Città Viva Aprile 2014 - apricenacittaviva.it

Anno XI - Numero 130- Aprile 2014
cittàviva.com
URBAN SECURITY
Anno XI
Numero 130
pag. 2
Editoriale
URBAN SECURITY:
avanguardia della tecnologia ed alta professionalita’ nel settore della vigilanza privata
Nel giugno
del 2011 la
soc. coop.
ar.l. “Urban
Security”
riceveva
licenza
prefettizia
per l’espletamento
del servizio di vigilanza privata, tra gli altri, nel
comune di Apricena. L’Istituto di vigilanza opera sotto la direzione del sig.
Antonio Caso, che ha maturato svariati
anni di esperienza nel settore, avendo
prestato servizio quale guardia giurata
particolare. Da tutti conosciuta come la
“Vigilanza di Apricena”, l’Urban Security annovera oltre venti dipendenti altamente qualificati nel settore, molti dei
quali di giovane età.
L’avanguardia, che caratterizza l’Istituto, la si coglie già nell’organizzazione
sociale, che prevede – unica nel settore – la presenza di un manager della
sicurezza aziendale, nella persona del
sig. Aldo Caso.
Un’ampia ed attrezzatissima sala operativa, efficiente 24 ore su 24, rappresenta il giusto corollario alla professionalità che contraddistingue l’attività
dell’Urban Security, che gode delle certificazioni di qualità UNI – EN – ISO
9001:2008 ed UNI 10891:2000. Fra i
servizi altamente tecnologici che l’Istituto offre spicca la videosorveglianza,
che consente una gestione attraverso la
sala operativa delle immagini continue,
provenienti da impianti installati nei siti
sorvegliati. Personale presente in sala
operativa senza sosta monitora le videoregistrazioni e, in caso di intrusioni
ovvero danneggiamenti nell’ambito del
sito protetto, l’operatore in centrale segnala prontamente l’accaduto alla pattuglia, che immediatamente interviene
in loco. L’Urban Security offre il servizio
antirapina attraverso la vigilanza interna ed esterna di istituti di credito ovvero uffici postali. Anche in questo caso, il
personale operante durante il servizio
antirapina è costantemente in contatto
con la centrale operativa. Il servizio di
pattugliamento cittadino e aziendale è
l’attività tipica dell’Istituto di vigilanza,
svolto mediante una serie di “passaggi”
durante fasce orarie al fine di prevenire
eventi delittuosi. Tale servizio è svolto
mediante autopattuglie collegate con
Avv. Fabio Carbone
la centrale operativa. Particolarmente
indicato per esercizi commerciali ed
istituti di credito, è il servizio di vigilanza fissa, effettuato dall’Urban Security attraverso il piantonamento interno
e/o esterno del sito protetto da parte
di una o più guardie giurate, secondo la sensibilità dell’esercizio ovvero
dell’istituto, al fine di prevenire azioni
delittuose, quali furti e rapine. Esso
viene espletato attraverso la vigilanza
armata del sito, un presidio fisso di assistenza clienti, controllo in entrata ed
uscita. Ogni anomalia ovvero evento
delittuoso vengono segnalati alla centrale operativa ed alle Forze dell’Ordine
per le dovute procedure d’intervento.
Tutto ciò, in ossequio al Regolamento
di Servizio approvato dalla Questura.
Ulteriore servizio di vigilanza, contraddistinto da un’alta tecnologia degli impianti di sorveglianza, è rappresentato
dal sistema di radio allarme, installato
nei siti protetti, al fine di prevenire furti,
rapine ovvero danneggiamenti. Nella
fattispecie, un segnalatore, installato
nel sito monitorato, in caso di tentativo
di effrazione ovvero di ingresso abusivo, segnala immediatamente alla centrale operativa l’anomalia. L’operatore
in centrale comunica prontamente alla
pattuglia la segnalazione d’allarme e
la provenienza dello stesso, invitando
la pattuglia a dirigersi prontamente sul
posto al fine di riscontrare la segnalazione. L’ispezione della pattuglia, in
questo caso, è sia esterna che interna
al sito, accertandosi delle condizioni
del luogo. In caso di esito positivo, la
pattuglia è immediatamente coadiuvata
da rinforzi ed il tutto viene prontamente
segnalato alle Forze dell’Ordine per gli
opportuni interventi.
I servizi offerti dall’Istituto di vigilanza
Urban Security si estendono anche
all’antitaccheggio, al controllo di accessi, al portierato, alla security per eventi. Fiore all’occhiello la sua affiliazione
all’U.N.I.V. – Federsicurezza, il sindacato nazionale degli istituti di vigilanza,
avendo, peraltro, partecipato con una
delegazione all’ultimo congresso nazionale. Consulente legale dell’Urban
Security è l’avv.Fabio Carbone, che recentemente ha ottenuto una prestigiosa
vittoria dinanzi al T.A.R. Puglia – sede
di Bari – in difesa dell’Istituto di vigilanza Urban Security. Professionalità rino-
mata del personale dipendente ed alta
tecnologia degli impianti di sicurezza e
di sorveglianza rappresentano la diade
dei valori che ispirano l’operato dell’Urban Security.
Fregiandosi di questi requisiti notori,
l’Urban Security è al servizio di commercianti, di imprenditori, di istituti di
credito, di enti pubblici, assicurando
la propria costante presenza in tutto il
territorio di Apricena e comuni viciniori
a tutela dell’intera collettività, offrendo
l’avanguardia dei servizi di vigilanza
per garantire la massima sicurezza di
privati ed aziende.
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SEBASTIANO MUTI EDITORE
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Periodico mensile
Registrazione del Tribunale di Lucera
N. 118 del 25/06/2004
DIRETTORE RESPONSABILE
Sebastiano MUTI
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COMITATO DI REDAZIONE
Alberto Galante, Peppino Bonfitto, Lillino
Tantimonaco, Giuseppe L. Matera, Francesca Mobilio, Giuseppe Bonfitto, Nicky Violano, Guendalina Di Nunzio, Arnold La Porta.
HANNO COLLABORATO
FIDAPA, Leonarda Napolitano, Alessandro Muti, Maria Leonarda Milone, Fabio
Carbone, Emma Papa, Antonio Fernando
Lombardi, Aurelio Carraturo, Dott. Felice
Clima, Alessandra Muti, Antonio Monte da
Milano
REDAZIONE CITTÀVIVA
Via Pozzo Salso, 66 - 71011 Apricena (Italy)
Tiratura 300 copie
Chiuso in stampa il 4 aprile 2014
Attualità
I LIONS E L’ISTITUTO
TORELLI-FIORITTI
di Alessandro Muti
““Sono trascorsi molti anni dall’inizio
della collaborazione fattiva tra i Lions
Club di San Marco in Lamis e la scuola secondaria di I grado “Fioritti”- culminata con il concorso “Un poster
per la Pace”- così ha precisato l’ex
Preside, professor Arduino Albanese, chiamato sul palco del teatro “Matteo Salvatore”dall’attuale
Dirigente scolastica, prof.ssa Maria Grazia Nargiso”” .
Martedì, 25 Marzo, alle ore 17:30,
il past presidente dei Lions Club,
prof.ssa Emma Papa, ha consegnato alla Dirigente Scolastica,
Maria Grazia Nargiso, lo Stendardo, simbolo del nuovo percorso
che lega la Elementari e le Medie
in un’unica realtà denominata “Istituto Comprensivo”. “Un percorso -ha ribadito, la prof.ssa Nargiso- consolidato
dai legami di una proficua collaborazione tra i due Istituti, che hanno intrapreso impegni ed obiettivi comuni e che i
Lions hanno voluto sottolineare, con il
loro gradito omaggio”. Senza dubbio è
stata una cerimonia importante quella
di martedì, che ha ufficializzato il percorso tra le due Scuole, allietata dal
coro delle voci bianche composto da
sessantaquattro alunni delle Elemen-
tari magistralmente guidato
dall’insegnante di musica,
dott.ssa Rosanna Pasqua.
Quest’ultimi, in una sala
gremita di gente, hanno
intonato l’Inno Nazionale
ed hanno proseguito, interpretando altre arie, una
delle quali richiesta a gran
voce come “Bis”. Ha fatto
seguito il Concerto degli
alunni della scuola media,
che hanno suonato la nona
sinfonia di Beethoven ed
altre musiche, dimostrando una buona
padronanza dell’utilizzo dei loro strumenti musicali (violino, chitarra, piano-
forte, flauto) e una buona preparazione
musicale, merito da attribuire agli insegnanti, Carlo Tricarico, Antonella Cirelli, Eva Longo e Raffaele Contessa. La
manifestazione è stata realizzata con il
patrocinio del Comune di Apricena, ma
va dato il merito ai Lions Club di San
Marco in Lamis l’impegno e la sensibilità dimostrati verso la scuola di Apricena, che sicuramente continueranno nel
futuro con altrettanti iniziative, frutto di
Stima reciproca che li lega da anni.
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VECCHI
“SCARTI”
nostalgia di un evento
di Niky Violano
Dieci anni dalla
terza edizione di
Scarti. Sono lontani
gli anni del fervore
culturale con cui
era animata la città
di Apricena.“Scarti,
sono tutti quei materiali che per varie
ragioni non sono
più utilizzati e messi da parte, spesso
abbandonati al degrado e all’incuria del
tempo che li trasforma in rifiuti; residui
di una società in continua trasformazione”. Questo il principio con cui sono
stati concepiti gli allestimenti degli spazi coinvolti nella manifestazione.
Oggetti della quotidianità legata alle
macchine, all’uomo, alla natura, in spazi che si sostituiscono a esposizioni formali da museo, nessuna innovazione
tecnologica, solo idee. Le installazioni, in ogni occasione, accompagnano
dall’esterno all’interno il visitatore, introducendolo nella narrazione che lega
il percorso alle soste. Tra gli scenari
vi sono un vecchio macello pubblico
situato nel perimetro della città, la cui
dismissione dei locali con le sue macchine e margine sono i punti chiave per
far rientrare il luogo tra le scelte, il mercato coperto, un vecchio casolare la cui
facciata è stata riutilizzata in occasione
dell’evento come un’enorme insegna,
un ex-carcere mai utilizzato, grande
vuoto urbano della città. Gli scarti della
memoria, sono alcuni vestiti, delle scarpe; gli scarti della produzione, pietre,
scogli, piccoli inerti, assi di legno, ferro,
teli e vernice. Nella società degli scarti,
abitare gli spazi dell’abbandono con il
lavoro, con le residenze, con lo svago,
oltrepassando la configurazione del “rifiuto” è una grande operazione, prima
culturale, poi etica.
Anno XI
Numero 130
pag. 4
Attualità
Cosa passa il convento?
di Sebastiano Muti
È alquanto magro
il cibo che
h a n n o
offerto.
Voglio intendere
che non
h a n n o
avuto l’intelligenza di capire che non
erano all’altezza e non potevano dare
più di quanto potessero, cioè poco o
nulla. È stato imbarazzante ascoltarli
quando presentavano i loro programmi
che sapevano non sarebbero mai stati
realizzati. Noi, italiani di buona fede, in
loro abbiamo creduto per decenni, sperando che dessero segnali di ravvedimento. I politici nostrani, però, ci rappresentano, perché appartengono al
nostro mondo costruito sulla facile cultura, sulla raccomandazione, mettendo sullo stesso piano persone
degne e non, a scapito del merito e
della professionalità. La nostra Italia
sta annegando, facendo emergere
l’arroganza e la loro ignavia, mettendo alla disperazione il mondo
culturale, produttivo e operaio che
aspirano ad un sano ed intelligente
“Cambio di Rotta”. Oggi, 14 febbraio, abbiamo alla ribalta delle cronache politiche del teatro nazionale
due signori: il segretario nazionale
del PD, Matteo Renzi, Sindaco di
Firenze e l’ormai ex primo ministro,
Enrico Letta, anch’egli del PD. Sono
due giovani di diverso temperamento e
differente modo di affrontare i problemi:
il primo, Renzi, è pieno di energia, è un
toscanaccio in senso buono, dotato di
sana e furbesca ironia, pieno di iniziative e non omologato. Il secondo, Letta,
è pacioccone, più votato all’ascetismo
e alla contemplazione che all’azione.
Poca cosa in questi tempi in cui ci vogliono coraggio, immediatezza decisionale e azioni per risollevare le sorti
d’Italia che sono state compromesse
anche a causa della provvisorietà dei
tanti governi che si sono avvicendati ,
nati solo per galleggiare e conservare
i privilegi, ma non per governare e fare
le dovute riforme. Letta ha ceduto le
armi, sia pure con ritrosia e rammarico ed ha lasciato libero spazio a Renzi
che si accinge a tentare l’avventura del
Governo. Quest’ultimo ha coraggio da
vendere e bisogna riconoscergli la forza di volontà e questa sua consapevole
incoscienza, che lo costringeranno a
dare e fare quello che non è stato dato
e fatto in questi più di sessanta anni di
Repubblica Parlamentare, in cui due
Camere (Senato e Camera dei Deputati) hanno rallentato e offeso l’economia, vilipeso la Cultura e privilegiato i
mediocri . Se riesce a riportare l’Italia in
sicurezza, risolvendo i problemi, ridando l’orgoglio perso in campo internazionale, tutto sarà facile per lui. Dovrà
combattere, dovrà spronare e agire.
Non importa se il suo Governo che verrà non è stato votato dagli italiani e il
suo predecessore è stato sfiduciato al
di fuori del parlamento. Sono passaggi
che fanno perdere tempo nell’attuale
momento storico e sono espedienti che
i partiti pongono per dare una giustificazione alle loro carenze di idee e per
nascondere le loro responsabilità. Agli
italiani importa il risultato (lavoro, economia, scuola, grandi opere, famiglia,
sicurezza e ricerca) e se Renzi che non
è parlamentare, ma Sindaco di Firenze lo raggiunge, avremmo qualcosa da
ridire? Sta ora a Berlusconi (anch’egli
grande innovatore e politico anomalo)
e a Forza Italia, suo partito di riferimento, prendere l’iniziativa e rincorrere la
velocità che impone questo giovane
trentanovenne, che non lo nasconde
ipocritamente, conferma di essere arrivista. Del resto, chi non lo è, entrando
in politica? Se dimostra capacità e ottiene i risultati, allora chi se ne frega!!!
Ebbene, Renzi e tutto il PD ci mettono
la faccia e l’onore in questa avventura.
Vediamoli all’opera. Sarà una bella partita e mi scuso con il movimento “Cinque Stelle”, che non ha dove andare,
facendo del suo cavallo di battaglia,
la giusta Protesta, un motivo di legittimazione popolare che non merita di
avere, perché ovvia e non originale.
