voglio storie straNe,

La CARTA STAMPATA del
NUOVO cinema italiano
luglio
agosto
settembre
Numero
2013
3
SPECIALE VENEZIA
Giovani leoni crescono
La storia del festival attraverso i
suoi più geniali esordienti
OPERA PRIMA
Neorealismo magico
“Il sud è niente”, se è una ragazza
ad abbattere i luoghi comuni
ICONE
O cinema o morte!
Il giuramento dei fratelli Taviani,
ragazzi per sempre, a Pisa a Berlino
VOGLIO STORIE STRANE,
MONDI DIVERSI,
SOGNI
Eugenio Franceschini
Il nuovo ribelle del cinema italiano
S
SoMMARIO
Pubblicazione Edita
Dall’Associazione Culturale
Indie per cui
Via Francesco Ferraironi, 49
L7 (00177) Roma
www.fabriqueducinema.it
Registrazione tribunale di Roma
n. 177 del 10 luglio 2013
Direttore EDITORIALE
Ilaria Ravarino
SUPERVISOR
Luigi Pinto
DIRETTORE ARTISTICO
Davide Manca
GRAFICA E IMPAGINAZIONE
Giovanni Morelli
Paolo Soellner
CAPOREDATTORE
Elena Mazzocchi
CAPOSERVIZIO
Tommaso Agnese
REDAZIONE
Cristiana Raffa
Sonia Serafini
Chiara Spoletini
PHOTOEDITOR
Francesca Fago
Comunicazione e Web
Consuelo Madrigali
Web MASTER
Luca Luigetti
EVENTI E MARKETING
Isaura Costa
Delegato Nord Italia
Luca Caserta
Relazioni sale
Katia Folco
UFFICIO STAMPA
Sara Battelli
HANNO COLLABORATO
Alessandro Baronciani
Roberta Ettori
Gianluca Lo Guasto
STAMPA
Press Up s.r.l.
Via La Spezia, 118/C 00055
Ladispoli (RM)
Distribuzione
Pubblimediagroup di Luca Papi
Finito di stampare nel mese di Agosto 2013
La CaRTa STaMPaTa deL
NUOVO CiNeMa iTaLiaNO
luglio
agosto
settembre
Numero
2013
3
SPECIALE VENEZIA
giovaNi leoNi crescoNo
La storia del festival attraverso i
suoi più geniali esordienti
OPERA PRIMA
Neorealismo magico
“Il sud è niente”, se è una ragazza
ad abbattere i luoghi comuni
ICONE
o ciNema o morte!
Il giuramento dei fratelli Taviani,
ragazzi per sempre, a Pisa a Berlino
voglio storie straNe,
moNDi Diversi,
sogNi
eugeNio FraNceschiNi
Il nuovo rIbelle del cInema ItalIano
IN COPERTINA
Eugenio Franceschini
4
6
14 OPERA
10
PRIMA
18
24
32
36
40
28 ICONE
Taviani
Fratelli
44
Nessun compromesso,
cinema o morte
36
50
53
54
Ho ucciso García
Márquez
Fabio Mollo ci racconta
il suo film sulla Calabria
di oggi
EDITORIALE
ESSERCI
COVER STORY
Eugenio Franceschini
La fantasia al potere
SPECIALE VENEZIA 70
IL RUGGITO DEI GIOVANI LEONI
DOSSIER
Professione: attore
Rising stars
SPECIALE
Nuevo cine Il cinema
argentino indipendente
DODICI
Valerio Groppa
Tenendo a fuoco l’obiettivo
NUOVA
DISTRIBUZIONE
On demand: chiedi e ti sarà dato
EFFETTI SPECIALI
I mostri abitano nella rete
MESTIERI
Kimerafilm
Produttori under 40
MAKING OF
Sul set de
La diva
graphic noveL
Lynn Shaw
Histoires du cinéma
DIARIO
GLI EVENTI DI FABRIQUE
DA NON PERDERE
COME E DOVE
LUOGHI DOVE È REPERIBILE
«FABRIQUE»
Esserci
EDITORIALE
di Ilaria Ravarino foto Roberta Krasnig
Essere o non essere (a un festival), questo è il problema.
Spesso si sente dire, da chi il cinema lo fa da anni, che i festival italiani sono un calvario
necessario. Un palcoscenico sul Golgota dove esserci per forza, anche a costo di andare incontro
al fallimento, al fischio, all’umiliazione. Esserci per dimostrare di esserci ancora.
Più spesso si sente dire, da chi al cinema si affaccia adesso, che i festival italiani sono sordi ai
giovani talenti. Una vetrina riservata a pochi, impossibile da raggiungere sotto ai trent’anni. Teste
bianche in prima fila, ai ragazzi la galleria. Esserci per dimostrare di esserci.
Eppure i festival, come vi racconta Fabrique in questo numero, sono stati qualcosa di diverso. E
possono esserlo ancora. Ci piace dirvelo con l’esempio di autori come i fratelli Taviani, Icone del
mese, maestri che continuano a trionfare ai festival perché non inseguono il proprio ego ma le
storie, la poesia, l’arte. Esserci, per loro, significa una cosa semplice: avere qualcosa da dire.
Insieme ai Taviani vi raccontiamo anche questa volta tre giovani talenti, Fabio Mollo, Valerio
Groppa e Eugenio Franceschini. Due registi e un attore che non rimarranno in galleria a lungo,
perché i giovani leoni hanno voglia di ruggire. Hanno voglia di esserci per raccontare storie. Le loro.
Essere o non essere (in sala), anche questo è un problema.
Perché il cinema non è più nuovo e non è più un paradiso, e là fuori c’è tutto un mondo da
esplorare. Fuori dalla retorica della sala come luogo d’elezione dell’esperienza cinematografica,
fuori dal circolo vizioso della distribuzione classica, fuori dagli schemi, fuori dal passato, fuori
da tutto ciò che è scontato. Fuori dai luoghi comuni, soprattutto. Fuori dall’odioso scarto tra chi è
dentro (la sala) e chi è fuori.
Video On Demand. Film in download. Film in streaming. Serie per il web, come quella che vi
raccontiamo nella rubrica sugli effetti speciali. Il cinema si rinnova, la rete è la nuova frontiera
e nella prima puntata del nostro dossier sulla distribuzione sfoglierete per primi la mappa della
terra su cui si muovono, e si muoveranno, gli autori di domani.
Fabrique non ha dubbi amletici.
Avere o non avere qualcosa di nuovo da dire: questo è il problema.
4
5
- Cover story -
EUGENIO FRANCESCHINI
La fantasia
AL POTERE
Figlio di artisti di strada, in viaggio da sempre, è entrato nel cinema
con il suo fisico da saltimbanco e la fantasia da giullare. E Fabrique
ha scelto di guardarlo attraverso la maschera che ha portato per anni,
quella di Arlecchino. Fantasioso, energico, scaltro come lui. E capace
di giocare con tutto. Demoni inclusi.
di Ilaria Ravarino foto Roberta Krasnig
Stylist Stefania Sciortino
Hairstyle Adriano Cocciarelli@Harumi
Make-up Francesca Mazzi@Harumi
Clothes Levi’s
Scarpe Onitsuka Tiger
6
7
«Il mio film preferito
di sempre? The blues
brothers. Prima
adoravo le commedie,
adesso i drammi.
Ho amato Bronson
e Drive; in questo
momento ho una fissa
per Ryan Gosling».
H
a ventuno anni e già gli hanno appiccicato l’etichetta del ribelle, dell’anticonformista.
Chissà quante zone d’ombra in un ragazzo cresciuto zingaro tra le tournée dei suoi e i palchi
improvvisati nelle piazze. Chissà quali segreti in questo figlio di un’arte minore, cresciuto a
pane e strada, scoperto da Giacomo Campiotti in Bianca come il latte, rossa come il sangue
e subito adottato da Sergio Castellitto per Una famiglia perfetta. Ma Eugenio Franceschini è
un oggetto strano. Che non si lascia etichettare. Al cinema l’abbiamo visto prima skinhead e
poi ragazzo da reality e in futuro, come racconta a Fabrique, sarà molte altre cose.
Quando hai capito che avresti seguito la strada dei tuoi genitori?
I miei facevano un teatro marginale, al di fuori dei grandi circuiti, teatro
di strada e del sociale. Quando ho finito le superiori mi sono guardato e
mi sono chiesto: cosa sono in grado di fare? Perché credo che si debba
essere consapevoli di quel che si sa fare, prima che di quel che si vuole
fare. Essendo cresciuto sul palco la risposta è stata facile: recitare.
Di quegli anni per strada conservi un ricordo speciale?
Ho conosciuto centinaia di persone incredibili. La scorsa settimana mi è arrivato via posta il libro di un attore spagnolo, il cui nome
mi era completamente sconosciuto. Poi ho scoperto che quell’attore, quando avevo tre anni, mi fece da padre mentre i miei erano
in tournée in Spagna.
Però alla fine tu hai scelto il cinema, non il teatro.
Mi sarebbe piaciuto continuare sulla strada dei miei, ma è impossibile
sopravvivere con il teatro popolare. E allora ho pensato al cinema provando a entrare al Centro Sperimentale.
L’esperienza in una scuola ti sta servendo?
È fondamentale. Vengo da un teatro fatto di movimenti e potenza fisica, con pochissima introspezione. Quando sono arrivato al Centro ero
molto grezzo, ma grazie allo studio sono riuscito a incanalare tutta la
mia energia esplosiva e incontrollata. Ora ho due interruttori: quello da
Arlecchino e quello da film.
Il cinema italiano è vecchio. I giovani faticano a imporsi. Come se
ne esce?
I dibattiti non mi interessano, il cinema preferisco farlo. Ho conosciuto
tanti bravi registi al Centro e se proprio dovessi individuare un punto
debole nel nostro cinema direi che manca la fantasia. Non so se dipen-
8
de dal background in cui sono cresciuto, ma il cinema italiano mi pare
troppo attaccato alla realtà. Perché i registi non hanno voglia di inventare anche cose che non sono per forza vere? Non hanno il desiderio di
raccontare anche storie strane, mondi diversi, sogni, qualcosa che vada
fuori dal pur importantissimo fatto politico e sociale? La realtà, dopo
un po’, è noiosa.
Ti dipingono come un ribelle. Hai mai fatto qualcosa di rivoluzionario?
Ho fatto politica, fuori dagli schemi e dai partiti, ma ancora niente di
rivoluzionario. Vedo quello che hanno fatto nella loro vita mio padre e
il mio nonno ferroviere, e penso di non essere ancora all’altezza. Sono
stato solo fortunato, non ho rischiato molto. L’unica cosa che ho fatto è
stata venire a Roma con due soldi in tasca per lanciarmi in un mondo
nuovo, quello del cinema.
Come ti immagini fra dieci anni?
Come il protagonista de Il lupo della steppa di Hermann Hesse.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Ho appena finito tre film: La luna su Torino di Davide Ferrario, Maldamore di Angelo Longoni e Sapore di te dei fratelli Vanzina, il remake
del Sapore di mare anni Ottanta. Aprirò in autunno la stagione teatrale
dell’Eliseo, a Roma, con Prima del silenzio di Giuseppe Patroni Griffi,
insieme a Leo Gullotta. Saremo in tournée fino a marzo e sono molto soddisfatto. Prima di me quel ruolo è stato portato in scena solo da
Bentivoglio.
Un bel salto, dai Vanzina a Patroni Griffi.
Bisogna far tutto, come i macellai: se sei bravo impari a tagliare ogni
cosa, la coda come il filetto.
Federico Fellini e Broderick Crawford
sul set de “Il bidone” .
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- Speciale Venezia 70 -
IL RUGGITO
DEI GIOVANI LEONI
È IL LUOGO DOVE OGNI ANNO, SE SI FA CINEMA, BISOGNA ESSERCI. È QUI CHE IN
SETTANTA ANNI DI STORIA HANNO DEBUTTATO REGISTI E ATTORI CHE HANNO FATTO
LA STORIA DELL’IMMAGINARIO ITALIANO. DA QUI, FABRIQUE NE È CERTA, I NUOVI
GIOVANI LEONI METTERANNO ANCORA LE ALI.
di ILARIA RAVARINO foto concessione dell’archivio fotografico di Morando Morandini
Da sinistra, Bellocchio e Michel
Piccoli dal film “Salto nel vuoto”,
Monicelli e Giovanna Ralli sul
set di “Un eroe dei nostri tempi”,
Claudia Cardinale a Venezia.
11
Elsa Martinelli dal
film “Pelle viva”
di Giuseppe Fina.
M
ostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, anno 1958. Mentre i paparazzi danno la caccia
alla diva Brigitte Bardot e all’acerba Sophia Loren, a
24 anni favorita per la Coppa Volpi, un ragazzo si aggira per le calli in cerca della sala dove stanno proiettando il suo corto documentario, Venezia città moderna. Ha 27 anni, i
capelli corti e scuri, gli occhiali con la montatura spessa. Il suo nome
è Ermanno Olmi ed è un giovane leone che a Venezia tornerà ancora:
premio della critica a trent’anni con Il posto, sarà Leone d’oro a 57 con La
leggenda del santo bevitore e Leone alla carriera, tra lacrime e applausi,
mezzo secolo dopo.
