Anno XI - Numero 130- Aprile 2014 cittàviva.com URBAN SECURITY Anno XI Numero 130 pag. 2 Editoriale URBAN SECURITY: avanguardia della tecnologia ed alta professionalita’ nel settore della vigilanza privata Nel giugno del 2011 la soc. coop. ar.l. “Urban Security” riceveva licenza prefettizia per l’espletamento del servizio di vigilanza privata, tra gli altri, nel comune di Apricena. L’Istituto di vigilanza opera sotto la direzione del sig. Antonio Caso, che ha maturato svariati anni di esperienza nel settore, avendo prestato servizio quale guardia giurata particolare. Da tutti conosciuta come la “Vigilanza di Apricena”, l’Urban Security annovera oltre venti dipendenti altamente qualificati nel settore, molti dei quali di giovane età. L’avanguardia, che caratterizza l’Istituto, la si coglie già nell’organizzazione sociale, che prevede – unica nel settore – la presenza di un manager della sicurezza aziendale, nella persona del sig. Aldo Caso. Un’ampia ed attrezzatissima sala operativa, efficiente 24 ore su 24, rappresenta il giusto corollario alla professionalità che contraddistingue l’attività dell’Urban Security, che gode delle certificazioni di qualità UNI – EN – ISO 9001:2008 ed UNI 10891:2000. Fra i servizi altamente tecnologici che l’Istituto offre spicca la videosorveglianza, che consente una gestione attraverso la sala operativa delle immagini continue, provenienti da impianti installati nei siti sorvegliati. Personale presente in sala operativa senza sosta monitora le videoregistrazioni e, in caso di intrusioni ovvero danneggiamenti nell’ambito del sito protetto, l’operatore in centrale segnala prontamente l’accaduto alla pattuglia, che immediatamente interviene in loco. L’Urban Security offre il servizio antirapina attraverso la vigilanza interna ed esterna di istituti di credito ovvero uffici postali. Anche in questo caso, il personale operante durante il servizio antirapina è costantemente in contatto con la centrale operativa. Il servizio di pattugliamento cittadino e aziendale è l’attività tipica dell’Istituto di vigilanza, svolto mediante una serie di “passaggi” durante fasce orarie al fine di prevenire eventi delittuosi. Tale servizio è svolto mediante autopattuglie collegate con Avv. Fabio Carbone la centrale operativa. Particolarmente indicato per esercizi commerciali ed istituti di credito, è il servizio di vigilanza fissa, effettuato dall’Urban Security attraverso il piantonamento interno e/o esterno del sito protetto da parte di una o più guardie giurate, secondo la sensibilità dell’esercizio ovvero dell’istituto, al fine di prevenire azioni delittuose, quali furti e rapine. Esso viene espletato attraverso la vigilanza armata del sito, un presidio fisso di assistenza clienti, controllo in entrata ed uscita. Ogni anomalia ovvero evento delittuoso vengono segnalati alla centrale operativa ed alle Forze dell’Ordine per le dovute procedure d’intervento. Tutto ciò, in ossequio al Regolamento di Servizio approvato dalla Questura. Ulteriore servizio di vigilanza, contraddistinto da un’alta tecnologia degli impianti di sorveglianza, è rappresentato dal sistema di radio allarme, installato nei siti protetti, al fine di prevenire furti, rapine ovvero danneggiamenti. Nella fattispecie, un segnalatore, installato nel sito monitorato, in caso di tentativo di effrazione ovvero di ingresso abusivo, segnala immediatamente alla centrale operativa l’anomalia. L’operatore in centrale comunica prontamente alla pattuglia la segnalazione d’allarme e la provenienza dello stesso, invitando la pattuglia a dirigersi prontamente sul posto al fine di riscontrare la segnalazione. L’ispezione della pattuglia, in questo caso, è sia esterna che interna al sito, accertandosi delle condizioni del luogo. In caso di esito positivo, la pattuglia è immediatamente coadiuvata da rinforzi ed il tutto viene prontamente segnalato alle Forze dell’Ordine per gli opportuni interventi. I servizi offerti dall’Istituto di vigilanza Urban Security si estendono anche all’antitaccheggio, al controllo di accessi, al portierato, alla security per eventi. Fiore all’occhiello la sua affiliazione all’U.N.I.V. – Federsicurezza, il sindacato nazionale degli istituti di vigilanza, avendo, peraltro, partecipato con una delegazione all’ultimo congresso nazionale. Consulente legale dell’Urban Security è l’avv.Fabio Carbone, che recentemente ha ottenuto una prestigiosa vittoria dinanzi al T.A.R. Puglia – sede di Bari – in difesa dell’Istituto di vigilanza Urban Security. Professionalità rino- mata del personale dipendente ed alta tecnologia degli impianti di sicurezza e di sorveglianza rappresentano la diade dei valori che ispirano l’operato dell’Urban Security. Fregiandosi di questi requisiti notori, l’Urban Security è al servizio di commercianti, di imprenditori, di istituti di credito, di enti pubblici, assicurando la propria costante presenza in tutto il territorio di Apricena e comuni viciniori a tutela dell’intera collettività, offrendo l’avanguardia dei servizi di vigilanza per garantire la massima sicurezza di privati ed aziende. cittàviva.com SEBASTIANO MUTI EDITORE Via Pozzo Salso, 66 - 71011 Apricena TELEFONO 0882.642380 E-MAIL [email protected] SITO cittàviva.com Periodico mensile Registrazione del Tribunale di Lucera N. 118 del 25/06/2004 DIRETTORE RESPONSABILE Sebastiano MUTI WEBMASTER NWI produzioni GRAFICA E IMPAGINAZIONE Maria Libera Testa STAMPA ELIOTECNICA TIPOGRAFICA snc Torremaggiore Zona Ind. Via Luigi Grassi 24 0882 393085 - [email protected] COMITATO DI REDAZIONE Alberto Galante, Peppino Bonfitto, Lillino Tantimonaco, Giuseppe L. Matera, Francesca Mobilio, Giuseppe Bonfitto, Nicky Violano, Guendalina Di Nunzio, Arnold La Porta. HANNO COLLABORATO FIDAPA, Leonarda Napolitano, Alessandro Muti, Maria Leonarda Milone, Fabio Carbone, Emma Papa, Antonio Fernando Lombardi, Aurelio Carraturo, Dott. Felice Clima, Alessandra Muti, Antonio Monte da Milano REDAZIONE CITTÀVIVA Via Pozzo Salso, 66 - 71011 Apricena (Italy) Tiratura 300 copie Chiuso in stampa il 4 aprile 2014 Attualità I LIONS E L’ISTITUTO TORELLI-FIORITTI di Alessandro Muti ““Sono trascorsi molti anni dall’inizio della collaborazione fattiva tra i Lions Club di San Marco in Lamis e la scuola secondaria di I grado “Fioritti”- culminata con il concorso “Un poster per la Pace”- così ha precisato l’ex Preside, professor Arduino Albanese, chiamato sul palco del teatro “Matteo Salvatore”dall’attuale Dirigente scolastica, prof.ssa Maria Grazia Nargiso”” . Martedì, 25 Marzo, alle ore 17:30, il past presidente dei Lions Club, prof.ssa Emma Papa, ha consegnato alla Dirigente Scolastica, Maria Grazia Nargiso, lo Stendardo, simbolo del nuovo percorso che lega la Elementari e le Medie in un’unica realtà denominata “Istituto Comprensivo”. “Un percorso -ha ribadito, la prof.ssa Nargiso- consolidato dai legami di una proficua collaborazione tra i due Istituti, che hanno intrapreso impegni ed obiettivi comuni e che i Lions hanno voluto sottolineare, con il loro gradito omaggio”. Senza dubbio è stata una cerimonia importante quella di martedì, che ha ufficializzato il percorso tra le due Scuole, allietata dal coro delle voci bianche composto da sessantaquattro alunni delle Elemen- tari magistralmente guidato dall’insegnante di musica, dott.ssa Rosanna Pasqua. Quest’ultimi, in una sala gremita di gente, hanno intonato l’Inno Nazionale ed hanno proseguito, interpretando altre arie, una delle quali richiesta a gran voce come “Bis”. Ha fatto seguito il Concerto degli alunni della scuola media, che hanno suonato la nona sinfonia di Beethoven ed altre musiche, dimostrando una buona padronanza dell’utilizzo dei loro strumenti musicali (violino, chitarra, piano- forte, flauto) e una buona preparazione musicale, merito da attribuire agli insegnanti, Carlo Tricarico, Antonella Cirelli, Eva Longo e Raffaele Contessa. La manifestazione è stata realizzata con il patrocinio del Comune di Apricena, ma va dato il merito ai Lions Club di San Marco in Lamis l’impegno e la sensibilità dimostrati verso la scuola di Apricena, che sicuramente continueranno nel futuro con altrettanti iniziative, frutto di Stima reciproca che li lega da anni. Anno XI Numero 130 pag. 3 VECCHI “SCARTI” nostalgia di un evento di Niky Violano Dieci anni dalla terza edizione di Scarti. Sono lontani gli anni del fervore culturale con cui era animata la città di Apricena.“Scarti, sono tutti quei materiali che per varie ragioni non sono più utilizzati e messi da parte, spesso abbandonati al degrado e all’incuria del tempo che li trasforma in rifiuti; residui di una società in continua trasformazione”. Questo il principio con cui sono stati concepiti gli allestimenti degli spazi coinvolti nella manifestazione. Oggetti della quotidianità legata alle macchine, all’uomo, alla natura, in spazi che si sostituiscono a esposizioni formali da museo, nessuna innovazione tecnologica, solo idee. Le installazioni, in ogni occasione, accompagnano dall’esterno all’interno il visitatore, introducendolo nella narrazione che lega il percorso alle soste. Tra gli scenari vi sono un vecchio macello pubblico situato nel perimetro della città, la cui dismissione dei locali con le sue macchine e margine sono i punti chiave per far rientrare il luogo tra le scelte, il mercato coperto, un vecchio casolare la cui facciata è stata riutilizzata in occasione dell’evento come un’enorme insegna, un ex-carcere mai utilizzato, grande vuoto urbano della città. Gli scarti della memoria, sono alcuni vestiti, delle scarpe; gli scarti della produzione, pietre, scogli, piccoli inerti, assi di legno, ferro, teli e vernice. Nella società degli scarti, abitare gli spazi dell’abbandono con il lavoro, con le residenze, con lo svago, oltrepassando la configurazione del “rifiuto” è una grande operazione, prima culturale, poi etica. Anno XI Numero 130 pag. 4 Attualità Cosa passa il convento? di Sebastiano Muti È alquanto magro il cibo che h a n n o offerto. Voglio intendere che non h a n n o avuto l’intelligenza di capire che non erano all’altezza e non potevano dare più di quanto potessero, cioè poco o nulla. È stato imbarazzante ascoltarli quando presentavano i loro programmi che sapevano non sarebbero mai stati realizzati. Noi, italiani di buona fede, in loro abbiamo creduto per decenni, sperando che dessero segnali di ravvedimento. I politici nostrani, però, ci rappresentano, perché appartengono al nostro mondo costruito sulla facile cultura, sulla raccomandazione, mettendo sullo stesso piano persone degne e non, a scapito del merito e della professionalità. La nostra Italia sta annegando, facendo emergere l’arroganza e la loro ignavia, mettendo alla disperazione il mondo culturale, produttivo e operaio che aspirano ad un sano ed intelligente “Cambio di Rotta”. Oggi, 14 febbraio, abbiamo alla ribalta delle cronache politiche del teatro nazionale due signori: il segretario nazionale del PD, Matteo Renzi, Sindaco di Firenze e l’ormai ex primo ministro, Enrico Letta, anch’egli del PD. Sono due giovani di diverso temperamento e differente modo di affrontare i problemi: il primo, Renzi, è pieno di energia, è un toscanaccio in senso buono, dotato di sana e furbesca ironia, pieno di iniziative e non omologato. Il secondo, Letta, è pacioccone, più votato all’ascetismo e alla contemplazione che all’azione. Poca cosa in questi tempi in cui ci vogliono coraggio, immediatezza decisionale e azioni per risollevare le sorti d’Italia che sono state compromesse anche a causa della provvisorietà dei tanti governi che si sono avvicendati , nati solo per galleggiare e conservare i privilegi, ma non per governare e fare le dovute riforme. Letta ha ceduto le armi, sia pure con ritrosia e rammarico ed ha lasciato libero spazio a Renzi che si accinge a tentare l’avventura del Governo. Quest’ultimo ha coraggio da vendere e bisogna riconoscergli la forza di volontà e questa sua consapevole incoscienza, che lo costringeranno a dare e fare quello che non è stato dato e fatto in questi più di sessanta anni di Repubblica Parlamentare, in cui due Camere (Senato e Camera dei Deputati) hanno rallentato e offeso l’economia, vilipeso la Cultura e privilegiato i mediocri . Se riesce a riportare l’Italia in sicurezza, risolvendo i problemi, ridando l’orgoglio perso in campo internazionale, tutto sarà facile per lui. Dovrà combattere, dovrà spronare e agire. Non importa se il suo Governo che verrà non è stato votato dagli italiani e il suo predecessore è stato sfiduciato al di fuori del parlamento. Sono passaggi che fanno perdere tempo nell’attuale momento storico e sono espedienti che i partiti pongono per dare una giustificazione alle loro carenze di idee e per nascondere le loro responsabilità. Agli italiani importa il risultato (lavoro, economia, scuola, grandi opere, famiglia, sicurezza e ricerca) e se Renzi che non è parlamentare, ma Sindaco di Firenze lo raggiunge, avremmo qualcosa da ridire? Sta ora a Berlusconi (anch’egli grande innovatore e politico anomalo) e a Forza Italia, suo partito di riferimento, prendere l’iniziativa e rincorrere la velocità che impone questo giovane trentanovenne, che non lo nasconde ipocritamente, conferma di essere arrivista. Del resto, chi non lo è, entrando in politica? Se dimostra capacità e ottiene i risultati, allora chi se ne frega!!! Ebbene, Renzi e tutto il PD ci mettono la faccia e l’onore in questa avventura. Vediamoli all’opera. Sarà