Ma, il “Convento” non ha più risorse e
bisogna mutare atteggiamento, adottare provvedimenti sia pure in contrasto
al dettato della Comunità Europea. Si
dice a gran voce, che la nostra bella
Nazione ha perso la sua sovranità e
che ci comandano la Bce e la Merkel, di
teutonica schiatta. È ora di invertire la
rotta e di allontanare questi sospetti. Se
Renzi ci riesce e ci ridà dignità, mettendoci la FACCIA, ben venga e… W il re!
P.S L’articolo sopra riportato (nelle ultime righe è deliberatamente
provocatorio) è stato pubblicato
su Facebook (Città Viva Apricena e
Dintorni) ed ha consentito a molti di
fare le loro valutazioni e di esprimere le loro idee, anche dissentendo
da quanto da me espresso (in modo
provocatorio, lo ammetto). Sono
dell’avviso che il giornale debba
dare opportunità di civile dialogo
e discussione, che debba essere
stimolante, che arricchisca ed
informi. Vorrei anche ricordare che dal 1994 ad oggi, ci sono
stati sei (il sesto sarebbe Renzi)
Presidenti di Consiglio che non
hanno avuto mandato popolare,
ma che sono stati nominati previo accordi politici (di palazzo).
Nulla di incostituzionale, ma evidentemente tale pratica è diventata una regola. Come fare per
evitarla? Ci necessita una legge
elettorale che dia una maggioranza parlamentare alla coalizione che
esce vincente dalle urne e che consenta al leader di poter governare
per cinque anni, salvo ritornare alle
elezioni se il Governo viene sfiduciato nel corso d’opera (qui ci vuole
anche una norma costituzionale che
modifichi la precedente). Di seguito
elenco i nominativi dei sei che hanno sostituito gli eletti dal popolo:
•
1995-Berlusconi fu sostituito da Dini;
•
1998/2001- Prodi fu sostituito da D’Alema e poi da
Amato;
•
2011- Berlusconi fu sostituito da Monti;
•
2013- Bersani fu sostituito
da Letta e poi da Renzi.
Attualità
Anno XI
Numero 130
pag. 5
BUONA PASQUA
(Buon Passaggio a Nuova Vita)
“Per il Cristianesimo la festività della Santa Pasqua sta a indicare il passaggio dalla Morte alla
Vita di Gesù nostro Signore e per tutti noi cristiani il passaggio alla nuova Vita”.
La Redazione augura a tutti i cittadini quel passaggio alla Vita Nuova di cui la Città di Apricena
necessita. È importante che si instauri un clima
di pacificazione e di concordia, in cui le idee
vengono rispettate e la calunnia, le cattiverie e le
offese sono bandite dai nostri cuori. Se ci sentiamo veramente figli di Cristo, la Santa Pasqua
deve rappresentare la Sua, ma anche la nostra
Resurrezione, quella vera, che ci libera dal peccato e porta Serenità.
Anno XI
Numero 130
pag. 6
Attualità
PRONTI AL GRANDE SALTO…IN RETE
La Redazione
Ci siamo, mancava
ancora qualche dettaglio, ma ci siamo.
Il nuovo portale di Città Viva è online. Un
occhio nuovo su Apricena (e non solo).
Diverso, ma al tempo stesso coerente
con la nostra storia. Un angolo nella
rete che, con la stessa apertura che da
sempre caratterizza la nostra testata,
darà spazio a tutte le voci della nostra
città. L’obiettivo è importante. Il progetto è ambizioso. Sì, perché CittàViva è
da anni la voce di Apricena e dintorni,
con un occhio di riguardo alla realtà
di Altavilla Vicentina, città con noi gemellata per il legame con Johannes de
Precina. Questo “allargamento”, però,
vuole segnare un passo in più. Una
crescita di un giornale che, su internet,
dovrà necessariamente svolgere una
funzione diversa. Rispetto al giornale
tradizionale sarà speculare e al tempo
stesso complementare. Perché “Città
Viva”, nella sua versione cartacea, può
vivere (si fa per dire) “sonni tranquilli” e
arrivare comunque in casa del lettore,
puntuale, una volta al mese. “cittàviva.
com” (questo l’indirizzo del portale)
darà la possibilità a redattori e collaboratori di essere realmente, per dirla con
Umberto Eco “gli storici dell’istante”. Di un istante che non è più diluito
in trenta giorni. Ma è li, sempre aperto
e a portata di clic. Naturalmente “cittàviva.com” sarà calibrato alla realtà
locale che viviamo. Certo, uno sguardo al “villaggio globale” verrà dato. Ma
l’attenzione sarà massima sul nostro
territorio e Città Viva, grazie anche alla
nascente associazione di promozione
omonima, vuole svolgere anche questo
importante compito. Farci conoscere il
più possibile agli occhi del mondo, finalmente, per qualcosa di positivo. Sul
portale, infatti, troveranno ampio spazio
la Cultura, la Musica, lo Sport. Oltre ai
temi dell’attualità e dell’approfondimento. La multimedialità e internet ci danno ampie possibilità. Una squadra di
persone competenti anche in questo
settore daranno una ulteriore spinta. Insomma, di carne a cuocere ce n’è
tanta. E la legna non manca. Vi aspettiamo…anche in rete
P.S.
Come hanno notato gli abituali lettori del giornale, i Comunicati Stampa provenienti dai singoli partiti,
coalizioni di più partiti, sindacati e
quant’altro non sono stati pubblicati
nell’edizione di Marzo. Infatti a partire dal citato mese essi saranno visibili solo ed unicamente sul portale
di Città Viva, all’indirizzo elettronico
“città viva.com”.
“Il più bel goal della vita è la solidarietà”
di Sebastiano Muti
Il titolo ha
il sapore
di quella
genuina
e
antica “pietanza”,
condita di buonsenso, che le nostre
nonne cucinavano con la loro sapiente
saggezza e matura conoscenza della
vicende umane”. Può sembrare uno
slogan scritto ad arte per attirare la nostra distratta attenzione e non riflettere
più di tanto: “Il più bel goal della vita
è la solidarietà”. Così non è oggi, ma
la Solidarietà può e deve ritornare ad
essere uno stile di vita per tutti, con il
quale riprendere il facile dialogo, il reciproco sostegno senza chiedere nulla
in cambio. Lo slogan degli “Amici dello
Sport” , che hanno costituto un’associazione “Onlus”, ci invita a dare un senso
alla nostra contemporanea quotidianità ed arricchirla di quei sapori genuini,
profumati, che devono essere riscoperti
e ripresi dalla nostra generazione individualista ed egoista. I giovani dell’associazione, attraverso lo Sport che
praticano con passione, sono la nuova
testimonianza a cui affidare la responsabilità di tramandare il Valore del ri-
spetto, della condivisione verso i nostri
simili che soffrono, il piacere del dialogo,
la ricerca e l’affermazione dell’amicizia
sincera, nonché la difesa del territorio,
giornalmente violentato dall’insipienza
umana. Il tema della mostra fotografica
di via Roma, organizzata dal 28 al 30
marzo dal titolo “Colori della Natura” è
pertanto un inno della Natura che trionfa sulla barbarie, una volontà di riscatto
dopo l’abbandono in cui i colori, i tramonti, il mare, gli alberi ed i fiori diventano protagonisti e si liberano dal giogo
della schiavitù a cui sono stati sottoposti. Sport
e
Natura
sono uniti
in un’unica
impresa,
quella della
genuinità e
della difesa dei diritti
inalienabili
di tutti ad
avere una
vita degna.
“Gli Amici
dello Sport”,
con i suoi
ragazzi de-
diti alle attività agonistiche in Apricena
e gli autori delle riprese fotografiche, organizzatori della mostra, si battono da
tempo, offrendo il loro impegno, gli uni
con l’attività sportiva, gli altri con la loro
determinazione, un piccolo contributo
solidale e tangibile a coloro che non
“possono”. Aiutiamoli a recuperare la
nostra genuina ed antica pietanza della Solidarietà, quella che possedevano
le nostre nonne, i nostri anziani, senza
pretendere niente, ma con sincera amicizia!
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pag. 7
Attualità
“E mentre gli italiani imitano Morfeo, altre
rovine d'inestimabile valore crollano”
di Guendalina Di Nunzio
Italiani, popolo di poeti e sognatori
e con l’arte nel sangue ... almeno a
quanto si dice. Una delle molte
cose che ho notato è una sorta
di snobbismo nei confronti
di qualsivoglia forma d’arte,
a meno che non si tratti di
graffiti. Persino all’università ho
conosciuto pochissime persone
che sono davvero interessate a
quello che studiano.
Infatti quando si nomina Monti
tutti pensano al politico e
non a quel poeta che scrisse
“La mongolfiera” e tanti altri
brani poetici. Molti non sanno
neppure chi sia Goethe oppure
quale sia l’opera più importante
di Matteo Maria Boiardo e,
quando la discussione si sposta
sulle arti visive, la faccenda
diventa ancora più tragicomica: comica
perché il primo pensiero che ti passa
nella mente è che il tuo interlocutore
stia solo scherzando; tragica quando
ti rendi conto che purtroppo non sta
scherzando, che parla sul serio.
Sono questi i casi in cui si punta il
dito contro la scuola e gli insegnanti,
tacciandoli di non fare il proprio lavoro.
Questo nessuno di noi può saperlo;
però, nello stesso tempo la scuola
e gli insegnanti se la prendono con il
ministero e il ministero se la prende
con gli insegnanti. È una ruota che gira,
scaricando barili a destra e manca e figlio conosca il valore inestimabile di
che continuerà a girare fino a quando quelle rovine. Sembra strano, perché
il nostro è ancora considerato
il “Bel Paese” anche grazie
a quelle rovine, ai quadri e
alle opere architettoniche,
alle sculture e agli esimi,
illustri sconosciuti di oggi,
ma famosi nella letteratura,
nel mondo della scienza e
della filosofia. Mentre noi
dormiamo, imitando il semidio
Morfeo imbottiti di realityshow scadenti e camomilla
via endovena, pezzi della
nostra storia scompaiono
per sempre, dimenticando
che anche la cultura può
essere un business redditizio,
soprattutto se accostata al
buon cibo, all’aria respirabile
i barili non saranno finiti e l’attenzione e al panorama mozzafiato delle nostre
sul caso svanita. Eppure un briciolo di terre.
responsabilità qualcuno lo dovrà pure
avere, o meglio forse tutti avremo una
responsabilità, basta guardare il ruolo
marginale che i nostri preziosi beni
artistici hanno nell’economia di questo
Paese. Infatti a pochi o a nessuno
importa che giorni fa a Pompei siano
crollati gli ennesimi preziosissimi resti
di Roma Antica a causa dei mancati
restauri e per mancato finanziamento,
così come nel piccolo, a nessun
genitore importa accertarsi che il
EMANUELA LOI
di Francesca Mobilio
«A Palermo non voglio più rimanere, è
troppo pericoloso. Spero che presto mi
facciano tornare in Sardegna». Queste
erano le parole che spesso pronunciava
Emanuela Loi quando si recava in licenza
nel suo paese natio, Sestu, in provincia di
Cagliari. Il padre giura di avergliele sentite
pronunciare anche l’ultima volta che l’ha
accompagnata all’aeroporto per fare ritorno a Palermo. Quella fu l’ultima volta che
la vide.
Il 19 luglio 1992 la strage di via d’Amelio
uccide il giudice Borsellino e cinque uomini
della scorta: tra questi Emanuela Loi, prima donna a far parte di un servizio di scorta e a morire mentre prestava servizio.
Un’adolescenza serena, una ragazza gioiosa, un piccolo borgo che non offre molte
possibilità di lavoro e il ripiego nelle forze
armate: entra nella polizia nel 1989, segue
un corso di addestramento a Genova e subito viene inserita a Palermo nei servizi di
scorta.
Il 19 luglio la mamma accende la televisione e capisce che è successo qualcosa
di grave: subito dopo viene fatto il nome
della figlia e da lì la sua vita e quella dei
suoi familiari si spezzano. I mandanti della strage vennero individuati e condannati
all’ergastolo. Ad Emanuela Loi e agli altri
componenti della strage, è stata conferita
la medaglia d’oro al valor civile.
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pag. 8
Attualità
IL VOTO DI SCAMBIO
di Franco Ferrara
Il voto di scambio si
dice “legale” quando
è frutto del clientelismo politico e consente di vedere soddisfatta una propria richiesta legittima in
cambio del voto. Esempio:
un campo destinato all’agricoltura che diventa edificabile a seguito della modifica
del PGT fatta nel rispetto
delle norme vigenti. In cambio il politico guadagna il
consenso di quell’elettore. Il
voto di scambio si dice “illegale” quando un politico offre in cambio del voto qualcosa che non è legittimato
ad offrire. Esempio: un posto
nell’Amministrazione pubblica attraverso un concorso
pubblico truccato; oppure il condono di
un abuso edilizio non condonabile; oppure il cambio della destinazione d’uso
di un immobile in violazione alle norme
del PGT. Il voto di scambio si dice che
“non è reato” in Italia tranne per coloro i quali sono iscritti in una contestata
attività di cui all’art 416 bis del codice
penale italiano. Il voto di scambio è il
voto mediato attraverso l’elettore corrotto che entra nel seggio elettorale,
segna la scheda e la fotografa con il
telefono cellulare o la fotocamera. Poi
vani contratti di lavoro di tipo flessibile
tanto da forzarli al voto in cambio della
conferma del lavoro. Il voto di scambio
è il voto mediato da organizzazioni mafiose per un politico che si candida alle
elezioni comunali, provinciali, regionali o nazionali in cambio di
assunzioni clientelari, di aggiudicazione di appalti pubblici ad
imprese mafiose o di ottenere
finanziamenti pubblici. Il voto di
scambio è il voto mediato attraverso l’influenza che gli ambienti
mafiosi esercitano su gran parte
della popolazione per far confluire i voti su una determinata parte
politica che con leggi o concessione di appalti per la costruzione di opere pubbliche favoriscono lo sviluppo delle attività
mostra la fotografia al politico o chi per imprenditoriali della mafia nel settore
lui che gli elargirà il favore richiesto. Il delle costruzioni e della finanza.
voto di scambio è il voto mediato tra un
elettore corrotto da qualche tornaconto Secondo voi il “Voto di scambio”
ricevuto da un politico (o chi per lui) che si verificherà alle prossime elesi candida alle elezioni comunali, pro- zioni comunali di maggio 2014?
vinciali, regionali o nazionali. Esempio, Buona riflessione !
il ricatto occupazionale: stipulare ai gio-
ASPETTANDO MARMOMACC
ad Apricena le università di tutta Italia
di Niky Violano
Marmomacc - Fiera Internazionale di
Marmo, Design e Tecnologie, anno
2014. È Apricena lo sfondo del workshop organizzato con la Stone Academy, un’associazione che vede collaborare università, professionisti e istituzioni con lo scopo di ricercare, divulgare
tramite la pietra. Tra gli enti promotori
i comuni del comprensorio: Apricena,
Lesina e Poggio Imperiale. L’università
proponente è la “Gabriele d’Annunzio”
di Chieti-Pescara, con i dipartimenti
di Architettura e di InGeo. Nella prima
metà di Aprile gli studenti di architettura, di design e di ingegneria delle università di tutta Italia lavoreranno proprio
in questo contesto. Sono presenti Modena e Milano con il Politecnico, Ferrara, “La Sapienza” di Roma, L’Aquila,
Matera e Pescara con la “G. d’Annunzio” e l’UED. Lo scopo di questo incontro, lungo una settimana, è la progettazione degli spazi tra la città di Apricena e le cave, l’utilizzo dei materiali di
scarto come materia, la sistemazione e
il recupero di alcune aree ex-estrattive
dismesse. Il comparto lapideo, inoltre,
sarà visitato dagli ospiti grazie ad alcune escursioni e con il contributo di alcune lezioni sarà reso soggetto di questa
grande manifestazione confermandosi
in un ruolo da protagonista. Come in
questo caso, grandi idee hanno grandi
effetti, a testimonianza del fatto che è
possibile lavorare sull’idea di rendere le
cave dismesse una nuova centralità.