Il fatto è che, a saperlo ascoltare, il ruggito dei giovani leoni ha sempre
contenuto le premesse (e le promesse) del cinema del futuro.
Un paio d’anni prima, per esempio, alla Mostra era capitato per la prima
volta un certo Federico Fellini. Attore e soggettista de Il miracolo, a 27
anni non aveva ancora deciso cosa fare nella vita. Quattro anni dopo,
però, sarebbe tornato al Lido. Da regista. Prima con Lo sceicco bianco e
cinque anni più tardi con I vitelloni, vincendo il primo Leone d’argento
della sua lunga carriera. Qualcuno quell’anno seppe ascoltare il suo ruggito. Altri lo fischiarono: «Il pubblico del Lido non è rimasto soddisfatto
di questa conclusione – riporta la cronaca di Giancarlo Fusco su “L’Europeo” a proposito di quel secondo premio – La serata di venerdì, quando dal palcoscenico furono proclamati i risultati del festival, si sentirono
più fischi che applausi. Possiamo dargli torto?».
A scorrere gli archivi della Mostra di Venezia pare che dal 1932 a oggi
l’età migliore, per ruggire, sia sempre stata la stessa. Sopra ai diciotto e
sotto ai quarant’anni.
Un dato anagrafico naturale soprattutto per gli attori, che la Mostra ha
voluto giovani fin dall’inizio, quando a soli quattro anni di vita impazziva per un idolo 29enne, Amedeo Nazzari. E se nel corso del tempo il
festival ha battezzato Lucia Bosè a 25 anni, premiato Sophia Loren a 24
e Valeria Golino a 20, Claudia Cardinale, che per questa edizione è la
madrina di Venezia Classici, al Lido arrivò per la prima volta a 18 anni,
stregando la passerella della Mostra 1957. Un anno prima era toccato a
Elsa Martinelli, 21 anni, «figlia di un ferroviere, ex sartina, ex commessa
di bar – malignava Oriana Fallaci –, la sua notorietà nasce dal fatto di es-
12
sere una perfetta mannequin e di coltivare un flirt con Walter Chiari, ma
ora i produttori se la contendono a forza di milioni e i fotoreporter le dedicano a Venezia tanto tempo quanto ne spendono con la Lollobrigida».
Il ruggito dei giovani registi, invece, ha sempre fatto meno clamore. E
forse per questo motivo il dato anagrafico tende a essere dimenticato.
Eppure quando Marco Bellocchio vinse il Leone d’Argento nel 1967, con
La Cina è vicina, aveva solo 28 anni. Bernardo Bertolucci, con La commare secca, a Venezia ci arrivò a 22. Michelangelo Antonioni ne aveva 34
quando nel 1947 portò il suo corto d’esordio Gente del Po al Lido, mentre
Francesco Rosi, con La sfida, si aggiudicò nel 1958 il Leone d’argento a
36 anni: superati di poco i 40 si sarebbe preso anche il Leone d’oro, con
Le mani sulla città. Il ’68, poi, fu l’anno dei giovani: di Liliana Cavani, che
35enne partecipò per la prima volta alla Mostra e di Citto Maselli, che
finì col rovinarsi un ginocchio durante gli scontri con la polizia al Lido.
Di anni ne aveva 38 ed era tra i più anziani nella sommossa.
Ci sono poi i leoncini che hanno scelto di ruggire altrove, tornando a
Venezia con la criniera folta. Gillo Pontecorvo, per esempio, che vinse
nel 1966 il Leone d’oro con La Battaglia di Algeri: aveva 45 anni, ma il
primo lungometraggio (La grande strada azzurra) l’aveva girato dieci
anni prima vincendo al Festival internazionale del cinema di Karlovy
Vary. Con il secondo, Kapò, era stato nominato all’Oscar. A 36 anni. E
Mario Monicelli, che Venezia fece re (leone) tardivamente, a 45 anni
con La Grande Guerra, a 19 anni era già passato al Lido: in una sezione per film a passo ridotto, con il lungo I ragazzi della via Paal, che
non a caso vinse il primo premio.
Volendo andare avanti nel tempo, più vicini al nostro millennio, i giovani leoni non sono mancati. Trentenni di talento che hanno spiccato
il volo dal trampolino della Mostra, partendo spesso dal secondo posto (l’oro alla maturità, l’argento alla promessa), come il 28enne Nanni Moretti di Sogni d’oro nel 1981, il 33enne Mario Martone con Morte
di un matematico napoletano nel 1993, il 38enne Carlo Mazzacurati
de Il toro nel 1994. E Paolo Virzì, ultimo dei piccoli grandi leoni, con
Ovosodo a 33. Era il 1997.
Da allora, di giovani, s’è parlato sempre meno. Eppure i leoncini continuano a farsi sentire, anche in questa edizione della Mostra.
Per ascoltarne il ruggito basta tendere l’orecchio. Oltre il rumore.
Promotion
ROMEUR ACADEMY Dove il talento
diventa professione
La Romeur Academy è un’accademia di alta formazione, unica riconosciuta da Regione Lazio e Provincia
di Roma a rilasciare UN diploma di II livello in Filmmaking. Il diploma che si riceve è valido in tutta
Europa, per concorsi pubblici e per insegnamento.
R
omeur Academy – European Academy
of Rome, è la nuova realtà formativa
fucina di giovani talenti. Nata nel 2004,
Romeur Academy è specializzata nella formazione di professionisti nell’ambito delle
arti visive. Riconosciuta dalla Regione Lazio
e Provincia di Roma, offre corsi di un anno
accademico rilascianti diplomi di I e II livello, riconosciuti in tutta Europa. Ai corsi già
attivi, Fotoreporter, Graphic Communication,
Filmaker e Make Up, si aggiungeranno presto
corsi regionali in Nail e Tattoo. Infatti, grazie al
successo ottenuto e le partnership strette con
diverse realtà leader, alla sede storica in via
Cristoforo Colombo verrà affiancata una nuova sede nel quartiere Prati di Roma. Le collaborazioni nate nell’anno 2013, hanno portato
la Romeur Academy a imporsi come una delle
più importanti Accademie di formazione in
Italia, garantendo agli iscritti non solo percorsi
didattici all’avanguardia in termini di insegnamento e supporti tecnici, ma anche tantissime
possibilità di stage e lavoro sul campo. Collaborano con Romeur Academy: Women &
Bride, Fabrique Du Cinéma, Cinetica Video,
Isola Del Cinema di Roma, Roma Web Fest,
Mac Cosmetics, GR Management, AltaRoma, Accademia di Moda e Costume. Sempre
nell’anno 2013, Romeur Academy partecipa
all’ideazione di un nuovo progetto editoriale,
da cui ha preso il nome l’evento “Rome Next
To Fashion”, tenutosi il 10 luglio scorso al Caffè
Veneto di Roma. Sempre a luglio 2013, chiude
un contratto triennale con Miss Italia.
Da sempre, punto di forza dell’Accademia è
l’aspetto essenzialmente pratico dei corsi proposti. Rilasciando non semplici diplomi ma
“abilitazioni alla professione”, era necessario e
doveroso improntare i percorsi didattici sulla
base delle realtà lavorative con le quali effettivamente avranno a che fare una volta diplomati i ragazzi. Ciascun corso offre molteplici
occasioni di stage, interne ed esterne all’azienda, che permettono agli allievi di testare tutte
le capacità acquisite durante il corso.
L’esempio che vogliamo portarvi oggi, data la
splendida collaborazione attiva fra Romeur
Academy e Isola del Cinema di Roma, riguarda la varietà di occasioni offerte dai docenti
del corso di Filmaker agli allievi dell’Accademia. Negli otto mesi effettivi di didattica, la
classe di quest’anno accademico 2012 – 2013,
con il docente di postproduzione Alessandro
Visciano (Responsabile Cinetica Video) ha
potuto: visitare i reparti mix audio, color correction, effetti speciali, post produzione video
della Cinetica Video Service; partecipare ad
un set, località Ciampino, per vedere come
si realizzano gli effetti speciali; collaborare al
mixaggio audio del film “Notte agli Studios”;
avvalersi del prezioso contributo di Luca Ward
e Arnaldo Capocchia per la realizzazione dei
cortometraggi di fine anno.
Sempre grazie ad Alessandro Visciano, i ragazzi, ormai diplomati, stanno seguendo la Cinetica Video nella realizzazione di due produzioni
televisive per Babel Tv: un nuovo format dedicato al mondo del make up, provvisoriamente
intitolato “Make Up: il Trucco del Successo” e
“Face Up”, un game show incentrato sulla fotografia professionale. Inoltre a settembre saranno impegnati nel set del nuovo lungometraggio
per la regia di Tony Paganelli “Linea di sangue”.
Nel cartellone dell’Isola del Cinema di Roma,
per il grande valore dei cortometraggi prodotti
dalla classe Filmaker 2012-2013, è stata inserita la proiezione dei ben 5 cortometraggi realizzati dagli studenti. Buona visione.
www.romeuracademy.it
Direttore Didattico e Artistico: Paolo Secondino - Via Cristoforo Colombo, 573 - Roma - numero verde 800 910 410 - [email protected]
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- Opera prima -
Fabio Mollo
HO UCCISO
GARCÍA MÁRQUEZ
Neoralismo magico: è la definizione un po’ autoironica che Fabio Mollo,
33enne calabrese, ha coniato per il suo primo lungometraggio,
Il sud è niente (selezionato al Toronto International Film Festival),
in omaggio al maestro che ha incontrato e “ucciso”
e alle radici del cinema italiano.
di Elena Mazzocchi foto Paolo Palmieri
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Uno strano
pomeriggio di pioggia
estiva sui tetti del
Pigneto, a casa di
Fabio, che ha le valigie
pronte per volare
a New York, dove
seguirà una master
class alla New York
Film Academy;
uno dei tanti premi
ricevuti nei festival
di tutto il mondo
dal corto "I giganti".
Partiamo da qui.
Il sud è niente nasce come sviluppo del tuo primo fortunato corto:
chi sono i giganti?
In tutto il Mediterraneo c’è la tradizione dei giganti di cartapesta, che appaiono anche in una scena clou del film. Volevo innanzitutto raccontare
questa usanza, ma soprattutto era l’immagine adatta per parlare della
’ndrangheta nella sua forma secondo me più spietata, quella dell’invisibilità, del silenzio. Non quando spara e uccide, ma quando si nasconde a tal punto da far credere che non esiste. I giganti sono la metafora
del potere che ci muove a prescindere dalla nostra volontà. Ed è anche
l’elemento più autobiografico del film: io sono cresciuto nel quartiere
Gebbione, una sorta di Scampia di Reggio, e come i miei coetanei non
riuscivo ad afferrare la ’ndrangheta: c’erano solo regole, luoghi e persone che avvertivamo come parte del dna mafioso e anche del nostro
dna, seppure in maniera inconsapevole. I giganti sono così grandi che è
impossibile non vederli, nonostante ciò restano “invisibili”. Un esempio
di questa mentalità? A Reggio il film non è mai stato proiettato.
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Il lungometraggio riprende alcuni spunti dei Giganti: in particolare la figura affascinante della ragazza/ragazzo, l’androgino. Che
cosa rappresenta per te?
Il tema che più sentivo l’urgenza di riprendere e ampliare è quello del cambiamento: e Grazia, l’androgina protagonista, ne è l’immagine. Se I giganti voleva raccontare la realtà, Il sud vuole essere
un messaggio di cambiamento. Grazia parte da una staticità fisica
ed emotiva “maschile” per evolversi e incontrare sempre più la sua
femminilità. Ed è un tema che si lega anche a un discorso generazionale. La nostra generazione, e ancor più quella successiva, è
ormai così arrabbiata e desiderosa di rinnovamento che potrebbe
finalmente recidere il legame con la vecchia. Trovo particolarmente
significativo che nel Sud sia proprio una donna a portare avanti il
cambiamento. E poi io amo i personaggi femminili, capaci di raccontare meglio le sfumature psicologiche. Grazia mi ha permesso di
cercare insieme a lei la sua femminilità.
In alto, un momento de I giganti (ph Gianfranco Ferraro); al centro e in basso Il
sud è niente (ph Mauro Santoro).
Il titolo è quindi una provocazione…
Assolutamente sì. Per decenni ci hanno fatto credere che il Sud non
valeva nulla, che era solo un luogo da cui fuggire, ma forse adesso i giovani pensano che invece valga la pena restare e lottare. Io sono uno di
quelli che se n’è andato a 18 anni a studiare in Inghilterra, i miei primi
lavori parlavano di tutt’altro. Ma quando sono tornato ho deciso di affrontare tutti i miei fantasmi.
Fabio ci racconta, sorridendo un po’ amaro, la complessa storia produttiva del film, la cui idea risale al 2008. La prima a crederci è stata
Jeanne Moreau, con i suoi Ateliers d’Angers, poi la sceneggiatura è stata
selezionata dal TorinoFilmLab, a Berlino e all’Atelier di Cannes. Un giovane produttore francese, Jean-Denis le Dinahet, aveva detto subito sì,
la strada sembrava spianata. Ma c’era la necessità di una coproduzione
italiana e nessun italiano voleva entrare. «Ero a Cannes – ricorda Fabio
– e mi sfilavano davanti produttori di tutti i paesi, tranne che dell’Italia.