una bella partita e mi scuso con il movimento “Cinque Stelle”, che non ha dove andare, facendo del suo cavallo di battaglia, la giusta Protesta, un motivo di legittimazione popolare che non merita di avere, perché ovvia e non originale. Ma, il “Convento” non ha più risorse e bisogna mutare atteggiamento, adottare provvedimenti sia pure in contrasto al dettato della Comunità Europea. Si dice a gran voce, che la nostra bella Nazione ha perso la sua sovranità e che ci comandano la Bce e la Merkel, di teutonica schiatta. È ora di invertire la rotta e di allontanare questi sospetti. Se Renzi ci riesce e ci ridà dignità, mettendoci la FACCIA, ben venga e… W il re! P.S L’articolo sopra riportato (nelle ultime righe è deliberatamente provocatorio) è stato pubblicato su Facebook (Città Viva Apricena e Dintorni) ed ha consentito a molti di fare le loro valutazioni e di esprimere le loro idee, anche dissentendo da quanto da me espresso (in modo provocatorio, lo ammetto). Sono dell’avviso che il giornale debba dare opportunità di civile dialogo e discussione, che debba essere stimolante, che arricchisca ed informi. Vorrei anche ricordare che dal 1994 ad oggi, ci sono stati sei (il sesto sarebbe Renzi) Presidenti di Consiglio che non hanno avuto mandato popolare, ma che sono stati nominati previo accordi politici (di palazzo). Nulla di incostituzionale, ma evidentemente tale pratica è diventata una regola. Come fare per evitarla? Ci necessita una legge elettorale che dia una maggioranza parlamentare alla coalizione che esce vincente dalle urne e che consenta al leader di poter governare per cinque anni, salvo ritornare alle elezioni se il Governo viene sfiduciato nel corso d’opera (qui ci vuole anche una norma costituzionale che modifichi la precedente). Di seguito elenco i nominativi dei sei che hanno sostituito gli eletti dal popolo: • 1995-Berlusconi fu sostituito da Dini; • 1998/2001- Prodi fu sostituito da D’Alema e poi da Amato; • 2011- Berlusconi fu sostituito da Monti; • 2013- Bersani fu sostituito da Letta e poi da Renzi. Attualità Anno XI Numero 130 pag. 5 BUONA PASQUA (Buon Passaggio a Nuova Vita) “Per il Cristianesimo la festività della Santa Pasqua sta a indicare il passaggio dalla Morte alla Vita di Gesù nostro Signore e per tutti noi cristiani il passaggio alla nuova Vita”. La Redazione augura a tutti i cittadini quel passaggio alla Vita Nuova di cui la Città di Apricena necessita. È importante che si instauri un clima di pacificazione e di concordia, in cui le idee vengono rispettate e la calunnia, le cattiverie e le offese sono bandite dai nostri cuori. Se ci sentiamo veramente figli di Cristo, la Santa Pasqua deve rappresentare la Sua, ma anche la nostra Resurrezione, quella vera, che ci libera dal peccato e porta Serenità. Anno XI Numero 130 pag. 6 Attualità PRONTI AL GRANDE SALTO…IN RETE La Redazione Ci siamo, mancava ancora qualche dettaglio, ma ci siamo. Il nuovo portale di Città Viva è online. Un occhio nuovo su Apricena (e non solo). Diverso, ma al tempo stesso coerente con la nostra storia. Un angolo nella rete che, con la stessa apertura che da sempre caratterizza la nostra testata, darà spazio a tutte le voci della nostra città. L’obiettivo è importante. Il progetto è ambizioso. Sì, perché CittàViva è da anni la voce di Apricena e dintorni, con un occhio di riguardo alla realtà di Altavilla Vicentina, città con noi gemellata per il legame con Johannes de Precina. Questo “allargamento”, però, vuole segnare un passo in più. Una crescita di un giornale che, su internet, dovrà necessariamente svolgere una funzione diversa. Rispetto al giornale tradizionale sarà speculare e al tempo stesso complementare. Perché “Città Viva”, nella sua versione cartacea, può vivere (si fa per dire) “sonni tranquilli” e arrivare comunque in casa del lettore, puntuale, una volta al mese. “cittàviva. com” (questo l’indirizzo del portale) darà la possibilità a redattori e collaboratori di essere realmente, per dirla con Umberto Eco “gli storici dell’istante”. Di un istante che non è più diluito in trenta giorni. Ma è li, sempre aperto e a portata di clic. Naturalmente “cittàviva.com” sarà calibrato alla realtà locale che viviamo. Certo, uno sguardo al “villaggio globale” verrà dato. Ma l’attenzione sarà massima sul nostro territorio e Città Viva, grazie anche alla nascente associazione di promozione omonima, vuole svolgere anche questo importante compito. Farci conoscere il più possibile agli occhi del mondo, finalmente, per qualcosa di positivo. Sul portale, infatti, troveranno ampio spazio la Cultura, la Musica, lo Sport. Oltre ai temi dell’attualità e dell’approfondimento. La multimedialità e internet ci danno ampie possibilità. Una squadra di persone competenti anche in questo settore daranno una ulteriore spinta. Insomma, di carne a cuocere ce n’è tanta. E la legna non manca. Vi aspettiamo…anche in rete P.S. Come hanno notato gli abituali lettori del giornale, i Comunicati Stampa provenienti dai singoli partiti, coalizioni di più partiti, sindacati e quant’altro non sono stati pubblicati nell’edizione di Marzo. Infatti a partire dal citato mese essi saranno visibili solo ed unicamente sul portale di Città Viva, all’indirizzo elettronico “città viva.com”. “Il più bel goal della vita è la solidarietà” di Sebastiano Muti Il titolo ha il sapore di quella genuina e antica “pietanza”, condita di buonsenso, che le nostre nonne cucinavano con la loro sapiente saggezza e matura conoscenza della vicende umane”. Può sembrare uno slogan scritto ad arte per attirare la nostra distratta attenzione e non riflettere più di tanto: “Il più bel goal della vita è la solidarietà”. Così non è oggi, ma la Solidarietà può e deve ritornare ad essere uno stile di vita per tutti, con il quale riprendere il facile dialogo, il reciproco sostegno senza chiedere nulla in cambio. Lo slogan degli “Amici dello Sport” , che hanno costituto un’associazione “Onlus”, ci invita a dare un senso alla nostra contemporanea quotidianità ed arricchirla di quei sapori genuini, profumati, che devono essere riscoperti e ripresi dalla nostra generazione individualista ed egoista. I giovani dell’associazione, attraverso lo Sport che praticano con passione, sono la nuova testimonianza a cui affidare la responsabilità di tramandare il Valore del ri- spetto, della condivisione verso i nostri simili che soffrono, il piacere del dialogo, la ricerca e l’affermazione dell’amicizia sincera, nonché la difesa del territorio, giornalmente violentato dall’insipienza umana. Il tema della mostra fotografica di via Roma, organizzata dal 28 al 30 marzo dal titolo “Colori della Natura” è pertanto un inno della Natura che trionfa sulla barbarie, una volontà di riscatto dopo l’abbandono in cui i colori, i tramonti, il mare, gli alberi ed i fiori diventano protagonisti e si liberano dal giogo della schiavitù a cui sono stati sottoposti. Sport e Natura sono uniti in un’unica impresa, quella della genuinità e della difesa dei diritti inalienabili di tutti ad avere una vita degna. “Gli Amici dello Sport”, con i suoi ragazzi de- diti alle attività agonistiche in Apricena e gli autori delle riprese fotografiche, organizzatori della mostra, si battono da tempo, offrendo il loro impegno, gli uni con l’attività sportiva, gli altri con la loro determinazione, un piccolo contributo solidale e tangibile a coloro che non “possono”. Aiutiamoli a recuperare la nostra genuina ed antica pietanza della Solidarietà, quella che possedevano le nostre nonne, i nostri anziani, senza pretendere niente, ma con sincera amicizia! Anno XI Numero 130 pag. 7 Attualità “E mentre gli italiani imitano Morfeo, altre rovine d'inestimabile valore crollano” di Guendalina Di Nunzio Italiani, popolo di poeti e sognatori e con l’arte nel sangue ... almeno a quanto si dice. Una delle molte cose che ho notato è una sorta di snobbismo nei confronti di qualsivoglia forma d’arte, a meno che non si tratti di graffiti. Persino all’università ho conosciuto pochissime persone che sono davvero interessate a quello che studiano. Infatti quando si nomina Monti tutti pensano al politico e non a quel poeta che scrisse “La mongolfiera” e tanti altri brani poetici. Molti non sanno neppure chi sia Goethe oppure quale sia l’opera più importante di Matteo Maria Boiardo e, quando la discussione si sposta sulle arti visive, la faccenda diventa ancora più tragicomica: comica perché il primo pensiero che ti passa nella mente è che il tuo interlocutore stia solo scherzando; tragica quando ti rendi conto che purtroppo non sta scherzando, che parla sul serio. Sono questi i casi in cui si punta il dito contro la scuola e gli insegnanti, tacciandoli di non fare il proprio lavoro. Questo nessuno di noi può saperlo; però, nello stesso tempo la scuola e gli insegnanti se la prendono con il ministero e il ministero se la prende con gli insegnanti. È una ruota che gira, scaricando barili a destra e manca e figlio conosca il valore inestimabile di che continuerà a girare fino a quando quelle rovine. Sembra strano, perché il nostro è ancora considerato il “Bel Paese” anche grazie a quelle rovine, ai quadri e alle opere architettoniche, alle sculture e agli esimi, illustri sconosciuti di oggi, ma famosi nella letteratura, nel mondo della scienza e della filosofia. Mentre noi dormiamo, imitando il semidio Morfeo imbottiti di realityshow scadenti e camomilla via endovena, pezzi della nostra storia scompaiono per sempre, dimenticando che anche la cultura può essere un business redditizio, soprattutto se accostata al buon cibo, all’aria respirabile i barili non saranno finiti e l’attenzione e al panorama mozzafiato delle nostre sul caso svanita. Eppure un briciolo di terre. responsabilità qualcuno lo dovrà pure avere, o meglio forse tutti avremo una responsabilità, basta guardare il ruolo marginale che i nostri preziosi beni artistici hanno nell’economia di questo Paese. Infatti a pochi o a nessuno importa che giorni fa a Pompei siano crollati gli ennesimi preziosissimi resti di Roma Antica a causa dei mancati restauri e per mancato finanziamento, così come nel piccolo, a nessun genitore importa accertarsi che il EMANUELA LOI di Francesca Mobilio «A Palermo non voglio più rimanere, è troppo pericoloso. Spero che presto mi facciano tornare in Sardegna». Queste erano le parole che spesso pronunciava Emanuela Loi quando si recava in licenza nel suo paese natio, Sestu, in provincia di Cagliari. Il padre giura di avergliele sentite pronunciare anche l’ultima volta che l’ha accompagnata all’aeroporto per fare ritorno a Palermo. Quella fu l’ultima volta che la vide. Il 19 luglio 1992 la strage di via d’Amelio uccide il giudice Borsellino e cinque uomini della scorta: tra questi Emanuela Loi, prima donna a far parte di un servizio di scorta e a morire mentre prestava servizio. Un’adolescenza serena, una ragazza gioiosa, un piccolo borgo che non offre molte possibilità di lavoro e il ripiego nelle forze armate: entra nella polizia nel 1989, segue un corso di addestramento a Genova e subito viene inserita a Palermo nei servizi di scorta. Il 19 luglio la mamma accende la televisione e capisce che è successo qualcosa di grave: subito dopo viene fatto il nome della figlia e da lì la sua vita e quella dei suoi familiari si spezzano. I mandanti della strage vennero individuati e condannati all’ergastolo. Ad Emanuela Loi e agli altri componenti della strage, è stata conferita la medaglia d’oro al valor civile. Anno XI Numero 130 pag. 8 Attualità IL VOTO DI SCAMBIO di Franco Ferrara Il voto di scambio si dice “legale” quando è frutto del clientelismo politico e consente di vedere soddisfatta una propria richiesta legittima in cambio del voto. Esempio: un campo destinato all’agricoltura che diventa edificabile a seguito della modifica del PGT fatta nel rispetto delle norme vigenti. In cambio il politico guadagna il consenso di quell’elettore. Il voto di scambio si dice “illegale” quando un politico offre in cambio del voto qualcosa che non è legittimato ad offrire. Esempio: un posto nell’Amministrazione pubblica attraverso un concorso pubblico truccato; oppure il condono di un abuso edilizio non condonabile; oppure il cambio della destinazione d’uso di un immobile in violazione alle norme del PGT. Il voto di scambio si dice che “non è reato” in Italia tranne per coloro i quali sono iscritti in una contestata attività di cui all’art 416 bis del codice penale italiano. Il voto di scambio è il voto mediato attraverso l’elettore corrotto che entra nel seggio elettorale, segna la scheda e la fotografa con il telefono cellulare o la fotocamera. Poi vani contratti di lavoro di tipo flessibile tanto da forzarli al voto in cambio della conferma del lavoro. Il voto di scambio è il voto mediato da organizzazioni mafiose per un politico che si candida alle elezioni comunali, provinciali, regionali o nazionali in cambio di assunzioni clientelari, di aggiudicazione di appalti pubblici ad imprese mafiose o di ottenere finanziamenti pubblici. Il voto di scambio è il voto mediato attraverso l’influenza che gli ambienti mafiosi esercitano su gran parte della popolazione per far confluire i voti su una determinata parte politica che con leggi o concessione di appalti per la costruzione di opere pubbliche favoriscono lo sviluppo delle attività mostra la fotografia al politico o chi per imprenditoriali della mafia nel settore lui che gli elargirà il favore