Anno XI
Numero 130
pag. 9
Attualità
RICOSTRUIAMO IL NOSTRO PASSATO
CAMPAGNA DI RECUPERO
di Alessandro Muti
Nota: Si cercano sostenitori che aderiscano, quale primo impegno, alla
campagna per il Recupero del Pozzo
Salso e di una piccola parte del suo
tratturo.
Contattare : [email protected]
POZZO SALSO OGGI
Ecco cosa rimane del Pozzo Salso:
un rudere. Mancano all’appello alcuni
elementi utilizzati, di sicuro, per ornare
il giardino di qualche casa di campagna,
a dimostrazione dell’Amore verso il
Territorio. Atto vandalico? Desiderio di
conservazione e protezione? No! Solo
ed unicamente “Aridità” e “Cupidigia”.
“Il Pozzo Salso” di federiciana
memoria, dove le greggi sostavano
per abbeverarsi e gli uomini e le donne
potevano riposare e socializzare,
vuole essere restaurato e “grida per
il dolore” dopo essere stato torturato
già dagli anni cinquanta del secolo
scorso. Non è il caso di ridargli dignità
e di riportarlo all’antico splendore,
come fecero i nostri anziani nel 1904?
Ai signori che intendono amministrare
questa città è mai venuto in mente di
volerlo recuperare? Hanno previsto nel
loro programma un restauro tra i non
pochi “beni Culturali” che abbiamo,
per tentare di iniziare a ricostruire una
parte del nostro passato e lasciarlo in
eredità ai nostri figli? Domande. Molte
domande che chiedono una risposta.
I nostri politici dimostrerebbero un
tanto di sensibilità e rispetto verso ciò
che ci è stato donato, abbandonato
per lungo tempo al proprio destino,
all’incuria degli elementi atmosferici,
alla voracità umana. Ma noi della
Redazione non restiamo inermi e ci
appelliamo agli uomini e alle donne
sensibili per reclamare ciò che è
nostro “Diritto” avere. Alziamo insieme
la nostra voce e pretendiamo quel
rispetto che è mancato. Pretendiamo il
restauro del Pozzo Salso. Inoltre, e non
è poca cosa, si poteva immaginare di
dover stravolgere o quasi annullare il
tratturo (percorso) che portava a questa
“Fonte” importantissima dove i nostri
avi e le greggi si dissetavano? È stato
fatto, sì, per imperizia e superficialità di
tutti noi, che non abbiamo controllato.
La strada che portava al Pozzo Salso,
in realtà era un tratturo importante
per la Transumanza delle greggi nei
secoli passati. Ora, il suo percorso
è stato modificato, la strada è stata
asfaltata (non era meglio piastrellarla
con la nostra pietra?) e divisa in due
tronconi. Il primo troncone parte da via
Luigi Galasso e, all’improvviso, come
per incanto sparisce dopo il ponte che
precede p.zza Dante Alighieri e via P.
Nenni.
Percorso sterrato che
divide i due tronconi di
via Pozzo Salso
Il secondo troncone è da tutt’altra
parte. Gentili lettori, si immagina che
in questo groviglio ci sia stata sicuramente l’intelligente opera di ingegneri
e/o architetti a confondere le “Acque” e
CENSIMENSILE MARZO 2014
A cura di Lillino Tantimonaco
Si ringrazia tutto il personale dell’Ufficio Anagrafe del
Comune di Apricena per la preziosa collaborazione offerta
MASCHI FEMMINE TOTALE
NATI
6
4
10
DECEDUTI
2
7
9
IMMIGRATI ESTERO
3
3
6
IMMIGRATI ITALIANI
8
7
15
CANCELLATI (Emigrati)
7
3
10
TOTALE POPOLAZIONE
6.722
6.866
13.588
le “Idee”. Resta, però, un breve tratto
di strada sterrata.
È quello che costeggia la scuola media
“Fioritti” che pur restando chiuso al traffico, potrebbe essere piastrellato, collegandolo idealmente con quel secondo
troncone (la Regione Puglia sarebbe
felice di stanziare i fondi). Non tutto è
perso, dunque, e si può rimediare per
recuperare il recuperabile. Resta da
dire ai nostri politici che vogliono amministrarci: “Conoscete la nostra storia? Ebbene, se la vostra risposta è
affermativa, imparate ad amarla! Essa
potrà essere fonte di sviluppo culturale
ed economico. Cose che non guastacontinua a pag. 10
Anno XI
Numero 130
pag. 10
Attualità
A. Muti, FIDAPA, dalla pag. precedente
quasi andato distrutto - fu ricostruito
in rame con i soldi pubblici nel 1904
no.” Noi faremo in modo di ricordarvelo - CITTADINO USALO E PRESERVAe se necessario, ci impegneremo a LO”
Ricostruire piano piano il nostro
passato, iniziando con via Pozzo Salso Commento: Le lapidi riferiscono
e con il suo Pozzo.
che il Pozzo Salso fu ricostruito nel
Brevi cenni Storici
Prima Lapide:
Questa lapide
era incastonata nella colonna distrutta
del Pozzo Salso. Attualmente è custodita nel Circolo privato “Perrone” di P.zza
A. Costa. Sulla lapide è scritto: “Questo
Pozzo Salso - detto immeritatamente
Salso - esistente dal tempo di Federico II - poi caduto e quasi inutile
- fu col danaro pubblico rifatto - nel
1904. CITTADINI USATELO MA CUSTODITELO”
1904 con il denaro pubblico. Esse raccomandano ai posteri quanto segue:
“Cittadini usatelo e custoditelo. E’ evidente che così non è stato e ora è in
via di dissolvimento. Cosa si vuole fare
di questo nostro antico reperto storico
ricostruito con il denaro pubblico?”
Seconda Lapide:
Questa
lapide è incastonata nella colonna ancora visibile del Pozzo Salso. Traduciamo ciò che è scritto: “Questo è stato
chiamato dalla gente Pozzo Salso regnante Federico II - caduto di là e
IMPIANTI DI CONTROSOFFITTI CARTONGESSO
FIBRE MINERALI E DOGHE CON PITTURE DECORATIVE
Via Melissa, 2 - Apricena (Fg) - Tel. 347 0099203
Attualità
Anno XI
Numero 130
pag. 11
L’AMMINISTRAZIONE DELLE UNIVERSITA’
di Giuseppe Luigi Matera
Nuove
elezioni
sono alle porte per
la nostra cittadina,
la quale attraversa
una congiuntura
economica complicata e stagnante:
non c’è segno di
crescita economica, la disoccupazione è in aumento e
ciò si accompagna al decadimento morale e culturale. La motivazione principale che ha determinato tale condizione risiede nella grave crisi politica che
da anni investe tutta l’Italia, dal governo
centrale a quella periferica. La mancanza di regole adeguate ai tempi che mutano, l’incompetenza di molti onorevoli
e il cattivo funzionamento della giustizia
hanno generato il resto. La politica in
Italia è rappresentata dai partiti, essi
definiti e divisi in forma di fazioni si combattono l’un l’altro come fossero rappresentanti di nazioni diverse, facendo
prevalere interessi un tempo ideologici
e ora personali. Gli italiani, poco nazionalisti, sono divisi e incapaci di approvare provvedimenti condivisi che all’estero sono fuori discussione. Una nuova
assemblea costituente, invoca l’attuale
condizione della penisola, riscrivere i
principi entro i quali devono muoversi
i poteri dello Stato: sopprimere l’inutile Senato, limitare a due legislature le
possibilità per i deputati, cancellare le
regioni (responsabili dell’enorme debito
italiano), impedire a quanti hanno precedenti penali di accedere alle cariche
pubbliche. L’amministrazione più importante per i cittadini è quella comunale,
vale a dire quella più vicina alla gente,
proprio per questo motivo necessita di
maggiore autonomia specie nel sociale, in materia fiscale e di sicurezza per i
cittadini. Dal passato a volte si possono
ricavare idee utili per il futuro: le prammatiche sull’amministrazione delle università (vedi quella del 1536, seguita da
cinquanta anni di crescita economica e
demografica) emanate dai Vicerè del
Regno di Napoli testimoniano una certa
indipendenza dei comuni. Intanto la costituzione del Regno concepita dagli Altavilla nel 1130 prevedeva l’affermazione degli usi e delle consuetudini delle
popolazioni soggette, questo principio
importante garantiva la larga autonomia ai comuni e che i feudatari dovevano rispettare anche se spesso ciò non
avvenne. Gli amministratori comunali
erano eletti ogni anno in pubblico parlamento e a fine mandato dovevano stare
a sindacato, vale a dire subire il giudizio
dei nuovi insediati, mentre i loro bilanci
erano esaminati dai razionali; in caso
di eventuali mancanze, i responsabili,
ne rispondevano coi propri beni. Tutto
questo doveva costituire un deterrente
efficace per eventuali malintenzionati;
alle cariche civiche, inoltre, non potevano accedere: ecclesiastici, baroni e suoi
ufficiali, i parenti di impiegati già eletti,
quanti erano in lite col comune, passati
amministratori in debito col comune, oltre a malvagi, viziosi e colpevoli di delitti. Nell’elenco degli eleggibili potevano
rientrare tutti i capifamiglia, ma l’onore
di essere pubblico amministratore era
riservato a quanti consideravano l’onestà, la prudenza e l’attaccamento alla
patria come valori fondanti della loro
vita, solo con queste qualità ci si poteva
attendere di tenere la carica con rettitudine e scrupolo. Le decisioni più importanti per la comunità venivano prese in
pubblico parlamento a cui partecipavano tutti i capifamiglia. Con l’istituzione
del decurionato a metà settecento, i comuni del regno vengono privati dell’antico principio di democrazia diretta, in
seguito l’avvento della rivoluzione francese e le riforme amministrative contemporanee hanno allontanato sempre
più il popolo dalla politica. Ovviamente
con gli accorgimenti dovuti al quadro
politico-economico contemporaneo, si
potrebbe riproporre quanto di meglio
c’era nel passato: responsabilità personale degli amministratori, selezione degli stessi attraverso determinati requisiti, consiglio comunale composto da un
gruppo di capifamiglia (rappresentativo
di ogni fascia sociale e di ogni categoria
professionale). L’obiettivo dovrebbe essere quello di restituire ai cittadini il potere di deliberare in prima persona sulle
questioni più importanti della vita di una
comunità e ridimensionare i partiti.
Conoscere per prevenire
Continuo è l’impegno dei Lions nei
confronti della comunità e in particolare dei giovani per le varie attività di
prevenzione e per favorire in loro la
consapevolezza del rischio di atteggiamenti superficiali o imprudenti nei
confronti degli stupefacenti. Diffondere
e far maturare la cultura della legalità è
l’obiettivo condiviso da Scuola, Lions e
Istituzioni che, in sinergia, deve essere
perseguito per la formazione di cittadini responsabili. E’ stata allacciata una
proficua collaborazione con la Guardia
di Finanza che ha messo a disposizione le competenze dei suoi agenti per
informare e sensibilizzare i ragazzi sui
valori che regolano la civile convivenza
e necessitano del rispetto dei cittadini di
ogni età, non per timore delle sanzioni
di Emma Papa
previste dalla legge, ma per un dovere
nei confronti della società.
Nella mattinata di mercoledì 19 marzo
u.s., presso Casa Matteo Salvatore, gli
studenti dell’Istituto Comprensivo Torel-
li-Fioritti delle terze classi della Scuola
Secondaria di 1° grado hanno incontrato il maresciallo Spina, il maresciallo
Tenace e il brigadiere Del Mastro della
Guardia di Finanza - Compagnia di San
Severo.
Con l’apporto di materiale multimediale,
appositamente predisposto, e con video
clip, raccontati anche da personaggi
del mondo dello spettacolo, sono state
illustrate le attività svolte dalle Fiamme
Gialleper contrastaregli illeciti fiscali, le
falsificazioni, la contraffazione, l’uso e
lo spaccio di sostanze stupefacenti.
L’iniziativa si è mostrata efficace per
l’opportunità educativa al fine della
prevenzione, perché far conoscere i
problemi è il modo più efficace per risolverli.
Anno XI
Numero 130
pag. 12
Attualità
IL PARCO DELLE CAVE
tanti vuoti, tanti scenari di Niky Violano
C’è Apricena. Ci sono
le cave. Ci
sono i cavamonti e le
loro storie.
Per questo
ci sono dei
segni che
dalla prima all’ultima incisione raccontano tutto, di quelle giornate assolate
a spaccare le pietre. Lo sviluppo vero
dei metodi di estrazione è arrivato in
quest’angolo di Puglia nella seconda
metà del Novecento, permettendo di
scavare più in profondità
ed in modo più semplificato. Prima si operava
sulle rocce affioranti facili
da individuare e cavare,
con un grossissimo lavoro di squadratura a mano.
Ciò che rimane oggi di
queste fatiche lo si può
osservare nella zona di
cave prossima alla città,
ad esempio nella località di Tre Fosse. In questi territori, l’utilizzo delle
macchine non è prevalso
sulle tecniche utilizzate, anche se ha fortemente influenzato i ritmi
dell’estrazione. I percorsi sono battuti
dai mezzi che ogni giorno percorrono
gli stessi tragitti per andare sui piazzali,
alle segherie, al frantoio, alla discarica,
polverose avventure quotidiane che
non garantiscono la vita, anzi in alcuni
casi la aggrediscono. Ognuno prende
da un luogo ciò che desidera e in base
alle proprie esperienze ne costruisce
un personale ricordo. Le cavità che
scoprono il ventre della Terra, vengono
lasciate alla meraviglia di chi passa che
non può che sentirsi piccolo, aprendo
molte possibilità di interpretazione e,
quindi, molti mondi possibili. Luoghi
colmi di grande stupore, perché vuoti
di funzioni che facciano entrare l’uomo
in cava, a lungo andare vengono attraversati invece come luoghi del grande
nulla. Tanti vuoti, tanti scenari possibili.