Non capivamo dove stavamo sbagliando, forse eravamo troppo giovani, il progetto poco commerciale, il momento storico particolarmente
sfavorevole». Quando ormai il progetto pareva destinato a naufragare,
la decisione: fare un film a bassissimo budget, con un ulteriore piccolo
finanziamento del Ministero francese. Il che ha finalmente costretto anche quello italiano a entrare nella produzione, insieme alla Film Commission Calabria e alla Rai che ha comprato i diritti tv. «In proporzione
il film è costato meno del corto. I mezzi erano limitatissimi: sul set non
avevamo i camper, le radio, il monitor, luci sufficienti a illuminare due
stanze contemporaneamente. Ognuno di noi ha lavorato a una paga ridicola, ci siamo resi conto il primo giorno sul set che tutto il precedente
lavoro di preparazione (storyboard ecc.) dovevamo buttarlo: non c’era
tempo sufficiente, con una media di minimo quattro scene al giorno da
girare». Anche Valentina Lodovini e Vinicio Marchioni, che hanno un
piccolo ruolo, sono venuti per amicizia e perché credevano nel progetto.
Il film è costruito sull’interpretazione dell’attrice protagonista:
un’esordiente assoluta, Miriam Karlkvist.
Che ha dato moltissimo al film, nonostante le costanti difficoltà economiche e logistiche. Lei è un’esponente della nuova generazione che secondo me potrà cambiare le cose. Fin da subito aveva sul set un atteggiamento alla pari con me e con Vinicio Marchioni, senza riverenza, anzi, quasi
strafottente. Mi ha messo alla prova e allo stesso tempo ha dovuto fidarsi
di me. Ha fatto al film il grande regalo di concedersi completamente, era
una continua proposta, un continuo stimolo. Ha un istinto incredibile.
Che tipo di regista vorresti essere? Proviamo ad arrivarci con
un’altra domanda: quale film altrui ti sarebbe piaciuto girare?
Sicuramente fra gli ultimi Sister di Ursula Meier, con un personaggio
femminile bellissimo che cambia a ogni scena. E tutti i film di Michael
Winterbottom: ammiro la sua versatilità, il fatto che non sia troppo
“autore”, di quei registi cioè con una cifra stilistica e tematica sempre
uguale. Anche a me piacerebbe sperimentarmi nei prossimi film con
storie e generi diversi fra loro.
Anche a costo di non essere poi riconoscibile? Sappiamo che uno
dei tuoi maestri è Gabriel García Márquez, che al contrario ha uno
stile inconfondibile.
È vero, ma ho avuto la fortuna di lavorarci assieme, al festival dell’Havana, e in quell’occasione l’ho ucciso… Naturalmente in senso metaforico, ho ucciso il padre che lui rappresentava per me da un punto
di vista creativo. Abbiamo adattato un suo racconto per un lungometraggio che avrebbe dovuto essere una coproduzione italo-cubana,
ma poi i due paesi non si sono messi d’accordo e lo script giace ancora lì in un cassetto. In ogni caso, ora penso di essere pronto per altre
cose. Ho capito allora che l’autore può essere molto ingombrante per
la storia, invece io preferisco le storie che parlano da sé.
A quale progetto stai lavorando?
Sto pensando a due film: uno di genere, una sorta di thriller drammatico,
che abbia a che fare con le ombre e il soprannaturale, un po’ alla Night
Shyamalan. L’altro, invece, ha un tratto molto realistico e vorrebbe raccontare il nostro tempo, fotografare il disorientamento di una generazione
che per la prima volta da quasi un secolo sta peggio di quella precedente.
Le ultime gocce di pioggia rigano i vetri. Ma, prima di salutarci, Fabio
ci affida una conclusione graffiante: «Io credo nel cinema italiano. Ci
credo così tanto che sono arrabbiato con questo cinema italiano: quando vedo le difficoltà che incontrano tanti giovani talenti che conosco
bene, mi persuado che è la generazione precedente a farci ostruzionismo, a difendere il suo orticello fatto di film tutti uguali, prevedibili,
con i soliti attori giusti, le solite storie borghesi autocelebrative. Se qualcuno di noi entrasse nel giro, qualcuno di loro dovrebbe uscire: ed è
evidente che vi si oppongono con tutte le forze».
17
- Dossier -
Fabrique ha deciso di presentare ai suoi lettori i giovani
attori di talento che faranno il cinema di domani
Professione:
attore
Sono preparati, intelligenti e umili. Visi puliti, espressivi,
ma caratteri forti, pronti a lottare per il proprio futuro
e a scalciare via ciò che è vecchio e superato. Si sono guadagnati il nostro sguardo e si meritano il vostro giudizio.
Ecco a voi in rigoroso ordine alfabetico:
Alan Cappelli
Eugenio Franceschini
Gabriele Rendina
Maria Roveran
Greta Scarano
Gaia Scodellaro
18
ALL CLOTHES BY LEVI’S
GIOIELLI ONE OFF
SCARPE EUGENIO FRANCESCHINI ONITSUKA TIGER
a cura di Tommaso Agnese, SONIA SERAFINI
foto Roberta Krasnig
stylist&fashion consultant Stefania Sciortino
hairstyle Adriano Cocciarelli @Harumi
make up Francesca Mazzi @Harumi
«Comprendere il pieno significato della vita è il dovere dell’attore,
interpretarlo è il suo problema, ed esprimerlo è la sua passione».
Marlon Brando
19
«C
omprendere il pieno significato
della vita è il dovere dell’attore,
interpretarlo è il suo problema,
ed esprimerlo è la sua passione». Con queste parole Marlon
Brando sintetizzava il mestiere
dell’attore, diventando egli stesso, con la sua
strepitosa carriera, simbolo artistico delle
generazioni a venire. Questa citazione non è
altro che un messaggio e un auspicio a tutti
quei giovani che nella recitazione vedono il
proprio futuro. Conoscenza della realtà, profondità d’interpretazione e capacità di esprimersi sono gli elementi necessari in questa
professione che sempre di più sta perdendo,
nel nostro paese, i fasti e la sontuosa qualità
di cui un tempo godeva.
Se accendiamo la televisione o facciamo un
giro in rete, siamo sommersi da tante facce
più o meno espressive. Chiunque sembra poter diventare attore in Italia; a volte basta es-
sere di bella presenza oppure semplicemente
essere capitati nel posto giusto al momento
giusto. Per questo motivo spesso la recitazione non è considerata un vero lavoro, ma un
semplice passatempo per chi non ha altro da
fare. È così che si perde il significato e la storia
millenaria di questo mestiere, e ci si dimentica che dietro un bel viso e un bel corpo ci
deve essere altro: un talento e uno studio che
ne sostengano le capacità artistiche. In giro ci
sono sempre più attori in grado solo d’interpretare se stessi e non di spaziare nella caratterizzazione di un personaggio, di dimostrare
quanto una persona capace possa arrivare
lontano da sé, dal proprio modo di essere.
Uno dei problemi più grandi che affligge questo settore è il sovraffollamento, insieme alla
mancanza di una vera selezione, a causa di
un sistema che non funziona correttamente
(scuole, casting, agenzie, produzioni). Gli attori cinematografici bravi e famosi si possono
Gli attori cinematografici bravi e famosi si possono contare
sulle dita di una mano, i soliti noti, ma dietro di loro c’è un
mondo che scalpita senza griglie di partenza, con un’unica linea da cui tutti sono chiamati a correre calpestandosi i piedi.
di Tommaso Agnese
contare sulle dita di una mano, i soliti noti, ma
dietro di loro c’è un mondo che scalpita senza
griglie di partenza, con un’unica linea da cui
tutti sono chiamati a correre calpestandosi i
piedi. Curriculum e percorso personale non
contano. Agenzie e casting hanno un potere
enorme che spesso non permette la scoperta e la promozione di nuovi talenti, attori di
grande qualità che nascono nei teatri dimenticati, che non fanno una vita abbastanza
mondana da entrare nel giro giusto o che
non sono passati per quei pochi programmi
televisivi dai quali si pretende di far uscire il
futuro del cinema italiano. A ciò si aggiunge
anche il numero esagerato di scuole di recitazione, molte dall’indubbio valore e dai costi
stratosferici, che promettono il talento anche
dove non c’è.
Il mestiere dell’attore però non è tutto questo, ed emergere da un contesto simile risulta
sempre più difficile. Le scuole di recitazione,
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le agenzie e i casting director dovrebbero stare invece nei luoghi dove nascono le giovani
promesse, vicino ai teatri off, alle università,
ma anche alle scuole superiori. Ci si dimentica che la professione dell’attore è come quella di uno sportivo: per ottenere il massimo ci
vuole un allenamento costante e un buon allenatore. Non basta dire due battute, serve un
metodo, che sia quello di Stanislavskij, quello di Meisner ecc. che permetta di avere una
base di elementi a cui attingere, che fornisca
la direzione per una corretta e indispensabile
concentrazione e che insegni come stare in
scena e come aiutare con la propria recitazione la riuscita di una pièce o un film. Solo
all’interno di questa cornice il talento può
avere una continuità e l’attore affrontare sfide sempre più grandi: è qui che la recitazione
diventa davvero un mestiere, quando la caratterizzazione di un personaggio è il frutto di
un lavoro faticoso sia mentale che fisico.
Alan Cappelli
Alan Cappelli ha 26 anni ed è nato ad Anversa. Ha scoperto la recitazione al liceo, e ha deciso di studiarla al Centro Sperimentale di Cinematografia. L’abbiamo visto muovere i primi passi nella pubblicità della Tim diretta da Gabriele Muccino, passare
alla fiction di successo Tutti pazzi per amore e poi esplodere al cinema con Il principe abusivo di Alessandro Siani. Crede che
la crisi del cinema italiano si possa combattere con il fare, anche con piccoli lavori da mettere in rete: l’importante è che poi
qualcuno “in alto” si ricordi di rovistare nel web alla ricerca dei nuovi talenti…
Eugenio Franceschini
21 anni, nomade da sempre al seguito dei genitori artisti di teatro, debutta al cinema con Bianca come il latte, rossa come il
sangue di Giacomo Campiotti, e si fa notare nel cast all star di Una famiglia perfetta di Paolo Genovese, a fianco di Claudia
Gerini e Sergio Castellitto. Per i media è un ribelle e un anticonformista, lui smentisce, ma non rinuncia a provocare: dichiara
che il cinema italiano è «troppo attaccato alla realtà, che dopo un po’ è noiosa». Noi di Fabrique crediamo nel suo talento:
leggete la sua intervista per Cover story.
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Gabriele Rendina
Gabriele Rendina ha 23 anni ed è nato a Roma. È un compositore di musica contemporanea, diplomando al conservatorio di
Santa Cecilia; tre anni fa si è avvicinato al cinema e l’incontro con Gianni Amelio, che lo ha scelto per il suo L’intrepido, lo
ha portato sul grande schermo. Secondo Gabriele il problema del cinema italiano è proprio nella mancanza di giovani al suo
interno. Il futuro? Oltre al cinema, scrivere e comporre musica, sfruttandola come mezzo di comunicazione. Come il suo ultimo lavoro: un’arpa gigante di 110 cavi montata sopra Ponte Garibaldi, tenuti in tensione dalla corrente che li faceva suonare.
Maria Roveran
Maria Roveran ha 24 anni ed è nata a Venezia. Si avvicina al mondo della recitazione attraverso il Centro Sperimentale di
Cinematografia di Roma, che ha terminato da poco. Grazie ad Alessandro Rossetto vive la sua prima esperienza sul set come
protagonista di Piccola patria, e gira poi con Claudio Noce La foresta di ghiaccio. Appassionata di musica e di danza, le piace
pensare che lo slancio che sente fra i suoi coetanei possa mettere fine alla crisi che stiamo vivendo. Tutta l’energia che sente
intorno vorrebbe fosse canalizzata per fare delle cose, senza lamentarsi troppo di ciò che non va.
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Greta Scarano
Greta Scarano, 27enne romana, inizia la sua carriera da piccolissima nei teatri di Trastevere, si trasferisce in America, dove
studia teatro, musica, ballo e canto e approda al propedeutico del Centro Sperimentale; ma proprio quando lo studio si fa più
intenso arriva la chiamata da Un posto al sole, che le fa vivere sul campo la teoria appresa. Dopo tanta televisione arriva al
cinema con Qualche nuvola di Saverio di Biagio, presentato al Festival di Venezia nel 2011. Prossimamente sarà nel cast della
nuova Squadra antimafia, e sul grande schermo nell’opera prima di Michele Alhaique Senza pietà.
Gaia Scodellaro
Gaia Scodellaro, 28 anni, di Napoli, si è formata a New York, dove ha studiato per dieci anni, in particolare il metodo Stanislavskij. Tornata in Italia nel 2005, ha partecipato alla web series di Ivan Silvestrini The chronicles of David Rea, e ha preso
parte all’ultimo film del regista, Come non detto. Le piacciono il fermento e la voglia dei giovani, le cose che hanno da dire
registi, attori, sceneggiatori. È convinta che tutti i suoi colleghi stiano dando il massimo per ritagliarsi un posticino all’interno
del difficile mondo del cinema.