richiesto. Il delle costruzioni e della finanza. voto di scambio è il voto mediato tra un elettore corrotto da qualche tornaconto Secondo voi il “Voto di scambio” ricevuto da un politico (o chi per lui) che si verificherà alle prossime elesi candida alle elezioni comunali, pro- zioni comunali di maggio 2014? vinciali, regionali o nazionali. Esempio, Buona riflessione ! il ricatto occupazionale: stipulare ai gio- ASPETTANDO MARMOMACC ad Apricena le università di tutta Italia di Niky Violano Marmomacc - Fiera Internazionale di Marmo, Design e Tecnologie, anno 2014. È Apricena lo sfondo del workshop organizzato con la Stone Academy, un’associazione che vede collaborare università, professionisti e istituzioni con lo scopo di ricercare, divulgare tramite la pietra. Tra gli enti promotori i comuni del comprensorio: Apricena, Lesina e Poggio Imperiale. L’università proponente è la “Gabriele d’Annunzio” di Chieti-Pescara, con i dipartimenti di Architettura e di InGeo. Nella prima metà di Aprile gli studenti di architettura, di design e di ingegneria delle università di tutta Italia lavoreranno proprio in questo contesto. Sono presenti Modena e Milano con il Politecnico, Ferrara, “La Sapienza” di Roma, L’Aquila, Matera e Pescara con la “G. d’Annunzio” e l’UED. Lo scopo di questo incontro, lungo una settimana, è la progettazione degli spazi tra la città di Apricena e le cave, l’utilizzo dei materiali di scarto come materia, la sistemazione e il recupero di alcune aree ex-estrattive dismesse. Il comparto lapideo, inoltre, sarà visitato dagli ospiti grazie ad alcune escursioni e con il contributo di alcune lezioni sarà reso soggetto di questa grande manifestazione confermandosi in un ruolo da protagonista. Come in questo caso, grandi idee hanno grandi effetti, a testimonianza del fatto che è possibile lavorare sull’idea di rendere le cave dismesse una nuova centralità. Anno XI Numero 130 pag. 9 Attualità RICOSTRUIAMO IL NOSTRO PASSATO CAMPAGNA DI RECUPERO di Alessandro Muti Nota: Si cercano sostenitori che aderiscano, quale primo impegno, alla campagna per il Recupero del Pozzo Salso e di una piccola parte del suo tratturo. Contattare : [email protected] POZZO SALSO OGGI Ecco cosa rimane del Pozzo Salso: un rudere. Mancano all’appello alcuni elementi utilizzati, di sicuro, per ornare il giardino di qualche casa di campagna, a dimostrazione dell’Amore verso il Territorio. Atto vandalico? Desiderio di conservazione e protezione? No! Solo ed unicamente “Aridità” e “Cupidigia”. “Il Pozzo Salso” di federiciana memoria, dove le greggi sostavano per abbeverarsi e gli uomini e le donne potevano riposare e socializzare, vuole essere restaurato e “grida per il dolore” dopo essere stato torturato già dagli anni cinquanta del secolo scorso. Non è il caso di ridargli dignità e di riportarlo all’antico splendore, come fecero i nostri anziani nel 1904? Ai signori che intendono amministrare questa città è mai venuto in mente di volerlo recuperare? Hanno previsto nel loro programma un restauro tra i non pochi “beni Culturali” che abbiamo, per tentare di iniziare a ricostruire una parte del nostro passato e lasciarlo in eredità ai nostri figli? Domande. Molte domande che chiedono una risposta. I nostri politici dimostrerebbero un tanto di sensibilità e rispetto verso ciò che ci è stato donato, abbandonato per lungo tempo al proprio destino, all’incuria degli elementi atmosferici, alla voracità umana. Ma noi della Redazione non restiamo inermi e ci appelliamo agli uomini e alle donne sensibili per reclamare ciò che è nostro “Diritto” avere. Alziamo insieme la nostra voce e pretendiamo quel rispetto che è mancato. Pretendiamo il restauro del Pozzo Salso. Inoltre, e non è poca cosa, si poteva immaginare di dover stravolgere o quasi annullare il tratturo (percorso) che portava a questa “Fonte” importantissima dove i nostri avi e le greggi si dissetavano? È stato fatto, sì, per imperizia e superficialità di tutti noi, che non abbiamo controllato. La strada che portava al Pozzo Salso, in realtà era un tratturo importante per la Transumanza delle greggi nei secoli passati. Ora, il suo percorso è stato modificato, la strada è stata asfaltata (non era meglio piastrellarla con la nostra pietra?) e divisa in due tronconi. Il primo troncone parte da via Luigi Galasso e, all’improvviso, come per incanto sparisce dopo il ponte che precede p.zza Dante Alighieri e via P. Nenni. Percorso sterrato che divide i due tronconi di via Pozzo Salso Il secondo troncone è da tutt’altra parte. Gentili lettori, si immagina che in questo groviglio ci sia stata sicuramente l’intelligente opera di ingegneri e/o architetti a confondere le “Acque” e CENSIMENSILE MARZO 2014 A cura di Lillino Tantimonaco Si ringrazia tutto il personale dell’Ufficio Anagrafe del Comune di Apricena per la preziosa collaborazione offerta MASCHI FEMMINE TOTALE NATI 6 4 10 DECEDUTI 2 7 9 IMMIGRATI ESTERO 3 3 6 IMMIGRATI ITALIANI 8 7 15 CANCELLATI (Emigrati) 7 3 10 TOTALE POPOLAZIONE 6.722 6.866 13.588 le “Idee”. Resta, però, un breve tratto di strada sterrata. È quello che costeggia la scuola media “Fioritti” che pur restando chiuso al traffico, potrebbe essere piastrellato, collegandolo idealmente con quel secondo troncone (la Regione Puglia sarebbe felice di stanziare i fondi). Non tutto è perso, dunque, e si può rimediare per recuperare il recuperabile. Resta da dire ai nostri politici che vogliono amministrarci: “Conoscete la nostra storia? Ebbene, se la vostra risposta è affermativa, imparate ad amarla! Essa potrà essere fonte di sviluppo culturale ed economico. Cose che non guastacontinua a pag. 10 Anno XI Numero 130 pag. 10 Attualità A. Muti, FIDAPA, dalla pag. precedente quasi andato distrutto - fu ricostruito in rame con i soldi pubblici nel 1904 no.” Noi faremo in modo di ricordarvelo - CITTADINO USALO E PRESERVAe se necessario, ci impegneremo a LO” Ricostruire piano piano il nostro passato, iniziando con via Pozzo Salso Commento: Le lapidi riferiscono e con il suo Pozzo. che il Pozzo Salso fu ricostruito nel Brevi cenni Storici Prima Lapide: Questa lapide era incastonata nella colonna distrutta del Pozzo Salso. Attualmente è custodita nel Circolo privato “Perrone” di P.zza A. Costa. Sulla lapide è scritto: “Questo Pozzo Salso - detto immeritatamente Salso - esistente dal tempo di Federico II - poi caduto e quasi inutile - fu col danaro pubblico rifatto - nel 1904. CITTADINI USATELO MA CUSTODITELO” 1904 con il denaro pubblico. Esse raccomandano ai posteri quanto segue: “Cittadini usatelo e custoditelo. E’ evidente che così non è stato e ora è in via di dissolvimento. Cosa si vuole fare di questo nostro antico reperto storico ricostruito con il denaro pubblico?” Seconda Lapide: Questa lapide è incastonata nella colonna ancora visibile del Pozzo Salso. Traduciamo ciò che è scritto: “Questo è stato chiamato dalla gente Pozzo Salso regnante Federico II - caduto di là e IMPIANTI DI CONTROSOFFITTI CARTONGESSO FIBRE MINERALI E DOGHE CON PITTURE DECORATIVE Via Melissa, 2 - Apricena (Fg) - Tel. 347 0099203 Attualità Anno XI Numero 130 pag. 11 L’AMMINISTRAZIONE DELLE UNIVERSITA’ di Giuseppe Luigi Matera Nuove elezioni sono alle porte per la nostra cittadina, la quale attraversa una congiuntura economica complicata e stagnante: non c’è segno di crescita economica, la disoccupazione è in aumento e ciò si accompagna al decadimento morale e culturale. La motivazione principale che ha determinato tale condizione risiede nella grave crisi politica che da anni investe tutta l’Italia, dal governo centrale a quella periferica. La mancanza di regole adeguate ai tempi che mutano, l’incompetenza di molti onorevoli e il cattivo funzionamento della giustizia hanno generato il resto. La politica in Italia è rappresentata dai partiti, essi definiti e divisi in forma di fazioni si combattono l’un l’altro come fossero rappresentanti di nazioni diverse, facendo prevalere interessi un tempo ideologici e ora personali. Gli italiani, poco nazionalisti, sono divisi e incapaci di approvare provvedimenti condivisi che all’estero sono fuori discussione. Una nuova assemblea costituente, invoca l’attuale condizione della penisola, riscrivere i principi entro i quali devono muoversi i poteri dello Stato: sopprimere l’inutile Senato, limitare a due legislature le possibilità per i deputati, cancellare le regioni (responsabili dell’enorme debito italiano), impedire a quanti hanno precedenti penali di accedere alle cariche pubbliche. L’amministrazione più importante per i cittadini è quella comunale, vale a dire quella più vicina alla gente, proprio per questo motivo necessita di maggiore autonomia specie nel sociale, in materia fiscale e di sicurezza per i cittadini. Dal passato a volte si possono ricavare idee utili per il futuro: le prammatiche sull’amministrazione delle università (vedi quella del 1536, seguita da cinquanta anni di crescita economica e demografica) emanate dai Vicerè del Regno di Napoli testimoniano una certa indipendenza dei comuni. Intanto la costituzione del Regno concepita dagli Altavilla nel 1130 prevedeva l’affermazione degli usi e delle consuetudini delle popolazioni soggette, questo principio importante garantiva la larga autonomia ai comuni e che i feudatari dovevano rispettare anche se spesso ciò non avvenne. Gli amministratori comunali erano eletti ogni anno in pubblico parlamento e a fine mandato dovevano stare a sindacato, vale a dire subire il giudizio dei nuovi insediati, mentre i loro bilanci erano esaminati dai razionali; in caso di eventuali mancanze, i responsabili, ne rispondevano coi propri beni. Tutto questo doveva costituire un deterrente efficace per eventuali malintenzionati; alle cariche civiche, inoltre, non potevano accedere: ecclesiastici, baroni e suoi ufficiali, i parenti di impiegati già eletti, quanti erano in lite col comune, passati amministratori in debito col comune, oltre a malvagi, viziosi e colpevoli di delitti. Nell’elenco degli eleggibili potevano rientrare tutti i capifamiglia, ma l’onore di essere pubblico amministratore era riservato a quanti consideravano l’onestà, la prudenza e l’attaccamento alla patria come valori fondanti della loro vita, solo con queste qualità ci si poteva attendere di tenere la carica con rettitudine e scrupolo. Le decisioni più importanti per la comunità venivano prese in pubblico parlamento a cui partecipavano tutti i capifamiglia. Con l’istituzione del decurionato a metà settecento, i comuni del regno vengono privati dell’antico principio di democrazia diretta, in seguito l’avvento della rivoluzione francese e le riforme amministrative contemporanee hanno allontanato sempre più il popolo dalla politica. Ovviamente con gli accorgimenti dovuti al quadro politico-economico contemporaneo, si potrebbe riproporre quanto di meglio c’era nel passato: responsabilità personale degli amministratori, selezione degli stessi attraverso determinati requisiti, consiglio comunale composto da un gruppo di capifamiglia (rappresentativo di ogni fascia sociale e di ogni categoria professionale). L’obiettivo dovrebbe essere quello di restituire ai cittadini il potere di deliberare in prima persona sulle questioni più importanti della vita di una comunità e ridimensionare i partiti. Conoscere per prevenire Continuo è l’impegno dei Lions nei confronti della comunità e in particolare dei giovani per le varie attività di prevenzione e per favorire in loro la consapevolezza del rischio di atteggiamenti superficiali o imprudenti nei confronti degli stupefacenti. Diffondere e far maturare la cultura della legalità è l’obiettivo condiviso da Scuola, Lions e Istituzioni che, in sinergia, deve essere perseguito per la formazione di cittadini responsabili. E’ stata allacciata una proficua collaborazione con la Guardia di Finanza che ha messo a disposizione le competenze dei suoi agenti per informare e sensibilizzare i ragazzi sui valori che regolano la civile convivenza e necessitano del rispetto dei cittadini di ogni età, non per timore delle sanzioni di Emma Papa previste dalla legge, ma per un dovere nei confronti della società. Nella mattinata di mercoledì 19 marzo u.s., presso Casa Matteo Salvatore, gli studenti dell’Istituto Comprensivo Torel- li-Fioritti delle terze classi della Scuola Secondaria di 1° grado hanno incontrato il maresciallo Spina, il maresciallo Tenace e il brigadiere Del Mastro della Guardia di Finanza - Compagnia di San Severo. Con l’apporto di materiale multimediale, appositamente predisposto, e con video clip, raccontati anche da personaggi del mondo dello spettacolo, sono state illustrate le attività svolte dalle Fiamme Gialleper contrastaregli illeciti fiscali, le falsificazioni, la contraffazione, l’uso e lo spaccio di sostanze stupefacenti. L’iniziativa si è mostrata efficace per l’opportunità educativa al fine della prevenzione, perché far conoscere i problemi è il modo più efficace per risolverli. Anno XI Numero 130 pag. 12 Attualità IL PARCO DELLE CAVE tanti vuoti, tanti scenari di Niky Violano C’è Apricena. Ci sono le cave. Ci sono i cavamonti e le loro storie. Per questo ci sono dei segni che dalla prima all’ultima incisione raccontano tutto, di quelle giornate assolate a spaccare le pietre. Lo sviluppo vero dei metodi di estrazione è arrivato in quest’angolo di Puglia nella seconda metà del Novecento, permettendo di scavare più in profondità ed in modo più semplificato. Prima si operava