguente modo: si
collegano all’oscilloscopio il segnale unipolare dell’ amplificatore e una delle uscite del CFTD,
triggherando su quest’ ultimo segnale. A seconda del valore di soglia (impostato tramite l’ apposito
trimmer che può essere regolato usando il cacciavite), è possibile verificare come la distribuzione
dei segnali dell’ amplificatore si modifichi, con la scomparsa dei segnali corrispondenti al rumore
ed i segnali di bassa energia. Fissate la soglia al valore minimo che è necessario per tagliare il
rumore bianco dell’ elettronica.
5) Controllate il collegamento dell’uscita unipolare dell’amplificatore all’ ingresso ADC#1 del
sistema di acquisizione, e dell’uscita delayed (con ritardo minimo) all’ingresso della Logic Unit e
selezionate FOLD 1 in uscita. L’uscita prompt del CFTD sarà collegata alle scale CAEN per
verificare la velocità di conteggio.
Siete ora pronti a registrare lo spettro della sorgente 22Na. L’ADC converte fino a 2048 canali
(anche se nel display del sistema di acquisizione viene presentato uno spettro di 4096). Verificate
che nello spettro il picco a 1275 keV si trovi almeno intorno al canale 1000. Normalmente troverete
i guadagni fissati a valori ottimali. Acquisite lo spettro e registratelo come file. Poiché nello spettro
del 22Na sono presenti due picchi, potete determinare i centroidi tramite fit gaussiano e quindi
ricavare la calibrazione dello spettro:
E = a + b · Ncanale
γ
Per aumentare la precisione della calibrazione, specie per le energie E < 511 keV, è opportuno
utilizzare anche una sorgente di 241Am (vedi Capitolo 2) che emette fotoni con E =59 keV.
Registrate lo spettro dell’ Americio. Tipici esempi di spettri ottenuti in laboratorio sono riportati in
Fig. 3.14.
γ
γ
Fig. 3.14 Tipici spettri di energia con la sorgente di Sodio (sinistra) ed Americio (destra).
6) Ripetete i punti 1-5 per il DIFFUSORE e per il RIVELATORE. In ambedue i casi nello spettro
comparirà, oltre ai due picchi della sorgente di 22Na anche il picco del pulser che è stato calibrato
per essere a fondo scala. Per calibrare il RIVELATORE chiedete l’ utilizzo di una seconda sorgente
di 22Na da porre vicino al rivelatore. DETERMINATE E REGISTRATE LA POSIZIONE DELL’
IMPULSATORE NEI DUE RIVELATORI.
Nel caso dello spettro del Sodio dell’ETICHETTATORE, determinate anche la frazione di eventi
dovuti ai fotoni da 511 keV nel rivelatore, sottraendo al numero totale di eventi nell’ intervallo di
interesse (marker rossi in figura) , il fondo dovuto alla spalla Compton del fotone da 1275 keV.
18
Fig. 3.15 Analisi dello spettro di energia dell’ etichettatore.
Se indichiamo con A(511) il risultato di questa operazione, cioè l’ area del picco da 511 keV, ed è
Atot il numero di eventi totali nello spettro, definiamo la grandezza F(511):
F(511)= A(511)/(Atot )
F(511) rappresenta quanti eventi ci sono nel picco di full-energy del fotone da 511 keV rispetto agli
eventi totali nel rivelatore. Questa grandezza sarà utilizzata nella determinazione della sezione d’
urto.
E’ interessante poter valutare quale relazione intercorra tra la statistica nello spettro gamma e la
precisione con cui siete in grado di determinare il centroide del fotopicco, con cui misurate l’energia
del fotone. Questo punto è essenziale poiché scopo della prima parte dell’esperimento è proprio la
misura della correlazione tra angolo di diffusione ed energia del fotone diffuso.