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NUEVO CINE ARGENTINO
I film e i registi da tenere d’occhio passati al BAFICI, il più importante festival
di cinema indipendente del Cono Sur.
di Roberta Ettori *
Q
uest’anno si festeggia il 15° compleanno del BAFICI (Buenos Aires Festival Internacional de Cine Independiente), proprio mentre ci troviamo a
Buenos Aires per investigare sulla Nueva Ola del cinema argentino che
inizia ufficialmente nel 1998 con Pizza, birra, faso (Caetano e Stagnaro).
Riflettendo sulle date, è inevitabile notare la simultaneità degli eventi.
È proprio in quegli anni che il cinema argentino cominciò a rinnegare la funzione
pedagogica che aveva corteggiato dopo il ritorno della democrazia nel 1983. Nel 1995,
con la raccolta di corti Historias breves, iniziarono a diffondersi nuovi approcci cinematografici sempre più inclini alla sperimentazione, con opere realizzate da studenti
di cinema che sarebbero diventati poi le voci guida del NCA (Nuevo Cine Argentino):
Adrian Caetano, Bruno Stagnaro, Sandra Gugliotta, Jorge Gaggero, Tristan Gicovate,
Pablo Ramos, Daniel Burman, Lucrecia Martel, Ulises Rosell e Andrés Tambornino.
Successi di pubblico e critica che crearono fidelizzazione soprattutto nel pubblico più giovane,
che vedeva in questo nuovo modo di fare cinema il seme di un cambiamento generazionale.
I “nuovi” cineasti degli anni Novanta non sono
riuniti da un vero e proprio manifesto, ma piuttosto dal rifiuto a raccogliere l’eredità di temi,
stili e tendenze allora in uso. È un rifiuto degli
stereotipi di un cinema basato sulla parola, sulla spiegazione e/o sulla metafora, un distanziamento dal realismo magico, dal costumbrismo
(folclore) e dal cinema di denuncia sociale pri-
vo di un’estetica propria.
Da un punto di vista narrativo, i nuovi cineasti
abbandonano il messaggio morale come presupposto creativo. Al contrario, l’incertezza e
l’instabilità tipica della società postmoderna
invadono i personaggi, che si ritrovano a vagare in cerca di identità perdute o semplicemente dimenticate, o solo per il gusto di farlo.
La messa in scena risente di questa prospettiva
di rottura: gli attori, spesso non professionisti,
non incarnano più un ruolo, ma si presentano
così come sono, dubbiosi e stanchi di far parte
di schemi lontani e sbiaditi.
I registi che fanno parte di questa “scuola” sono
difficilmente classificabili. Ciò che li lega in
maniera più evidente è la necessità di lavorare
sulla questione estetica, alla ricerca di uno stile
proprio e ben riconoscibile. C’è chi si dedica
allo smascheramento dei condizionamenti
sociali che si nascondono dietro alla quotidianità, dando rilievo a un linguaggio corporale, a
una sinergia quasi viscerale tra l’uomo e i suoi
ambienti; ne sono un chiaro esempio i lavori
di Lucrecia Martel, La ciénaga (miglior opera
prima alla Berlinale nel 2001) e La niña santa
(2004).
Un altro approccio è di tipo realistico, d’impronta documentaristica, come quello di
Pablo Trapero in Mondo grua (1999) e El bonarense (2001). C’è chi invece, partendo da
un’idea di frammentarietà esistenziale, riproduce la ricerca dell’identità attraverso la macchina da presa, trasportando lo spettatore in
un microcosmo fatto di personalità strappate
e ricomposte in ordine sempre diverso, a volte
bizzarro e a volte drammatico - vedi Daniel
Burman in L’abbraccio perduto (2004).
*Bresciana, 27 anni, già laureata in Lingue e Culture Moderne con una tesi antropologica sui sistemi educativi comunitari in Brasile, è ora laureanda in Cinema e Produzione Multimediale (Università di Bologna) occupandosi in particolare del rapporto tra cinema e studi culturali. Attualmente vive a Buenos Aires.
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PILLOLE DI BAFICI
Breve panoramica sui lavori più interessanti visti al festival. In attesa di trovarli in sala, cercatene
degli assaggi su YouTube.
ACÁ ADENTRO
Argentina/ 2013/ 68’/ Mateo Bendesky
«Qui dentro» allude alla mente di David, un giovane indeciso e
nevrotico. Il film si snoda come un monologo interiore bizzarro,
irrefrenabile ed esilarante sulla vita piatta e noiosa di un giovane
porteño e sui suoi perché senza risposta. Acá adentro è l’opera
prima del giovanissimo Mateo Bendesky (Buenos Aires, 1989), che
sorprende non solo per l’inusuale trattamento cinematografico
(non ci sono quasi dialoghi, sebbene la parola sia il filo conduttore
della storia) bensì per l’ironia sprigionata da un personaggio che di
per sé non ha nulla di speciale. Impeccabile l’interpretazione di Iair
Said, presente al BAFICI anche come regista (9 Vacunas).
EL LORO Y EL CISNE
Argentina/ 2013/ 120’/ Alejo Moguillansky
L’opera di Alejo Moguillansky (Miglior film argentino con Castro,
BAFICI 2012) si inserisce nella classica definizione di cinema-dentro-il-cinema: racconta non solo la storia di Loro (“pappagallo”),
tecnico del suono alle prese con un documentario sulla danza e con
relazioni in procinto di chiudersi o aprirsi, ma anche la storia di un
processo creativo e della sua essenza di continuo cambiamento
e messa in discussione. Finzione e realtà si mescolano e i diversi
elementi (la performance, le riprese audiovisive e la vita degli artisti) si fondono, confluendo in un’opera dinamica e imprevedibile,
che riesce a mantenere una fresca spensieratezza, pur toccando
questioni esistenziali tutt’altro che semplici.
Riconoscimenti: Menzione speciale BAFICI 2013
LA PAZ
Argentina/ 2013/ 65’/ Santiago Loza
Liso è un giovane di classe medio-alta che nella prima scena del film
esce da un ricovero, forse psichiatrico. Questo personaggio borderline
vive nella sua vulnerabilità, dividendosi fra una madre che lo soffoca di
attenzioni, un padre assente, la domestica boliviana e la nonna, con le
quali ha invece un rapporto di grande empatia.
Santiago Loza scommette su un cinema austero, a momenti minimalista, per costruire un melodramma intimista, in cui le immagini dei
piccoli gesti acquisiscono un valore che la parola spesso ignora. La Paz
non indica solo un traguardo, ma piuttosto un’accettazione e una presa
di coscienza, sia da parte del protagonista che dello spettatore.
Riconoscimenti: Selezione ufficiale Berlinale 2013, Miglior Film
Argentino BAFICI 2013
DESHORA
Argentina-Colombia-Norvegia/ 2013/ 102’/
Bárbara Sarasola-Day
Bárbara Sarasola-Day (Salta, 1976) presenta nella sua opera
prima una coppia con una relazione di lunga data, ormai logora.
L’elemento destabilizzante è Joaquin, un giovane cugino della
donna, da poco uscito da un trattamento di riabilitazione per
problemi di dipendenza. Da subito la presenza del ragazzo scardina
le consuetudini. Qualcosa in lui genera uno squilibrio nella vita
della coppia, accentuato da un clima di mistero e inquietudine. Il
giovane risveglia fantasie, la tensione sale, finché i desideri più
insospettabili salgono in superficie. «Il corpo è per me il veicolo
narrativo più forte» spiega la regista, e questo viaggio verso la
scoperta del desiderio è infatti fortemente fisico.
Riconoscimenti: Panorama Berlinale 2013
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VIOLA
Argentina/ 2013/ 65’/ Matías Piñeiro
Viola gira per la città consegnando giornali in bicicletta e, tra una
consegna e l’altra, finisce per conoscere un gruppo di attori e
attrici che stanno provando la Dodicesima notte di Shakespeare;
così pian piano entra anche lei a far parte della pièce.
Il limite tra la rappresentazione e la vita si fa sempre più vago
e, sulla falsariga della commedia shakespeariana, incontri e
scontri conducono lo spettatore sempre più verso l’autenticità
di Viola e dell’opera messa in scena.
Riconoscimenti: Premio FIPRESCI, BAFICI 2013
F O C U S | S E B A S T i Á n S C H j ae r
«NESSUN
RISPETTO PER
IL REALE»
Sebastián Schjaer, classe 1988,
regista, montatore e docente. Il suo
ultimo cortometraggio, Mañana
todas las cosas, è stato selezionato
al Festival di Cannes 2013.
Il tuo processo creativo inizia da
un’immagine o da un messaggio?
Fare cinema ha a che vedere con la
possibilità di costruire nuove forme
per organizzare il mondo, strutturare
lo spazio e il tempo in modo che il
reale sia modificato. In questo senso,
l’idea che il film debba trasmettere un
messaggio è molto lontana dalla mia
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visione. Parto piuttosto da un’immagine
o da qualcosa che sento la necessità di
esplorare, poi il film costruisce il suo
cammino. In qualche modo ha una sua
vita indipendente.
In cosa lo sguardo attraverso la
macchina da presa ha cambiato il tuo
sguardo verso la vita?
Sento che la misura giusta delle
cose appare nel momento in cui le si
inquadra, cioè quando si decide cosa
mostrare e cosa no. È una relazione
dialettica alla quale il cinema non potrà
mai sfuggire.
Dov’è il limite tra finzione e realtà?
Quello che chiamiamo “il reale” è un
punto di partenza necessario che però si
perde velocemente. È come una massa
plasmabile, che bisogna distruggere e
alla quale non si deve nessun rispetto.
I limiti tra documentario e finzione
sono sempre più vaghi nel cinema
contemporaneo, anche se già alcuni
registi della Nouvelle Vague facevano
cose simili negli anni Sessanta. Per
quanto mi riguarda amo impostare la
finzione come se fosse una ripresa
documentaria, sul modello di cineasti
che ammiro molto come Cassavetes
e i fratelli Dardenne. La verità di un
film non è mai esclusivamente legata
al reale in quanto tale, ma alla verità
propria del film.
Che importanza ha avuto per te
arrivare alla regia attraverso una
scuola di cinema?
Da un lato far parte di una produzione
in cui si lavora con lo stesso gruppo di
persone spinge a guardare al progetto
come un’opera collettiva, in cui tutti
sono importanti e parte del processo
creativo. Dall’altro dà la possibilità di
prendersi dei rischi, di sperimentare,
cosa non facile in altri contesti.
Outdoor & Fabrique
percezioni urbane
e new media
URBAN-FABRIQUE/PROIEZIONI-URBANE,
UNA RIUSCITA SINERGIA MEDIATICA
PER UN CONTEST DEDICATO
AL CONNUBIO TRA LA STREET ART
E IL NUOVO CINEMA ITALIANO
di Sonia Serafini
C
he cos’è Outdoor? è un festival di
street art che, giunto alla quarta edizione, è ormai un punto di riferimento per
artisti e spettatori di tutto il mondo. Ma, ancor prima, è una forma di pensiero nata da un
gruppo di ragazzi che ha deciso di fare street art
a Roma, e in particolare nel quartiere Ostiense,
con attività culturali pubbliche partecipative e
permanenti, innescando un meccanismo di
riappropriazione degli spazi sociali di vicinato e facendo rinascere fra la gente un senso di
aggregazione e valorizzazione. Grazie agli interventi degli street-artists nel tessuto urbano,
gli spazi da semplicemente “comuni” diventano “comunitari”, dando vita a uno scambio
culturale pubblico, intergenerazionale, per il
quale vivere l’arte diventa un fatto quotidiano e
alla portata di tutti. La bellezza e la creatività di
Roma sono così lo sfondo di un nuovo tipo di
espressione culturale, dove le barriere fra artista e pubblico vengono abbattute e il dialogo fra
essi diventa normalità. Negli anni le iniziative
realizzate sono state numerose, partendo appunto dall’Ostiense, dove è visibile l’intervento
di 15 artisti susseguitisi nelle varie edizioni della
manifestazione. Quest’anno Outdoor estende
la propria influenza alla settima arte incontrando Fabrique du Cinéma, partner con cui ha
lanciato un contest che avrà luogo nella capitale il 14 settembre e che si articolerà in diversi
eventi. Il concept alla base di questa iniziativa
è raccontare il presente alle generazioni future,
valorizzare i fermenti artistici contemporanei
e la loro relazione con la città. Il cortometraggio è il mezzo prescelto. URBAN-FABRIQUE/
Proiezioni-Urbane, questo il titolo, è il primo
concorso nazionale di cortometraggi legato
all’ambiente metropolitano e a ciò che lo riguarda. Outdoor e Fabrique ritengono infatti
che quando la quotidianità si trasforma in arte
il modo migliore per coglierla è lo short film,
una delle espressioni audiovisive più efficaci, in
grado di rappresentare al meglio le potenzialità
dei linguaggi artistici collegati ai nuovi media. I
corti dei giovani filmaker partecipanti al contest
accenderanno dunque i proiettori sulla cultura
urbana, sull’arte di strada e i talenti capaci di
raccontarla oggi. In ultima analisi URBANFABRIQUE/Proiezioni-Urbane si propone di
trasformare in opera d’arte – attraverso pochi
fotogrammi – la quotidianità più comune, con
i suoi lati meno noti. I lavori finalisti saranno
presentati al teatro Palladium, e durante la serata del 14 verranno premiati i vincitori.
