978-88-348-3982-9 Unico

EDITORIALE Editoriale 3
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Focus
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Apertura dei lavori congressuali
Manuela Cecchi
1993-2013 “I vent’anni dell’AIAF”
Luisella Fanni
La funzione sociale dell’avvocato per la tutela dei diritti delle persone nella fisiologia e
nella patologia dei rapporti familiari
Francesco Pisano
La crisi delle relazioni familiari: come sostenere e tutelare i protagonisti rendendoli
consapevoli dei loro diritti e dei loro doveri
Alessandro Sartori
Introduzione alla pratica collaborativa familiare
Cinzia Calabrese e Carla Loda
Importanza e indispensablità della tutela giurisdizionale
Luisella Fanni
Continuità fra sé biografico e sé professionale: insidie ed opportunità relazionali nella
regolamentazione giuridica delle relazioni intrafamiliari
Giuseppe Barile e Antonina Scolaro
Gli scenari del familiare
Antonio Leonardi
I percorsi formativi dell’avvocato
Alberto Figone
Organizzare lo Studio legale – i vantaggi collegati alla scelta volontaria di aderire ad uno
standard tecnico
Giovanna Stumpo
Note in tema di responsabilità civile dell’avvocato
Giuliano Scarselli
Il riconoscimento della specializzazione nella nuova legge professionale: l. n. 247/2012.
Sintesi della Tavola Rotonda tra: AIAF-Luisella Fanni; UNCC-Renzo Menoni; UCPI-Manuela De Orsola; AGI-Fabio Rusconi; UNCAT-Erminio Rettus
Luisella Fanni
Conclusione dei lavori: l’importanza di una leadership affidabile e riconosciuta
Luisella Fanni
Europa
La formazione e specializzazione dell’avvocato per la famiglia e i minori: uno sguardo
sull’Europa
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Inghilterra
Simonetta Agnello Hornby
Francia
Davide Ferrarini
Romania
Mirella Monica Lazar
Ungheria
Krisztina Ilona Molnar
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013
© Copyright 1995 - AIAF
RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI
AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI
Trimestrale – reg. Trib. Milano 24 settembre 2013, n. 288
Anno XVII, n. 2, maggio-agosto 2013
Direttore Responsabile
Luisella Fanni
Comitato di redazione
Manuela Cecchi, Gabriella de Strobel, Alberto Figone, Caterina Mirto, Francesco Pisano, Giulia Sarnari, Antonina
Scolaro
Redazione
Galleria Buenos Aires n. 1, 20124 Milano – tel. e fax 02 29535945
[email protected] www.aiaf-avvocati.it
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G. Giappichelli Editore - 10124 Torino
via Po, 21 - Tel. 011-81.53.111 - Fax 011-81.25.100
http://www.giappichelli.it
ISBN/EAN 978-88-348-3982-9
ISSN 2240-7243
Stampa
Stampatre s.r.l., di A. Rinaudo, G. Rolle, A. Volponi & C.,
via Bologna 220, 10123 Torino
Finito di stampare nel mese di settembre 2013
Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto
dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633.
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EDITORIALE EDITORIALE Il tema congressuale, elaborato, formulato e precisato con la diretta partecipazione di Milena
Pini 1, sin negli aspetti più propriamente organizzativi, ha voluto affrontare, anche ripercorrendo vent’anni di vita associativa, quali sono oggi le prospettive per il futuro dell’avvocatura in
una società in costante cambiamento, in particolare per quella specializzata nel diritto della famiglia, minorile e delle persone. Tenendo conto che il nostro operare si deve rivolgere non solo
al giudiziario ma deve recuperare la funzione di consulenza preventiva e di risoluzione conciliativa delle vicende affidate alle nostre cure professionali; per farci percepire dalla gente e dai diretti interessati come pacificatori sociali, quali siamo e dobbiamo essere; anche quando, in assenza di soluzioni alternative o per la migliore e tempestiva tutela delle persone che a noi si rivolgono, andiamo davanti al giudice; perché, anche in questo caso, lo scopo ultimo da raggiungere è una soluzione che elimini la lite tra le parti e funga da risolutrice del conflitto.
Il congresso ha ospitato una delegazione di colleghi stranieri provenienti da Inghilterra, Francia, Romania e Ungheria. Le loro relazioni, in risposta a quesiti da noi predisposti, hanno illustrato quali sono nei loro paesi i percorsi di studio e di formazione per diventare avvocati e poi
avvocati specializzati, soprattutto in materia familiare e minorile; se per tali materie hanno giudici specializzati; se e come è regolata la tutela dei non abbienti; in quali forme si può organizzare l’esercizio della professione legale.
Una sessione è stata invece dedicata ai nostri percorsi formativi; alle tecniche di organizzazione
del lavoro nello studio professionale; alla responsabilità civile dell’avvocato alla luce delle nuove norme e della giurisprudenza, con particolare attenzione al nostro settore.
La nuova legge professionale 2 che, tra l’altro, ha dato un riconoscimento istituzionale alle libere
associazioni forensi e ha introdotto le specializzazioni (artt. 9, 11, 29, 35), è stata oggetto di
una Tavola Rotonda con i rappresentanti delle associazioni specialistiche; insieme all’AIAF
hanno condotto una lunga battaglia per ottenere questo riconoscimento che, pur con le sue criticità, rappresenta una importante conquista.
Il tema generale congressuale su cui l’AIAF si è impegnata – Cambia la società, cambia la famiglia: funzioni, competenza e responsabilità dell’avvocato – è però molto più ampio. Ancora una
volta in linea con il pensiero di Milena Pini, si è focalizzato su una società e una famiglia in
cambiamento, dove emerge una nuova figura di avvocato, specializzato nel diritto delle persone
e delle relazioni familiari, protagonista certamente della giurisdizione, ma che non esaurisce in
quel contesto la sua funzione sociale. Infatti, fuori dalla giurisdizione è ancora lui il difensore
dei diritti delle persone e può e deve svolgere un ruolo decisivo in ogni attività di consulenza,
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Milena Pini è scomparsa a Milano l’8 aprile 2013.
L. 31 dicembre 2012, n. 247.
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013
preventiva o riparativa, nell’ambito dei conflitti relazionali e nell’assistenza alle persone per la
cura dei loro interessi personali e patrimoniali.
Alcune relazioni hanno affrontato specificamente come e con quali strumenti gli avvocati possono tutelare i loro assistiti dentro e fuori dal processo; come possono sostenerli quando le relazioni familiari entrano in crisi e come devono attrezzarsi, culturalmente e professionalmente,
per non essere coinvolti e travolti dalle loro sofferenze. Ma, come bene ha concluso Francesco
Pisano, c’è un enorme lavoro culturale che possiamo fare e che è importante fare e che può servire a rilegittimarci socialmente: riprendere a parlare di diritti anche fuori dalle nostre aule
congressuali o dalle aule di giustizia, in tutti i luoghi della società. «Riprendiamoci l’educazione
alla legalità, l’educazione ai conflitti, andiamo nelle scuole a parlare di Costituzione, di CEDU, della
Carta di Nizza. Facciamo crescere questa cultura e facciamo in modo di essere identificati come gli
esperti competenti, i difensori di questo patrimonio fondamentale che sono i diritti delle persone».
La necessità di spostare l’asse dell’attenzione, dell’avvocatura e di tutti gli operatori, dal processo ai diritti che il processo deve tutelare, è stata più volte richiamata dai rappresentanti delle
Istituzioni e delle Associazioni che hanno accolto il nostro invito onorandoci con le loro presenze e che, ancora una volta, ringraziamo. In particolare li ringraziamo perché con i loro interventi sono entrati nel vivo del tema congressuale introducendo un dibattito culturale e sociale
che ha dato un ampio respiro ai nostri lavori, prefigurando occasioni di recupero della nostra
funzione sociale e del nostro ruolo di difensori dei diritti, dentro e fuori la giurisdizione.
La Vicesindaco di Firenze, Stefania Saccardi, riconoscendoci interlocutori importanti come associazione, in quanto portatori di interessi generali, ha chiamato gli avvocati a partecipare al
Tavolo delle Comunità di Accoglienza per i minori, a verificare, controllare e fare con il Tribunale per i Minorenni e gli altri operatori un progetto di presa in carico dei minori in difficoltà; a
lavorare insieme sulla prevenzione, non sul minore in quanto tale, ma nell’ambito della propria
famiglia, per provare a intervenire prima che la patologia si manifesti; ricordando a tutti che il
problema dei minori e della famiglia non è solo un fascicolo di studio ma riguarda la persona e i
suoi diritti e per tutelarli e garantirli bisogna farlo tutti uniti, avvocati, istituzioni, Garante, Tribunale. Lo hanno sostenuto anche la Presidente del Tribunale per i Minorenni di Firenze Laura Laera; la rappresentante del Garante per l’Infanzia Antonia Bianco, preannunciando una
Commissione di varie professionalità e competenze; e lo stesso Presidente di AIMMF dr. Luciano Spina che, pur dando atto della diversa visione ordinamentale delle nostre associazioni,
ha auspicato la ripresa più allargata per il futuro di confronto e riflessione fra avvocatura, magistratura, operatori sociali e istituzioni per realizzare insieme un progetto di giustizia a misura di
minore.
Il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Firenze. Sergio Paparo, riconoscendo il valore del
nostro operato associativo, ci ha chiamato ad aiutare l’avvocatura italiana a fare un cambio di
mentalità, ricominciando a ragionare di diritti e a segnare la sua presenza dove e quando sono
in gioco questioni essenziali quali il problema del fine vita; ricordando che sul caso Englaro
l’avvocatura italiana è stata colpevolmente assente. Siamo stati anche riconosciuti, dal rappresentante del CNF Stefano Borsacchi, portatori di una cultura della deontologia professionale
che contrasta le derive mediatico-sensazionali di molti casi (per es. il caso Cittadella) e può
contribuire a dare nuove regole per tutti, nel solco di una collaborazione già iniziata con Milena
Pini tra AIAF e CNF. Non minore il riconoscimento della magistratura ordinaria per la competenza, professionalità e specializzazione degli avvocati AIAF e per la grande importanza del
ruolo degli avvocati nella gestione del conflitto che, contrariamente a quanto molti pensano, è
fisiologico nella vita e nelle relazioni umane. Lo hanno ricordato i magistrati fiorentini Francesco Pappalardo, Giulio De Simone e Salvatore Palazzo. C’è poi chi, la Garante per l’Infanzia
della Toscana Grazia Sestini, ha richiamato l’importanza e il ruolo degli avvocati nel rendere
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EDITORIALE consapevoli gli adulti delle loro responsabilità genitoriali; un tema a cui l’AIAF è particolarmente
sensibile: il Collega Alessandro Sartori vi ha dedicato le sue riflessioni.
Infine va segnalato il forte richiamo dei colleghi, intervenuti per le associazioni forensi, alla necessità della specializzazione e all’utilità di un confronto, aperto e costante, «fra diverse sensibilità ed esigenze, per i cittadini che tuteliamo e per noi stessi avvocati»– Andrea Noccesi per ANF;
«confrontiamoci, la varietà e molteplicità è ricchezza. Il pensiero unico non produce» – Maria Giovanna Ruo – «Camere minorili in Cammino»; «la specializzazione va fatta sul campo confrontandoci nelle nostre differenze…è un cammino che possiamo fare insieme per cercare di migliorare questa
nostra società, dando più voce a chi non ce l’ha» – Elena Zazzeri – Unione Camere Minorili –.
In questo segno la conclusione del presidente dell’OUA, Nicola Marino che ha evidenziato
l’assoluta necessità del dialogo e del confronto per raggiungere posizioni unitarie nell’avvocatura, che non significano unanimismo ma capacità di sintesi tra il dialogo e le idee per riuscire a
risolvere i nostri problemi, quelli dei cittadini e della giustizia.
Alla collega Manuela Cecchi, Presidente dell’AIAF-Toscana e a tutti i soci toscani la nostra gratitudine per l’organizzazione perfetta del Congresso e per la calda accoglienza nella quale siamo
stati avvolti, pur nel dolore sincero e dignitoso per la scomparsa di Milena.
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013
APERTURA DEI LAVORI CONGRESSUALI Manuela Cecchi
Avvocato in Firenze, Presidente AIAF Toscana
«Io vi ringrazio tutti per avere invitato me e mia figlia Paola, e vi ringrazio in questo periodo per le
centinaia di messaggi, di affetto e di stima, di riconoscimento e di amicizia vera. Voi sapete quanto la
professione e quanto l’AIAF fossero importanti e centrali per mia moglie. Negli ultimi mesi, quando
lei combatteva questa battaglia i momenti di energia nella giornata erano i momenti in cui vi telefonava, vi incontrava, parlava con voi. Io e Paola avevamo una piccola ragione di allegria, nel vederla e
dire: “Eccola alla carica; eccola che tiene l’arringa; eccola che tiene il comizio”. Voi siete stati una ragione importante, come lo è stata la professione, come lo sono stati i significati profondi che questa
professione ha avuto».
Roberto Casalini (marito di Milena Pini)
Immaginare come aprire il 20° Congresso AIAF è stato il pensiero che mi ha accompagnato
con un velo di tristezza nei mesi che lo hanno preceduto.
Da un lato, vi era in me e nelle Colleghe del Direttivo regionale AIAF-Toscana e dei soci tutti,
l’onore e l’entusiasmo di ospitare a Firenze un evento così importante come quello della celebrazione dei vent’anni di vita della nostra associazione, dall’altro vi era l’emozione e il dolore di
farlo senza la presenza della Presidente Avv. Milena Pini, scomparsa l’8 aprile 2013 in seguito
ad una malattia che la stessa aveva combattuto e affrontato per un anno, con grinta, lucidità e
coraggio, doti che le appartenevano.
Ma nell’accingermi a preparare questo report non ho avuto un solo dubbio nel riportare subito,
in premessa, le parole di Roberto Casalini, marito di Milena Pini; con la sua presenza insieme
alla figlia per tutta la durata dei lavori congressuali, ci ha incoraggiato a non ricordarla pensando al passato, ma ponendo l’attenzione sui tanti progetti da portare avanti nel solco dell’inestimabile e insostituibile lavoro da Lei tracciato.
Sono passati venti anni da quando è stata costituita l’AIAF-Associazione Italiana per la famiglia
e i minori. Oggi, come nel 1993, momento della sua costituzione, l’AIAF è un’associazione di
categoria senza fini di lucro che opera sul territorio nazionale, attraverso le sezioni regionali, e ora
anche territoriali, aperta all’adesione di avvocati che esercitano la professione con continuità o prevalentemente nel settore del diritto di famiglia, minorile e delle persone.
Tra i suoi obiettivi principali vi è sempre stato quello di formare avvocati specializzati nella materia della famiglia e delle persone, tanto da inserire all’art 1 – punto e) dell’ultimo statuto, approvato nel congresso svoltosi a Roma l’8 maggio 2010, che l’AIAF ha tra i suoi scopi «di prov6
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 vedere anche tramite la Scuola di Alta Formazione AIAF in diritto di famiglia e minorile, civile e penale, alla specializzazione e formazione continua degli associati e di quanti, in possesso dei requisiti,
vorranno raggiungere una specializzazione in materia di diritto di famiglia, minorile e delle persone,
civile e penale, nonché alla costante verifica di professionalità per gli iscritti cui è stato riconosciuto il
titolo di specialista dandone comunicazione agli organi designati al riconoscimento del titolo ed alla
verifica dell’espletamento della formazione continua».
La nostra associazione ha sempre creduto in un avvocato “specializzato”, che sapesse riconoscere e gestire le problematiche, che il cliente quotidianamente gli porta e gli affida, sapendo
muoversi all’interno del conflitto che in quel momento la sua relazione familiare sta vivendo.
Alla luce anche del percorso che l’associazione ha fatto, all’interno di un’avvocatura così diversa
nel tempo, abbiamo pensato, in occasione dei nostri venti anni di vita, di dare a questo nostro
Congresso un titolo che ne racchiudesse il mutamento. Lo abbiamo intitolato quindi: Cambia
la società, cambia la famiglia: funzioni, competenza e responsabilità dell’avvocato.
Abbiamo riflettuto su come la società e di conseguenza la famiglia sia sicuramente cambiata,
passando da una famiglia patriarcale basata sull'economia rurale, nella quale l’importante era
rimanere uniti affinché non si disperdessero le energie familiari, a una famiglia nucleare o ristretta, composta dalla coppia e dai figli.
Oggi sappiamo tutti che non abbiamo più un solo modello di famiglia, ma abbiamo “le famiglie”. I talk show e i movie, sono testimonianze giornaliere attraverso le quali ci arriva questo
mutamento ed allora, perché non riflettere insieme su questo e su come anche il nostro ruolo
sia cambiato e cambi ancora, anche alla luce della recente riforma dell’ordinamento forense,
che ha finalmente introdotto quella specializzazione che noi tanto abbiamo voluto?
I lavori si sono svolti nelle giornate di giovedì 23 e venerdì 24 maggio 2013, mentre la terza
giornata, sabato 25 maggio, è stata dedicata alle attività congressuali previste dalle norme statutarie per il rinnovo degli organismi associativi.
Per primi sono intervenuti a portarci il loro saluto i rappresentanti delle istituzioni, politiche,
forensi e giudiziarie e i rappresentanti delle associazioni. Siamo stati molto felici e soddisfatti di
avere condiviso con questi ospiti l’introduzione dei lavori congressuali; anche e sopratutto con
coloro che hanno in mente progetti e soluzioni differenti dalle nostre, essendo noto che l’AIAF
si batte affinché a livello ordinamentale siano istituite sezioni specializzate presso i Tribunali
ordinari con ampia competenza funzionale su tutta la materia delle relazioni familiari., mentre
altri privilegiano il Tribunale per la Famiglia.
Tutti, con il loro saluto, hanno delineato necessità urgenti e imprescindibili, apportando idee e
suggerimenti preziosi. Il filo conduttore comune è stato quello della necessità di una specializzazione dell’avvocatura, ma anche della magistratura e degli operatori sociali, dai Servizi ai Consultori; sul punto un preciso richiamo alle Linee Guida del Consiglio d’Europa per una giustizia
a misura di bambino, che al principio 47 stabiliscono proprio la necessità della specializzazione
di tutti gli operatori attraverso una formazione continuativa. Imprescindibile una sinergia con
le Istituzioni locali e nazionali. Sottolineata dai più, la necessità di un Giudice Unico che si occupi della Famiglia e delle Persone, al fine di eliminare per sempre e in maniera inconfutabile,
la diversità di competenze tra Tribunale Ordinario, Tribunale per i Minorenni e Giudice Tutelare, esigenza oggi ancora più sentita dopo l’entrata in vigore della L. n. 219/2012 che, pur
avendo equiparato lo stato di figlio, lascia aperto il problema del rito nei procedimenti separativi; rito ancora diverso tra figli nati dentro e fuori dal matrimonio. Quindi ancora tanto lavoro
da fare, ma auspichiamo in una prospettiva di cooperazione tra avvocatura e magistratura che,
in un momento così delicato e difficile, ha riconosciuto in questo incontro, a Noi Avvocati un
grande ruolo sociale di estrema importanza soprattutto nella gestione del conflitto.
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013
Firenze, lo ricordo, è stata scelta come città in cui tenere il 20° Congresso, in un Direttivo Nazionale tenutosi nel mese di novembre del 2012. Milena Pini era già molto malata, ma in tutti
noi vi era la speranza, la voglia, l’incredulità, che non potesse non essere con noi.
Abbiamo, senza retorica, dedicato a Lei questo nostro 20° Congresso, come abbiamo già fatto
con la “Scuola di Alta Formazione” dell’AIAF, che ha formato nel biennio 2011-2012, sta formando nel biennio in corso, e formerà negli anni a venire, tutti quei Colleghi che vogliono fare
della specializzazione nel diritto di famiglia e delle persone un loro fiore all’occhiello.
Chiunque conosceva Milena la ricorderà a suo modo. Io per farlo ho rubato le parole al Presidente del Tribunale per i Minorenni di Napoli, Dott. Gustavo Sergio, che ha fatto pervenire
all’AIAF questo suo ricordo: «Piccola, occhi vivaci e intensi, attenta, disponibile, al tempo stesso
determinata. La rivedo nelle ultime occasioni in cui ci siamo incontrati a Firenze, in vista del Convegno di maggio, ed a Milano, per quella occasione così importante. Fu la volta in cui appresi della battaglia che stava combattendo, a lato del travaglio consueto. A vederla pareva incrollabile. Era riuscita a creare intorno a se un circolo di affettuosa e cordiale solidarietà. Ne condivisi l’atmosfera proprio
a Firenze, nello studio di Manuela. Un gruppo coeso, generosamente dedicato agli obiettivi dell’associazione. Dignità e capacità professionale, attenzione per i deboli, energia, determinazione per le battaglie, politiche o culturali da portare avanti. Ormai vi conosco tutte da anni ed ho detto in più occasioni che mi fa veramente bene incontrarvi, condividere il vostro impegno, prima di tutto per la Giustizia. Penso che un buon Presidente abbia il compito primario di favorire questo fervore, la circolazione di una corrente positiva di vitalità, di pensiero, di propositi, di azioni. Milena anche quella volta lo faceva, con il suo stile, poco appariscente ma energico, così tirava fuori il meglio di tutti».
Ciao Milena, grazie.
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1993‐2013 “I VENT’ANNI DELL’AIAF” 1993‐2013 “I VENT’ANNI DELL’AIAF” Luisella Fanni
Avvocato in Cagliari, Presidente AIAF
Dal Parco dei Principi al Convitto della Calza: uno sguardo a ritroso nel tempo Ripercorrere questi anni di vita dell’AIAF dal 1993, quando è stata costituita, a oggi attraverso la
rilettura dei suoi statuti, degli atti congressuali, dei suoi documenti, del contenuto delle riviste e
dei quaderni, e delle sue iniziative, mi ha consentito di verificare non solo il cammino che è stato fatto ma soprattutto di apprezzare l’utilità sociale della nostra attività associativa. Ancora di
più in questo anno 2013, che ha visto finalmente l’entrata in vigore della legge sulla parificazione dei figli, riforma pretesa dall’AIAF, fin dal suo nascere, nei suoi deliberati e nei suoi convegni
di studio; a cui è dedicato l’ultimo numero della nostra rivista distribuita in questa sede.
La dimensione prevalentemente culturale: per avvocati, procuratori e praticanti. L’AIAF è nata nel
febbraio del 1993, come associazione senza fini di lucro, organizzata su base regionale, aperta
all’adesione libera (avveniva con il solo versamento della quota associativa al nazionale) di avvocati e
procuratori legali esercitanti la professione prevalentemente nel settore del diritto di famiglia e
minorile, aperta anche ai praticanti procuratori (art. 4); si è mossa inizialmente solo sul versante del dibattito culturale e giuridico per il miglioramento e la riforma della legislazione familiare
e minorile, in una prospettiva di formazione e collaborazione multidisciplinare sui temi dell’età
evolutiva e della famiglia, per favorire, soprattutto tra le giovani generazioni, la formazione di una
sensibilità adeguata alla complessità dei problemi della famiglia, dell’infanzia e dell’adolescenza, e cosi contribuire al pieno rispetto dei diritti di ogni persona coinvolta in un procedimento giudiziario (art. 1, statuto 1995).
Il passaggio a una struttura associativa rinforzata su base regionale e solo per avvocati. Il successivo
statuto, aggiornato nel Congresso del 1998, ha introdotto, disgiuntamente, anche il criterio
della continuità nell’esercizio della materia familiare e minorile; ha ristretto la possibilità di aderire: solo su presentazione di due soci della regione alla sezione regionale di residenza; ha previsto tra i suoi organi centrali – oltre l’assemblea, il comitato esecutivo e il collegio dei probiviri –
il presidente dell’associazione, come organo autonomo rispetto al comitato direttivo centrale
di cui è componente e che presiede, dura in carica un triennio e può essere rieletto per una sola
volta, ma se uscente è membro di diritto del Comitato Direttivo Centrale. Inoltre, prendendo
atto che la sua forza propulsiva risiedeva nelle sedi regionali, ha riconosciuto a ogni sezione il
diritto di assumere autonomamente a livello locale le iniziative più idonee per il conseguimento delle finalità associative, autorizzandole a chiedere ai soci corrispettivi specifici per coprire le
spese per le inziative programmate; la quota di iscrizione annuale, infatti, viene accreditata al
nazionale che in bilancio può riservare la percentuale per le sedi regionali; ha rinforzato la sua
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 organizzazione regionale demandando al Comitato Direttivo Regionale l’ammissione dei nuovi soci e la delibera sull’esclusione per gravi motivi o a seguito di morosità triennale. Proprio nel
Congresso del 1998 fu approvata all’unanimità una mozione congressuale, L’Aiaf tra passato,
presente e futuro che focalizzò la necessità di effettuare modifiche statutarie e organizzative atte
a definire meglio anche la natura rappresentativa dell’associazione e a favorirne una più incisiva
presenza nel dibattito politico e istituzionale, legislativo e professionale della categoria.
La battaglia contro l’uso e l’abuso del rito camerale. Nel frattempo, oltre a una intensa attività seminariale e di formazione, prendendo atto della tendenza crescente alla regolamentazione informale dei conflitti e alla degiurisdizionalizzazione, quale strumento deflattivo del carico giudiziario, l’AIAF ne ha segnalato i pericoli in relazione alla tutela dei diritti fondamentali della
persona, che oggi si definiscono diritti relazionali, rivendicando alla giurisdizione ordinaria specializzata, la competenza a decidere sugli stessi; nella costante convinzione che la tutela giurisdizionale piena dei diritti costituisce ancora lo strumento di migliore garanzia rispetto alla discrezionalità, che facilmente può diventare arbitrio, dei poteri amministrativi: Pronunciandosi
criticamente sulla pretestuosità di una categoria, cosiddetta dell’interesse del minore, contrapposta anzi sostitutiva della categoria dei diritti, che è servita a giustificare lo strapotere nell’intervento di supplenza dei giudici e dei servizi e l’emarginazione della difesa. Da ciò la battaglia
dell’AIAF contro l’uso e l’abuso del rito camerale che, pensato per la giurisdizione volontaria
– cosiddetta attività para amministrativa della giurisdizione – attribuisce al giudice una discrezionalità totale, sia nell’acquisizione delle prove, gran parte delle quali si formano fuori dal processo e senza contradditorio né alcun controllo del giudice, che nella gestione del processo
stesso. L’esatto contrario delle garanzie che devono presiedere all’esercizio della giurisdizione la
cui caratteristica fondante sono le regole certe e predeterminate, che devono distribuire in modo equilibrato i poteri tra le parti, nella garanzia del principio del contradditorio, del giudice terzo
e del diritto alla difesa.
Regole minime e battaglie dell’AIAF contro il processo segreto. Siamo nel maggio del 1998, l’art. 111
Cost., che introdurrà i principi del giusto processo, diventerà norma costituzionale solo con la
l. cost. 23 novembre 1999, n. 2, ma l’AIAF aveva già da tempo elaborato e diffuso le “Regole minime a garanzia dei diritti delle persone coinvolte nei processi civili minorili”; da attuare subito come prassi generale in attesa di una vera e propria riforma e le aveva inviate a tutte le sedi giudiziarie, costituendo così un prezioso patrimonio di legalità per tutta l’avvocatura e per i cittadini
stessi. Ed aveva anche, nel gennaio 1998, denunziato come prassi in violazione del diritto alla riservatezza, la notifica di atti “aperti” contenenti notizie su minori. Nel campo del processo civile
minorile, in materia di adottabilità e potestà genitoriale, nell’anno 2001 è intervenuta la l. n. 149,
che statuì il diritto del minore a crescere innanzitutto in famiglia e giurisdizionalizzò il processo
civile minorile, ma divenne operativa per la parte processuale solo dal 2007. Questa importante
legge, accogliendo le conclusioni emerse anche in un convegno AIAF del 1997 a Cagliari, ha
introdotto il diritto delle parti a conoscere gli atti del processo e partecipare all’istruttoria. Va ricordato che l’AIAF aveva pubblicato e diffuso un documento di protesta sul processo segreto, in
particolare dopo un provvedimento del Tribunale per i Minorenni dell’Aquila che ne aveva ribadito la legittimità; inoltre molti avvocati dell’AIAF Lazio avevano assunto l’iniziativa di impugnare sistematicamente i decreti del Tribunale minorile innanzi alla competente sezione della Corte d’Appello di Roma, proprio per poter conoscere gli atti. Questa era, purtroppo, la prassi
costante presso i Tribunali per i Minorenni; io stessa conservo con cura un provvedimento che
respinge la mia istanza, anche solo di visionare il fascicolo, affermando che avrei potuto farlo
dopo il deposito del decreto. La l. n. 149/2001 ha anche attribuito la legittimazione attiva al solo PM, così eliminando il potere di autoattivazione del Tribunale giudicante, e ha introdotto la
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1993‐2013 “I VENT’ANNI DELL’AIAF” nuova figura, sconosciuta nel nostro ordinamento (ma non in altri paesi) del difensore d’ufficio
per i parenti e soprattutto il difensore del minore, che tanto entusiasmo suscitò nella nostra associazione determinando una fioritura di seminari e dibattiti in tutte le nostre sedi; uno dei più
importanti e completi fu organizzato dall’AIAF Toscana a Lucca. Gli atti sono stati raccolti nel
nostro Quaderno n. 1 dell’anno 2004.
Attualità delle critiche al rito camerale e necessità di un nuovo rito per la tutela giurisdizionale dei
diritti relazionali. È quasi superfluo sottolineare, purtroppo, l’attualità della valenza delle critiche al rito camerale. Ha pervaso la giurisdizione civile anche ordinaria e sopratutto nella materia familiare; per le impugnazioni e le modifiche dei provvedimenti di separazione e divorzio e
da ultimo anche con la recente legge sulla filiazione, per i procedimenti in materia di affidamento e mantenimento dei minori, anche se, finalmente, tutti di competenza del Tribunale Ordinario, come l’AIAF ha sempre chiesto. Non che l’AIAF abbia voluto e voglia sostenere che il
rito ordinario, vigente per le separazioni e i divorzi, sia esente da critiche; anzi nella costante
riflessione ed analisi dei nostri incontri e dei nostri studi, proprio noi dell’AIAF abbiamo elaborato sin dal Congresso del 2010 e meglio esplicitato nell’assemblea generale tenutasi a Milano
nello scorso maggio 2012 – fortemente e tenacemente voluta da Milena Pini – una ipotesi di
nuovo rito, snello e veloce, innanzi a un unico giudice, togato, specializzato e di prossimità, che
applicando i principi dell’art. 111 Cost., acceleri i tempi della decisione e prenda atto che il
processo è sofferenza per le parti e ne disincentivi l’abuso anche attraverso il rigoroso rispetto
delle regole sulla condanna alle spese.
La cultura della mediazione: per una scelta libera e volontaria. La ferma convinzione della necessità di conservare alla giurisdizione la tutela dei diritti relazionali si è sempre accompagnata alla
consapevolezza che bisogna superare la cultura della contrapposizione ad ogni costo; anche
utilizzando un linguaggio non conflittuale e recuperando uno dei principi fondamentali della
nostra cultura giuridica e professionale: adoperarsi innanzitutto per conciliare e transigere. Da
tempo, inoltre, molte sedi regionali dell’AIAF si erano accostate alla conoscenza della mediazione; tra le prime la Liguria, a Genova nel gennaio del 1996, presentandone prassi, aspetti operativi ed anche le problematicità; la Sicilia, nell’aprile 1997 a Messina, alla luce delle proposte in
parlamento che, tradendone lo spirito, ne avevano ipotizzato un uso alternativo al procedimento giurisdizionale; a Milano nel giugno 1997; proprio Milena Pini, che ne coordinava i lavori,
presentando le esperienze in corso in Gran Bretagna, Germania, Francia e Svizzera, affrontò l’esigenza per gli avvocati di recepire le esigenze di cambiamento, offrendo ai cittadini una professionalità e una specializzazione in materia, adeguate alle nuove domande sociali che non riuscivano a trovare risposte tempestive nella giurisdizione. Sui temi della mediazione che vide anche
in Toscana, a Lucca in particolare, diversi momenti di approfondimento e interesse, si pronunciò il Congresso di Frascati, nel febbraio 2000, che ritenne importante valorizzarne l’utilizzazione, proprio per favorire l’abbattimento della conflittualità tra gli adulti a tutela dei figli, purché rimanesse una libera scelta della coppia, non imposta, direttamente o indirettamente dal magistrato, né prevista per legge come fase preliminare necessaria per potere adire il giudice, in uno spazio
completamente autonomo dal sistema giudiziario, garantito dalla massima riservatezza dei suoi contenuti. D’altronde, proprio nel primo numero della rivista che allora si chiamava AIAF-Osservatorio, Gianfranco Dosi, nel suo articolo Un’associazione di avvocati perché? sottolineava che gli
avvocati che hanno scelto il diritto di famiglia come settore specifico della professione «devono
essere difensori e garanti dei diritti delle persone, ma anche capaci di mediare nella delicata trama
delle relazioni familiari».
La necessità di una formazione multidisciplinare. Nel frattempo i colleghi dell’AIAF Veneto evidenziavano la esigenza di una formazione interdisciplinare dell’avvocato matrimonialista, in par11
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 ticolare nel campo psicologico ... sempre più urgente per chi si occupa di famiglia e minori e
quanto mai utile per consentire all’avvocato una maggiore consapevolezza del proprio ruolo,
una migliore collaborazione con i diversi operatori del sistema giustizia, una più ampia capacità
di attenuare i conflitti e di risolvere le controversie.
L’importanza del ruolo sociale dell’avvocato, la necessità della specializzazione e di una buona capacità di comunicazione. Uno dei temi su cui si snoda il nostro Congresso di questi giorni, l’importanza del ruolo sociale dell’avvocato, fu affrontato in AIAF-Osservatorio n. 2/1998 da un
approfondito lavoro delle colleghe Pini, Alessio e Ferraris dell’AIAF Lombardia. Ancora una
volta voglio ricordare Milena. Rifacendosi alle battaglie per i diritti civili dei primi anni ’70 con
il movimento delle donne e altri movimenti per i diritti civili, rilevava che «forse, in quegli anni, non vi era la preparazione tecnica attuale, ma era pacificamente riconosciuto all’avvocato,
soprattutto alla donna avvocato, un ruolo sociale che in effetti svolgeva anche con attività di consulenza presso strutture pubbliche, motivato soprattutto da una identità di valori e di battaglie per
l’affermazione dei diritti civili ... Da allora – prosegue il testo – sono intervenuti profondi mutamenti nella società e nella famiglia, così come è cambiata la domanda e l’offerta di servizi per
quanto attiene la stessa professione legale; ... il numero degli avvocati che svolge attività prevalente di diritto di famiglia è notevolmente cresciuto rispetto agli anni ’70 ... dovuto all’aumento
dei procedimenti di famiglia che, soprattutto nelle grandi città, consente di svolgere l’attività
professionale in via esclusiva o prevalente nel settore, ... con un continuo aumento di giovani che
accedono alla professione forense, e cercano spazi di lavoro; nella consapevolezza che un serio professionista deve offrire al cittadino un servizio di qualità, come già avviene in molti paesi europei
dove anche gli studi professionali, come le aziende, devono fornire un servizio con standard qualitativi prefissati per legge o dai rispettivi ordini». Esigenza assolutamente attuale come ci spiegherà la
collega Giovanna Stumpo. Anche oggi, in questo momento di crisi, pur essendo diminuito il
numero dei giovani che intraprendono la professione legale, c’è un rientro nel settore della famiglia e dei minori, a torto ritenuto più facile, di molti colleghi nella ricerca di “lavoro”, purtroppo privi di quella preparazione che dovrebbe portare alla “specializzazione” finalmente prevista dalle attuali norme professionali. L’articolo prosegue proprio spiegando e rivendicando la
necessità della specializzazione, prefigurata già allora nel codice deontologico ma solo come
dovere di competenza, e chiude sull’importanza e necessità della buona e adeguata comunicazione con le parti, i colleghi, i giudici e tutti gli operatori coinvolti nella trattazione delle vicende familiari. A distanza di ben 15 anni, una analisi del tutto attuale e utilizzabile proprio nelle
indicazioni che offre per uno svolgimento corretto e proficuo della nostra specifica attività professionale. A conferma dell’utilità di questa associazione.
Il Congresso Straordinario del 2002 a Roma. Nel marzo 2002, a Roma, si tiene il Congresso
straordinario e viene approvato il nuovo statuto. L’AIAF sta per compiere i suoi primi dieci anni di vita e di attività. Nonostante i criteri selettivi di adesione raccoglie ormai quasi 700 iscritti
(nello scorso dicembre 2012 erano quasi 1900). La sua attività, si può verificare anche sul sito, è
aumentata progressivamente di intensità. Ci sono iniziative di studio in tutte le regioni, spesso
con le altre associazioni, l’università, i magistrati e le loro organizzazioni. Prosegue nelle sue
battaglie per la salvaguardia delle garanzie difensive, ormai finalmente consacrate nell’art. 111
Cost. Da tempo è interlocutore riconosciuto e ascoltato nelle sedi istituzionali, nazionali e locali.
La promozione della rappresentanza associativa. Lo statuto viene aggiornato e adeguato e tra gli
scopi associativi, all’art. 1, introduce la promozione della rappresentanza associativa tra gli avvocati che esercitano la professione prevalentemente o con continuità nel settore dei diritto di famiglia
e dei minori, e l’attività di formazione e aggiornamento professionale per favorire l’acquisizione di una
competenza adeguata alla complessità dei problemi della famiglia, dell’infanzia e dell’adolescenza. Se12
1993‐2013 “I VENT’ANNI DELL’AIAF” gnalo tra i primi importanti risultati di questo percorso di un maggior impegno e riconoscimento
nell’ambito della categoria forense:
– l’intesa tra l’AIAF e il Centro per la formazione e l’aggiornamento degli avvocati del CNF,
con un protocollo, sottoscritto a Roma il 4 giugno 2002, per la comune promozione di iniziative di orientamento formativo, di approfondimento e di aggiornamento per la professione nel nostro settore di competenza;
– la partecipazione dell’AIAF al Congresso Nazionale Forense, tenutosi a Verona nel dicembre 2002, che riconobbe l’AIAF come associazione maggiormente rappresentativa del settore, e
come tale la inserì nell’elenco delle associazioni, a cui appartiene tutt’ora, che hanno diritto
di partecipare, pur senza diritto di voto, alla vita dell’OUA, organismo di rappresentanza politica nazionale dell’avvocatura, di fare parte delle sue commissioni di lavoro e di essere tempestivamente consultate sui problemi dell’avvocatura e della giustizia. In quel Congresso Forense di Verona l’AIAF predispose e presentò una mozione, sottoscritta da centinaia di colleghi, e approvata all’unanimità da tutti i delegati, forse più di 1.000, che chiedeva l’immediata entrata in vigore della l. n. 149/2001, che era stata sospesa per una forte pressione in tal senso esercitata da tutta la magistratura minorile e che riuscì a entrare in vigore solo nel 2007.
Gli organi statutari si modificano: dal Presidente al Consiglio di Presidenza. Al presidente si sostituisce un consiglio di presidenza con tre componenti, uno dei quali è il rappresentante legale dell’associazione; il consiglio sostituisce il comitato esecutivo e le funzioni del presidente. Nell’assemblea Generale, costituita da delegati eletti nelle sedi regionali, uno ogni 10 iscritti, ogni partecipante ha un voto e non può avere deleghe. Le elezioni degli organi collegiali e dei delegati
avvengono con forma scritta e per non più di due terzi degli eligendi. Tutti i soci hanno diritto
di voto e possono essere delegati per l’assemblea generale, ma per essere eleggibili negli organi
centrali e regionali devono essere soci da almeno tre anni. Il CDC è composto di diritto dai presidenti regionali e distrettuali e da 20 soci eletti dall’assemblea generale in modo che ciascuna
regione non abbia più di 2 rappresentanti eletti.
Si rinforza ancora l’organizzazione regionale e nascono le sezioni territoriali circondariali. Si prevede la possibilità che le Sezioni regionali, o distrettuali dove esistono, su delibera del CDC possono avere una contabilità fiscale autonoma e godere di autonomia contabile e finanziaria. Si modifica il sistema di acquisizione delle quote associative annuali; le raccolgono le regioni che provvederanno a rimettere all’organizzazione centrale le somme nella misura deliberata dal CDC
per il nazionale, trattenendo le proprie quote che, su delega del rappresentante legale nazionale
possono amministrare autonomamente per le loro iniziative regionali, per le quali in ogni caso
possono deliberare autonomamente le modalità di finanziamento. Infine possono organizzare
autonomamente sezioni distaccate circondariali, struttura che si è rapidamente diffusa e ha contribuito a radicare sul territorio l’associazione. Oggi ogni regione ha molteplici sezioni territoriali
circondariali, con un responsabile eletto dai soci. Per la sua creazione sono sufficienti 5 soci. Salvo errori le sezioni territoriali attuali, diffuse in tutte le regioni sono oltre 85.