Ma prima delle funzioni bisogna misurare perché le distanze sono fonda-
mentali quando si parla di percorrenze.
Circumnavigare per otto chilometri questo grande anello significa poter trovare
degli episodi di sosta sensata, e cioè,
delle occasioni che permettono a chi
fruisce di questo percorso, di fermarsi
e passare del tempo. Un parco con lo
sfondo comune delle cave, ma che volta
per volta offre delle coniugazioni diverse dello stesso tema. In base alla perimetrazione individuata dal futuro PRAE
(Piano Regionale Attività Estrattive), la
superficie del comparto lapideo adibita
al Recupero e servizi sarà quella più a
est, essendo la stessa in disuso ormai
per la maggior parte. Le condizioni permetterebbero la realizzazione di una
grandissima area attrattiva differenziata e con una capienza tale da ospitare
eventi notevoli. Spesso l’abbandono è
determinato dalla lontananza di un luogo dalle principali vie di comunicazione
e dalla mancanza di relazioni tra questo e l’esterno causando una perdita
ai danni del territorio. La
stessa assenza, poi, di
manifestazioni rimpicciolisce l’entità del panorama
lapideo che deve sapersi
rigenerare facendosi centralità. Artisti, musicisti,
architetti, ma soprattutto
amministrazioni, dovrebbero responsabilizzarsi su
questo fronte, effettuando
attività continuate e programmate con lo scopo
di rendere attivo un nodo
spento che acquisirebbe la capacità di entrare in un sistema
più ampio, anche grazie alla vicinanza
dell’autostrada. Si possono dare molte
risposte quando le domande sono inesistenti ma finché rimarranno parole,
anche le proposte risulteranno inutili.
Anno XI
Numero 130
pag. 13
Attualità
LA TORRE DELL’OROLOGIO
che nasconde il passato di Niky Violano
“Spazio promozionale cittadino” è la destinazione d’uso che
il locale sottostante alla Torre
dell’orologio di Apricena ospita, o avrebbe dovuto ospitare, dopo il
restauro effettuato qualche anno fa.
L’intervento ha attinto ai finanziamenti per la sua realizzazione rientrando
nel Programma Operativo Regionale
Puglia tra i Progetti Integrati Settoriali
Normanno-Svevo-Angioino, sfruttando
l’opportunità offerta da questo tipo di
risorse. In realtà, si è intervenuti sulla
struttura negli anni Ottanta con un consolidamento statico. È un’emergenza
storica e, come tale, ha un passato
legato alle radici della città, infatti, con
l’ipotesi avanzata in ultima fase, dopo la
scoperta di un altro arco posto di fronte
a quello palesato nella facciata di corso Garibaldi, la si reputa addirittura un
ex-portale d’accesso al piccolo e antico
insediamento, che abitava quel luogo in
corrispondenza della corte del Palazzo
Baronale. Siamo in un tessuto urbano,
però, che rifiuta l’ipotesi
della
torre
come porta
e che traccia
una rimanenza
storica
solo nei muri,
avendo costruito anche
alle
spalle
della stessa,
senza di fatto consentire
il passaggio.
Per altri, tramite il varco, si faceva ingresso nella chiesa di San Martino che
nel 1627, proprio lì, veniva distrutta
per sempre, senza trovare una ricostruzione successiva. Naturalmente le
modificazioni hanno mutato del tutto
l’essenza tipologica della torre d’accesso, portando alla chiusura del locale al
piano terra e facendola diventare dalla
prima metà dell’Ottocento una torre civica con l’aggiunta di un nuovo volume,
raggiungendo l’altezza attuale. È uno
spazio che ha smentito le sue ragioni
d’essere ad ogni cambiamento, persino
le sue campane hanno smesso di suonare che per le ricorrenze religiose annunciano lo scorrere del tempo ad ogni
ora. Con l’obiettivo della conservazione
della vecchia torre si è giunti a prendere coscienza di cosa è stato modificato
dal tempo e cosa dalla mano dell’uomo.
Queste sono risposte che, seppur difficili da trovare, con un po’ di pazienza e
con l’aiuto della memoria storica, possono essere reperite, affidandosi talvolta anche tracce scritte. Il restauro ha dovuto compiere delle scelte scartandone
altre, certo possibili, ma non per questo
tutte apprezzabili. Se nel programma si
esplicita una volontà progettuale prima
ed effettiva poi, che preveda la piena
fruibilità dell’opera, perché non facilitarne le condizioni? Il successo di un’idea
sta nella sua chiarezza e qui manca
una spiegazione sulle modalità d’uso.
Non c’è una coscienza generalizzata su
questa cosa e il quadro è rimasto poco
chiaro, ci sono dei resti ma a nessuno è
dato sapere, poiché l’entrata è oscurata come lo sono gli scavi con le tracce
portate in superficie. Il cancello svolge
amaramente la sua funzione bloccando
il passaggio dei curiosi, ma soprattutto
dei non curiosi, che non si interrogano,
non chiedono e, quindi, non ricevono.
QUOTE ROSA: opportunità o discriminazione?
Sono diverse le discussioni che si intrecciano sul dibattito relativo alle quote
rosa. Dopo l’ultima bocciatura tra le aule
del Parlamento, la questione è tornata
alla ribalta: stabilire in modo definito la
presenza delle donne in un parlamento
o in una società pubblica, può apparentemente sembrare un’azione alquanto
politically correct. In realtà,non è del
tutto così. A mio avviso, pur partendo
da meritevoli intenzioni, stabilire un limite alparterre femminile, rappresenterebbe sostanzialmente una discriminazione. La vera parità è non porre limiti:
perché escludere la possibilità di un
Cda composto da sole donne? Questa
sì che sarebbe una vera uguaglianza
derivante dalla bravura, dalla capacità
di Francesca Mobilio
della donna e non dal fatto che è una
legge a stabilirlo.
Partendo da un presupposto, facciamo
un esempio al contrario. La politica è,
o almeno dovrebbe essere, passione e
attivismo senza dimenticare che essa
necessita di tempo a disposizione. È da
riscontrare che non tutte le donne sono
mosse da una vena politica vuoi per carattere o problemi personali, vuoi perché non hanno il tempo sufficiente per
occuparsi delle res publica in maniera
soddisfacente. In questo caso che si
fa? Secondo l’attuale normativa, un numero ben definito di donne deve essere
obbligatoriamente presente nei consigli
comunali. E se in una circoscrizione
non vuole candidarsi nessuna donna?
Deve, al di là della sua voglia o capacità. La questione non è tanto essere
contrari o favorevoli alle quote rosa in
toto. Il dibattito è stabilire o meno se
è arrivato il momento di fare il salto di
qualità e andare oltre, verso una vera e
totale parità.
Anno XI
Numero 130
pag. 14
Cultura
L’angolo (padovano) di un apricenese doc
PIETRO GIANNONE - ANTONIO GENOVESI
MAFFEO PANTALEONI
(2^ parte)
dott. Felice Clima
Dopo aver trattato la vita e le opere
dell’insigne figura del “nostro” conterraneo Pietro Giannone, è il momento
di tratteggiare il significativo excursus
degli altri due illustri personaggi.
Antonio Genovesi nacque a Ca-
stiglione del Genovesi (Salerno) il 1°
novembre 1713 e morì a Napoli il 22
settembre 1769, fu sepolto nella chiesa del convento di Sant’Eramo Nuovo
(o sant’Eusebio) grazie al suo amico
Raimondo di Sangro, Principe di San
Severo. Fu scrittore, filosofo, economista e sacerdote (ebbe anche il titolo di
abate).
Avviato agli studi in tenera età, fu affidato ad un parente (giovane medico
tornato da Napoli), il quale lo istruì in
filosofia peripatetica e in quella cartesiana. Poi, verso i diciotto anni entrò nel
convento dei Padri Agostiniani di Buccino per seguire gli insegnamenti teologici e filosofici del prete Abbamonte. Ottenuta l’ordinazione a diacono superando l’esame di teologia dogmatica, a 24
anni fu nominato maestro di retorica al
seminario di Salerno, dove seguì insegnamenti di lingua francese e lezioni di
perfezionamento in latino e italiano. Nel
1738, a 25 anni, fu ordinato sacerdote
e, subito dopo, si spostò a Napoli, ove
fu in stretto contatto con Giambattista
Vico e con l’Università di quella città,
nella quale nel 1741 ottenne la cattedra di metafisica e, successivamente,
quella di etica. Antonio Genovesi mi
fa ricordare il periodo universitario dei
miei appassionati (direi ponderosi) studi e ricerche di economia, in cui venni
a conoscenza, con piacevole sorpresa,
che un italiano (meglio dire, Lui, quale
meridionale dell’ex Regno borbonico)
fu un antesignano, in quanto, con un
intuito rivoluzionario, fu il fondatore nel
1754 della “prima cattedra europea” di
“economia politica” presso l’Università di Napoli, condivisa da Bartolomeo
Intieri. Egli ruppe un tabù rispetto al
lungo tramandarsi della cultura onnicomprensiva degli studiosi e filosofi
greci (tra cui Senofonte) e latini (tra cui
Columella), enucleando e istituziona-
lizzando in modo organico, per la prima
volta, i principi e tutto ciò che concerne
l’“economia civile”, rendendola materia ben definita, a sé stante nelle sedi
accademiche. Egli stimolò il pensiero
della scuola classica imperniata sul suo
contemporaneo, l’inglese Adamo Smith
(1723-1790), col quale condivise “la critica del mondo feudale e la convinzione
che il mercato avrebbe contribuito alla
costruzione di un mondo più egualitario
e più libero”. Adamo Smith “aveva una
visione pessimistica dell’uomo improntata all’individualismo degli interessi”.
Antonio Genovesi, invece, riteneva
che “la persona fosse l’equilibrio di due
forze: quelle dell’interesse per sé e
della solidarietà sociale; il soggetto gli
appariva come una realtà relazionale
fatta per la reciprocità”..””la sua idea
di mercato come “mutua assistenza””,
una “intuizione originale” che oggidì
è oggetto di attenta rivisitazione. Egli,
quindi, influì non poco sui successivi
studi e ricerche da parte degli altri importanti economisti inglesi, prima David
Ricardo (1772-1823) e poi Alfred Marshall (1842-1924), nonché dell’italiano
Vilfredo Pareto ((1848-1923, seppure
nato a Parigi, docente a Losanna) e di
tante altre importanti scuole di pensiero
economico nate posteriormente in Italia, in Europa e nel Nord America fino ai
giorni nostri.
In origine, tale innovativa cattedra era
denominata “commercio e meccanica”
e Genovesi pubblicò “Lezioni di commercio”, in cui si esprimeva a favore di
una più “incisiva politica liberista”. Tale
opera, pubblicata nel 1765 e considerata una delle prime opere scientifiche
in materia economica, è detta meglio
“Delle lezioni di commercio, o sia di
economia civile”. Da alcuni mesi, noto
con piacere ben evidente, nella vetrina di una delle più importanti librerie di
Padova, un corposo volume col titolo di
“Economia Civile” di Antonio Genovesi;
meno male che un coraggioso editore
abbia avuto la lungimiranza di pubblicarlo (tirandolo fuori dal..quasi..oblio), a
distanza di oltre 250 anni !
L’ambiente culturale (nella seconda
m e t à
del settecento)
vissuto
da Genovesi
manifestò
i
segni di
una rivolta allo
spirito e al costume della Controriforma: gli accenni alla “polemica antigesuitica e anticlericale”, il rinvigorimento
delle idee per sostenere l’ “autonomia
dello Stato laico contro ogni intrusione
della Chiesa”, lo “svilupparsi di una teoria delle monarchie illuminate e del regime paternalistico”, oltre l’avvento, sul
piano letterario, “di una poetica e di una
critica più aperte e coraggiose”. Così,
si aprì una vera e propria rivoluzione
culturale, che assunse il termine di “Illuminismo”, proponendosi una integrale trasformazione della vecchia civiltà in
tutti i suoi aspetti.
Il “Nostro”, in età matura, alla vecchia
cultura teorica sostituì, gradualmente,
lo studio delle discipline pratiche, seguendo le idee di G. Vico, come pure di
Locke limitatamente alla filosofia. Subì
l’influenza del nuovo panorama culturale italiano che andava profilandosi, col
desiderio, attraverso studi ed esperimenti, di definire il concetto della “pubblica felicità”, con lo scopo di far emergere l’uomo dallo stato di “oscurità” (l’
”Illuminismo”). Egli rilevò la decadenza
culturale, materiale e spirituale (dopo il
periodo d’oro del Napoletano) e valutò
la necessità di un suo intervento per riportare le arti, il commercio e l’agricoltura “a nuovi splendori”. Tali motivazioni
indussero Genovesi a mettere da parte
l’etica e la filosofia, per dedicarsi intensamente allo studio dell’ “Economia”,
certo che essa doveva essere utile ai
governi per “alimentare la ricchezza e
la potenza delle nazioni” (mi domando:
oggi, in quali condizioni ci troviamo, e
perchè? E’ una crisi sistemica? Necescontinua a pag. 15
Cultura
F. Clima, Pietro Giannone...., dalla pag. prec.
sitiamo di quali radicali interventi innovativi? Ci vorrebbe un nuovo lungimirante Genovesi?).
Antonio Genovesi apportò una innovazione, ebbe cura di tenere le lezioni in
“lingua italiana”, considerando la “sua
passione per il civile”. Fu il primo docente a non usare la lingua latina, convinto che lo studio dell’Economia e delle Scienze nel popolo fosse un “mezzo
di incivilimento”. Egli può considerarsi
in piena continuità con gli umanisti civili.
stima della ricchezza nazionale alla
storia della dottrine economiche, fino a
giungere alla pubblicazione nel 1889 del
suo più importante libro “Principi di economia pura”. Ha lasciato molte pubblicazioni (dal 1882 col libro “Teoria della
traslazione dei tributi” fino all’opera postuma, pubblicata nel 1925, “Erotemi di
economia”), a volte considerato come
l’“Alfred Marshall italiano” data la sua
propensione a difendere la politica economica del “laissez-faire”. Inizialmente,
fu deputato radicale e, prima della 1°
Maffeo Pantaleoni,
economista, cultore di scienze delle
finanze, uomo politico, nacque
a Frascati il 2 luglio 1857, morì
a Milano il 29 ottobre 1924. Poliglotta, di pensiero vasto e umano,
fu anche un fine giornalista per la
“visione realistica e sintetica degli
avvenimenti” ed ebbe il “grande
pregio di stimolare il pensiero altrui”. Le sue opere, di economia
pura o applicata, di scienze delle finanze o di politica, “costituiscono sempre
un apporto personalissimo”.