sulle rocce affioranti facili da individuare e cavare, con un grossissimo lavoro di squadratura a mano. Ciò che rimane oggi di queste fatiche lo si può osservare nella zona di cave prossima alla città, ad esempio nella località di Tre Fosse. In questi territori, l’utilizzo delle macchine non è prevalso sulle tecniche utilizzate, anche se ha fortemente influenzato i ritmi dell’estrazione. I percorsi sono battuti dai mezzi che ogni giorno percorrono gli stessi tragitti per andare sui piazzali, alle segherie, al frantoio, alla discarica, polverose avventure quotidiane che non garantiscono la vita, anzi in alcuni casi la aggrediscono. Ognuno prende da un luogo ciò che desidera e in base alle proprie esperienze ne costruisce un personale ricordo. Le cavità che scoprono il ventre della Terra, vengono lasciate alla meraviglia di chi passa che non può che sentirsi piccolo, aprendo molte possibilità di interpretazione e, quindi, molti mondi possibili. Luoghi colmi di grande stupore, perché vuoti di funzioni che facciano entrare l’uomo in cava, a lungo andare vengono attraversati invece come luoghi del grande nulla. Tanti vuoti, tanti scenari possibili. Ma prima delle funzioni bisogna misurare perché le distanze sono fonda- mentali quando si parla di percorrenze. Circumnavigare per otto chilometri questo grande anello significa poter trovare degli episodi di sosta sensata, e cioè, delle occasioni che permettono a chi fruisce di questo percorso, di fermarsi e passare del tempo. Un parco con lo sfondo comune delle cave, ma che volta per volta offre delle coniugazioni diverse dello stesso tema. In base alla perimetrazione individuata dal futuro PRAE (Piano Regionale Attività Estrattive), la superficie del comparto lapideo adibita al Recupero e servizi sarà quella più a est, essendo la stessa in disuso ormai per la maggior parte. Le condizioni permetterebbero la realizzazione di una grandissima area attrattiva differenziata e con una capienza tale da ospitare eventi notevoli. Spesso l’abbandono è determinato dalla lontananza di un luogo dalle principali vie di comunicazione e dalla mancanza di relazioni tra questo e l’esterno causando una perdita ai danni del territorio. La stessa assenza, poi, di manifestazioni rimpicciolisce l’entità del panorama lapideo che deve sapersi rigenerare facendosi centralità. Artisti, musicisti, architetti, ma soprattutto amministrazioni, dovrebbero responsabilizzarsi su questo fronte, effettuando attività continuate e programmate con lo scopo di rendere attivo un nodo spento che acquisirebbe la capacità di entrare in un sistema più ampio, anche grazie alla vicinanza dell’autostrada. Si possono dare molte risposte quando le domande sono inesistenti ma finché rimarranno parole, anche le proposte risulteranno inutili. Anno XI Numero 130 pag. 13 Attualità LA TORRE DELL’OROLOGIO che nasconde il passato di Niky Violano “Spazio promozionale cittadino” è la destinazione d’uso che il locale sottostante alla Torre dell’orologio di Apricena ospita, o avrebbe dovuto ospitare, dopo il restauro effettuato qualche anno fa. L’intervento ha attinto ai finanziamenti per la sua realizzazione rientrando nel Programma Operativo Regionale Puglia tra i Progetti Integrati Settoriali Normanno-Svevo-Angioino, sfruttando l’opportunità offerta da questo tipo di risorse. In realtà, si è intervenuti sulla struttura negli anni Ottanta con un consolidamento statico. È un’emergenza storica e, come tale, ha un passato legato alle radici della città, infatti, con l’ipotesi avanzata in ultima fase, dopo la scoperta di un altro arco posto di fronte a quello palesato nella facciata di corso Garibaldi, la si reputa addirittura un ex-portale d’accesso al piccolo e antico insediamento, che abitava quel luogo in corrispondenza della corte del Palazzo Baronale. Siamo in un tessuto urbano, però, che rifiuta l’ipotesi della torre come porta e che traccia una rimanenza storica solo nei muri, avendo costruito anche alle spalle della stessa, senza di fatto consentire il passaggio. Per altri, tramite il varco, si faceva ingresso nella chiesa di San Martino che nel 1627, proprio lì, veniva distrutta per sempre, senza trovare una ricostruzione successiva. Naturalmente le modificazioni hanno mutato del tutto l’essenza tipologica della torre d’accesso, portando alla chiusura del locale al piano terra e facendola diventare dalla prima metà dell’Ottocento una torre civica con l’aggiunta di un nuovo volume, raggiungendo l’altezza attuale. È uno spazio che ha smentito le sue ragioni d’essere ad ogni cambiamento, persino le sue campane hanno smesso di suonare che per le ricorrenze religiose annunciano lo scorrere del tempo ad ogni ora. Con l’obiettivo della conservazione della vecchia torre si è giunti a prendere coscienza di cosa è stato modificato dal tempo e cosa dalla mano dell’uomo. Queste sono risposte che, seppur difficili da trovare, con un po’ di pazienza e con l’aiuto della memoria storica, possono essere reperite, affidandosi talvolta anche tracce scritte. Il restauro ha dovuto compiere delle scelte scartandone altre, certo possibili, ma non per questo tutte apprezzabili. Se nel programma si esplicita una volontà progettuale prima ed effettiva poi, che preveda la piena fruibilità dell’opera, perché non facilitarne le condizioni? Il successo di un’idea sta nella sua chiarezza e qui manca una spiegazione sulle modalità d’uso. Non c’è una coscienza generalizzata su questa cosa e il quadro è rimasto poco chiaro, ci sono dei resti ma a nessuno è dato sapere, poiché l’entrata è oscurata come lo sono gli scavi con le tracce portate in superficie. Il cancello svolge amaramente la sua funzione bloccando il passaggio dei curiosi, ma soprattutto dei non curiosi, che non si interrogano, non chiedono e, quindi, non ricevono. QUOTE ROSA: opportunità o discriminazione? Sono diverse le discussioni che si intrecciano sul dibattito relativo alle quote rosa. Dopo l’ultima bocciatura tra le aule del Parlamento, la questione è tornata alla ribalta: stabilire in modo definito la presenza delle donne in un parlamento o in una società pubblica, può apparentemente sembrare un’azione alquanto politically correct. In realtà,non è del tutto così. A mio avviso, pur partendo da meritevoli intenzioni, stabilire un limite alparterre femminile, rappresenterebbe sostanzialmente una discriminazione. La vera parità è non porre limiti: perché escludere la possibilità di un Cda composto da sole donne? Questa sì che sarebbe una vera uguaglianza derivante dalla bravura, dalla capacità di Francesca Mobilio della donna e non dal fatto che è una legge a stabilirlo. Partendo da un presupposto, facciamo un esempio al contrario. La politica è, o almeno dovrebbe essere, passione e attivismo senza dimenticare che essa necessita di tempo a disposizione. È da riscontrare che non tutte le donne sono mosse da una vena politica vuoi per carattere o problemi personali, vuoi perché non hanno il tempo sufficiente per occuparsi delle res publica in maniera soddisfacente. In questo caso che si fa? Secondo l’attuale normativa, un numero ben definito di donne deve essere obbligatoriamente presente nei consigli comunali. E se in una circoscrizione non vuole candidarsi nessuna donna? Deve, al di là della sua voglia o capacità. La questione non è tanto essere contrari o favorevoli alle quote rosa in toto. Il dibattito è stabilire o meno se è arrivato il momento di fare il salto di qualità e andare oltre, verso una vera e totale parità. Anno XI Numero 130 pag. 14 Cultura L’angolo (padovano) di un apricenese doc PIETRO GIANNONE - ANTONIO GENOVESI MAFFEO PANTALEONI (2^ parte) dott. Felice Clima Dopo aver trattato la vita e le opere dell’insigne figura del “nostro” conterraneo Pietro Giannone, è il momento di tratteggiare il significativo excursus degli altri due illustri personaggi. Antonio Genovesi nacque a Ca- stiglione del Genovesi (Salerno) il 1° novembre 1713 e morì a Napoli il 22 settembre 1769, fu sepolto nella chiesa del convento di Sant’Eramo Nuovo (o sant’Eusebio) grazie al suo amico Raimondo di Sangro, Principe di San Severo. Fu scrittore, filosofo, economista e sacerdote (ebbe anche il titolo di abate). Avviato agli studi in tenera età, fu affidato ad un parente (giovane medico tornato da Napoli), il quale lo istruì in filosofia peripatetica e in quella cartesiana. Poi, verso i diciotto anni entrò nel convento dei Padri Agostiniani di Buccino per seguire gli insegnamenti teologici e filosofici del prete Abbamonte. Ottenuta l’ordinazione a diacono superando l’esame di teologia dogmatica, a 24 anni fu nominato maestro di retorica al seminario di Salerno, dove seguì insegnamenti di lingua francese e lezioni di perfezionamento in latino e italiano. Nel 1738, a 25 anni, fu ordinato sacerdote e, subito dopo, si spostò a Napoli, ove fu in stretto contatto con Giambattista Vico e con l’Università di quella città, nella quale nel 1741 ottenne la cattedra di metafisica e, successivamente, quella di etica. Antonio Genovesi mi fa ricordare il periodo universitario dei miei appassionati (direi ponderosi) studi e ricerche di economia, in cui venni a conoscenza, con piacevole sorpresa, che un italiano (meglio dire, Lui, quale meridionale dell’ex Regno borbonico) fu un antesignano, in quanto, con un intuito rivoluzionario, fu il fondatore nel 1754 della “prima cattedra europea” di “economia politica” presso l’Università di Napoli, condivisa da Bartolomeo Intieri. Egli ruppe un tabù rispetto al lungo tramandarsi della cultura onnicomprensiva degli studiosi e filosofi greci (tra cui Senofonte) e latini (tra cui Columella), enucleando e istituziona- lizzando in modo organico, per la prima volta, i principi e tutto ciò che concerne l’“economia civile”, rendendola materia ben definita, a sé stante nelle sedi accademiche. Egli stimolò il pensiero della scuola classica imperniata sul suo contemporaneo, l’inglese Adamo Smith (1723-1790), col quale condivise “la critica del mondo feudale e la convinzione che il mercato avrebbe contribuito alla costruzione di un mondo più egualitario e più libero”. Adamo Smith “aveva una visione pessimistica dell’uomo improntata all’individualismo degli interessi”. Antonio Genovesi, invece, riteneva che “la persona fosse l’equilibrio di due forze: quelle dell’interesse per sé e della solidarietà sociale; il soggetto gli appariva come una realtà relazionale fatta per la reciprocità”..””la sua idea di mercato come “mutua assistenza””, una “intuizione originale” che oggidì è oggetto di attenta rivisitazione. Egli, quindi, influì non poco sui successivi studi e ricerche da parte degli altri importanti economisti inglesi, prima David Ricardo (1772-1823) e poi Alfred Marshall (1842-1924), nonché dell’italiano Vilfredo Pareto ((1848-1923, seppure nato a Parigi, docente a Losanna) e di tante altre importanti scuole di pensiero economico nate posteriormente in Italia, in Europa e nel Nord America fino ai giorni nostri. In origine, tale innovativa cattedra era denominata “commercio e meccanica” e Genovesi pubblicò “Lezioni di commercio”, in cui si esprimeva a favore di una più “incisiva politica liberista”. Tale opera, pubblicata nel 1765 e considerata una delle prime opere scientifiche in materia economica, è detta meglio “Delle lezioni di commercio, o sia di economia civile”. Da alcuni mesi, noto con piacere ben evidente, nella vetrina di una delle più importanti librerie di Padova, un corposo volume col titolo di “Economia Civile” di Antonio Genovesi; meno male che un coraggioso editore abbia avuto la lungimiranza di pubblicarlo (tirandolo fuori dal..quasi..oblio), a distanza di oltre 250 anni ! L’ambiente culturale (nella seconda m e t à del settecento) vissuto da Genovesi manifestò i segni di una rivolta allo spirito e al costume della Controriforma: gli accenni alla “polemica antigesuitica e anticlericale”, il rinvigorimento delle idee per sostenere l’ “autonomia dello Stato laico contro ogni intrusione della Chiesa”, lo “svilupparsi di una teoria delle monarchie illuminate e del regime paternalistico”, oltre l’avvento, sul piano letterario, “di una poetica e di una critica più aperte e coraggiose”. Così, si aprì una vera e propria rivoluzione culturale, che assunse il termine di “Illuminismo”, proponendosi una integrale trasformazione della vecchia civiltà in tutti i suoi aspetti. Il “Nostro”, in età matura, alla vecchia cultura teorica sostituì, gradualmente, lo studio delle discipline pratiche, seguendo le idee di G. Vico, come pure di Locke limitatamente alla filosofia. Subì l’influenza del nuovo panorama culturale italiano che andava profilandosi, col desiderio, attraverso studi ed esperimenti, di definire il concetto della “pubblica felicità”, con lo scopo di far emergere l’uomo dallo stato di “oscurità” (l’ ”Illuminismo”). Egli rilevò la decadenza culturale, materiale e spirituale (dopo il periodo d’oro del Napoletano) e valutò la necessità di un suo intervento per riportare le arti, il commercio e l’agricoltura “a nuovi splendori”. Tali motivazioni indussero Genovesi a mettere da parte l’etica e la filosofia, per dedicarsi intensamente allo studio dell’ “Economia”, certo che essa doveva essere utile ai governi per “alimentare la ricchezza e la potenza delle nazioni” (mi domando: oggi, in quali condizioni ci troviamo, e perchè? E’ una crisi sistemica? Necescontinua a pag. 15 Cultura F. Clima, Pietro Giannone...., dalla pag. prec. sitiamo