I primi 10 anni dell’AIAF. L’AIAF-Osservatorio, da notiziario interno all’associazione, si trasforma in rivista trimestrale con un direttore responsabile, Milena Pini, e un comitato di redazione
permanente; raddoppia il numero di pagine e si divide in sezioni, prevedendo anche pagine dedicate all’attività parlamentare. Proprio con la presentazione di tutta l’attività in corso e della nuova veste della rivista l’Aiaf festeggia a Roma, il 7 febbraio 2003 nel residence di Ripetta, i suoi primi
10 anni di vita. L’iniziativa ebbe una partecipazione nutrita di rappresentanti delle istituzioni e
associazioni forensi, degli operatori del mondo giudiziario e delle associazioni dei magistrati; dell’università e del parlamento; ne troviamo ampia traccia, anche fotografica, nell’AIAF-Osserva13
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 torio nn. 4/2002 e 3/2002 che potete consultare sul sito nell’archivio della rivista. L’associazione rilanciò con intensità la sua attività di denuncia delle carenze del sistema e di stimolo alle riforme, insistendo nella richiesta delle sezioni specializzate presso il giudice ordinario come unica
sede per trattare la materia familiare. Nell’occasione pubblicò un numero speciale della rivista
titolato 10 anni di storia: 1993-2003, consultabile sul sito, che raccoglie le moltissime iniziative
realizzate nelle varie regioni.
L’assemblea Straordinaria del novembre 2003 a Roma. Nel novembre 2003 si tenne a Roma una
assemblea straordinaria che deliberò ancora sulle modifiche statutarie e, prendendo atto che
l’impegno e gli sforzi delle regioni avevano reso l’associazione una presenza effettiva sul territorio
nazionale, contribuendo alla sua visibilità, operò la scelta dell’autonomia regionale, anche sotto
il profilo amministrativo e fiscale con un unico e forte vincolo: quello di salvaguardare l’unità di
intenti e pensiero dell’associazione e del coordinamento con l’AIAF Nazionale.
I nuovi Statuti, nazionale e regionali e il progetto della scuola di alta formazione AIAF. Nell’assemblea generale straordinaria del 20 novembre 2003 furono approvati i testi degli statuti regionali
e di quello nazionale e le associazioni regionali dovettero costituirsi con statuti conformi a quelli
deliberati e con un numero di soci non inferiore a 10. Inoltre, lo statuto nazionale approvato,
all’art. 1) veniva integrato con l’indicazione di questo ulteriore scopo: «Essa (l’Aiaf), pertanto,
svolgerà ogni attività, di carattere culturale, didattico ed editoriale, per promuovere l’attività dell’avvocato nell’ambito del diritto di famiglia e dei minori. L’associazione promuoverà, inoltre, direttamente e o in collaborazione con altre Associazioni, Enti Pubblici e Privati, ogni iniziativa ritenuta
utile o necessaria al raggiungimento dello scopo sociale». Norma che fa intravedere il progetto, che si
perfezionerà nello statuto del Congresso del maggio 2007, di organizzare la scuola di Alta
Formazione in diritto di famiglia con le altre associazioni specialistiche.
La relazione congressuale di base del maggio 2004: la necessità di una politica unica. Nella sua relazione congressuale del maggio 2004 Marina Marino, rappresentante legale dell’AIAF nel consiglio di presidenza, che tantissimo si spese in questa ingrata attività organizzativa di riordino
statutario, ribadiva che «La politica associativa, pur se l’associazione è su base regionale, è e deve
essere unica e il direttivo nazionale che uscirà eletto da questo Congresso dovrà assumere in proprio e
al proprio interno l’impegno di garantire e assicurare la presenza dell’associazione nei media, nelle
istituzioni, nel raffronto con le altre associazioni» ricorrendo, ovviamente, alla collaborazione di
tutti, ma soprattutto di chi si era sempre fattivamente impegnato. Proprio per far fronte ad alcune sottolineature critiche sull’eccesso di tempo dedicato alle questioni organizzative e statutarie, elencò una lunga serie di impegni e iniziative intervenute nel triennio (a cui si rimanda
sempre attraverso la consultazione sul sito) tra le quali si vuole però ricordare, oltre quelle sopra indicate: l’invito del CSM all’AIAF di partecipare, con 10 suoi avvocati, a un seminario di
tre incontri mensili, sulle prassi nelle procedure in materia di famiglia nei mesi di ottobre, novembre e dicembre 2003, insieme a 50 magistrati scelti dal CSM. Fu una esperienza molto importante perché si riprodusse in sede locale, anche su impulso del nazionale, e preludeva a ciò
che si sarebbe poi verificato con i protocolli degli osservatori.
Il comunicato del Consiglio di Presidenza del maggio 2004. Il Congresso del maggio 2004 si chiuse con un comunicato del Consiglio di Presidenza, organo non modificato, che esprimeva, tra
l’altro, la necessità di riforme di sistema nella giurisdizione, opponendosi ai ritocchi parziali, sia
in civile che in penale; insisteva sulla necessità di unificazione dei riti e sulla critica al rito camerale che non tutela il diritto di difesa; chiedeva un giudizio rapido e una esecuzione efficace in
materia familiare; ribadiva la richiesta di fare entrare in vigore la l. n. 149/2001 per la parte processuale (avverrà solo nel 2007); esprimeva dissenso per il progetto Paniz sull’affido condiviso,
anche per il ricorso all’istituto della mediazione che veniva imposta per legge, così tradendone
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1993‐2013 “I VENT’ANNI DELL’AIAF” lo spirito essenziale; ribadiva la necessità di una formazione permanente per avvocati e magistrati e chiedeva un unico e unitario progetto di riforma organica e funzionale su tutta la materia della famiglia e dei minori.
Dal 2004 al 2007: Il documento del Comitato Direttivo Nazionale. Tra il 2004 e il 2007 l’associazione fu impegnata, come sempre, in una intensa attività formativa. In occasione del Congresso,
che si tenne nel maggio 2007, ancora una volta fu predisposto un numero speciale, consultabile
sul sito, che raccolse tutte le iniziative nazionali e regionali. A cura del Comitato Direttivo Nazionale dell’AIAF si dette conto della metodologia applicata in generale in materia di formazione; dell’acquisizione sul campo da parte dei colleghi delle AIAF regionali e distrettuali di
una specifica competenza di progettazione, direzione e gestione di tale attività formativa; dell’impostazione teorico-pratica utilizzata nei corsi, anche con esercitazioni pratiche e di simulazione delle attività difensive, e con lavori di gruppo e supervisione dei casi trattati; un cenno
particolare va fatto ai corsi sulla gestione del conflitto organizzati dall’associazione in Lombardia e Toscana e a quelli sulla gestione delle emozioni realizzati dall’AIAF Lombardia. Si riportano testualmente le conclusioni finali del documento:
«Possiamo affermare che l’esperienza di formazione acquisita in questi anni ci ha consentito il passaggio dalla tesi teorica dell’importanza della multidiscplinarietà (intesa come acquisizione culturale
di conoscenze di base di altre discipline mediante la collaborazione di esperti in discipline psicologiche – psicologi, mediatori familiari, neuropsichiatri infantili – ai nostri corsi) alla elaborazione di
una nostra proposta formativa multidisciplinare, sotto il profilo dei contenuti e del metodo, che delinea in senso complessivo e completo, l’avvocato specializzato in diritto di famiglia e minorile.
Con il Congresso del 2007, che coincide con l’introduzione dell’obbligo della formazione continua
per gli avvocati, e si auspica, anche con la possibilità di conseguire un titolo di specialità, l’Aiaf è
chiamata a svolgere nuovi compiti nell’ambito della formazione specialistica e della formazione continua, di cui certamente saprà farsi carico nell’interesse collettivo».
Lo statuto del 2007. Il nuovo statuto riconfermava: a) la funzione di rappresentanza della categoria degli avvocati dell’AIAF; b) l’impegno a fornire ai cittadini la possibilità di scegliere avvocati competenti, proponendosi di ottenere un riconoscimento, in via amministrativa, sulla legittimazione economica della funzione, nel mercato dei servizi professionali; d) di garantire i
cittadini prevedendo l’obbligo per gli associati AIAF di avere in atto una assicurazione professionale; e) di provvedere anche tramite la scuola di Alta Formazione AIAF in diritto di famiglia
e minorile civile e penale alla specializzazione e formazione continua degli associati e di quanti,
in possesso dei requisiti, vorranno specializzarsi; di rilasciare, sempre tramite la scuola, attestati
di competenza ... preceduti da una verifica di carattere oggettivo, con un limite temporale di durata sulla base di elementi e dati acquisiti o in possesso dell’associazione; ... i) di operare affinché i
diritti e le prerogative dell’avvocatura siano garantiti conformemente alle norme costituzionali
e internazionali; j) di tutelare il rispetto della funzione del difensore e gli interessi professionali
dell’avvocatura. Essa pertanto, svolgerà ogni attività, di carattere formativo, didattico, editoriale,
culturale per promuovere l’attività dell’avvocato nell’ambito del diritto di famiglia e dei minori.
L’associazione inoltre promuoverà direttamente e/o in collaborazione con altre Associazioni, Enti
Pubblici e Privati, ogni iniziativa ritenuta utile e/o necessaria al raggiungimento dello scopo sociale
(u.c. dell’art. 1 dedicato agli “Scopi” dell’AIAF.
Le sezioni territoriali circondariali. Il modello a forte impronta regionale veniva confermato anche con le sedi territoriali circondariali, di almeno 10 iscritti, prive di autonomia amministrativa e fiscale, con un rappresentante eletto al suo interno per il triennio, tenute all’osservanza dello statuto e delle deliberazioni degli organismi nazionali.
Per essere soci occorre: avere almeno 4 anni di iscrizione all’albo, requisito superabile se si è esple15
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 tata attività con prevalenza e continuità nella materia e se si è partecipato ad attività formative
documentate; garantire l’assenza di sanzioni disciplinari definitive sostanziali; avere e mantenere l’assicurazione professionale. La mancata frequenza, come docente o discente ad almeno 2
iniziative nell’anno, può costituire motivo di perdita della qualità di socio.
Quanto agli organi: ritornano il Presidente e la giunta esecutiva che possono essere rieletti per
non più di due volte consecutive; si stabilisce che l’elezione a qualsiasi carica collegiale deve avvenire per iscritto e sempre con voto limitato a due terzi, arrotondati per eccesso, degli eligendi.
Gli organi, collegiali Assemblea Generale, Comitato Direttivo Nazionale, Collegio dei Probiviri sono rinnovabili consecutivamente. L’assemblea generale dei soci elegge i componenti non di diritto del CDN, indicati dalle associazioni regionali, nonché un massimo di 5 componenti scelti
direttamente dal Congresso. Approva il rendiconto di gestione e il bilancio di previsione. Il CDN
è composto di diritto dai presidenti delle regioni, da un rappresentante per ciascuna regione, da
un rappresentante per regione ogni 40 iscritti e da un ulteriore rappresentante per ogni successiva frazione superiore a 25. Il CDN determina la politica associativa, indica le linee programmatiche e a tal fine può nominare al suo interno commissioni di lavoro su singole tematiche,
che saranno coordinate da un responsabile ciascuna.
Le incompatibilità. Vengono introdotte le incompatibilità: Presidente e Componente della giunta
sono incompatibili con: Presidente COA, componente CNF, dirigente OUA o comunque di altre associazioni e organismi forensi.
Relazione della presidente Marino al VI Congresso AIAF del maggio 2010. L’avv. Marino evidenziava come l’AIAF, negli anni intercorsi tra i due Congressi, si fosse ormai impegnata non solo
nell’attività culturale, da sempre svolta, ma avesse incrementato la sua presenza costante e la partecipazione, sia a livello locale che nazionale, nell’ambito della politica forense, per esmpio con
un rilevante ingresso di colleghi nei consigli dell’ordine (oggi nel 2013 gli avvocati AIAF nei COA
salvo errori, sono oltre 70) e nella elaborazione della politica forense, favorendo l’unità dell’avvocatura; evidenziava l’interesse a comprendere le ragioni delle diversità emerse negli incontri di
studio delle diverse organizzazioni locali, per poter utilizzare la ricchezza delle diversità ed anche individuarne i possibili minimi comuni denominatori, prospettando a tal fine la necessità di
distinguere tra:
– iniziative di approfondimento e aggiornamento professionale, relative al diritto sostanziale,
processuale e alle novità legislative;
– iniziative aperte a nuovi campi di intervento quali la deontologia dell’avvocato nei procedimenti di famiglia e minorili, la sua capacità di gestire il conflitto e l’utilizzabilità del diritto
collaborativo;
– iniziative focalizzate sulla presenza della donna nell’avvocatura, aumentata per numero ma
con grandi disparità reddituali;
– iniziative sulle nuove norme professionali ed in particolare sulla necessità di introdurre la
specializzazione e nuove norme sull’accesso.
In particolare richiamava l’attenzione sulla necessità di una dimensione europea per gli avvocati del futuro e sottolineava la responsabilità sociale dell’avvocatura per i riflessi che il nostro lavoro ha sulla vita delle persone. Uno dei temi centrali del nostro Congresso di oggi.
La specializzazione. A questo tema dedicava particolare importanza Milena Pini che, nell’ottica
delle nuove frontiere, che l’attuale società pone alla professione dell’avvocato, avvertiva «non
illudiamoci che la specializzazione, quando finalmente sarà introdotta nel nostro paese, possa risolvere di per se i problemi che riguardano la nostra professione, perché solo un profondo cambiamento
culturale, con l’assunzione di nuovi e più ampi compiti, pur ovviamente nell’ambito del nostro ruolo
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1993‐2013 “I VENT’ANNI DELL’AIAF” di difesa e tutela dei diritti delle persone e la ricerca e applicazione di nuovi metodi e strumenti di lavoro, potrà consentirci un futuro professionale di soddisfacente qualità».
La Scuola di Alta Formazione AIAF. È in questo triennio 2007-2010 che prende corpo e si realizza il progetto della scuola di Alta Formazione, con grande impegno di Marina Marino e Milena Pini, attraverso un rapporto di collaborazione fattiva tra le associazioni specialistiche,
Unione Camere Penali, Associazione Giuslavoristi Italiani e Unione Camere Tributaristi (partecipano tutte alla Tavola Rotonda sulla specializzazione, prevista dalla nuova legge professionale,
organizzata in questo nostro Congresso a Firenze), che condurrà alla creazione di una società di
servizi, la Gnosis srl, con il compito specifico di organizzare fisicamente luoghi e strutture telematiche per consentire sia lezioni frontali, a Milano e a Roma; sia in videoconferenza. La nostra scuola, come sapete, è ormai giunta al secondo biennio e ora, oltre che a Milano, si tiene in
videoconferenza anche in alcune sedi territoriali delle nostre associazioni (Torino, Padova, Bologna, Roma). Inoltre si affacciava alla ribalta, proveniente dal Canada e dagli Stati Uniti, la cultura
del diritto collaborativo, che aveva conquistato l’attenzione e l’interesse di Milena Pini che, a fini
di formazione e specializzazione professionale, diede vita ad una associazione l’AIADC per diffonderne la conoscenza e la pratica da utilizzare anche a fini deflattivi del contenzioso giudiziario.
Una cultura e una pratica che si vanno diffondendo con corsi e scuole i cui organizzatori e allievi sono prevalentemene, fin’ora, avvocati soci dell’AIAF. Non a caso anche questo Congresso
prevede una relazione in materia.
Il Congresso di Roma del maggio 2010. Fu particolarmente sofferto; l’alta qualità della formazione organizzata dall’AIAF in tutte le sue sedi regionali, che avevano ricevuto un forte riconoscimento dallo statuto del 2007, aveva avvicinato all’AIAF molti colleghi, in prevalenza donne e
soprattutto al Nord, in Lombardia e Veneto, regioni che attraverso i loro componenti nel direttivo nazionale lamentavano uno squilibrio nella rappresentanza in favore delle piccole AIAF
regionali, favorito dalle norme statutarie di cui chiedevano la modifica, anche per evitare l’elefantiasi degli organi nazionali collegiali (l’Assemblea generale dei soci e il Comitato Direttivo
Nazionale), e, in ogni caso, favorire il ricambio generazionale degli organismi dirigenti ponendo dei limiti alle rielezioni consecutive. Si pervenne quindi, dopo diversi direttivi nazionali focalizzati prevalentemente sulle riforme statutarie (temi che in genere i soci poco gradiscono) che
prefiguravano nuovi equilibri anche nelle persone dei dirigenti, all’elaborazione del nuovo statuto approvato a Roma. Fu eletto, confermando le designazioni delle sedi regionali, il nuovo
Direttivo Nazionale che a sua volta elesse come presidente l’avv. Milena Pini, confermata anche Direttore della Rivista, mentre l’avv. Marina Marino veniva confermata alla Direzione della
Suola di Alta Formazione.
Lo statuto del 2010. Contiene rilevanti modifiche funzionali a rafforzare gli organi collegiali e il
potere di controllo delle regioni, soprattutto quelle più consistenti, sul nazionale, anche attraverso l’istituzione di un nuovo organo statutario il Consiglio dei Presidenti, seppure con soli
poteri consultivi, alle sue riunioni può partecipare, in sostituzione del presidente della regione e
su sua delega, un componente del CDR. Sposta la sede dell’Associazione da Roma, dove è
sempre stata, presso il domicilio professionale del presidente pro-tempore; accentua la funzione di promozione della rappresentanza della categoria e inserisce sempre al 1° comma dell’art. 1,
dedicato agli Scopi, la tutela della funzione difensiva secondo le norme costituzionali e internazionali per il rispetto dei diritti e interessi professionali dell’avvocatura e introduce nel 5° comma il termine di avvocato specialista; riduce a 60 giorni (erano 120) i tempi per deliberare sull’accettazione delle domande di iscrizione; consente, in casi particolari, su autorizzazione del
CDN, l’iscrizione a una AIAF regionale diversa da quella di riferimento territoriale. Elimina la
possibilità di AIAF distrettuali; lascia solo all’AIAF-regione con almeno 10 soci, autonomia am17
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 ministrativa e patrimoniale e responsabilità diretta verso i terzi; con norme deliberate in autonomia, ma non contrastanti con i principi statutari nazionali e sottoposte a visto di conformità
dal CDN. I suoi organi sono l’Assemblea, il CDR e il Presidente che ne è il legale rappresentante
e ne cura e controlla la gestione, garantendo la politica dell’AIAF sul suo territorio. Le cariche
regionali hanno la stessa periodicità e scadenza delle nazionali e devono, almeno 30 gg. prima del
Congresso nazionale, indire le assemblee regionali per discutere i temi congressuali ed eleggere
gli organi dirigenti; con delibera del CDR e almeno 5 soci iscritti si possono costituire le sezioni territoriali circondariali, che non hanno autonomia amministrativa e fiscale, programmano e coordinano cultura e formazione in loco su indicazioni del CDR e, al loro interno, eleggono un rappresentante per un triennio, sono tenute all’osservanza di statuto e delibere nazionali
e regionali; la perdita della qualità di socio, deliberata sempre dal CDR, per l’irrogazione di sanzioni disciplinari definitive opera se le stesse sono di particolare gravità, su valutazione del CDR.
Viene inoltre eliminato il parere del collegio dei probiviri.
Nuovi e vecchi organi. Agli organi dell’associazione già previsti e cioè Assemblea Generale, CDN,
Presidente, Giunta Esecutiva, Collegio dei Probiviri, si aggiungono il Vicepresidente e il Consiglio di Presidenza. Tutti gli organi dell’associazione durano in carica fino all’assemblea congressuale successiva, salvo l’eventuale proroga di diritto fino all’effettiva sostituzione (art. 5).
Presidente e vicepresidente (art. 8) e componenti della Giunta Esecutiva (art. 9) durano in carica tre anni e non possono essere rieletti per più di due volte consecutive. L’Assemblea generale dei soci è costituita dai delegati eletti dalle associazioni regionali, uno ogni 20 soci (prima
uno ogni 10); ogni partecipante all’assemblea ha un voto e può ricevere al massimo due deleghe
(prima non poteva avere deleghe); l’Assemblea determina le linee programmatiche e le scelte
fondamentali dell’associazione (nel vecchio statuto era il CDN che aveva questi compiti mentre
l’Assemblea dava le indicazioni per attuare gli scopi sociali), delibera le modifiche statutarie, elegge i componenti non di diritto del CDN designati dalle AIAF regionali, elegge il collegio dei
probiviri. Non c’è più la possibilità di eleggere in sede congressuale 5 componenti del CDN oltre quelli designati dalle regioni. Il CDN è composto dai presidenti delle Associazioni Regionali e dai rappresentanti eletti dall’assemblea generale in sede congressuale, designati dalle Associazioni Regionali, in proporzione di uno ogni 30 iscritti o frazione superiore a 15. (prima era
costituito dai presidenti, da un rappresentante per regione, da un rappresentante per regione ogni 40
iscritti e da un ulteriore rappresentante per ogni successiva frazione superiore a 25); attua le scelte
dell’assemblea congressuale, determina la politica associativa tra un Congresso e l’altro e indica
le linee programmatiche dell’attività. A questo fine può nominare commissioni di lavoro su
singole e specifiche tematiche con componenti anche esterni al CDN ed elegge il responsabile
per coordinarle (il vecchio statuto non precisava da chi era individuato o eletto questo responsabile
e non prevedeva componenti esterni). Delibera annualmente le quote sociali e il contributo per il
nazionale. Il CDN è validamente costituito «soddisfatti i requisiti di cui all’art. 21, comma 1,
del c.c.» e cioè con la presenza di almeno la metà dei componenti (prima ci volevano almeno i
due terzi), delibera con il voto della maggioranza dei presenti aventi diritto (per l’art. 21 in seconda convocazione la delibera è valida qualunque sia il numero dei presenti); adotta il regolamento per il funzionamento degli organismi di direzione dell’associazione (prima era prevista
per questa delibera la maggioranza dei due terzi dei votanti) ed emana il suo regolamento interno.
I suoi componenti, nel corso dei tre anni di mandato, possono dare delega, per non più di una
volta all’anno, ad altro componente del CDN (prima non era previsto). Il presidente, legale rappresentante dell’associazione, ha i poteri di legge (non è più previsto che abbia quelli del CDN
non espressamente riservatigli) convoca e presiede gli organi collegiali e la giunta, può delegare
(prima non era espressamente previsto) al Vicepresidente o ai componenti della giunta singole
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1993‐2013 “I VENT’ANNI DELL’AIAF” attività o singoli atti. Assicura la collegialità delle decisioni e l’adeguata circolazione delle informazioni. Alle già previste incompatibilità con: Presidente COA, componente CNF, dirigente
OUA o comunque di altre associazioni e organismi forensi si aggiunge quella dei probiviri con
qualunque altra carica associativa nazionale.
La presidenza Pini. Intervenuta dopo una fase di grande tensione fu all’inizio vissuta come una
invasione del Nord e una prevaricazione sulle piccole AIAF regionali, prevalentemente del centro-sud, che dalle nuove norme erano state fortemente ridimensionate nella loro rappresentatività nazionale (forse su queste esigenze bisogna riattivare l’attenzione dell’associazione ma anche
sollecitare il loro attivismo associativo); rispondeva però a un grande bisogno di interruzione della lunga fase di concentrazione statutaria e di gestione fortemente accentrata e da molti ritenuta asfittica, riaprendo una comunicazione reciproca centro-periferia, un crescente coinvolgimento dei soci con iniziative a livello nazionale ma dislocate sul territorio e una riconversione
dell’attività associativa sui temi della professione e delle riforme nel nostro settore di lavoro;
tanto più che la formazione obbligatoria, ora offerta gratuitamente dagli ordini, seppur non
sempre di qualità aveva eroso un settore di intervento che ci aveva visto fortemente protagonisti, anche con dei ritorni economici per la copertura delle spese necessarie; mentre ora la nostra
funzione formativa si doveva concentrare sulla scuola nazionale e su iniziative di nicchia, altamente specializzate, per dare un servizio adeguato ai soci e attirarne di nuovi. Per realizzare
questo cambiamento occorreva una ampia radiografia della situazione associativa, sul territorio
e a livello nazionale, una verifica delle caratteristiche e dei bisogni dei nostri soci, il ripristino di
una comunicazione cartacea e telematica tempestive e costanti nel tempo. L’operato di Milena
fu inizialmente vissuto con sospetto anche per la forte accelerazione di ogni sua iniziativa, che
poteva apparire lesiva della collegialità; in realtà, salvo qualche eccezione, era sempre preceduta
da copiosa documentazione informativa e dalle successive convocazioni degli organismi deputati a decidere; basta rileggere le costanti e quotidiane comunicazioni via e mail, in qualunque
ora del giorno e della notte e ricche di allegati, che hanno inondato i nostri computers per rendersi conto di questo errore di valutazione iniziale, che potrei avere fatto io stessa; il tempo ha
gradualmente diradato e sciolto questi reciproci timori e, guardando indietro, appare con chiarezza l’importanza della scossa in termini organizzativi, amministrativi, politico-forensi e giuridici dell’operato di Milena in poco più di due anni della sua presidenza. Quasi presagisse che il
tempo per lei sarebbe stato breve.
A ridosso del suo incarico, si dimise da presidente AIAF Lombardia ed anche dall’AIADC, avviando un primo ricambio a livello di dirigenza regionale: nello spirito del nuovo statuto e dei
suoi personali programmi convocò prima CDN e CDP, per un esame collegiale della situazione associativa con i referenti regionali e i componenti del CDN, per ultima la giunta, dove
giunse con il progetto e i contratti relativi al nuovo sistema di comunicazione telematica, a cui
diede subito avvio, previo invio di tutta la documentazione. Il sistema di registrazione dei soci è
stato computerizzato, ristrutturato completamente il sito internet, con invio telematico ogni 15
giorni di una News-letter che raccoglie e da notizia delle iniziative locali e a sua volta ne offre
sulla vita associativa, sulla giurisprudenza, sulla normazione, vigente o in fieri. Convocò a Roma, in un direttivo nazionale a tema, i colleghi e le colleghe AIAF eletti nei COA. Furono programmate assemblee generali, coincidenti o meno con quelle annuali di approvazione dei bilanci, focalizzate su temi specifici: la prima a Torino, maggio 2011, su La tutela dei diritti delle
persone e il ruolo dell’avvocato. Quali prospettive per la nostra professione che si aprì a un confronto con i colleghi delle associazioni specialistiche, il Cnf, la magistratura torinese, i rappresentanti della politica. La seconda a Milano, nel maggio 2012, che ebbe una lunga preparazione,
con gruppi di lavoro riunitisi a Firenze, Bologna, Genova e Milano e che affrontò e individuò le
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 «Ipotesi di riforma ordinamentale, sostanziale e processuale del diritto di famiglia e minorile»; tra i
relatori giudici, ordinari e minorili; studiosi e docenti di diritto sostanziale e processuale di
molte università italiane. La terza a Palermo nell’ottobre 2012, su La tutela penale della persona
nelle relazioni familiari, preceduta e preparata da un numero a tema della nostra Rivista che ebbe a relatori, avvocati, docenti universitari, psicologi. Tutte le assemblee, organizzate logisticamente dalle sedi regionali, che hanno anche attivato momenti di gradevole intrattenimento
per i soci, hanno avuto una grande e ampia partecipazione dei nostri associati delegati e no, e
sia a Milano che a Palermo hanno adottato la formula dei gruppi di lavoro con report finale in
plenaria, che hanno segnato un grande consenso e successo tra i partecipanti. Né va dimenticato sul fronte della progettualità normativa e deflattiva del carico giudiziario l’impegno e la collaborazione con il Triveneto e le Camere Civili per il ddl sulla negoziazione partecipata assistita
dagli avvocati, oggi sponsorizzata anche dal CNF e dall’OUA. Va inoltre ricordata la tempestiva pubblicazione della rivista e dei quaderni, che hanno affrontato sempre temi scottanti e attuali delle nostre materie(si può trovare tutto sul sito), e il contratto con Giappichelli, nuovo e
prestigioso editore. Da ultimo un breve cenno sulla scuola di Alta Formazione, di cui è divenuta direttore a seguito delle dimissioni dell’avv. Marino, quando la scuola sembrava entrata in una
fase critica. Ne ha ristrutturato programma didattico e comitato scientifico, dedicandovi l’ultima
importante e proficua riunione a dicembre 2012 e inaugurandone il secondo biennio nei primi
giorni di gennaio 2013, quando ancora sembrava che il suo male potesse essere sconfitto.
L’inserimento dell’AIAF nell’elenco delle associazioni specialistiche ex art. 35, l. n. 247/2013. L’importanza di tutta l’attività che l’AIAF ha svolto nei suoi vent’anni di vita, con i suoi dirigenti che
si sono succeduti nel tempo, ha ora trovato pieno riconoscimento anche nei nostri organismi
istituzionali che, quando questi atti vengono pubblicati, hanno già riconosciuto la nostra rappresentatività politico-culturale altamente specialistica, inserendoci nel’elenco delle associazioni forensi specialistiche maggiormente rappresentative, in attuazione dell’art. 35, 1° comma,
lett. s) della l. n. 247/2013 – e sottoscrivendo con noi un protocollo che riconosce l’attività di
alta formazione già svolta dall’AIAF con i suoi corsi e con la sua scuola, nonché la loro valenza
scientifica per il conseguimento del titolo di specialista.
Attualità e futuro dell’AIAF e dell’avvocatura. Milena lascia una corposa e impegnativa eredità,
sul piano organizzativo e sul piano politico culturale. L’AIAF, pur senza fini di lucro e basata sul
volontariato puro dei suoi soci e dirigenti, è ormai anche un’azienda che deve rispettare tempi e
principi di buona amministrazione, anche contabile, se vuole adempiere agli impegni verso gli
associati e gli esterni con i prodotti editoriali, l’informazione, la formazione di base e quella
specialistica con la scuola di Alta formazione; settori di intervento che necessitano anche di
soggetti professionalmente preparati e di una adeguata organizzazione logistica, oltre che di investimenti economici.
Non di minore importanza, anzi essenziale, il versante dell’impegno culturale su cui è nata e di
quello politico ad esso connaturale, di cui ha acquistato consapevolezza nel tempo divenendo a
sua volta partecipe e protagonista nel mondo della politica forense e giudiziaria. Il suo ruolo è
ormai saldamente riconosciuto, come confermano anche le presenze dei rappresentanti istituzionali e associativi, forensi e giudiziari, in questo Congresso, che hanno richiamato la necessità
di riconvertire la nostra attenzione di operatori del mondo della giustizia dai riti e dai processi
ai diritti delle persone che la giurisdizione deve tutelare. Proprio per la materia che ci appartiene, il diritto della famiglia dei minori e delle persone, diritti relazionali fondamentali e costituzionalmente protetti, è stato chiesto all’AIAF di aiutare l’avvocatura tutta a ricominciare a ragionare di diritti, a prescindere dalle questioni che attengono alle aule giudiziarie, per essere presenti
come categoria sulle questioni essenziali che interessano il paese e la società. A questo impegno
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1993‐2013 “I VENT’ANNI DELL’AIAF” l’AIAF contribuisce anche con i lavori di questo Congresso che ha posto al centro delle sue riflessioni la funzione sociale dell’avvocato nella realtà del quotidiano vivere civile, prendendo
atto che i disagi familiari e i loro esiti maturano nello scenario sociale di cui la famiglia è parte essenziale e che, se non vogliamo limitarci a gestire la crisi, per individuarne le soluzioni dobbiamo
trovare il modo di interloquire con i soggetti istituzionali e non che in questo scenario operano.
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 LA FUNZIONE SOCIALE DELL’AVVOCATO PER LA TUTELA DEI DIRITTI DELLE PERSONE NELLA FISIOLOGIA E NELLA PATOLOGIA DEI RAPPORTI FAMILIARI Francesco Pisano
Avvocato in Cagliari, Presidente AIAF Sardegna
Sommario: 1. La funzione dell’avvocato nelle filosofia del diritto e nella comune opinione. – 2. Il ruolo dell’avvocato nella giurisdizione. – 3. Il ruolo dell’avvocato fuori della giurisdizione. – 4. Conclusioni: una nuova figura di
avvocato delle persone e un’associazione che si apre all’Europa.
Care colleghe e cari colleghi. Ogni volta che in questi giorni ripensavo al titolo della relazione
che mi è stata chiesta, ed anche ora che l’ho sentito mi sento un po’ incosciente ad aver accettato; penso che sia un argomento sicuramente suggestivo, ma molto complesso; per cui ho pensato, in spirito di servizio, diciamo, di proporvi non certo una trattazione sistematica, ma alcuni
spunti per stimolare un dibattito. Del resto i congressi, ricordiamolo, servono soprattutto a discutere e a trovare poi un momento di sintesi che si consegna agli organismi di governo che si
vanno ad eleggere come linee di indirizzo politico da attuare e da svolgere nel prossimo triennio.
1. La funzione dell’avvocato nelle filosofia del diritto e nella comune opinione Riflettevo, nel riordinare le idee per preparare questo intervento, sul fatto che la riflessione filosofica sulla giustizia e la filosofia del diritto, tradizionalmente, non danno molta attenzione alla
figura dell’avvocato. La filosofia del diritto che abbiamo studiato all’università e che informa la
nostra cultura giuridica, è essenzialmente il positivismo giuridico, in cui il diritto è visto come
norma; il normativismo di Kelsen ne è l’espressione massima. L’espressione di una geometria
del diritto, le cui forme la scienza giuridica ha il compito di descrivere. Poi è stata la volta dei
giusrealisti: Alf Ross, i realisti americani, che sono interessati essenzialmente all’effettività ed
efficacia della norma, e quindi al momento interpretativo e applicativo della norma, cioè alla
funzione giudicante. Qui la riflessione filosofica sulla giustizia e sul diritto si concentra sul ruolo
del giudice. L’avvocato non c’è mai. Un filosofo del diritto che è scomparso all’inizio di quest’anno, Ronald Dworkin, è stato il padre della teoria one right answer, secondo la quale esiste
solo una risposta corretta alle domande che si pongono ai giudici. La domanda di giustizia ha
una sola risposta corretta. Quindi il giudice ha due possibilità: dare la risposta corretta oppure
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FOCUS commettere un errore giudiziario. Le famose decisioni rischio, che noi conosciamo benissimo,
perché nella materia in cui ci occupiamo tocchiamo con mano come esistano più risposte e la
scelta può essere davvero drammatica, in questa prospettiva vengono negate. E quindi è negata
anche la funzione che l’avvocato può svolgere per orientare il giudizio verso una di queste soluzioni. Secondo la One right answer thesis non esistono più possibili risposte; ce n’è solo una. Il
giudice è protagonista assoluto dell’esercizio di questo lavoro interpretativo che o sarà corretto
o determinerà un bias, un errore giudiziario. Se poi dal terreno elevato della riflessione filosofica
scendiamo a quello del senso comune, al sapere popolare, non ci stupiamo di trovare quello
che troviamo. Giovanni Cosi, un filosofo del diritto ha dedicato uno studio molto importante
alla figura dell’avvocato, che si intitola La responsabilità del giurista, apre il suo libro scrivendo
«un fantasma si aggira nella coscienza popolare» ed è la figura del dottor azzeccagarbugli; e con
questa bisogna fare i conti. E dobbiamo fare i conti con i rischi connessi all’autoreferenzialità dei
nostri discorsi e riuscire a misurare la distanza tra la rappresentazione che noi abbiamo di noi
stessi e la rappresentazione sociale dell’avvocato. Altra figura disastrosa di avvocato, pure richiamata da Cosi, è quella rappresentata nel processo di Kafka; un avvocato che svolge la funzione di mediazione tra l’inquisito e il sistema della giustizia e la cui funzione è unicamente
quella di far adattare l’accusato. Ogni volta che viene ricevuto dall’avvocato Iosef K. si sente dire «tu lascia fare alla procedura; non intralciare la procedura» e questo è il ruolo di assoluta
funzionalità ad un potere cieco rispetto ai diritti dell’individuo. Delineato questo orizzonte poco esaltante, vorrei dare conto di alcuni possibili punti da cui partire per riflettere su un rilancio, un rinnovamento, un impulso a far splendere la figura dell’avvocato in una rinnovata funzione sociale; non solo autocelebrata ma anche diffusamente riconosciuta. Alcune cose sono
state dette ieri nel corso dei saluti, ne ho preso nota e le vorrei riprendere lungo il mio discorso.
Innanzitutto abbandonare l’idea di un professionista che si identifica completamente col conflitto giudiziario. Quindi un professionista della contesa, del conflitto; un patologo, che rischia
di essere a sua volta costruttore di patologia, perché si muove in una dimensione in cui la patologia viene esasperata, amplificata e diventa la struttura della relazione tra le parti. E sviluppare
l’idea che si possa interpretare in un modo diverso il ruolo dell’avvocato nel contesto giudiziario, ma anche l’idea che esista un ruolo dell’avvocato fuori dal contesto giudiziario.
2. Il ruolo dell’avvocato nella giurisdizione Inizio con alcuni spunti su cui, secondo me, può essere fecondo lavorare e riflettere tutti insieme, in primo luogo per quanto riguarda il nostro ruolo nel contesto giudiziario. Ne ho individuati tre. Il primo: ribadire la necessità della funzione dell’avvocato nel contesto giudiziario; il
secondo: un forte impegno per la effettività dei diritti giustiziati, passatemi questa espressione
un po’ alla francese, cioè l’effettività delle pronunce giudiziarie e l’effettività dei diritti che vengono riconosciuti o costituiti nei provvedimenti del giudice. Il terzo punto è: una ridefinizione
dei confini della giurisdizione. Parlo ovviamente di giurisdizione in materia di diritti relazionali
delle persone e delle relazioni familiari.
a) Ribadire la necessità della funzione dell’avvocato nel contesto giudiziario Sulla necessità della funzione dell’avvocato nella giurisdizione, il primo punto, non è che ci sia
molto di nuovo da dire. Ieri la relazione del presidente ha evidenziato come fin dal 1997-’98
l’AIAF ha posto, ancora prima della riforma dell’art 111 Cost., una forte attenzione sul tema. Ancora l’altro giorno un collega, che è amico e maestro, col quale mi confrontavo su questo tema
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 mi diceva «ma tu sei sicuro che si può parlare di rilevanza costituzionale dell’avvocato?». In
fondo la Costituzione non lo dice e forse la possiamo dare per scontata solo nella giurisdizione
penale, in cui il potere pubblico muove un attacco ad un diritto fondamentale, quello previsto
dall’art. 13, la libertà personale; e proprio perché questo potere, questo attacco, sia legittimato,
è necessaria la presenza dell’avvocato. Io credo che volendo accettare questa provocazione, volendo partire da questo punto, si deve rilevare in primo luogo che si è compiuto un passaggio
da una visione essenzialmente pubblicistica del governo della famiglia e delle relazioni familiari
al riconoscimento che le posizioni degli individui nelle relazioni familiari, non sono più declinabili in termini di interesse e di potestà e comunque di posizioni che hanno una rilevanza pubblicistica, ma ad esse corrispondono dei veri e propri diritti soggettivi, e si tratta di diritti fondamentali delle persone. Questo modello concettuale nuovo si colloca in una cornice definita
dall’art. 2 Cost., dall’art. 3, 2° comma della dichiarazione dei diritti del fanciullo e dalla convenzione di Strasburgo, che ha riconosciuto la dimensione processuale e la possibilità di esercizio di
quei diritti che la convenzione di New York riconosce; poi abbiamo la CEDU. Possiamo allora
pensare la giurisdizione dei diritti relazionali come una giurisdizione in cui il potere pubblico
può incidere sui diritti fondamentali dell’uomo al pari di quello penale. Allora questo deve essere un punto qualificante del rivendicare e del far conoscere la nostra funzione sociale: che
senza la nostra presenza il potere giudiziario è delegittimato e non ci può essere giustizia. C’è
ancora molto da fare su questo perché noi abbiamo ancora dei territori della giustizia dei diritti
relazionali che sono scoperti. Ancora una certa parte della giustizia minorile, i procedimenti de
potestate, dove non c’è la difesa tecnica necessaria, perché la difesa d’ufficio è prevista solo per i
procedimenti di adottabilità. I procedimenti sull’amministrazione di sostegno dove si pone un
problema enorme. Su questo Milena aveva fatto uno studio, aveva posto subito la questione,
prima ancora che esplodesse poi nella giurisprudenza, sulla necessità della difesa tecnica. Conosciamo la soluzione di compromesso che ha trovato la giurisprudenza, per cui è il giudice che
decide quando ci vuole l’avvocato; ma non è possibile che il giudice decida da solo quando è
legittimato o meno a incidere nella sfera giuridica delle persone. Ci sono spazi che noi dobbiamo coprire, ad esempio sostenendo l’ampliamento dell’istituto della difesa d’ufficio.
b) Effettività della tutela dei diritti Il secondo punto è quello dell’effettività. Badate, questo è un tema scottante. Non mi ricordo
chi, ieri, ha parlato del bambino di Cittadella, forse Stefano Borsacchi. Questo credo che debba
essere un punto qualificante della nostra funzione sociale; dobbiamo stare molto attenti, secondo
me, a non essere identificati nella percezione sociale come corresponsabili di episodi come quello. Dobbiamo essere identificati come soggetti che non esauriscono la loro funzione all’interno
del processo consegnando al cliente un bel provvedimento in cui la domanda azionata è stata
più o meno accolta e il diritto è stato più o meno riconosciuto e in questo esauriamo la nostra
funzione. Il problema della effettività dei diritti relazionali, delle pronunce che incidono sui diritti relazionali è un problema drammatico e noi dobbiamo assolutamente farcene carico. Credo
che l’AIAF fin dall’inizio del prossimo triennio debba mettere in cantiere una riflessione importante su questo, facendo proposte. Non possiamo essere assorbiti sempre dalle questioni processuali, le questioni di rito e non essere presenti su un fronte drammatico come questo, che è
quello di come rendere effettivi gli obblighi di fare infungibile che il giudice dei diritti relazionali
consegna alle parti nei suoi provvedimenti. È un fronte aperto, tra l’altro, da diverse pronunce
dalla CEDU che hanno condannato l’Italia, l’ultima sentenza, clamorosa, è del febbraio di quest’anno in cui la CEDU condanna l’Italia dicendo «voi dovete dotarvi di un arsenale giuridico adeguato». Un arsenale giuridico adeguato perché le vostre pronunce siano effettive. La CEDU ci
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FOCUS condanna per i provvedimenti stereotipati, che ribadiscono con formule vacue i diritti relazionali ed incaricano i servizi sociali di azioni imprecisate volte a garantirne l’effettività. Questo è
un fronte su cui noi dobbiamo avere un protagonismo assoluto, perché siamo noi che portiamo
le parti dentro l’aula giudiziaria. La parte deve uscire da lì con noi con una risposta effettiva.
c) Ridefinire i confini della giurisdizione Il terzo punto è la ridefinizione dei confini della giurisdizione. Se da un lato dobbiamo, come
dicevo prima, ribadire la necessità della nostra funzione nella giurisdizione, allo stesso tempo io
credo che dobbiamo essere in prima fila anche in quel movimento, in quel processo che sta
portando faticosamente e lentamente nel nostro paese a far si che la giurisdizione si ritragga dal
controllare la vita delle persone e le scelte delle persone, le relazioni. Il passaggio dal matrimonio istituzione al matrimonio contratto, il riconoscimento di sempre più ampi spazi per l’autonomia dei coniugi nelle scelte (Giacomo Oberto, che ci ha portato ieri i suoi saluti, è un maestro in questa materia), questo è un processo che noi dobbiamo sostenere. Dobbiamo sostenerlo per “ripulire” sempre di più la giurisdizione, cioè per far si che la giurisdizione sia il momento in cui vi è assoluta necessità che il potere pubblico intervenga, con la garanzia difensiva
per la tutela della libertà individuale. Ma nella misura in cui questo intervento pubblico non è
necessario, la regolazione dei rapporti giuridici avverrà fuori dal controllo giurisdizionale, e questo ci recupera al ruolo, di cui dirò tra pochissimo, di un nuovo protagonismo fuori dal processo.