L’iscrizione è gratuita e aperta a tutti i filmaker under 35, provenienti da qualsiasi luogo del mondo
Entro il 7 settembre 2013 verrà pubblicato l’elenco delle opere ammesse al concorso sui siti
www.fabriqueducinema.it - www.out-door.it
Inviare i lavori entro il 10 settembre e mandarli via wetransfert a [email protected] con in oggetto “Urbanfabrique”
Agenzia: nufactory.it - Art direction: Gregorio Pampinella - Fotografia: Barbara Oizmud - Model: Rhò
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- Icone -
TAVIANI
«QUELLA VOLTA CHE
CI GIURAMMO:
O CINEMA O MORTE»
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I fratelli più famosi
del cinema italiano
raccontano i loro
inizi, mettendo a
disposizione dei
giovani la loro
esperienza. Dai cinema
di Pisa fino all’Orso
d’oro a Berlino, la forza
allegra di chi non si è
mai arreso.
di Boris Sollazzo foto Francesca Fago
29
Ci sono incontri con grandi vecchi che
ti fanno sentire più giovane. Questo sono
i fratelli Taviani, maestri che non smettono
mai di essere allievi e che, a chi fa della
rottamazione solo un fatto anagrafico,
rispondono con la loro voglia giovane.
Di cinema e di vita.
Quando avete capito che il grande schermo sarebbe stato il vostro destino?
Noi, di famiglia borghese e antifascista, dovevamo fare gli avvocati. E finché non ci spostammo a Pisa, dove incontrammo il cinema,
la creatività la scoprimmo da bambini sul palcoscenico del Maggio
Fiorentino, grazie alla melomania di nostro padre. Che raddoppiava
la sorpresa, portando a casa il disco dell’opera che pochi giorni prima avevamo visto a Firenze, come premio di un buon voto a scuola.
Lì, nel salotto, noi tre fratelli la rimettevamo in scena.
Sorridono, i due, poi raccontano: «Sentivamo già forte il desiderio
di spettacolo. E non era facile, perché il fascismo rendeva cupa la nostra adolescenza. Arrivò la Resistenza, arrivarono gli americani “liberatori”: abbiamo cercato di raccontarlo dopo quasi quarant’anni
ne La notte di San Lorenzo. In un tempo di nuovo grigio, bisognava
ricordarlo soprattutto ai giovani: quando tutto sembra perduto tutto
si può salvare, se non sei solo: quell’estate del ’44 ci ha insegnato a
capirlo, una volta per sempre».
Paolo (82 anni) e Vittorio Taviani (84), con il loro ultimo lavoro
Cesare deve morire, interpretato da detenuti di Rebibbia, hanno
vinto nel 2012 l'Orso d'oro al festival di Berlino e 5 David di
Donatello, fra cui miglior film e miglior regia.
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E vi diede il coraggio di vivere il sogno artistico del cinema?
Abbiamo ricordato più volte quel pomeriggio che bucammo la
scuola e ci infilammo nel cinema Italia, mentre gli spettatori che
uscivano dal primo spettacolo ci sconsigliavano: non entrate, è noioso, è un film italiano… Entrammo e subito le prime immagini ci
aggredirono, assolute, rivelatrici, la stessa emozione che ieri come
oggi il cinema provoca in noi. Era
Paisà di Rossellini. Comprendemmo più in profondità il senso della nostra esperienza sulle colline
toscane in quell’atroce luglio ’44,
più di quanto ci fossimo riusciti
vivendola. Se il linguaggio del cinema ha questo potere, ci dicemmo, allora il cinema è il nostro linguaggio. E da quel momento ogni
nostra energia fu volta a un solo
scopo, farlo, il cinema. Sfidando
il ridicolo addirittura giurammo:
cinema o morte. Ci demmo dieci
anni per farcela, altrimenti con gli
ultimi soldi avremmo comprato
una pistola e ci saremmo ammazzati. Ora ne ridiamo, ma in quel
momento era vero: avevamo già
vent’anni e sentivamo il bisogno
di confermare in questo modo la
nostra scelta. Ci sono momenti
decisivi nella vita dove il drammatico e il grottesco convivono. Ma
sono proprio quei momenti in cui
niente ti deve fermare, se ti è chiaro quello che vuoi perché la tua
vita abbia senso.
era, ci accolse. Pose una sola condizione: questo documentario dovete saperlo riassumere in tre frasi, se ci mettete di più vuol dire che
avete idee confuse. Un insegnamento che non abbiamo mai dimenticato. Ce la facemmo, e Zavattini lavorò con noi! Gratis, naturalmente.
Lo abbiamo detto, erano meravigliosi quei giorni del neorealismo. Ma
non era certo meravigliosa – come oggi si crede – l’accoglienza che
quei film trovavano nel pubblico e
nell’opinione generale. Altro che
tempi d’oro. Tempi duri, di battaglia, come sempre.
Desiderio e urgenza, l’aiuto di
grandi vecchi, lo studio, l’impegno. Questa è la ricetta che comunicate ai giovani?
Non vogliamo dare ricette, tanto
più che poi non vengono seguite. Ai
valori cui voi accennate possiamo
soltanto aggiungere la pazienza,
una delle virtù più difficili e ulceranti. Conosciamo attori, registi,
operatori valenti che aspettano con
caparbietà una telefonata che tarda
troppo ad arrivare. Occorre questa
forza in un mondo dove l’universo televisivo berlusconiano vuole
convincere i giovani che la realtà
è uno show facile e divertente da
vivere, togliendo loro l’urgenza di
cambiarlo.
Ma quello che abbiamo imparato
sì, possiamo dirlo: il cinema è un lavoro di collaborazione, una grande
avventura collettiva, dove si assommano e si fondono varie creatività.
Se pensiamo per esempio a Ultimo
Dieci anni. Come li spendeste?
tango a Parigi ci rendiamo conto
Prima di tutto avevamo una voche la sua bellezza sta nell’incontro
glia vorace di vedere, di imparare.
tra il talento poetico di Bertolucci e
Dopo aver visto e rivisto Ladri di
il mistero, lo stupore della sofferenbiciclette, Paisà, La terra trema, di
za che riesce a esprimere Marlon
alcuni scrivevamo la sceneggiatuBrando. Vale anche per Cesare deve
ra, dalle battute alle inquadrature,
«Il cinema è un lavoro di collaborazione, una grande avventura
morire e Padre padrone. Con un po’
per poi controllare a una ulteriore
collettiva, dove si assommano e si fondono varie creatività».
di retorica qualche volta abbiamo
visione quanto avevamo afferrato.
detto che il sangue del pastore sarE molto imparammo. Penso alla
carrellata in cui il bambino di Ladri di biciclette vede il padre che do, il sangue dei dannati del carcere si sono mescolati al nostro. Sono
viene afferrato dalla folla. Noi scrivemmo: una carrellata lunga, in- momenti, occasioni particolari che bisogna essere pronti a cogliere,
finita. Rivedemmo poi il film: la carrellata è breve. Quell’errore ci non dimenticando mai che la fortuna e il caso possono venirti incondisse che una sequenza, un’inquadratura, se ben girata e montata, tro o contro.
può durare pochi secondi ma avere nella percezione dello spettatoLa rottamazione ora va di moda. Che ne pensate?
re una lunga risonanza.
Il rinnovo generazionale è necessario. Per quanto riguarda noi, da
tempo non abbiamo più partecipato ai festival mettendo il nostro film
E poi arrivaste finalmente a Roma, la città del cinema.
A Roma venimmo la prima volta per un giorno e per la precisione a in concorso, per lasciare spazio ai giovani. Abbiamo invece mandaVia Sant’Angela Merici, casa di Zavattini, alle 8,30 del mattino: con to in concorso a Berlino Cesare deve morire in nome dei nostri attori
Valentino Orsini volevamo chiedergli aiuto per un documentario che carcerati, che ci hanno confidato: «Mentre partecipavamo al film, ci
volevamo girare proprio sulla strage del luglio ’44 nel Duomo di San sentivamo uomini liberi. Vorremmo che là fuori questo si sapesse, si
Miniato. Zavattini ci aprì in vestaglia, ci disse che forse era troppo pre- vedesse. Il concorso e magari un premio ci aiuterebbero». Hanno vinsto per la visita di sconosciuti. Ma essendo l’uomo meraviglioso che to, e siamo noi a ringraziarli.
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32
- Dodici -
Valerio Groppa
TENENDO A FUOCO
L’OBIETTIVO
Conversazione con Valerio Groppa, un regista che ha ben chiaro
come concretizzare i suoi sogni di cinema, con un occhio attento
alla contemporaneità che ci circonda. I suoi eroi? Un venditore
di aspirapolveri e un commissario tabagista (frustrato).
di Luigi PanE foto Daniele Cruciani
Un salone inondato di sole, arredato con mobili vissuti e curati, di quelli che capisci subito
che se avessero la bocca per farlo, avrebbero
più di una storia da raccontare. È qui che Valerio, 34enne regista romano, accoglie noi di
Fabrique. Ha all’attivo un videoclip (Semplice,
con Lavinia Desideri) e due cortometraggi:
il primo, In fondo a destra, è stato girato proprio in questo appartamento – dei nonni – nel
quartiere Talenti, e ha avuto un grande successo in giro per festival nazionali e internazionali.
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«Per me la fase della scrittura è molto
importante. A volte me ne sto ore al
computer solo per sistemare una
virgola o spostare una congiunzione».
Valerio, fare il regista oggi, decidere di intraprendere questo mestiere in tempi di
crisi, che davvero poco spazio danno alla
cultura, cosa significa?
Bella domanda. Mi viene da pensare che un
tempo chi faceva il cinema era visto come un
intellettuale, aveva un ruolo sociale e culturale, affascinava le masse. Oggi non è più così.
Oggi fare il regista significa molte più cose, ci
sono la televisione, le fiction, le web series, e
molto spesso per lavorare si devono accettare
tanti lavori che non rispecchiano la propria
personalità, e alla fine si rischia di perdere la
propria strada, di non riuscire più a esprimere
il proprio messaggio. Quello che credo bisogna fare oggi, ancor più di ieri, è proprio non
perdere mai di vista l’obiettivo finale, e cercare
di mettere in ogni cosa che si fa una parte di sé.
E il tuo obiettivo qual è?
Il cinema. E sto spingendo in questa direzione. È questa la mia strada. Magari c’è chi è più
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Nel futuro di Valerio c’è anche un
nuovo videoclip, tratto da una canzone
di Francesco Nuti: «Si chiama Marilyn
ed è stupenda, struggente nella sua
bellezza, l’ultima da lui registrata
prima dell’incidente, avvenuto solo tre
giorni dopo. Spero possa riaccendere i
riflettori su un autore come Francesco
che stimo moltissimo».
portato a scrivere per il web, o a girare videoclip, va bene, a ciascuno il suo. E se è vero che
all’inizio si deve sperimentare, sapersi trasformare per virtù o necessità, bisogna sempre procedere senza mai scordarsi di dove si
vuole arrivare, anche se ciò vuol dire rifiutare
qualche proposta. Lo dico con determinazione e senza snobismi. Dopo la scuola di cinema avevo bisogno di concretezza, e così ho
cominciato a fare l’assistente sui set, portavo i
caffè, è stata un’ottima scuola, ma poi occorre andare avanti. Avere la follia di provarci,
essere un po’ rivoluzionari con gli altri e con
se stessi, poi… poi magari chissà [ride], finirò
per scrivere le previsioni del tempo, ma potrò
dire di averci provato fino in fondo.
Che rapporto hai con il web, che sta dando,
nel bene e nel male, la possibilità a molti di
emergere?
Il web è una grandissima opportunità per
sperimentare. Oggi si può filmare in HD con
Massimo Ghini, Valeria Solarino, Fabio Ferrari e
Gabriele Pignotta sul set di Una morte annunciata.
«Tutto è partito dal servizio di un tg visto in un bar,
in cui si mostrava un omicidio avvenuto in America,
con i poliziotti dietro il classico nastro giallo,
mentre nel sottopancia dello schermo scorreva
una didascalia sulla crisi del nostro paese. Unendo
queste due informazioni, è partita la scintilla che
mi ha fatto scrivere la sceneggiatura del film, che
inizia appunto con l’indagine di un commissario di
polizia su un omicidio appena compiuto».
E tu questo gradino si può dire che l’hai salito. Hai girato con attori professionisti del
calibro di Massimo Ghini e Valeria Solarino
e hai avuto a disposizione una troupe di ragazzi giovani ma di mestiere.