Egli compì gli studi classici a Potsdam
(Berlino) e si laureò nel 1881 in diritto all’Università di Roma. Intraprese gli
studi economico-finanziari e nel 1884
divenne libero docente in scienze delle
finanze. Fu professore in diverse università italiane, Camerino, Macerata,
Venezia, Bari, Napoli, Ginevra, Pavia
e (dal 1901) Roma, nonché socio corrispondente dei Lincei (1892).
Pantaleoni fu uno studioso tendente a
conciliare la teoria economica classica
dell’inglese David Ricardo con la teoria
“marginalistica” della scuola austriaca
(l’iniziatore di tale pensiero fu il francese M. Walras, 1834-1910), spaziando
dalla teoria dei prezzi a quella della tassazione, dalla teoria dei cicli economici
a quella dei sindacati industriali, dalla
guerra mondiale, divenne un nazionalista e fu un politico anti-socialista, avendo rapporti col movimento fascista. Tra
il 1919 e il 1920, per quindici mesi, tenne la carica di Ministro delle Finanze a
Fiume nell’Amministrazione del Carnaro presieduta da Gabriele D’Annunzio.
Circa 20 mesi prima della sua morte, fu
eletto e nominato Senatore del Regno
in data 1° marzo 1923.
E’ mio dovere ricordare Maffeo Pantaleoni. Egli mi riporta all’origine del mio
percorso universitario, in quanto allievo
(anni 1952/’53-1956/’57) della facoltà
da lui fondata. Egli è considerato da
molti il “padre” dell’economia moderna italiana. E’ stato il fondatore, verso
la fine dell’800, nella città di Bari dell’
“Istituto Superiore di Commercio” (con
il lungimirante contributo da parte della
Camera di Commercio e di altre Istituzioni locali), che, poi, nei primi del no-
Anno XI
Numero 130
pag. 15
vecento ha assunto la denominazione
di “Facoltà di Economia e Commercio”
(al pari di altre similari sedi universitarie, come ad es.: “Cà Foscari” di Venezia), in quanto unica e importante
nella nostra regione, con l’ex sede sul
Lungomare Trieste, di fronte al porto.
A tale “facoltà” hanno dato lustro noti
docenti che hanno apportato un assai
significativo contributo scientifico-professionale ed umano distinguendosi a
livello nazionale, di cui ne cito alcuni
di quelli che sono stati miei “Maestri”:
Prof. Giuseppe Di Nardi (economia politica, “scuola De Maria”);
Prof. Paolo Emilio Cassandro
(amministrazione ed economia
aziendale e gestionale, “scuola
Amaduzzi”); Prof. Nicola Tridente (tecnica bancaria e mercantile,
“scuola Galante Garrone”, nonché
membro della ex C.E.C.A. a Bruxelles); Prof. Gustavo Minervini
(diritto commerciale e societario,
“scuola Graziani”, Senatore della
Repubblica e anche Presidente
Commissione Finanze e Tesoro
del Senato); Prof. Giorgio Nebbia (merceologia, “scuola “Alma Mater” bolognese”, esperto di ecologia, anche Senatore della Repubblica); Prof. Michele
Troisi (scienze delle finanze e istituzioni di diritto tributario, anche deputato al
Parlamento e Sottosegretario di Stato
al Ministero Finanze e Tesoro con Vanoni e Tremelloni); Prof. De Simone
(diritto del lavoro); Prof. Menegazzi (politica economica, nota “scuola cristianosociale del Toniolo”); Gino Barbieri
(storia economica, allievo di Amintore
Fanfani all’università “Cattolica” di Milano, dopo Bari trasferitosi altrove per
passare all’università di Padova, quale fondatore e preside della facoltà di
economia e commercio a Verona, inizialmente come sede distaccata patavina, poi divenuta autonoma, nonché
Presidente della Cassa di Risparmio di
Verona-Vicenza-Belluno) col quale le
mie frequentazioni, tra Padova e Verona, si sono protratte fino alla sua morte
nel 1989: di vasta cultura con un eccellente eloquio, figura indimenticabile di
economista e di umanista.
Spero di aver dato un piccolo contributo
per la conoscenza di illustri e benemeriti cittadini italiani (seppure passati alla
storia, ma, poco ricordati), che hanno
arricchito e fatto lievitare il “Sapere”,
avendo come nobile pensiero la prospettiva (.. il.. sogno..) che si potesse
realizzare un modello di una società civile più egualitaria e più libera.
(fine)
Anno XI
Numero 130
pag. 16
Angolo di Lesina
Brevi cenni storici su Lesina dalle
origini alla prima metà del Seicento
di Antonio Fernando Lombardi
Lesina
è una
deliziosa
cittadina di antica origine, il cui centro abitato
si protende direttamente nelle acque
nell’omonima laguna (fig. 1). Le prime
tracce di frequentazione del suo territorio sono riferibili al Paleolitico medio,
in particolare alla fase rappresentata
dalla “cultura musteriana”, caratterizzata dall’industria litica su scheggia; vari
strumenti litici di questa età sono stati
ritrovati nelle seguenti località: Cammarata, Cannelle, Fischino, foce vecchia
del Caldoli, foce Canale La Fara, primi
insediamenti stabili nella zona risalgono inveceal Neolitico e all’Eneolitico, le
cui testimonianze sono affiorate nelle
località circum lagunari di Cannelle,
Zurrone, Pontone, Fischino, Cammarata, e nell’area suburbana situata a
sud dell’abitato di Lesina (Tratturo dei
Greci). Resti fittili e litici risalenti a questo periodo e alle età successive sono
stati ritrovati anche fra i materiali di risulta provenienti dallo scavo dei canali
subacquei realizzati nel lago durante il
dragaggio lagunare effettuato negli anni
Ottanta del Novecento. In età romana
Lesina era parte integrante del territorio
che afferiva al Municipium di Teanum
Apulum, del quale costituiva senz’altro
un importante frazione marittima in virtù della sua vicinanza al lago, al mare
e alla vicina foce del Fortore col suo
porto fluviale. In questo periodo nella
zona perilagunare si formarono ampi
insediamenti agricoli, le villae, alcune
delle quali sorsero anche sul versante
lagunare del Bosco Isola. Sono molteplici le epigrafi d’età romana rinvenute
in Lesina, fra le quali si distingue quella
dedicata a Pomponia Drusilla (definita
“coniuge rarissima”) dal marito Marco Numisio Quinziano, “patrono” del
Municipium di Teanum Apulum. In età
tardoantica Lesina divenne probabilmente un oppidum romano-bizantino,
ma i primi riferimenti documentali risalgono al VII sec. d.C., periodo nel quale
essa appare fra i castra di fondazione
longobarda. Nello stesso secolo, secondo la tradizione, Lesina accolse gli
abitanti di Lucera che si rifugiarono in
essa unitamente al loro vescovo, così
come aveva accolto i pescatori dalmati sbarcati sulla costa in epoca incerta,
integrandoli con la popolazione locale
preesistente. Nella prima metà del VII
secolo è anche documentata la presenza del vescovo Calumniosus. Nei secoli
VIII e IX Lesina era gastaldato longobardo (castaldato Lesine). Fra l’VIII e
il X sec. vari monasteri s’insediarono
lungo le rive del Lago di Lesina: l’abbazia di Santa Sofia di Benevento, seguita da Montecassino e San Vincenzo
al Volturno; ad esse si aggiunsero San
Clemente di Casauria, Santa Maria di
Tremiti ed altre. Anche a quest’epoca
risalgono i primi possedimenti che il
monastero di S. Clemente a Casauria
aveva nel territorio di Lesina, fra i quali
la cella di San Clemente di Lesina e la
chiesa omonima che sarà ricostruita e
consacrata dall’abate Leonate nel XII
secolo. Al IX secolo (842 d.C.) risale
l’ingresso in Lesina dei corpi dei Santi
Martiri di Larino Primiano e Firmiano,
eletti patroni della cittadina lagunare.
Nel X secolo Lesina era contea longobarda (comitatu Alesinense) ma verso
la fine dello stesso secolo ricadde in
mano bizantina, ritornando all’ordinamento amministrativo bizantino. Nell’XI
secolo Lesina assunse le caratteristiche
di una vera città nella quale, al riparo
delle sue mura, dimoravano vari funzionari bizantini e forse il vescovo. Nel XII
secolo divenne una delle più importanti
contee normanne e, dopo Civitate, era
una delle più grandi città del circondario, essendo feudo di otto cavalieri, rispetto ai quattro di Apricena e ai due di
Ripalta. Nei primi anni del XIII secolo
vi fu l’arrivo dei monaci Cistercensi nel
monastero di Ripalta, i quali edificarono
la chiesa di Santa Maria della Carità in
stile gotico. Nel corso del XIII secolo,
in età sveva, Lesina conservò la sua
importanza avendo in sé il vescovo,
l’episcopio e una bella cattedrale dedicata a San Primiano Martire (patrono
della città), dotata di un’artistica cripta.
In età angioina Carlo I d’Angiò assoggettò la contea di Lesina al demanio
regio e, nel 1269, l’assegnò al figlio
Carlo II. Nel 1409 la regina Margherita
chiese il permesso a suo figlio Ladislao
d’Angiò-Durazzo di donare Lesina e il
Lago alla Santa Casa dell’Annunziata
di Napoli Ave GratiaPlena (A.G.P.) e al
suo Ospedale. Il 23 dicembre 1409 il re
Ladislao diede l’assenso alla donazione della città di Lesina insieme con il
suo feudo, ormai costituito unicamente
dal suo territorio, in allodio perpetuo
all’Annunziata di Napoli. Lo strumento
di donazione fu rogato a Salerno dal
notaio Giovanni Mangrella di Cava dei
Tirreni il 6 novembre 1411. Nello stesso secolo, in età aragonese, con l’istituzione della Dohana menae pecudum
Apuliae, istituita da Alfonso I d’Aragona
il primo agosto 1447, il Tavoliere venne
diviso in ventitré Locazioni, fra cui quella di Lesina nella quale vi erano cinque
“poste”, denominate: Fucicchia, Trevalle, Santo Spirito, Cammarata e San Samuele. La parte meridionale dell’antico
territorio di Lesina risultò così diviso in
due parti: la più piccola era costituita
dai terreni dell’Università, con terre coltivate (a vigneti ed orti) e terre incolte; e
la più grande era formata dal demanio
della Dogana della mena delle pecore, che ospitava i pastori transumanti
(locati) che dall’Abruzzo e dal Molise
scendevano con le greggi nel Tavoliere dove pascolavano dal 29 settembre
all’8 maggio. Nel 1627 il terribile terremoto che colpì la Capitanata distrusse
gran parte dell’abitato di Lesina che,
fino al primo Novecento, corrispondeva all’area urbana dell’odierno centro
storico. Per tale motivo i governatori
dell’Annunziata di Napoli, della quale
Lesina era feudo cospicuo, volevano
che la cittadina lagunare fosse ricostruita in località Santo Spirito (nell’attuale
territorio di Poggio Imperiale), due miglia a sud-est dell’abitato distrutto dal
terremoto, ma l’indissolubile legame
che univa i Lesinesi alla loro città indusse gli stessi a ricostruirla nel suo sito
storico (fig. 2).
Angolo di Lesina
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pag. 17
IL CAMPO DI VOLO DEI SOLDATI AMERICANI A LESINA
(MARZO 1944 – OTTOBRE 1945)
(Seconda Parte)
di Salvatore Primiano Cavallo
Il 1°
FIGHTER
GROUP
Proveniente
dal
Campo
d’aviazione
di
Salsola
(ubicato
tra
San Severo e
Foggia, lungo
l’attuale Strada
Statale
16), in seguito alla partenza del 325° Fighter Group,
è di stanza a Lesina dai primi di marzo
al 16 ottobre del 1945 (data in cui il Reparto lasciò il teatro operativo italiano)
il 1° Fighter Group, fornito dei velivoli
Lockheed P – 38 “Lightning”; anche questo Reparto era alle dirette dipendenze
del citato 5° Bombardment Wing (Stormo Bombardieri). Il Gruppo vide la sua
istituzione il 5 maggio 1918. In seguito a
varie circostanze fu sciolto e ricostituito,
causa le vicende belliche, nel maggio del
1942 e assegnato all’ 8a Air Force americana. Fu però alle dipendenze della 12a
Air Force che il Reparto di distinse molto
durante la campagna d’Africa ed anche
in seguito partecipando alla presa di Pantelleria e scortando, successivamente,
alcuni bombardieri che avevano come
obiettivo la Sicilia, prima dell’occupazione militare dell’intera Isola da parte delle
truppe anglo - americane. Il Reparto partecipò, inoltre, come supporto aereo allo
sbarco a Salerno. Nel mese di novembre
del 1943, il reparto fu inquadrato nella 15a
Air Force statunitense alle dirette dipendenze del 305° Fighter Wing, facendo da
supporto operativo agli sbarchi di Anzio
nel gennaio 1944, e all’invasione della
Francia meridionale nell’agosto successivo. Il Gruppo Caccia fu impiegato anche
per numerose missioni nei cieli del nord
Italia, della Germania, Cecoslovacchia,
Austria, Ungheria, Romania, Bulgaria,
Grecia e Iugoslavia. Facevano parte di
questo Gruppo Caccia la 27a, la 71a e la
94a Squadriglia. Nel periodo in cui il Reparto era di stanza a Lesina si alternarono al suo comando tre ufficiali in quattro
periodi diversi. Sino al 30 marzo 1945,
il comandante fu il colonnello Arthur C.