E’ da notare come l’errore sul centroide del picco è fornito da ROOT quando si esegue il fit del
picco con una funzione gaussiana. Per verificare la relazione tra statistica nello spettro gamma e
precisione della misura, si suggerisce di prendere una serie di spettri della sorgente di sodio con
il RIVELATORE corrispondenti a statistica differente (per esempio 500, 1000, 2000, 5000,
10000 eventi acquisiti) e di fittare il picco a 511 keV in tali spettri con una gaussiana
determinando il valore del centroide e l’ errore del fit. Riportate tali valori in funzione della
statistica acquisita ed usate tale informazione per le misure successive. (NB. Il sistema di
acquisizione permette di presettare il numero di eventi da registrare e quindi fermare l’
acquisizione in automatico)
19
ESPERIMENTO COMPTON
SET UP DEI RIVELATORI#1
Gruppo...........
Padova..........................
ETICHETTATORE
HV=.......................Volt
Caratteristiche dei segnali terminati su 50 Ohm
Tempo discesa
(ns)
Vmax @511 keV
(mV)
Tempo salita
(ns)
Livello Rumore
(mV)
Anodo PMT
Output Pre PMT
Guadagno Amplificatore: Coarse......................
Fine..................................
Shaping Time:...................... µs
Soglia CFTD (misurata con l’oscilloscopio):.............................mV
RATE:.........................................c/s
DIFFUSORE
HV=.......................Volt
Caratteristiche dei segnali terminati su 50 Ohm
Tempo discesa
(ns)
Vmax @511 keV
(mV)
Tempo salita
(ns)
Livello Rumore
(mV)
Anodo PMT
Output Pre PMT
Guadagno Amplificatore: Coarse......................
Fine..................................
Shaping Time:...................... µs
Soglia CFTD (misurata con l’oscilloscopio):.............................mV
RATE:.........................................c/s
RIVELATORE
HV=.......................Volt
Caratteristiche dei segnali terminati su 50 Ohm
Tempo discesa
(ns)
Vmax @511 keV
(mV)
Tempo salita
(ns)
Anodo PMT
Output Pre PMT
Guadagno Amplificatore: Coarse......................
Fine..................................
Shaping Time:...................... µs
Soglia CFTD (misurata con l’oscilloscopio):.............................mV
RATE:.........................................c/s
20
Livello Rumore
(mV)
ESPERIMENTO COMPTON
SET UP DEI RIVELATORI#2
Gruppo...........
Padova..........................
Calibrazione in energia
ETICHETTATORE
Energia
Centroide picco
(Canale)
Larghezza picco
[FWHM]
Risoluzione
(%)
59 keV
511 keV
1275 keV
Retta di Calibrazione ( E= α x Canale + β )
α=.................................
β=...................................
DIFFUSORE
Energia
Centroide picco
(Canale)
Larghezza picco
[FWHM]
Risoluzione
(%)
59 keV
511 keV
1275 keV
Impulsatore
Retta di Calibrazione ( E= α x Canale + β )
α=.................................
β=...................................
RIVELATORE
Energia
Centroide picco
(Canale)
Larghezza picco
[FWHM]
59 keV
511 keV
1275 keV
Impulsatore
Retta di Calibrazione ( E= α x Canale + β )
α=.................................
β=...................................
N.B. Allegare spettri e le rette di regressione.
21
Risoluzione
(%)
Seconda sessione: ricerca delle coincidenze, definizione della
geometria di misura.
Ricerca delle coincidenze. Per poter controllare che i segnali di delayed output dei tre rivelatori
abbiano una sovrapposizione non nulla procedete nel seguente modo:
1) Regolate la width dei segnali delayed dei tre CFTD al valore W=100 ns usando l’oscilloscopio.
2) Collegate l’output delayed del CFTD del DIFFUSORE al canale 1 dell’ oscilloscopio e
triggherate opportunamente su questo segnale.
3) Collegate l’uscita delayed del CFTD dell’ ETICHETTATORE al canale 2 dell’ oscilloscopio.
Controllate che i due segnali siano sovrapposti temporalmente e nel caso agite sui ritardi dei due
CFTD.