Sì, qualche passo l’ho fatto, anche se mi ritengo ancora nell’anticamera di quello che è
il lavoro del regista, come lo intendo io. I corti
sono un ottimo biglietto da visita, perché se
fatti bene sono proprio dei piccoli film, hanno
lo stesso linguaggio del cinema: un giovane
regista può dimostrare nei fatti le sue capacità
tecniche e, se scrive, anche di sceneggiatore.
un telefonino e poi montare e mettere in rete
il proprio lavoro, cosa fino a pochi anni fa impensabile. Io però, forse un po’ sognatore e
ingenuo, faccio ancora molta differenza tra il
prodotto web e il prodotto cinema: per come
è immaginata, scritta e costruita una scena,
per la cura richiesta nei dettagli, per l’attenzione che si cerca nel pubblico, per il respiro
che si può dare all’opera filmica. Ecco, potrei
dire che per iniziare, per far vedere cosa si è
in grado di comunicare, che sia benedetto il
web! Poi però, fatto questo primo gradino,
bisogna passare allo step successivo, con un
prodotto più professionale.
Com’è avvenuto il tuo debutto dietro la
macchina da presa?
Dopo la scuola di cinema ho avuto la fortuna
di incontrare Marco Belardi della Lotus Film,
che cercava giovani per uno stage nella sua
casa di produzione. Con lui ho fatto l’assistente alla regia per Immaturi, Immaturi 2 e
altri progetti. Nel frattempo ho sempre scritto
molto, e quando sono arrivato alla sceneggiatura di In fondo a destra, è stato proprio Marco a spingermi a girarla, presentandomi alla
BlumaLab, una costola della Lotus. Il corto è
andato molto bene, ha partecipato a numerosi festival, e così ho preso fiducia in me stesso
e ne ho scritto un secondo.
Quali mezzi tecnici hai avuto a disposizione?
Entrambi i corti contavano più o meno sul-
lo stesso budget, circa 5.000 euro, e lo stesso
tempo di lavorazione di due giorni. Ho girato
con una Canon 5d e ho avuto a disposizione
una vera troupe cinematografica con reparti
di ragazzi giovani, ma, ci tengo a sottolinearlo, professionisti, che hanno un enorme
talento e che hanno lavorato sodo e non certo con paghe da cinema. Parliamo quindi di
due piccoli miracoli produttivi, e se non fosse
stato anche per i big che hai citato, che sono
venuti gratis e hanno dato il massimo, non
avrei mai raggiunto i risultati che ho ottenuto.
Quanto è importante per te la storia?
Assolutamente determinante. Se non sento di
avere una buona storia, che mi convince appieno, rimando il progetto piuttosto che girare. Per
me la fase della scrittura è molto importante. A
volte me ne sto ore al computer solo per sistemare una virgola o spostare una congiunzione.
Solo quanto sento che la storia è pronta e matura al 100%, entro nella fase delle riprese.
Chiudiamo con una domanda banale, ma
sempre efficace. Che consiglio daresti a un
ragazzo alle prime armi, magari appena
iscritto a una scuola di cinema, che vuole
intraprendere la carriera di regista?
Anche la mia risposta forse sarà banale: consiglio di crearsi un proprio percorso e cercare
di percorrerlo nel migliore dei modi, sempre
tenendo a fuoco l’obiettivo.
35
- Dossier -
On demand
chiedi e ti sarà dato
INIZIAMO UN VIAGGIO NELLA DISTRIBUZIONE DEL FUTURO, DAL DCP
AL VOD. NELLA SPERANZA CHE LE COSE CAMBINO. IN MEGLIO.
di Alessandro De Simone foto Michele Iacobini illustrazione GIOVANNI MORELLI
36
A
ffermare oggi che dal 1° gennaio del 2014 la pellicola sparirà in Italia è pericoloso. Teoricamente è così, c’è una normativa europea che prevede la conversione tutta delle sale cinematografiche del
regno in formato digitale per la vigilia del nuovo anno.
Ma già si parla di proroghe, lamentele, finanziamenti
che non arrivano, meglio andarci con i piedi di piombo. Ciò non toglie che il mercato audiovisivo in Italia
sia ancora enormemente arretrato, e non parliamo solo
di distribuzione classica (ovvero il film che arriva nelle
sale), ma di tutta la filiera.
I punti da analizzare non sono pochi. Prima di tutto la
sala e le sue potenzialità, nella sua forma tradizionale di
luogo di fruizione del prodotto cinematografico, ma anche come hub di multiprogrammazione per prodotti diversi, dalla musica allo sport. Poi i canali derivanti dalle
nuove tecnologie, il VOD (Video On Demand) nelle sue
declinazioni più particolari, dai player sostenuti da enormi investimenti (vedi Cubovision o Chili Tv) a quelli che
hanno fatto scelte diverse (Own Air). In tutto questo, la
parte più importante la fa il contenuto che deve essere di
qualità e possibilmente inedito, così da rendere la fruizione un evento speciale. Non sono un caso i grandi successi
come la riedizione di Akira o il documentario su Bruce
Springsteen, che in una sola giornata di programmazione
hanno incassato molto più di quanto riesca a fare un film
italiano nel corso di tutta la sua vita in sala.
Già, il cinema italiano. Quello che maggiormente trarrebbe beneficio da un ammodernamento della catena distributiva e al tempo stesso, nella sua parte più istituzionale,
quello che fa del suo meglio per far sì che ciò non accada,
per ragioni spesso ignote e sospette. Le conseguenze di
questa poca lungimiranza sono davanti agli occhi di tutti:
dalla mancanza di un reale concetto industriale del cinema alla pochezza, se così la si può definire, della quota di
prodotto venduto sui mercati esteri, un male assoluto per
le produzioni nostrane.
Si tratta di argomenti da affrontare in maniera attenta,
soprattutto parlando con quei player che a oggi si sono
messi in gioco e stanno provando la sfida del futuro,
a ogni livello. Partiamo dalla base, intesa soprattutto
come disponibilità di budget, con realtà che sono però
già radicate e che stanno guardando molto avanti nei
loro rispettivi campi d’interesse: Own Air e Distribuzione indipendente. VOD e sala cinematografica, ma come
vedremo parlando con Alfredo Borrelli e Giovanni Costantino, queste due filosofie della fruizione possono
essere molto vicine.
[Il viaggio nelle nuove forme di distribuzione continua nel prossimo numero di Fabrique]
O W N A IR | L A N E T F L I X I T A L I A N A
Alfredo Borrelli è uno dei pochi professionisti italiani che sa cosa voglia
dire affrontare la sfida del digitale, facendo una comunicazione in rete
efficace e intelligente e guardando sempre all’innovazione. L’apertura di
Own Air, piattaforma Video On Demand d’autore, era quasi una naturale
conseguenza, a cui sono state applicate le specificità del lavoro di web
marketing e comunicazione di Estrogeni, l’agenzia da cui nasce il progetto.
Alfredo, cinema d’autore
e indipendente: la scelta
sta pagando?
Partiamo dal fatto che
questo è un mercato
che non esiste, perché
l’utente italiano non ha
la cultura del VOD.
Per questo ci siamo
spostati dal primo
concept del Never Seen
on Screen al download
legale di cinema già
passato in sala.
Il business comunque
non è il download, che
è solo uno strumento
attorno al quale abbiamo
costruito una serie di
attività collaterali.
Da qui nasce l’esigenza
di produrre, ma
soprattutto di concepire
operazioni di
co-marketing, dalla
vendita di pacchetti
aziendali alle smartbox
che per primi abbiamo
proposto in termini di
prodotto audiovisivo,
fino alle convenzioni con
le grandi aziende.
E poi c’è un progetto
a cui teniamo
particolarmente che è
la collaborazione con
le biblioteche che sta
dando ottimi riscontri.
Download e non
streaming: come mai?
Perché quando l’Italia
diventerà un paese
civile e la banda larga
funzionerà davvero
e per tutti allora ci
confronteremo anche
con lo streaming,
oltretutto con un
sistema che permetterà
all’utente di poter vedere
il film già durante il
caricamento del file.
Own Air è anche
produttore di contenuti.
Mi piace dire che siamo
il Netflix italiano, tutto
quello che abbiamo
raccolto l’anno scorso
l’abbiamo destinato alla
produzione scegliendo
dei temi sociali
importanti, com’è stato
per Il secondo tempo,
Generale, Suicidio Italia,
che ha vinto anche il
Globo d’oro per il miglior
documentario.
Sono temi rivolti alla
realtà quotidiana
che dobbiamo
vivere da cittadini,
da imprenditori, da
sognatori talvolta, e
ci piace non farceli
sfuggire.
Avete mai pensato di
portare Own Air in sala,
proiettando sul grande
schermo direttamente
dalla rete?
Sì, ci abbiamo pensato
e l’idea di dare fisicità al
virtuale ci piace molto,
partendo dal mercato
più complicato, e lo
stiamo facendo anche
lavorando con altre realtà.
Stiamo costruendo un
cartello con Cineama
e Distribuzione
Indipendente per poter
dare una circuitazione
ai nostri film in tutte le
declinazioni possibili.
37
D I | D i st r i bu z i o n e I n d i p e n de n te
Nel giugno del 2011 Alessandra Sciamanna,
Daniele Silipo e Giovanni Costantino fondano
Distribuzione Indipendente, un circuito alternativo
dove poter dare visibilità a opere underground che
non trovano spazio nelle sale tradizionali.
La mission di DI è
molto semplice e ce
la racconta proprio
Giovanni Costantino,
presidente della
società. «Il circuito
dei cinecircoli e dei
cineclub conta circa
millequattrocento sale,
di cui quattrocento
d’essai, schermi che
fanno capo a nove
diverse associazioni
che oltretutto proprio in
questo periodo si stanno
unendo in un’unica
federazione. Una
ricchezza culturale che
permette di raggiungere
la periferia e le province
con prodotti che
non riuscirebbero a
entrare nella normale
circuitazione».
Il film con cui ha
esordito DI fu il
dimenticato Dorme,
opera prima di Eros
Puglielli, a cui hanno
fatto seguito molti
altri film di nicchia
che però hanno avuto
grande successo nei
festival internazionali.
«Siamo riusciti a dare
visibilità ad autori come
Mimmo Paladino, Ivan
Zuccon, Edo Tagliavini
con il suo Bloodline,
film che è entrato in
selezione ai David di
Donatello nonostante
non avesse avuto la
programmazione minima
in sala di prima visione
come da regolamento.
Un segnale importante».
Il sistema di
programmazione di DI
è semplice, un noleggio
della copia a prezzo
popolare che permette
così di operare in
maniera molto efficace
sul territorio. Ma
l’ambizione e la speranza
è quella di riuscire a
creare un sistema ibrido
e virtuoso, su cui si sta
già lavorando.
«In autunno inizieremo
a distribuire anche in
collaborazione con i
circuiti tradizionali,
scegliendo le sale a
seconda della tipologia
di prodotto che avremo a
disposizione. E poi c’è la
partnership con Own Air,
che diventerà ancora più
stretta, con i nostri titoli
che potranno essere
fruibili sulla piattaforma
VOD in contemporanea
all’uscita».
diretta. Basti pensare
all’algoritmo con cui
Netflix determina
i gusti dei suoi
utenti, suggerendo
loro quali prodotti
scegliere» continua
Cassandro. «Netflix è
già all’avanguardia in
questo senso, avendo
prodotto serie di
successo come House
of cards, candidato
addirittura agli Emmy,
fornito allo spettatore
in un’unica soluzione,
pronto per il Binge
Viewing, ovvero la
fruizione consecutiva
di tutte le puntate. E
dopo la serie con Kevin
Spacey ha continuato a
produrre».
Ma Netflix non è l’unica
a darsi da fare in questo
senso. «Amazon ha
prodotto una serie
di pilot e il destino di
queste serie lo deciderà
direttamente il pubblico,
esponendo il gradimento
o meno attraverso la
piattaforma. E altri
esempi seguiranno,
semplicemente perché
l’attuale modello di
business, quello dei
blockbuster, non è più
sostenibile».
W IR E D | L A N E T F L I X
«George Lucas,
seguito dopo poco
da Steven Spielberg,
ha già predetto la
fine del modello
attuale dell’industria
cinematografica,
immaginando una
fruizione basata sull’on
demand e lontana dalla
sala». Le parole del
signor Guerre stellari
ce le riporta Daniele
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Cassandro, caposervizio
entertainment di Wired
edizione italiana, che
nel numero di ottobre
dedicherà uno speciale
proprio ai nuovi colossi,
che portano il nome di
Netflix, Hulu e Amazon,
tanto per citare i più
famosi. «Il contenuto
sarà realizzato a
misura dell’utente e
poi venduto in forma
- Effetti speciali -
I MOSTRI
ABITANO
NELLA RETE
Le web series puntano a una qualità sempre maggiore, anche grazie agli
effetti visivi digitali. L’esempio di una produzione horror realizzata da un
team di giovani creativi, nell’analisi del nostro esperto di VFX.
di Gianluca Lo Guasto foto CHOKE
*Gianluca Lo Guasto è VFX supervisor di Choke, che con mBanga, studio d’animazione indipendente nato a Roma nel 2006, ha curato
gli effetti visivi digitali della web series Geekerz.
Geekerz è una nuova web series
horror in otto puntate prodotta
da Fuorisync, in associazione con
Netaddiction e Tangram film. Gli
effetti di uno sparo (in questa
pagina) e la testa mozzata di uno
zombie (pagina accanto) sono il
risultato di un lavoro in CGI.
