Millimetri - Il Saggiatore

Milo De Angelis
Millimetri
Postfazione di
Aldo Nove e Giuseppe Genna
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@ il Saggiatore S.p.A., Milano 2013
millimetri
l’opera – Se la poesia è una svolta del respiro, Millimetri
inanella ventinove bolle di ossigeno. Dopo la scomparsa
di Andrea Zanzotto e Franco Fortini, Milo De Angelis è
una delle voci più importanti della poesia contemporanea italiana e, dal 1983, Millimetri una pietra miliare con
la quale si confrontano e misurano tutte le generazioni
successive di poeti. La capacità di entrare in immagini
abissali, l’indeterminato senso della perdita, il suo inclinare verso l’astrazione, la costruzione di scene e situazioni quotidiane che ascendono a un’immobilità metafisica
sono le cifre fondamentali dei versi di De Angelis, che
sfiorano i vertici del capolavoro e producono emozione
con la fermezza d’accenti e l’intensità dei grandi classici contemporanei. Testo non coscritto né costretto in un coerente e
omogeneo flusso di significati, immagini, esperienze e
provocazioni, Millimetri è totalmente costruito su dati inconfutabili e non verificabili, disarmonie nelle quali si dà
una scena assoluta del vivere: in questi versi le cose si
presentano nella loro gratuità, durezza e imperscrutabilità, senza il filtro di nessun racconto, di nessuna biografia,
di nessun dramma psicologico che le possa addomesticare. Il rigore estremo è l’unica forma di bellezza concessa. E la consapevolezza dell’impossibilità per l’uomo
del ritorno al principio, di chiudere quindi perfettamente in cerchio del destino, è un «silenzio frontale» contro
il quale l’uomo resta annientato: il cerchio resta aperto di
pochi millimetri, spazio materiale e mentale incolmabile
che rende all’uomo la sua impossibilità a essere infinito.
Le parole oscure ma necessarie, il loro perturbamento dell’ordinario e il sovvertimento silenzioso della tra-
dizione da esse provocato stravolsero i lettori che, nel
1983, fecero l’esperienza di Millimetri, imbattendosi in
un mondo incomprensibile, sperimentando un campo di
forze totalmente nuovo, di cui avevano ancestralmente
memoria; ne parlano Aldo Nove e Giuseppe Genna nella Postfazione, adolescenti che vissero lo shock dei versi
in cui inaspettatamente riconoscersi, letti e divorati sul
pullman che li portava a scuola, ad alta voce.
Oggi, questi ventinove componimenti, riproposti nella collana Le Silerchie continuano a riempire di meraviglia, stupendo ancora per la sapienza originaria della
nostra civiltà mescolata alla spaventosa contemporaneità dell’epoca odierna.
l’autore – Milo De Angelis è nato nel 1951 a Milano,
dove insegna in un carcere. Ha pubblicato Somiglianze
(Guanda, 1976); Millimetri (Einaudi, 1983); Terra del viso
(Mondadori, 1985); Distante un padre (Mondadori, 1989);
Biografia sommaria (Mondadori, 1999); Tema dell’addio
(Mondadori, 2005), Quell’andarsene nel buio dei cortili
(Mondadori, 2010). Ha scritto un racconto fantastico
(La corsa dei mantelli, Guanda, 1979, ristampato da
Marcos y Marcos nel 2011) e un volume di saggi (Poesia
e destino, Cappelli, 1982). Ha tradotto dal francese e dalle
lingue classiche: Racine, Baudelaire, Blanchot, Eschilo,
Lucrezio. Nel 2008, presso La Vita Felice, è uscito Colloqui
sulla poesia, dove appaiono le sue principali interviste,
a cura di Isabella Vincentini. Nello stesso anno, viene
pubblicato un volume che raccoglie tutta la sua opera in
versi (Poesie, Oscar Mondadori, a cura di Eraldo Affinati).
I bastoni
I bastoni
hanno frantumato l’ultimo secchio
e ora il villaggio fa
silenzio
nella corte marziale. Ecco
l’inchiostro, tra una moltitudine
di assetati in orario,
un cognome:
tutte le uova molli
giungeranno
per forza o per disprezzo
e quel
faraone darà la staffilata
che ancora oggi ferisce
e le fa terrestri.
Chi genera il tempo
ha il volto arato e con pazienza ripete
che noi ubbidiamo.
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Ora c’è la disadorna
Ora c’è la disadorna
e si compiono gli anni, a manciate,
con ingegno di forbici e
una boria che accosta
al gas la bocca
dura fino alla sua spina
dove crede
oppure i morti arrancano verso un campo
che ha la testa cava
e le miriadi
si gettano nel battesimo
per un soffio.
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Nati sulla terra
Nati sulla terra
che rimane
siamo stati quel giubilo mozzafiato
appena le menti giunsero
in groppa a un canarino
ed espugnarono. Una
condottiera
è avvitata al nostro fianco, custode
delle tabelle, una fiocina
nel mondo mediterraneo, tra le uova.
Non hai voluto spartire
il bottino e dunque
mi hai per sempre
perché non c’era altro
che la pura vittoria. Poi
getteremo la nostra preda
ai gatti: loro sapranno
come annientarla!
Ecco la pagina di quarzo
nell’agenda, quando
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ogni uomo viene raso al suolo
e ricorda. Le pigne gremiscono
questo cortile
fedele ai suoi metri: lo stesso albero
della porta
che è perenne per chi la scorge
eppure è aria, soltanto aria. Ha una severezza
e un guardiano ancora attento. Questi
sono stati i numeri.
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Quando mordono
Quando mordono
c’è una folata sola dai compiti
delle vacanze fino all’acqua santa
e non si può gettarla: chi ha
sete beva. Ugualmente
nel fuggi fuggi
un drappello sta alla porta e picchia
a ogni farmacia notturna per
mangiare lampi e frazioni, ugualmente,
lì senza più costume…
i bagnini morti…
si fa buio su tutto il tavolo
a volte si fa orrore e pattume
a volte invece si crede ed è pomeriggio:
il chinino allagava
un intero continente
allora e sempre
nelle femmine che
non gettano mai la spugna.
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Per voi che
Per voi che
chiudete questa voce
le spighe giungono, terribilmente presto,
e tutte hanno un collo
da poche lire sotto la cesoia,
una benedizione proprio a loro;
a loro e all’universo. Solenni,
fracassati in ogni muscolo,
lanciano il trattore, l’enorme triangolo
dove agosto si accampa
e vive di fichi
e tutti sono in preda,
stretti fino al proprio ferro: una
calma tropicale, una vigilia.
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