4) Richiedete una seconda sorgente di 22Na e fatela posizionare tra RIVELATORE ed
ETICHETTATORE. Collegate l’ uscita delayed del CFTD del RIVELATORE al canale 2 dell’
oscilloscopio. Controllate che i due segnali siano sovrapposti temporalmente e nel caso agite sui
ritardi dei due CFTD del RIVELATORE.
5) Collegate le uscite delayed dei CFTD agli input 1,2,3 della Logic Unit e selezionate FOLD=3.
Siete ora pronti per acquisire i dati della prima parte dell’esperimento.
Definizione della geometria di misura.
6) Nota l’attività della sorgente di 22Na, la geometria dei rivelatori gamma e i collimatori disponibili
definire la geometria di misura : D1 distanza sorgente-etichettatore, D2 distanza sorgente –
DIFFUSORE e D3 distanza DIFFUSORE-RIVELATORE. I collimatori permettono di avere un
fascio etichettato di diametro Φ< 3.5 cm nella posizione corrispondente all’ asse del diffusore, dove
nella seconda parte dell’ esperimento sarà montato il campione di alluminio per la misura della
sezione d’ urto. Fate una stima delle velocità di conteggio attese.
8) Utilizzando le scale CAEN misurate la velocità di conteggio per le coincidenze
ETICHETTATORE-DIFFUSORE, disconnetendo dalla Logic Unit il RIVELATORE e
selezionando la FOLD=2. Registrate uno spettro corrispondente a questo tipo di coincidenza
ed interpretate i risultati ottenuti, confrontandoli con quanto atteso dalle considerazioni
geometriche.
9) Inserite nella Logic Unit il RIVELATORE e selezionate FOLD=3. Tramite le scale CAEN
misurate le velocità di conteggio delle coincidenze triple per le diverse posizioni angolari del
rivelatore. Sulla base delle velocità di conteggio scegliete gli angoli da misurare ed il tempo di
misura per ciascuna posizione, tenendo in conto che avete a disposizione anche una notte per
acquisire uno spettro ad alta statistica.
22
ESPERIMENTO COMPTON
SET UP DEI RIVELATORI#3
Gruppo...........
Padova..........................
ETICHETTATORE
Width segnale delayed CFTD:..........................ns
Rate.................................c/s
DIFFUSORE
Width segnale delayed CFTD:..........................ns
Rate.................................c/s
RIVELATORE
Width segnale delayed CFTD:..........................ns
Rate.................................c/s
D1: distanza sorgente-ETICHETTATORE...............cm
D2 distanza sorgente-DIFFUSORE...........................cm
D3 distanza DIFFUSORE-RIVELATORE................cm
Angolo rivelatore............................................
Rate Coincidenze 2-fold:…………………c/s
Rate Coincidenze 3-fold:…………………c/s
23
5.4
Seconda -Terza sessione: presa dati prima parte.
Per ogni posizione angolare che avete deciso di misurare, utilizzate il log file allegato. Cercate di
organizzare le misure in maniera da fare subito una misura ad un angolo intorno a 90o che vi
permetta di verificare se l’ apparato funziona correttamente. La misura dell’ angolo più all’ indietro
può essere lasciata acquisire durante la notte tra il secondo e terzo giorno.
5.5
Terza sessione: misura della sezione d’urto Compton.
Fate smontare dall’assistente di laboratorio il rivelatore DIFFUSORE.
La misura assoluta della sezione d’ urto di scattering Compton si ottiene dalla relazione:
[dσ(Θ f)/dΩ]
exp
= Σ /( ε Ν ΔΩ f I/S)
γ
dove:
Σ è il numero degli eventi nel picco di full energy nello spettro dei fotoni scatterati
ε è l’ efficenza di fotopicco per l’ energia dei fotoni scatterati
N è il numero degli elettroni nel campione di Al (N= volume x densità x N Avogadro x Z / peso
atomico)
ΔΩ f è l’ angolo solido sotteso dal RIVELATORE
I/S è il numero dei fotoni incidenti sul campione per unità di superficie .