Agan che aveva assunto il comando del
Gruppo il 15 novembre del 1944; a questi
subentrò, fino all’11 aprile dell’anno se-
guente il tenente colonnello Milton Herbert
Ashkins, quest’ultimo sostituito, fino al 28
aprile successivo, dal tenente colonnello
Charles W. Thaxton. L’ultimo comandante di Reparto (per il periodo che lo stesso
rimase a Lesina) fu il già citato Ashkins,
che ricoprì tale incarico con il grado di colonnello, anche dopo la fine del conflitto
mondiale fino al 3 luglio 1946. Nel periodo di cui ci stiamo occupando, atterrarono
sulla pista di volo di Lesina due prototipi
di un modello d’aereo che dopo la Seconda Guerra Mondiale ebbe larga diffusione
tra gli aeromobili dell’aviazione statunitense. Si tratta del Lockheed YP – 80, il
primo aereo a reazione ad aver volato in
Italia e primo aviogetto da caccia in dotazione dell’U.S.A.A.F., costruito in risposta
al nuovo aviogetto che la Luftwaffe aveva da poco iniziato ad utilizzare in Italia:
l’Arado 234 “Blitz”. Lo stemma araldico
del Reparto è costituito da uno scudo gotico bipartito trasversalmente: nella parte
inferiore vi sono raffigurate cinque croci
di Malta in campo blu, mentre la parte
superiore presenta nove fasce trasversali
blu e nere in alternanza. Al capo presenta
una freccia invertita tra due ali ed un cartiglio con il motto AUT VINCERE AT MORI
(o vincere o morire). Il reparto fu l’ultimo
a lasciare il Campo di Lesina. Ritornato in
Patria alla fine delle ostilità il 16 ottobre
1945, fu definitivamente sciolto il 6 febbraio 1952. Oggi la storia e le tradizioni
del 1° Fighter Group, sono state ereditate
dal 1° Fighter Wing (Stormo Caccia) che
ha la sua Base operativa a Langley in Virginia.
Il 27° Fighter Squadron
Costituito il 15 giugno 1917, venne assegnato al 1° Gruppo Pursuit (Gruppo
Ricognizione) partecipando dal marzo
al novembre 1918 alle operazioni belliche nel Teatro Operativo europeo e più
precisamente in quello francese. Sciolto
e poi ricostituito a causa degli eventi bellici il 15 maggio 1942, utilizzando velivoli
P – 38 “Lightning”, il Reparto alle dirette
dipendenze del 1° Fighter Group, venne
impiegato dall’ottobre 1942 al maggio
1945 dapprima nel Teatro Operativo del
Mediterraneo e poi in quello europeo,
prendendo parte a molte missioni di scorta a bombardieri Boeing B – 17 e Consolidated B – 24 “Liberator”. È di stanza
sul Campo di Lesina, proveniente dal
citato Campo d’aviazione di Salsola, dai
primi di marzo al 10 ottobre 1945. Dopo
la fine delle ostilità, nel 1950 la Squadriglia ha assunto la nuova denominazione
di 27° Interceptor Fighter Squadron con
Base operativa a Griffiss, nello stato di
New York, per essere poi trasferito, il 1°
ottobre 1959, a Loring nel Maine ed il 2
luglio 1971 a MacDill in Florida dove venne assunse la nuova denominazione di
27° Tactical Fighter Squadron. Dal 1975
la Squadriglia è stata impiegata in molti
Paesi europei ed extraeuropei tra cui il
Canada, l’Egitto ed i Paesi Bassi. Partecipando all’Operazione Desert Storm ha
compiuto con successo oltre 750 missioni
in territorio iracheno. Al ritorno dalla Prima
Guerra del Golfo, il 1° settembre 1991 il
Reparto riprese la storica denominazione
di 27° Fighter Squadron; dal giugno 1975
la sua Base operativa è a Langley, in Virginia. Attualmente inquadrato tra le fila
del citato 1° Fighter Wing, è uno dei più
vecchi Squadroni dell’U.S.A.F.. Gli aerei
che la Squadriglia ha in dotazione sono i
moderni Lockheed - Boeing F – 22 “Raptor”. Oggi le tradizioni storiche del 27°
Fighter Squadron, sono state ereditate
dal 27° Fighter Squadron Black Falcons
(detto anche Fighting Eagles). Il personale appartenente alla Squadriglia è così
appellato per via di un falco in picchiata
presente nel distintivo del Reparto.
Il 71° Fighter Squadron
La Squadriglia fu costituita il 14 dicembre 1940 a Selfridge Field, nel Michigan.
Quando gli Stati Uniti d’America entrarono a far parte del secondo conflitto mondiale, la compagine fu impiegata lungo
le coste del Pacifico per operazioni anti
sommergibile. Dal 1942 al 1945, alle dirette dipendenze del 1° Fighter Group,
era presente nei Teatri Operativi europeo e del nord Africa volando a bordo dei
Lockheed P – 38 “Lightning”.
È di stanza sul Campo di Lesina, proveniente dal Campo d’aviazione di Salsola,
dai primi di marzo al 10 ottobre 1945.
Il 16 ottobre, in seguito alla fine degli
eventi bellici, il Reparto fu disciolto, per
essere poi ricostituito in Patria, a March
Field, in California, il 3 luglio 1946 dove
venne dotato dei nuovi Lockheed P – 80
“Shooting Star” il primo caccia a reazione
continua a pag. 18
Anno XI
Numero 130
pag. 18
Cultura
Il pensiero laterale positi vo: Ragionamenti
di Giuseppe De Cato
L’arte del viverE
Ragionamento sul numero di “f” da usare quando si
manda qualcuno “a quel paese”
Può capitare, talvolta, di trovarsi a riflettere, soprattutto quando ti vedi costretto tra una richiesta insulsa da un lato e
una pretesa mascalzona dall’altro, sul
numero di “f” che è meglio usare quando si desidera mandare a “quel paese”
qualcuno. E allora, dopo l’iniziale dubbio se sia più corretto usare una sola,
due o addirittura tre “f” nell’indirizzare
il liberatorio imperativo di mandamento
“a quel paese” della persona meritevole di tale destinazione, giungiamo alla
conclusione che ci troviamo di fronte a
un unicum lessicale, potendo correttamente utilizzarsi, a seconda dei casi,
una, due o tre “f”.
Il più delle volte capita che sia sufficiente utilizzare una sola “f”, e ricorriamo
ad un garbato, per certi versi suadente, “ma vafancul!” dal tono vagamente
commiserante, come per dire: “Ma cosa
stai dicendo!” “ Non dire sciocchezze!”
S.P. Cavallo, Il campo di volo... dalla pag. prec.
“A chi credi di darla a bere!” Altre volte,
invece, vuoi per reazione ad un torto o
a un’offesa ricevuta, vuoi perché ci troviamo al cospetto di una persona che
proprio non ci piace, il tono diventa più
sostenuto, e con sguardo teso e bocca
tendente alla smorfia, il “Vaffanculo!”
prende la doppia “f”, assumendo, così,
un valore liberatorio e, per certi versi,
preventivo e curativo della gastrite (verrebbe di dire, in proposito, parafrasando
il più famoso detto della mela, che un
vaffanculo al giorno toglie la gastrite di
torno). Altre volte, ancora, soprattutto in
caso di rabbia incontrollata, di situazioni di vero e proprio disprezzo, ecco che
il mandamento “a quel paese”, richiede
l’utilizzo di ben tre “f”. E allora abbiamo
l’espressione tipica “ma vafffancul!”,
magari aggiungendo al “tu” pronome personale che solitamente segue,
tutta una serie di incolpevoli e ignari
congiunti, sorelle, madri e
parenti più o
meno stretti.
In effetti, per vivere meglio basta poco:
sorridere spesso, guardare le cose con
ottimismo e benevolenza, non smettere
mai di credere nella bellezza dei propri sogni, imparare a vivere le avversità
della vita con la serenità, la calma e
l’armonia interiore che deriva dalle forze benefiche dell’Universo, coltivare
amicizie con persone rette, oneste e
colte e … ogni tanto avere l’intelligenza
di capire quand’è il momento opportuno
di mandare affanculo qualcuno, salvo
che tu non riesca a fare in modo che se
ne vada affanculo da solo. In tal caso,
cioè a dire se riesci a indurre l’autofanculizzazione nella persona meritevole
di tale destinazione, allora vuol dire che
sei un vero artista del vivere.
mo conflitto mondiale, la compagine viene inviata in Francia dove vi rimase sino
alla primavera del 1919 partecipando a
numerose missioni nei cieli francesi. Ritornata in Patria, fu di stanza a Selfridge
Field, nel Michigan. Durante la Seconda
È di stanza sul Campo di Lesina, proveniente dal Campo d’aviazione di Salsola,
dai primi di marzo al 10 ottobre 1945.
Dopo la guerra, nel luglio del 1946, il Reparto fu di stanza a March Field, in California, dove venne fornito dei più moderni
velivoli Lockheed P – 80 “Shooting Star.
Nel luglio del 1950 la Squadriglia ha assunto la denominazione di 94° Interceptor
Fighter Squadron con Base operativa a
George, in California. Il 2 luglio 1971 è
trasferita a MacDill, in Florida dove prese
la nuova denominazione di 94° Tactical
Fighter Squadron per essere nuovamente denominata, il 1° settembre 1991, 94°
Fighter Squadron; dal giugno 1975 la sua
Base operativa è a Langley, in Virginia.
Gli aerei che attualmente il Reparto ha in
dotazione sono i modernissimi Caccia di
superiorità aerea Lockheed - Boeing F –
22 “Raptor”. Oggi le tradizioni storiche del
vecchio 94° Fighter Squadron, sono state
ereditate dal 94° Fighter Squadron Hat in
the Ring (Cappello nel Cerchio). Gli uomini appartenenti a questa Squadriglia erano e sono così chiamati affettuosamente
perché nel loro distintivo è presente un
cappello a cilindro (recante la bandiera
degli Stati Uniti d’America) posto all’interno di un cerchio di colore rosso.
dell’U.S.A.A.F. . Dal luglio 1950 al marzo
1975, la Squadriglia è stata ospitata in diverse Basi aeree statunitensi; in maniera
definitiva dal 1976 è di stanza a Langley
in Virginia. Dal 1° settembre 1991 è inquadrata tra le file del 1° Fighter Wing (Stormo Caccia). Partecipando all’Operazione
Desert Storm ha compiuto con successo,
in territorio iracheno, diverse operazioni di
sostegno tattico. Dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 i velivoli del
Reparto hanno pattugliato i cieli della capitale statunitense e sono stati impiegati,
nel 2003, nel Golfo Persico a sostegno
dell’Operazione Iraqui Freedom. Gli aerei
che attualmente la Squadriglia ha in dotazione sono i McDowell Douglas F – 15
“Eagle”. Gli uomini appartenenti a questa
compagine erano chiamati i Cragmore ed
ora gli Ironmen (Uomini di Ferro), per via
Guerra Mondiale, dal novembre del 1942,
di un pugno di ferro presente nel distintivo
ha operato dapprima nel Teatro Operatidel Reparto.
vo del Mediterraneo e poi in quello europeo, alle dirette dipendenze del 1° Fighter
Il 94° Fighter Squadron
Group, prendendo parte a molte missioni
La 94a Squadriglia Caccia è ricca di tra- di scorta, a bordo dei Lockheed P – 38
dizioni, con origini attestate al 20 agosto “Lightning”, ai bombardieri Boeing B – 17
1917 a Kelly Field, nel Texas. Quando gli e Consolidated B – 24 “Liberator”, produStati Uniti d’America partecipano al pri- cendo tra i suoi piloti un totale di sei Assi.
Cultura
Anno XI
Numero 130
pag. 19
IL “SACRO FUOCO” DELLA PASSIONE
di Leonarda Napolitano
Leonarda Napolitano da San Marco in
Lamis, in occasione della Santa Pasqua,
ritorna col “Sacro Fuoco” della Passione
di Cristo Signore. La processione della
Madonna Addolorata accompagnata
dalle Fracchie (fiaccole) accese si svolge nel cuore della città di San Marco in
Lamis sul Gargano la sera del venerdì
santo. Le Fracchie consistono in enormi fiaccole coniche realizzate in legno
di castagno e quercia che poggiano su
un telaio in ferro munito di grosse ruote
anch’esse in ferro. Dopo essere state
accese vengono trainate con catene da
numerosi volontari di ogni età, con abiti
da contadini “Pantalone alla zuava, calzettoni di lana, camicia bianca, corpetto
scuro e copricapo di lana”. I confratelli vestiti con la loro divisa partecipano
a questa processione con le Fracchie
accese per devozione popolare e servono ad illuminare il percorso della Madonna alla ricerca del figliolo, il Cristo
morto. La Processione delle Fracchie
si svolge da secoli; turisti, studiosi e
spettatori vengono da tutto il mondo
per partecipare e riflettere sull’evento.
Il trasporto delle Fracchie accese ha
uno stretto legame con riti antichi delle
tradizioni agro-silvi-pastorali primaverili
e con la civiltà della transumanza. Era
già descritto nello statuto comunale di
San Marco in Lamis, risalente al 1490
e in vari statuti di confraternite tra il VII
e VIII sec., che l’utilizzo delle Fracchie
trasportate serviva per l’uso dell’illuminazione notturna, sia per le feste religiose che per girare al buio nella notte.
Riflessioni
La scrittrice in queste righe pone in evidenza la congiura dei nemici contro
Gesù. Il Messia si assoggetta alla Passione, alla morte. Egli è stato trafitto per
i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità… e per toglierci il peccato, per
ridarci la grazia. Era giunto il momento in cui Maria santissima avrebbe potuto
dare sfogo al suo dolore e all’affetto materno, stringendo al seno e al cuore
l’adorato Figlio. Nessuna penna, nessun pennello, nessun scalpello ha mai
potuto descrivere questa scena di dolore. Davanti a tale spettacolo immane, la
scrittrice non può far altro che riflettere e ammutolire di fronte ai suoi versi.
Luigi D’Alessandro
FARMACIE di TURNO
Aprile - Maggio 2014
Farmacia Matarese
14-20 Aprile
5 -11- 26 Maggio
1 Giugno
Farmacia Florio
7 - 13 - 28 Aprile
4 - 19 - 25 Maggio
Farmacia Guerriero
6 - 21 -27 Aprile
12 - 18 Maggio
AVIS di Apricena
Calendario delle
donazioni del sangue
Domenica 13 Aprile
Emoteca di S. Giovanni R.do
Domenica 11 Maggio
Emoteca di San Severo
PROCESSIONE DELLE TORCE
(FRACCHIE) – VENERDI’ SANTO
Canta la dura pietra della chiesa stasera
una lauda tragica e dolce come una
preghiera.
No, più non suona, più non chiama
nel vasto bronzo la campana,
e simil a quella di Gerusalemme antica,
del popol avanza la fiumana.
In cima al monte si solleva
in bianche fasce sofferente,
il Cristo sanguinante,
in Croce innocente.
E il fioco lume delle stelle
dalla tenebra non ha paura!
V’è una Luce là, in alto,
che la rompe e l’assicura.
Il vento aspro tremula al frizzar,
la fiamma apre delle torce accese.
Barcolla l’Addolorata ebbra di dolor
e fra strade irte di sassi
laudi in procession.
Con le pie donne avanza la Madonna
“Stabat mater! Stava Maria Dolente!”.
Da sette spade trafitta
pel suo Figlio Innocente.
O Madonna Addolorata!
Stasera raccogli le nostre voci,
e lanciale al di là del mondo
sulla Croce del Tuo Figliolo.