40
41
D
a qualche anno la distribuzione delle serie italiane è uscita dai confini della televisione per irrompere nel mezzo
di comunicazione più diffuso: il web. I motivi che hanno
spinto i produttori a questa nuova strategia di mercato
sono facilmente individuabili: il circuito web gode di maggiore libertà, bypassando le censure e le consuete logiche
di comunicazione del piccolo schermo, e fornisce la possibilità di inventare nuove regole e nuovi linguaggi espressivi. Tutto a costi contenuti. Ancora una volta, insomma, la rete si
è rivelata un laboratorio dove sperimentare e fare emergere nuovi
talenti.
È il caso della Fuorisync, un gruppo di giovani creativi del video per
il web capitanato dal regista Michele Bertini Malgarini e dal produttore Matteo Benedetti. Geekerz è la loro ultima fatica, prodotto in associazione con Netaddiction, società leader nell’editoria online specializzata nel settore dei videogiochi, e Tangram film. Si tratta di una
commedia horror rivolta a un pubblico giovane, che in otto episodi
racconta un’invasione di zombie, tema classico del cinema horror,
dando però una lettura totalmente originale del topos del morto vivente. La serie andrà in onda sul sito www.multiplayer.it. Considerando il budget ridottissimo (21mila euro circa) Bertini Malgarini ha
girato l’intera serie in soli 15 giorni e si è avvalso degli effetti visivi
digitali per risolvere molti snodi della trama.
Il primo shot che analizzeremo è la scena della moltiplicazione degli
zombie. Quello della moltiplicazione è uno degli effetti più richiesti
nei video e nei film: una scena di massa composta da comparse reali
costa molto (tanti attori da coinvolgere, tanti costumi e tanto trucco
e parrucco), perciò si ricorre spesso agli effetti digitali per ovviare al
problema.
Per comporre la scena in Geekerz avevamo a disposizione una quindicina di comparse travestite da zombie e, per raggiungere l’effetto
desiderato dal regista, era necessario girare dieci sequenze. In casi
come questo la difficoltà principale delle riprese è il tempo a disposizione: nell’arco di un’ora la luce cambia radicalmente e in questo
intervallo i dieci ciak dovevano essere chiusi. A tale scopo è fondamentale la supervisione sul set e la preparazione della scena con uno
storyboard. In ogni ripresa il gruppo di comparse veniva posizionato
in punti diversi del set con l’avvertenza a non sovrapporsi tra una
ripresa e l’altra. In alcuni casi la sovrapposizione era invece voluta
per simulare una calca, e nel processo di post produzione (compositing) è stata risolta con una minuziosa mascheratura. La location
(il cortile della medievale Rocca di Albornoz) ci ha aiutati molto dal
punto di vista dell’illuminazione: tre quarti della scena erano in ombra e quindi questa porzione non subiva grossi cambiamenti. Nelle
parti colpite dal sole invece abbiamo dovuto apportare delle minime
correzioni di colore; di regola il compositor non deve mai apportare
modifiche di colore o illuminazione della scena perché andrebbe a
incidere sul lavoro del direttore della fotografia, ma quando più scene devono essere “matchate” (da matching: accoppiare) l’intervento
sulla luce diventa necessario. Il tempo di lavorazione richiesto è stato di un giorno e un solo operatore impiegato, e mezza giornata per
le rifiniture e il rendering finale. Torno a sottolineare il fatto che la
supervisione sul set e la preparazione della ripresa con uno storyboard è indispensabile per alleggerire il lavoro in post produzione: piccoli errori sul set incidono tantissimo nel lavoro che dovrà affrontare
il compositor.
La seconda scena su cui ci soffermeremo è quella della casa in fiamme di Lorenzo (l’amico “infetto” di Luca Mersichetti, il protagonista
della serie), dove il fuoco e il fumo sono interamente ricostruiti in CGI
(computer generated imagery). Bisogna sapere che l’inserimento di
elementi come fuoco, polvere, acqua (i cosiddetti particellari) è una
delle operazioni che richiede più impegno. Il procedimento si divide
in due fasi: la prima comprende test e simulazioni a bassa risoluzione
per individuare le corrette reazioni delle forze fisiche delle particelle
rispetto agli agenti atmosferici circostanti. Una volta ottenuto il risultato voluto si passa alla seconda fase, che consiste nella realizzazione
di altri test per raggiungere la luminosità e la colorazione più corrette.
In ultimo si passa al rendering finale. Ovviamente più sono i focolari
da creare e più aumentano tempi di lavorazione e di rendering.
42
Altri esempi di effetti visivi tratti da Geekerz. Nella sequenza di
immagini in alto: la moltiplicazione degli zombie nel cortile del castello.
In basso: anche il fuoco e il fumo che escono dalle finestre della
casa sono stati ricreati digitalmente.
ROMA CREATIVE CONTEST
A SETTEMBRE
È DI MODA IL CORTO
Si apre la terza edizione del Roma Creative Contest,
dedicato ai cortometraggi di tutto il mondo:
un festival sempre alla ricerca di linguaggi
e talenti non convenzionali.
I
l Roma Creative Contest cresce, e si conferma sempre più uno spazio privilegiato per presentare lavori originali, spesso
e volentieri fuori dagli schemi del cinema
mainstream. Del resto il cortometraggio rappresenta oggi la forma più libera di espressione artistica nell’audiovisivo, perché non
destinato a una distribuzione di tipo commerciale e quindi non sottoposto a vincoli
creativi; ciò fa dei corti la rivelazione autentica della visione dei loro autori. E il Roma
Creative Contest è infatti creatività e spettacolo: una realtà giovane che vuole recuperare
la capacità di stupire e stupirsi. Un festivallaboratorio aperto alla sperimentazione,
all’underground, alle nuove tecnologie e alla
commistione tra le diverse forme artistiche.
In collaborazione con il Teatro Vittoria di
Roma e con il patrocinio della Commissione Europea, per il terzo anno l’associazione
culturale Images Hunters, sotto la direzione artistica di Brando Bartoleschi e Lorenzo
Di Nola, offre dunque al pubblico romano
un’ampia panoramica delle nuove tendenze
dello short film italiano e internazionale.
Con la prima edizione del 2011 il festival si è
presentato all’ambiente cinematografico nazionale come luogo di incontro per i giovani
registi, professionisti del settore e appassionati, ottenendo un riscontro entusiasta da
parte di partecipanti, pubblico e media. La
seconda edizione del 2012 ha aperto le porte
al resto del mondo con una sezione internazionale dedicata ai corti di animazione.
La “golosa” novità dell’edizione 2013 è che,
oltre a riconfermare le sezioni degli anni passati, la rassegna allarga il suo sguardo al mondo del web, inaugurando una nuova sezione
competitiva dedicata alle web series.
L’obiettivo del Contest è sempre e comunque
la ricerca di opere in grado di raccontare delle storie con linguaggi e contenuti innovativi,
capaci di mostrare un uso consapevole e brillante del mezzo cinematografico e una scrittura sorprendente e ironica.
Come gli scorsi anni, la manifestazione si
svolgerà presso il Teatro Vittoria di Roma
nel corso di quattro domeniche consecutive:
15-22-29 settembre e 6 ottobre 2013 (finale).
Nel corso delle serate si cercherà di creare un
ambiente dove i giovani artisti e gli addetti ai
lavori italiani e stranieri possano scambiarsi
idee, materiale e contatti, sia tra di loro che
con aziende specializzate nel settore, fondando i presupposti per una rete di scambio
interattiva. Una giuria di specialisti assegnerà
i premi: nelle scorse edizioni ne hanno fatto
parte nomi come Pupi Avati, Mattia Torre (regista e sceneggiatore, Boris), Paola Randi (regista, Into Paradiso), Paolo Carnera (D.o.P.,
ACAB) e Marco Saitta (sound designer, Diaz).
Tre le sezioni in concorso:
Cacciatori di immagini: sezione aperta a tutti i cortometraggi italiani di finzione. Il tema è
libero. Durata massima: 20 minuti.
Corti di animazione (concorso internazionale): sezione aperta a cortometraggi provenienti da tutto il mondo. Accoglie corti di
animazione in 2D, 3D e stop motion. Durata
massima: 15 minuti.
Web series: sezione aperta alle web series
italiane. Durata massima: 20 minuti.
Il Roma Creative Contest nasce per sondare le nuove tendenze registiche del panorama
italiano e internazionale e individuarne i talenti. Il concorso è aperto a tutti.
www.romacreativecontest.com
[email protected] - tel +39 328.7820729 / +39 327.0926192
Direzione Artistica: Brando Bartoleschi ([email protected]) - Lorenzo Di Nola ([email protected])
43
Simone Isola, Laura
Tosti, Paolo Borgna,
Simona Giacci e
Ermanno Guida,
i cinque soci di
Kimerafilm. Si sono
conosciuti al corso
di produzione del
Centro Sperimentale
di Cinematografia di
Roma.
44
- Mestieri -
KIMERAFILM
È POSSIBILE
UN NUOVO
CINEMA ITALIANO?
Il cinema nostrano può rinnovarsi solo puntando sui giovani talenti.
Ne sono certi i produttori di Kimera, che aggiungono: «è sempre più
urgente una riforma radicale dell’intero sistema».
di Luca Ottocento foto Paolo Palmieri
45
L
a Kimerafilm rappresenta una delle realtà produttive e distributive più interessanti emerse nel panorama del cinema
italiano degli ultimi anni. Fondata nel 2009 da ragazzi conosciutisi al Centro Sperimentale, nei primi quattro anni di
attività si è mossa con passione e tenacia dando vita e visibilità, nonostante gli ostacoli incontrati, a opere indipendenti di giovani
e interessanti cineasti. Impegnata nella produzione tanto di film di finzione quanto di documentari Kimera si è da subito fatta notare grazie a
Et in terra pax, l’ottimo lungometraggio d’esordio di Matteo Botrugno
e Daniele Coluccini vincitore nel 2011 di una menzione speciale ai Nastri d’argento. Fabrique ha incontrato Simone Isola, uno dei fondatori
della Kimerafilm, negli uffici della società a Testaccio.
La vostra prima esperienza è legata a Et in terra pax, presentato
con successo a Venezia alle Giornate degli autori e in molti altri festival del mondo. Come è nato questo progetto per diversi aspetti
innovativo?
Quando ancora non avevamo costituito la Kimera, già girava la bella
sceneggiatura di Matteo e Daniele, che apprezzavamo da tempo per
i loro cortometraggi. Appena nata la società, quindi, abbiamo subito
Le difficoltà che si incontrano sono tantissime e gli spazi di manovra
molto limitati. Ci si scontra quotidianamente con un sistema fondato
su logiche che rendono estremamente complicato far arrivare al cinema una proposta coraggiosa e non convenzionale. Le difficoltà, poi,
aumentano ulteriormente se si cerca di valorizzare i giovani talenti.
Per cambiare davvero le cose sarebbe necessario riformare in profondità tutto il sistema su cui si basa il cinema italiano, a partire dal meccanismo dei finanziamenti pubblici fino alla distribuzione, passando
per l’insegnamento del cinema nelle scuole. Non solo si dovrebbero
premiare maggiormente i progetti di qualità, ma sarebbe fondamentale costituire un circuito di distribuzione nazionale che si occupi esclusivamente di veicolare al pubblico le opere finanziate. In assenza di un
cambiamento radicale, che sempre più si avverte come prioritario, le
produzioni indipendenti saranno costrette a operare inseguendo delle
sporadiche contingenze favorevoli, nell’assoluta impossibilità di dare
continuità al loro lavoro.
Nonostante l’oggettiva avversità delle condizioni, attualmente avete diversi progetti in cantiere. Cosa ci puoi dire a riguardo?
Abbiamo appena prodotto con Arcopinto la nuova opera di Daniele
« Non solo si dovrebbero premiare maggiormente i progetti di qualità, ma sarebbe
fondamentale costituire un circuito di distribuzione nazionale che si occupi
esclusivamente di veicolare al pubblico le opere finanziate».
iniziato a lavorare per mettere su questo film a bassissimo costo, andando alla ricerca di compartecipazioni e fondi privati. Quasi subito si
è unito a noi Gianluca Arcopinto, nostro insegnante del Centro Sperimentale. E così dopo qualche mese siamo riusciti a partire con le riprese, nonostante il Ministero non ci avesse accordato il finanziamento.
Il film, tra l’altro, è stato uno dei primi a essere girato con la videocamera digitale ad altissima definizione Red One. La cosa che mi rende
più orgoglioso di aver prodotto Et in terra pax, è che i giovani sotto i
trent’anni che lo hanno realizzato, molti dei quali erano usciti da poco
dal Centro o erano ancora allievi, hanno avuto la rara possibilità di
esordire in Italia come capo reparto prima dei quarant’anni. Sono fermamente convinto che se anche le produzioni più grandi iniziassero
ad affidare la realizzazione di film a giovani competenti e appassionati,
il nostro cinema ne uscirebbe enormemente arricchito.
Quali sono gli spazi, in Italia, per le produzioni indipendenti come
la vostra? E quanto è difficile investire su progetti originali in cui i
giovani sono protagonisti?