γ
La misura dell’efficienza ε per l’ energia di 511 keV può essere ottenuta in maniera semplice.
Posizionate il RIVELATORE a 0 gradi a contatto con il blocco sorgente in modo tale da essere
sicuri che tutto il fascio etichettato sia entro la sua accettanza angolare. Usate come Master Gate
dell’acquisizione la coincidenza tra l’ ETICHETTATORE ed il RIVELATORE. Registrate lo
spettro dell’ETICHETTATORE e del RIVELATORE ottenuto in queste condizioni. Dagli spettri
gamma registrati ottenete il numero totale degli eventi nello spettro dell’ETICHETTATORE (Ntot )
e quello degli eventi nel picco da 511 keV del RIVELATORE (N1) con fondo sottratto, come da
Fig. 3.15. Se ora assumete che, a causa della correlazione spaziale dei due fotoni, per ogni fotone
registrato nell’ETICHETTATORE ve ne è stato uno nel RIVELATORE, l’ efficienza di full-energy
a 511 keV del RIVELATORE sarà quindi:
ε(511 keV)= N1 / Ntot
Tipici valori di efficienza di full-energy di uno scintillatore NaI(Tl) come quello utilizzato sono
nell’ intervallo 50-60 %.
Montate ora il campione di alluminio. Posizionate il rivelatore ad un angolo all’ indietro e misurate
sulle scale CAEN il rate delle coincidenze (ETICHETTATORE-RIVELATORE, selezionale
fold=2). Sulla base della velocità di conteggio programmate le misura da fare. E’ consigliabile
comunque scegliere una posizione angolare all’indietro (circa 100-120 gradi) e per la posizione
angolare scelta di misurare anche un run di fondo, ottenuto misurando senza diffusore per un tempo
significativo.
24
Durante queste misure dovete registrare sulle scale CAEN il numero totale di eventi nell’
ETICHETTATORE mandando alle scale l’ uscita prompt del Constant Fraction. Indicheremo con
Nscale tale numero.
Per derivare la sezione d’ urto occorre stimare quanti sono i fotoni da 511 keV che hanno colpito il
campione. Nel caso di un fasci di fotoni “etichettato” come nel presente esperimento, tale numero
puo’ essere ottenuto direttamente. Infatti se Nscale indica il numero totale di eventi nell’
ETICHETTATORE, Nscale x F(511) rappresenta il numero di fotoni da 511 keV che hanno colpito l’
ETICHETTATORE e sono stati processati nell’ elettronica. Quindi anche il numero dei fotoni che
hanno colpito il campione di Alluminio generando un trigger nell’ etichettatore utile per la
coincidenza sarà:
I = Nscale x F(511)
Poiché stiamo considerando in I solo i fotoni che hanno prodotto un fotopicco nell’
ETICHETTATORE, in fase di analisi dei dati si dovrà imporre questa condizione anche nel
determinare il numero degli eventi nel RIVELATORE.
Registrate per ogni misura i dati sull’apposito log-file.
25
ESPERIMENTO#1
STUDIO DELLO SCATTERING COMPTON
LOG FILE PARTE I
GRUPPO ................
Padova,............................
ETICHETTATORE
HV=..............Volt
Gain Amplifier= CG............FG...............
RATE:..................c/s
Gain Amplifier= CG............FG...............
RATE:..................c/s
Gain Amplifier= CG............FG...............
RATE:..................c/s
DIFFUSORE
HV=..............Volt
RIVELATORE
HV=..............Volt
MASTER TRIGGER ACQUISIZIONE:……………………………..RATE……………c/s
ANGOLO RIVELATORE:………………..
DISTANZE
D1=……………..
D2=……………..
TEMPO ACQUISIZIONE:
Start…………….
Stop…………………
Note
26
D3=……………..
Allegate Spettri
ESPERIMENTO#1
STUDIO DELLO SCATTERING COMPTON
LOG FILE PARTE II: MISURA DELLA SEZIONE D’ URTO
GRUPPO ................
