Cass. Pen., sez. IV, 16-10-2014, n. 43308 Svolgimento del processo Con la sentenza in epigrafe la corte d'appello di Palermo confermò la sentenza emessa il 14.3.2012 dal giudice del tribunale di Agrigento che aveva dichiarato P.L. colpevole del reato di cui all’art. 2, comma 1 bis, d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638, per avere omesso il versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti da settembre a dicembre 2006, da gennaio a novembre 2007, e da febbraio a dicembre 2008, per totali € 6.9191 e lo aveva condannato alla pena sospesa di mesi 2 di reclusione ed € 300,00 di multa. La corte d'appello osservò che doveva ritenersi che l’avviso di contestazione fosse stato regolarmente comunicato all’imputato e che questi quindi ne avesse avuto conoscenza perché la raccomandata con cui era stato inviato era ritornata per compiuta giacenza. L’imputato, a mezzo dell’avv. S. V., propone ricorso per cassazione deducendo: 1) violazione dell’art. 597 cod. proc. pen. Lamenta che la motivazione della sentenza impugnata non è correlata ai motivi di gravame, che era limitato al contestato difetto di equivalenza tra diffida dell’ente e notifica del decreto di citazione a giudizio immediato. La sentenza ha violato il principio del tantum devolutum quantum appellatum con una motivazione con carattere di assoluta novità. 2) violazione dell’art. 1, comma 1 bis, d. lgs. 211/94 e vizio di motivazione. Osserva che la notifica richiesta da tale disposizione nella specie era stata chiaramente irregolare, tanto che il PM ne aveva chiesto il rinnovo, con la conseguenza che l'atto comunque non è mai entrato nella sfera di conoscenza e conoscibilità del destinatario. La corte d'appello ha erroneamente ritenuto perfezionato il procedimento di notifica con la compiuta giacenza, senza alcuna verifica dei profili di irregolarità già rassegnati avanti il giudice di primo grado, ed in particolare della circostanza che era stata prodotta copia dell'avviso di deposito alla casa comunale di un atto indescritto, ma non la ricevuta di ritorno della raccomandata che avrebbe dovuto costituire la prova del ricevimento di tale avviso. Difatti, gli effetti della notifica decorrono dal ricevimento della raccomandata con la quale si da comunicazione dell'avvenuto deposito dell'atto alla casa comunale che, nella fattispecie, non esiste (e comunque non ne è stata fornita prova). Inoltre, poiché il decorso inutile del termine di 90 giorni di cui all'atto di diffida costituisce condizione di punibilità ai fini dell'integrazione, la notifica avrebbe dovuto essere effettuata ai sensi degli artt. 157 e 167 cod. proc. pen. Evidenzia inoltre che con l’appello non erano state toccate ragioni relative alla regolarità della notifica, ritenuta irregolare dal giudice di primo grado, sicché sul punto la motivazione della sentenza impugnata è manifestamente illogica. Motivi della decisione Il ricorso è fondato. Nella specie il giudice del tribunale di Palermo aveva rilevato che l’accertamento della violazione era stato comunicato dall’Inps all’imputato nella sede legale della sua ditta mediante lettera raccomandata ed aveva esattamente ritenuto che non vi era alcun prova che tale comunicazione fosse andata a buon fine, dal momento che l’atto era stato restituito all’istituto per compiuta giacenza. Il giudice aveva peraltro ritenuto che la notifica del decreto di giudizio immediato con la relativa contestazione dovesse considerarsi equivalente alla comunicazione della contestazione. L’imputato proponeva appello contestando questa equivalenza, dal momento che nella specie la contestazione di cui al capo di imputazione non conteneva tutti gli elementi che deve necessariamente contenere la contestazione dell’accertamento della violazione. La corte d'appello ha ritenuto fondato il motivo di appello, perché effettivamente il decreto di citazione a giudizio non conteneva gli elementi necessari (indicazione dell’esatto importo da pagare mese per mese; avviso