di quali radicali interventi innovativi? Ci vorrebbe un nuovo lungimirante Genovesi?). Antonio Genovesi apportò una innovazione, ebbe cura di tenere le lezioni in “lingua italiana”, considerando la “sua passione per il civile”. Fu il primo docente a non usare la lingua latina, convinto che lo studio dell’Economia e delle Scienze nel popolo fosse un “mezzo di incivilimento”. Egli può considerarsi in piena continuità con gli umanisti civili. stima della ricchezza nazionale alla storia della dottrine economiche, fino a giungere alla pubblicazione nel 1889 del suo più importante libro “Principi di economia pura”. Ha lasciato molte pubblicazioni (dal 1882 col libro “Teoria della traslazione dei tributi” fino all’opera postuma, pubblicata nel 1925, “Erotemi di economia”), a volte considerato come l’“Alfred Marshall italiano” data la sua propensione a difendere la politica economica del “laissez-faire”. Inizialmente, fu deputato radicale e, prima della 1° Maffeo Pantaleoni, economista, cultore di scienze delle finanze, uomo politico, nacque a Frascati il 2 luglio 1857, morì a Milano il 29 ottobre 1924. Poliglotta, di pensiero vasto e umano, fu anche un fine giornalista per la “visione realistica e sintetica degli avvenimenti” ed ebbe il “grande pregio di stimolare il pensiero altrui”. Le sue opere, di economia pura o applicata, di scienze delle finanze o di politica, “costituiscono sempre un apporto personalissimo”. Egli compì gli studi classici a Potsdam (Berlino) e si laureò nel 1881 in diritto all’Università di Roma. Intraprese gli studi economico-finanziari e nel 1884 divenne libero docente in scienze delle finanze. Fu professore in diverse università italiane, Camerino, Macerata, Venezia, Bari, Napoli, Ginevra, Pavia e (dal 1901) Roma, nonché socio corrispondente dei Lincei (1892). Pantaleoni fu uno studioso tendente a conciliare la teoria economica classica dell’inglese David Ricardo con la teoria “marginalistica” della scuola austriaca (l’iniziatore di tale pensiero fu il francese M. Walras, 1834-1910), spaziando dalla teoria dei prezzi a quella della tassazione, dalla teoria dei cicli economici a quella dei sindacati industriali, dalla guerra mondiale, divenne un nazionalista e fu un politico anti-socialista, avendo rapporti col movimento fascista. Tra il 1919 e il 1920, per quindici mesi, tenne la carica di Ministro delle Finanze a Fiume nell’Amministrazione del Carnaro presieduta da Gabriele D’Annunzio. Circa 20 mesi prima della sua morte, fu eletto e nominato Senatore del Regno in data 1° marzo 1923. E’ mio dovere ricordare Maffeo Pantaleoni. Egli mi riporta all’origine del mio percorso universitario, in quanto allievo (anni 1952/’53-1956/’57) della facoltà da lui fondata. Egli è considerato da molti il “padre” dell’economia moderna italiana. E’ stato il fondatore, verso la fine dell’800, nella città di Bari dell’ “Istituto Superiore di Commercio” (con il lungimirante contributo da parte della Camera di Commercio e di altre Istituzioni locali), che, poi, nei primi del no- Anno XI Numero 130 pag. 15 vecento ha assunto la denominazione di “Facoltà di Economia e Commercio” (al pari di altre similari sedi universitarie, come ad es.: “Cà Foscari” di Venezia), in quanto unica e importante nella nostra regione, con l’ex sede sul Lungomare Trieste, di fronte al porto. A tale “facoltà” hanno dato lustro noti docenti che hanno apportato un assai significativo contributo scientifico-professionale ed umano distinguendosi a livello nazionale, di cui ne cito alcuni di quelli che sono stati miei “Maestri”: Prof. Giuseppe Di Nardi (economia politica, “scuola De Maria”); Prof. Paolo Emilio Cassandro (amministrazione ed economia aziendale e gestionale, “scuola Amaduzzi”); Prof. Nicola Tridente (tecnica bancaria e mercantile, “scuola Galante Garrone”, nonché membro della ex C.E.C.A. a Bruxelles); Prof. Gustavo Minervini (diritto commerciale e societario, “scuola Graziani”, Senatore della Repubblica e anche Presidente Commissione Finanze e Tesoro del Senato); Prof. Giorgio Nebbia (merceologia, “scuola “Alma Mater” bolognese”, esperto di ecologia, anche Senatore della Repubblica); Prof. Michele Troisi (scienze delle finanze e istituzioni di diritto tributario, anche deputato al Parlamento e Sottosegretario di Stato al Ministero Finanze e Tesoro con Vanoni e Tremelloni); Prof. De Simone (diritto del lavoro); Prof. Menegazzi (politica economica, nota “scuola cristianosociale del Toniolo”); Gino Barbieri (storia economica, allievo di Amintore Fanfani all’università “Cattolica” di Milano, dopo Bari trasferitosi altrove per passare all’università di Padova, quale fondatore e preside della facoltà di economia e commercio a Verona, inizialmente come sede distaccata patavina, poi divenuta autonoma, nonché Presidente della Cassa di Risparmio di Verona-Vicenza-Belluno) col quale le mie frequentazioni, tra Padova e Verona, si sono protratte fino alla sua morte nel 1989: di vasta cultura con un eccellente eloquio, figura indimenticabile di economista e di umanista. Spero di aver dato un piccolo contributo per la conoscenza di illustri e benemeriti cittadini italiani (seppure passati alla storia, ma, poco ricordati), che hanno arricchito e fatto lievitare il “Sapere”, avendo come nobile pensiero la prospettiva (.. il.. sogno..) che si potesse realizzare un modello di una società civile più egualitaria e più libera. (fine) Anno XI Numero 130 pag. 16 Angolo di Lesina Brevi cenni storici su Lesina dalle origini alla prima metà del Seicento di Antonio Fernando Lombardi Lesina è una deliziosa cittadina di antica origine, il cui centro abitato si protende direttamente nelle acque nell’omonima laguna (fig. 1). Le prime tracce di frequentazione del suo territorio sono riferibili al Paleolitico medio, in particolare alla fase rappresentata dalla “cultura musteriana”, caratterizzata dall’industria litica su scheggia; vari strumenti litici di questa età sono stati ritrovati nelle seguenti località: Cammarata, Cannelle, Fischino, foce vecchia del Caldoli, foce Canale La Fara, primi insediamenti stabili nella zona risalgono inveceal Neolitico e all’Eneolitico, le cui testimonianze sono affiorate nelle località circum lagunari di Cannelle, Zurrone, Pontone, Fischino, Cammarata, e nell’area suburbana situata a sud dell’abitato di Lesina (Tratturo dei Greci). Resti fittili e litici risalenti a questo periodo e alle età successive sono stati ritrovati anche fra i materiali di risulta provenienti dallo scavo dei canali subacquei realizzati nel lago durante il dragaggio lagunare effettuato negli anni Ottanta del Novecento. In età romana Lesina era parte integrante del territorio che afferiva al Municipium di Teanum Apulum, del quale costituiva senz’altro un importante frazione marittima in virtù della sua vicinanza al lago, al mare e alla vicina foce del Fortore col suo porto fluviale. In questo periodo nella zona perilagunare si formarono ampi insediamenti agricoli, le villae, alcune delle quali sorsero anche sul versante lagunare del Bosco Isola. Sono molteplici le epigrafi d’età romana rinvenute in Lesina, fra le quali si distingue quella dedicata a Pomponia Drusilla (definita “coniuge rarissima”) dal marito Marco Numisio Quinziano, “patrono” del Municipium di Teanum Apulum. In età tardoantica Lesina divenne probabilmente un oppidum romano-bizantino, ma i primi riferimenti documentali risalgono al VII sec. d.C., periodo nel quale essa appare fra i castra di fondazione longobarda. Nello stesso secolo, secondo la tradizione, Lesina accolse gli abitanti di Lucera che si rifugiarono in essa unitamente al loro vescovo, così come aveva accolto i pescatori dalmati sbarcati sulla costa in epoca incerta, integrandoli con la popolazione locale preesistente. Nella prima metà del VII secolo è anche documentata la presenza del vescovo Calumniosus. Nei secoli VIII e IX Lesina era gastaldato longobardo (castaldato Lesine). Fra l’VIII e il X sec. vari monasteri s’insediarono lungo le rive del Lago di Lesina: l’abbazia di Santa Sofia di Benevento, seguita da Montecassino e San Vincenzo al Volturno; ad esse si aggiunsero San Clemente di Casauria, Santa Maria di Tremiti ed altre. Anche a quest’epoca risalgono i primi possedimenti che il monastero di S. Clemente a Casauria aveva nel territorio di Lesina, fra i quali la cella di San Clemente di Lesina e la chiesa omonima che sarà ricostruita e consacrata dall’abate Leonate nel XII secolo. Al IX secolo (842 d.C.) risale l’ingresso in Lesina dei corpi dei Santi Martiri di Larino Primiano e Firmiano, eletti patroni della cittadina lagunare. Nel X secolo Lesina era contea longobarda (comitatu Alesinense) ma verso la fine dello stesso secolo ricadde in mano bizantina, ritornando all’ordinamento amministrativo bizantino. Nell’XI secolo Lesina assunse le caratteristiche di una vera città nella quale, al riparo delle sue mura, dimoravano vari funzionari bizantini e forse il vescovo. Nel XII secolo divenne una delle più importanti contee normanne e, dopo Civitate, era una delle più grandi città del circondario, essendo feudo di otto cavalieri, rispetto ai quattro di Apricena e ai due di Ripalta. Nei primi anni del XIII secolo vi fu l’arrivo dei monaci Cistercensi nel monastero di Ripalta, i quali edificarono la chiesa di Santa Maria della Carità in stile gotico. Nel corso del XIII secolo, in età sveva, Lesina conservò la sua importanza avendo in sé il vescovo, l’episcopio e una bella cattedrale dedicata a San Primiano Martire (patrono della città), dotata di un’artistica cripta. In età angioina Carlo I d’Angiò assoggettò la contea di Lesina al demanio regio e, nel 1269, l’assegnò al figlio Carlo II. Nel 1409 la regina Margherita chiese il permesso a suo figlio Ladislao d’Angiò-Durazzo di donare Lesina e il Lago alla Santa Casa dell’Annunziata di Napoli Ave GratiaPlena (A.G.P.) e al suo Ospedale. Il 23 dicembre 1409 il re Ladislao diede l’assenso alla donazione della città di Lesina insieme con il suo feudo, ormai costituito unicamente dal suo territorio, in allodio perpetuo all’Annunziata di Napoli. Lo strumento di donazione fu rogato a Salerno dal notaio Giovanni Mangrella di Cava dei Tirreni il 6 novembre 1411. Nello stesso secolo, in età aragonese, con l’istituzione della Dohana menae pecudum Apuliae, istituita da Alfonso I d’Aragona il primo agosto 1447, il Tavoliere venne diviso in ventitré Locazioni, fra cui quella di Lesina nella quale vi erano cinque “poste”, denominate: Fucicchia, Trevalle, Santo Spirito, Cammarata e San Samuele. La parte meridionale dell’antico territorio di Lesina risultò così diviso in due parti: la più piccola era costituita dai terreni dell’Università, con terre coltivate (a vigneti ed orti) e terre incolte; e la più grande era formata dal demanio della Dogana della mena delle pecore, che ospitava i pastori transumanti (locati) che dall’Abruzzo e dal Molise scendevano con le greggi nel Tavoliere dove pascolavano dal 29 settembre all’8 maggio. Nel 1627 il terribile terremoto che colpì la Capitanata distrusse gran parte dell’abitato di Lesina che, fino al primo Novecento, corrispondeva all’area urbana dell’odierno centro storico. Per tale motivo i governatori dell’Annunziata di Napoli, della quale Lesina era feudo cospicuo, volevano che la cittadina lagunare fosse ricostruita in località Santo Spirito (nell’attuale territorio di Poggio Imperiale), due miglia a sud-est dell’abitato distrutto dal terremoto, ma l’indissolubile legame che univa i Lesinesi alla loro città indusse gli stessi a ricostruirla nel suo sito storico (fig. 2). Angolo di Lesina Anno XI Numero 130 pag. 17 IL CAMPO DI VOLO DEI SOLDATI AMERICANI A LESINA (MARZO 1944 – OTTOBRE 1945) (Seconda Parte) di Salvatore Primiano Cavallo Il 1° FIGHTER GROUP Proveniente dal Campo d’aviazione di Salsola (ubicato tra San Severo e Foggia, lungo l’attuale Strada Statale 16), in seguito alla partenza del 325° Fighter Group, è di stanza a Lesina dai primi di marzo al 16 ottobre del 1945 (data in cui il Reparto lasciò il teatro operativo italiano) il 1° Fighter Group, fornito dei velivoli Lockheed P – 38 “Lightning”; anche questo Reparto era alle dirette dipendenze del citato 5° Bombardment Wing (Stormo Bombardieri). Il Gruppo vide la sua istituzione il 5 maggio 1918. In seguito a varie circostanze fu sciolto e ricostituito, causa le vicende belliche, nel maggio del 1942 e assegnato all’ 8a Air Force americana. Fu però alle dipendenze della 12a Air Force che il Reparto di distinse molto durante la campagna d’Africa ed anche in seguito partecipando alla presa di Pantelleria e scortando, successivamente, alcuni bombardieri che avevano come obiettivo la Sicilia, prima dell’occupazione militare dell’intera Isola da parte delle truppe anglo - americane. Il Reparto partecipò, inoltre, come supporto aereo allo sbarco a Salerno. Nel mese di novembre del 1943, il reparto fu inquadrato nella 15a Air Force statunitense alle dirette dipendenze del 305° Fighter Wing, facendo da supporto operativo agli sbarchi di Anzio nel gennaio 1944, e all’invasione della Francia meridionale nell’agosto successivo. Il Gruppo Caccia fu impiegato anche per numerose missioni nei cieli del nord Italia, della Germania, Cecoslovacchia, Austria, Ungheria, Romania, Bulgaria, Grecia e Iugoslavia. Facevano parte di questo Gruppo Caccia la 27a, la 71a e la 94a Squadriglia. Nel periodo in cui il Reparto era di stanza a Lesina si alternarono al suo comando