E l’eco a noi fa ritornar,
la voce pacata di quell’Immenso Amore.
Pur noi verso il Calvario,
in cima ove splende il sole…
Andar vogliamo!
Servizio
Guardia Medica
ORARI:
Lunedì - Venerdì
dalle ore 9:00 alle 12:30
Lunedì - Martedì - Giovedì
dalle ore 16:30 alle 18:30
Notturno
dalle 20:00 alle 8:00
NOTA:
L’orario delle donazioni è
dalle 8:30 alle 12:00
e vengono effettuate in
via Gen. Torelli, 19
(ex Circolo Federico II)
Prefestivo
dalle 10:00 alle 20:00
Festivo
dalle 8:00 alle 20:00
Numero telefonico: 0882 642054
Servizio di emergenza: 118
Anno XI
Numero 130
pag. 20
L’EREDITA’
CONTESA
di Aurelio Carraturo
Affetto fraterno che non
deve mai mancare
Sempre più frequente capita di imbatterci in dispute tra fratelli, per un’eredità contesa. Fratelli che da anni non
si parlano più, che si odiano, che preferiscono consumare l’eredità per gli
avvocati e le cause, piuttosto che mettersi d’accordo, pur di non darla vinta
agli altri. Si sparla ingiustamente alle
spalle dei fratelli, si getta discredito
senza tentare neppure un chiarimento.
A volte s’inveisce persino contro i propri genitori, colpevolizzandoli per non
aver diviso equamente l’eredità. Sacrificare la propria vita per accumulare
ricchezze non è una cosa saggia, ma
a volte si sbaglia per eccesso d’amore,
per dare ai figli la possibilità di un cammino migliore. Indubbiamente i genitori pensavano che l’eredità sarebbe
stato motivo di gratitudine e di affetto
e non di divisioni e incomprensioni.
Ma succede che l’ingordigia, l’avidità,
l’avarizia, l’attaccamento alle cose,
alle ricchezze, causano solo amarezze e delusioni. Quante volte, per non
incontrare i fratelli, non si è andati ad
una festa di parenti, ad un matrimonio,
ad un anniversario, ad un battesimo,
ad una cresima? Quante volte non si
è andati a visitare il fratello o i genitori gravemente malati? Ma quello che
più sconvolge è vedere l’assenza di un
figlio al funerale della madre o del padre, proprio per non incontrare i fratelli, perché si è convinti di essere stati
derubati nella spartizione dell’eredità.
A volte per la rabbia si arriva persino
ad usare la violenza. Oggi purtroppo
viviamo nell’epoca della smemoratezza, perché abbiamo perso la capacità
di ricordare il passato. Occorre tornare
indietro con la mente, nella casa pa-
Cultura
La poesia comica del
Duecento
prof.ssa Alessandra Muti
Dimentico per un po’ il presente e le sue
noie, m’ intrufolo nel nostro passato culturale e vado con la memoria scolastica
al Medioevo, alla poesia comico- realistica... La donna- angelo dello Stilnovo.
la sua serafica purezza, il suo recare
beatitudine e salvezza all’innamorato,
la nobilitante esperienza amorosa cedono il posto, nella seconda metà del
Duecento, per contrapposizione, alla
volgare prosaicità della vita quotidiana.
Si afferma, così, un nuovo modo di fare
poesia, un poetare giocoso e burlesco,
attento alla realtà degli umani. E’ l’ altro
volto dello Stilnovo, è un contrastare
la cultura aulica ufficiale. L’amore e la
donna si connotano di sensuale fisicità;
dalla donna raffinata ed eterea si passa
alla ragazza poco di buono, licenziosa, pettegola, talora diabolica, capace
di augurare persino la morte al proprio
innamorato. E costui, a sua volta, non
sembra prediligere i valori dello spirito,
loda il denaro e la ricchezza, il vino, il
gioco, la vita gaudente e libertina. Aspetti questi che si ritrovano, in circostanze
ovviamente diverse, nel mondo d’ oggi,
in cui poco spazio si dà ai sentimenti e
alla spiritualità e l’alcolismo è sempre
più diffuso in una larga fetta di giovani e
meno giovani. Gli autori di questa poesia definita comica per l’adozione di uno
stile medio, aderente al parlato, nei loro
versi spesso aspri e polemici, si fanno
beffe dei costumi e dei valori dominanti. Sono poeti che amano l’allegria, che
osservano uomini e cose, usando la parodia e la caricatura, per suscitare il riso
e creare un clima festoso e gaio. Sono
autori che adoperano il dialetto, ma
solo sotto il profilo lessicale, perché, in
realtà, sono uomini dotti, non sprovveduti culturalmente per la perizia con cui
obbediscono
alle
norme
grammaticali
e retoriche.
Sono poeti
appartenenti
alla borghesia, protagonisti della vita cittadina di cui fanno parte, sono notai, professionisti, cavalieri
etc. La loro non è una poesia popolare,
intesa come espressione del popolo,
come erroneamente riteneva la critica
ottocentesca. E’, invece, una poesia
colta che affonda le sue radici in esperienze poetiche precedenti, non esclusa
quella goliardica. E’ un modo erudito di
esercitarsi stilisticamente, mantenendo una visione disincantata della vita,
come fa, ad esempio, il senese Cecco
Angiolieri, il più noto esponente di tale
indirizzo poetico. Questi decanta la donna, la taverna e il dado, esalta le grazie
di donne giovani e leggiadre, scaglia
ingiuriosi vituperia contro il padre avaro, che lo lascia a stecchetto, ama una
donna tutt’ altro che virtuosa, di nome
Becchina. Alla bellezza e grazia ideali
sostituisce l’invettiva, la bestemmia, la
ribellione e la comicità. E’ questo forse
un modo per esorcizzare le angustie
della vita e placare le proprie intime frustrazioni. E’un po’ come oggi, in cui la
disperazione, la mancanza di prospettive per il futuro, o di sani e saldi punti
di riferimento gettano nello sconforto
facendo intraprendere percorsi di vita
discutibili: prostituzione anche minorile,
stupri, droghe, alcolismo etc. La società
avanza tecnologicamente e scientificamente ma i mali dell’ anima permangono immutati. Il vero progresso è ancora
lontano.
terna, dove si è vissuti insieme l’infanzia, dove si è imparato a conoscersi,
a rispettarsi, ad aiutarsi, dove ci si è
abbracciati, baciati e giocato insieme.
Dove si è mangiato allo stessa tavola,
si è dormito nella stessa stanza e persino nello stesso letto. Dove si è gioito
e pianto con i propri genitori, quando il
solo bene che univa era l’amore. Perché siamo così insensati a non capire
che l’unica ricchezza che abbiamo è
l’amore? che le fortune accumulate non ci salveranno dalla morte, che
il tempo che avanza ogni cosa porterà via. Dobbiamo abbandonare il mito
della ricchezza come fonte di felicità e
di sicurezza del domani. La nostra vita
non dipende dai beni, ma dal bene e
dall’amore che doniamo. L’accumulo
delle cose è spesso un comportamento
quasi istintivo, che scaturisce dalla preoccupazione del futuro e della miseria.
Ma, forse, è per la paura della morte
che ci aggrappiamo alle cose, illudendoci di salvarci.
Cultura
Anno XI
Numero 130
pag. 21
FIDAPA
Federazione Internazionale Donne Arti Professioni ed Affari
fa capo alla BPW (Business Professional Women) International
La fondatrice della F.B.P.W., la statunitense Lena Madesin Philips, nata nel 1881,
fu la prima donna a conseguire, nel 1917,
la laurea in legge. Successivamente fu
ammessa all’esercizio della professione
forense. Alla fine del primo conflitto mondiale, il governo degli Stati Uniti d’ America, pensò di utilizzare le energie femminili che, durante il corso della guerra,
avevano dato prova di serietà, impegno
e capacità, sostituendo gli uomini impegnati in attività belliche. Fu così affidato
a Lena Madesin l’ incarico di organizzare le donne lavoratrici, per inserirle nella
Y.W.C.A. (Young Women ‘s Christian Association). Questa esperienze le permise
di procedere al censimento delle donne
americane impegnate nelle professioni e
negli affari e, successivamente, di cerare
dei Circoli in varie città. Nel 1919 la Madesin organizzò una grande assemblea
a St. Louis, per Coordinare il lavoro e l’
attività dei Clubs e nell’occasione fu fondata la F.B.P.W. L’ Associazione era intesa a “potenziare il senso di responsabilità
nella donna lavoratrice, elevarne il livello
di cultura e di preparazione, renderla idonea ad intraprendere qualsiasi carriera,
senza discriminazione di sesso e di razza”. Lena Madesin auspicava, nel Suo
programma, di divulgare l’ Associazione
in tutto il mondo, dichiarandosi convinta che una Federazione Internazionale di
donne dedite agli affari e alle professioni
avesse “una grande missione, non solo
potendo far molto per le donne in se stesse, per la loro emancipazione e l’aumento del loro prestigio nell’ambiente sociale
del Paese in cui vivevano, ma giovando
anche ad una maggiore comprensione
tra le appartenenti a nazioni e civiltà diverse”. Per attuare il suo programma, la
nostra fondatrice intraprese dal 1928 al
1930 I cosiddetti “viaggi di buona volontà
(good will-tours), Con lo scopo di sollecitare le autorità dei Paesi visitati ad individuare e promuovere l’ attività produttiva
femminile. Si recò dapprima in Europa,
(Francia, Inghilterra, Austria, Belgio e
Italia) e quando giudicò maturi i tempi,
nell’agosto 1930, decise di riunire le Federazioni Nazionali di Austria, Canada,
Francia, Inghilterra, Italia e Stati Uniti in
una grande assemblea a Ginevra, dove,
alla presenza di due rappresentanti delle
Società delle Nazioni, fondò l’I.F.B.P.W.
(Federazione Internazionale Donne Professioni e Affari) e ne assunse la presidenza che tenne fino al 1947. Dopo un
periodo di silenzio, dovuto agli eventi bellici della seconda guerra mondiale, Lena
Madesin Phlips si adoperò per ricostituire
le Federazioni che avevano interrotto l’attività e per fondarne altre. La Fondatrice
morì nel maggio 1955 a Marsiglia. Oggi
la B.P. W. Internazional svolge molteplici
compiti, avvalendosi di socie altamente
qualificate che fanno parte di Commissioni permanenti quali: Agricoltura, Ambiente, Commercio e Tecnologia, Legislazione, Proselitismo, Rapporti con l’ONU,
Salute,
Sviluppo-Formazione­Impiego.
E’ organo consultivo di prima categoria
presso le Nazioni Unite; collabora con la
F.A.O., l’U.N.E.S.C.O., l’I.L.O., l’O.M.S.
(agenzie che si dedicano rispettivamente
ai problemi dell‘alimentazione, della cultura, del lavoro e della sanità) Il Comitato
Esecutivo della Federazione Internazionale viene eletto ogni tre anni, in occasione di un congresso, durante il quale si
conclude il tema internazionale svolto nel
triennio precedente e ne viene proposto
uno nuovo, in base alle indicazioni fornite
dai club sparsi nel mondo. Il logo BPW riproduce i due emisferi del globo terrestre.
La dott.ssa Livia Ricci fu la prima italiana
eletta, nel 1993, alla carica di Presidente
Internazionale.
Federazione.
Ogni
candela
BLU rappresenta
un paese dove
c’è almeno un
Club Associato.
Le candele ROSA rappresentano le Socie Individuali.
La candela bianca più alta rappresenta
la Federazione Internazionale, alla quale
le donne di tutto il mondo guardano come
ad un faro (Accende la candela più alta
l’Autorità Fidapa più alto grado ).
Si accendono le candele bianche per
ognuna delle Federazioni Fondatrici della BPW International che sono:
Italia, Austria, Canada, Francia, Regno
Unito, Stati Uniti d’America (per l’Italia
accende la candela la Presidente di Sezione).
Seguono poi le accensioni delle rimanenti candele BIANCHE che rappresentano
le Federazioni presenti nei seguenti
paesi: Argentina, Giappone, Sudan, Australia, Giordania, Svezia, Bangladesh,
Indonesia, Svizzera, Belgio, Irlanda, TaiCERIMONIA DELLE CANDELE
landia, Brasile, Messico, Taiwan, Cile,
Le socie si incontrano per rendere un Nepal, Turchia, Cipro, Nigeria, Corea,
omaggio speciale ad una delle più in- Nuova Zelanda, Ecuador, Paesi Bassi,
fluenti organizzazioni del mondo, la In- Egitto, Pakistan, Estonia, Polonia, Finlanternational Federation of Business and dia, Singapore, Germania, Spagna.
Professional Women, di cui la FIDAPA Successivamente vengono onorati i
fa parte, che riunisce le donne di tutto il Clubs Associati nei seguenti Paesi, acmondo. Nata 84 anni fa, oggi la BPW cendendo le candele BLU (si nomina(Business and Professional Women) è un’ no i Paesi lentamente): Antille Olandesi,
organizzazione dinamica e potente, d’im- Kuwait, Slovacchia, Barbados, Benin,
portanza mondiale. La pubblica opinione Islanda, Sud Africa, Bermuda, India, Sri
e la legislazione sono state influenzate Lanka, Bulgaria, Johannesburg, Togo,
dal suo lavoro in molti paesi. La sua fon- Burkina Faso, Jamaica, Ucraina, Bolidatrice Dr. Lena Madesin Phillips volle via, Lettonia, Ungheria, Cambogia, Mali,
introdurre la Cerimonia delle Candele per Zambia, Camerun, Malta, Romania, Cosimboleggiare un abbraccio con tutti i Pa- sta D’avorio, Moldavia, Norvegia. Isole
esi aderenti. Rappresentando la sua voce Cayman, Mongolia, Isdraele, Niger, Isole
alle Nazioni Unite, la BPW porta a questa Cook, Palestina, Cina, Hong Kong, Panaistituzione mondiale le informazioni e le ma, Costarica, Papua, Croazia, Repubopinioni espresse dalle Affiliate interna- blica Ceca, El Salvador, Repubblica del
zionali. Essa gode di Status Consultivo Congo, Grecia, Federazione Russa, Haipresso il Consiglio Economico e Sociale ti, Samoa, Kenya, Serbia.
delle Nazioni Unite. Ha anche lo status Si onorano, poi, le SOCIE INDIVIDUALI
Consultivo presso l’UNESCO, l’UNICEF, presenti, accendendo le candele ROSA e
l’Ufficio Internazionale del Lavoro, l’Or- al termine della Cerimonia delle Candele,
ganizzazione delle Nazioni Unite per lo la socia più giovane accende la candela
Sviluppo Industriale e l’Organizzazione Verde del FUTURO. Con questa candeMondiale della Sanità. Lavora in stretto la accesa, esse riaffermano l’ obiettivo di
contatto con la Commissione per i Diritti proseguire il cammino con determinazioUmani e la Commissione per lo Status ne, con coraggio e con entusiasmo, nella
delle Donne, la FAO, il Fondo Interna- speranza che venga pienamente riconozionale per lo Sviluppo dell’Agricoltura, il sciuto il loro apporto nei campi economiConsiglio d’Europa ed altre agenzie spe- co, sociale e politico e confermando la
cializzate.
loro volontà di continuare ad impegnarsi
Le candele simboleggiano le ambizio- per creare un mondo di giustizia sociale
ni e l’opera delle donne impegnate in per tutti e quella pace alla quale tutto il
tutti i paesi del mondo.
mondo aspira. La cerimonia termina con
Ogni candela BIANCA rappresenta una la recita della Preghiera internazionale.