che il pagamento entro tre mesi estingue il reato; modalità di pagamento) e non rappresentava quindi un valido succedaneo alla notifica dell’Inps. Sennonché, inopinatamente, pur non essendo stato investito tale punto da alcun motivo di appello, il giudice di secondo grado ha ritenuto che dovesse ritenersi valida la comunicazione effettuata dall’Inps con raccomandata, non consegnata per avvenuta giacenza. Ha osservato la corte d'appello: - che la compiuta giacenza è una modalità di notifica di una raccomandata del tutto valida, legalmente riconosciuta e produttiva degli effetti di legge; - che non essendo stato il plico ritirato nel termine di 10 giorni si era perfezionata la compiuta giacenza; - che quindi l’appellante non poteva dolersi di non avere ritirato, "certamente per sua volontà", il plico relativo; - che l’Inps da sempre invia le proprie diffide ad adempiere con normale raccomandata postale; - che tale modalità di comunicazione sarebbe altrimenti facilmente aggirabile dai destinatari, semplicemente non ritirando corrispondenza del genere "prevedibilmente moratoria o comunque non gradita". Ha quindi per questi motivi confermato la sentenza di primo grado. Ciò posto, il ricorso è chiaramente fondato, in quanto - anche a non voler considerare l’eccezione di violazione del principio del tantum devolutum quantum appellatimi - la soluzione cui è pervenuta la corte d'appello di Palermo è erronea in punto di diritto e manifestamente illogica, perché fondata su un ragionamento capzioso e formalistico. Basta, sotto quest’ultimo profilo, rilevare la palese apoditticità ed illogicità delle presunte regole di esperienza applicate, secondo cui in ogni caso di non consegna di una raccomandata per compiuta giacenza dovrebbe necessariamente ritenersi che il destinatario non l’abbia ritirata "certamente per sua volontà", e secondo cui il destinatario della raccomandata dovrebbe essere a conoscenza che essa proviene dall’Inps e, quindi, potendo prevedere che essa sarebbe certamente "moratoria o comunque non gradita", potrebbe paralizzare il sistema semplicemente non ritirando il plico presso l’ufficio postale di giacenza, senza peraltro che l’ufficiale postale annoti poi nell’avviso di consegna il rifiuto del destinatario di ricevere il plico (e non la sola compiuta giacenza). In ogni caso, deve qui ricordarsi che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, la comunicazione della contestazione dell'accertamento della violazione non necessita di formalità particolari, e può essere effettuata mediante un verbale di contestazione, o una lettera raccomandata ovvero ancora per mezzo di una notificazione giudiziaria, e ad opera sia di funzionari dell'istituto previdenziale, sia di ufficiali di polizia giudiziaria (Sez. 3, n. 2859 del 17/10/2013, dep. 22/01/2014, Aprea, Rv. 258373; Sez. 3, n. 26054 del 14/02/2007, Vincis, Rv. 237202). Si è invero sempre ritenuto che, pur avendo la contestazione rilevanti conseguenze sul piano processuale penale, non sia necessaria una vera e propria notificazione secondo le regole del codice di rito, ma sia sufficiente un normale mezzo di comunicazione di provvedimenti amministrativi, purché nel caso concreto idoneo ad assicurare l’avvenuta conoscenza o la concreta conoscibilità da parte del destinatario. Per questo si sono normalmente ritenute valide raccomandate ricevute con firma illeggibile, purché correttamente indirizzate al destinatario e consegnate a soggetto convivente o a soggetto che si trovava nella sede legale della ditta (cfr. Sez. 3, n. 2859 del 17/10/2013, Aprea, cit.). Difatti, quando l’atto sia stato consegnato nell’indirizzo del destinatario a persona con lui convivente ovvero nella sede della ditta a persona dalla stessa dipendente, può ragionevolmente presumersi che il plico verrà poi effettivamente consegnato al destinatario, e che vi sia quindi una conoscibilità in concreto. Del resto, sempre per la necessità di provare che si sia comunque trattato di un mezzo