tre ufficiali in quattro periodi diversi. Sino al 30 marzo 1945, il comandante fu il colonnello Arthur C. Agan che aveva assunto il comando del Gruppo il 15 novembre del 1944; a questi subentrò, fino all’11 aprile dell’anno se- guente il tenente colonnello Milton Herbert Ashkins, quest’ultimo sostituito, fino al 28 aprile successivo, dal tenente colonnello Charles W. Thaxton. L’ultimo comandante di Reparto (per il periodo che lo stesso rimase a Lesina) fu il già citato Ashkins, che ricoprì tale incarico con il grado di colonnello, anche dopo la fine del conflitto mondiale fino al 3 luglio 1946. Nel periodo di cui ci stiamo occupando, atterrarono sulla pista di volo di Lesina due prototipi di un modello d’aereo che dopo la Seconda Guerra Mondiale ebbe larga diffusione tra gli aeromobili dell’aviazione statunitense. Si tratta del Lockheed YP – 80, il primo aereo a reazione ad aver volato in Italia e primo aviogetto da caccia in dotazione dell’U.S.A.A.F., costruito in risposta al nuovo aviogetto che la Luftwaffe aveva da poco iniziato ad utilizzare in Italia: l’Arado 234 “Blitz”. Lo stemma araldico del Reparto è costituito da uno scudo gotico bipartito trasversalmente: nella parte inferiore vi sono raffigurate cinque croci di Malta in campo blu, mentre la parte superiore presenta nove fasce trasversali blu e nere in alternanza. Al capo presenta una freccia invertita tra due ali ed un cartiglio con il motto AUT VINCERE AT MORI (o vincere o morire). Il reparto fu l’ultimo a lasciare il Campo di Lesina. Ritornato in Patria alla fine delle ostilità il 16 ottobre 1945, fu definitivamente sciolto il 6 febbraio 1952. Oggi la storia e le tradizioni del 1° Fighter Group, sono state ereditate dal 1° Fighter Wing (Stormo Caccia) che ha la sua Base operativa a Langley in Virginia. Il 27° Fighter Squadron Costituito il 15 giugno 1917, venne assegnato al 1° Gruppo Pursuit (Gruppo Ricognizione) partecipando dal marzo al novembre 1918 alle operazioni belliche nel Teatro Operativo europeo e più precisamente in quello francese. Sciolto e poi ricostituito a causa degli eventi bellici il 15 maggio 1942, utilizzando velivoli P – 38 “Lightning”, il Reparto alle dirette dipendenze del 1° Fighter Group, venne impiegato dall’ottobre 1942 al maggio 1945 dapprima nel Teatro Operativo del Mediterraneo e poi in quello europeo, prendendo parte a molte missioni di scorta a bombardieri Boeing B – 17 e Consolidated B – 24 “Liberator”. È di stanza sul Campo di Lesina, proveniente dal citato Campo d’aviazione di Salsola, dai primi di marzo al 10 ottobre 1945. Dopo la fine delle ostilità, nel 1950 la Squadriglia ha assunto la nuova denominazione di 27° Interceptor Fighter Squadron con Base operativa a Griffiss, nello stato di New York, per essere poi trasferito, il 1° ottobre 1959, a Loring nel Maine ed il 2 luglio 1971 a MacDill in Florida dove venne assunse la nuova denominazione di 27° Tactical Fighter Squadron. Dal 1975 la Squadriglia è stata impiegata in molti Paesi europei ed extraeuropei tra cui il Canada, l’Egitto ed i Paesi Bassi. Partecipando all’Operazione Desert Storm ha compiuto con successo oltre 750 missioni in territorio iracheno. Al ritorno dalla Prima Guerra del Golfo, il 1° settembre 1991 il Reparto riprese la storica denominazione di 27° Fighter Squadron; dal giugno 1975 la sua Base operativa è a Langley, in Virginia. Attualmente inquadrato tra le fila del citato 1° Fighter Wing, è uno dei più vecchi Squadroni dell’U.S.A.F.. Gli aerei che la Squadriglia ha in dotazione sono i moderni Lockheed - Boeing F – 22 “Raptor”. Oggi le tradizioni storiche del 27° Fighter Squadron, sono state ereditate dal 27° Fighter Squadron Black Falcons (detto anche Fighting Eagles). Il personale appartenente alla Squadriglia è così appellato per via di un falco in picchiata presente nel distintivo del Reparto. Il 71° Fighter Squadron La Squadriglia fu costituita il 14 dicembre 1940 a Selfridge Field, nel Michigan. Quando gli Stati Uniti d’America entrarono a far parte del secondo conflitto mondiale, la compagine fu impiegata lungo le coste del Pacifico per operazioni anti sommergibile. Dal 1942 al 1945, alle dirette dipendenze del 1° Fighter Group, era presente nei Teatri Operativi europeo e del nord Africa volando a bordo dei Lockheed P – 38 “Lightning”. È di stanza sul Campo di Lesina, proveniente dal Campo d’aviazione di Salsola, dai primi di marzo al 10 ottobre 1945. Il 16 ottobre, in seguito alla fine degli eventi bellici, il Reparto fu disciolto, per essere poi ricostituito in Patria, a March Field, in California, il 3 luglio 1946 dove venne dotato dei nuovi Lockheed P – 80 “Shooting Star” il primo caccia a reazione continua a pag. 18 Anno XI Numero 130 pag. 18 Cultura Il pensiero laterale positi vo: Ragionamenti di Giuseppe De Cato L’arte del viverE Ragionamento sul numero di “f” da usare quando si manda qualcuno “a quel paese” Può capitare, talvolta, di trovarsi a riflettere, soprattutto quando ti vedi costretto tra una richiesta insulsa da un lato e una pretesa mascalzona dall’altro, sul numero di “f” che è meglio usare quando si desidera mandare a “quel paese” qualcuno. E allora, dopo l’iniziale dubbio se sia più corretto usare una sola, due o addirittura tre “f” nell’indirizzare il liberatorio imperativo di mandamento “a quel paese” della persona meritevole di tale destinazione, giungiamo alla conclusione che ci troviamo di fronte a un unicum lessicale, potendo correttamente utilizzarsi, a seconda dei casi, una, due o tre “f”. Il più delle volte capita che sia sufficiente utilizzare una sola “f”, e ricorriamo ad un garbato, per certi versi suadente, “ma vafancul!” dal tono vagamente commiserante, come per dire: “Ma cosa stai dicendo!” “ Non dire sciocchezze!” S.P. Cavallo, Il campo di volo... dalla pag. prec. “A chi credi di darla a bere!” Altre volte, invece, vuoi per reazione ad un torto o a un’offesa ricevuta, vuoi perché ci troviamo al cospetto di una persona che proprio non ci piace, il tono diventa più sostenuto, e con sguardo teso e bocca tendente alla smorfia, il “Vaffanculo!” prende la doppia “f”, assumendo, così, un valore liberatorio e, per certi versi, preventivo e curativo della gastrite (verrebbe di dire, in proposito, parafrasando il più famoso detto della mela, che un vaffanculo al giorno toglie la gastrite di torno). Altre volte, ancora, soprattutto in caso di rabbia incontrollata, di situazioni di vero e proprio disprezzo, ecco che il mandamento “a quel paese”, richiede l’utilizzo di ben tre “f”. E allora abbiamo l’espressione tipica “ma vafffancul!”, magari aggiungendo al “tu” pronome personale che solitamente segue, tutta una serie di incolpevoli e ignari congiunti, sorelle, madri e parenti più o meno stretti. In effetti, per vivere meglio basta poco: sorridere spesso, guardare le cose con ottimismo e benevolenza, non smettere mai di credere nella bellezza dei propri sogni, imparare a vivere le avversità della vita con la serenità, la calma e l’armonia interiore che deriva dalle forze benefiche dell’Universo, coltivare amicizie con persone rette, oneste e colte e … ogni tanto avere l’intelligenza di capire quand’è il momento opportuno di mandare affanculo qualcuno, salvo che tu non riesca a fare in modo che se ne vada affanculo da solo. In tal caso, cioè a dire se riesci a indurre l’autofanculizzazione nella persona meritevole di tale destinazione, allora vuol dire che sei un vero artista del vivere. mo conflitto mondiale, la compagine viene inviata in Francia dove vi rimase sino alla primavera del 1919 partecipando a numerose missioni nei cieli francesi. Ritornata in Patria, fu di stanza a Selfridge Field, nel Michigan. Durante la Seconda È di stanza sul Campo di Lesina, proveniente dal Campo d’aviazione di Salsola, dai primi di marzo al 10 ottobre 1945. Dopo la guerra, nel luglio del 1946, il Reparto fu di stanza a March Field, in California, dove venne fornito dei più moderni velivoli Lockheed P – 80 “Shooting Star. Nel luglio del 1950 la Squadriglia ha assunto la denominazione di 94° Interceptor Fighter Squadron con Base operativa a George, in California. Il 2 luglio 1971 è trasferita a MacDill, in Florida dove prese la nuova denominazione di 94° Tactical Fighter Squadron per essere nuovamente denominata, il 1° settembre 1991, 94° Fighter Squadron; dal giugno 1975 la sua Base operativa è a Langley, in Virginia. Gli aerei che attualmente il Reparto ha in dotazione sono i modernissimi Caccia di superiorità aerea Lockheed - Boeing F – 22 “Raptor”. Oggi le tradizioni storiche del vecchio 94° Fighter Squadron, sono state ereditate dal 94° Fighter Squadron Hat in the Ring (Cappello nel Cerchio). Gli uomini appartenenti a questa Squadriglia erano e sono così chiamati affettuosamente perché nel loro distintivo è presente un cappello a cilindro (recante la bandiera degli Stati Uniti d’America) posto all’interno di un cerchio di colore rosso. dell’U.S.A.A.F. . Dal luglio 1950 al marzo 1975, la Squadriglia è stata ospitata in diverse Basi aeree statunitensi; in maniera definitiva dal 1976 è di stanza a Langley in Virginia. Dal 1° settembre 1991 è inquadrata tra le file del 1° Fighter Wing (Stormo Caccia). Partecipando all’Operazione Desert Storm ha compiuto con successo, in territorio iracheno, diverse operazioni di sostegno tattico. Dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 i velivoli del Reparto hanno pattugliato i cieli della capitale statunitense e sono stati impiegati, nel 2003, nel Golfo Persico a sostegno dell’Operazione Iraqui Freedom. Gli aerei che attualmente la Squadriglia ha in dotazione sono i McDowell Douglas F – 15 “Eagle”. Gli uomini appartenenti a questa compagine erano chiamati i Cragmore ed ora gli Ironmen (Uomini di Ferro), per via Guerra Mondiale, dal novembre del 1942, di un pugno di ferro presente nel distintivo ha operato dapprima nel Teatro Operatidel Reparto. vo del Mediterraneo e poi in quello europeo, alle dirette dipendenze del 1° Fighter Il 94° Fighter Squadron Group, prendendo parte a molte missioni La 94a Squadriglia Caccia è ricca di tra- di scorta, a bordo dei Lockheed P – 38 dizioni, con origini attestate al 20 agosto “Lightning”, ai bombardieri Boeing B – 17 1917 a Kelly Field, nel Texas. Quando gli e Consolidated B – 24 “Liberator”, produStati Uniti d’America partecipano al pri- cendo tra i suoi piloti un totale di sei Assi. Cultura Anno XI Numero 130 pag. 19 IL “SACRO FUOCO” DELLA PASSIONE di Leonarda Napolitano Leonarda Napolitano da San Marco in Lamis, in occasione della Santa Pasqua, ritorna col “Sacro Fuoco” della Passione di Cristo Signore. La processione della Madonna Addolorata accompagnata dalle Fracchie (fiaccole) accese si svolge nel cuore della città di San Marco in Lamis sul Gargano la sera del venerdì santo. Le Fracchie consistono in enormi fiaccole coniche realizzate in legno di castagno e quercia che poggiano su un telaio in ferro munito di grosse ruote anch’esse in ferro. Dopo essere state accese vengono trainate con catene da numerosi volontari di ogni età, con abiti da contadini “Pantalone alla zuava, calzettoni di lana, camicia bianca, corpetto scuro e copricapo di lana”. I confratelli vestiti con la loro divisa partecipano a questa processione con le Fracchie accese per devozione popolare e servono ad illuminare il percorso della Madonna alla ricerca del figliolo, il Cristo morto. La Processione delle Fracchie si svolge da secoli; turisti, studiosi e spettatori vengono da tutto il mondo per partecipare e riflettere sull’evento. Il trasporto delle Fracchie accese ha uno stretto legame con riti antichi delle tradizioni agro-silvi-pastorali primaverili e con la civiltà della transumanza. Era già descritto nello statuto comunale di San Marco in Lamis, risalente al 1490 e in vari statuti di confraternite tra il VII e VIII sec., che l’utilizzo delle Fracchie trasportate serviva per l’uso dell’illuminazione notturna, sia per le feste religiose che per girare al buio nella notte. Riflessioni La scrittrice in queste righe pone in evidenza la congiura dei nemici contro Gesù. Il Messia si assoggetta alla Passione, alla morte. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità… e per toglierci il peccato, per ridarci la grazia. Era giunto il momento in cui Maria santissima avrebbe potuto dare sfogo al suo dolore e all’affetto materno, stringendo al seno e al cuore l’adorato Figlio. Nessuna penna, nessun pennello, nessun scalpello ha mai potuto descrivere questa scena di dolore. Davanti a tale spettacolo immane, la scrittrice non può far altro che riflettere e ammutolire di fronte ai suoi versi. Luigi D’Alessandro FARMACIE di TURNO Aprile - Maggio 2014 Farmacia Matarese 14-20 Aprile 5 -11- 26 Maggio 1 Giugno Farmacia Florio 7 - 13 - 28 Aprile 4 - 19 - 25 Maggio Farmacia Guerriero 6 - 21 -27 Aprile 12 - 18 Maggio AVIS di Apricena Calendario delle donazioni del sangue Domenica 13 Aprile Emoteca di S. Giovanni R.do Domenica 11 Maggio Emoteca di San Severo PROCESSIONE DELLE TORCE (FRACCHIE) – VENERDI’ SANTO Canta la dura pietra della chiesa stasera una lauda tragica e dolce come una preghiera. No, più non suona, più non chiama nel vasto bronzo la campana, e simil a quella di Gerusalemme antica, del popol avanza la fiumana. In cima al monte si solleva in bianche fasce sofferente, il Cristo sanguinante, in Croce innocente. E il fioco lume delle stelle dalla tenebra non ha paura! V’è una Luce là, in alto, che la rompe e l’assicura. Il vento aspro tremula al frizzar, la fiamma apre delle torce accese. Barcolla l’Addolorata ebbra di dolor e fra strade irte di sassi laudi in procession. Con le pie donne avanza la Madonna “Stabat mater! Stava Maria Dolente!”