Anno XI
Numero 130
pag. 22
Cultura
La prima scampagnata primaverile -19 Marzodell’antica civiltà contadina sannicandrese
di Antonio Monte da Milano
In ogni angolo del
Gargano vi è posto
un frammento di storia i cui avvenimenti
non tutti sono documentabili. Gli stessi
episodi
raccontati,
si modificano poi nel
tempo e così che dalla storia passano alla
leggenda.
Le scosse di terremoto e il caldo torrido verso l’inizio degli anni cinquanta,
non consentivano di far dormire la popolazione sannicandrese. Nelle notti di
quell’estate, gli abitanti del rione “vigna
di Brenna” solevano riunirsi nella strada
di via Ariosto, formando un semicerchio
per recitare il Santo Rosario con di fronte la chiesetta di San Giuseppe bene in
vista, invocando San Michele per ogni
scossa. Alla domanda sul perché s’invoca San Michele? Così la risposta: “l’Angelo cattivo nelle sembianze di serpente
ha convinto Adamo a mangiare la mela.
L’Angelo punito da Dio per la vergogna
si rifugiò in fondo alla cavità terrestre ed
ogni volta che tenta di risalire alla superficie provoca il terremoto. San Michele è il
Cavaliere Dominatore del serpente”. Terminato il rosario le persone anziane raccontavano storie di avvenimenti antichi.
In quell’occasione sono venuto a conoscenza delle origini della scampagnata,
tradizione ancora oggi ricorrente (in misura ridotta) ogni 19 Marzo (l’onomastico
di San Giuseppe, Padre putativo di Gesù
é l’attuale festa del papà). Questo il racconto: Un giovane di nome Giuseppe è
nato da una relazione occasionale fra
una domestica e un signore benestante
il quale, per non infangare la sua reputazione, destinò da subito la mamma e il
figlio in una località lontana e ben isolata
dal resto del paese. Il ragazzo rimasto
poi orfano continuò a lavorare nei campi
in qualità di garzone senza mai scendere
al paese. Il giovane desiderava conoscere altri luoghi, altra gente e soprattutto
visitare il paesello dove i compagni di
lavoro trascorrevano le festività e al loro
ritorno raccontavano molti particolari, suscitando ancor di più la sua curiosità tanto che si sarebbe accontentato di vederlo
almeno da lontano. Un giorno era intento
a preparare il terreno per la piantagione
della vigna, lavoro molto duro e faticoso
che consiste nel rimuovere il terreno in
profondità, ripulirlo da ogni erbaccia e togliere qualche sasso incastrato. La giornata era ancora invernale ma soleggiata,
il cielo era limpido e celeste. Ogni tanto si
sdraiava per terra con il viso rivolto verso
l’alto per riposare la schiena; la distanza
dal cielo era tanta, forse la stessa che lo
separava dal paese, così immaginava e
si rassegnava. La solitudine di tutta la
sua esistenza e il mancato contatto con
altri suoi simili travisavano le dimensioni
della realtà.
Il cielo è vero che è distante ed immenso, ma ha la capacità di ascoltare, di vedere le azioni, i desideri, i lamenti, i sentimenti buoni e cattivi di tutta l’umanità
e nel tempo, questi vengono premiati,
esauditi, placati e manifestati.
Il giovane aveva con sé quattro arnesi
per poter espletare quel tipo di lavoro:
una zappa, un piccone, una vanga e una
mazzetta. Nel mentre era intento a lavorare, un’ improvvisa tromba d’aria lo sollevò, trasportandolo via e con lui tutti gli
attrezzi. Per alcuni giorni non si ebbero
notizie. Tutti i luoghi del Gargano erano
frequentati da pellegrini che venivano
dai paesi lontani per sostare e visitare i
luoghi sacri dove diverse Divinità avevano dimorato. Il Promontorio fin dall’era
pagana era famoso per la sua posizione
di come ruota intorno al sole, per il suo
clima, per il punto d’incontro di tutti i venti, per le correnti che rendono l’aria pura,
per essere baciato dal mare, per essere
ammirato dalle costellazioni più celebri e
per essere coronato dalle mezze fasi lunari; luogo serio e antico dove i Pellegrini venivano e vengono a rigenerarsi
di energie Spirituali. Un pellegrino, attraversando la cima della collina in mezzo
a un bosco fitto di alberi di ulivi e di lecci,
il giorno del 19 marzo, avvistò il corpo di
un giovane seduto, con gli occhi ancora
spalancati, come fosse vivo e come se
ammirasse il paese visibile in ogni sua
parte. Le spalle erano sorrette da un muretto a forma di semicerchio come una
nicchia e a lui accanto: una zappa, una
vanga, un piccone e una mazzetta. Era
il cadavere di Giuseppe venuto da lontano, caduto dal cielo. Sotto di lui la vista
completa del paese di Sannicandro quasi
a portata di mano. Fu sepolto in quel luogo e tutti quei sassi furono adoperati per
fare una casetta rurale. Questo racconto
è privo di documentazione, mentre esiste
quella relativa ai nomi degli eremiti che
abitarono per mezzo secolo in quel luogo
intorno al 1700:
Giuseppe Ferrandino da Cagnano fino
al 29.06.1717
Cataldo D’Augello al 08.09.1719
Giuseppe Birardo al 20.03.1730
Stefano Martuccio al 17.04.1741
Alessandro Scuro da Laino al 1743
Nicolò Rinaldi al 20.05.1753
Verso la metà dell’800 fu costruita la
chiesetta. La popolazione sannicandrese
ogni 19 marzo, onomastico di San Giuseppe, andava in pellegrinaggio, ascoltava la Messa solenne e dopo consumava
all’aperto i cibi che portava da casa. La
data coincide con l’addio dell’inverno
e con l’arrivo della primavera. Infatti, il
sentiero che collega la chiesetta al paese è ricco di viole che venivano utilizzate per ornare l’Altare. I ragazzi poveri
si impegnavano alla buona riuscita della
composizione delle viole per barattare i
mazzolini con qualche uovo sodo o con
un pezzo di frittata. Per tutti loro era una
grande festa, l’arrivo della primavera rappresentava la rinascita, la fine delle sofferenze patite dalle lunghe giornate fredde
invernali. L’aria oltre al profumo dei fiori
era invasa dagli odori dei cibi che i pellegrini portavano per mangiare dietro la
chiesetta, mettendo tutte le pietanze in
comune: frittate, caciocavallo, pezzo di
maiale stagionato, lampascioni cucinati
al forno, ricotte e scamorze; ognuno offriva il meglio della scorta in casa e per
l’occorrenza venivano preparati i dolciumi come: peperati, taralli, biscottini con
il seme di anice e le ciambelle. Il vino
nostrano era posto nel fiasco che veniva passato di mano in mano dei partecipanti. Negli anni cinquanta ricordo che si
brindava con la Birra Peroni misto alla
gassosa e con l’aranciata chimica (acqua, bustina di polvere effervescente e
fialette di essenza d’arancio). Si cantava
fino a sera “quel mazzolin di viole che
vien dalla montagna e guarda ben che
non si bagna te lo voglio regalar”. Il
tentativo di regalare un mazzolino di viole ad una ragazza, pur non muovendo le
labbra tanto era lo sguardo a recitare, era
per sé un atto di coraggio e se per caso
veniva accettato rappresentava una vera
conquista. La collina di San Giuseppe
è di certo un luogo sacro e suggestivo,
persino i venti fanno mulinello e soffiano
sempre un’aria fresca messaggera di fratellanza e di bontà.
Anno XI
Numero 130
pag. 23
Tradizione
I RACCONTI DEL MARESCIALLO di Lillino Tantimonaco
NONNO PANTALEO
(Favola)
PREMESSA
Quando gli acciacchi del tempo prendono il sopravvento sulla persona anziana, si assiste, non proprio benevolmente, ad episodi che danno la stura ad espressioni poco educative, quali: “che brutta
cosa la vecchiaia”; oppure “perché i familiari non lo portano in qualche ospizio?”. E altri epiteti dispregiativi che non meritano di essere menzionati. Si sa che il tempo si accumula al tempo, dando origine ad un altro tempo di
vita, fatto di debolezza fisica e acciacchi vari che non permettono più alla persona un valido assetto sociale…
Il Signor Pantaleo mentre era intento
a pulire con una pezzuola le lenti degli
occhiali, questi ultimi scivolando dalle
mani tremanti, cadevano a terra rompendosi in due-tre pezzi. Il povero Pantaleo si vergognava dell’accaduto, ma
la nuora intervenendo disse: Vuol dire
che ti compreremo occhiali di plastica
in modo che non abbiano a rompersi.
Nel frattempo il piccolo Michelino a protezione del nonno, raccattava da terra i
pezzi rotti degli occhiali…
“Che stai facendo”, chiese la mamma; e
il piccolo rispose: “Cercherò di riappiccicare i vetri rotti degli occhiali da dare
a te, mamma, quando sarò grande”.
Quelle parole sferzate del piccolo Mi-
chelino ottenebrarono le menti di Gianluca e di Dorina; i genitori si guardarono, i loro occhi si fecero lucidi-lucidi, già
colmi di pianto da non poter più frenare.
R’SPETT’ A LU NONN
Fu così che dal giorno dopo in poi, nonno Pantaleo riprese il posto a
tavola con loro avendo vicino
il piccolo Michelino…
RISPETTO AL NONNO
Ogn’ fabbulétt’ te la murél’,
quèss scritt’ appén sòp’,
lu fa capì p’cchè jè naturél’:
c’ r’spètt’ u nonn mò e nnò dòp’… Quedda poca cord’ rumés’
adda jèss’ d’ giòj, senza d’lòr’,
po jèss’ deciann’ oppuramènt’ nu més’:
“che béll’ u r’spètt’ fatt’ d’ còr”…
Ogni favola ha la morale,
questa scritta appena sopra,
lo fa capire perché naturale:
si rispetta il nonno ora non dopo
Quella poca corda rimasta
deve essere di gioia, senza dolori
può essere dieci anni oppure un mese:
“che bello il rispetto fatto di cuore”…
AMICI A QUATTRO ZAMPE
Ai lettori dei miei racconti rivolgo le
seguenti domande: “Vi siete mai chiesti cosa penserà di noi umani un gatto
mentre ci osserva con quella sua aria
sorniona? E il cane, cosa cercherà di
dirci con quei guaiti insistenti quando
rientriamo a casa?”. Forse una risposta
c’è: “I gatti, per esempio, pensano che
l’uomo sia un micio più grande; a questo ci viene in aiuto la scienza, la quale
consiglia di essere “noi” i migliori amici
del felino. Comunque va detto che solo
in Italia l’amore per questi micio/a sono
in ascesa sempre di più. Da noi ci sono
i siti specializzati che si chiedono come
agiscono gli animali. Già: che cosa si
nasconde nella mente degli animali? La
domanda sta facendo (da una ricerca)
letteralmente boom. Infatti un gruppo di
scienziati ha di recente messo a punto
un dispositivo che dovrebbe tradurre
in linguaggio umano i latrati dei cani;
mentre per i gatti che dicono e non dicono, l’impresa è più ardua, ma prima
o poi anche le fusa e lo “struscio” del
felino sulle gambe umane sarà un linguaggio.
“Il rapporto con gli animali domestici si
è evoluto”. Un tempo li consideravamo
strumenti: “guardiani delle nostre case
e cacciatori di topi, non disgiunte da
rapporti amicali (amici della solitudine).
E, ancora, quale sentimento manifestiamo, allorché la stampa ci mette al corrente di un fatto di cronaca dove sono
protagonisti gli amici a quattro zampe?
E qual è l’intrinseco linguaggio che loro
manifestano al fatto di cronaca nella
convinzione di renderlo comprendibile
all’uomo? (vedi un salvataggio di un
INCONTRO
(il cane Argo e la gatta Mabél’)
Na matin’ d’ sòl ardènt’
‘ndà na vij stretta-strettétt’
c’ so ‘ncuntrét’, p’nu mumént’,
Argo e Mabél’, k li vook ancòr vrétt’…
Miaoo! Mabél’ v’dènn’ l’amik,
Bau-Bau! R’sponn’ Argo tutt’arrajèt’…
Jèv’ lu salut’ d’ sapòr’ antik,
còm’ s’ fuss’ na còs’ amm’z’jèt’…
Miaoo! Frr’! Frr’! p’cchè sta arrajèt?
Bau! Grr! A mmè m’ batt’ancòr’ lu còr’,
stanott’ da lu ‘ncappaken sim scappèt’
‘ndà lu jattarul so rumès cu drét’ da for.
Grr! Grr! U ‘ncappaken ce d’v’rtut’,
K quiddi men’ ca parév’n’ curr’jiul’,
li palet’ addrét’ manna d’strutt’;
tutt’ p ‘ f’ccarm’ dinda lu jattarul’…
bimbo in pericolo in mare o in un fiume)
o l’allarme che riescono a dare, utile
a scongiurare un pericolo? Ecco dove
si trova l’importanza sulla relazione
dell’uomo con gli amici a quattro zampe. Capire e tradurre in parole le fusa e
le moine di un gatto e lo scodinzolare di
un cane…
MIAOOO!!!BAU BAU!!!
INCONTRO
(il cane Argo e la gatta Mabél)
Una mattina di sole ardente
in una via stretta-stretta,
si sono incontrati per un momento
Argo e Mabél’ con le bocche ancora sporche.
Miaoo! Dice Mabél vedendo l’amico,
Bau-Bau! Risponde Argo molto arrabbiato…
Era il saluto di sapor ancestrale,
come se fosse una cosa già studiata…
Miaoo! Frr-Frr! Perché sei arrabbiato?
Bau! Grr! A me batte ancora il cuore,
Stanotte fuggendo dall’accalappiacane
Dal buco del gatto col didietro fuori
Grr! Grr! L’accalappiacane si è divertito,
con quelle mani che sembrano di ferro,
le botte prese mi hanno distrutto;
tutto per riparare nel tuo buco…
s
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