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Gaglianone, il cui titolo provvisorio è La mia classe, che racconterà
la vita di alcuni ragazzi di origine non italiana e il loro rapporto con
l’insegnante Valerio Mastandrea. Il film affronterà temi molto presenti
nell’attuale dibattito sociale del nostro paese e sarà presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Giornate degli Autori. Recentemente abbiamo poi concluso il documentario di Annarita Zambrano
L’anima del Gattopardo, una coproduzione italo-francese cui hanno
partecipato anche Rai Cinema e Ciné+, che riflette sulla Sicilia di oggi
a partire dalle suggestioni offerte dalle opere di Tomasi di Lampedusa e Visconti. Sempre con la Francia abbiamo coprodotto Rosso cenere, il documentario di Adriano Aprà che andrà al Festival di Locarno.
Stiamo inoltre collaborando al documentario di Luca Guadagnino su
Bernardo Bertolucci, Bertolucci on Bertolucci, e in autunno partiranno
le riprese di un altro documentario di cui curerò la regia dedicato alla
figura di Alfredo Bini, il produttore che permise a Pier Paolo Pasolini
di esordire nel cinema. Infine, sono in fase di sviluppo i nuovi film di
Botrugno e Coluccini e di Gianfranco Pannone.
47
- Making of -
SUL SET DE
LA DIVA
foto di Veronica Parusso
1
Cortometraggio realizzato in cinque giorni di
ripresa a Genova, in cinque location diverse
più esterni in camera car con Red Epic X e una
serie di ottiche Zeiss t 1.3.
SCRITTO E DIRETTO DA
Carlo Ballauri
CAST
Silvia Pernarella
Enzo Paci
Massimo Viafora
Gabriele Falsetta
Durata
15 minuti
PRODUZIONE
Cavalieri della Notte con Logical Box
recording studio
In collaborazione
con Genova-Liguria
Film Commission
2
Camera Car, steady montata con Carmount su pickup che precede
l’automobile. Red Epic e radio fuochi: FOX.
5
Make up artist al lavoro, sull’attrice illuminazione: Barfly kinoflo a tubi
freddi, Red Epic su pewee.
6
Esterno notte. 2.5kw hmi riflesso su telaio 2x2; 2kw tungsteno con frost
251 su torretta 3mt controluce auto. All’interno 1.2kw hmi.
9
Red Epic su pewee e jimmy, l’assistente operatore segue il fuoco con
la “frusta”.
10
Scena del ballo con effetto fumo e steadycam.
48
PRODUTTORE
Martina Cloro
DIRETTORE DELLA
FOTOGRAFIA
Davide Manca
MONTAGGIO
Carlo Ballauri
Musiche originali
Filippo Quaglia
ART DIRECTOR
Consuelo Pecchenino
FONICO DI PRESA
DIRETTA
Alberto Parodi
Scena finale, l’attrezzista lancia della vernice rossa sulla ballerina.
LA STORIA
Katrina, una giovane immigrata ucraina
costretta a ballare nei locali notturni
per guadagnarsi da vivere, diventa
all’improvviso la ballerina più richiesta nei
teatri italiani. È infatti il soggetto ossessivo
dei dipinti di Angelo Fabris, un pittore
ubriacone che ritrae le entreneuse dei
night da due soldi vestite da geishe. Fabris,
fino a poco tempo prima sconosciuto, ha
ottenuto fama internazionale in seguito
alla sua scomparsa. Nonostante le sue
remore, Katrina viene convinta da un agente
teatrale senza scrupoli a intraprendere un
tour per commemorare l’artista e sfruttare
commercialmente il fatto di cronaca. Per la
diva le luci della ribalta sono ormai vicine; la
sera della prima del grottesco show, tuttavia,
nel camerino della ragazza arriva un pacco
contenente dei nuovi bozzetti ancora freschi
firmati Fabris, che la raffigurano in abiti
rituali giapponesi mentre compie l’harakiri...
L’IDEA
La diva vuole portare nel nostro paese le
atmosfere rarefatte del noir d’essai asiatico
degli ultimi vent’anni, mescolandole con
gli archetipi ipersaturati delle graphic
novel anglosassoni. Lo spunto tematico è il
viaggio di un’eroina dark contemporanea
disposta a tutto per raggiungere il successo.
Le influenze artistiche del regista uniscono
al tema orientale della violenza quello del
grottesco surreale nostrano, da Fellini agli
esempi più caratteristici degli anni ’70,
come Ferreri e Petri. Lo scopo è quello di
rileggere il tema dell’immigrazione in chiave
3
onirica, senza tuttavia abbandonare la
forte struttura narrativa propria del thriller
psicologico.
IL REGISTA
Genovese di nascita, studia e lavora a Roma,
Milano e all’UCLA di Los Angeles. Stabilitosi
a Hollywood, per due anni realizza corti,
sperimentando l’uso della pellicola in 16
e 35mm e lo zero cost delle digitali 5d e 7d
Canon. Nel 2011 assieme a Erica Sterne,
personal assistant e aiuto regia di Wes
Craven, forma un production team per la
realizzazione di videoclip con l’utilizzo di
camere digitali RED in alta definizione.
Tornato in Italia fonda insieme a Martina
Cloro la casa di produzione I Cavalieri della
Notte: La diva è il primo prodotto della
neonata società.
4
Scena dell’hangar: la location è illuminata due 1.2kw hmi con telai di
frost 251.
7
“Magic hour”: illuminazione con luci al neon.
8
Luce chiave 1.2kw hmi dietro a telaio di frost 251, controluce un 125hmi
sun par sospeso su balaustra, ai vetri gelatina ND9.
11
Macchina da presa in posizione sopraelevata. Illuminano la scena un
sagomatore da 2kw e un kinoflo tubi caldi (3.200 K) 4x120.
12
La troupe al completo.
Color and post by e-motion, fatta con il sistema Pablo della Quantel in
tempo reale con footage 5k.
49
ALESSANDRO BARONCIANI nato nel 1974 e originario del pesarese, lavora tra Pesaro e Milano come art director, illustratore e grafico
pubblicitario anche per case discografiche come Universal, Mezcal e La Tempesta, firmando le copertine di gruppi e cantautori
come Bugo, Perturbazione, Tre Allegri Ragazzi Morti. Cura una rubrica a fumetti sulla storia della musica su «Rumore magazine».
http://alessandrobaronciani.blogspot.it/
Histoires du cinéma
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51
DIARIO
GLI eventi di Fabrique
13 GIUGNO
Party stellare per l’uscita del secondo numero
di Fabrique all’Aranciera di San Sisto
Ancora uno strepitoso successo per gli eventi di Fabrique a
Roma: la festa per la presentazione del numero 2 ha visto
partecipare più di duemila persone, che dalle 19 a notte fonda
hanno assistito a performance live di teatro, arte e musica.
A fare gli onori di casa Margherita Vicario (in copertina) attrice
e cantante, che ha regalato agli spettatori il suo show musicale,
Marco Cocci con il suo dj set, il regista Marco Righi, e poi
Claudio Gioè, Regina Orioli, Giuseppe Maggio e altri ancora.
14 GIUGNO
Gran soirée ai David
Partner dell’Accademia del cinema italiano, Fabrique è presente
con un suo corner alla cerimonia di premiazione dei David di
Donatello: alla parata di stelle sul tradizionale red carpet si è
aggiunta quella di attori, attrici e registi premiati e non che si
sono fatti fotografare volentieri con una copia della rivista…
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NEWS
Giugno-luglio
I luoghi del cinema
Nella splendida location del Castello Aragonese Fabrique ha
partecipato a IschiaFilmFestival, concorso internazionale
dedicato al cinema e ai suoi luoghi: fra i premiati delle scorse
edizioni Vittorio Storaro, Mario Monicelli e Abel Ferrara.
25 luglio
Caccia alla “volpe”
Si inaugura una nuova importante partnership: in
occasione dell’uscita del film Wolverine: l’immortale,
Fabrique è scelta come media partner della Fox per l’evento
di presentazione a Roma, presso La Bibliotechina. Guest
d’eccezione: Boosta dei Subsonica.
14 settembre
Street art e short film
Serata finale e premiazione del contest URBAN-FABRIQUE/
Proiezioni-Urbane promosso da Outdoor e Fabrique: un
concorso per cortometraggi riservato a filmaker under 35
che ha per oggetto la città e gli spazi urbani visti e proposti
in modo inedito. www.out-door.it
Settembre-ottobre
Corti per giovani talenti
Terza edizione del Roma Creative Contest, il festival di
cortometraggi da tutto il mondo: quest’anno si inaugura
la sezione dedicata alle web series. Come nelle passate
edizioni, Fabrique consegnerà il suo “Premio del pubblico”.
La premiazione si svolgerà il 6 ottobre al Teatro Vittoria di
Roma. www.romacreativecontest.com
FABRIQUE
DU CINÉMA N°2
La CaRTa STaMPaTa deL
NUOVO CINeMa ITaLIaNO
MAGGIO
2013
Numero
2
OPERA PRIMA
eMiLia senTiMenTaLe
I giorni della vendemmia di Marco
Righi, un successo grazie al passaparola
IcOnE
La soLa scuoLa è L’esperienza
Parla Marco Bellocchio, “scandaloso” esordiente negli anni ’60
SchERMO blu
La MiGLiore oFFerTa
Tra vero e falso: gli effetti speciali
nel film di Giuseppe Tornatore
cAMMInIAMO
suLLe
nosTre GaMBe
Margherita Vicario
RItRAttO dI unA “cAntAttRIcE” cOn lE IdEE chIARE
La CARTA STAMPATA del
NUOVO cinema italiano
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DOVE
Come
e dove
Fabrique
CINEMA ROMA
AZZURRO SCIPIONI | 06.39737161 | Via degli Scipioni, 82
CASA DEL CINEMA | 06.423601 | Largo Marcello Mastroianni, 1
CINEMA DELLE PROVINCE | 06.44236021 | Via delle Province, 41
EDEN FILM CENTER | 06.3612449 | Piazza Cola di Rienzo, 74
FARNESE | 06.6064395 | Piazza Campo De Fiori, 56
GREENWICH | 06.5745825 | Via G. Battista Bodoni, 59
INTRASTEVERE | 06.5884230 | Vicolo Moroni, 3
MADISON | 06.5417926 | Via G. Chiabrera, 121
MAESTOSO | 06.786086 | Via Appia Nuova, 416
NUOVO CINEMA AQUILA | 06.70399408 | Via L’Aquila, 66
NUOVO OLIMPIA | 06.4818326 | Via in Lucina, 16a
NUOVO SACHER | 06.5818166 | Largo Ascianghi, 1
POLITECNICO FANDANGO | 06.36004240 | Via G. Battista Tiepolo, 13
QUATTRO FONTANE | 06.4741515 | Via Quattro Fontane, 23
TIBUR | 06.4957762 | Via degli Etruschi, 36
------------------------------------------------------------------------------------------------CINEMA FUORI ROMA
KING | 095.530218 | Via A. De Curtis, 14 Catania
------------------------------------------------------------------------------------------------TEATRI
TEATRO VALLE | Via del Teatro Valle, 21
------------------------------------------------------------------------------------------------LOCALI ROMA
BAR DEL GAZOMETRO | Via del Gazometro, 20/24
BIG STAR | Via Mameli, 25
CAFFÈ LETTERARIO | Via Ostiense, 95
CATERING BIKER’S BAR | Via W. Tobagi, 49
DOLCENOTTE | Via dei Magazzini Generali, 15
DOPPIO ZERO | Via Ostiense, 68
DVISION Roma
GIUFÀ | Via degli Aurunci, 38
KINO | Via Perugia, 34
HARUMI | Via Cipro, 4m/4n
HARUMI | Via della Stazione di San Pietro, 31/33
LA TANA DEL BIANCONIGLIO | Via B. Bossi, 6
LE MURA | Via di Porta labicana, 24
MAMMUT | Via Circonvallazione Casilina, 79
------------------------------------------------------------------------------------------------LOCALI FUORI ROMA
IL FRANTOIO | Via Renato Fucini 10, Capalbio (GR)
OSTELLOBELLO | Via Medici 4, Milano
PIADE IN PIAZZA | P.zza Meda 5, Milano
------------------------------------------------------------------------------------------------SCUOLE
CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA | Via Tuscolana, 1520
CINE TV ROSSELLINI | Via della Vasca Navale, 58
GRIFFITH | Via Matera, 3
NUOVA ACCADEMIA DI BELLE ARTI | Via C. Darwin, 20 Milano
ROMEUR ACCADEMY | Via Cristoforo Colombo, 573
SCUOLA D’ARTE CINEMATOGRAFICA GIAN MARIA VOLONTÉ | Via Greve, 61
------------------------------------------------------------------------------------------------LIBRERIE
LIBRERIA DEL CINEMA | Via dei Fienaroli, 31
------------------------------------------------------------------------------------------------FESTIVAL
Calabria Film Festival
Festival Internazionale del Cinema di Roma
LXX Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia
Rome Independent Film Festival
Visioni Italiane Cineteca di Bologna
------------------------------------------------------------------------------------------------LUOGHI ISTITUZIONALI
Film Commission Genova
MIBAC Ministero per i Beni e le Attività Culturali | Via del Collegio Romano, 27
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