. Da sette spade trafitta pel suo Figlio Innocente. O Madonna Addolorata! Stasera raccogli le nostre voci, e lanciale al di là del mondo sulla Croce del Tuo Figliolo. E l’eco a noi fa ritornar, la voce pacata di quell’Immenso Amore. Pur noi verso il Calvario, in cima ove splende il sole… Andar vogliamo! Servizio Guardia Medica ORARI: Lunedì - Venerdì dalle ore 9:00 alle 12:30 Lunedì - Martedì - Giovedì dalle ore 16:30 alle 18:30 Notturno dalle 20:00 alle 8:00 NOTA: L’orario delle donazioni è dalle 8:30 alle 12:00 e vengono effettuate in via Gen. Torelli, 19 (ex Circolo Federico II) Prefestivo dalle 10:00 alle 20:00 Festivo dalle 8:00 alle 20:00 Numero telefonico: 0882 642054 Servizio di emergenza: 118 Anno XI Numero 130 pag. 20 L’EREDITA’ CONTESA di Aurelio Carraturo Affetto fraterno che non deve mai mancare Sempre più frequente capita di imbatterci in dispute tra fratelli, per un’eredità contesa. Fratelli che da anni non si parlano più, che si odiano, che preferiscono consumare l’eredità per gli avvocati e le cause, piuttosto che mettersi d’accordo, pur di non darla vinta agli altri. Si sparla ingiustamente alle spalle dei fratelli, si getta discredito senza tentare neppure un chiarimento. A volte s’inveisce persino contro i propri genitori, colpevolizzandoli per non aver diviso equamente l’eredità. Sacrificare la propria vita per accumulare ricchezze non è una cosa saggia, ma a volte si sbaglia per eccesso d’amore, per dare ai figli la possibilità di un cammino migliore. Indubbiamente i genitori pensavano che l’eredità sarebbe stato motivo di gratitudine e di affetto e non di divisioni e incomprensioni. Ma succede che l’ingordigia, l’avidità, l’avarizia, l’attaccamento alle cose, alle ricchezze, causano solo amarezze e delusioni. Quante volte, per non incontrare i fratelli, non si è andati ad una festa di parenti, ad un matrimonio, ad un anniversario, ad un battesimo, ad una cresima? Quante volte non si è andati a visitare il fratello o i genitori gravemente malati? Ma quello che più sconvolge è vedere l’assenza di un figlio al funerale della madre o del padre, proprio per non incontrare i fratelli, perché si è convinti di essere stati derubati nella spartizione dell’eredità. A volte per la rabbia si arriva persino ad usare la violenza. Oggi purtroppo viviamo nell’epoca della smemoratezza, perché abbiamo perso la capacità di ricordare il passato. Occorre tornare indietro con la mente, nella casa pa- Cultura La poesia comica del Duecento prof.ssa Alessandra Muti Dimentico per un po’ il presente e le sue noie, m’ intrufolo nel nostro passato culturale e vado con la memoria scolastica al Medioevo, alla poesia comico- realistica... La donna- angelo dello Stilnovo. la sua serafica purezza, il suo recare beatitudine e salvezza all’innamorato, la nobilitante esperienza amorosa cedono il posto, nella seconda metà del Duecento, per contrapposizione, alla volgare prosaicità della vita quotidiana. Si afferma, così, un nuovo modo di fare poesia, un poetare giocoso e burlesco, attento alla realtà degli umani. E’ l’ altro volto dello Stilnovo, è un contrastare la cultura aulica ufficiale. L’amore e la donna si connotano di sensuale fisicità; dalla donna raffinata ed eterea si passa alla ragazza poco di buono, licenziosa, pettegola, talora diabolica, capace di augurare persino la morte al proprio innamorato. E costui, a sua volta, non sembra prediligere i valori dello spirito, loda il denaro e la ricchezza, il vino, il gioco, la vita gaudente e libertina. Aspetti questi che si ritrovano, in circostanze ovviamente diverse, nel mondo d’ oggi, in cui poco spazio si dà ai sentimenti e alla spiritualità e l’alcolismo è sempre più diffuso in una larga fetta di giovani e meno giovani. Gli autori di questa poesia definita comica per l’adozione di uno stile medio, aderente al parlato, nei loro versi spesso aspri e polemici, si fanno beffe dei costumi e dei valori dominanti. Sono poeti che amano l’allegria, che osservano uomini e cose, usando la parodia e la caricatura, per suscitare il riso e creare un clima festoso e gaio. Sono autori che adoperano il dialetto, ma solo sotto il profilo lessicale, perché, in realtà, sono uomini dotti, non sprovveduti culturalmente per la perizia con cui obbediscono alle norme grammaticali e retoriche. Sono poeti appartenenti alla borghesia, protagonisti della vita cittadina di cui fanno parte, sono notai, professionisti, cavalieri etc. La loro non è una poesia popolare, intesa come espressione del popolo, come erroneamente riteneva la critica ottocentesca. E’, invece, una poesia colta che affonda le sue radici in esperienze poetiche precedenti, non esclusa quella goliardica. E’ un modo erudito di esercitarsi stilisticamente, mantenendo una visione disincantata della vita, come fa, ad esempio, il senese Cecco Angiolieri, il più noto esponente di tale indirizzo poetico. Questi decanta la donna, la taverna e il dado, esalta le grazie di donne giovani e leggiadre, scaglia ingiuriosi vituperia contro il padre avaro, che lo lascia a stecchetto, ama una donna tutt’ altro che virtuosa, di nome Becchina. Alla bellezza e grazia ideali sostituisce l’invettiva, la bestemmia, la ribellione e la comicità. E’ questo forse un modo per esorcizzare le angustie della vita e placare le proprie intime frustrazioni. E’un po’ come oggi, in cui la disperazione, la mancanza di prospettive per il futuro, o di sani e saldi punti di riferimento gettano nello sconforto facendo intraprendere percorsi di vita discutibili: prostituzione anche minorile, stupri, droghe, alcolismo etc. La società avanza tecnologicamente e scientificamente ma i mali dell’ anima permangono immutati. Il vero progresso è ancora lontano. terna, dove si è vissuti insieme l’infanzia, dove si è imparato a conoscersi, a rispettarsi, ad aiutarsi, dove ci si è abbracciati, baciati e giocato insieme. Dove si è mangiato allo stessa tavola, si è dormito nella stessa stanza e persino nello stesso letto. Dove si è gioito e pianto con i propri genitori, quando il solo bene che univa era l’amore. Perché siamo così insensati a non capire che l’unica ricchezza che abbiamo è l’amore? che le fortune accumulate non ci salveranno dalla morte, che il tempo che avanza ogni cosa porterà via. Dobbiamo abbandonare il mito della ricchezza come fonte di felicità e di sicurezza del domani. La nostra vita non dipende dai beni, ma dal bene e dall’amore che doniamo. L’accumulo delle cose è spesso un comportamento quasi istintivo, che scaturisce dalla preoccupazione del futuro e della miseria. Ma, forse, è per la paura della morte che ci aggrappiamo alle cose, illudendoci di salvarci. Cultura Anno XI Numero 130 pag. 21 FIDAPA Federazione Internazionale Donne Arti Professioni ed Affari fa capo alla BPW (Business Professional Women) International La fondatrice della F.B.P.W., la statunitense Lena Madesin Philips, nata nel 1881, fu la prima donna a conseguire, nel 1917, la laurea in legge. Successivamente fu ammessa all’esercizio della professione forense. Alla fine del primo conflitto mondiale, il governo degli Stati Uniti d’ America, pensò di utilizzare le energie femminili che, durante il corso della guerra, avevano dato prova di serietà, impegno e capacità, sostituendo gli uomini impegnati in attività belliche. Fu così affidato a Lena Madesin l’ incarico di organizzare le donne lavoratrici, per inserirle nella Y.W.C.A. (Young Women ‘s Christian Association). Questa esperienze le permise di procedere al censimento delle donne americane impegnate nelle professioni e negli affari e, successivamente, di cerare dei Circoli in varie città. Nel 1919 la Madesin organizzò una grande assemblea a St. Louis, per Coordinare il lavoro e l’ attività dei Clubs e nell’occasione fu fondata la F.B.P.W. L’ Associazione era intesa a “potenziare il senso di responsabilità nella donna lavoratrice, elevarne il livello di cultura e di preparazione, renderla idonea ad intraprendere qualsiasi carriera, senza discriminazione di sesso e di razza”. Lena Madesin auspicava, nel Suo programma, di divulgare l’ Associazione in tutto il mondo, dichiarandosi convinta che una Federazione Internazionale di donne dedite agli affari e alle professioni avesse “una grande missione, non solo potendo far molto per le donne in se stesse, per la loro emancipazione e l’aumento del loro prestigio nell’ambiente sociale del Paese in cui vivevano, ma giovando anche ad una maggiore comprensione tra le appartenenti a nazioni e civiltà diverse”. Per attuare il suo programma, la nostra fondatrice intraprese dal 1928 al 1930 I cosiddetti “viaggi di buona volontà (good will-tours), Con lo scopo di sollecitare le autorità dei Paesi visitati ad individuare e promuovere l’ attività produttiva femminile. Si recò dapprima in Europa, (Francia, Inghilterra, Austria, Belgio e Italia) e quando giudicò maturi i tempi, nell’agosto 1930, decise di riunire le Federazioni Nazionali di Austria, Canada, Francia, Inghilterra, Italia e Stati Uniti in una grande assemblea a Ginevra, dove, alla presenza di due rappresentanti delle Società delle Nazioni, fondò l’I.F.B.P.W. (Federazione Internazionale Donne Professioni e Affari) e ne assunse la presidenza che tenne fino al 1947. Dopo un periodo di silenzio, dovuto agli eventi bellici della seconda guerra mondiale, Lena Madesin Phlips si adoperò per ricostituire le Federazioni che avevano interrotto l’attività e per fondarne altre. La Fondatrice morì nel maggio 1955 a Marsiglia. Oggi la B.P. W. Internazional svolge molteplici compiti, avvalendosi di socie altamente qualificate che fanno parte di Commissioni permanenti quali: Agricoltura, Ambiente, Commercio e Tecnologia, Legislazione, Proselitismo, Rapporti con l’ONU, Salute, Sviluppo-FormazioneImpiego. E’ organo consultivo di prima categoria presso le Nazioni Unite; collabora con la F.A.O., l’U.N.E.S.C.O., l’I.L.O., l’O.M.S. (agenzie che si dedicano rispettivamente ai problemi dell‘alimentazione, della cultura, del lavoro e della sanità) Il Comitato Esecutivo della Federazione Internazionale viene eletto ogni tre anni, in occasione di un congresso, durante il quale si conclude il tema internazionale svolto nel triennio precedente e ne viene proposto uno nuovo, in base alle indicazioni fornite dai club sparsi nel mondo. Il logo BPW riproduce i due emisferi del globo terrestre. La dott.ssa Livia Ricci fu la prima italiana eletta, nel 1993, alla carica di Presidente Internazionale. Federazione. Ogni candela BLU rappresenta un paese dove c’è almeno un Club Associato. Le candele ROSA rappresentano le Socie Individuali. La candela bianca più alta rappresenta la Federazione Internazionale, alla quale le donne di tutto il mondo guardano come ad un faro (Accende la candela più alta l’Autorità Fidapa più alto grado ). Si accendono le candele bianche per ognuna delle Federazioni Fondatrici della BPW International che sono: Italia, Austria, Canada, Francia, Regno Unito, Stati Uniti d’America (per l’Italia accende la candela la Presidente di Sezione). Seguono poi le accensioni delle rimanenti candele BIANCHE che rappresentano le Federazioni presenti nei seguenti paesi: Argentina, Giappone, Sudan, Australia, Giordania, Svezia, Bangladesh, Indonesia, Svizzera, Belgio, Irlanda, TaiCERIMONIA DELLE CANDELE landia, Brasile, Messico, Taiwan, Cile, Le socie si incontrano per rendere un Nepal, Turchia, Cipro, Nigeria, Corea, omaggio speciale ad una delle più in- Nuova Zelanda, Ecuador, Paesi Bassi, fluenti organizzazioni del mondo, la In- Egitto, Pakistan, Estonia, Polonia, Finlanternational Federation of Business and dia, Singapore, Germania, Spagna. Professional Women, di cui la FIDAPA Successivamente vengono onorati i fa parte, che riunisce le donne di tutto il Clubs Associati nei seguenti Paesi, acmondo. Nata 84 anni fa, oggi la BPW cendendo le candele BLU (si nomina(Business and Professional Women) è un’ no i Paesi lentamente): Antille Olandesi, organizzazione dinamica e potente, d’im- Kuwait, Slovacchia, Barbados, Benin, portanza mondiale. La pubblica opinione Islanda, Sud Africa, Bermuda, India, Sri e la legislazione sono state influenzate Lanka, Bulgaria, Johannesburg, Togo, dal suo lavoro in molti paesi. La sua fon- Burkina Faso, Jamaica, Ucraina, Bolidatrice Dr. Lena Madesin Phillips volle via, Lettonia, Ungheria, Cambogia, Mali, introdurre la Cerimonia delle Candele per Zambia, Camerun, Malta, Romania, Cosimboleggiare un abbraccio con tutti i Pa- sta D’avorio, Moldavia, Norvegia. Isole esi aderenti. Rappresentando la sua voce Cayman, Mongolia, Isdraele, Niger, Isole alle Nazioni Unite, la BPW porta a questa Cook, Palestina, Cina, Hong Kong, Panaistituzione mondiale le informazioni e le ma, Costarica, Papua, Croazia, Repubopinioni espresse dalle Affiliate interna- blica Ceca, El Salvador, Repubblica del zionali. Essa gode di Status Consultivo Congo, Grecia, Federazione Russa, Haipresso il Consiglio Economico e Sociale ti, Samoa, Kenya, Serbia. delle Nazioni Unite. Ha anche lo status Si onorano, poi, le SOCIE INDIVIDUALI Consultivo presso l’UNESCO, l’UNICEF, presenti, accendendo le candele ROSA e l’Ufficio Internazionale del Lavoro, l’Or- al termine della Cerimonia delle Candele, ganizzazione delle Nazioni