Sia Sergio Paparo che la dottoressa Laera dicevano ieri che il processo si è mangiato i diritti;
questo lo diceva già Salvatore Satta: il processo tende a rivoltarsi contro i suoi creatori, con una
eterogenesi dei fini, e anziché servire la giustizia si serve della giustizia per crescere. Questo implica che noi forse facciamo uno sforzo di dedicarci un po’ di più di quanto abbiamo fatto
fin’ora alle questioni di diritto sostanziale. Troppo processo, diceva ieri Laera, mi è piaciuto molto; Sergio Paparo ha detto delle cose importanti, ha detto: riprendiamo a parlare di diritti. Ha
citato il caso Englaro, ha parlato di una assenza colpevole dell’avvocatura nei luoghi in cui si ragiona di diritti. Questo lo dobbiamo fare noi. Forse una possibile remora che noi possiamo avere è che se sulle questioni processuali possiamo trovare un’immediata unità perché si tratta di
questioni iscritte nel nostro DNA di avvocati AIAF, invece sulle questioni di diritto sostanziale
ci può essere il timore di dividerci perché siamo un’associazione in cui ci sono visioni diverse,
sensibilità diverse. Io vorrei che nei prossimi tre anni noi invece discutessimo senza avere il timore di non riuscire ad avere “la linea”, perché se non saremo d’accordo ... continueremo a discutere e la nostra diversità sarà una ricchezza. Ma non possiamo non discutere, mentre lo fanno
tutti gli altri, di matrimonio tra persone dello stesso sesso, di riforma dell’adozione, di testamento
biologico, di cittadinanza; è dell’altro giorno l’uscita sulle agenzie del garante per i minori sulla
necessità di risolvere la questione della cittadinanza agli immigrati di seconda generazione; sono
temi di cui si discute, che incombono. Se non siamo noi a parlare di queste cose nella società, se
non siamo noi, che vogliamo essere i custodi e i difensori dei diritti, i promotori della cultura dei
diritti, chi lo farà? Con quali risultati? È una sfida che credo dobbiamo accettare. Cominciamo
almeno da alcune questioni di diritto sostanziale. C’è una Commissione europea, si chiama
CEFL Commissione Europea per il Diritto Europeo della Famiglia, formata in seno alla Commissione UE, cui partecipa Salvatore Patti per l’Italia, che ha fatto un lavoro comparatistico e di
individuazione di quelli che dovrebbero essere i principi di diritto di famiglia europeo. Se voi
andate a vederveli (www.ceflonline.net) l’Italia è fuori, siamo fuori da quei parametri. Allora vogliamo iniziare a parlare almeno di questioni di diritto sostanziale su cui, immagino, ci possa
essere un accordo tra noi? Ma possiamo accettare che ci sia un controllo giudiziale con tentativo di conciliazione in fase di separazione e tre anni dopo ancora in fase di divorzio? Ieri il colle25
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 ga francese parlava del divorzio per mutuo consenso che ha superato il divorzio-rimedio nella
giurisprudenza francese. Noi abbiamo un divorzio rimedio, un divorzio che si può fare solo dopo
3 anni e solo dopo che il giudice, e non un giudice qualunque, ma il più saggio dei giudici, il più
anziano, il presidente, abbia controllato che vi è una irrimediabilità della frattura della comunione
materiale e spirituale. Possiamo noi accettare la sopravvivenza di simili fossili nel nostro ordinamento? Io non credo. Credo che sia importante prendere posizione su questo, e credo che questo
le persone lo capiscano, più di quanto non possano capire le questioni processuali che, badate
bene, non ritengo che non siano importanti, ma magari è più difficile che le persone ne comprendano significato e portata. Ho un altro esempio, e chiudo su questo, l’art. 333 c.c.; devo dire che
su questo mi ha aperto gli occhi un magistrato, il confronto con un magistrato. Possiamo tollerare
una norma che legittima il potere del giudice di decidere sui diritti umani fondamentali sulla base
di un parametro di assoluta discrezionalità, quello della convenienza per il minore e senza difesa
tecnica necessaria? È una cosa inaccettabile! Credo che siamo tutti d’accordo su questo. Allora
potremmo iniziare dalle questioni meno spinose, meno controverse, e possiamo iniziare, come
dire, a riscaldarci e ad abituarci ad una maggiore presenza sulle questioni non solo processuali,
ma anche sostanziali.
3. Il ruolo dell’avvocato fuori della giurisdizione Vado rapidamente al secondo versante della mia relazione: l’avvocato al di fuori della giurisdizione e del processo. Ieri è stata detta una cosa molto interessante dal Procuratore della Repubblica di Firenze: «Attenzione a non confondere il conflitto con la patologia». Io credo che il
nostro ruolo fuori dalla giurisdizione, fuori dal processo, sia sicuramente un ruolo di prevenzione: l’avvocato come preventore. L’avvocato che sostiene le parti, come poi ci illustrerà il collega Sartori. Quello che gli operatori sociali chiamano empowerment, cioè mettere una persona nelle condizioni di essere protagonista delle proprie decisioni, attraverso l’acquisizione di
strumenti di conoscenza, di comprensione della sua situazione. Ma, come ci ricordava prima
Franca Alessio, c’è anche lo spazio per un protagonismo in modelli alternativi di gestione dei
conflitti, che valorizzano il conflitto e la crisi come momento di cambiamento e come momento di trasformazione di una relazione. Noi questo lo sappiamo benissimo, perché in fondo
avendo i diritti relazionali, la caratteristica della reciprocità, la tensione, il conflitto è quasi nella
natura stessa del diritto; non si può mai affermare un diritto relazionale schiacciando la posizione dell’altro polo della relazione, non ha senso.
a) Rilanciare il protagonismo nella consulenza e nella gestione stragiudiziale dei conflitti Da questo punto di vista il protagonismo dell’avvocato fuori dal processo non si situa solo nella
consulenza e quindi nella costruzione di meccanismi di prevenzione, come possono essere gli
accordi che prevengono le liti, ma anche nel fuoco dei conflitti. Noi dobbiamo ribadire il nostro protagonismo assoluto nella mediazione, abbiamo assistito in questi anni, alla costruzione
di percorsi di formazione specifici, alla creazione di identità professionali nuove, che, inutile
negarlo, rispondono anche a logiche di mercato, di steccati. Noi siamo dei mediatori, noi possiamo intervenire nella mediazione a fianco del professionista che ha delle competenze specifiche legate al rimettere in comunicazione le parti, per poi mettere a punto le soluzioni. Perché
quando le parti, poi, riprendono a parlarsi, gli esperti della costruzione del rapporto siamo noi.
Vincenzo Tomeo, un sociologo del diritto che è scomparso alcuni anni fa, diceva che il diritto è
una struttura di conflitto; il diritto serve a fare in modo che i conflitti tra le parti si tengano in
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FOCUS una tensione positiva e costruttiva e non esplodano. Gli esperti di queste strutture, siamo noi.
Dobbiamo riprenderci tutta questa parte, in relazione alla mediazione ed alle pratiche collaborative e dobbiamo continuare a sostenere con forza il ddl sulla procedura partecipativa di negoziazione assistita dall’avvocato.
b) L’avvocato nei servizi di welfare e nella giustizia riparativa Ci sono altri due fronti che volevo richiamare. Il primo è il welfare. In Italia ci sono moltissimi
centri integrati di servizi socio-sanitari per le famiglie, che furono previsti per la prima volta dalla l. n. 285/1997, in cui ci sono avvocati che fanno ascolto, accoglienza, consulenza, accompagnano le parti verso la mediazione e poi le riaccolgono quando il processo di mediazione ha consentito loro di aprirsi l’uno alle ragioni dell’altro. È un modo nuovo, diverso, di fare l’avvocato.
Vent’anni fa sarebbero stato impensabili, inconcepibili dei servizi di Welfare a contenuto giuridico. Oggi è normalissimo che ci siano degli avvocati nei centri per le famiglie, nei consultori,
ed è un nuovo spazio. Il secondo fronte è quello della giustizia riparativa. C’è una direttiva
dell’Unione europea 25 ottobre 2012 che impegna tutti gli stati a rilanciare fortemente la giustizia riparativa. E se questa direttiva non verrà attuata, come è molto probabile, nella parte in
cui i suoi contenuti sono sufficientemente chiari, diventerà self executive, quindi dal 2016 noi
avremo la cogenza di determinati obblighi; ad esempio se i giudici penali riconoscano una persona offesa, un testimone, come particolarmente vulnerabile, si appronteranno dei meccanismi
di protezione ed assistenza alla vittima; quindi ci sarà uno sviluppo del welfare per l’assistenza
alle vittime di reato e di violenza domestica. Ancora, la giustizia riparativa prevede il superamento del classico modello che viene detto VOM, cioè victim-offender mediation, cioè la mediazione a due, per promuovere invece il conferencing, cioè l’incontro tra i familiari dell’offensore e i familiari dell’offeso. Si tratta di una serie di attività in cui la domanda di giustizia, ovviamente, viene processata, diciamo così, dal sistema giurisdizionale, ma viene anche riportata
nel territorio e nella comunità; e lì il protagonista non può più essere il giudice; il professionista
del diritto protagonista di questo processo di riparazione dei torti e di ricerca di equilibri dovrà
essere l’avvocato. Ovviamente noi dobbiamo essere pronti per questo.
4. Conclusioni: una nuova figura di avvocato delle persone e un’associazione che si apre al‐
l’Europa Io auspico che in questo triennio noi lavoriamo su questi fronti senza paura di disperderci, senza paura di perdere l’anima, ma capendo che ci sono diverse strade, che corrispondono anche a
diverse sensibilità, diverse modalità. Badate, è anche una questione di mercato, di spazi e di canali che si aprono. L’esempio che mi viene da fare è quello del medico, che può lavorare in consultorio, dove fa prevenzione e promozione alla salute; ma il medico ospedaliero affronta la patologia anche nei modi più drastici, come la chirurgia, quando è necessario. Sono tutti e due
medici, nessuno dei due è più medico dell’altro! Prima del 1975 c’era una concezione della salute e della malattia e del ruolo sociale del medico per cui una struttura come il consultorio era
semplicemente impensabile. Dal medico si andava sempre e solo quando si era malati, anzi
talmente malati da non poterne fare a meno. Ecco, forse noi dovremo ragionare sull’idea che la
gente venga da noi non solo quando il diritto è negato, quando ha una percezione di diritto negato, ma si rapporti a noi come a costruttori di rapporti, preventori di liti, professionisti del diritto come struttura del conflitto che possono informare, aiutare a capire, a prevenire, a risolvere questioni anche senza andare dal giudice. C’è un enorme lavoro culturale che noi possiamo
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 fare e che secondo me è importante fare e che può servire anche a rilegittimarci socialmente,
che è quello di riprendere a parlare di diritti anche fuori dalle nostre aule congressuali o dalle
aule di giustizia: in tutti i luoghi della società. Perché non ci riprendiamo l’educazione alla legalità, l’educazione ai conflitti? Andiamo nelle scuole a parlare di Costituzione, di CEDU, della
Carta di Nizza! Facciamo crescere questa cultura e facciamo in modo di essere identificati come gli esperti competenti, i difensori di questo di questo patrimonio che sono i diritti delle persone. Professionisti pronti a mettere le mani nella patologia del conflitto giudiziario, perché lo
sanno fare, ma che non si identificano con quel sistema e che non vogliono essere, diciamo così, complici di un sistema che prende la patologia per amplificare, costruire altra patologia.
Questi sono gli spunti che io ho voluto offrirvi. Voglio chiudere con un’ultima annotazione. Ieri è stato bellissimo, per me, sentire i colleghi stranieri. Io credo che il prossimo triennio ci debba vedere entrare decisamente in una prospettiva europea, e anche questo è un lascito di Milena,
perché Milena capiva sempre le cose in anticipo, magari poi si stufava se non venivano fatte in
fretta. Milena fece la fondazione del Centro Studi Family Law in Europe perché capì che il diritto di famiglia e delle persone sta andando in quella direzione, essendo stato abolito il terzo
pilastro dell’Unione, la quale assume una dimensione di sovranazionalità anche su questa materia. Allora io credo che noi dovremmo pensare a delle forme di partnership con altre associazioni gemelle dei paesi europei, formare una rete e fare in modo che in prospettiva si lavori ad
una istanza di rappresentanza degli avvocati di famiglia e delle persone al livello europeo. Dobbiamo già immaginare che al prossimo regolamento che si discuterà in sede UE in materia di
famiglia e persone si presentino al legislatore europeo le osservazioni e proposte della rete europea delle associazioni degli avvocati per la famiglia e le persone, e non limitarci ad essere sentiti dalle nostre commissioni parlamentari, perché sempre di più la produzione normativa si sta
spostando in Europa. Questa è un’altra sfida che credo che dobbiamo raccogliere e che nei
prossimi tre anni dobbiamo esplorare in varie forme. Io ho voluto darvi una serie di impulsi che
vanno dal lavoro di studio, lavoro di comunicazione sociale, proposte legislative. Insomma possiamo muoverci in tante direzioni. Sarei già felice se riuscissimo a discuterne nel dibattito questa mattina e questo pomeriggio.
Grazie
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FOCUS LA CRISI DELLE RELAZIONI FAMILIARI: COME SOSTENERE E TUTELARE I PROTAGONISTI RENDENDOLI CONSAPEVOLI DEI LORO DIRITTI E DEI LORO DOVERI Alessandro Sartori
Avvocato in Verona, Presidente AIAF Veneto
Sommario: 1. La sfida etica. – 2. L’importanza di elaborare un nuovo progetto di vita. – 3. La metafora della Porta
e della Soglia. – 4. Le strategie per calmierare la sofferenza. – 5. L’intrigante fascino del nostro maggiore impegno
professionale.
1. La sfida etica Il sottotitolo di questa riflessione sull’affascinante e intrigante compito che ci è posto da coloro
che si affidano alla nostra capacità e alla nostra esperienza professionale completa il già ampio
tema che mi è stato assegnato.
Entriamo subito nel vivo della riflessione ricordando, anzitutto, che: la “Sfida Etica” di un corretto approccio deontologico al contenzioso familiare ha suggerito il contenuto di uno dei più
preziosi “Quaderni” pubblicati dall’AIAF 1, che ogni iscritto dovrebbe tenere “sotto mano” per
la ricchezza e profondità dei contributi che lo compongono.
Il Prof. Avv. Paolo Moro nella sua riflessione in quel “Quaderno” sull’“Etica e il metodo
dell’avvocato”, esordiva chiarendo che l’«etica è una metodologia dell’esperienza professionale» ed affermava che «l’etica professionale dell’avvocato si realizza attraverso un atteggiamento dinamico di critica, di dialogo, di giustificazione e di mediazione nei rapporti con il cliente,
con l’avversario, con il collega e con il giudice».
Attraverso tale “mediazione dialogica” l’avvocato realizza la «fedeltà al proprio assistito e all’ordinamento giuridico (principio della doppia fedeltà)», adempiendo così al “dovere di lealtà”.
Sempre secondo il Prof. Moro il «fine dell’attività professionale dell’avvocato ... è la tutela della
libertà propria e del proprio assistito» e, per realizzare tale fine, l’avvocato si deve opporre all’asettico tecnicismo della professione forense non limitandosi «ad essere interprete formalista
delle norme di legge oppure dei precedenti giurisprudenziali deducendo da questi gli unici criteri» a sostegno della “libertà” del proprio assistito.
1
Quaderno AIAF, n. 1/2009.
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 2. L’importanza di elaborare un nuovo progetto di vita Questo impegno dinamico di “mediazione dialogica” e di “tutela della libertà” del proprio assistito è stato ben espresso dalla nostra cara Milena nel suo scritto su Cultura della mediazione e
gestione del conflitto familiare da parte dell’avvocato 2, in cui, dopo aver ricordato il ruolo fondamentale dell’avvocato per una positiva (o fallimentare) gestione del conflitto, metteva in giusto risalto l’importanza di una «negoziazione finalizzata ad un accordo di separazione consensuale» che, però, «può essere rispettato dalle parti e durare nel tempo solo se corrisponde alle
esigenze future delle parti e non tanto alle esigenze dettate dal loro passato».
Compito, dunque, di avvocati saggi e specializzati è quello di impegnarsi a favorire nei loro assistiti un processo di liberazione dai condizionamenti del passato ed aiutarli ad elaborare un
nuovo progetto di vita.
3. La metafora della Porta e della Soglia Mi è parso interessante, allora, indagare la metafora della “Porta”, della “Soglia” da utilizzare
per accompagnare, guidare, la parte in stato di disagio e di crisi a liberarsi dal suo passato per
cogliere la sua “profezia”, la sua proiezione verso il futuro.
La “Porta” richiama il fatto che l’uomo non è un essere chiuso in se stesso, ma aperto alla realtà.
La “Porta” segna la soglia tra interiorità ed esteriorità, tra soggetto e oggetto (ciò che sta di
fronte al soggetto), tra l’io e il tu, e poi tra l’io e il noi.
La “Porta” richiama anche il fatto che l’uomo è per natura un essere ospitale.
«Ecco io sto alla porta e busso, se qualcuno ode la mia voce ed apre la porta, io entrerò da lui e
cenerò con lui e egli con me» 3.
Egli, l’uomo, ha la capacità di ospitare l’essere, non attraverso un processo di omologazione, di
assorbimento e di assimilazione, ma attraverso la relazione.
In quanto essere aperto alla relazione, il modus essendi dell’uomo diventa personale.
Egli è sempre qualcuno e mai solo qualcosa.
La differenza tra l’essere qualcuno e l’essere qualcosa è una differenza qualitativa e non soltanto
quantitativa 4.
Tale differenza può essere colta non dalla ragione calcolante, oggi imperante nelle scienze sperimentali, ma dalla ragione sapienziale.
L’uomo, anche se può essere analizzato come oggetto di indagine, tuttavia non è un oggetto tra
gli oggetti, manipolabili e utilizzabili, ma è sempre un soggetto che ha la capacità di entrare, appunto, in relazione con altri soggetti attraverso la parola.
L’uomo è l’essere del logos, della conoscenza ospitale.
Vorrei farvi venia dal ricordare che la civiltà greca, che è stata la prima civiltà occidentale che si
è posta il problema dell’uomo e della sua dignità, ha dato molteplici risposte alla domanda “chi
è l’uomo”, ma essenzialmente sempre nella direzione della sua trascendenza rispetto all’essere
materiale: PLATONE lo collocava nel regno delle idee, dello spirito materiale, incorruttibile e
immortale, purtroppo imprigionato ed esiliato in un corpo finito; ARISTOTELE definiva l’uomo un vivente dotato di ragione (zoon loghikon), un’anima che dà forma al corpo; EPICURO
2
M. PINI, Cultura della mediazione e gestione del conflitto familiare da parte dell’avvocato, in AIAF, Quaderno n. 1/2009.
Apocalisse, 3, 20.
4
R. SPAERMANN, Persone. Sulla differenza tra “qualcosa” e “qualcuno”, Laterza, Roma-Bari, 2005.
3
30
FOCUS (ma anche DEMOCRITO) lo vedeva come un essere totalmente materiale, un aggregato di
atomi che con la morte si dissolve nell’etere e, a ben guardare, quest’ultima definizione non appare lontana da quella divulgata da alcuni scienziati (U. VERONESI) sulla base della ragione,
della “conoscenza calcolante” (di cui accennerò tra poco), quando afferma: «La vita è un insieme di reazioni chimiche»; l’uomo con Copernico è tornato ad essere parte di un processo
evolutivo che include animali, piante e tutti gli esseri viventi. L’uomo viene così ridimensionato
e nasce da lì il pensiero scientifico.
Nel contesto di questo pensiero antropologico, ha segnato un importante passo avanti il pensiero cristiano, che ha elaborato un concetto divenuto ormai patrimonio comune: il concetto di
“persona”.
Sperando di non tediarVi, ricordo che per SANT’AGOSTINO l’uomo è un essere in cui l’anima,
sostanza spirituale, entra in relazione con i cosidetti “trascendentali” dell’essere, vale a dire con il
vero, il buono e il bello, per cui l’uomo è capace di trascendere ciò che appare ai sensi, il fenomeno per dirigersi a ciò che è il fondamento; per SAN TOMMASO l’uomo è “unità sostanziale di
corpo e anima” e, in quanto tale l’uomo non è soltanto capace di conoscere l’essere, ma anche di
curarlo; la sua è una conoscenza amativa. Infine Antonio ROSMINI scriveva: «L’uomo non aspira puramente a conoscere: vuole amare ciò che conosce ... L’uomo è una potenza, l’ultimo atto
della quale è congiungersi all’Essere senza limiti per conoscimento amativo».
Da una parte, quindi, troviamo la “conoscenza calcolante”, una conoscenza oggettivizzante
propria di certe scienze moderne e per cui SARTRE nel suo tragico romanzo A porte chiuse definisce la relazione con l’altro come un inferno per il soggetto, una “conoscenza” che provoca
una spaccatura del conosciuto tra soggetto ed oggetto, mentre dall’altra troviamo la “conoscenza ospitale-amativa” che permette una “conoscenza” nell’esperienza della gratuità, del dono, dell’incontro, che è l’habitat ideale ove può vivere una persona.
Il filosofo polacco Stanislaw GRYGIEL 5 afferma: «Se uno non si trova mai, neppure per un
momento, nel clima di un incontro, abbandona questa terra nella convinzione di aver vissuto
un’esistenza senza senso, né valore».
L’esperienza dell’incontro avviene proprio sulla “porta”, sulla “soglia” della “persona”, dove
l’“io” incontra il “tu”, passando poi con l’amore al “noi” e dove singolarmente o, appunto, nella
gioia dell’“insieme”, si tengono esercitati alla conoscenza ospitale, all’esperienza della gratuità,
del dono, mantenendo l’habitat ove la persona si esalta.
Ecco, dunque, che, superata la “porta”, la “soglia” tra interiorità ed esteriorità, tra soggetto ed
oggetto, tra l’io e il tu, sarà più agevole per l’uomo pervenire alla propria identità e riconoscersi
nel suo origine come “figlio”; tutti nasciamo, infatti, come figli; come esistenti non da sé, ma da
altri e per tutti, quindi, la vita è dono e tale comprensione agevolerà, certo, la difesa della dignità dell’uomo.
La domanda sull’uomo e la questione del fondamento della sua dignità è diventata oggi, in
epoca di secolarizzazione avanzata, cruciale e decisiva.
Il rischio sta nel timore che venga dilapidato il patrimonio di progressivo cammino verso la scoperta della dignità della persona, di tutte le persone, tutelata da fondamentali diritti umani, primo tra tutti quello affermato dal più grande filosofo della modernità, Emanuel KANT: l’uomo
deve essere trattato sempre come fine a mai solo come mezzo, definendo così in modo laico ciò
che il cristianesimo aveva definito in modo confessionale.
5
G. STANISALW, L’uomo visto dalla Vistola, CSEO, Bologna, 1982, p. 15.
31
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 4. Le strategie per calmierare le sofferenze Se ci siamo, allora, avvicinati alla “soglia” dell’uomo e della sua dignità, ci sarà più agevole interloquire con i protagonisti di una crisi familiare e condividere le “strategie per calmierare le sofferenze” della loro incertezza rendendoli maggiormente consapevoli dei loro diritti e dei loro
doveri.
a) L’abbandono dell’idea di conflitto Anzitutto facendoli convinti dell’opportunità di abbandonare l’idea del conflitto, abbandono tanto Anzitutto facendoli convinti dell’opportunità di abbandonare l’idea del conflitto, abbandono
tanto più accettabile se si praticherà un corretto inquadramento tecnico-giuridico del loro caso
rendendoli senz’altro consapevoli, ad esempio, della ormai sempre più evidente inutilità di cercare a livello giudiziario soddisfazione nell’addebito della responsabilità della separazione.
È a tutti noi ben noto che una tale domanda, salvo casi clamorosi, è disattesa dalla giurisprudenza implicando una ricerca che si perde nei meandri dei comportamenti e degli atteggiamenti delle parti che possono aver causato progressivamente l’intollerabilità della loro convivenza.
b) Il confronto leale sulle questioni economiche Secondariamente stimolando un leale confronto sulle questioni economiche, senza favorire (o,
addirittura, stimolare) sotterfugi per vanificare il dovere di stabilire corrette determinazioni
contributive sia per chi deve dare, che per chi deve ricevere.
Taluno tra noi potrebbe pensare che sia nostro compito difendere la parte che assistiamo facendo ottenere la maggior soddisfazione economica possibile, in un senso (dare) o nell’altro
(ricevere) e, certo, ciò rientra nei nostri doveri di tutela, ma non violando (o facendo violare) i
correlati doveri di lealtà, probità, quando non quello di verità di cui all’art. 14 del Codice Deontologico.
Chiarezza e precisione sui rispettivi diritti e doveri contributivi sono fondamentali per disinnescare il conflitto.
È nostro dovere fare quanto possibile per favorire intese anche chiarendo quale sia la miglior
soluzione economica da adottare in modo da consentire di “agganciare” la parte a riflessioni
più miti e conciliative, anche ricorrendo all’aiuto di un Collega terzo.
c) La capacità di ascoltarsi Scriveva Antonio DIONISIO dieci anni orsono: «Bisogna farsi carico del fatto che molte persone reagiscono alla sofferenza con l’aggressività, chiedendo di sfogare i propri rancori anziché
metabolizzarli», per cui chiunque richieda assistenza in questa situazione deve trovare figure
professionali che sappiano ascoltarli, sforzandosi di capire le ragioni del loro vissuto anche avvalendosi di altri professionisti (psichiatri, psicologi, ecc.) per poi progressivamente far loro seguire “la logica dell’interazione” (cioè: dell’uno di fronte all’altro), invece di quella della “contrapposizione” (cioè: dell’uno contro l’altro).
Come fare, allora, per “agganciare”, come poc’anzi ricordato, la parte in tale direzione?
È stato notato che, dopo aver ovviamente consentito alla parte di “sfogare” il suo vissuto, la
stessa ha frequentemente aderito ad opportune stimolazioni conciliative, facendola, ad esempio, riflettere sull’utilità di praticare non tanto l’astio, bensì i cosidetti “buoni sentimenti della
vita” come la generosità ed il suo speculare, la riconoscenza, la tolleranza, il perdono ed, infine,
quella che appare essere la “madre di tutti i sentimenti”, la bontà.
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FOCUS d) La pratica della bontà e del perdono È diffusa l’opinione che ad essere buoni si fa una magra figura ma, in verità, praticare la bontà
richiede notevoli doti ed una forza che affascina: «Siate buoni ed umani, perché la bontà incatena i cuori» scriveva Vincenzo Monti, ma, se mi consentite una personale “mozione degli affetti”, preferisco ricordare il testamento morale di una madre, scomparsa giovanissima, che diceva: «Non avvilitevi, non fatevi compiangere, siate orgogliosi, forti, ma buoni. I buoni ricevono un premio di bontà anche dalla morte» e la sua morte è stata, infatti, dolcissima. «Quando
un buono muore, non dite che è morto».
La parte che chiede assistenza ed aiuto può essere attratta da un così diverso approccio ai rapporti interpersonali e, soprattutto, familiari e provocata ad uno scatto di consapevolezza della
inutilità di tenere in vita il pesante fardello di una litigiosità senza fine.
Può essere affascinata nello scoprire “l’altra faccia della luna” dei rapporti umani e, quindi, agevolmente indotta a disarmare.
e) La responsabilità genitoriale e di coppia Gli avvocati attenti ad attrarre i propri assistiti in questo affascinante percorso hanno certo notato che tutta questa gente attraversata dalla delusione (rectius: dal trauma) della disgregazione familiare aveva avviato un rapporto di coppia (e, talvolta, un matrimonio) e procreato figli
senza una adeguata consapevolezza della responsabilità che assumeva.
La verità è che la stragrande maggioranza si accoppia, convive, si sposa ed ha figli “navigando a
vista”, senza domandarsi o chiarire o, meglio, “studiare” cosa significhi, appunto, essere coppia,
essere genitori.
Credono di amarsi e desiderano fare come agli altri: metter su famiglia, avere figli.
Ma non indagano (e, quindi, non conoscono) i tanti aspetti di una scelta così decisiva.
Allora, ecco che il legale cui si rivolgono quando sopravviene la crisi può (dovrebbe) cercare di
“far emergere in via prioritaria le esigenze della prole” ed impegnarsi a far apprezzare alla parte
assistita le “Norme di comportamento” che deve indicare il buon avvocato per la famiglia, a
meno che non interpreti il suo ruolo con il mero (e banale) tecnicismo giuridico, ricordato dal
Prof. Moro citato in esordio.
f) La necessità di comunicare per conoscersi In concreto il legale dovrebbe far comprendere alla parte che il suo vissuto è dovuto anche al
fatto che ha trascorso la vita di coppia e la sua genitorialità senza confrontarsi e dialogare e,
quindi, che era necessario comunicare con il partner, confrontarsi sulle proprie idee, le proprie
emozioni, i propri sentimenti, i propri valori ed elaborare assieme progetti di vita.
In ogni facoltà universitaria umanistica ci sono docenti di vita di coppia e di genitorialità, che
da anni indagano questi temi ed i correlati rapporti umani e scrivono testi che riflettono i loro
seri studi. Ecco l’opportunità di mettere a disposizione della parte in crisi uno o due testi di cui
il legale si potrà dotare per fargliene dono e dare alla parte assistita, quindi, la possibilità di scoprire che sul vissuto che l’attraversa altri hanno riflettuto e scritto.
È spesso una rivelazione che aiuta a meditare (come mai prima fatto) e ad avvertire che vi è tutto un mondo di umane relazioni su cui la parte non si è mai soffermata e che la induce a mettersi (o rimettersi) in gioco per riidentificare anche il proprio interesse e, soprattutto, quello dei
figli, talvolta, fino a quel momento, strumentalizzati 6.
6
A. SARTORI, Il ruolo dell’Avvocato nella valorizzazione della bi genitorialità, in AIAF, Quaderno n. 3/2010.
33
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 g) L’indicazione delle buone condotte I nostri assistiti accettano con gioioso stupore l’indicazione di questi testi (ad esempio: Lezioni
d’amore di F. Alberoni, Attaccamento e Amore di G. Attili, I bambini vogliono la coppia di G. Crocetti, ecc.) tra l’altro facilmente reperibili via internet e avvertono con questa stimolazione un
sostegno più intenso del “loro” avvocato ed una forma di tutela che li aiuta ad avviarsi ad una
presa di coscienza che può esservi una vita diversa, una profezia da esplorare sia in vista di eventuali altre relazione affettive, sia di una genitorialità più adeguata alle esigenze dei figli.
Come pure producono straordinari effetti l’indicazione ben motivata di darsi un appuntamento telefonico tutte le sere allorquando uno dei due genitori cena con i figli, appuntamento da
onorare da parte del genitore che non ha con sé i figli, che chiama l’altro genitore proprio mentre è in loro compagnia e consiste in uno scambio di comunicazioni in merito alla banalità del
quotidiano dei figli stessi.
I figli avvertono che i genitori si parlano con cordialità e rispetto, ma, soprattutto, con costanza e
toccano “con mano” che i loro genitori si scambiano continue e costanti informazioni su di loro.
In tal modo acquisiscono la certezza che i genitori stessi condividono la genitorialità, sono una
coppia genitoriale.
Oppure che ogni genitore, allorquando si trovi in compagnia dei figli e riceva dagli stessi una
qualche richiesta significativa (l’acquisto di un giocattolo, la partecipazione a qualche gita, ecc.),
abbia la costanza di rispondere che deve sentire la mamma o il papà e si attivi immediatamente
per chiamare l’altro genitore sul cellulare per avere un parere in merito alla richiesta e, laddove
non lo reperisse sul cellulare, finga di parlargli e di ricevere un si o un no alla richiesta, avendo
poi l’avvertenza di darne comunicazione per non creare sorprese.
Tali condotte consentono, anzitutto, ai due genitori di tenersi allenati a parlarsi tutte le sere
delle esigenze dei loro figli e di quella che è stata sopra definita la “banalità del loro quotidiano”, talché i genitori stessi si abitueranno ad un costante confronto e scambio di informazioni
che eviterà ogni malinteso od ogni comunicazione via sms o via mail o per interposta persona
(quando, addirittura, come avviene frequentemente, attraverso i figli) e li farà sentire molto più
sereni e positivi nell’affrontare tutte le problematiche della prole.
5. L’intrigante fascino del nostro maggiore impegno professionale In questo modo (e in molti altri che la nostra sensibilità ci suggerirà) riusciremo a vincere la
“sfida etica” di un corretto approccio deontologico di cui accennavo in esordio e saremo riusciti ad adottare strategie efficaci per calmierare quella “sofferenza dell’incertezza” che ha portato i
protagonisti di una crisi familiare a cercare conforto nella nostra assistenza professionale.
Ci viene, certo, richiesto uno sforzo maggiore, ma tutti noi credo proprio, si sia convinti del
dovere (in verità: piacere) di continuamente evolverci nel nostro impegno di professionisti affascinati dal continuo mutare delle sollecitazioni che ci provengono per affrontare la sofferenza
degli utenti dei nostri servizi.
Dobbiamo essere pronti a cogliere l’intrigante fascino del sempre maggiore impegno che ci
viene richiesto.
Per esserlo ancor più, ecco l’occasione di adottare “buoni propositi”, di farci, come ci si richiedeva nell’infanzia, delle “promesse”, ricordando con il “TALMUD” 7 che «I giusti promettono
poco e fanno molto; gli empi, invece, promettono troppo e non fanno nulla».
7
TALMUD, Bavà Metzià, p. 87.
34
FOCUS E sarà la promessa di tutti noi quella di caricarci umilmente sulle spalle la diversità di ogni caso
che ci sia affidato per tenere conto del “Mistero dell’uomo” della storia di ciascuno e talora della nostra insufficienza per riconoscerci strumenti di ausilio alla sofferenza.
E nel far questo, nell’accompagnare (o, almeno, nel tentare di accompagnare) chi ci si affida
alla soglia della “conoscenza ospitale”, non dimentichiamo di metterci “amore”, il nostro “soffio spirituale”, senza ridurci ad una routine avvilente l’importante ruolo che ci viene ogni volta
affidato, tenendo, invece, ben a mente col “Profeta”:
«Che la vita è oscurità se non vi è slancio; e ogni slancio è cieco se privo di sapienza, e ogni sapienza è vana senza agire, e ogni azione è vuota senza amore, e lavorare con amore è un vincolo
con gli altri, con noi stessi e con Dio».
35
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 INTRODUZIONE ALLA PRATICA COLLABORATIVA FAMILIARE Cinzia Calabrese
Avvocato in Milano, Presidente AIAF Lombardia
Carla Loda
Avvocato in Brescia, componente del comitato direttivo AIAF Lombardia e del Direttivo Nazionale AIAF
Sommario: 1. Cos’è la pratica collaborativa? – 2. I tre principi della pratica collaborativa. – 3. Il brainstorming. –
4. La squadra. – 5. L’accordo di partecipazione. – 6. I vantaggi della pratica collaborativa, per i clienti, per gli avvocati.
1. Cos’è la pratica collaborativa? È un metodo di lavoro, nuovo, per gestire il conflitto familiare fuori dalla giurisdizione.
Prima di addentrarci nell’esame dei principi della pratica collaborativa, ci soffermiamo sui dati
statistici delle separazioni dai quali emerge che nel nostro Paese oltre l’85% delle separazioni è
definito consensualmente, ma questo dato non corrisponde di per sé ad una effettiva soluzione
positiva del conflitto familiare. Questo perché in molti casi l’accordo di separazione può essere
il risultato di un percorso diverso, determinato da vari fattori, come ad esempio il desiderio di
porre fine al più presto alla convivenza coniugale e la conseguente accettazione di condizioni
che non corrispondono alle proprie effettive esigenze e aspettative future.
Tanto che poi assistiamo ad un costante aumento di procedimenti di modifica delle condizioni
di separazione consensuale quale conseguenza di accordi che, di fatto, non rispondono appieno alle esigenze delle parti, o che sono stati redatti senza l’assistenza di almeno un avvocato, visto che in alcuni Tribunali, ad esempio quello di Milano, nelle consensuali non è obbligatorio
essere assistiti da avvocato.
La diffusione delle procedure fondate su metodi di negoziazione, mediazione e conciliazione in
sede stragiudiziale, e tra queste si colloca la pratica collaborativa, non è solo una risposta alle
carenze del sistema giudiziario, ma rappresenta soprattutto una soluzione del conflitto fondata
sulla valorizzazione del potere di autodeterminazione delle parti e sulla continuità dei loro rapporti in futuro.
Un primo vantaggio della pratica collaborativa è che, trattandosi come ho detto, di un metodo
di lavoro, non è necessario l’intervento del legislatore, non dobbiamo cambiare normativa, dobbiamo cambiare, noi avvocati, l’atteggiamento, il modo di lavorare, aggiungere alla nostra formazione tradizionale una formazione che ci consegni gli strumenti anche per la negoziazione e
la soluzione non contenziosa dei conflitti familiari.