Padova,............................
ETICHETTATORE
HV=..............Volt
Gain Amplifier= CG............FG...............
RATE:..................c/s
Gain Amplifier= CG............FG...............
RATE:..................c/s
RIVELATORE
HV=..............Volt
MASTER TRIGGER ACQUISIZIONE:……………………………..RATE……………c/s
DIFFUSORE: Cilindro di Al di dimensioni……………………
ANGOLO RIVELATORE:………………..
DISTANZE
D1=……………..
D2=……………..
TEMPO DI ACQUISIZIONE:
Start…………….
Stop…………………
Scale CAEN……………………………………………
Note
Allegate spettri
27
D3=……………..
6. Suggerimenti per l’ analisi dati.
Misura dell’ energia del fotone diffuso
1) Convertire i file con gli eventi per ottenere dei ROOTFILES se avete acquisito come files
PJMCA. ( Se avete registrato i dati come files ROOT questo non è necessario)
2) Calibrate gli spettri gamma e determinate le posizioni dei picchi dell’impulsatore
3) Definite le condizioni per accettare un evento relativamente all’ energia del fotone rivelato
nel ETICHETTATORE ponendo una finestra stretta intorno al full energy peak del fotone
da 511 keV.
4) Definite le condizioni per accettare un evento relativamente all’ energia dell’ elettrone
rivelato nello scatteratore.
5) Gli eventi che soddifano l’AND delle condizioni 3) e 4) definiscono per ogni file il numero
dei fotoni diffusi.
6) Utilizzando le condizioni 3) e 4) per ogni posizione angolare ottenete lo spettro di energia
del fotone diffuso.
7) Costruite una tabella in cui riportate: Angolo del diffusore, numero totale degli eventi
diffusi, energia media dei fotoni rivelati del RIVELATORE (valore di full-energy peak),
energia media degli elettroni rivelati nel DIFFUSORE. Riportate anche le posizioni dei
picchi dell’ impulsatore per le misure relative ad ogni angolo
INTERPRETATE I DATI OTTENUTI CONFRONTANDOLI CON LE PREVISIONI
TEORICHE SIA PER IL FOTONE DIFFUSO (RIVELATORE) SIA PER L’ ELETTRONE
(DIFFUSORE). VERIFICATE LA CONSERVAZIONE DELL’ ENERGIA.
Verificate la possibilità di definire per ciascun evento direttamente l’ energia somma
(DIFFUSORE+ RIVELATORE) e verificare la conservazione dell’ energia direttamente da
questo spettro.
La sezione d’urto dello scattering Compton (Fig.2) ha una forte dipendenza dall’ angolo per
angoli piccoli. Verificate che, data l’accettanza angolare del vostro apparato, l’angolo del
goniometro fornisca una buona stima dell’angolo medio ottenuto pesando sulla sezione d’ urto.
Costruite lo spettro bidimensionale DIFFUSORE-RIVELATORE. Cosa potete imparare da
questa distribuzione ?
Misura della sezione d’ urto Compton
1) Convertire i file con gli eventi per ottenere dei ROOTFILES se avete acquisito come files
PJMCA.
2) Calibrate gli spettri gamma e determinate le posizioni dei picchi dell’ impulsatore
3) Definite le condizioni per accettare un evento relativamente all’ energia del fotone rivelato
nel ETICHETTATORE ponendo una finestra larga nella regione degli eventi associati al
fotone da 511 keV (vedi Fig. 3.13).
4) Gli eventi che soddifano la condizione 3) definiscono per ogni file il numero dei fotoni
diffusi. Ottenete lo spettro di energia del fotone diffuso e determinate gli eventi i picco di
full-energy
5) Analizzate il run di fondo.
DETERMINATE IL VALORE DELLA SEZIONE D’ URTO CONFRONTANDO I DATI
OTTENUTI CON LE PREVISIONI TEORICHE ED I VALORI DI RIFERIMENTO.
28