Unite per lo la socia più giovane accende la candela Sviluppo Industriale e l’Organizzazione Verde del FUTURO. Con questa candeMondiale della Sanità. Lavora in stretto la accesa, esse riaffermano l’ obiettivo di contatto con la Commissione per i Diritti proseguire il cammino con determinazioUmani e la Commissione per lo Status ne, con coraggio e con entusiasmo, nella delle Donne, la FAO, il Fondo Interna- speranza che venga pienamente riconozionale per lo Sviluppo dell’Agricoltura, il sciuto il loro apporto nei campi economiConsiglio d’Europa ed altre agenzie spe- co, sociale e politico e confermando la cializzate. loro volontà di continuare ad impegnarsi Le candele simboleggiano le ambizio- per creare un mondo di giustizia sociale ni e l’opera delle donne impegnate in per tutti e quella pace alla quale tutto il tutti i paesi del mondo. mondo aspira. La cerimonia termina con Ogni candela BIANCA rappresenta una la recita della Preghiera internazionale. Anno XI Numero 130 pag. 22 Cultura La prima scampagnata primaverile -19 Marzodell’antica civiltà contadina sannicandrese di Antonio Monte da Milano In ogni angolo del Gargano vi è posto un frammento di storia i cui avvenimenti non tutti sono documentabili. Gli stessi episodi raccontati, si modificano poi nel tempo e così che dalla storia passano alla leggenda. Le scosse di terremoto e il caldo torrido verso l’inizio degli anni cinquanta, non consentivano di far dormire la popolazione sannicandrese. Nelle notti di quell’estate, gli abitanti del rione “vigna di Brenna” solevano riunirsi nella strada di via Ariosto, formando un semicerchio per recitare il Santo Rosario con di fronte la chiesetta di San Giuseppe bene in vista, invocando San Michele per ogni scossa. Alla domanda sul perché s’invoca San Michele? Così la risposta: “l’Angelo cattivo nelle sembianze di serpente ha convinto Adamo a mangiare la mela. L’Angelo punito da Dio per la vergogna si rifugiò in fondo alla cavità terrestre ed ogni volta che tenta di risalire alla superficie provoca il terremoto. San Michele è il Cavaliere Dominatore del serpente”. Terminato il rosario le persone anziane raccontavano storie di avvenimenti antichi. In quell’occasione sono venuto a conoscenza delle origini della scampagnata, tradizione ancora oggi ricorrente (in misura ridotta) ogni 19 Marzo (l’onomastico di San Giuseppe, Padre putativo di Gesù é l’attuale festa del papà). Questo il racconto: Un giovane di nome Giuseppe è nato da una relazione occasionale fra una domestica e un signore benestante il quale, per non infangare la sua reputazione, destinò da subito la mamma e il figlio in una località lontana e ben isolata dal resto del paese. Il ragazzo rimasto poi orfano continuò a lavorare nei campi in qualità di garzone senza mai scendere al paese. Il giovane desiderava conoscere altri luoghi, altra gente e soprattutto visitare il paesello dove i compagni di lavoro trascorrevano le festività e al loro ritorno raccontavano molti particolari, suscitando ancor di più la sua curiosità tanto che si sarebbe accontentato di vederlo almeno da lontano. Un giorno era intento a preparare il terreno per la piantagione della vigna, lavoro molto duro e faticoso che consiste nel rimuovere il terreno in profondità, ripulirlo da ogni erbaccia e togliere qualche sasso incastrato. La giornata era ancora invernale ma soleggiata, il cielo era limpido e celeste. Ogni tanto si sdraiava per terra con il viso rivolto verso l’alto per riposare la schiena; la distanza dal cielo era tanta, forse la stessa che lo separava dal paese, così immaginava e si rassegnava. La solitudine di tutta la sua esistenza e il mancato contatto con altri suoi simili travisavano le dimensioni della realtà. Il cielo è vero che è distante ed immenso, ma ha la capacità di ascoltare, di vedere le azioni, i desideri, i lamenti, i sentimenti buoni e cattivi di tutta l’umanità e nel tempo, questi vengono premiati, esauditi, placati e manifestati. Il giovane aveva con sé quattro arnesi per poter espletare quel tipo di lavoro: una zappa, un piccone, una vanga e una mazzetta. Nel mentre era intento a lavorare, un’ improvvisa tromba d’aria lo sollevò, trasportandolo via e con lui tutti gli attrezzi. Per alcuni giorni non si ebbero notizie. Tutti i luoghi del Gargano erano frequentati da pellegrini che venivano dai paesi lontani per sostare e visitare i luoghi sacri dove diverse Divinità avevano dimorato. Il Promontorio fin dall’era pagana era famoso per la sua posizione di come ruota intorno al sole, per il suo clima, per il punto d’incontro di tutti i venti, per le correnti che rendono l’aria pura, per essere baciato dal mare, per essere ammirato dalle costellazioni più celebri e per essere coronato dalle mezze fasi lunari; luogo serio e antico dove i Pellegrini venivano e vengono a rigenerarsi di energie Spirituali. Un pellegrino, attraversando la cima della collina in mezzo a un bosco fitto di alberi di ulivi e di lecci, il giorno del 19 marzo, avvistò il corpo di un giovane seduto, con gli occhi ancora spalancati, come fosse vivo e come se ammirasse il paese visibile in ogni sua parte. Le spalle erano sorrette da un muretto a forma di semicerchio come una nicchia e a lui accanto: una zappa, una vanga, un piccone e una mazzetta. Era il cadavere di Giuseppe venuto da lontano, caduto dal cielo. Sotto di lui la vista completa del paese di Sannicandro quasi a portata di mano. Fu sepolto in quel luogo e tutti quei sassi furono adoperati per fare una casetta rurale. Questo racconto è privo di documentazione, mentre esiste quella relativa ai nomi degli eremiti che abitarono per mezzo secolo in quel luogo intorno al 1700: Giuseppe Ferrandino da Cagnano fino al 29.06.1717 Cataldo D’Augello al 08.09.1719 Giuseppe Birardo al 20.03.1730 Stefano Martuccio al 17.04.1741 Alessandro Scuro da Laino al 1743 Nicolò Rinaldi al 20.05.1753 Verso la metà dell’800 fu costruita la chiesetta. La popolazione sannicandrese ogni 19 marzo, onomastico di San Giuseppe, andava in pellegrinaggio, ascoltava la Messa solenne e dopo consumava all’aperto i cibi che portava da casa. La data coincide con l’addio dell’inverno e con l’arrivo della primavera. Infatti, il sentiero che collega la chiesetta al paese è ricco di viole che venivano utilizzate per ornare l’Altare. I ragazzi poveri si impegnavano alla buona riuscita della composizione delle viole per barattare i mazzolini con qualche uovo sodo o con un pezzo di frittata. Per tutti loro era una grande festa, l’arrivo della primavera rappresentava la rinascita, la fine delle sofferenze patite dalle lunghe giornate fredde invernali. L’aria oltre al profumo dei fiori era invasa dagli odori dei cibi che i pellegrini portavano per mangiare dietro la chiesetta, mettendo tutte le pietanze in comune: frittate, caciocavallo, pezzo di maiale stagionato, lampascioni cucinati al forno, ricotte e scamorze; ognuno offriva il meglio della scorta in casa e per l’occorrenza venivano preparati i dolciumi come: peperati, taralli, biscottini con il seme di anice e le ciambelle. Il vino nostrano era posto nel fiasco che veniva passato di mano in mano dei partecipanti. Negli anni cinquanta ricordo che si brindava con la Birra Peroni misto alla gassosa e con l’aranciata chimica (acqua, bustina di polvere effervescente e fialette di essenza d’arancio). Si cantava fino a sera “quel mazzolin di viole che vien dalla montagna e guarda ben che non si bagna te lo voglio regalar”. Il tentativo di regalare un mazzolino di viole ad una ragazza, pur non muovendo le labbra tanto era lo sguardo a recitare, era per sé un atto di coraggio e se per caso veniva accettato rappresentava una vera conquista. La collina di San Giuseppe è di certo un luogo sacro e suggestivo, persino i venti fanno mulinello e soffiano sempre un’aria fresca messaggera di fratellanza e di bontà. Anno XI Numero 130 pag. 23 Tradizione I RACCONTI DEL MARESCIALLO di Lillino Tantimonaco NONNO PANTALEO (Favola) PREMESSA Quando gli acciacchi del tempo prendono il sopravvento sulla persona anziana, si assiste, non proprio benevolmente, ad episodi che danno la stura ad espressioni poco educative, quali: “che brutta cosa la vecchiaia”; oppure “perché i familiari non lo portano in qualche ospizio?”. E altri epiteti dispregiativi che non meritano di essere menzionati. Si sa che il tempo si accumula al tempo, dando origine ad un altro tempo di vita, fatto di debolezza fisica e acciacchi vari che non permettono più alla persona un valido assetto sociale… Il Signor Pantaleo mentre era intento a pulire con una pezzuola le lenti degli occhiali, questi ultimi scivolando dalle mani tremanti, cadevano a terra rompendosi in due-tre pezzi. Il povero Pantaleo si vergognava dell’accaduto, ma la nuora intervenendo disse: Vuol dire che ti compreremo occhiali di plastica in modo che non abbiano a rompersi. Nel frattempo il piccolo Michelino a protezione del nonno, raccattava da terra i pezzi rotti degli occhiali… “Che stai facendo”, chiese la mamma; e il piccolo rispose: “Cercherò di riappiccicare i vetri rotti degli occhiali da dare a te, mamma, quando sarò grande”. Quelle parole sferzate del piccolo Mi- chelino ottenebrarono le menti di Gianluca e di Dorina; i genitori si guardarono, i loro occhi si fecero lucidi-lucidi, già colmi di pianto da non poter più frenare. R’SPETT’ A LU NONN Fu così che dal giorno dopo in poi, nonno Pantaleo riprese il posto a tavola con loro avendo vicino il piccolo Michelino… RISPETTO AL NONNO Ogn’ fabbulétt’ te la murél’, quèss scritt’ appén sòp’, lu fa capì p’cchè jè naturél’: c’ r’spètt’ u nonn mò e nnò dòp’… Quedda poca cord’ rumés’ adda jèss’ d’ giòj, senza d’lòr’, po jèss’ deciann’ oppuramènt’ nu més’: “che béll’ u r’spètt’ fatt’ d’ còr”… Ogni favola ha la morale, questa scritta appena sopra, lo fa capire perché naturale: si rispetta il nonno ora non dopo Quella poca corda rimasta deve essere di gioia, senza dolori può essere dieci anni oppure un mese: “che bello il rispetto fatto di cuore”… AMICI A QUATTRO ZAMPE Ai lettori dei miei racconti rivolgo le seguenti domande: “Vi siete mai chiesti cosa penserà di noi umani un gatto mentre ci osserva con quella sua aria sorniona? E il cane, cosa cercherà di dirci con quei guaiti insistenti quando rientriamo a casa?”. Forse una risposta c’è: “I gatti, per esempio, pensano che l’uomo sia un micio più grande; a questo ci viene in aiuto la scienza, la quale consiglia di essere “noi” i migliori amici del felino. Comunque va detto che solo in Italia l’amore per questi micio/a sono in ascesa sempre di più. Da noi ci sono i siti specializzati che si chiedono come agiscono gli animali. Già: che cosa si nasconde nella mente degli animali? La domanda sta facendo (da una ricerca) letteralmente boom. Infatti un gruppo di scienziati ha di recente messo a punto un dispositivo che dovrebbe tradurre in linguaggio umano i latrati dei cani; mentre per i gatti che dicono e non dicono, l’impresa è più ardua, ma prima o poi anche le fusa e lo “struscio” del felino sulle gambe umane sarà un linguaggio. “Il rapporto con gli animali domestici si è evoluto”. Un tempo li consideravamo strumenti: “guardiani delle nostre case e cacciatori di topi, non disgiunte da rapporti amicali (amici della solitudine). E, ancora, quale sentimento manifestiamo, allorché la stampa ci mette al corrente di un fatto di cronaca dove sono protagonisti gli amici a quattro zampe? E qual è l’intrinseco linguaggio che loro manifestano al fatto di cronaca nella convinzione di renderlo comprendibile all’uomo? (vedi un salvataggio di un INCONTRO (il cane Argo e la gatta Mabél’) Na matin’ d’ sòl ardènt’ ‘ndà na vij stretta-strettétt’ c’ so ‘ncuntrét’, p’nu mumént’, Argo e Mabél’, k li vook ancòr vrétt’… Miaoo! Mabél’ v’dènn’ l’amik, Bau-Bau! R’sponn’ Argo tutt’arrajèt’… Jèv’ lu salut’ d’ sapòr’ antik, còm’ s’ fuss’ na còs’ amm’z’jèt’… Miaoo! Frr’! Frr’! p’cchè sta arrajèt? Bau! Grr! A mmè m’ batt’ancòr’ lu còr’, stanott’ da lu ‘ncappaken sim scappèt’ ‘ndà lu jattarul so rumès cu drét’ da for. Grr! Grr! U ‘ncappaken ce d’v’rtut’, K quiddi men’ ca parév’n’ curr’jiul’, li palet’ addrét’ manna d’strutt’; tutt’ p ‘ f’ccarm’ dinda lu jattarul’… bimbo in pericolo in mare o in un fiume) o l’allarme che riescono a dare, utile a scongiurare un pericolo? Ecco dove si trova l’importanza sulla relazione dell’uomo con gli amici a quattro zampe. Capire e tradurre in parole le fusa e le moine di un gatto e lo scodinzolare di un cane… MIAOOO!!!BAU BAU!!! INCONTRO (il cane Argo e la gatta Mabél) Una mattina di sole ardente in una via stretta-stretta, si sono incontrati per un momento Argo e Mabél’ con le bocche ancora sporche. Miaoo! Dice Mabél vedendo l’amico, Bau-Bau! Risponde Argo molto arrabbiato… Era il saluto di sapor ancestrale, come se fosse una cosa già studiata… Miaoo! Frr-Frr! Perché sei arrabbiato? Bau! Grr! A me batte ancora il cuore, Stanotte fuggendo dall’accalappiacane Dal buco del gatto col didietro fuori Grr! Grr! L’accalappiacane si è divertito, con quelle mani che sembrano di ferro, le botte prese mi hanno distrutto; tutto per riparare nel tuo buco… s i p p i l 7 7 i 8 1 l F a d e D Un percorso che continua, nell’universo del lusso, accogliendo gioielli di elevata raffinatezza. Gioielleria Centro Assistenza Store Ottaviani Orologeria Liste nozze C.so Generale Torelli, 48-50 APRICENA (FG) - tel 0882 642064 Argenteria Bomboniere
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