36
FOCUS Il diritto collaborativo, nato negli Stati Uniti nei primi anni ’90 da un’idea, un’intuizione dell’avvocato Stuart Webb, e successivamente diffusosi in Canada e in Europa (Francia, Germania, Belgio, Austria, Svizzera, Spagna), è un nuovo modo di separarsi e di risolvere le controversie familiari, è un modo di risoluzione non contenziosa dei conflitti, alternativo alla soluzione
giudiziaria contenziosa, è un percorso non contenzioso volto ad ottenere la risoluzione di una
controversia familiare (separazione, divorzio, affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio)
in modo efficiente e con il minor danno finanziario ed emotivo possibile, garantendo, allo stesso tempo, un accordo che risolva sia gli interessi comuni sia quelli individuali.
In Italia abbiamo iniziato a parlarne nel 2009 e, successivamente, grazie all’impegno e alla volontà dell’avv. Milena Pini, abbiamo organizzato i primi corsi di formazione e, nel marzo del
2010, abbiamo costituito la AIADC-Associazione Italiana degli Avvocati di Diritto Collaborativo, l’associazione che ha tra i propri iscritti avvocati, psicologi, medici, commercialisti ed esperti finanziari, tutti professionisti che, per potersi iscrivere, devono avere frequentato il corso di
primo livello di formazione alla pratica collaborativa.
2. I tre principi della pratica collaborativa La pratica collaborativa, applicata alle questioni di diritto di famiglia, propone una soluzione
basata sul coinvolgimento diretto delle parti interessate, che restano protagoniste delle decisioni relative alla loro vita e a quella dei loro figli, e che si impegnano a rispettare, con i loro rispettivi avvocati, i principi essenziali della pratica collaborativa. L’obiettivo è quello di cercare
una soluzione che soddisfi gli interessi di entrambe le parti e che risolva le loro controversie,
nel rispetto della dignità e dell’equità, con l’impegno di non rivolgersi all’autorità giudiziaria
durante tutta la durata della pratica collaborativa. Ci si rivolgerà al Tribunale solo all’esito positivo del percorso, una volta raggiunto l’accordo, per farlo omologare dal Tribunale.
E questo è un altro aspetto fondamentale della pratica collaborativa, un principio che occorre
tenere sempre presente durante tutto il percorso: non c’è la minaccia di ricorrere all’Autorità
Giudiziaria. Si costruisce un luogo sicuro dove le parti, entrambe le parti, devono sentirsi al sicuro. Spesso, nelle negoziazioni tradizionali, che gli avvocati che trattano la materia del diritto
di famiglia conducono in molti casi, le parti non sono messe nella condizione di discutere e decidere del loro futuro in una posizione paritaria, c’è sempre una parte che impone all’altra le
condizioni.
La pratica collaborativa si pone come prioritario l’obiettivo di salvaguardare il mantenimento
di buone relazioni fra i componenti del nucleo familiare, anche dopo la separazione, nell’interesse sì dei figli, ma anche degli adulti coinvolti che, al termine di un riuscito percorso collaborativo, improntato al rispetto reciproco, avranno raggiunto accordi soddisfacenti per entrambi.
Siamo di fronte a presupposti teorici e tecniche decisamente nuovi rispetto al tradizionale modo di concepire una separazione da parte dell’ordinamento giuridico italiano.
Un primo presupposto teorico della pratica collaborativa è che una separazione (o un divorzio
o la cessazione della convivenza) non si possa affrontare solo da un punto di vista legale perché
la situazione in cui si trova il cliente quando si separa è ben più complessa ed ha molteplici
sfaccettature, vi sono questioni legali, finanziarie, psicologiche, relazionali e di riorganizzazione
della propria esistenza, tanto che, spesso, è necessario rivolgersi ad altri professionisti (psicologi, psicoterapeuti, neuropsichiatri infantili, commercialisti, esperti finanziari) e ciò nella normalità dei casi, senza pensare a particolari situazioni in cui ricorrano patologie ed eccessi.
Inoltre, nella decisione della vita futura, sua e dei figli, il cliente deve rimanere il vero protago37
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 nista, senza delegare le relative scelte all’autorità giudiziaria o agli avvocati. Per poterlo fare deve essere messo nella condizione di effettuare le scelte migliori anche in un momento di maggior fragilità come è, quasi sempre, quello della separazione.
E questo è un secondo punto importante: il cliente è protagonista, non delega a terzi la ricerca
di soluzioni e le decisioni che riguardano la sua vita futura.
Nel collaborativo è fondamentale il passaggio dalle POSIZIONI del cliente, delle parti, ai loro
INTERESSI.
È certamente un modo nuovo di fare l’avvocato. Per farlo bene, occorre spogliarsi di una serie
di abitudini consce ed inconsce acquisite nel corso della vita professionale, della nostra formazione tradizionale; occorre ricostruire dalla base un pacchetto del tutto nuovo di atteggiamenti,
comportamenti e abitudini. Per farlo, dobbiamo diventare principianti, tornare ad essere “praticanti” e disimparare una serie di vecchi comportamenti automatici prima di acquisire gli atteggiamenti, i comportamenti e le abitudini nuovi e più coscienti di un buon avvocato che applica il metodo della pratica collaborativa.
Molti avvocati, che da anni affrontano con ottica conciliativa la risoluzione delle controversie
familiari, potrebbero obiettare che la pratica collaborativa rappresenti un inutile e dispendioso
appesantimento del tradizionale modo di negoziare nell’ottica di giungere ad una separazione
consensuale.
Se indubbiamente il metodo tradizionale continua a rappresentare una valida opzione per alcune coppie, per le quali può risultare non indicata la pratica collaborativa, vi è grande differenza tra le due modalità di negoziazione.
Nella pratica collaborativa le parti sono sempre presenti alle riunioni e interagiscono direttamente fra loro, oltre che con i professionisti, perché solo dal loro costruttivo confronto potranno individuarsi le soluzioni che soddisfino gli interessi di entrambe.
La partecipazione delle parti è fondamentale anche al fine di capire la ragione sottesa a certe
posizioni, comprensione necessaria per superare la logica della trattativa basata sulle contrapposizione delle posizioni e passare a quella basata sulla soddisfazione degli interessi.
Nella pratica collaborativa, le parti si impegnano a scambiarsi tutte le informazioni rilevanti al
fine di adottare le decisioni con piena consapevolezza della situazione di fatto, economica e personale. C’è trasparenza. E questo è un altro punto fondamentale della pratica collaborativa: la
trasparenza. Non si deve tenere nascosta all’altra parte una informazione che può essere rilevante per il buon andamento del percorso, per la valutazione delle diverse opzioni, per il raggiungimento di accordi. Uno dei principi cardine del collaborativo prevede che, qualora l’avvocato si renda conto che il cliente sta occultando delle informazioni o dica all’avvocato che non
intende riferirle all’altra parte, l’avvocato deve ricordare al cliente i principi della pratica collaborativa e, nel caso di rifiuto di attenersi alle regole indicate, il percorso del collaborativo non
potrà proseguire.
A fronte di tale reciproca esposizione delle parti, tutte le informazioni e i documenti che vengono messi a disposizione, e che non sarebbero altrimenti liberamente accessibili all’altra parte,
godono del privilegio della riservatezza alla quale tutti si impegnano e tale materiale non potrà
essere utilizzato nell’eventuale giudizio contenzioso né i professionisti che hanno partecipato
alla pratica collaborativa potranno essere indicati come testimoni.
Altro principio cardine della pratica collaborativa è quello della negoziazione “basata sugli interessi”, in cui le parti devono trovare delle soluzioni che rispondano alle esigenze della loro famiglia.
38
FOCUS 3. Il brainstorming Una delle tecniche utilizzate nella pratica collaborativa nella ricerca di soluzioni che soddisfino
i bisogni del nucleo familiare è quella del c.d. brainstorming, tecnica creativa di gruppo per facilitare la produzione di nuove idee o le soluzioni ad un problema. Nato nel mondo pubblicitario, in seguito si è affermato come tecnica di gruppo utile anche per ricercare nuove soluzioni ai
problemi. Si basa sull’assunto che la generazione di soluzioni possibili è stimolata dalla concatenazione di idee e dai commenti degli altri partecipanti che favoriscono una sorta di reazione a
catena delle idee. Uno degli errori più comuni è criticare o elencare i motivi per cui l’idea dell’altro è sbagliata. Questo errore dovrebbe essere evitato a tutti i costi, infatti un atteggiamento
del genere scoraggerebbe chiunque ad esprimere le proprie idee. I partecipanti dovrebbero fare
in modo che le idee fuoriescano in maniera libera, senza censure e senza giudizi. Piuttosto che
approvare o contraddire le idee altrui, è opportuno cercare di sfruttare i suggerimenti degli altri, buoni o inutili che siano, per creare idee nuove e interessanti: ogni idea potrebbe aprire la
pista giusta per arrivare alla soluzione del problema.
4. La squadra Tutti i professionisti che lavorano a un caso condotto in modo collaborativo ispirano il loro
operato ai medesimi principi, condividono un’identica formazione alla pratica collaborativa e
adottano una stessa metodologia di negoziazione. Il corso di formazione, che deve basarsi sugli
standard indicati dall’associazione dei professionisti collaborativi, la IACP, International Academy of Collaborative Professionals www.collaborativepractice.com, che ha sede a Phoenix, in
Arizona – è unico per avvocati, psicologi, medici, esperti in relazioni familiari, commercialisti ed
esperti finanziari.
Per la riuscita del percorso della pratica collaborativa è fondamentale il lavoro di squadra e i rapporti che intercorrono tra le parti, tra l’avvocato di una parte e l’altra parte, tra i vari professionisti coinvolti, tra i due avvocati e tra questi e gli specialisti di altre materie, che saranno chiamati ad intervenire ove se ne presenti la necessità.
Gli avvocati, pur assistendo ciascuno il proprio cliente, non considereranno mai l’altra parte la
“controparte” perché l’interesse dell’una parte è strettamente interdipendente con l’interesse
dell’altra parte e l’incarico professionale viene conferito dal cliente per essere assistito al fine di
raggiungere un risultato soddisfacente per entrambe le parti. Come vedete, è proprio un modo
diverso, nuovo di approccio, di svolgimento della professione. L’avvocato è responsabile verso
il proprio cliente e lo assiste in tutta la durata del processo, ma ha anche il compito di lavorare
in un gruppo, in un team, in una squadra, in cui tutti coloro che vi intervengono hanno come
obiettivo la ricerca di un accordo e lavorano in tal senso: se la procedura subisce una battuta di
arresto, l’impegno assunto di non ricorrere all’autorità giudiziaria deve spingere le parti e gli avvocati a ricercare, lavorando insieme, la soluzione più adatta a quel nucleo familiare, al fine di
conservare gli eventuali accordi già raggiunti ed evitare di vanificare l’attività svolta. L’avvocato
diventa così il facilitatore della negoziazione, si concentra sugli interessi sottostanti le richieste
del cliente e lo assiste nella loro messa a fuoco e non dà spazio alle posizioni che ne derivano.
Aiuta il cliente ad articolare e spesso a riformulare tali interessi e a districarsi in una situazione
che molte volte è emotivamente pesante. Fin dall’inizio, l’avvocato dimostra positività e grande
impegno a risolvere il problema e dà l’esempio assumendo un atteggiamento positivo nei confronti della negoziazione.
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 È importante comprendere gli interessi dei propri clienti e allo stesso modo capire quelli dell’altro coniuge, dell’altra parte. Compito dell’avvocato è anche quello di aiutare il cliente a rendersi conto che è più utile determinare i suoi desideri relativi al futuro piuttosto che litigare sul
passato.
5. L’accordo di partecipazione I principi ai quali tutti i partecipanti al collaborativo sono chiamati ad attenersi e a rispettare sono
trasfusi in un accordo, l’accordo di partecipazione che le parti e i loro avvocati sottoscrivono
all’inizio del percorso collaborativo e si impegnano a rispettarlo per tutta la durata del percorso.
L’accordo di partecipazione prevede un espresso richiamo agli obiettivi della pratica collaborativa, all’inizio del percorso ed alla conclusione dello stesso che avrà luogo nel momento in cui le
parti avranno raggiunto l’accordo sulle questioni indicate dalle parti ed avranno sottoscritto
l’accordo finale oppure per intervenuta interruzione del procedimento collaborativo; prevede
altresì l’indicazione delle cause di interruzione del procedimento. Inoltre, nell’accordo di partecipazione si richiamano i principi di trasparenza e di riservatezza propri del collaborativo a
cui le parti, gli avvocati e gli eventuali altri professionisti coinvolti devono attenersi.
Durante gli incontri, a cui, come detto, partecipano sempre le parti ed i loro rispettivi avvocati,
c’è l’impegno di tutti, in primo luogo:
– a non usare espressioni offensive, a non tenere atteggiamenti aggressivi o toni sarcastici;
– a non minacciare di rivolgersi all’autorità giudiziaria, a non nascondere informazioni utili e
rilevanti per la conclusione di accordi, ad avere rispetto reciproco.
Si tratta di regole che dovrebbero essere normalmente rispettate da tutti coloro che si siedono
intorno ad un tavolo per negoziare, ma sappiamo che spesso non accade. Ed allora è importante sottoscrivere dette regole ed impegnarsi a rispettarle sempre, durante tutti gli incontri che
saranno necessari per raggiungere l’accordo tra le parti; con la possibilità di ricordare alle parti,
ed anche agli avvocati ed agli altri professionisti coinvolti, che hanno sottoscritto l’accordo di
partecipazione e che ad esso devono attenersi. Nell’esperienza degli avvocati che da più tempo
di noi praticano il collaborativo, il richiamo all’accordo di partecipazione sottoscritto dalle parti
e da tutti gli altri partecipanti si è rivelato strumento molto utile nei momenti di impasse o di
difficoltà nella prosecuzione delle trattative dovute ad atteggiamenti non consoni ed in violazione degli impegni sottoscritti.
Altro punto importante, anch’esso principio cardine della pratica collaborativa, è che tutti i professionisti coinvolti ricevono un incarico limitato al raggiungimento dell’accordo e nessuno di
loro potrà prestare la propria attività professionale nell’eventuale giudizio contenzioso fra le
parti che dovesse seguire al percorso collaborativo qualora questo fallisse.
Questo, che potrebbe essere considerato un limite é, invece, il punto di forza della pratica collaborativa e il rispetto di questa condizione è essenziale per la pratica collaborativa. La deroga a
questo principio non è ammessa, si sarebbe automaticamente fuori dalla pratica collaborativa.
È di tutta evidenza che sia le parti sia gli avvocati avranno tutto l’interesse a fare in modo che il
percorso collaborativo non subisca battute d’arresto e, soprattutto, non fallisca, giacché in tal
caso il cliente si troverebbe costretto a rivolgersi ad altro avvocato e ad altro professionista
(psicologo o commercialista, ove coinvolti), a ricominciare da capo nell’affrontare tutti i problemi derivanti dalla separazione, a duplicare spese e sforzi, economici ed anche emotivi. Anche l’avvocato ha interesse a portare a termine il percorso del collaborativo, non potendo assi40
FOCUS stere la parte in giudizio in caso di mancato raggiungimento dell’accordo e di abbandono del
tavolo del collaborativo.
6. I vantaggi della pratica collaborativa, per i clienti, per gli avvocati Ricapitolando, i vantaggi per i clienti che scelgono la pratica collaborativa sono (tratto dal Manuale del Corso di formazione interdisciplinare di primo livello alla pratica collaborativa nelle controversie familiari, organizzato da AIADC Associazione Italiana Avvocati di Diritto Collaborativowww.diritto-collaborativo.it, formatori Shireen S. Meistrich, Diane S. Diel, Susan A. Hansen):
– ricevere aiuto e supporto per creare soluzioni proprie anziché lasciare decidere, delegare gli
avvocati e il giudice;
– concentrarsi positivamente sugli interessi dei figli;
– identificare obiettivi per se stessi e per le famiglie, adottando non soltanto soluzioni dettate
dal diritto;
– creare accordi che tengano conto e soddisfino i bisogni di tutti i membri della famiglia nell’ambito della separazione, del divorzio o della cessazione di una convivenza.
I vantaggi per gli avvocati:
– essere parti di una procedura che aiuta i clienti nella transizione familiare anziché generare il
danno della lite giudiziale;
– essere un solutore di problemi creativo anziché un fautore della guerra di posizione;
– imparare a lavorare con altri professionisti per generare risultati migliori per le famiglie;
– sostenere e rafforzare i clienti cosicché possano prendere le loro decisioni anziché decidere
al posto loro.
I punti essenziali della pratica collaborativa sono:
–
–
–
–
–
la negoziazione basata sugli interessi;
la modalità di lavoro di squadra;
la risoluzione della conflittualità, il miglioramento della comunicazione;
è il cliente che decide;
fornire abilità e risorse familiari per il periodo successivo alla separazione e al divorzio.
Concludiamo con una immagine, che abbiamo mutuato da una delle docenti del corso di secondo livello di formazione a cui abbiamo partecipato, per dare in concreto l’idea della pratica
collaborativa: coloro che partecipano al collaborativo, gli avvocati, i clienti e gli altri professionisti coinvolti sono tutti sulla stessa barca e devono remare insieme per poter navigare, condurre avanti la barca. Sanno che si troveranno in mezzo ad acque agitate ma è confortante sapere
di avere a bordo anche tutti i mezzi per affrontare le difficoltà che incontreranno. Il vantaggio
nel mantenere la rotta è condiviso e reciproco (Sherri Goren Slovin, JD, Cincinnati, Ohio, US).
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 IMPORTANZA E INDISPENSABILITÀ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE Luisella Fanni
Avvocato in Cagliari, Presidente AIAF
Chiedo scusa, non avevo previsto di prendere la parola, avrebbe dovuto essere qui a farlo Daniela Abram, che ha avuto un improvviso impedimento e avevamo già dato per scontato di passare direttamente ai due interventi programmati ed anche, speriamo, ad un po’ di dibattito. E
però, questa pacata rappresentazione della pratica collaborativia familiare, apparsa decisamente
ostile e critica sul ricorso all’intervento del giudice e, ancor prima, la chiusura del ricordo di Milena che avverte, «stiamo attenti, il diritto collaborativo non lo possiamo applicare dappertutto né
sempre», mi ha indotto a intervenire per fare alcune osservazioni e ricordare il pensiero dell’AIAF sulla indispensabilità della tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali, quali sono i diritti relazionali che operano nel diritto di famiglia, minorile e delle persone. Premesso che ritengo
di grande utilità, direi anche indispensabile, l’acquisizione di questa cultura e delle sue tecniche,
rilevo che la sua applicazione pratica, da noi quasi inesistente se male non mi è stato riferito,
comporta un notevole impegno sul fronte economico, proprio perché coinvolge nella sua esecuzione un gran numero di professionisti, che devono comunque essere pagati anche se l’operazione non va a buon fine e che inoltre non potranno più assistere quelle parti. Quanto poi al
vincolo della non utilizzabilità in giudizio dei dati resi disponibili dai diretti interessati, mi pare
che, allo stato, possa operare sul piano deontologico solo per i professionisti, con il rischio che
si possano aprire vertenze successive in tema di responsabilità per danni derivati dalla loro utilizzazione. Occorre quindi ricordare a noi tutti, anche perché faceva parte del programma, che
tra gli strumenti di cui disponiamo per affrontare la crisi delle relazioni familiari ci sono anche
quelli giurisdizionali. Credo proprio che questo non lo possiamo dimenticare; siamo tutti
quanti avvocati e certamente abbiamo necessità di imparare e introiettare la cultura della mediazione e della pratica collaborativa, però i conti quotidiani li dobbiamo fare ancora, anche per
il futuro, con l’utilizzazione della giurisdizione e il ricorso al giudice. Quindi, seppure dò per
scontato che tutti le conosciate, ritengo doveroso ricordare che l’assemblea generale dell’AIAF
del maggio 2012, ha trattato e delineato le ipotesi di riforma ordinamentale sostanziale e processuale del diritto di famiglia e minorile, che trovate nel numero straordinario della Rivista per
il 2012. Senza troppo dilungarmi, voglio leggervi alcuni stralci tratti dal report della sessione di
lavoro destinata alla tutela giurisdizionale dei diritti nelle relazioni familiari, coordinata da Daniela Abram e Giulia Sarnari. Innanzitutto si ribadisce «la ferma convinzione dell’AIAF che i
diritti che scaturiscono dalle relazioni familiari, siano essi personali o patrimoniali, sono diritti
soggettivi di elevatissimo rango costituzionale da non sottrarre alla giurisdizione, ... pur se
l’AIAF afferma da tempo l’esigenza che nella materia dei diritti relazionali siano dati primari spazi
alle forme extraprocesso di soluzione dei conflitti, che (come ci è stato illustrato nelle relazioni
precedenti) mirano al raggiungimento di soluzioni condivise dagli attori della relazione com-
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FOCUS promessa e/o in conflitto». Nel contempo si afferma che «se si giunge alla giurisdizione dello
Stato, questa deve attuarsi attraverso i principi di un processo adeguato, giusto e non sbilanciato con un modello processuale unico che si svolga dinanzi a un giudice ordinario specializzato e
che sia volto a disciplinare l’urgenza, che non costituisce una eventualità in questo tipo di conflitti, bensì la peculiarità in sé del diritto da tutelare». Il progetto che l’AIAF propone per la
trattazione efficiente dei problemi familiari prevede:
1) Concentrazione degli affari in materia familiare avanti a un giudice in composizione monocratica, specializzato, presso il Tribunale Ordinario con conseguente ricongiungimento di tutti
gli affari civili già di competenza del Tribunale Minorile, anche in applicazione del principio di
prossimità (già lo richiedeva Milena tanti anni fa, 1994 a Bologna, nel messaggio di ricordo che
ci ha letto Cinzia Calabrese). 2) Applicazione delle regole costituzionali del giusto processo
con la previsione di un modello processuale caratterizzato da forme e termini predeterminati,
poteri delle parti e del giudice previsti dal legislatore e l’attuazione del principio della ragionevole durata del processo. 3) Ottimizzazione delle risorse e delle competenze professionali, da
realizzare anche attraverso l’abolizione della fase presidenziale, e la previsione della conversione della separazione personale in divorzio. 4) Realizzazione della terzietà del giudice attraverso
una diversa rivalutazione del ruolo del Pubblico ministero. 5) Effettività delle statuizioni giudiziarie da realizzare attraverso la tutela di condanna. 6) Disincentivazione dell’abuso del processo attraverso il rigoroso rispetto delle regole sulla condanna alle spese.
Quali le materie che dovrebbe trattare questo giudice specializzato?
Separazioni e divorzi giudiziali e relative modificazioni; determinazione del regime di affidamento e di collocazione dei figli, ormai di tutti i figli come sappiamo; determinazione del contributo
economico per il loro mantenimento, anche se maggiorenni ma non economicamente autosufficienti ed, eventualmente, anche per il coniuge; assegnazione della casa familiare; annullamento
del matrimonio; separazione giudiziale dei beni; divisione dei beni della comunione; amministrazione dei beni della comunione, regime di separazione dei beni; regime dell’impresa familiare;
applicazione dell’art. 9 e dell’art. 12 della legge sul divorzio; modificazione delle clausole separative; procedimenti di interdizione e di inabilitazione, procedimenti di opposizione all’esecuzione,
aventi ad oggetto crediti di mantenimento o alimentari e comunque oneri economici derivanti da
provvedimenti resi nei procedimenti di competenza della sezione specializzata.
Come vedete è una materia ampia nella quale l’AIAF è impegnata a suggerire al legislatore uno
strumento processuale che abbia tempi veloci e non costringa le parti a lunghe attese; effettività
nella possibilità dell’attuazione dei provvedimenti finali; infine disincentivazione, l’ho ricordato
anche ieri, dell’abuso del processo anche attraverso la condanna alle spese. Non avere mai conseguenze rispetto ad un giudizio attivato ingiustamente può portare le persone a ritenere di potere restare impunite rispetto alle loro scelte sbagliate. Chiudo. Ho ritenuto necessario fare
questo intervento per riguardo verso la collega che non ha potuto essere qui e perché, agli atti
di questo nostro congresso, deve rimanere anche il segno che l’AIAF continua a muoversi lungo queste due direttrici: portare avanti, per quanto possibile, la cultura della mediazione e della
collaborazione; ma sempre con la consapevolezza che c’è una fascia di conflittualità, di disagio,
di violazione di diritti che non trova altra sede di soluzione e di tutela se non nella giurisdizione; e
siccome abbiamo il dovere di essere tempestivi nella difesa di chi a noi si rivolge, è bene non
dimenticare che ci saranno sempre delle situazioni in cui non sarà possibile attivare queste procedure conciliative e collaborative, ma avremo necessità di un giudice pronto e preparato a cui
rivolgerci perché i diritti violati possano essere immediatamente e giustamente tutelati. Grazie.
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 CONTINUITÀ FRA SÉ BIOGRAFICO E SÉ PROFESSIONALE: INSIDIE ED OPPORTUNITÀ RELAZIONALI NELLA REGOLAMENTAZIONE GIURIDICA DELLE RELAZIONI INTRAFAMILIARI Giuseppe Barile
Psicologo forense e Psicoterapeuta sistemico familiare in Torino
Antonina Scolaro
Avvocato in Torino, componente della Giunta esecutiva e del comitato Direttivo Nazionale AIAF
Sommario: 1. L’alterazione del setting – Aggancio nevrotico – Modello Operativo Interno. – 2. Il sostegno professionale – Sistema di attaccamento/accudimento – Angoscia abbandonica. – 3. Coazione a ripetere – Transfert –
Spazio di ripresa. – 4. Il ruolo dell’avvocato: dalla tradizione al dovere di competenza.
1. L’alterazione del setting – Aggancio nevrotico – Modello Operativo Interno Il tema del presente articolo non si sviluppa come una estensione sul filo della teoria ma è imposto
da evidenze empiriche, ed appare funzionale a dare senso a situazioni relazionali, che argomenti
teorici noti non consentono di chiarire sufficientemente, ovvero non ne conservano l’essenza.
Una delle più frequenti distorsioni, osservabili all’interno del contesto organizzativo giuridico,
è rappresentata da un aggancio confusivo, ambivalente ed antievolutivo, fra i diversi universi
mentali in gioco nelle transazioni relazionali; aggancio che si instaura fra mondo psicologico
del professionista e quello del cliente.
Quando tale evenienza si verifica il professionista (sia appartenente alla sfera socio-sanitaria,
che a quella giuridica), ne è solo relativamente consapevole, e ben al di là della propria buona
fede, finisce con l’essere agito all’interno di dinamiche invischianti (aggancio nevrotico).
Cos’é che determina questo frequente fenomeno distorsivo?
L’ipotesi che gli autori propongono è, che la storia inerente i processi separativi del professionista, in assenza di risoluzione, alteri la cornice del setting ed offuschi l’analisi e la conduzione del
caso.
A partire dalle primigenie esperienze affettivo-relazionali (precoci esperienze umane), ognuno
di noi forma un proprio modello di sé, dell’altro, e di sé in relazione all’altro.
L’inefficace e difettoso processo di separazione ed individuazione rimane incriptato all’interno
del Modello Operativo Interno (MOI = Internal Working Model), del soggetto, e si giocherà sotto
la lucente trama della spirale dialettica fra il professionista ed il cliente.
44
FOCUS È clinicamente notorio come le nostre prime lezioni d’amore tendano a forgiare e modellare sia
l’ontogenesi biografica che le aspettative dei processi separativi.
Pur essendo frequentemente consapevoli delle disillusioni, i compiti non ultimati nell’infanzia,
e le speranze deluse, sono sospinti dal passato e vengono portati nel presente delle relazioni affettive.
La professione, deve essere intesa ed osservata come lo scenario privilegiato dell’affettività del
professionista.
L’affettività del professionista, sottoposta al costante contatto con la sofferenza proveniente da
intense emozioni negative, viene sollecitata e corre il rischio di restare intrappolata, come indebolita vittima, dalla imperante affettività del cliente soggetto alla tensione proveniente dal fallimento del proprio progetto di vita.
2. Il sostegno professionale – Sistema di attaccamento/accudimento – Angoscia abbandonica Il cliente cerca dal professionista uno sostegno professionale alle proprie specifiche esigenze.
Le cessazioni relazionali (separazioni e divorzi), si accompagnano ad intensi vissuti di dolore
(angoscia abbandonica, frustrazione e rabbia).
Durante queste evenienze esistenziali, il sistema psicologico prevalente è il sistema di attaccamento/accudimento.
In questi momenti il cliente ricerca dal professionista, attraverso la responsività tecnica, sostegno.
A sua volta il sistema psicologico del professionista viene sollecitato, ed entrano in gioco non
solo le sue competenze meramente tecniche, ma anche la qualità delle proprie dinamiche e della responsività intrafamiliare; si tratta di un indissociabile connubio, che conduce il professionista ad essere in presa diretta con il livello qualitativo delle modalità responsive genitoriali.
Ed è per questo motivo che il professionista dev’essere addestrato a gestire le proprie emozioni,
per fronteggiare gli affetti negativi che provengono dall’angoscia abbandonica del cliente.
Clinicamente si tratta di comprendere come il bambino, che quello specifico professionista è
stato, ha vissuto i contesti di angoscia e di ricerca di sostegno, e di che tipo è stata la sensibilità
genitoriale alla suddetta angoscia e ricerca di sostegno.
Questo modo di considerare il problema permette di comprendere sia la continuità fra Sé biografico e Sé professionale, che l’innesto patologico e disfunzionale fra le richieste separative del
cliente, e quelle evolutive del professionista.
Le irrisolte dinamiche psico-affettive del professionista, possono fondersi e con-fondersi con la
richiesta di aiuto dell’utente.
In questo senso gli scenari professionali divengono luoghi critici, che se da un lato permettono
di soddisfare fisiologici obiettivi, quali l’autodeterminazione, la realizzazione del sé, il raggiungimento socio-economico, non dovrebbero divenire luoghi di rendez-vous emotivi dove soddisfare gli “obiettivi” nevrotici dei professionisti.
Il dibattito che gli autori intendono alimentare, si basa sull’esigenza che articola soggettività a
ragione.
Così come la responsività genitoriale può esprimersi attraverso molteplici modi, anche la responsività professionale può declinarsi differentemente, e gli esiti varieranno in funzione del
modo in cui i professionisti sapranno rispondere alle angosce del cliente.
La qualità responsiva dell’operatore giuridico diviene un fattore di mediazione dell’esito processuale, ed è direttamente proporzionale alla qualità delle risorse affettive, ed alla sua prassi
emotiva.
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 Appare dunque cruciale che l’intero spettro delle professionalità che contengono nel loro mandato una finalità d’aiuto (area psico-socio-giuridica), si avvalgano di un aiuto esterno (lavoro di
sostegno e chiarificazione psicologico), per sintonizzarsi sulle emozioni sottese ai propri processi separativi.
Infatti non appare ragionevole che gli helper sociali vengano risucchiati negli aspetti del sé del
cliente, con conseguente perdita di equilibrio ed equidistanza.
In sintesi il professionista sarà autenticamente abilitato a sintonizzarsi emotivamente sull’altro,
solo se non si cela dietro una facciata solare, che nega e tiene nascosta la realtà interna a se stesso.
La negazione dei conflitti separativi, e la rimozione dei sottesi movimenti emotivo-affettivi, si
paga con la salute mentale, ma soprattutto finisce con lo sperimentare su altri, l’immagine di sé
(meccanismo psicologico della proiezione).
3. Coazione a ripetere – Transfert – Spazio di ripresa Gli autori promuovono l’idea che nel contesto organizzativo giuridico, nel quale le controversie familiari assumono implicazioni giuridiche, vi sia l’urgente necessità di evitare che i “luoghi”
professionali diventino puntuali scenografie delle primigenie versioni storico-affettive dei professionisti.
Un lavoro personale consente al professionista uno spazio di ripresa della qualità emotivopsicologica dei propri processi separativi, creando uno sbarramento che impedisce la trasmissione della vita psichica dell’operatore nell’universo mentale del proprio cliente, ovvero un travaso della vita emotiva del cliente in quella del professionista (perdita del setting).
Il rischio è che il professionista cerchi di appagare e compensare insoddisfatti e prolungati bisogni di intimità, e che utilizzi la relazione professionale rimanendovi intrappolato, divenendo
il mediatore di un attaccamento insicuro.
Il Prof. Freud, nella sua opera Ricordare, ripetere e rielaborare (in Opere, vol. 7, Boringhieri, Torino, 1975), considera il meccanismo psicologico della coazione a ripetere (che consente di riprodurre in azioni i fatti che non si possono ricordare).
In questo senso il contesto organizzativo giuridico rischia di divenire, sia per gli operatori
dell’area psicologica che di quella giuridica, il luogo privilegiato all’interno del quale ritualizzare
i propri insicuri ed irrisolti modelli operativi interni, mediante un trasferimento dal passato al
presente (processo di transfert), di tutti quegli impulsi non recenti, che affondano le loro radici
a partire dalle precocissime relazioni oggettuali (relazioni affettive che un bambino vive all’interno del proprio sistema allevante e strutturante).
In sintesi una carente elaborazione del processo di separazione-individuazione del professionista, potrebbe condurre ad una alterata lettura delle dinamiche emotive inerenti i processi separativi dell’utente, con perdita della funzione di custodia e di governo del setting ed invischiamento collusivo del professionista (il termine colludere si usa nel suo significato etimologico
cum ludere, ovvero giocare con), con il mondo psicologico del cliente.
Vi è la necessità, per tutti gli operatori delle helping professions (professioni di aiuto sociale), di
uscire dalla fase di unicità simbiotica, per entrare in quella della separatezza (distinzione ed individuazione di sé dall’alterità).
Tale passaggio maturativo rappresenta una condicio sine qua non, che consente alla diade professionista-cliente di fuoriuscire da uno stato di minorità, divenendo per entrambi, e per l’intero
consorzio umano, autenticamente evolutivo.
Tutti i professionisti, invariantemente dal loro profilo professionale, che sono chiamati a diri46
FOCUS mere controversie familiari che hanno assunto implicazioni giuridiche, non devono sostituirsi
alle parti e scadere nella costruzione degli altrui processi separativi, ma elaborare, in modo affettivamente autonomo ed indipendente da pressioni esterne, gli antefatti che hanno determinato il naufragio del progetto coniugale.
La figura professionale dell’avvocato specializzato in diritto di famiglia, richiede una ridefinizione del proprio genoma, che oltrepassi le mere competenze tecniche, e che acquisisca un’impostazione sistemico-relazionale.
4. Il ruolo dell’avvocato: dalla tradizione al dovere di competenza Nell’esercizio del proprio mandato l’operatore giuridico deve contemplare sicurezza emotiva
attraverso un’attenta modulazione affettiva; divenire un contatore geiger delle proprie emozioni,
di quelle altrui, e di quelle scaturenti dall’intreccio delle suddette; essere essenzialmente educato alla propria regolamentazione intrapsichica, ed uniformarsi scrupolosamente alle regole
deontiche, alle regole del dovere essere della propria professione 1.
Il codice deontologico degli Avvocati Europei del CCBE ci ricorda che «In una società fondata
sul rispetto della giustizia, l’avvocato riveste un ruolo speciale. Il suo compito non si limita al
fedele adempimento di un mandato nell’ambito della legge. L’avvocato deve garantire il rispetto dello Stato di Diritto e gli interessi di coloro di cui deve difendere i diritti e le libertà; l’avvocato ha il dovere non solo di difendere la causa ma anche di essere il consigliere del proprio
cliente. Il rispetto della funzione professionale dell’avvocato è una condizione essenziale dello
Stato di diritto e di una società democratica» (codice deontologico degli Avvocati Europei del
CCBE, art. 1.1).
Deve quindi esservi un innesto tra tradizione ed innovazione del ruolo dell’avvocato affinché la
solidità della professione possa essere riedificata, ridefinita per poter percorrere utilmente il
passaggio dalla modernità alla post-modernità.
Tale passaggio ha come snodo fondamentale la formazione dell’avvocato che dovrà essere sapiente non solo nel diritto che tratta, ma anche nella gestione dei processi separativi, acquisendo in primis la capacità di ascoltare per potersi sintonizzare sul livello affettivo non solo del
proprio assistito, ma anche dell’altro coniuge o convivente.
Riuscire a porsi in sintonia con l’altro richiede non solo la capacità di ascolto, ma anche una
buona disposizione della mente alla ricettività; tali attenzioni rivolte al livello affettivo del cliente saranno utili se riusciremo ad incontrare noi stessi al suo stesso livello affettivo.
Occorre quindi che l’avvocato che intenda svolgere la propria attività professionale nell’ambito
delle relazioni intra-familiari acquisisca delle pre-abilità di base, connotanti la formazione specialistica.
Le norme deontologiche quale ausilio ci forniscono per affrontare il tema in esame, considerato che la loro finalità è punitiva? Come si comporterebbero gli avvocati se non esistessero le
norme deontologiche? Si comporterebbero tutti in violazione dei doveri enunciati? Sicuramente no, in quanto esistono in ognuno di noi precetti interni.
La sfida quindi, non è tanto quella di scrivere canoni deontologici più o meno tipizzati per
l’avvocato “familiarista”, che contemplino il dettagliato svolgimento della sua attività nel rapporto con il cliente, con la controparte e con il giudice, ma quella di uno specifico percorso
formativo che l’avvocato che voglia qualificarsi come specializzato in diritto di famiglia, dei mi1
F. PISANO, Etica e responsabilità nella giustizia familiare. Un dialogo con Eligio Resta, in AIAF, Quaderno n. 1/2009, p. 13 ss.
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 nori e delle persone, dovrà affrontare, abbattendo i muri delle diverse discipline per favorire autentiche sinergie, nel rispetto della specificità della professione altrui.
Pertanto l’avvocato familiarista dovrà acquisire i fondamentali elementi di conoscenza della
psicologica sistemico-relazionale, affinché la sinergia con l’esperto delle relazioni umane gli offra gli strumenti idonei a comprendere i modificati e nuovi bisogni sociali.
La formazione mette in gioco l’avvenire professionale: l’avvocato ha il dovere di essere competente nella materia per la quale è richiesto e la sfida è proprio nel puntuale rispetto del percorso
formativo, che costituisce piena attuazione di un canone fondamentale della deontologia.
In passato all’avvocato era richiesto il possesso di una cultura umanistica, tanto che l’iscrizione
alla facoltà di giurisprudenza era riservata ai soli giovani provenienti dai licei, rimane però ferma la necessità che, oltre alla preparazione tecnico-giuridica, l’avvocato possegga una cultura
interdisciplinare caratterizzata dall’attitudine ad apprendere, sia pure in sintesi ogni altro sapere, al fine di potersi adeguare ai diversi aspetti dell’attività difensiva.
L’attività forense può essere oggi definita come quel complesso di conoscenze e di abilità che
permettono all’avvocato di compiere una valutazione ad ampio spettro dell’interesse dell’assistito, agendo come catalizzatore dei suoi turbamenti e rendendogli la legge comprensibile, cosicché egli possa compiere le sue scelte in piena consapevolezza: questo è sicuramente il fine
del dovere che incombe all’avvocato moderno quando gli si richiede di essere adeguatamente
competente.
L’art. 12 del codice deontologico, infatti, contempla la valutazione, da parte dello stesso avvocato, della propria competenza quale requisito preliminare all’accettazione dell’incarico, e al
riguardo è utile ricordare che il rapporto professionale è essenzialmente fiduciario ed il cliente
confida sulle doti di capacità tecnica e morale del difensore che ha scelto, al quale si affida, stringendosi così il patto di alleanza difensiva: la posizione del cliente è nel contempo di fiducia e di
affidamento 2.
L’esperienza maturata nello svolgimento dell’attività mette in evidenza la necessità
del confronto, del vantaggio del punto di vista di un altro osservatore, che si pone da una diversa angolatura, ed è allora utile e funzionale ad apprestare una buona assistenza difensiva incontrare la persona con l’esperto delle dinamiche relazioni; questa è un’esperienza che abbiamo già
collaudato da tempo con soddisfazione delle persone che ci hanno dato la loro fiducia.
2
A. LEONARDI, La deontologia forense tra antichi principi e moderne contraddizioni, in AIAF, Quaderno n. 1/2009, p. 23 ss.
48
FOCUS GLI SCENARI DEL FAMILIARE Antonio Leonardi
Avvocato del Foro di Catania – componente del comitato Direttivo Nazionale AIAF
Sommario: 1. Modelli sociali e dissolvimento della famiglia. – 2. Famiglia e welfare pubblico. – 3. Famiglia e welfare privato. – 4. La necessità di una riflessione e di un confronto sugli scenari del familiare per recuperare e affermare la funzione sociale dell’avvocato.
1. Modelli sociali e dissolvimento della famiglia Io voglio dire subito che non ho slide, non ho quasi parole, perché è un momento nel quale diciamo la parola viene meno e peraltro, avendo ascoltato tante cose tra loro diverse, dentro di
me, mi perdoni la presidenza, ho quasi un effetto di Babele.