idoneo ad assicurare la conoscenza da parte del destinatario si è anche affermato che la prova dell’avvenuta comunicazione "deve avere carattere documentale, non potendo fondarsi esclusivamente su una deposizione testimoniale" (Sez. 3, n. 30566 del 19/07/2011, Arena, Rv. 251261). Nel caso in esame, invece, nessuna delle suddette situazioni si è verificata e non può perciò ritenersi che vi sia la prova né di una effettiva conoscenza né di una sicura conoscibilità in concreto; al contrario, vi è anzi la prova che il destinatario non ha avuto né poteva avere conoscenza dell’avviso di accertamento e della diffida dal momento che la raccomandata non è stata consegnata a nessuno, ma è stata restituita al mittente per compiuta giacenza presso l’ufficio postale. Né d’altra parte risulta esservi la benché minima prova che l’imputato avesse volontariamente rifiutato di ricevere il plico perché a conoscenza del suo contenuto e proprio allo specifico fine di non far decorrere il termine. E’ pacifico che spetta all’accusa fornire in giudizio la prova che vi sia stata una idonea comunicazione al destinatario dell’avviso di accertamento. Nel caso in esame il giudice di primo grado aveva correttamente ritenuto che questa prova non vi fosse, non potendosi ritenere idonea a portare il destinatario a conoscenza della violazione accertata e ad avvisarlo della possibilità di evitare la condanna con il pagamento del dovuto, una diffida mai consegnata ad alcun soggetto, ma restituita dall’ufficio postale all’istituto per compiuta giacenza. La corte d'appello, ha erroneamente disatteso questa conclusione perché, invece di valutare se l’accusa avesse adempiuto all’onere probatorio e se vi fosse stata la conoscenza da parte dell’imputato, ha abdicato al suo compito e si è limitata ad una valutazione meramente formale sulla regolarità della notifica e sul suo perfezionamento legale secondo le norme delle notifiche a mezzo posta. Il che non può ritenersi certamente sufficiente, poiché, stanti le rilevanti conseguenze della notifica in questione sulla punibilità penale, non ci si può limitare a verificare il rispetto delle procedure postali, ma occorre appunto verificare se la modalità di consegna utilizzata sia stata in concreto idonea a portare l’atto a conoscenza del destinatario. D’altra parte, in caso di restituzione per compiuta giacenza l’istituto - tenendo anche conto delle ragioni della mancata consegna indicate dall’ufficiale postale - può con molta facilità rimediare in tempi brevi, o inviando una nuova raccomandata, o facendo consegnare l’avviso da un proprio funzionario, o provvedendo ad una notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario, così come può rimediare il pubblico ministero (anche in udienza), facendo notificare a mezzo della polizia giudiziaria l’avviso o una contestazione che contenga tutti gli elementi essenziali del detto avviso di accertamento, "costituiti dall'indicazione del periodo di omesso versamento e dell'importo, la indicazione della sede dell'ente presso cui effettuare il versamento entro il termine di tre mesi concesso dalla legge e l'avviso che il pagamento consente di fruire della causa di non punibilità" (secondo quanto stabilito da Sez. U, n. 1855 del 24/11/2011, dep. 18/01/2012, Sodde, Rv. 251268). Va pertanto affermato il principio che, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, ai fini della causa di non punibilità del pagamento tempestivo di quanto dovuto, non può generalmente ritenersi idonea è valida una comunicazione della contestazione dell'accertamento della violazione effettuata mediante raccomandata postale che sia stata restituita dall’ufficio postale al mittente per compiuta giacenza. La sentenza impugnata va pertanto annullata. L’annullamento deve avvenire con rinvio, potendosi ancora in sede di giudizio di appello rimediare all’omissione di una valida precedente comunicazione. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Palermo.
© Copyright 2024 ExpyDoc