Perché, quando si affrontano temi così rilevanti come sono quelli oggetto del nostro congresso,
in qualche modo bisognerà pure individuare un filo sul quale poi cercare di operare una sintesi
finale. Io ho ascoltato con grande attenzione le cose che sono state dette nella relazione introduttiva e intorno al problema della responsabilità sociale dell’avvocato dentro e fuori il processo.
Ho ascoltato con grande attenzione l’intervento del collega Sartori sulla responsabilità sociale
dell’avvocato nei confronti della coppia, quando si manifestano i segni della crisi. Ho ascoltato
con grande attenzione anche l’intervento sui progetti di procedimenti alternativi all’attuale modello, che tendono ad ampliare e rendere socialmente più rilevante il ruolo sociale dell’avvocato nella gestione della crisi della coppia, riducendo drasticamente il peso del comando proprio
della giurisdizione.
Ciascuno degli argomenti che stamani sono stati trattati propongono le contraddizioni tra le
dinamiche della crisi della coppia al suo interno e l’ambiente esterno, sia che essa agisca nel teatro giudiziario con la presenza di tanti altri soggetti (difensori, consulenti, giudici), sia allorché
essa agisca all’esterno del teatro giudiziario laddove si affievolisce il potere di comando del giudicante ma egualmente si affollano soggetti portatori di culture e saperi tra di loro diversi. Ed
ancora, lo psicologo dott. Barile ci ha intrattenuto sulla problematicità relazionale che incontra
l’avvocato nel rapportare la propria identità metatecnica, frutto delle dinamiche evolutive della
sua personalità (ma lo stesso si può dire del giudice e degli altri soggetti che agiscono nello scenario della crisi della famiglia) col cliente e con la coppia.
Non entro nel merito di queste problematiche così complesse, e per certi aspetti com’è ovvio
potenzialmente controverse per la molteplicità delle riflessioni che suscitano, per sollevare in49
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 vece un’altra questione – come vedete andiamo per aggiunzione piuttosto che per sottrazione –:
la prospettiva della quale discutiamo stamane è quella della crisi della coppia dentro un momento
statico, apparentemente statico, che è la foto, l’istantanea della dissoluzione del rapporto.
È il momento nel quale interviene l’avvocato, quando il rapporto si dissolve e quando bisogna
gestire questa dissoluzione. E di qui le tecniche di cui abbiamo parlato, per rendere più dolce
questo trapasso, perché di trapasso comunque si tratta. Ciò che invece mi colpisce, che voglio
sottolineare e su cui vorrei che in qualche modo ragionassimo, non è soltanto il fatto che è un
trapasso lungo, certamente quando interviene la giustizia per come è organizzata, complesso
anche quando affrontiamo in tempi più brevi gli elementi di conciliazione definitiva tra i due
soggetti; ciò che mi colpisce, ripeto, è che si tratta sempre di provvedimenti provvisori, che devono tenere conto dei diritti e degli interessi di quei singolari “terzi” che sono i figli.
Nella realtà la fine della famiglia è un lungo trapasso non soltanto perché è lunga la giustizia,
ma perché su di esso interviene (prima e dopo) la società.
E di questo vorrei parlare per richiamare l’attenzione su un tema che a me sembra che sia, come
dire, forse eccessivamente estraneo alla nostra riflessione. Come agiscono sulla crisi e sul dissolvimento della famiglia i modelli sociali e come agisce la crisi sociale dentro la crisi della famiglia?
Temi che ritroviamo in una dimensione circolare non soltanto nel momento in cui trattiamo la
fine del rapporto, ma quando poi sempre più frequentemente si azionano i meccanismi di modifica delle separazioni, o anche successivamente alla conclusione della fase divorzile, per regolamentare interessi e diritti che sono costantemente mutevoli in ragione delle mutevoli condizioni dei soggetti che componevano l’unità familiare, per effetto del mutare delle loro condizioni esterne alla dimensione originaria.
Faccio questa affermazione per richiamare l’attenzione su alcuni aspetti della crisi della famiglia
della quale noi intercettiamo apparentemente la fase finale, ma che in realtà riflette una molteplicità di profili che proiettano dentro la crisi (prima e dopo) le ombre lunghe delle relazioni
sociali, non soltanto dei singoli componenti, ma della famiglia in quanto istituzione, destinataria oltreché di modelli sociali che mutano nel tempo, delle regolazioni giuridiche e degli orientamenti giudiziari, ed anche di quel complesso di tutele proprie del welfare.
2. Famiglia e welfare pubblico Il welfare è un modello nel quale, nel mondo che conosciamo, a carico della fiscalità si affrontano i temi delle migliori condizioni di vita dei soggetti destinatari di una concezione interventista e protettica dello Stato. Uno dei temi fondamentali del welfare è il rapporto fra famiglia e lavoro, fra famiglia e scuola, fra famiglia e organizzazione della società. Ci sono 20 interventi dell’Unione europea, 25 norme nazionali, vi sono una raffica molto consistente di interventi delle
regioni, che tendono a modulare questi rapporti molte volte dal punto di vista dello storico
modello di lavoro dipendente e di impresa sul quale si organizza il sistema produttivo e si modellano le relazioni sociali.
Nel lavoro la rigidità delle regole del tempo dell’esecuzione della prestazione – l’orario di lavoro modellato sulla fabbrica fordista – è oggetto di riflessioni e tentativi di mutamento perché
com’è noto incide oggettivamente sugli equilibri familiari, irrigidendo ruoli e conflitti
Pensiamo all’abitazione che proprio perché a monte è uno dei problemi fondamentali che affrontano le giovani coppie (e lo Stato ha storicamente incentivato nel nostro paese la destinazione di una parte del reddito familiare all’acquisizione della proprietà dell’alloggio familiare) a
valle diviene una della ragioni più ricorrenti dell’inasprirsi del conflitto familiare, per lo squili50
FOCUS brio che oggettivamente viene ad operarsi con la disponibilità a favore di uno dei due coniugi
della casa familiare, indipendente dalla ragionevolezza delle motivazioni.
Pensiamo ancora al tema del rapporto tra famiglia, impresa familiare e lavoro, ed all’aspro conflitto sulla ripartizione del reddito prodotto dalla e nella famiglia allorché la stessa si dissolve;
ed al grande tema, che è in qualche modo all’orizzonte delle politiche del welfare, riferito all’introduzione del reddito minimo, i cui presupposti, allo stato, sembrano prescindere dalle esigenze della famiglia che si dissolve, e nella quale sovente la divisione del reddito prodotto produce un doppio livello di povertà nei confronti di ciascuno dei coniugi.
Esempi ai quali si possono aggiungere altri aspetti, per così dire esterni alla crisi della famiglia,
ma altrettanto essenziali nella complessa origine non solo della fine della relazione ma anche
dello sviluppo e della evoluzione del successivo conflitto (e della gestione dello stesso) e delle
dinamiche delle successive relazioni tra gli ex.
La domanda che si pone, a fronte di una grande accelerazione dei cambiamenti sociali, non tutti immediatamente decifrabili, che coinvolgono a monte ed a valle l’istantanea della crisi familiare (che poi nella giustizia del nostro paese diviene spesso un film horror) e delle risposte che
vengono proposte ed adottate a fronte di tale cambiamento, è se una associazione di avvocati
per la famiglia come l’AIAF non debba rivolgere l’attenzione che merita al tema dell’ambiente,
nel quale oggi maturano i disagi familiari ed il loro esito infausto, per analizzare, proprio a partire dall’esperienza essenziale di chi opera dentro il conflitto, i fattori esterni che influenzano
prima e dopo la crisi familiare ed avanzare nella fase attuale le eventuali necessarie proposte.In sostanza affermando un ruolo sociale dell’avvocato non soltanto nell’oneroso compito di gestire nel migliore modo possibile la crisi, ma interloquendo con i soggetti istituzionali e non che
operano sullo scenario sociale del quale la famiglia è parte essenziale.
È chiaro il senso della mia indicazione. E ciò anche avuto riguardo al fatto che su questo terreno opera non soltanto un modello istituzionale complesso che va dall’Unione europea appunto
alle regioni, ma opera con sempre maggiore insistenza un intervento definito “welfare privato”
di natura sussidiaria, come si dice, rispetto ai modelli istituzionali e più generali che scontano
sempre più pesantemente la crisi della spesa pubblica per finanziare lo Stato sociale.
3. Famiglia e welfare privato Si tratta di un welfare privato che in Italia già interessa diverse imprese, che coinvolge anche enti pubblici e comuni, che si organizza ancora una volta nel modo migliore che sia possibile a livello aziendale, ma che in talune realtà trasmigra a livello territoriale, con l’utilizzo dello strumento consortile da parte di gruppi di aziende, ovvero anche della costituzione di società di
capitale non profit (potenzialmente aperte alla partecipazione dell’ente pubblico) per gestire e
strutturare insieme i modelli di servizi offerti ai lavoratori ed alle loro famiglie.
Pur in un contesto variegato, e che dovrebbe essere specificamente analizzato, questi modelli di
welfare non soltanto offrono prestazioni interessanti nelle politiche di sostegno della famiglia e
dei suoi componenti, tra tradizione ed innovazione, ma in alcuni casi intervengono più specificamente nelle difficoltà delle relazioni familiari, offrendo per esempio l’opportunità di consulenze in genere psicologiche, basate su di una sorta di meccanismo assicurativo, che consente al
lavoratore di scegliere un professionista da un elenco di accreditati col costo totale o parziale a
carico di un fondo dedicato. Con un sistema che mescola fruttuosamente il recupero della vecchia forma di mutualità aziendale, che operava in campo sanitario, superata poi dal servizio sanitario nazionale, e forme nuove di intervento che vengono in parte mutuate dall’esperienza
dei paesi come gli USA radicalmente lontani dall’esperienza dello Stato sociale.
51
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 E dell’importanza delle pratiche del welfare privato può darsi testimonianza indiretta – e solo
apparentemente distante dal tema che trattiamo – nell’esperienza degli avvocati lavoristi, per
l’incidenza, delle difficoltà familiari e del difficile rapporto tra famiglia e lavoro, che emerge in
molte delle patologie delle relazioni lavorative, a partire dai licenziamenti.
Il tema della collocazione sociale della famiglia, del ruolo e della funzione che ad essa attribuisce
l’organizzazione della società, a partire dal lavoro, nel mutare del tempo, dell’equilibrio degli
affetti dei ruoli e dei poteri al suo interno è al centro da molti anni di una riflessione che ha investito anche la nostra associazione, e che tuttavia da un certo tempo si è affievolita forse anche
per effetto dell’offuscarsi in generale di modelli interpretativi sulle relazioni di genere nella dissoluzione del legame familiare, come dimostra per esempio il dibattito sui padri, prima fuggitivi
e poi prepotentemente protagonisti perfino con intenti risarcitori, raccolto dalla stessa giurisprudenza e tradotto nel nuovo modello di affido.
4. La necessità di una riflessione e di un confronto sugli scenari del familiare per recuperare e affermare la funzione sociale dell’avvocato Di tutto ciò noi possiamo ricominciare a parlare? Senza tralasciare l’anatomia dei singoli casi,
delle fattispecie processuali, delle tecniche difensive, dei modelli contenziosi e/o conciliativi, e
pur nella consapevolezza che accettare la sfida che proviene dalla dialettica tra i casi concreti ed
i grandi temi delle trasformazioni del familiare importano anche una dialettica, un confronto
tra posizioni diverse, orientamenti culturali ed ideologici (ove la parola non desti sospetto) che
possono appassionare ed anche dividere, ma che fanno atterrare la crisi della famiglia dentro il
contesto nel quale la famiglia si colloca, materialmente ed idealmente. Famiglia vecchia e nuova,
dunque, famiglia e famiglie, conflitti apparentemente identici nel tempo (ma non è mai così) e
nuovi soggetti, allargando l’orizzonte, la profondità di campo, anche per affrontare nel modo
più adatto le forme di gestione del conflitto e del suo esito, perché anche i modelli procedimentali non possono essere costruiti in astratto, in forma alternativa o complementare, senza che si
tenga conto – tra l’altro – del contesto nel quale l’aggressività e la violenza familiare si generano
e si realizzano anche nelle forme terribili della violenza fisica e dell’omicidio.
Ciò che comporta una sfida non semplice all’interno dell’associazione per riaprire i canali di una
riflessione e di un confronto organizzato sugli scenari del familiare, ma assolutamente opportuni,
anche per assumere un ruolo esterno di giudizio e di proposta sui grandi temi che investono le
istituzioni non soltanto politiche ed il mondo della cultura, su questioni cruciali dell’assetto sociale, dell’equilibrio e della felicità personale.
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FOCUS I PERCORSI FORMATIVI DELL’AVVOCATO Alberto Figone
Avvocato in Genova, direttore scientifico Scuola di Alta Formazione AIAF “Milena Pini”
Sommario: 1. Una premessa. – 2. L’obbligo di competenza dell’avvocato. – 3. La formazione continua. – 4. La specializzazione dell’avvocato. – 5. La Scuola di alta formazione AIAF.
1. Una premessa L’esercizio della professione forense impone all’avvocato un doveroso aggiornamento, attraverso
un percorso formativo adeguato. Nel contempo, altro e diverso percorso formativo si impone
per l’avvocato che intenda fregiarsi del titolo di specialista in un determinato settore professionale. Occorre allora esaminare entrambi i percorsi, anche al fine di individuare possibili elementi di raccordo.
2. L’obbligo di competenza dell’avvocato Come è noto, il nostro codice deontologico, all’art. 12 richiama innanzitutto gli avvocati a un
dovere di competenza professionale, laddove è prescritto che l’avvocato non debba accettare
incarichi, che non sia in grado di svolgere con l’adeguata competenza; si presume dunque che,
nel momento in cui l’avvocato assume un determinato incarico, sia competente a conoscere di
quella specifica materia. Il successivo art. 13 prevede un obbligo per l’avvocato di curare costantemente la propria preparazione professionale e anche l’aggiornamento, conservando ed
accrescendo le conoscenze con particolare riferimento ai settori in cui svolge la sua attività.
Quindi, il dovere dell’avvocato di aggiornarsi e di essere sempre al passo con l’evoluzione normativa e giurisprudenziale, è un vero e proprio obbligo previsto nel nostro codice deontologico. Al riguardo la giurisprudenza ha più volte precisato che le disposizioni contemplate dal codice deontologico rappresentano norme di tipo giuridico, la cui inosservanza può configurare
responsabilità di tipo contrattuale e, quindi, fonte di danno risarcibile.
53
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 3. La formazione continua Nel contesto sopra evidenziato, vanno ricordate le innovazioni introdotte dalla recente l. professionale n. 247/2012, che, nello specifico, contempla due norme particolarmente importanti:
l’art. 9 e l’art. 11. Quest’ultimo riguarda l’obbligo della formazione continua: la legge professionale ribadisce quanto già contenuto nel codice deontologico, per cui l’avvocato ha l’obbligo di
curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale, per assicurare la qualità delle prestazioni professionali e di contribuire al migliore esercizio della professione nell’interesse dei clienti e nell’amministrazione della giustizia. Sembrano molto importanti queste due finalità: la preparazione dell’avvocato è finalizzata a un duplice interesse: da una
parte, tutelare evidentemente l’interesse privato del cliente, ma, dall’altra, contribuire alla migliore amministrazione della giustizia. L’avvocato dunque svolge una funzione sociale. È noto
come l’art. 11 abbia sostanzialmente superato il sistema dei crediti formativi che era stato introdotto con il regolamento del CNF del 2007. Il nuovo sistema è peraltro in fase di introduzione, perché è demandato ad un intervento specifico da parte del CNF stabilire quelle che saranno le modalità e le condizioni per l’obbligo di aggiornamento da parte degli iscritti all’albo e
per la gestione e l’organizzazione dell’attività di aggiornamento a cura degli Ordini territoriali,
delle Associazioni forensi (ed in primis proprio l’AIAF, che da tempo ha già ottenuto l’accreditamento da parte del CNF) e di terzi. Se il sistema dei crediti formativi deve considerarsi in via
di superamento, d’altra parte l’art. 11, con disposizione immediatamente precettiva, prevede una
più vasta gamma di esenzioni dai percorsi formativi; ne possono beneficiare gli avvocati, che
abbiano almeno 25 anni di iscrizione nell’albo o che abbiano raggiunto i 60 anni di età. Questo
non vuol dire evidentemente che questi professionisti siano esonerati dall’obbligo di essere
continuamente aggiornati, proprio perché, come si è visto, sussiste un dovere deontologico
(ma pure giuridico) in tal senso; semplicemente, l’aggiornamento prescinde dal dovere di partecipare a percorsi formativi. In attesa di leggere il regolamento del CNF, è allora da presumere
che vi saranno percorsi formativi, gestiti direttamente dagli Ordini, o dagli Ordini di concerto
con le Associazioni professionali o direttamente dalle Associazioni professionali o da terzi, a
fronte di riconoscimento da parte del CNF. Del resto proprio l’AIAF ha come finalità statutarie
quella della formazione dei colleghi e di chi vuole approcciare il campo del diritto di famiglia e
minorile; questa attività è stata da tempo avviata ben prima ancora del regime dei crediti e dell’adozione del codice deontologico.
Il 4° comma dell’art. 11 prevede che l’attività di formazione svolta dagli Ordini territoriali, anche in cooperazione o convenzione con altri soggetti, non costituisce attività commerciale e non
può avere fini di lucro. Ciò non vuol dire che l’attività debba essere necessariamente gratuita,
specie quando viene svolta dalle Associazioni, che sopportano costi per il reperimento delle sale, per la presenza di Relatori, che magari vengono da fuori sede, per la distribuzione di materiale formativo, ecc.; l’ente organizzatore ben potrà allora coprire le spese vive, senza che la
formazione abbia comunque finalità speculative, posto che, in caso contrario, le Associazioni,
che si autofinanziano, non potrebbero svolgere il delicato compito della formazione continua.
Quanto sopra sembra molto importante perché, subito dopo l’entrata in vigore della legge, è
stata segnalata una possibilità che, ragionando diversamente, potrebbe forse sorgere qualche
difetto di compatibilità della nuova disciplina con le norme dell’ordinamento comunitario, Recentemente infatti la Corte di Giustizia dell’Unione europea (riferendosi al diritto portoghese)
con sentenza 28 febbraio 2013, ha precisato che in base alla disciplina comunitaria gli Ordini
professionali sono sostanzialmente associazioni di imprese, svolgendo un’attività di prestazione di servizi a favore di terzi. L’Ordine deve allora garantire la concorrenza anche nel mercato
della formazione professionale.
54
FOCUS Di fatto in Italia esiste un pluralismo nella proposta formativa. Accanto alla formazione che può
essere fatta dal CNF, dagli Ordini e da altri enti accreditati, esistono oggi ulteriori alternative;
basti pensare alle Scuole di specializzazione che sono state istituite presso le Facoltà di Giurisprudenza e che sono operative da diversi anni a questa parte. Le Scuole hanno durata biennale
e al termine, dopo la discussione di una tesi, è previsto il rilascio di un attestato, che abilita
l’interessato, se non già in possesso, di altri titoli a partecipare al concorso in Magistratura; la
frequenza alla Scuola può sostituire poi un anno di pratica professionale.
4. La specializzazione dell’avvocato La nuova legge forense disciplina una delle questioni, che è sempre stata particolarmente a
cuore alle Associazioni, ed in particolare all’AIAF, ossia la possibilità di palesare e di usare il titolo di avvocato specializzato in una determinata materia; ciò al fine di un miglior servizio nei
confronti degli assistiti, proprio nel delicato momento della scelta del legale da officiare. Anche
sotto questo profilo l’applicazione della nuova disciplina è in fieri, perché il già ricordato l’art. 9
prevede sì la possibilità per l’avvocato di ottenere e indicare il titolo di specialista, subordinandolo peraltro a modalità che saranno introdotte con un futuro regolamento del Ministero della
Giustizia, previo parere del Consiglio Nazionale Forense. Le strade sono praticabili sono due:
seguire un percorso formativo almeno biennale, ovvero dimostrare una comprovata esperienza
nel settore di specializzazione. I percorsi formativi specifici, con le modalità che dovranno poi
essere indicate dal Ministro, saranno organizzati per legge dalla Facoltà di Giurisprudenza, con
convenzioni con i singoli Consigli dell’Ordine o con il CNF. È allora evidente l’importanza delle
Associazioni riconosciute ed accreditate dal CNF, le quali a loro volta potranno stipulare convenzioni con le Università. Per quanto riguarda invece gli avvocati che abbiano già maturato,
una comprovata esperienza specifica, si richiede un’anzianità professionale di almeno 8 anni,
insieme con la dimostrazione di aver svolto in maniera professionale la propria attività per almeno 5 anni nello specifico settore. All’interno della futura regolamentazione il Ministero dovrà determinare le modalità di valutazione, attraverso esami, dell’acquisizione della specializzazione nelle specifiche materia, al fine del rilascio del titolo. È previsto poi che lo stesso CNF
possa anche revocare il titolo di specialista nei casi che saranno individuati dall’apposito regolamento. Mette conto da ultimo ricordare che il conseguimento del titolo di specialista non
comporta riserva di attività professionale.
5. La Scuola di alta formazione AIAF D’obbligo a questo punto un richiamo alla Scuola di alta formazione (in diritto di famiglia, minorile e delle persone) organizzata dall’AIAF, che porta oggi il nome di Milena Pini, ossia di colei che più di tutti volle la Scuola e la sostenne. Quest’anno La Scuola è al secondo ciclo del
corso biennale; i risultati sono particolarmente lusinghieri e fanno ben sperare per il futuro. Il
biennio della Scuola è strutturato in un numero notevole di lezioni, oltre 30, con cadenza di regola quindicinale, il mattino e il pomeriggio. Il ciclo in corso prevede lezioni frontali nella sede
di Milano e contemporaneamente lezioni in videoconferenza per altre sedi. La Scuola, dopo un
primo anno di necessario “rodaggio”, ha ancora più attuato quei criteri che si era proposta, contemperando lo studio del dato normativo con l’applicazione pratica della norma stessa. Particolare importanza è stata data alla giurisprudenza, nel quadro di una casistica sempre più variega55
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 ta; nel contempo si sono esaminate le tecniche di redazione degli atti, non senza rimarcare l’opportunità di tecniche alternative al conflitto giudiziale (la consensualizzazione degli accordi di
separazione e divorzio, la mediazione, il diritto collaborativo). In attesa di un riconoscimento
ufficiale della specializzazione, anche per coloro che ebbero a frequentare il corso il precedente
biennio, l’AIAF, al termine del percorso scolastico rilascia un attestato di partecipazione ed un
titolo di specialista, certificato, per ora, dalla sola stessa Associazione. L’impegno è quello di potenziare ancor più la Scuola, garantendo sempre la presenza di avvocati quali docenti, insieme
con Magistrati, Docenti universitari e altre professionalità, nella prospettiva di una sinergia per
una sempre più completa formazione.
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FOCUS ORGANIZZARE LO STUDIO LEGALE – I VANTAGGI COLLEGATI ALLA SCELTA VOLONTARIA DI ADERIRE AD UNO STANDARD TECNICO Giovanna Stumpo
Avvocato, pubblicista, esperta in organizzazione, qualità e management dello Studio Legale
Sommario: 1. Premessa. – 2. Management – Anche lo Studio legale ne ha bisogno. – 3. Management e Project management – Non sono sinonimi. – 4. Management e Project management – Due concetti collegati allo standard ISO. –
5. La certificazione di qualità – È fase del progetto di management di Studio. – 6. L’iter di certificazione – Pochi Studi
sanno esattamente di cosa si tratta. – 7. La certificazione – È strumento di marketing legale.
1. Premessa L’art. 17 bis del codice deontologico forense menziona la “certificazione di qualità” tra le informazioni che lo Studio può scegliere di riportare nei mezzi di comunicazione informativa. In
ambiente legale vi è però scarsa conoscenza del “percorso” che occorre seguire per ottenere tale
“attestazione di qualità organizzativa”. Soprattutto, si ignora che alla base di tale scelta è l’adozione dello standard internazionale per la “gestione della qualità” (la norma tecnica UNI EN
ISO 9001:2008 Sistema di gestione per la qualità – Requisiti) che è prima di tutto utile come
riferimento o best practice per lo sviluppo di un “percorso organizzativo e gestionale” (alias di
management) di Studio efficiente, funzionale e su misura.
2. Management – Anche lo Studio legale ne ha bisogno L’espressione “management” deriva dal verbo inglese to manage (gestire, coordinare). Si tratta
di un concetto complesso che attiene al processo di definizione degli obiettivi di una organizzazione, e di guida della gestione interna, verso il conseguimento di tali obiettivi. Tale concetto,
sul piano operativo presuppone l’assunzione di decisioni strategiche da parte dei Vertici (i.e. la
Direzione/i Capi) circa: la scelta di (quali e quanti) obiettivi di risultato darsi; la valutazione di
quante e quali risorse (finanziarie, materiali/tecnologiche ed umane) siano necessaire a garantirne il conseguimento, entro uno specifico lasso temporale; la declinazione di appositi “indicatori”, che facilitano il processo di misurazione (con individuazione di eventuali scostamenti, rispetto agli obiettivi prefissati). Tutte le organizzazioni hanno quindi necessità di organizzare
compiutamente il management. Nelle organizzazioni medio-piccole, tale processo è gestito di57
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 rettamente dagli “organi di governo”; nelle realtà più complesse sotto il profilo strutturale, ovvero di dimensioni medio-grandi, esso è delegato dalla Direzione a personale all’uopo scelto e
deputato. Generalmente si tratta del/dei Manager, ossia della persona/delle persone che all’interno della struttura ha/hanno le capacità per attuare le azioni (c.d. tattiche) più opportune ed
in linea con gli scopi/gli obiettivi dei Vertici, mediante: l’attuazione di processi di pianificazione strategico-operativa; l’organizzazione dei processi detti; la guida ed il coordinamento delle
persone, attraverso i quali i processi si realizzano; la gestione dei sistemi operativi, che consente
di verificare i processi, nel “loro andamento”; il coordinamento ed il controllo sistemico/centralizzato dei processi, a fini di miglioramento. Anche nel contesto legale il management è una
necessità. Spesso influenzato dalla dimensione dello Studio, in realtà medio-piccole, può far
capo direttamente al Titolare (ovvero essere delegato dalla Direzione ad uno o più Soci). Negli
Studi medio-grandi, tale processo può invece essere affidato ad una risorsa (legal o para-legal)
in posizione intermedia tra la Direzione e le funzioni operative; e che in qualità di Manager (ovvero di Office Manager/di “Responsabile organizzativo”), assumerà il compito di garantire la
“traduzione in atto” delle scelte strategiche dei Vertici, verso gli obiettivi dati.
3. Management e Project management – Non sono sinonimi Il Project management è una tecnica di management. Attiene alla pianificazione, alla progettazione, allo sviluppo, alla gestione e al controllo delle variabili da organizzare in relazione ad uno
specifico e definito progetto (Project). Alla base del Project management è la capacità di chi assume la responsabilità di sviluppare il progetto richiesto (il Project Manager) di: “scorporare” il
progetto nelle sue componenti; raggruppandole in “aree di attività omogenee”; sapersi destreggiare in un contesto multi disciplinare di conoscenze, tecniche e pratiche che opportunamente
integrate, consentano il coordinamento delle varie componenti e l’uso ottimale delle risorse fisiche, temporali e di budget, utili alla realizzazione del progetto complessivo; minimizzando le
probabilità di insuccesso; gestire il progetto, nelle sue fasi e nelle sue varie e diverse componenti singole oltreché nel suo complesso; pianificare le attività operative (con riferimento a: scelta
delle risorse umane da utilizzare; programmazione del “tempo” e definizione del “budget”; individuazione delle fonti/degli strumenti di raccolta di dati ed informazioni; valutazione della necessità di approvvigionamenti; individuazione dei rischi correlati allo sviluppo del progetto; controlli). Come tecnica operativa, il Project management è utile anche al Manager di Studio; per
l’organizzazione di quei processi del sistema gestionale ed organizzativo che, per loro natura, o
per dimensioni della struttura o ancora per le modalità “attuative” presentano un elevato livello
di articolazione, criticità e/o complessità.
4. Management e Project management – Due concetti collegati allo standard ISO In Italia, la definizione e la promulgazione di norme tecniche valevoli per i settori del commercio, dell’industria e dei servizi, è svolto dall’Uni (Ente Nazionale Italiano di Unificazione); delle norme elaborate da tale ente, in particolare la norma UNI EN ISO 9001:2008 contiene principi e metodologie di management e di Project management, applicabili a tutti i processi produttivi di beni e di servizi.
In via autonoma ovvero attraverso l’ausilio di un esperto dello standard ISO (il consulente
esterno che di norma funge da Project Manager) anche lo Studio può infatti dar corso ad un
58
FOCUS progetto finalizzato a realizzare un “sistema di gestione organizzativa” (di management); ponendo la norma tecnica a parametro di riferimento organizzativo e gestionale, e deputando una
specifica risorsa interna (il Manager/l’Office Manager/il Responsabile organizzativo di Studio)
appositamente scelta ed addestrata, allo sviluppo del progetto su base personalizzata; con definizione di obiettivi, fasi di sviluppo del lavoro, oltreché di tempi, costi e responsabilità correlati
(i.e. Project management). Erigere la norma tecnica a “modus operandi”, significa agire sulla base della preventiva corretta individuazione dei processi correlati allo sviluppo del lavoro, per
arrivare a gestire con cognizione di causa, in modo programmato e pianificato tutte le attività
che vengono “processate” in Studio; riconducendole a “sistema” ed individuandone i più efficaci metodi e strumenti di monitoraggio, misura e controllo. Più in particolare, la norma UNI
EN ISO 9001:2008 insegna ad applicare le tecniche di management e Project management alla
gestione di attività, processi, o pratiche che richiedono: attività di pianificazione di breve-medio periodo (i.e. declinazioni di obiettivi e individuazione di attività e fasi, prodromiche al loro
conseguimento); sviluppo del lavoro in modo condiviso/con il coinvolgimento sinergico di più
livelli funzionali; progettazione dei tempi interni; interscambio di flussi documentali, di dati,
informazioni, conoscenze e risorse; monitoraggio della performance (i.e. rilevazioni statistiche;
% numeriche relative a clienti/fatturato/pratiche; registrazione dei tempi interni, dei carichi di
lavoro; della produttività/redditività delle risorse, ecc.). Di più, la metodologia suggerita dallo
standard ISO porta lo Studio ad abbandonare regole comportamentali fondate sulla “prassi”, in
favore di una diversa e chiara definizione formalizzata in forma scritta di «chi fa cosa, come lo
deve fare, entro quali tempi e con quali risorse e sotto il controllo di chi». È cioè utile per darsi
un metodo di managemet, progettato “su misura”, ma anche per “codificare” le regole organizzative (i.e. formalizzazione specifica dei compiti, delle mansioni dei ruoli e delle responsabilità
di ogni livello funzionale; pianificazione delle attività; programmazione dei tempi; scelta delle
risorse fisiche, strutturali e di budget; monitoraggi) in apposita “documentazione di sistema”,
che si compone di:
 Manuale Qualità: documento che “fotografa” le metodologie di lavoro, tenuto conto della
“politica per la qualità” come predefinita dai Vertici, nell’ottica del conseguimento degli
“obiettivi di risultato” dati;
 Procedure interne: regole codificate che individuano il metodo di raccolta dei dati/delle informazioni, di gestione dei documenti e delle registrazioni, di evasione degli incarichi ovvero
specificano le modalità dei controlli. Individuando anche le metodologie utili a mappare le
competenze interne ed a gestire eventuali criticità, carenze, inefficienze (in gergo tecnico le
c.d. “non conformità”) e ad apportare le opportune azioni correttive/di miglioramento;
 Istruzioni di lavoro: funzionigrammi, organigrammi, mansionari che specificano ruoli, mansioni e compiti assegnati ai vari e diversi livelli funzionali (Professionisti e Dipendenti) e che
“viaggiano in parallelo” ad istruzioni operative che indicano le modalità in base alle quali
“processate” le attività assegnate o delegate; oltreché più in generale le regole di comportamento ed azione volute dai Vertici dello Studio.
5. La certificazione di qualità – È fase del progetto di management di Studio La decisione di parametrarsi allo standard ISO da parte di uno Studio nasce e si giustifica prima
di tutto per esigenze interne, finalizzate a fare in modo che, per tramite di una metodologia
pianificata, la struttura interna di cui è dotato lavori “con metodo” e produca in modo più efficiente, rapido e trasparente. Vi sono tuttavia situazioni specifiche, tali per cui il percorso di ma59
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 nagement può rappresentare solo il primo passo verso un obiettivo più ampio ed ambizioso;
che trova la sua ragion d’essere nella scelta o nell’esigenze sentita dallo Studio di conseguire la
certificazione di conformità. Cosa si intende con tale espressione?
Per “certificazione” ai sensi della norma tecnica ed internazionale UNI CEI EN 45020:1998
(Normazione ed attività connesse) s’intende l’attestazione fornita da un soggetto indipendente
ed autonomo (rispetto all’organizzazione ed al di lui cliente) in forma di assicurazione scritta
che un prodotto, un processo o un servizio è conforme ai requisiti specificati da una previsione
di natura tecnica di riferimento. In ambito legale, si tratta dell’attestazione rilasciata da un Organismo terzo, autonomo ed indipendente dallo Studio legale (e dal consulente che lo ha eventualmente supportato nello sviluppo del percorso di “Project management” conforme allo standard ISO e dal cliente), circa l’idoneità della struttura e delle persone interne, ad erogare la prestazione di servizi nel rispetto delle esigenze e delle prerogative espresse dal cliente e dallo standard ISO di riferimento. Nonché più in generale la capacità della struttura ampiamente intesa,
a mantenere nel tempo il conseguimento dei risultati attesi per tramite dei suoi processi interni
organizzati “in modo sistemico” e gestiti “con modalità controllate” nel rispetto delle prescrizioni
a tal fine dettate dalla norma UNI EN ISO 9001:2008. È cioè “certificazione di sistema” (i.e. del
metodo organizzativo e di sviluppo del lavoro adottato in Studio; come peraltro evidenziata dalla
“documentazione di sistema” sviluppata in conformità alla norma UNI EN ISO 9001:2008) e
non “certificazione di prodotto/servizio” (i.e. del singolo atto, parere, contratto, ecc.).
6. L’iter di certificazione – Pochi Studi sanno esattamente di cosa si tratta Dati Censis 2011 confermano che l’Italia è ai primi posti in Europa nei “sistemi qualità”, con
135.000 organizzazioni certificate. Di queste tuttavia, solo poco più di un centinaio sono ad
oggi rappresentate dagli Studi legali; e, più in generale in ambiente forense, ancora si ignora che
la certificazione di qualità è strumento di “marketing” deontologicamente corretto. Di più, confrontandosi sul punto con i Colleghi risulta in tutta evidenza come non si abbia ben chiaro che,
in una logica di “management”, l’iter certificativo, rappresenta invero un tassello meramente integrativo e complementare del preliminare processo di organizzazione, già realizzato internamente
con successo dallo Studio, che abbia scelto di realizzare il Sistema di Gestione Qualità conformemente ai requisiti di cui alla norma UNI EN ISO 9001:2008. Come funziona dunque il
“processo che porta lo Studio a conseguire di certificazione di qualità”? Una volta che l’organizzazione (azienda, impresa, ente, Studio), abbia implementato correttamente al proprio interno
la metodologia organizzativa suggerita dalla norma tecnica di riferimento, ed abbia maturato altresì la decisione di far certificare da ente terzo accreditato il proprio Sistema qualità, essa dovrà
prima di tutto procedere alla ricerca dell’Organismo di certificazione che corrisponde alle proprie esigenze ed al ramo di attività che essa sviluppa. Ed invero in Italia gli Organismi di certificazione accreditati a livello nazionale sono una cinquantina; ciascuno peraltro accreditato per
uno o più settori di certificazione relativi ai vari raggruppamenti merceologici di prodotto/servizio (quello valevole per lo Studio Legale è il c.d. Codice NACE 35 – Settore servizi). Sempre
sul piano procedurale, individuato l’Organismo di certificazione che fa al caso, l’organizzazione
riceverà il formulario per la domanda di certificazione ed il relativo regolamento. Nella domanda è importante specificare in maniera chiara ed inequivocabile “il campo di applicazione della
certificazione” scelto (per esempio nel caso di uno Studio legale si può decidere di circoscrivere la richiesta di attestazione di conformità alla sola attività giudiziale, ovvero al solo settore del
recupero crediti, al settore del diritto assicurativo, per una sola sede operativa, ecc.). È questo
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FOCUS un aspetto molto importante, là ove si consideri che la certificazione ha una propria “spendibità” sul mercato nazionale-internazionale di riferimento, e quindi bisogna fornire nel certificato
un’informazione non ambigua, trasparente e veritiera. Nella domanda di certificazione lo Studio
dovrà anche specificate le sedi da certificare, ove queste siano più di una (e si opti ad es. per certificarne una sola). Scelto l’Organismo e presentata la domanda, si dovrà poi inviare allo stesso la
“documentazione di sistema” sviluppata (Manuale Qualità e Procedure interne) al fine di permettere all’ente terzo la valutazione della conformità (formale e sostanziale) di essa alla norma
tecnica di riferimento.
In un momento successivo un Auditor inviato dall’Organismo di certificazione verificherà direttamente sul campo, ossia in Studio e attraverso il processo di Audit (i.e. verifica e controllo), la
reale, corretta e completa applicazione della norma tecnica ISO all’interno dell’organizzazione,
controllando se quanto “documentato” risulti effettivamente implementato dalle persone operative internamente allo Studio. Nel caso in cui l’Organismo rilevi infatti degli “scostamenti” e
delle “non conformità” nell’applicazione delle regole formalmente/sostanzialmente conformi
allo standard ISO, questi dovranno essere eliminati e corretti. Pena altrimenti il mancato rilascio della “certificazione di conformità”. Alla fine del processo di verifica andato a buon fine,
l’Organismo emetterà il certificato (valevole per tre anni e rinnovabile nel tempo) con specifica
dei settori di certificazione e delle sedi certificate. Come qualsiasi altro tipo di organizzazione,
anche lo Studio Legale che l’abbia conseguita potrà darne visibilità nei propri mezzi promozionali e di comunicazione informativa (i.e. carta da lettere, biglietto da visita, brochure, sito internet, targa, logo, presentazioni mirate dello Studio da “spendere” in ambito formativo o per
partecipare a bandi e gare).
7. La certificazione – È strumento di marketing legale Sebbene non se ne sia prevista la previsione in forma obbligatoria, è significativo che in ambiente
forense la stessa certificazione sia contemplata nel codice deontologico forense, all’art. 17 bis
(modalità dell’informazione). Tale articolo specifica le “modalità” della “comunicazione informativa” lecitamente corretta ed ammessa in ambiente forense. È strutturato in 2 parti, dedicate
l’una alle informazioni c.d. obbligatorie e l’altra alle c.d. informazioni facoltative. Sono obbligatorie le indicazioni utili alla scelta del professionista (i.e. denominazione dello studio con specifica dei nominativi dei professionisti, per il caso in cui la professione sia svolta in forma associata o societaria; Consiglio dell’Ordine presso cui è iscritto ciascun componente di studio; sedi
(principale ed eventuali secondarie), con relativi recapiti specifici (i.e. indirizzo, numeri telefonici, fax, e-mail e sito Internet ove attivato); titolo professionale abilitante l’avvocato straniero
all’esercizio in Italia o che consenta al legale italiano l’esercizio all’estero, in conformità delle
direttive UE). Tra le indicazioni meramente opzionali, sono invece: i titoli accademici, i diplomi di specializzazione universitaria, e le abilitazioni avanti alle giurisdizioni superiori; i settori
di esercizio dell’attività professionale e nell’ambito di questi, la specifica delle eventuali materie
di attività prevalente; le lingue conosciute; il logo di Studio e gli estremi della polizza assicurativa per la responsabilità professionale; l’eventuale certificazione UNI EN ISO 9001:2008 dello
Studio (sul punto specificandosi testualmente che: «l’avvocato che intende fare menzione di
una certificazione di qualità deve depositare presso il Consiglio dell’Ordine il giustificativo della certificazione in corso di validità e l’indicazione completa del certificatore e del campo di applicazione della certificazione ufficialmente riconosciuta dallo Stato»). Avendo chiaro il concetto di “certificazione” (non si tratta cioè come molti pensano di un mero “bollino”, ma di uno
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 dei pochi strumenti di marketing legale regolamentati a livello deontologico), ben si comprende perché si può ritenere che nel prossimo futuro sempre più Studi legali – che, avendo realizzato un sistema di gestione conforme allo standard ISO – richiederanno la certificazione da
parte di un Organismo terzo. Il fine di tale richiesta, è quello di una “scelta strategica di competitività”, derivante dalla possibile “spendibilità” dell’attestazione di conformità ottenuta, sui
mezzi di comunicazione informativa di tipo tradizionale (carta da lettere, biglietti da visita, targa,
logo) e/o innovativo (sito Internet, brochure, Manuale qualità). Per rivelare all’esterno (al mercato e al pubblico) la capacità organizzativa di Studio e l’affidabilità del/dei professionista/i
operante/i, per suo tramite; fruire di uno strumento capace di differenziare lo Studio dai competitor; facilitare lo Studio nei rapporti con settori “di business” già certificati (quali ad es. le
imprese, le banche, le compagnie di assicurazioni, la P.A. e gli enti Pubblici, ecc.); con cui potrà
condividere lo stesso “linguaggio organizzativo”, con evidente privilegio e preferenza rispetto alle
altre realtà organizzative non ancora certificate ISO.
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FOCUS NOTE IN TEMA DI RESPONSABILITÀ CIVILE DELL’AVVOCATO Giuliano Scarselli
Ordinario di Diritto processuale civile Università di Siena
Sommario: 1. Le norme sulla responsabilità civile dell’avvocato. – 2. La necessità di distinguere l’avvocato d’affari dal difensore in senso tradizionale. – 3. Segue) Le differenze tra l’una e l’altra attività forense. – 4. Segue) E le
conseguenze in punto di responsabilità. – 5. La responsabilità civile del difensore per l’infrazione delle norme
deontologiche. – 6. La vicenda di cui alle Sezioni Unite Cass. n. 2681/2007. – 7. La responsabilità contrattuale per
violazione della norma deontologica. – 8. Segue) E la responsabilità extracontrattuale per la violazione della norma
deontologica. – 9. Conclusioni.
1. Le norme sulla responsabilità civile dell’avvocato Le fonti normative della responsabilità civile dell’avvocato si rinvengono negli artt. 1176, 2° comma e 2236 c.c. 1.
La prima disposizione, dopo aver affermato che nell’adempiere all’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia, statuisce che «nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo
alla natura dell’attività esercitata»; e la seconda disposizione aggiunge che «se la prestazione
implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde
dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave».
Dal combinato disposto di queste norme si ricava che l’avvocato incorre in responsabilità civile
quando, nell’esercizio del suo ministero, non usa la normale diligenza (art. 1176 c.c.), e tuttavia
non è tenuto al risarcimento del danno se il suo comportamento non è riconducibile ad una
condotta dolosa o gravemente colposa (art. 2236 c.c.), e sempre che la prestazione implichi la
soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.
Più esattamente, gli orientamenti giurisprudenziali in materia precisano quanto segue:
a) in primo luogo che l’azione di risarcimento del cliente contro l’avvocato inadempiente «pre-
1
Tra i tanti v. G. MUSOLINO, La responsabilità dell’avvocato e del notaio, Giuffrè, Milano, 2005; M. FRANZONI, La responsabilità professionale dell’avvocato e del procuratore legale, in ID., La responsabilità civile, Utet, Torino, 2005, p. 202 ss.; A. GARELLO-D. PISELLI-S. SCUTO, La responsabilità dell’avvocato, Il Sole 24 Ore, Milano, 2006. Recentemente D. COVUCCI-G.
PONZANELLI, Responsabilità civile dell’avvocato: un sistema in evoluzione, in Nuova giur. civ., 2008, II, p. 421; F. MARINELLI,
La responsabilità civile degli avvocati, in Rass. forense, 2008, p. 333.
63
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 suppone la prova del danno» 2 che, in base ai criteri generali dell’onere della prova, deve essere data da chi agisce in giudizio per ottenere un simile risultato 3.
b) In secondo luogo che tra la condotta tenuta dall’avvocato e il danno subito dal cliente deve
sussistere un nesso di causalità che «in tanto è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri necessariamente probabilistici 4, si accerti che, senza quell’omissione (o quella azione), il risultato sarebbe stato conseguito» 5.
c) In terzo luogo oggi la giurisprudenza asserisce (seppur in passato gli orientamenti sono stati
differenti) 6 che il danno risarcibile si identifica e si quantifica sotto il profilo della perdita di
probabilità o di chance 7, secondo un ragionevole apprezzamento 8 che «implica la valutazione positiva che alla proposizione di una diversa azione, o al diligente comportamento di
determinate attività, sarebbero conseguiti effetti più vantaggiosi per l’assistito» 9.
2
Cass. 23 marzo 2006, n. 6537, in Foro it., Rep., 2006, (voce) Professioni intellettuali, n. 155.
Cass. 11 agosto 2005, n. 16846, in Rass. forense, 2006, p. 447, in forza della quale l’azione di responsabilità «implica
l’indagine – positivamente svolta sulla scorta degli elementi di prova che il cliente ha l’onere di fornire – circa il sicuro e chiaro
fondamento dell’azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e, in definitiva, la certezza morale
che gli effetti di una diversa sua attività sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente medesimo».
4
Cass. 19 novembre 2004, n. 21894, in Resp. e risarcimento, 2005, I, p. 12, con note di COCCO-COMANDÈ-MIRANDASPERA-DANOVI; e in Corr. giur., 2005, p. 1410, con nota di CONTE.
5
Cass. 27 marzo 2006, n. 6967, in Giust. civ., 2006, I, p. 2036. L’aggiunta tra parentesi è nostra. V. anche Cass. 14 settembre 2000, n. 12158, in Foro it., Rep., 2001, (voce) Professioni intellettuali, n. 135.
Al riguardo si veda anche Trib. Roma 20 marzo 2006, per il quale «perché possa affermarsi l’esistenza d’un valido nesso
causale tra l’inadempimento ascritto all’avvocato ed il danno patito dal cliente, è necessario accertare che, se l’avvocato
avesse tenuto la condotta dovuta, l’esito della lite sarebbe stato diverso da quello effettivamente avveratosi». Conforme
Trib. Roma 22 maggio 2005; App. Milano 16 febbraio 2005, per il quale «in materia di responsabilità professionale
dell’avvocato, la ricerca del nesso eziologico tra la condotta del professionista ed evento dannoso deve essere compiuta attraverso un giudizio controfattuale, simulando come compiuta quella condotta difensiva che si imputa essere stata omessa
e verificando se, con apprezzabile probabilità, l’azione giudiziale che il legale avrebbe dovuto proporre e diligentemente
seguire avrebbe avuto esito positivo»; Trib. Roma 17 novembre 2004.
6
In questo senso v. la celebre sentenza Cass. Regno 10 febbraio 1931, in Foro it., 1931, I, c. 628, con nota di A. PARRELLA; e
in Riv. dir. proc., 1931, II, p. 260, con nota di P. CALAMANDREI, Limiti di responsabilità del legale negligente, e per la quale «Al
procuratore in colpa per l’omessa interposizione di appello di cui abbia assunto incarico dal proprio cliente può far carico il
rimborso delle spese invano all’uopo anticipategli, ma non il danno incerto ed eventuale desunto da una stima preventiva
dell’esito della lite».
Questo indirizzo si è protratto per lungo tempo, se si pensa che ancora negli anni ’50 era possibile leggere sentenze (v. Trib.
Roma 3 marzo 1954, in Giust. civ., 1954, p. 726), le quali statuivano che il risarcimento danni per responsabilità da attività forense non era prospettabile, in quanto correlato ad un danno privo del carattere della certezza e della immediatezza; e addirittura la cassazione, ancora nel 1991 (v. Cass. 10 agosto 1991, n. 8728, in Corr. giur., 1991, p. 1319), sentenziava che «non è
possibile stabilire il quantum debeatur nell’ipotesi di responsabilità professionale dell’avvocato per negligente conduzione della
causa, in quanto la valutazione di tale responsabilità dovrebbe basarsi su considerazioni meramente ipotetiche».
Si sosteneva che «non potrebbe infatti il tribunale sostituire a priori il proprio giudizio ipotetico a quello che il competente
giudice avrebbe potuto pronunciare nella controversia…un normale giudizio ipotetico è sostanzialmente impossibile per
quell’elemento di imprevedibilità che è sempre insito nel processo civile, e che scaturisce non tanto dall’opinabilità del fatto, quanto dall’incontro processuale tra la soggettività delle parti, dei difensori e del giudice, che può concretamente articolarsi in una casistica pressoché infinità».
7
Cass. 19 dicembre 1985, n. 6506, in Foro it., 1986, I, c. 383.
Particolarmente significativa in questo contesto è stata la decisione Cass. 6 maggio 1996, n. 4196, in Foro it., 1996, I, c. 2384,
per la quale «Va esclusa la responsabilità professionale dell’avvocato per la tardiva proposizione di una domanda giudiziale, qualora sia accertata la sussistenza di elementi tali per cui essa sarebbe stata rigettata nel merito»; e precedentemente
Cass. 28 aprile 1994, n. 4044, in Foro it., Rep., 1995, (voce) Professioni intellettuali, n. 162.
8
Cass. 27 gennaio 1999, n. 722, in Foro it., Rep., 1999, (voce) Danni civili, n. 109.
9
V., in questo senso Cass. 27 marzo 2006, n. 6967, in Giust. civ., 2006, I, p. 2036; Trib. Milano 28 ottobre 2005; ed anche
Trib. Napoli 30 ottobre 2000, in Foro it., Rep., 2002, (voce) Avvocato, n. 91, per il quale «non è sufficiente a fondare la responsabilità dell’avvocato la mera omissione della proposizione di un’impugnazione, essendo necessario, a tal fine, compiere una valutazione ipotetica, onde stabilire per lo meno se non vi fossero delle apprezzabili probabilità di accoglimento
del gravame, perché altrimenti non sussisterebbe alcun danno».
3
64
FOCUS d) In quarto luogo l’avvocato ha la responsabilità attenuata di cui all’art. 2236 c.c. per le ipotesi
di dolo o colpa grave solo quando abbia dovuto affrontare problemi tecnici di speciale difficoltà, poiché altrimenti, tale limitazione di responsabilità, «non è operante in presenza di
un errore commesso dall’avvocato nella valutazione di una circostanza di fatto il cui accertamento non implichi complessità tecnica» 10.
e) Infine, per taluni orientamenti giurisprudenziali: ea) «l’avvocato può considerarsi responsabile verso il cliente (anche) in caso di incuria e di ignoranza di disposizioni di legge» 11;
eb) l’avvocato può ritenersi responsabile anche in caso di «adozione di mezzi difensivi pregiudizievoli al cliente», e consistenti in violazione di orientamenti giurisprudenziali 12; ec) ed
ancora l’avvocato può ritenersi responsabile anche in caso di proprio impedimento «a meno che l’impedimento medesimo non sia talmente grave ed ineluttabile da non consentire
alcuna misura rimediale» 13.
f) In ogni caso l’attività forense costituisce sempre obbligazione di mezzo e non di risultato,
poiché costituisce regola generale che «l’inadempimento del professionista nei riguardi del
cliente non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile cui mira
quest’ultimo, ma soltanto dalla violazione da parte del professionista del dovere di diligenza
inerente ed adeguato alla natura dell’attività esercitata» 14; e tuttavia anche su questo tema,
non è mancata giurisprudenza che ha avuto modo di sottolineare come la regola può valere
solo con riferimento alle attività giudiziali di difesa e non con riguardo a quelle stragiudiziali
di consulenze e/o assistenza, poiché in questi casi «la prestazione oggetto del contratto non
costituisce un’obbligazione di mezzi, in quanto egli (l’avvocato) si obbliga ad offrire tutti gli
elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni allo scopo di permettere al
cliente di adottare una consapevole decisione» 15.
2. La necessità di distinguere l’avvocato d’affari dal difensore in senso tradizionale La giurisprudenza ha fatto bene in numerosissimi casi a dichiarare la responsabilità dell’avvocato e a condannarlo al relativo risarcimento dei danni, poiché, al di là dei principi di diritto che
le decisioni dei casi appena visti hanno scaturito, vi sono stati, nelle realtà concrete delle fattispecie in questione, fatti di grave responsabilità, ove gli avvocati hanno violato le più elementari
regole professionali, ed hanno commesso gravi negligenze e incurie nella gestione del mandato
a loro affidato.
È interesse di tutti i cittadini in primo luogo, ma poi anche della classe forense in secondo luogo, che l’esercizio dell’attività di avvocato sia esercitata con perizia e professionalità (aggiunge-
10
App. Milano 16 febbraio 2005.
Trib. Nocera inferiore 2 novembre 2005. Precedentemente v. Cass. 4 dicembre 1990, n. 11612, in Foro it., Rep., 1990,
(voce) Professioni intellettuali, n. 115, la quale però precisava altresì che «nei casi di interpretazione di leggi o di risoluzioni
di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la responsabilità dell’avvocato».
12
Cass. 28 ottobre 2004, n. 20869, in Foro it. Rep., 2004, (voce) Avvocato, n. 118, la quale ha confermato «la responsabilità
professionale dell’avvocato per avere questi proposto domanda di risarcimento danni per responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., dinanzi ad un giudice diverso da quello che aveva deciso la causa di merito, così esponendo il cliente alla soccombenza nelle spese».
13
Trib. Roma 4 giugno 2005.
14
Così, ancora, Cass. 28 ottobre 2004, n. 20869, in Foro it. Rep., 2004, (voce) Avvocato, n. 118; Cass. 11 agosto 2005,
n. 16846, in Rass. forense, 2006, p. 447; e Cass. 27 marzo 2006, n. 6967, in Giust. civ., 2006, I, p. 2036.
15
Così Cass. 14 novembre 2002, n. 16023, in Foro it., Rep., 2002, (voce) Professioni intellettuali, n. 84.
11
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 rei anche con passione, dedizione e senso del dovere), e che siano esecrati e puniti quei casi che
non solo arrecano danno allo sventurato di turno, ma anche offuscano dinanzi all’opinione
pubblica l’immagine del difensore, e il ruolo che questi ha all’interno della funzione giurisdizionale.
Detto ciò (e quindi escluso che ancora oggi possano esser guardati con nostalgia vecchi e superati orientamenti della giurisprudenza secondo i quali l’avvocato non potrebbe mai essere condannato al risarcimento dei danni in quanto «la valutazione di tale responsabilità dovrebbe basarsi su considerazioni meramente ipotetiche») vanno però, a mio parere, date alcune puntualizzazioni.
E la prima credo debba avere ad oggetto l’esigenza di separare i casi nei quali l’avvocato svolge,
al pari di altri professionisti, attività meramente stragiudiziali (assistendo il cliente nella redazioni di contratti, testamenti, regolamenti, statuti, oppure formulando pareri, od ancora assistendolo in assemblee, adunanze, consigli, comitati, ecc.) da quelli nei quali viceversa svolge
attività difensiva dinanzi ad un giudice o ad altro organo esercente una funzione giurisdizionale
Questa contrapposizione, del resto, è già stata recepita dal nostro sistema, visto che si trova nella disciplina in materia di antiriciclaggio di cui al d.lgs. 20 febbraio 2004, n. 56 e al decreto di
attuazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze 3 febbraio 2006, n. 141, ed in quella relativa al trattamento dei dati personali di cui al d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 16.
In entrambi i casi le normative prevedono che gli obblighi di segnalazione in materia di antiriciclaggio, nonché gli obblighi di riservatezza in materia di trattamento dei dati personali, non si
applicano agli avvocati solo quando questi svolgano attività riferibili alla difesa giudiziale e non
sempre o comunque.
L’avvocato, infatti, non ha obbligo di segnalazioni antiriciclaggio quando queste hanno ad oggetto «informazioni ricevute dal cliente, o ottenute riguardo allo stesso, nel corso dell’esame
della posizione giuridica del cliente o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento» (così
l’art. 10, d.m. n. 141/2006 in materia di antiriciclaggio); ed egualmente l’avvocato non ha bisogno del consenso del cliente al fine del trattamento dei dati personali ai sensi dell’art. 24 T.U.
sulla privacy, quando il trattamento dei dati è posto in essere «ai fini dello svolgimento delle
investigazioni difensive o comunque per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria».
La legge, dunque, separa la posizione dell’avvocato difensore rispetto a quella dell’avvocato
(oggi si dice) d’affari: nel primo caso questi ha un trattamento differenziato dovuto alla specificità e particolarità del ruolo; nell’altro è trattato alla stregua di un qualsiasi altro professionista e
assoggettato alla medesima disciplina giuridica.
Credo, allora, che un discorso analogo debba premettersi anche con riferimento alla responsabilità civile dell’avvocato, poiché quando l’avvocato opera al pari di altri professionisti, è evidente che la fonte normativa della sua responsabilità, in caso di errore, non possa che rinvenirsi
negli artt. 1176, 2° comma e 2236 c.c., ovvero nella disciplina generale della materia; ma al contrario, quando l’avvocato svolge funzioni difensive dinanzi al giudice, ed in ogni caso connesse
al diritto costituzionale di cui all’art. 24, par egualmente evidente che la particolarità della funzione non possa non rilevare anche in punto di valutazione della responsabilità.
16
Se si vuole cosa analoga si rinviene anche nella disciplina relativa al patrocinio a spese dello Stato di cui al T.U. in materia
di spese di giustizia n. 115/2002, che prevede, infatti, tale beneficio solo con riferimento alle attività giudiziali ma non anche con riguardo a quelle stragiudiziali.
66
FOCUS 3. Segue) Le differenze tra l’una e l’altra attività forense Ma, dal punto di vista della responsabilità, quali possono essere queste differenze?
a) La prima a me sembra essere questa: che, mentre altri professionisti (si pensi al medico, all’ingegnere, al contabile), se applicano correttamente le regole della propria scienza, non
possono che ottenere quel risultato che la loro scienza considera, cosicché, salvo ipotesi del
tutto eccezionali, il risultato del loro lavoro può essere valutato e considerato in senso obiettivo, il risultato del lavoro dell’avvocato non può essere considerato in senso obiettivo, poiché il responso di esso non è dato da una valutazione obiettiva e scientifica, ma dal parere di
un essere umano, che è il giudice, e che, a sua volta, potrebbe commettere un errore.
Normalmente per il medico, l’ingegnere, il contabile, il mancato risultato è conseguenza
dell’errore professionale; per l’avvocato, al contrario, anche se può essere così, non necessariamente il mancato risultato è conseguenza dell’errore professionale, poiché esso può invece, solo e soltanto, dipendere dall’errore di giudizio del giudice.
In sostanza, mentre il risultato del lavoro degli altri professionisti dipende dalla scienza, il risultato del lavoro dell’avvocato dipende dal giudice, che pure è un professionista.
È questa, anche, la maggiore difficoltà della professione dell’avvocato rispetto alle altre: poiché, mentre il medico, l’ingegnere, o il contabile più bravo non possono che ottenere i migliori risultati, non così è per l’avvocato, poiché anche quello “bravissimo” potrebbe non ottenere risultati utili, visto che tutto è “relativizzato” dall’esito di un giudizio umano.
b) La seconda differenza consiste poi nella diversa struttura della scienza, se così mi è consentito
di dire.
Mentre il medico, l’ingegnere, o il contabile (o gli altri professionisti che possono venire in
mente: l’agronomo, il geologo, il chimico, ecc.) hanno a che fare con una scienza tendenzialmente esatta, che certamente consente valutazioni di opportunità, ma che pur sempre risponde a criteri obiettivi, la scienza giuridica è quanto di più relativo possa esistere, assomiglia molto più ad un’arte che non ad una scienza, anche se non consente la creatività tipica
dell’arte.
Il risultato del lavoro forense è pertanto la conseguenza di una doppia relatività (che non
sussiste, o sussiste in maniera molto più attenuata, nelle altre professioni), atteso che dipende non solo dal giudizio di un essere umano quale il giudice, ma anche si fonda su criteri incerti, e normalmente opinabili.
c) La terza differenza è che mentre gli altri professionisti hanno dinanzi a sé solo la loro scienza, che devono conoscere e applicare nel miglior modo possibile, l’avvocato ha dinanzi a sé
un avversario, che lo contraddice anche quando ha ragione, e che tenta di ottenere un proprio risultato utile anche quando ha torto.
Caratteristica della professione forense, pertanto, che non sussiste per le altre professioni, è
quella dello scontro e della lite 17.
Il lavoro dell’avvocato, infatti, prima ancora di esser giudicato dal giudice, viene giudicato
dall’avvocato avversario; e per questi è fisiologico che il lavoro del collega sia sempre errato e
illogico, anche quando, magari, e tutto al contrario, è corretto e privo di errori.
Si ha, così, una terza relatività che caratterizza la professione forense rispetto alle altre: poiché il
prodotto del lavoro dell’avvocato, come detto, non solo non è rimesso alla scienza ma al parere
17
Illuminante, per questa aspetti, è ancor oggi la lettura di F. CARNELUTTI, Vita da avvocato. Mio fratello Daniele in difesa di
uno sconosciuto, Giufffrè, Milano, 2006, p. 48: «Un medico, un ingegnere, un insegnante, un filosofo può illudersi di giudicare e di non essere giudicato; un avvocato no».
67
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 di un essere umano, non solo dipende da criteri incerti e normalmente opinabili, ma anche si
sviluppa in un terreno di scontro, che certo non agevola la migliore conduzione dell’opera professionale 18.
4. Segue) E le conseguenze in punto di responsabilità Che conseguenze ha tutto questo?
A mio parere ne ha una più generale e una più attinente al tema che stiamo trattando.
a) In via generale è solo parzialmente corretto (per non dire che è scorretto) accumulare allora
la professione del difensore alle altre professioni.
Non solo, infatti, il lavoro dell’avvocato-difensore è diverso perché attiene ad un bene fondamentale della vita che è garantito costituzionalmente ed ha ad oggetto la collaborazione
nell’esercizio della funzione giurisdizionale, ma anche, e forse soprattutto, perché l’attività
di difesa possiede le peculiarità che sopra abbiamo sinteticamente riportato, e che fanno di
essa qualcosa di unico, e non assimilabile a nessun altro tipo di lavoro professionale.
b) La seconda conseguenza attiene proprio alla responsabilità., poiché mentre, senz’altro, una
lettura piana e grigia degli artt. 1176, 2° comma e 2236 c.c. può darsi con riferimento all’avvocato d’affari, con riguardo all’avvocato-difensore è probabilmente necessaria una lettura
più attenta e specifica delle norme che disciplinano la responsabilità civile della sua attività
professionale.
Normalmente, infatti, la giurisprudenza ha tenuto conto di questo, limitando i casi di condanna
e di accertamento delle responsabilità per gli avvocati-difensori a fattispecie di solare evidenza.
Nessuna critica all’operato dei giudici, che anzi, in passato, sono stati (forse) troppo permissivi.
Si vuole solo ricordare che nell’accertamento della responsabilità professionale di un avvocato
che abbia svolto attività di difesa giudiziale la prudenza è d’obbligo, poiché tutti gli elementi di
relatività che caratterizzano la sua professione, non possono poi non essere anche tutti elementi di relatività che caratterizzano la sua responsabilità.
5. La responsabilità civile del difensore per l’infrazione delle norme deontologiche Se questo da una parte è vero, dall’altra deve essere parimenti vero che l’avvocato deve rispondere civilmente nelle ipotesi di infrazione delle norme deontologiche 19.
Ed infatti, in conseguenza della decisione delle S.U. 20 dicembre 2007, n. 26810 20 il rapporto
tra responsabilità deontologica e responsabilità civile assume connotati nuovi, sui quali è necessaria una riflessione.
Precedentemente, i rapporti tra le due responsabilità si potevano configurare nei termini di una
netta separazione, e ciò nel senso che l’illecito deontologico non si poteva considerare, di per
18
Queste riflessioni sono oggi avvalorate dalla sentenza della Corte cost. 21 novembre 2006, n. 390, cit., la quale ha affermato
che la scelta legislativa in materia di incompatibilità di cui alla l. n. 339/2003 di differenziare la professione forense dalle altre professioni intellettuali, non è da considerare di «manifesta irragionevolezza ... non potendo ritenersi priva di qualsiasi
razionalità una valutazione – operata dal legislatore – di maggior e pericolosità e frequenza di tali inconvenienti quando la
commistione riguardi la professione forense».
19
V. già sul punto G. SCARSELLI, La responsabilità civile del difensore per l’infrazione della norma deontologica, in Foro it.,
2009, I, c. 3168; e in ID., Per un ritorno al passato, Giuffrè, Milano, 2012, p. 329 ss.
20
In Giust. civ., 2008, I, p. 2167; e in Foro it., 2009, I, c. 3168, con mia nota a sentenza.
68
FOCUS sé, anche illecito civile, e poteva essere tale solo nelle ipotesi in cui in concreto, e caso per caso,
il fatto avesse comportato anche la violazione di una norma dell’ordinamento civile 21.
In questi casi, e solo in questi casi, dall’illecito seguiva per l’autore tanto una responsabilità civile quanto una responsabilità deontologica. Ma se l’illecito deontologico non arrivava a costituire anche illecito civile, dal fatto, al contrario, non poteva che discendere la sola responsabilità
deontologica, con esclusione di ogni possibile, contestuale, giudizio civile di responsabilità.
Ora, i termini della questione appaiono un po’ mutati a seguito della decisione delle Sezioni
Unite sopra richiamate, in quanto queste hanno affermato che le norme del codice deontologico forense sono fonti normative e non soltanto regole interne della categoria, e/o espressione
di poteri di autorganizzazione degli ordini.
Cosicché, se la loro violazione è la violazione di una “fonte normativa”, e non solo più violazione di una sola “regola interna della categoria” 22, è evidente che ogni loro infrazione è sempre
anche l’infrazione di un precetto giuridico, e quindi sempre anche un illecito civile.
Ed è evidente che il passaggio della qualificazione della norma deontologica da “regola interna
della categoria” a “fonte normativa” non è privo di conseguenze, e va attentamente valutata per
le potenzialità che essa ha di estendere il campo della responsabilità civile dell’avvocato.
6. La vicenda di cui alle Sezioni Unite Cass. n. 2681/2007 Conviene fare un passo indietro e tornare al caso che ha generato le Sezioni Unite Cass.
n. 26810/2007.
Un avvocato, difensore di un creditore titolare di più cambiali, notifica al debitore non già un unico atto di precetto relativo alle cambiali in possesso del suo cliente, bensì più atti di precetto,
ognuno per ogni cambiale.
A detto difensore, pertanto, viene aperto un procedimento disciplinare per la violazione dell’art. 49 del codice deontologico forense, ovvero per violazione di quella disposizione che vieta
aggravare con onerose o plurime iniziative giudiziali la situazione debitoria delle controparti.
Il legale si difende ritenendo che al caso di specie non possa applicarsi l’art. 49 del codice deontologico.
La questione arriva fino alla Corte di Cassazione e la Cassazione, prima ancora di stabilire se al
fatto può essere applicato o meno l’art. 49 del codice, deve stabilire la natura di detta norma,
anche ai fini dell’ammissibilità della questione sotto il profilo dell’art. 360 n. 3 c.p.c.
21
Così, ad esempio, se un avvocato riceve incarico per proporre una impugnazione e, senza giustificato motivo, non la
propone, va da sé che un simile fatto, contestualmente, configura tanto infrazione di una norma deontologica, quanto violazione del mandato ricevuto, e quindi è idoneo a far sorgere in capo al legale tanto una responsabilità deontologica quanto
una civile. Ma se, al contrario, un legale, in violazione dell’art. 28 del codice deontologico, produce corrispondenza riservata, oppure, in violazione dell’art. 32, impugna una transazione raggiunta con il collega, od ancora, in violazione dell’art. 49,
aggrava con onerose o plurime iniziative giudiziali la situazione debitoria della controparte, ecc. lì non v’è, all’interno della
logica di separazione delle due responsabilità, anche un illecito civile, cosicché i fatti riportati potevano, tutto al più, far discendere per il legale una responsabilità deontologica, ma giammai anche una responsabilità civile.
22
In questo senso infatti erano Cass. 15 febbraio 2006, n. 3287, in Foro it., Rep., 2006, (voce) Professioni intellettuali, n. 236
e in Vita not., 2006, 1, p. 378, per la quale le norme deontologiche «si riferiscono a precetti extragiuridici, ovvero a regole
interne alla categoria, e non ad atti normativi»; e soprattutto Cass., S.U., 10 luglio 2003, n. 10842, in Foro it., Rep., 2003,
(voce) Avvocato, n. 163, e in motivazione in Foro it., 2003, I, c. 2985, per la quale «Le disposizioni dei codici deontologici
predisposti dagli ordini professionali, se non recepite dal legislatore, non hanno né la natura né le caratteristiche di norme
di legge, come tali assoggettabili al criterio interpretativo di cui all’art. 12 delle preleggi, ma sono espressione di poteri di autorganizzazione degli ordini».
69
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 E la Cassazione asserisce, appunto, che il codice deontologico, e quindi anche l’art. 49, è fonte
normativa integrativa di precetto legislativo, che attribuisce da una parte al consiglio nazione
forense il potere disciplinare in sede giurisdizionale, e dall’altra parte alla Corte di Cassazione la
possibilità di interpretare direttamente tali norme quale giudice della legittimità.
In forza di questa pronuncia, pertanto, è possibile fissare due punti: a) il primo è che le norme
del codice deontologico non sono più, o non sono più soltanto, una regolamentazione interna
vincolante per la sola categoria, ma costituiscono viceversa fonte di diritto a tutti gli effetti, ed
in particolare esse possono svolgere la funzione di integrazione di norme legislative in bianco, o
relative a clausole elastiche; b) ed il secondo è che l’interpretazione e l’applicazione del codice
deontologico forense costituisce attività di applicazione del diritto, cosicché su detta applicazione può esser proposto ricorso per cassazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione o falsa applicazione di norme.
Da qui, però, per teorizzare in via generale che la responsabilità deontologica è sempre anche
responsabilità civile occorre compiere un ulteriore passo, e si rende a tal fine quanto meno necessario separare la responsabilità civile contrattuale dalla responsabilità civile extracontrattuale: l’una, che l’avvocato può avere nei confronti del cliente, l’altra, che l’avvocato può avere nei
confronti di soggetti terzi, ad esempio, la controparte, oppure il legale della controparte, o addirittura il giudice, il CTU, il teste.
7. La responsabilità contrattuale per violazione della norma deontologica Circa la sussistenza di una responsabilità contrattuale in presenza della violazione di una norma
deontologica, non dovrebbero più sussistere dubbi 23.
Se, infatti, in base alla legge, il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1373 c.c.),
e l’obbligazione va adempiuta usando la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1176 c.c.), e
l’obbligato (rectius: l’avvocato) deve comportarsi secondo correttezza (art. 1175 c.c.) 24, e se, come ha precisato la Cassazione, le norme deontologiche integrano tali clausole generali e/o elastiche, va da sé che la violazione deontologica comporta la violazione di dette norme, in quanto la
norma deontologica non è altro che il contenuto specifico della disposizione di legge generica 25.
Ovviamente, non una qualsiasi violazione del codice deontologico forense può costituire per
l’avvocato responsabilità contrattuale bensì solo quelle che possano considerarsi in connessione con il mandato ricevuto 26; ma se la connessione sussiste, e la norma deontologica è stata
23
V. ancora U. PERFETTI, La responsabilità deontologica, in Rass. forense, 2006, p. 961.
V. L. MENGONI, Responsabilità contrattuale (dir. vig.), in Enc. dir., 1988, XXXIX, p. 1072 ss.; A. DI MAJO, Responsabilità
contrattuale, in Dig. IV disc. priv., 1998, XVII, p. 25 ss.
25
Si pensi, ad esempio, all’art. 1727 c.c. in tema di rinuncia al mandato senza giusta causa rispetto all’art. 47 del codice
deontologico forense che regola detto fenomeno; oppure si pensi all’art. 1337 c.c., che impone alle parti di agire secondo
buona fede anche nelle trattative per giungere alla stipulazione del contratto, rispetto all’art. 40 del codice deontologico
che impone all’avvocato precisi e puntuali obblighi di informazione; oppure, ancora, si pensi al caso dell’art. 1176 c.c. sulla
diligenza del buon padre di famiglia rispetto agli artt. 41 e 42 del codice deontologico circa gli obblighi dell’avvocato nella
gestione del denaro altrui o nei doveri conseguenti la restituzione dei documenti.
Così, se l’avvocato rinuncia al mandato senza adeguato preavviso non vìola solo l’art. 47 del codice deontologico forense
ma anche l’art. 1727 c.c.; se l’avvocato non espone con chiarezza al cliente i rischi, i costi ed i tempi di una certa controversia non vìola solo l’art. 41 del codice deontologico ma anche l’art. 1337 c.c.; se l’avvocato, infine, trattiene oltre il tempo
certi denari, o non restituisce i documenti ricevuti e richiesti, non vìola solo gli artt. 41 e 42 del codice deontologico ma
anche l’art. 1176 c.c.
Il tema è ampiamente sviluppato da U. PERFETTI, op. cit., p. 961 ss.
26
In generale dovrebbero escludersi quelle norme che attengono alla persona più che alla attività: ad esempio l’obbligo de24
70
FOCUS violata, automaticamente il comportamento tenuto può esser considerato fonte di responsabilità contrattuale.
Né a ciò può obiettarsi che possono sussistere obblighi deontologici di così scarsa rilevanza, o
di così poca consistenza, da non poter, da soli, comportare per l’avvocato inadempimento contrattuale (ma solo, appunto, e se del caso, responsabilità deontologica dinanzi agli organi di disciplina).
Al contrario, nel momento in cui si attribuisce alle norme deontologiche valore di norme giuridiche, e nel momento in cui l’avvocato deve adempiere al mandato ricevuto nel rispetto
dell’ordinamento inteso come rispetto della legge e di ogni altra fonte di diritto, ne segue che
l’assunzione dell’incarico comporta automaticamente anche l’assunzione del dovere di rispettare la deontologia professionale; cosicché il mancato rispetto di un qualunque precetto deontologico che abbia connessione con l’attività da svolgere, comporta infrazione ai doveri assunti
con il cliente, e conseguentemente fa seguire la responsabilità civile.
8. Segue) E la responsabilità extracontrattuale per la violazione della norma deontologica Più articolato deve essere il discorso con riferimento alla responsabilità extracontrattuale in
presenza della sola violazione di una norma deontologica.
In questo caso le norme deontologiche andrebbero messe in connessione con l’art. 2043 c.c.,
consentendo l’azione di responsabilità civile al terzo danneggiato dal comportamento deontologicamente scorretto tenuto dall’avvocato (normalmente della parte avversa) 27.
Quid iuris?
Da un punto di vista meramente astratto, una volta riconosciuta la natura di “fonte normativa”
alla norma deontologica, non vi sono ragioni per escludere che la violazione della regola deontologica possa esporre l’avvocato (anche) ad una azione di responsabilità extracontrattuale 28.
Ed infatti, se il mancato rispetto del precetto deontologico è atto illecito (in quanto atto commesso in violazione di una norma giuridica), e produce un danno ad un terzo, e v’è nesso di
causalità tra l’atto illecito (che in base all’art. 3 del codice deontologico è sempre da considerare atto doloso), e il danno che il terzo ha subito, vi sono tutti gli elementi della fattispecie tratteggiati dal legislatore con l’art. 2043 c.c., e quindi vi sono tutti i presupposti affinché possa scaturire responsabilità extracontrattuale.
gli adempimenti previdenziali e fiscali (art. 15), i doveri che l’avvocato ha con il consiglio dell’ordine (art. 24), con i collaboratori dello studio (art. 25), con i praticanti (art. 26), ecc. ...; e dovrebbero escludersi, di nuovo, quelle norme deontologiche pure a contenuto generico ed elastico: ad esempio il dovere di probità, dignità, decoro (art. 5), il dovere di lealtà e
correttezza (art. 6), il dovere di diligenza (art. 8), ecc.
È evidente che tutto deve esser valutato caso per caso, ma, in generale, resta il principio in forza del quale l’avvocato che
vìoli un precetto deontologico in connessione e/o causalità con il mandato ricevuto infrange, per ciò solo, i doveri contrattuali che ha con il cliente, e risponde dinanzi a questi per responsabilità civile (oltre che di fronte agli organi forensi per responsabilità disciplinare).
27
Ad esempio: il legale che in violazione dell’art. 28 del codice deontologico produca in giudizio corrispondenza riservata
procurando un danno alla controparte si esporrebbe all’azione di risarcimento danni ex art. 2043 c.c. promossa contro di
lui proprio dalla controparte.
Egualmente, il legale che in violazione dell’art. 51 del codice deontologico agisca nei due anni contro un ex cliente, oppure
il legale che in violazione dell’art. 49 del codice deontologico aggravi con onerose o plurime iniziative giudiziali la situazione debitoria della controparte, o ancora l’avvocato che in violazione dell’art. 37 del codice deontologico agisca in una situazione di conflitto di interesse, ecc. si esporrebbe all’azione ex art. 2043 c.c. da parte del soggetto danneggiato (normalmente, ancora, la controparte o il suo difensore).
28
V. C. SALVI, Responsabilità extracontrattuale (dir. vig.), in Enc. dir., 1988, XXXIX, p. 1186 ss.
71
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 A ciò si potrebbe solo obiettare che, fatta eccezione per quei casi nei quali il difensore agisca
senza procura 29, l’avvocato non risponda degli atti del mandato, poiché di essi risponde il cliente quale mandante 30; cosicché, in ogni caso, e tutto a voler concedere, del presunto atto illecito
risponderebbe la parte assistita e non il suo difensore (il quale, al massimo, potrebbe esser
chiamato in giudizio in garanzia) 31.
Il fatto è che la qualificazione di “fonte normativa” alla norma deontologica, unitamente al fatto
che il mandato attribuito dal cliente all’avvocato trova un limite nel rispetto delle leggi e delle
altri fonti normative, fa discendere un ulteriore principio (che dovrebbe essere scontato), secondo il quale il mandato non copre gli atti illeciti, ma solo quelli leciti; cosicché se il pregiudizio discende da atto illecito, di esso non può che rispondere l’avvocato, poiché il mandato non
si estende a tanto 32.
Dunque: il mandato nel rispetto dei limiti dell’ordinamento, e la violazione del codice deontologico quale atto illecito oltre il mandato, del quale deve rispondere personalmente l’avvocato.
9. Conclusioni Questo punto di arrivo ha, a parere di chi scrive, una enorme importanza, non soltanto perché,
creando una corrispondenza tra illecito deontologico ed illecito civile, moralizza e qualifica
l’attività del difensore, ma anche perché finalmente rende la norma deontologica una norma di
tutti, e ciò in concreto e ad ogni effetto e non solo a parole, atteso che oggi, tutti, infatti, possano far valere in giudizio le norme deontologiche per l’azione civile di responsabilità contrattuale e extracontrattuale.
Ed anzi alla luce di ciò, il legislatore dovrebbe nuovamente meditare su talune norme che addossano alla parte atti deontologicamente scorretti del difensore, e come tali non riconducibili al
mandato ricevuto. E faccio riferimento al caso del comportamento strettamente personale quale
l’uso di espressioni sconvenienti ed offensive, delle quali viceversa risponde la parte ex art. 89
c.p.c., pur evidentemente non essendo tali comportamenti riconducibili al mandato, perché certo
il cliente non dà mandato al difensore perché questo maltratti od oltraggi soggetti terzi.
In futuro dovremmo aver chiaro: a) che la violazione della norma deontologica costituisce atto
illecito a tutti gli effetti; b) che il mandato ricevuto dal cliente trova un limite nel rispetto dell’ordinamento; c) e che pertanto le conseguenze pregiudizievoli dell’attività difensiva, in tanto
possono ricadere sul cliente, in quanto non siano riconducibili ad atti illeciti posti in essere dal
difensore.
29
V. infatti Cass. 10 maggio 2006, n. 10706, in Foro it., 2006, I, p. 3100, con nota di F. CIPRIANI, Sulla condanna del difensore alle spese.
30
Era questa, in origine, la posizione della dottrina classica, v. F. CARNELUTTI, Figura giuridica del difensore, in Riv. dir. proc.,
1940, I, p. 65; e F. SATTA, Forma e sostanza del ministero del procuratore, in Giust. civ., 1958, I, p. 522.
31
In argomento v. recentemente F. CIPRIANI, Errori nella difesa e responsabilità del difensore, in Giusto proc. civ., 2009, p. 1 ss.
32
Su questi aspetti v. ora anche C. PUNZI, Il ministero dell’avvocato, in Riv. dir. proc., 2009, p. 589.
72
FOCUS IL RICONOSCIMENTO DELLA SPECIALIZZAZIONE NELLA NUOVA LEGGE PROFESSIONALE: L. N. 247/2012 Sintesi della Tavola Rotonda tra: AIAF‐Luisella Fanni; UNCC‐Renzo Menoni; UCPI‐Manuela De Orsola; AGI‐Fabio Rusconi; UNCAT‐Erminio Rettus Luisella Fanni
Avvocato in Cagliari, Presidente AIAF
Luisella Fanni,
ricorda il grande interesse dell’avv. Milena Pini per questo tema e la sua ferma volontà nell’organizzare questo incontro con i colleghi delle associazioni specialistiche, con alcune delle quali
(UCPI, UNCAT, AGI) è stata costituita, per iniziativa sia della presidenza Marino che di Milena Pini la società Gnosis srl, che gestisce l’organizzazione delle Scuole di Alta Formazione, a
Milano e a Roma, avviate ormai a loro secondo biennio. Precisa, a prescindere dalle eventuali
critiche, che la nuova legge ha finalmente introdotto il principio della specializzazione (art. 9),
ha dato riconoscimento formale alle Libere Associazioni Forensi e le ha coinvolte nella responsabilità per la formazione, l’aggiornamento e la specializzazione degli avvocati (artt. 29, lett. e),
35, lett. l) e ss); il CNF ha già emanato l’11 aprile 2013 il regolamento che istituisce e disciplina
l’elenco delle associazioni forensi specialistiche maggiormente rappresentative, in attuazione
dell’art. 35, 1° comma, lett. ss) della l. n. 247/2013 – e l’AIAF ha già inoltrato la sua richiesta di
esservi iscritta 1.
Renzo Menoni,
ricordando l’importanza dell’operato di Milena Pini e di Marina Marino nella battaglia per il riconoscimento delle specializzazioni, esprime una severa critica per il testo normativo, che ha
ridimensionato notevolmente il ruolo delle associazioni specialistiche, riconosciuto dal vecchio
testo dell’art. 9 uscito dal Tavolo dell’Avvocatura; questo prevedeva corsi di alta formazione
gestiti in autonomia dalle associazioni maggiormente rappresentative, sia pure doverosamente
sotto il controllo del CNF e con un esame finale presso il CNF, ma con dei commissari designati anche dalle stesse associazioni, che assumevano così un ruolo incisivo nel settore. Ricorda
che le modifiche apportate all’art. 9 hanno determinato una grande delusione tra le associazioni
tanto che le Camere Penali ruppero il fronte, sino ad allora unanime, per sostenere l’approvazione della legge.
Evidenzia che il nuovo art. 9 sposta presso le Università i corsi biennali di alta formazione per
acquisire il titolo, anche se poi la legge recupera il ruolo delle associazioni nella consultazione
con le stesse, che il CNF (unico soggetto legittimato a rilasciare il titolo) deve attivare prima di
1
Nella seduta amministrativa del 24 maggio 2013 il CNF ha deliberato l’iscrizione dell’AIAF nell’elenco delle associazioni
forensi maggiormente rappresentative.
73
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 dare il suo parere al regolamento ministeriale; ed inoltre l’art. 29 prevede che i Consigli dell’Ordine organizzino corsi di formazione e specializzazione d’intesa con le associazioni specialistiche. Da ultimo l’avv. Menoni critica fortemente il secondo canale, previsto dalla normativa,
per acquisire il titolo di specialista (almeno 8 anni di iscrizione all’albo e 5 di pratica della materia) in quanto potrebbe determinare la possibilità che tutti diventino specialisti, annullando così l’utilità stessa della specializzazione. Esprime speranza nell’intervento del ministero della giustizia e nella collaborazione e controllo del CNF.
Manuela De Orsola,
porta i saluti del Presidente Spigarelli e subito contesta che le camere penali abbiano rotto il
fronte con le altre associazioni a seguito delle modifiche all’art. 9 e rivendica il lavoro della sua
associazione per cercare di migliorare fino all’ultimo minuto possibile la legge stessa, riaprendo
spazi per l’intervento delle associazioni nella formazione e specializzazione; ritenendo che per
la loro antica esperienza sul campo fossero le più titolate a predisporre i corsi di specializzazione per i propri iscritti. Così è avvenuto e le associazioni potranno agire nella formazione e specializzazione attraverso la collaborazione con il CNF e con i consigli dell’ordine. Informa che
l’UCPI nella seduta del 19 aprile 2013 è stata già inserita dal CNF nell’elenco delle associazioni
forensi specialistiche maggiormente rappresentative, che ha già stipulato una convenzione con
l’Università Sapienza di Roma per organizzare i corsi di specializzazione ed inoltre proprio oggi
ha firmato (è il motivo dell’assenza del suo presidente ai nostri lavori) un protocollo d’intesa
con il CNF, che riconosce l’attività di alta formazione già svolta dall’UCPI con i suoi corsi e con
la sua scuola, nonché la loro valenza scientifica per il conseguimento del titolo di specialista. Insomma è un primo passo per non venire esautorate dalle Università, chiamandole a collaborare
nel riconoscimento che la formazione specialistica appartiene alle nostre associazioni, che si
sono qualificate nel tempo con la formazione 2.
Renzo Menoni,
rileva che non essendoci ancora i regolamenti ministeriali si può correre il rischio di realizzare
esperienze difformi dalla futura normativa e di avere scuole che potrebbero non rispondere ai
requisiti che saranno richiesti. Precisa che questo è un suo dubbio personale e non una censura
all’operato delle Camere Penali che, anzi, ringrazia per la loro correttezza e la loro trasparenza e
per avere sempre messo a disposizione di tutte le associazioni il loro operato.
Luisella Fanni,
solleva il problema della gratuità prevista dall’art. 29 e ne rileva l’incongruenza con il fine che si
propone la norma, e cioè una formazione e specializzazione seria e di qualità che non può certamente sostenersi con il volontariato puro, a cui ricorrono spesso le associazioni; per poterla
realizzare deve potersi fare fronte ai costi di docenze altamente qualificate e a quelli di organizzazione delle scuole. Lo stesso CNF potrebbe proporre una interpretazione adeguata della
norma, tanto più che i suoi autorevoli rappresentanti, consapevoli del problema, precisano che
gratuità equivale a senza scopo di lucro e pertanto si deve ritenere non ricomprenda i costi necessari al recupero delle spese vive, come conferma anche la collega De Orsola e su cui concorda il collega Menoni precisando anzi che già il CNF lo ha esplicitato in sede regolamentare.
2
Nella seduta del 19 luglio 2013 il CNF ha approvato il protocollo d’intesa con AIAF, che promuove l’organizzazione dei
corsi di formazione specialistica nelle discipline gestite dall’AIAF per il tramite della scuola di Alta Formazione e finalizzati
all’acquisizione del titolo di specialista in diritto di famiglia, minorile e delle persone.
74
FOCUS Fabio Rusconi,
ricorda che le nostre associazioni, nell’incontro del 3 luglio 2012 in tema di specializzazione
(come ebbero coraggio di chiamarla da subito i penalisti), introdussero una forzatura definendo l’attestato finale rilasciato dalle scuole di alta formazione «certificazione dell’avvocato ... – certificato AGI ... o UNCAT o AIAF»; questo in attesa della nuova legge professionale e per mandare al parlamento il messaggio che gli avvocati potevano agire anche in autonomia. Ma il punto
qualificante della specializzazione stà nel fatto che non è una prerogativa professionale ma risponde a una indefettibile esigenza della società e dei cittadini. Significa competenza e partecipazione a un processo virtuoso per la tutela di un bene comune, quale è ad esempio la giurisdizione che non può prescindere da operatori qualificati. Lo specialista deve essere un avvocato
con una esperienza vissuta sul campo e le scuole devono offrire un percorso dotato di un fortissimo apporto pratico pur se sostenuto dalla necessaria teoria, come avviene nelle nostre scuole,
che esistono da tempo e hanno diritto ad essere riconosciute. C’è sicuramente il rischio che la
legge potrebbe lasciare aperta la strada anche a scuole di altra natura, ma sarebbe un grave danno per la società più che per noi. Da ultimo una critica al limite d’età, 60 anni di età o 25 anni di
iscrizione all’albo, che la legge pone per l’esonero dall’obbligo della formazione che invece, per
chi continua a esercitare la professione, ha necessità di un aggiornamento continuo e costante.
Conclude esprimendo fiducia nelle possibilità che la nuova legge offre, anche attraverso le convenzioni con le università e il CNF, di riconoscere e accreditare la valenza scientifica e formativa delle nostre scuole, riconoscendo alle Camere Penali l’utilità per tutti noi della loro attività
di “apripista”.
Erminio Rettus,
porta i saluti del presidente Tumietto, impossibilitato per motivi di salute e quelli della Camera
degli avvocati tributaristi di Bologna. Ricorda che il 3 luglio 2012 tutte le associazioni presenti
convocarono in Roma una conferenza proprio per rilanciare il tema della specializzazione, una
necessità e una opportunità per i giovani e i meno giovani, un servizio per i cittadini. Riconosce
che si è temuto che l’università ci usurpasse il ruolo della formazione; ritiene che i professionisti si devono formare a bottega e che nelle scuole si deve concludere il loro percorso formativo
specialistico. Guarda con simpatia alla fuga in avanti dei penalisti e vuole che gli universitari ci
aiutino nel percorso formativo ma non che ne siano gli attori principali. Riferisce di una importante esperienza di collaborazione con l’università in Bologna, proprio per formare i giudici tributari, e di una convenzione per lo studio del diritto tributario internazionale, dove l’università
fa le lezioni teoriche e gli avvocati tributaristi in tavole rotonde del sabato portano all’analisi e
alla discussione casi concreti, alla presenza di tutti i soggetti interessati. Ritiene che sia un dovere dell’associazione occuparsi degli avvocati che si vogliono specializzare e che sia necessaria
una formazione interdisciplinare per offrire ai cittadini il miglior servizio possibile. Un avvocato deve sapere leggere un bilancio e una dichiarazione dei redditi e i corsi di formazione devono tenerne conto.
Luisella Fanni,
l’AIAF è consapevole della necessità di una formazione interdisciplinare e lo precisa da sempre
proprio nel suo statuto. Molti pensano, sbagliando, come ha stigmatizzato ieri il rappresentante
del CNF, che il diritto di famiglia sia un diritto facile e che la nostra attività professionale si limiti al campo delle sofferenze relazionali tra le persone, ma anche in questo occorrono competenze non solo legali. La famiglia, legale o di fatto, tanto più con la nuova legge sulla filiazione, è
un centro di interessi di natura emotiva, di natura affettiva, ma anche di natura economica. In
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 tutte le nostre sedi, più volte e da tempo, sono stati organizzati corsi di formazione e di studio
su Famiglia e Fiscalità, con la collaborazione e la partecipazione di colleghi tributaristi, di commercialisti ed anche di funzionari degli uffici finanziari. Abbiamo pubblicato anche un quaderno sulla materia sin dal 2006 Le questioni fiscali nei procedimenti di diritto di famiglia e l’AIAF Lazio
è stata l’apripista nel settore, seguita da quasi tutte le nostre sedi regionali. Il diritto di famiglia ha
un raggio d’azione molto ampio e richiede una specializzazione approfondita e un aggiornamento costanti. Anche per questo l’AIAF, che rappresentavo negli incontri organizzati dal CNF nello scorso marzo a Roma, ha espresso una posizione critica, su cui oggi qui tutti concordiamo, per
l’esonero dalla formazione continua dopo 25 anni di iscrizione all’albo o dopo i 60 anni d’età,
previsto dalla nuova legge professionale (art. 11, 2° comma). Ma oltre le osservazioni critiche
bisogna riuscire a trarre dalla legge, che ora abbiamo, la maggiore utilità possibile e a chi critica
l’introduzione della specializzazione, quasi fosse un vulnus alla libertà della professione, bisogna ricordare che la norma non introduce alcuna riserva in favore degli avvocati specializzati
che, ottenuto il titolo, ora hanno pieno diritto di fare conoscere la loro competenza specialistica. C’è finalmente il diritto di farlo sapere e il dovere di informare il cittadino, superando quella
asimmetria, formativa e informativa, che divide i professionisti da chi non è del settore e che
non può certamente essere superata dalle notizie che si acquisiscono su internet e dall’illusione,
o presunzione, di potere fare da soli, per poi giungere da noi quando gli errori sono difficilmente rimediabili. Questo si è un vero pericolo per le persone su cui dobbiamo sensibilizzare la
pubblica opinione.
Renzo Menoni,
un piccolo flash sull’obbligo di formazione, che è stato un po’ svuotato con gli esoneri di cui si è
parlato. Paghiamo un errore di impostazione del CNF, che noi come Camere Civili, e non solo
noi, avevamo indicato perché bisognava distinguere tra formazione e aggiornamento; è ben vero che l’avvocato a 50 anni non deve essere più formato, sarà l’avvocato giovane che deve esserlo, ma sin che esercita la professione deve essere sempre aggiornato. Il CNF ha ritenuto di usare promiscuamente questi due termini e di non distinguere tra formazione e aggiornamento e
adesso occorre intervenire attraverso i regolamenti, o eventuali modifiche legislative, perché è
vero che la formazione a una certa età si ferma, ma l’aggiornamento deve continuare sino a
quando un avvocato esercita. A maggior ragione se si vuole essere specialisti e mantenere il titolo occorre non solo dare e superare l’esame o dimostrare di averne i requisiti, ma essere sempre aggiornati ché altrimenti si usurperebbe il titolo.
Erminio Rettus,
forse su questo punto, l’obbligo di formazione e i suoi esoneri, è stata utilizzata una criticabile
posizione di altri ordini professionali, (salvo errori commercialisti o ragionieri commercialisti)
nei quali il superamento dei 60 o 65 anni fa cessare l’obbligo di formazione. Ribadisco la necessità dell’aggiornamento costante e interdisciplinare.
Manuela De Orsola,
riprendo le osservazioni di Luisella sulle critiche alla specializzazione, vista solo come la possibilità di procurarsi un bacino clientelare in danno all’avvocatura cosiddetta generalista e agli interessi
dei giovani avvocati, e non invece come un diritto dei cittadini di potere avere garanzie sulla
competenza del professionista. Ma segnalo anche la necessità per i professionisti, i giovani in particolare, di acquisire una competenza specialistica, sostenuta, ovviamente, da una solida preparazione generale di base. È il mercato stesso che la richiede, anche se è difficile per tutti, anche per
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FOCUS noi avvocati, adattarci ai cambiamenti che i tempi ci impongono. Insisto però che la specializzazione è destinata ai giovani, anche perché dopo 30 anni di professione è forse molto più difficile,
ma non impossibile, che si abbia ancora voglia di frequentare corsi e andare a scuola.
Fabio Rusconi,
concordo sulle osservazioni di chi mi ha preceduto e ricordo che il controllo della continuità,
effettività, abitualità e prevalenza è uno dei compiti del Consiglio dell’Ordine previsto dall’art.
29, lett. g) e rilevo che sono gli stessi contenuti previsti dall’art. 9, 4° e 5° comma in relazione al
percorso professionale che può condurre al riconoscimento della specializzazione. Resta il fatto,
Renzo ha ragione, che ci vuole una verifica, anche periodica, dell’effettività professionale che si
gioca sull’aggiornamento, ché altrimenti non si capisce in che cosa consiste questo modo di acquisire la specializzazione.
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 CONCLUSIONE DEI LAVORI: L’IMPORTANZA DI UNA LEADERSHIP AFFIDABILE E RICONOSCIUTA Luisella Fanni
Avvocato in Cagliari, Presidente AIAF
Mi pare che si possano chiudere anche i lavori di questa sessione e ringrazio innanzitutto i colleghi che hanno partecipato e che, escluso il fiorentino Rusconi, ci hanno raggiunto dalle loro
sedi lontane: da Torino l’avv. De Orsola, da Parma l’avv. Menoni, da Bologna l’avv. Rettus. Con
l’augurio che presto possiamo vedere realizzate le ulteriori tappe del nostro comune percorso
per la specializzazione degli avvocati e per la vita delle nostre Scuole di Alta Formazione.
L’AIAF affronta domani la fase congressuale di approvazione delle linee programmatiche e di
rinnovamento dei suoi organismi dirigenti per il prossimo triennio. È per noi una giornata molto importante, riservata ai delegati per le operazioni di voto, ma aperta ai soci che hanno piacere di parteciparvi; la loro presenza sarà graditissima. Spero che tra ieri e oggi tutti abbiano tratto una qualche utilità dal tempo impegnato a seguire i lavori congressuali.
Tanti anni fa un articolo de Il Sole 24 Ore, nell’analizzare il ruolo e la funzione delle libere associazioni, con particolare attenzione a quelle di categoria e sindacali, rilevava che queste organizzazioni, fondamentali nella vita democratica di un paese, resistono se sanno affrontare i problemi non in termini corporativi ma con riferimento alla loro funzione sociale, e conservano la
fiducia dei loro aderenti e ne conquistano di nuovi se la loro attività è percepita come socialmente utile e hanno dirigenti che godono del loro rispetto e della loro fiducia.
Oggi l’avv. Stumpo, nella sua interessante relazione, ha toccato più volte il tema della leadership
ricordando che leadership viene da to lead, cioè dare la direzione, individuare gli obiettivi; in
una logica di ricerca del coinvolgimento, garantendo un clima sereno e una competizione sana all’interno dell’organizzazione, operando perché le persone si identifichino nel perseguire l’interesse dell’organismo; sviluppando autocontrollo, adattabilità, flessibilità nelle relazioni, capacità
di coinvolgimento, spirito di iniziativa, accuratezza, competenza, spirito di collaborazione, capacità di gestire il conflitto e la negoziazione; valorizzando il capitale umano a tutti i livelli, facendo
emergere i talenti e non reprimendoli; cercando le alleanze giuste al momento giusto; raggiungendo risultati utili per i suoi aderenti.
Raccolgo, per quanto mi riguarda, questo messaggio e queste indicazioni che valgono per tutti
coloro che nell’associazione, a livello regionale o nazionale, hanno responsabilità di dirigenza e
spero che si possa creare questo clima di affidamento e fiducia reciproca che consentirà un competente ricambio generazionale e farà vivere a lungo nel tempo questa associazione, se i suoi soci
ne riconosceranno utilità e affidabilità.
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EUROPA LA FORMAZIONE E SPECIALIZZAZIONE DELL’AVVOCATO PER LA FAMIGLIA E I MINORI: UNO SGUARDO SULL’EUROPA INGHILTERRA Simonetta Agnello Hornby
Avvocato in Inghilterra
Sommario: 1. Quali i percorsi di studio per diventare avvocato. – 2. Quali i percorsi per diventare avvocato per la
famiglia e i minori: ci sono norme specifiche dello stato o solo degli ordini forensi o associazioni, oppure è una
scelta volontaria che si misura solo con il mercato? – 3. Come funziona il patrocinio per i non abbienti? – 4. Come
si organizza lo studio legale: come attività individuale o anche in forma societaria? – 5. Ci sono norme deontologiche particolari per gli avvocati specializzati nel nostro settore, in particolare riferite ai minori?
1. Quali i percorsi di studio per diventare avvocato In Inghilterra esistono due categorie di avvocati. I Solicitors, a cui appartengo, che sono anche
notai e si occupano di compravendita. Il loro ordine è chiamato Law Society e sono il primo
punto di riferimento del cliente. Il Barrister invece è uno specialista e patrocinatore e riceve il
mandato dal Solicitor che dovrà pagare i suoi compensi (dunque non il cliente direttamente).
Lavora in associazioni con altri Barristers, da luoghi specificati dal proprio ordine, la Bar Association. Possono operare soltanto da luoghi e città specificati dall’Alta Corte. L’amministrazione e approvazione degli uffici individuali fa parte delle competenze della Bar Association. A
Londra per esempio lavorano dagli Inns of Court, raggruppati intorno all’Alta Corte.
I percorsi di studio per diventare avvocato, unificati di recente per Solicitors e Barristers, sono
offerti da varie università in tutto il Paese.
In entrambi i casi le materie fondamentali per i corsi universitari sono:
Diritto civile, Diritto penale, Diritto pubblico, Diritto dell’Unione europea, Equità e Diritto dei
trusts (equity and the law of trusts).
Il percorso per diventare Solicitor o Barrister continua dopo la laurea. Per quanto concerne i Solicitors è richiesta la frequenza di un corso (LPC: Legal Practice Course) indispensabile per acquisire le competenze necessarie all’esercizio della professione. Superato il corso, lo stadio finale consiste nella pratica presso uno studio legale.
Percorso analogo, con i dovuti adattamenti, è previsto per accedere alla professione di Barrister.
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 2. Quali i percorsi per diventare avvocato per la famiglia e i minori: ci sono norme specifiche dello stato o solo degli ordini forensi o associazioni, oppure è una scelta volontaria che si misura solo con il mercato? Gli ordini forensi e le associazioni, cioè la Law Society e la Bar Association decidono i percorsi
per diventare avvocato e per le specializzazioni tra cui quelle di avvocato di famiglia e dei minori.
La specializzazione è una scelta volontaria dell’individuo. L’ordine può ridurre il numero degli
specialisti sospendendo sia i corsi che gli esami, quando ritiene che il mercato sia saturo.
I requisiti per diventare un Solicitor specializzato sono numerosi e si riferiscono sia all’esperienza che a specifiche doti professionali e morali.
Per i Solicitors specializzati in diritto dei minori e in diritto di famiglia la Law Society prevede Codici di Condotta dettagliati al fine di garantire una condotta professionale esente da conflitti di
interesse e di massima garanzia nei confronti della parti interessate.
3. Come funziona il patrocinio per i non abbienti? 3a. Gli onorari dell’avvocato del minore e dei genitori sono pagati dallo Stato, dalla Legal Services Commission, nota come Legal Aid, che paga anche gli onorari dei periti (neuropsichiatra infantile, psicologo, ecc.) e delle parti che non sono periti del tribunale e non sono nominati dal
tribunale (ma che devono essere approvati dal tribunale altrimenti le loro perizie non saranno
ammesse d’ufficio al processo) sulle basi di un tariffario complesso e nell’insieme poco redditizio.
3b. Conferito il mandato, l’avvocato assume una posizione indipendente da quella del curatore
(v. 5).
3c. In tempi di ristrettezze economiche il patrocinio viene ristretto in modo a volte crudele.
Per esempio, nei casi di violenza fisica, non è automatico a meno che non ci siano danni fisici
più gravi dei lividi, per esempio ferite. Sono imposti tempi di lavoro serrati per ogni fase del lavoro e per ogni ulteriore lavoro e dunque maggiori pagamenti devono essere autorizzati in anticipo. Questo rallenta i tempi, confonde il cliente e impedisce che si faccia un lavoro decente.
La norma che chi riceve patrocinio gratuito non può in nessun modo accettare denari da altri,
per esempio una donazione, rende il tutto assurdo. I denari per pagare gli esperti sono diminuiti e così il ruolo dell’esperto nel processo. La qualità degli avvocati dei minori è diminuita di
conseguenza.
4. Come si organizza lo studio legale: come attività individuale o anche in forma societaria? I Solicitors possono esercitare la professione dovunque in Inghilterra, da soli o in associazioni
che hanno la forma di partnership, cioè studi associati o a responsabilità limitata.
In Inghilterra gli studi legali sono quasi sempre associati, pochi hanno meno di sei soci. Di recente è stato creato uno studio legale per i minori sotto il manto della cooperativa, un’associazione che fino ad ora si è occupata di servizi come spese funerarie oltre allo spaccio di cibo.
Nella maggior parte dei casi gli studi legali specializzati nel diritto dei minori non hanno più di
50 soci, cioè sono medi e non grandi (i grandi studi legali hanno anche migliaia di soci).
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EUROPA 5. Ci sono norme deontologiche particolari per gli avvocati specializzati nel nostro settore, in particolare riferite ai minori? 5a. I minori non hanno la capacità di agire o di essere convenuti nei procedimenti civili con
l’eccezione del minore in quanto genitore, che acquista capacità legale quale convenuto nei procedimenti riguardanti il proprio figlio. In questi casi non è raro che i procedimenti per l’affido del
neonato siano collegati anche al procedimento dell’affido del minore-genitore.
5b. Il Children Act (1989) dà diritto ad un proprio legale (child’s solicitor) al minore soggetto di
procedimenti istituiti dallo Stato attraverso i servizi sociali del comune in cui vive. Questo avvocato deve essere membro di un panel della Law Society.
5c. Il Children Act prevede che il minore abbia anche un curatore (Guardian), un assistente sociale che fa parte di un panel originariamente facente parte del ministero della giustizia e che
ora è indipendente, ma sempre sotto il controllo del ministero. Il curatore ha il compito di conoscere il minore, riferire al tribunale i suoi desideri e le sue aspirazioni e condurre ampie indagini sulla famiglia e sulle parti. Ha il potere di leggere i fascicoli confidenziali degli assistenti sociali, degli uffici sanitari e delle scuole. La sua relazione per il tribunale sarà comunicata alle parti. Gli onorari di questo assistente sono a carico del comune che ha istituito il procedimento.
5d. Il curatore ha anche il potere di conferire il mandato al child solicitor, scelto da lui. La nomina sarà fatta poi dal tribunale. Nei casi in cui non ci siano guardians, sarà il child solicitor a
fare le sue funzioni fino a quando questo non sarà nominato.
5e. Nel caso di minori capaci di esprimere chiaramente e con una certa maturità le proprie idee
e desideri sul loro futuro (in genere tra i 9 e i 12 anni) l’avvocato ha il dovere di decidere se il
minore ha tale capacità (può anche richiedere l’opinione di un esperto a tale riguardo). Se
l’avvocato decide positivamente, avrà l’obbligo di tutelare e promuovere i desideri del minore,
anche se questi non coincidono con le opinioni dell’avvocato e del curatore. In tal caso il curatore può richiedere al tribunale che gli sia concesso di assumere un suo altro legale, anch’esso
membro del panel.
5f. Vari sono gli obblighi imposti all’avvocato del minore, tra cui quello di essere presente a tutte le udienze e, se ciò non è possibile, di dare incarico a un altro membro del panel e di non farsi
sostituire da un Barrister, cioè da un legale che esercita la professione di semplice patrocinatore
e non di avvocato in quanto il minore può anche non conoscerlo. Il cliente del Barrister è
l’avvocato del minore, che dovrà pagare i suoi onorari e includerli poi nella contabilità da sottoporre al Legal Aid.
5g. L’avvocato del minore ha anche il compito di assistere il tribunale e in modo specifico di
fornire consulenza legale al tribunale, circa la casistica e altri aspetti, su richiesta del tribunale
stesso.
5h. Nei casi di conflitto tra l’avvocato del minore e il curatore, è dovere dell’avvocato informarne il tribunale che deciderà. In ogni caso, l’avvocato del minore non potrà avere revocato il
mandato.
5i. Se c’è conflitto tra l’avvocato del minore e il minore che ha la capacità di partecipare al processo, l’avvocato dovrà informarne il tribunale e in tal caso può chiedere la revoca del mandato.
5l. Più che norme deontologiche le good practice del rapporto tra avvocato e cliente minore
dettano:
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 1. l’avvocato dovrà considerare se è opportuno dare copia della documentazione del processo
al cliente minore. Dovrà informarlo del contenuto a meno che il tribunale non disponga altrimenti. È un compito difficile che dipende dall’età e dalla maturità del minore;
2. l’avvocato dovrà consultare il curatore su quanto di cui sopra, ma la decisione di come e cosa comunicare al minore cliente è soltanto dell’avvocato. Dunque l’avvocato deve incontrare il minore da solo tranne in casi in cui per motivi medici o psicologici questo sia sconsigliato per iscritto da un esperto;
3. il tribunale non gradisce che il minore sia presente alle udienze. Questo è un lato negativo
del sistema, ma è in ottemperanza con le norme delle Nazioni Unite in quanto il curatore e
l’avvocato devono comunicare al giudice i desideri e le aspirazioni del minore;
4. non esiste una preparazione adeguata del minore nel caso di questi conflitti e soprattutto
l’avvocato non ha delle norme né delle buone pratiche che gli suggeriscano cosa fare del fascicolo quando il minore diventa adulto, se mandarlo al minore o distruggerlo o altro;
5. nei casi di conflitto tra minore e avvocato il tribunale deve esserne informato immediatamente;
6. l’obbligo di mantenere il segreto professionale è identico a quello nei riguardi dei clienti
adulti, le eccezioni possono esistere ma non sono prevedute nelle buone pratiche, in questi
casi è sempre consigliabile chiedere un parere all’ordine degli avvocati. Nel diritto inglese,
quando le rivelazioni del cliente adulto o minore possono portare alla condanna di abusatori e alla protezione di altri minori l’avvocato non deve mantenere il segreto professionale e
dovrebbe consultare l’Ordine degli avvocati su come comportarsi.
NOTA: l’avvocato deve essere cauto nel suo comportamento con il minore, spesso soggetto ad
abuso sessuale, perché questi accuserà altri di averlo fatto su di lui. L’Ordine consiglia di evitare
ogni contatto fisico col minore, per esempio abbracciare o consolare un minore a cui viene detto che è morto il genitore.
NOTA: la maggior parte degli avvocati dei minori sono donne, molte hanno figli. Trovo che il
sesso dell’avvocato dei minori non abbia alcuna rilevanza, e neppure le sue eventuali competenze genitoriali. È pericolosissimo presumere che l’essere madre faccia capire meglio i figli degli altri. A mio parere è anzi negativo, perché si possono portare i propri pregiudizi nell’ambito
del lavoro.
NOTA: è importante che in ogni studio legale non ci sia soltanto un avvocato dei minori che lavora da solo, ma anche un piccolo dipartimento dedicato ai minori. Ciò significa che c’è maggiore
supporto, maggiore efficienza e dunque si massimizzano i profitti sia pur piccoli. L’avvocato dei
minori che abbandona la professione per esaurimento è un fenomeno sempre più comune.
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EUROPA FRANCIA David Ferrarini
Avvocato in Francia (Marsiglia)
Sommario: 1. I percorsi di studio per diventare avvocato in Francia. – 2. Quali i percorsi per diventare avvocato
per la famiglia e i minori: ci sono norme specifiche dello stato o solo degli ordini forensi o associazioni, oppure è una
scelta volontaria che si misura solo con il mercato. – 3. Come funziona il patrocinio per i non abbienti? – 4. Come
si organizza lo studio legale: come attivitá individuale o anche in forma societaria? – 5. Ci sono norme deontologiche particolari per gli avvocati specializzati nel nostro settore, in particolare riferite ai minori?
1. I percorsi di studio per diventare avvocato in Francia Il percorso classico per diventare avvocato prevede il conseguimento del CAPA (certificato di
attitudine alla professione di avvocato) nonché la successiva iscrizione ad un Ordine Francese.
Dopo avere conseguito la laurea in giurisprudenza (Master en Droit di 4 anni o un titolo di studio equivalente) bisogna superare l’esame di entrata alla scuola dell’avvocatura; nessuno può
ripetere questo esame più di tre volte; i titolari di un dottorato di ricerca in diritto ne sono dispensati; il programma di formazione della scuola di avvocato dura almeno 18 mesi divisi in tre
fasi: sei mesi di formazione di base, sei mesi (sino a otto mesi) di realizzazione di un progetto
pedagogico individuale elaborato con la scuola, sei mesi di stage in uno studio di avvocato. Alcuni professionisti(professori in diritto e magistrati) sono dispensati dal CAPA, altri (alcuni
giuristi con otto anni di esperienza) ne sono dispensati ma sono sottoposti a un controllo delle
conoscenze in deontologia.
2. Quali i percorsi per diventare avvocato per la famiglia e i minori: ci sono norme specifiche dello stato o solo degli ordini forensi o associazioni, oppure è una scelta volontaria che si misura solo con il mercato Non esitono percorsi particolari per esercitare nell’ambito del diritto di famiglia o dei minori,
esiste la possibilità di conseguire la specializzazione (Diritto della Famiglia, delle persone e del
loro patrimonio) dopo quattro anni di esercizio professionale continuo nella materia e a seguito di un colloquio di verifica presso una giuria specialmente composta dal Presidente del Consiglio Nazionale degli Ordini degli Avvocati. Esistono inoltre degli obblighi di formazione ob-
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 bligatoria ma solo nel quadro delle difese d’ufficio a seguito della domanda di iscrizione alle liste (basate sul volontariato). A Marsiglia esiste un gruppo di difesa dei minori presso le giurisdizioni minorili (Juge pour enfants, Tribunal pour enfants, Tribunal pour enfants statuant en
matière criminelle et Court d’Assises des mineurs), presso il giudice dei minori per l’assistenza
educativa (si tratta degli stessi giudici che intervengono nel quadro repressivo della delinquenza ma con una funzione educativa indipendente da quella repressiva), presso il giudice degli affari familiari (Juge Aux Affaires Familiales, che si occupa sia dei divorzi che delle misure connesse, per esempio diritti di visita e di mantenimento, anche per i figli delle coppie di fatto che
si separano). L’iscrizione alla detta lista comporta un obbligo di formazione iniziale e continua
(come per gli altri gruppi di difesa d’ufficio: penale, stranieri, espulsioni domiciliari).
È importante distinguere le specializzazioni dalle formazioni obbligatorie per le difese d’ufficio
in quanto queste realtà (implicanti una necessità di formazione continua e un controllo periodico delle conoscenze acquisite) rispondono a delle logiche diverse: una logica di informazione
della clientela, e quindi del mercato, per le specializzazioni e una logica di garanzia di qualità
della difesa d’ufficio per le formazioni obbligatorie per l’iscrizione nei diversi gruppi di difesa
d’ufficio; queste due realtà possono coesistere per le materie in cui sono previste sia la menzione di specializzazione che un gruppo di difesa d’ufficio.
3. Come funziona il patrocinio per i non abbienti? L’accesso al patrocinio dei non abbienti dipende dal reddito (e dal patrimonio) del cliente, inferiore a 929,00 euro per il patrocinio totale e a 1393,00 per quello parziale (salvo casi particolari quale quello delle vittime di reati particolarmente gravi come stupro o atti di tortura e barbarie), in principio è riservato ai cittadini francesi ed europei o agli stranieri in situazione regolare (ma viene accordato agli stranieri in situazione irregolare per il contenzioso relativo alla
regolarizzazione del soggiorno). In pratica il cliente può sollecitare qualunque avvocato, che
deve accettare espressamente di assisterlo a titolo dell’aide jurisdiction, o depositare un dossier
presso l’ufficio competente del tribunale, nel qual caso sarà designato un avvocato iscritto nella
relativa lista (oltre alle liste già citate esiste una lista specifica per il patrocinio dei non abbienti
in materia civile). L’accesso al beneficio del gratuito patrocinio è indipendente dall’accesso alla
commissione d’ufficio (che è aperta a tutti indipendentemente dal reddito) per cui un avvocato
nominato d’ufficio per un cliente che non può beneficiare dell’aide judictionnel sarà remunerato
dal cliente stesso.
4. Come si organizza lo studio legale: come attivitá individuale o anche in forma societaria? L’attività dell’avvocato si organizza in principio come attività individuale (l’Ordine di Marsiglia, quarto per numero di iscritti, è l’Ordine francese che conta il maggior numero di avvocati
che esercita a titolo individuale) ma molti avvocati che esercitano individualmente sono comunque associati, sotto la forma della società civile di mezzi (SCM), al fine di gestire le spese
di esercizio, o sotto diverse forme di associazioni tra avvocati (AARPI associazione di avvocati
a responsabilità professionale individuale) che possono comprendere persone fisiche o giuridiche esercenti la professione di avvocato. Esiste inoltre la possibilità di creare delle società civili
professionali (SCP) e di esercitare sotto forme diverse di società di esercizio liberale che corrispondono alle forme di società francesi per es. la SELARL (SRL).
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EUROPA 5. Ci sono norme deontologiche particolari per gli avvocati specializzati nel nostro settore, in particolare riferite ai minori? Non esistono norme deontologiche particolari riferite ai minori, ma, nel quadro delle formazioni dispensate dall’Ordine per poter essere iscritti nel gruppo di difesa d’ufficio dei minori, la
nostra attenzione viene spesso attirata sulle particolarità di questa attività e riceviamo istruzioni
precise in funzione dell’attività che esercitiamo, che può essere molto diversa in funzione della
giurisdizione presso la quale interveniamo(per esempio si insiste sempre sulla confidenzialità
del rapporto cliente-avvocato, rispetto ai genitori del cliente, quando si interviene presso il giudice per gli affari familiari, od ancora sull’atteggiamento da tenere in funzione del fatto che il
minore sia o no parte all’istanza (per il tramite di un amministrateur ad hoc), od alla particolarità della difesa penale dei minori, per esempio per ciò che concerne le sanzioni educative che
richiedono l’accordo dell’interessato).
NOTA: Per una maggiore conoscenza della normativa francese in tema di accesso alla professione; patrocinio totale o parziale ai non abbienti; elenco di vecchie e nuove materie di specializzazione inserite nel Tableau de concordance o previste al di fuori si può consultare il sito internet.
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 ROMANIA Mirella Lazar
Avvocato in Romania
Sommario: 1. Le condizioni generali. – 2. La procedura per l’ammissione alla professione di avvocato. – 3. Le modalità per l’ammissione alla professione. L’esame per l’ammissione. – 4. Le condizioni per ottenere la qualità di “avocatdefinitiv” – avvocato definitivo. – 5. Percorsi per diventare avvocato per la famiglia e i minori. – 6. Il patrocinio
per i non abbienti. – 7. Forme di organizzazione dello studio legale. – 7.1. Aspetti generali. – 8. Norme deontologiche particolari. – 9. Il divorzio.
1. Le condizioni generali In base alle norme vigenti, può essere membro di un albo in Romania colui che soddisfa le seguenti condizioni: può esercitare i diritti civili e politici; possiede la laurea in giurisprudenza;
non si trova in nessuno dei casi di indegnità previsti dalla legge; può, dal punto di vista medico,
esercitare la professione (da dimostrare con certificato medico.
2. La procedura per l’ammissione alla professione di avvocato Ai sensi di legge, l’ammissione si ottiene solo in base ad un esame che si svolge a livello nazionale ed è organizzato dall’UNBR (almeno un esame all’anno), secondo la legge e secondo lo Statuto della professione di avvocato. L’esame per l’ammissione alla professione si svolge nell’ambito dell’Istituto Nazionale per la Preparazione e il Perfezionamento degli Avvocati (INPPA) e
si svolge in maniera unitaria, nei centri territoriali, avendo alla base un metodo elaborato e approvato dal Consiglio UNBR. Gli argomenti dell’esame sono identici a livello dell’UNBR, e la
selezione degli stessi è fatta dalla commissione nazionale di esame che è formata prevalentemente da avvocati – professori universitari, che svolgono la professione da almeno 10 anni. La
designazione della commissione è fatta dalla Commissione Permanente dell’UNBR, su proposta degli albi. Lo Statuto della professione di avvocato del 2011 prevede altresì che l’ammissione alla professione di avvocato si realizza solamente dopo aver svolto con esito positivo l’esame
organizzato da UNBR, a livello nazionale. Eccezionalmente, in base alla legge, possono accedere alla professione, senza sostenere l’esame: i giudici della Suprema Corte di Cassazione ai quali è scaduto il mandato o, secondo i casi, che sono stati esclusi per motivi non a loro imputabili,
e anche, alle stesse condizioni, i giudici delle Corti internazionali.
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EUROPA La richiesta avanzata dalla persona che vuole essere ammessa alla professione attraverso la procedura dell’esame, in base alla legge, si deposita, o secondo il caso, si comunica in due esemplari e
deve contenere: nome, cognome e residenza del richiedente; luogo e data di nascita; carta d’identità. L’indicazione del diploma di laurea rilasciato da un’università accreditata ai sensi di legge che
attesta la qualità di laureato di una facoltà di giurisprudenza e altresi l’indicazione, se è il caso, dello svolgimento della professione di giudice, procuratore, notaio, consigliere giuridico per un periodo di 5 anni. La dichiarazione che non si trova in nessuno dei casi di indegnità previsti dalla
legge (per es: colui che è stato condannato con sentenza alla pena della reclusione per aver commesso un reato con dolo, in modo che leda il prestigio della professione; colui che ha commesso
abusi attraverso i quali sono stati violati i diritti e le libertà fondamentali dell’uomo, stabiliti da
una sentenza, o che ha commesso illeciti disciplinari gravi, ed è stato sanzionato con la misura
dell’esclusione dalla professione, come sanzione disciplinare). La dichiarazione del soggetto che
non si trova in nessuno dei casi di incompatibilità con la professione di avvocato. La precisazione
che richiede l’ottenimento della qualità di “avocatstagiar” e l’impegno di realizzare, nel periodo di
pratica, la formazione professionale iniziale, rispettivamente di frequentare, come avvocato definitivo, le forme di preparazione professionale continua, alle condizioni di legge e dello statuto. La
dichiarazione espressa che non è o non è stato iscritto in un altro albo in Romania. Contrariamente, si indicheranno: l’albo, il periodo, le cause della cessazione dell’attività.
La richiesta sarà accompagnata dai seguenti documenti in doppio esemplare: Copia della carta
d’identità e degli atti di stato civile; copia del diploma di laurea; il certificato di casellario giudiziale, rilasciato massimo 15 giorni prima della data del deposito della richiesta; il certificato riguardante lo stato di salute del candidato, rilasciato dall’istituto sanitario stabilito in base ad
una decisione dell’UNBR; due foto. La richiesta di ammissione alla professione accompagnata
dalla documentazione prevista dallo statuto si deposita al massimo 15 giorni dopo la data di
pubblicazione sulla pagina web dell’UNBR dell’organizzazione dell’esame nazionale di ammissione alla professione. Dalla registrazione della richiesta in un massimo di 3 giorni si comunicherà dall’albo all’UNBR e sarà possibile visualizzare alla sede dell’albo e sulla pagina web
dell’albo e dell’UNBR. Qualsiasi persona può fare opposizione alla richiesta di ammissione alla
professione, mostrando i motivi e le prove sulle quali si fonda la sua opposizione in massimo 10
giorni dalla visualizzazione della richiesta sulla pagina web dell’albo.
3. Le modalità per l’ammissione alla professione. L’esame per l’ammissione l’art. 17 della l. n. 51/1995, ripubblicata nel 2011 e l’art. 33 dello Statuto mostrano che l’ammissione nella professione si realizza solamente dopo lo svolgimento di un esame organizzato
dall’UNBR a livello nazionale. La data dell’esame sarà pubblicata sulla pagina internet dell’UNBR almeno 60 giorni prima dell’esame. Il Consiglio UNBR stabilirà la data, gli argomenti,
la bibliografia e la metodologia dell’esame, che saranno uniche a livello UNBR. L’esame è composto da 5 materie, delle quali per minimo tre di queste l’esame si fa per iscritto. Insieme alla
comunicazione della data si renderanno pubbliche anche la tematica e la bibliografia dell’esame. In vista dell’iscrizione all’esame, il candidato deve depositare il fascicolo di iscrizione all’albo della circoscrizione in cui desidera svolgere la propria attività. Il fascicolo di iscrizione che è
composto dalla richiesta e dai documenti previsti dallo Statuto dev’essere depositato massimo
in 15 giorni dalla data di pubblicazione sulla pagina web dell’UNBR dell’organizzazione dell’esame nazionale. Il candidato deve corrispondere una tassa di partecipazione all’esame, stabilita
dal Consiglio UNBR. I risultati dell’esame saranno comunicati agli albi dal Consiglio UNBR.
87
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 4. Le condizioni per ottenere la qualità di “avocatdefinitiv” – avvocato definitivo In base alle disposizioni dell’art. 18 della l. n. 51/1995, all’inizio dell’esercizio della professione
l’avvocato deve svolgere obbligatoriamente un periodo di preparazione professionale di 2 anni,
periodo nel quale ha la qualità di avvocato praticante (avocatstagiar). Le condizioni dello svolgimento della pratica, i diritti e gli obblighi dell’avvocato praticante, dell’avvocatomagister sono regolati dallo statuto. La pratica professionale rappresenta il periodo iniziale dell’esercizio
della professione e ha come scopo la preparazione e la formazione professionale iniziale dell’avvocato, in vista dell’ottenimento del titolo professionale di avvocato definitivo. Nel periodo di
pratica, l’avvocato svolge la sua attività con titolo professionale di avvocato praticante ed è
iscritto nella Tabella degli avvocati con diritto di esercizio della professione. In vista della preparazione e formazione professionale iniziale, gli avvocati praticanti sono obbligati a frequentare i
corsi dell’Istituto Nazionale per la Preparazione ed il Perfezionamento degli Avvocati (INPPA),
alle condizioni stabilite da UNBR. Dopo lo svolgimento del periodo di pratica, l’avvocato praticante sosterrà l’esame definitivo “definitivat”. L’avvocato praticante respinto tre volte dall’esame di definitivat sarà escluso dalla professione. In base all’art. 20 della l. n. 51/1995, la qualità di
avvocato definitivo si ottiene in base ad un esame organizzato da UNBR, annualmente e a livello nazionale, in base alla legge ed allo Statuto. L’esame definitivo si svolge nell’ambito INPPA
unitariamente, su centri territoriali, avendo alla base una metodologia elaborata e approvata dal
Consiglio UNBR. La tematica dell’esame è unica a livello UNBR e la selezione degli argomenti
si fa dalla commissione nazionale d’esame, formata prevalentemente da avvocati.
La qualità di avvocato definitivo quindi si ottiene in base ad un esame organizzato da UNBR
annualmente e a livello nazionale, oppure attraverso lo svolgimento con esito positivo dell’esame finale dell’Istituto Nazionale per la Preparazione e il Perfezionamento degli Avvocati, alle
condizioni previste dallo Statuto della professione.
5. Percorsi per diventare avvocato per la famiglia e i minori In Romania non esiste un quadro legale, né istituzionale, né degli ordini o associazioni che prevedano delle norme specifiche. La legislazione non fa riferimento né all’obbligo né a limitazioni
della specializzazione degli avvocati. Gli unici fattori per determinare il numero e la tipologia
delle specializzazioni sono il mercato, il livello di preparazione e le preferenze degli avvocati. In
concreto la specializzazione degli avvocati è sempre più spesso una risposta specifica alle richieste sempre più specifiche e variate dei clienti. Alla luce delle condizioni attuali in Romania
la richiesta maggiore è nei rami del diritto fiscale, aquisitions, diritto dell’energia, proprietà intellettuale, dispute resolution, banking &finance, diritto dell’ambiente. In materia del diritto di
famiglia la sfera è molto più ristretta in quanto non esiste la separazione giudiziale come istituto
ed il divorzio è stato facilitato moltissimo con l’entrata in vigore del nuovo codice civile in quanto
è stato dato in competenza anche dei notai, diventando una procedura convenzionale, anche in
presenza di minorenni. Altresì molto più semplice è la situazione dell’assegno di mantenimento. La preparazione obbligatoria degli avvocati definitivi si concretizza con uno stage di formazione presso l’INPPA. Ha una durata di 60 ore per tre anni consecutivi (una media di 20 ore
all’anno) a partire dal 2008.
88
EUROPA 6. Il patrocinio per i non abbienti In base alla l. n. 51/1995 gli Albi assicurano il patrocinio per i non abbienti nelle seguenti forme: nelle cause penali, nelle quali la difesa è obbligatoria secondo le disposizioni del c.p.p. In
tutte le altre cause diverse da quelle penali, come aiuto pubblico giudiziario, alle condizioni della legge. Attraverso l’avvocato, concessa a istanza degli organi di amministrazione pubblica locale. In situazioni eccezionali, se i diritti della persona non abbiente sarebbero pregiudicati dal
ritardo, il presidente dell’albo può approvare la concessione del gratuito patrocinio. Come forma di aiuto pubblico giudiziale, il patrocinio per i non abbienti attraverso l’avvocato comprende: l’assistenza extragiudiziale, che comprende la concessione di consultazioni in vista dell’inizio o della risoluzione di una lite per la quale la legge prevede la concessione dell’aiuto pubblico
giudiziale, o secondo i casi, in vista dell’inizio di un procedimento giudiziario, arbitrale o amministrativo-giurisdizionale nei casi previsti dalla legge. L’assicurare la rappresentanza e l’assistenza processuale davanti ai giudici. L’avvocato scelto per concedere l’aiuto pubblico giudiziale non può rifiutare quest’obbligo professionale tranne che nei casi di conflitto di interessi o per
una giusta causa. Il rifiuto ingiustificato costituisce una violazione disciplinare. Il rifiuto ingiustificato del beneficiario o la rinuncia unilaterale ed ingiustificata di questo porta alla cessazione
dell’aiuto pubblico. L’assistenza extragiudiziale prevista all’art. 35 del OUG n. 51/2008 viene
concessa dal Servizio di assistenza giudiziale presente per ogni albo, in base ad una richiesta che
conterrà informazioni riguardanti l’oggetto e la natura del sollecito di assistenza, l’identità, il
codice numerico personale, la residenza e lo stato economico del richiedente e della sua famiglia, allegandosi documenti comprovanti dei guadagni di costui e della sua famiglia e altresi prove
riguardanti i suoi obblighi di mantenimento. La richiesta sarà accompagnata da un’autocertificazione del sollecitante con la precisazione se negli ultimi 12 mesi ha ancora beneficiato dell’aiuto pubblico giudiziale. La prova dello stato economico del richiedente si fa, principalmente, attraverso i seguenti documenti: Certificato rilasciato dalle autorità competenti o dal datore
di lavoro, dal quale risultino le entrate professionali del richiedente e quelle dei membri della
sua famiglia, o le somme incassate come pensioni, indennizzo o assicurazioni sociali. Il libretto
di famiglia, i certificati di nascita dei figli; certificato di persona con handicap del richiedente o
del figlio; autocertificazione dalla quale risulti che il richiedente e gli altri membri della famiglia
non sono beneficiari di altri incassi supplementari; autocertificazione riguardante la situazione
economica del sollecitante e della sua famiglia. La richiesta si deposita al servizio di assistenza
giudiziale e viene decisa in massimo 15 giorni lavorativi dalla data di registrazione, con una decisione di ammissibilità o rifiuto. L’assistenza extragiudiziale non viene concessa nei seguenti
casi: quando il beneficio dato al sollecitante non è giustificato, quando la pretesa è palesemente
ingiustificata, infondata o inammissibile, nel caso dei cittadini stranieri o delle persone giuridiche straniere quando la loro legislazione nazionale non prevede un trattamento simile per i cittadini romeni, quando il sollecitante è stato decaduto dal diritto di beneficiare dell’assistenza
giudiziale. L’avvocato che concede l’assistenza in base alle nuove regolamentazioni introdotte
dalla l. n. 270/2010 non ha il diritto di ricevere dal cliente o da colui che difende nessun tipo di
remunerazione o altri tipi di ricompensa, nemmeno a titolo di copertura spese. Per l’assistenza
giudiziale concessa l’avvocato designato ha il diritto ad un onorario stabilito dall’organo giudiziario, secondo la natura ed il volume di attività svolta, nei limiti stabiliti dal protocollo concluso
tra l’UNBR ed il Ministero della Giustizia. Attraverso l’atto di concessione dell’assistenza giudiziale, l’organo giudiziario stabilisce anche il valore provvisorio dell’onorario dell’avvocato. Dopo la concessione dell’assistenza, l’avvocato predispone un iscritto riguardo alla sua prestazione
effettiva, conformemente al modello approvato dal Dipartimento di coordinazione dell’assi89
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 stenza giudiziale. L’iscritto è sottoposto alla conferma dell’organo giudiziario che può disporre
la conferma o la maggiorazione dell’onorario stabilito inizialmente. L’iscritto così confermato
viene inviato all’albo in vista delle formalità previste dalla legge per il pagamento dei compensi.
Nel caso in cui l’avvocato fosse sanzionato disciplinarmente non riceverà l’onorario a lui spettante per quel caso. Il pagamento dell’onorario si fa mensilmente con assegno bancario. L’albo
organizza i servizi di assistenza giudiziale nelle sedi di tutte le istanze giudiziarie della provincia,
in spazi adibiti esclusivamente per lo svolgimento di quest’attività. I servizi di assistenza giudiziale sono presiedute da un avvocato definitivo, designato dal consiglio dell’albo e sono coordinati da un membro del consiglio. I servizi di assistenza sono organizzati e funzionano in base
ad un Regolamento di organizzazione e funzionamento approvato dal consiglio dell’albo in base al Regolamento quadro di organizzazione e funzionamento dell’assistenza giudiziale, approvato dal Consiglio dell’Unione Nazionale degli Albi della Romania. Il livello minimo di reddito
al di sotto del quale è previsto il gratuito patrocinio è di 300 lei mensili (pari a cca. 75 euro) per
ciascun membro della famiglia nei due mesi anteriori alla richiesta di intervento. Nel caso in cui
il reddito si situi tra i 300 e i 600 lei (tra i 75 e 150 euro) mensili il gratuito patrocinio copre il
50% delle spese. In casi eccezionali il gratuito patrocinio può essere accordato anche oltre questi limiti quando i costi certi o stimati del processo sarebbero tali da limitare l’accesso effettivo
alla difesa. Il limite massimo pagato dallo stato non può superare per un periodo di un anno la
cifra massima equivalente a 12 mensilità del salario minimo lordo.
7. Forme di organizzazione dello studio legale 7.1. Aspetti generali La l. n. 51/1995 prevede le seguenti forme di esercizio della professione di avvocato: Studi individuali, Studi associati, Società professionali con o senza personalità giuridica, Società professionali a responsabilità limitata. La scelta appartiene all’avvocato che, conformemente allo Statuto della professione è libero di scegliere e di cambiare la sua scelta per una delle forme di esercizio della professione previste dalla legge, avendo però l’obbligo di avvertire per iscritto il
presidente dell’albo della sua rispettiva scelta o cambio. Se per una forma di esercizio è necessaria l’approvazione del consiglio dell’albo, l’avvocato inizia l’attività in quella forma solo dopo
l’ottenimento dell’approvazione. Gli albi tengono un elenco separato degli avvocati per ciascuna forma di esercizio della professione. Per qualsiasi delle forme di esercizio della professione,
l’avvocato inizierà l’attività dopo aver ottenuto le approvazioni da parte del consiglio dell’albo.
Tutte le forme di esercizio della professione di avvocato sono sottoposte ai seguenti principi: il
patrimonio comune è destinato esclusivamente all’attività professionale ed è in regime di patrimonio di destinazione professionale. Il titolare dello studio individuale e l’avvocato associato
non possono prestare attività professionali al di fuori della forma di esercizio che hanno scelto.
L’avvocato titolare dello studio individuale non può avere lo status di avvocato collaboratore o
di avvocato remunerato nell’ambito della professione. L’avvocato associato non può avere lo
status di avvocato collaboratore o di avvocato remunerato. L’avvocato remunerato nell’ambito
della professione e l’avvocato collaboratore non possono svolgere la loro attività nella stessa
qualità, in più forme di esercizio della professione. L’avvocato collaboratore ha il diritto di avere i propri clienti solo attraverso la forma di esercizio della professione con la quale collabora e
con la condizione che informi l’albo. L’avvocato remunerato non ha diritto ad avere i suoi clienti
propri. L’obbligo di comunicare immediatamente per iscritto all’albo, le modifiche riguardanti
90
EUROPA l’associazione, la collaborazione o l’assunzione è tanto dell’avvocato quanto del titolare dello
studio individuale o del coordinatore degli studi associati, delle società professionali con o senza personalità giuridica o delle società professionali a responsabilità limitata. Le forme di esercizio della professione si individualizzano attraverso la denominazione conformemente alle previsioni della l. n. 51/1995 e dello Statuto della professione. Nel caso di tutte le forme di esercizio da parte di avvocati stranieri si possono utilizzare a scelta, la denominazione ed il nome della forma d’esercizio del paese o dall’estero. L’avvocato non può esercitare la sua professione,
allo stesso tempo, in più forme di esercizio. Tutte le forme d’esercizio della professione possono assumere personale ausiliario. È vietata l’assunzione come personale ausiliario delle persone
che hanno frequentato scuole giuridiche superiori. Tra le forme di esercizio si possono creare
rapporti di collaborazione professionale. La convenzione di collaborazione professionale si registra all’albo. Qualsiasi avvocato, indifferentemente dalla forma di esercizio della professione,
può concludere convenzioni di collaborazione con periti o altri specialisti, ai sensi della legge.
Le società professionali con o senza personalità giuridica e le società professionali a responsabilità limitata possono concludere tali convenzioni solo con l’accordo di tutti gli associati. Queste
convenzioni di collaborazione devono assicurare l’indipendenza professionale, patrimoniale e
deontologica della professione. Nello svolgimento delle attività l’avvocato decide unilateralmente per la scelta dei notai, periti, traduttori e altri specialisti con cui può collaborare. Tutte le
incomprensioni tra gli avvocati riguardanti le forme di esercizio si risolvono amichevolmente.
Nel caso in cui le incomprensioni non si riescono a risolvere in questo modo, l’avvocato è obbligato a chiedere la conciliazione al preside dell’albo, ai sensi dello Statuto. Se attraverso la
conciliazione la lite tra le parti non cessa, l’avvocato è obbligato a ricorrere all’arbitrato, ai sensi
dello Statuto della professione.
8. Norme deontologiche particolari Nello statuto della professione non risultano norme deontologiche particolari applicabili ai
rapporti con i minori.
9. Il divorzio La l. n. 71/2011 modifica una serie di disposizioni presenti nel nuovo codice civile rumeno, adottato con la l. n. 287/2009 e, allo stesso tempo, completa quest’atto normativo con una serie
di previsioni riguardanti l’applicazione dello stesso. Alcune di queste modifiche riguardano l’istituto del divorzio, apportando una semplificazione alla procedura. Così, in base alla nuova
normativa, il divorzio consensuale potrà essere pronunciato su istanza delle parti indifferentemente dalla durata del matrimonio e indifferentemente se siano stati procreati o meno figli. Il divorzio consensuale potrà essere accertato dall’ufficiale di stato civile o dal notaio pubblico nel
luogo dov’è avvenuto il matrimonio o nel luogo dell’ultima dimora comune, se questi non hanno figli minorenni nati durante il matrimonio, al di fuori del matrimonio, o adottati. L’esigenza
che non ci siano figli minorenni nati al di fuori del matrimonio si riferisce ai figli concepiti e nati
dai due coniugi anteriormente al matrimonio e non ai figli nati al di fuori del matrimonio di
uno solo dei coniugi. La degiuridicizzazione del divorzio è stata estesa anche alle situazioni in
cui i coniugi hanno figli minorenni all’interno del matrimonio, al di fuori del matrimonio o
adottati. In questo senso, si è previsto che i notai hanno la competenza di accertare il divorzio
91
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 anche nel caso in cui ci siano figli minorenni, con la condizione che i coniugi che sollecitano
l’accertamento del divorzio in queste condizioni, devono mettersi d’accordo su tutti gli aspetti
previsti dalla legge. Così, dovranno decidere di comune accordo il cognome che useranno dopo il divorzio, l’esercizio dell’autorità genitoriale da parte di entrambi i genitori, stabilire la dimora dei figli dopo il divorzio, stabilire il contributo che ciascun genitore porterà per le spese
concernenti la vita, la crescita e l’educazione dei figli. Nel caso in cui i coniugi desiderano che
l’autorità genitoriale sia esercitata solamente da uno dei due genitori, oppure questi non riescono ad arrivare ad un accordo su altri aspetti, il notaio non potrà accertare il divorzio ma applicherà le disposizioni dell’art. 376, 5° comma, c.c. in base al quale respingerà la richiesta di divorzio e consiglierà ai coniugi di inoltrare la loro richiesta alle istanze giudiziali comuni in base
all’art. 374 c.c. All’interno della procedura notarile del divorzio, la legge non fa riferimento all’audizione del minore, il notaio avendo l’obbligo di accertare il divorzio prendendo atto dell’accordo dei coniugi con riferimento a tutti gli aspetti elencati dall’art. 375, 2° comma. In queste condizioni, si reputa sia necessaria l’elaborazione di una legislazione secondaria. Eccezionalmente, la legge permette ai coniugi che desiderano divorziare attraverso la procedura notarile di depositare la richiesta di divorzio al notaio anche attraverso un mandatario munito di procura autentica. Allo scadere del termine di 30 giorni però, devono obbligatoriamente presentarsi personalmente entrambi i coniugi davanti al notaio, quest’ultimo dovendo verificare se
questi vogliono divorziare e se in questo senso il loro consenso è libero e privo di vizi. A differenza della procedura di accertamento notarile del divorzio, la procedura amministrativa di accertamento del divorzio si applica solo per i divorzi dei coniugi che non hanno figli minorenni dal
matrimonio, al di fuori del matrimonio o adottati, ed i coniugi sono obbligati a depositare personalmente ed insieme la richiesta di divorzio all’ufficiale di stato civile e di presentarsi personalmente al termine fissato dall’ufficiale per l’accertamento del divorzio consensuale.
92
EUROPA UNGHERIA Krisztina Ilona Molnar
Avvocato in Ungheria
Sommario: 1. Quali i percorsi di studio per diventare avvocato in Ungheria? – 2. Quali i percorsi per diventare
avvocato per la famiglia e i minori: ci sono norme specifiche dello stato o solo degli ordini forensi o associazioni,
oppure è una scelta volontaria che si misura solo con il mercato? – 3. Come funziona il patrocinio per i non abbienti? – 4. Come si organizza lo studio legale: come attività individuale o anche in forma societaria? – 5. Ci sono
norme deontologiche particolari per gli avvocati specializzati nel nostro settore, in particolare riferite ai minori?
L’Ungheria è uno stato dell’Unione europea che ha un sistema giudiziario poco conosciuto, ma
ben sviluppato dove l’amministrazione della giustizia può considerarsi efficiente con una organizzazione degli uffici e dei Tribunali a buon livello.
1. Quali i percorsi di studio per diventare avvocato in Ungheria? In Ungheria le facoltà che insegnano giurisprudenza seguono il metodo c.d. “bolognese”, quindi durante il percorso universitario tutti ricevono la stessa formazione e non esiste la separazione delle carriere.
Per entrare in una facoltà di giurisprudenza, a partire dal 2000 non vi sono esami di ammissione
(che erano invece in vigore durante la mia formazione terminata nel 1996). Oggi comunque
esiste un tetto massimo che non permette ad un numero incontrollato di candidati di frequentare le facoltà di giurisprudenza. In sede di ammissione vengono infatti considerati i punteggi
raggiunti nell’esame di maturità ed i punteggi ottenuti con gli esami di stato di lingua straniera.
Gli esami si possono fare solo in determinati periodi dell’anno che vanno normalmente dai
primi di dicembre al 31 gennaio e dai primi di maggio al 30 giugno; quindi alla fine di ogni semestre che prevede un numero minimo di frequentazione delle lezioni (circa l’80% delle ore e
dei seminari pratici). Alcuni esami sono propedeutici, quindi viene in gran parte determinato
anche l’ordine degli esami durante i cinque anni di studio.
In Ungheria attualmente esistono 7 facoltà di giurisprudenza sparse in 10 città.
In Ungheria la facoltà di giurisprudenza offre un titolo di livello Master e per ottenerlo servono:
– superamento con successo degli esami finali previsti;
93
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 – superamento degli esami di lingua straniera presso le comissioni riconosciute dallo stato
(almeno due lingue di cui una a livello avanzato);
– ottenimento di almeno 300 crediti come previsti nei vari programmi di formazione.
Prima di poter affrontare gli esami finali bisogna ottenere i 300 crediti formativi, aver superato
gli esami di lingua straniera ed aver concluso un mese di stage o pratica.
Fanno parte dell’esame finale:
– presentazione della tesi;
– esame orale delle seguenti materie biennali:
– le materie obbligatorie: diritto costituzionale, diritto penale, diritto amministrativo, diritto civile;
– le materia facoltative: filosofia del diritto, diritto europeo, diritto internazionale privato,
diritto dei rapporti economici internazionali.
A differenza dall’Italia, il neolaureato che inizia la pratica forense non sarà abilitato autonomamente alla rappresentanza processuale, nonostante che in Ungheria il percorso universitario duri
5 anni (10 semestri) e la pratica forense per 3 anni. Potrà invece sostituire l’avvocato suo principale ogni volta che quest’ultimo gli conferisca delega. Autonomamente non può rappresentare i clienti, solo previa delega dell’avvocato incaricato della causa. Successivamente, il praticante che ha superato l’esame di stato per diventare avvocato, potrà esercitare la professione. La
pratica potrà essere svolta in diversi luoghi:
– presso uno studio legale o presso un avvocato, in qualità di praticante avvocato (ügyvédjelölt);
– presso una società o un’impresa nell’ufficio legale come relatore (jogi előadó) sotto la direzione del consulente legale dell’azienda;
– presso i Tribunali e le procure in qualità di praticante giudiziario (bírósàgi fogalmazó);
– presso le amministrazioni pubbliche, uffici comunali, in qualità di funzionario pubblico.
La pratica può essere svolta presso un unico studio o ente, o alternando tra questi. Fondamentalmente la vera selezione delle carriere si determina in questa fase, in quanto le esperienze accumulate in 3 anni di pratica vengono difficilmente utilizzate in altri settori, e per questo si registrano pochi trasferimenti da una carriera all’altra.
L’esame di avvocato consiste in 4 esami separati raggruppati in tre moduli, di cui il primo modulo deve essere dato sia oralmente che per iscritto, il secondo ed il terzo prevede solo un esame verbale. In Ungheria a partire dal 1991 l’esame di stato per diventare avvocato è unico ed
universale, mentre prima esistevano due esami di stato: per diventare magistrati e P.M. nonché
per diventare avvocato e consulente legale. Di conseguenza, a prescindere da dove si sia svolta
la pratica, l’esame di avvocato è di un solo tipo e si svolge davanti alla Commissione dell’Esame
di Stato Forense organizzata presso il Ministero della Giustizia e delle Amministrazioni Pubbliche. Una volta superato l’esame, la persona diventa avvocato, consulente legale, magistrato o
pubblico ministero oppure trova occupazione presso le amministrazioni pubbliche.
Il praticante ungherese: deve chiedere l’iscrizione all’albo dei praticanti avvocati indicando lo
studio legale presso il quale svolge la sua attività. Si paga un diritto per la registrazione (da 200
a 1.000 euro). L’ordine degli avvocati (che in Ungheria si chiama Camera degli Avvocati) controlla l’effettività e lo svolgimento della pratica e predispone anche dei corsi di formazione obbligatori per i praticanti avvocati.
Normalmente il diritto di famiglia è una materia che si studia per un intero semestre durante la formazione universitaria e si conclude con un esame a fine semestre. Si tratta di 2 ore di lezione in aula
ed un’ora di seminario pratico in gruppi da 15 per ogni settimana. Inoltre, per poter accedere
94
EUROPA all’esame bisogna partecipare a due udienze aventi ad oggetto procedimenti di famiglia con una
breve analisi del caso.
In sede dell’esame finale il diritto di famiglia fa parte dell’esame di diritto civile.
2. Quali i percorsi per diventare avvocato per la famiglia e i minori: ci sono norme specifiche dello stato o solo degli ordini forensi o associazioni, oppure è una scelta volontaria che si misura solo con il mercato? Come abbiamo detto, esistono delle specializzazioni riconosciute nella professione che richiede la frequentazione di un corso postgraduale presso le maggiori università dell’Ungheria. Da
anni esiste infatti la specializzazione per gli avvocati in materia di famiglia che si ottiene dopo una
formazione postgraduale di 3 semestri presso uno dei corsi di formazione esistenti presso le facoltà di
giurisprudenza.
In seguito elenchiamo le materia previste ed il sistema dei crediti durante il corso:
come si può notare, oltre alle materie giuridiche si trattano anche argomenti di psicologia e viene
richiesta anche la conoscenza delle norme comunitarie ed internazionali e le basi del sistema sociale. Il corso prevede vari esami, la preparazione di una tesi in materia ed un esame finale.
CORSO DI SPECIALIZZAZIONE PER AVVOCATI DI FAMIGLIA Il programma di studio prevede le seguenti materie:
SEMESTRE:
Materia
Diritto di famiglia internazionale
Diritto di famiglia nella giurisprudenza
Mediazione familiare
Diritto civile – la normativa
sull’interdizione, incapacità
TOTALE NEL SEMESTRE
Ore di lezione
Esame
Crediti
Materie
propedeutiche
16
Si
8
–
24
08
Si
Si
13
03
–
–
12
60
Si
Si
04
28
–
SEMESTRE:
Diritto del fanciullo
Diritto processuale civile, i procedimenti speciali in famiglia
Diritto sociale
Psicologia infantile e generale
TOTALE NEL SEMESTRE
18
Si
10
1, 2, 3
16
14
12
60
Si
Si
Si
Si
08
06
04
28
2, 3, 4
2, 4
2
SEMESTRE:
Psichiatria infantile e generale
La tutela del minore
10
16
Si
Si
04
08
8
2, 3
95
AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 Materia
Tutela internazionale dei minori
Sociologia della famiglia
Diritto sociale internazionale
e dell’UE
TOTALE NEL SEMESTRE
Ore di lezione
Esame
Crediti
Materie
propedeutiche
12
10
Si
Si
06
04
1, 2
8
7
Si
06
28
12
60
Dopo il III SEMESTRE:
Preparazione e consegna della
tesi
Esame finale
6
–
Ottenimento
di 84 crediti
Adempimento
di ogni altro obbligo di studio
Tutela internazionale dei minori
TOTALE COMPLESSIVO
Totale in 3 semestri
180
180
90
3. Come funziona il patrocinio per i non abbienti? Il patrocinio per i non abbienti ha una tradizione molto radicata in Ungheria a causa di una rete
sociale che si è mantenuta dopo il cambio regime. Oggi le norme relative all’esenzione dalle
spese processuali si trovano nel d.m. IM n. 6/1986 (VI.26). La norma autorizzativa è l’art. 84,
comma 3 e l’art. 88 del codice di procedura civile ungherese (l. n. 3/1952).
Mentre a partire dal 1 aprile 2004 è entrata in vigore anche la l. n. 80/2003 sull’assistenza giudiziaria che istituisce il Servizio di Assistenza Giudiziaria (Jogi Segitségnyújtó Szolgàlat) presso
gli UTG dove si può rivolgere per richiedere il patrocinio per i non abbienti anche per consulenza ed assistenza in pratiche stragiudiziali. Infatti, il patrocinio prevede anche la redazione di atti stragiudiziali e l’assistenza e rappresentanza dell’istante davanti agli uffici e autorità (prendendo
visione degli atti e dei procedimenti). La modifica effettuata nel 2008, che ha permesso di richiedere il servizio anche in ambito stragiudiziale, ha portato ad una sentita diminuzione delle
cause davanti ai Tribunali.
È questo servizio che decide sulla richiesta di gratuito patrocinio (Pàrtfogó Ügyvéd) a carico
dello stato.
L’esenzione dalle spese processuali può essere:
Soggettiva: ex art. 84 c.p.c.:
– sulla base delle condizioni economiche e reddittuali, l’attore può richiedere sino alla pronuncia
di primo grado, il convenuto sino al deposito dell’appello. Se la parte non è difesa da un avvocato, il giudice/la Corte la informa della possibilità e delle condizioni per richiedere l’esenzione dalle spese. Il richiedente deve indicare l’oggetto della domanda ed il Tribunale competente
che deciderà sull’istanza. Il Tribunale può sentire anche la controparte e se l’istanza viene pre-
96
EUROPA sentata in corso della procedura, riguarda solo le spese emerse successivamente alla presentazione dell’istanza. L’esenzione è obbligatoria se la parte ha un reddito non superiore al minimo
previsto di pensione di anzianità e non possiede altri beni e/o patrimoni al di fuori dai beni
personali necessari per il proprio mantenimento. L’esenzione spetta anche alle persone che ricevono assegno periodico pensionistico in età lavorativa attiva – a prescindere dalle loro condizioni reddittuali. Eccezionalmente si può riconoscere l’esenzione anche nel caso in cui la parte non ha i requisiti richiesti, ma il Tribunale ritiene, sulla base di altre circostanze che il mantenimento della persona è a rischio. La parte che ottiene l’esenzione dalle spese deve indicare
tale condizione ogni qual volta il procedimento richiedesse marche da bollo o altri contributi.
Il Tribunale revisiona le condizioni per l’esenzione ogni anno oppure anche prima se emergono dati che presumerebbero che non vi siano state le condizioni per l’esenzione nel momento
del suo riconoscimento o successivamente queste sono venute meno.
L’esenzione riguarda: marche, spese di CTU e dei testi, spese di traduzione e del rappresentante processuale, spese per il gratuito patrocinio, eventuali altre spese processuali, cauzione
delle spese processuali e da diritto a richiedere il gratuito patrocinio.
Oggettiva: in alcuni procedimenti (regolati da norma speciale) la parte ha diritto all’esenzione
dalle spese a prescindere dalle sue condizioni economiche e reddittuali. Le parti – se una legge
ungherese, una norma comunitaria direttamente applicabile o una norma di diritto internazionale privato non prevede l’esenzione oggettiva dalle spese – ha diritto alla “annotazione delle
spese” nei seguenti procedimenti:
– procedimenti per il riconoscimento/disconoscimento paternità (escluse le spese di CTU e
DNA);
– decadenza dalla potestà sui figli, reintegrazione nella potestà;
– affidamento dei figli, consegna e visita del minore;
– procedimenti per mantenimento ex lege, incluso il procedimento per ottenere i dati dell’obbligato al mantenimento nelle cause transfrontaliere;
– procedimenti di lavoro;
– cause per risarcimento danni da responsabilità extracontrattuale se deriva da reato.
In tutti questi casi la parte ha diritto alla “annotazione delle spese” così come regolato dall’art.
85/A c.p.c.
L’esenzione dalle spese nei procedimenti di volontaria giurisdizione e di esecuzione forzata,
escluse le cause societarie.
Esiste inoltre l’anticipazione delle spese a carico dello stato e il pagamento delle spese e marche
a carico dello stato.
In questi casi il Tribunale adito nel cui procedimento sono emerse le spese decide sulle spese,
sulla sua anticipazione e sulla liquidazione a mano dell’istante. Delle spese liquidate si redige
un registro. Non viene redatto il registro se la parte ha diritto all’esenzione delle spese.
Quindi, in caso di esenzione dalle spese, la parte non potrà essere obbligata al pagamento delle
spese anticipate dallo stato o al pagamento delle marche. In mancanza di esenzione le parti verranno condannate al pagamento delle spese a seconda della pronuncia giudiziale sulle spese
processuali. In caso di conciliazione o accordo, le spese vengono divise sulla base dell’accordo.
La parte che ha diritto all’esenzione dalle spese può richiedere anche il gratuito patrocinio a
spese dello stato. La norma di riferimento la l. n. 80/2003 sull’assistenza giudiziaria, l’art. 61 regola le condizioni.
Non essendo in Ungheria obbligatoria la difesa tecnica e la rappresentanza da parte di un avvocato in ogni procedimento, il gratuito patrocinio è previsto in ogni caso in cui, considerate le
circostanze del caso e le condizioni della parte, quest’ultima non sarebbe in grado di tutelare
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AIAF RIVISTA 2013/2 maggio-agosto 2013 adeguatamente i propri diritti. Inoltre, nelle cause transfrontaliere in materia di mantenimento
e alimenti, in cui è l’Autorità Centrale che ha chiamato in causa la parte, quest’ultima può richiedere il gratuito patrocinio.
In materia di alimenti e mantenimenti, se la parte ha diritto a richiedere in qualità di attore ex
art. 46 il procedimento di cui all’art. 56 del Reg. UE n. 4/2009, in tale procedimento lo stato
ungherese le garantisce il gratuito patrocinio.
Il Servizio di Assistenza Giudiziaria (Jogi Segítségnyújtó Szolgàlat) decide entro 5 giorni in caso
di richiesta fatta personalmente ed entro 15 giorni in caso di istanza depositata. Ogni Ufficio
Territoriale del Governo mette a disposizione un ufficio per il Servizio che tiene ed aggiorna il
registro dei legali iscritti per offrire il gratuito patrocinio che si possono nominare direttamente
a scelta della richiedente.
Qualora nella sentenza il giudice non avesse condannato la controparte anche alle spese relative al G.P., l’istante non dovrà corrispondere le spese anticipate dallo stato per l’avvocato.
4. Come si organizza lo studio legale: come attività individuale o anche in forma societaria? In Ungheria, analogamente come previsto in Italia, l’avvocato è un libero professionista e può
svolgere la propria attività come attività individuale oppure può associarsi con altri professionisti formando uno studio legale associato, eventualmente con varie specializzazioni al suo interno. L’avvocato ungherese non può svolgere la professione in forma di società economiche e
non può partecipare in società con responsabilità personale illimitata.
5. Ci sono norme deontologiche particolari per gli avvocati specializzati nel nostro settore, in particolare riferirte ai minori? Non ci sono norme prettamente previste per l’avvocato di famiglia. La norma di riferimento è il
codice deontologico dell’Ordine Ungherese degli Avvocati (MÜK Reg. n. 8/1999 (III.22) approvato su delega concessa dall’art. 112, 1° comma, l. n. 11/1998 sull’avvocatura.
Questo codice prevede le norme etiche generali valide per tutti gli avvocati iscritti presso gli
ordini ungheresi.
Nonostante tutto, la tendenza sia dal punto di vista deontologico che da quello strutturale è oltre la specializzazione in materia di famiglia anche il miglioramento dei servizi. In tale direzione
avanza anche la proposta del Consiglio Nazionale della Magistratura ungherese che intende riformare i Tribunale e le procedure in materia di famiglia nell’ottica concettuale della giustizia
“minore-orientata”. La proposta prevede che il minore dovrà essere rappresentato ed i suoi interessi e diritti tutelati da un tutore le cui spese saranno a carico dello stato.
Inoltre, entro la fine dell’anno tutti i Tribunali ungheresi avranno la stanza per l’ascolto protetto del minore, e proprio da questo mese di maggio sui siti dei Tribunali ungheresi sono attivate
delle finestre dedicate ai minori che potranno – direttamente e adeguatamente alla loro età ad
al loro linguaggio – trovare delle informazioni sui temi del divorzio, adozione ed altre materie
del diritto di famiglia e potranno interagire con i Tribunali e con i professionisti.
All’inizio del mese di giugno presso l’Accademia della Giustizia Ungherese si terrà una conferenza
nazionale sui temi della “giustizia minore-orientata” con analisi dei relativi compiti e degli obiettivi
dei Tribunali, durante la quale gli esperti di vari settori collegati alla materia della famiglia si confronteranno determinando gli obiettivi futuri nel settore. La formazione dei magistrati ed i corsi di
specializzazione per avvocati di famiglia prevedono già molti temi ed argomenti sulle novità.
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EDITORIALE AIAF ‐ Organi statutari Presidente: Luisella Fanni
Vicepresidente: Franca Alessio
Giunta Esecutiva: Luisella Fanni (Presidente), Franca Alessio (Vicepresidente), Daniela Abram (AIAF
Emilia Romagna), Maurizio Bandera (AIAF Lombardia), Manuela Cecchi (AIAF Toscana), Remigia
D’Agata (AIAF Sicilia), Gabriella de Strobel (AIAF Veneto), Giulia Sarnari (AIAF Lazio), Antonina Scolaro (AIAF Piemonte)
Direttore Responsabile Scuola di Alta Formazione dell’AIAF: Luisella Fanni
Direttore Scientifico Scuola di Alta Formazione dell’AIAF: Alberto Figone
Comitato Direttivo Nazionale
Abruzzo
Maria Carla Serafini (presidente)
Federica Di Benedetto
Calabria
Stefania Mendicino (presidente)
Campania
Rosanna Dama (presidente)
Erminia Del Cogliano
Emilia Romagna
Daniela Abram (presidente)
Lorenza Bond, Marta Rovacchi
Friuli Venezia Giulia
Maria Antonia Pili (presidente)
Graziella Cantiello, Paola Bardi
Lazio
Marina Marino (presidente)
Marina Blasi, Costanza Pomarici, Giulia Sarnari
Liguria
Liana Maggiano (presidente)
Massimo Benoit Torsegno, Alberto Figone
Lombardia
Cinzia Calabrese (presidente)
Franca Alessio, Maurizio Bandera, Marisa Bedotti, Marina Bologni, Cinzia Colombo, Giuseppina De Biasi, Antonella De Peri, Cesare Fiore, Stefania Lingua, Carla Loda,
Francesca Mazzoleni, Gerardo Milani, Laura Pietrasanta,
Mirella Quattrone, Antonella Ratti, Giulia Sapi
Marche
Anna Pelamatti Cagnoni (presidente)
Piemonte
Dionisio Giovanni (presidente)
Maria Cristina Bruno Voena, Anna, Scolaro, Cristina Giovando, Maria Cristina Ottavis, Marina Torresini
Puglia
Ada Marseglia (presidente)
Sardegna
Francesco Pisano (presidente)
Stefania Bandinelli, Luisella Fanni, Anna Marinucci
Sicilia
Remigia D’Agata (presidente)
Cinzi Fresina, Antonio Leonardi, Caterina Mirto
Toscana
Manuela Cecchi (presidente)
Sandra Albertini, Carla Marcucci, Gigliola Montano, Bruna Repetto, Sandra Tagliasacchi, Valeria Vezzosi
Trentino Alto Adige
Elisabetta Peterlongo (presidente)
Federica Fuggetti
Umbria
Anna Maria Pacciarini (presidente)
Anita Grossi, Maria Rita Tiburzi
Veneto
Alessandro Sartori (presidente)
Roberta Bettiolo, Gaudenzia Brunello, Paola Cacco,
Francesca Collet, Gabriella de Strobel, Sabrina De Santi,
Caterina Evangelisti Franzaroli, Lucia Fazzina, Elisabetta
Francescato, Rita Mondolo, Giulia Schiaffino, Damiana
Stocco, Assunta Todini
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