Cass. pen. 9.10.2014 n. 42002 Data: 10.10.2014 7:38:57 FULL ACCOUNTIG S.P.A SistemaIntegrato Cass. pen. 9.10.2014 n. 42002 Ritenuto in fatto La Corte di appello di Milano ha rigettato l'appello interposto da Lu. Da., già legale rappresentante della Te. It. srl, avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Monza lo aveva condannato alla pena di mesi 9 di reclusione, senza benefici, avendolo riconosciuto responsabile, nella detta qualità, del reato di cui all'art. 10-ter DLgs. n. 74 del 2000, per avere omesso il versamento della somma di euro 185.705,00 risultate dovuta dalla prescritta dichiarazione annuale a sua firma a titolo di imposta sul valore aggiunto relativamente all'anno di imposta 2006. La Corte territoriale, osservato che la censura del ricorrente aveva ad oggetto il fatto che, non essendo egli il legale rappresentante della predetta società al momento della scadenza dell'obbligo tributario, non poteva essergli addebitato il fatto costituente reato, ha rilevato che, pacifica essendo la perdurante qualità di socio della predetta società in capo al Lu., egli, a termini di statuto, aveva ampi poteri di amministrazione, sicché aveva la facoltà ed il potere di procedere all'adempimento della obbligazione fiscale; d'altra parte, osservava ancora la Corte di Milano, essendo egli il firmatario della dichiarazione, su di lui gravava, secondo quanto testualmente risultante dalla sentenza impugnata, un "ulteriore e più pregnante dovere di attenzione e di sorveglianza in ordine all'esatto adempimento degli obblighi che derivavano dalla sua dichiarazione". Quanto alla dosimetria della pena, il giudice del gravame rilevava che sia la condotta processuale del Lu., alieno dal riconoscere la propria colpa, che l'ammontare della somma sottratta all'Erario ne giustificavano la determinazione in misura superiore al minimo edittale. Ha proposto ricorso per cassazione il Lu., tramite il proprio difensore, deducendo quanto segue: - nullità della sentenza per vizio di notificazione dell'avviso di udienza in appello; osservava al riguardo il ricorrente che, sebbene egli avesse nominato un difensore di fiducia, tutti gli atti relativi al giudizio di primo grado gli erano stati notificati presso il suo domicilio; solo la citazione a giudizio di fronte al giudice di appello era stata notificata, ai sensi dell'art. 157, comma 8-bis, cod. proc. pen., tramite consegna al suo difensore; tale circostanza, sebbene ritualmente eccepita di fronte alla Corte territoriale, non aveva indotto questa, nonostante la assenza dell'appellante in udienza, a disporre la rinnovazione della notificazione della citazione, così come invece, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuto fare a pena di nullità dell'intera fase di giudizio, e ciò anche in applicazione dell'indicazione in tal senso offerta dalla sentenza n. 43952 del 2007 della Corte di cassazione; - nullità della sentenza per mutamento del titolo della responsabilità penale attribuita al Lu.; in primo grado, infatti, egli era stato ritenuto responsabile in quanto, essendo legale rappresentante della Te., era direttamente tenuto ad eseguire il versamento d'imposta invece omesso; in grado di appello, riscontrata la carenza della predetta qualità rappresentativa in capo all'imputato al momento in cui doveva essere eseguito il predetto versamento, la Corte avrebbe costruito, secondo il ricorrente, una sorta di responsabilità da posizione, sostenendo che lui, in quanto firmatario della dichiarazione fiscale, avrebbe dovuto sorvegliare sull'esatto adempimento del relativo obbligo tributario; ad avviso del ricorrente in tale modo è stata violata sia la legge sostanziale - in quanto, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello, la responsabilità del reato doveva essere attribuita solo a chi, rivestendo la qualifica rappresentativa della Società soggetta all'obbligazione tributario, aveva il dovere di eseguire il pagamento al momento della scadenza della obbligazione stessa - sia quella processuale essendo stato il Lu. condannato per un fatto diverso da quello a lui attribuito in sede di contestazione; - la sentenza sarebbe, infine, illogicamente motivata in punto di determinazione della pena in quanto sarebbe stata attribuita al Lu. una omessa resipiscenza, per non avere neppure successivamente cercato di mitigare il pregiudizio inflitto all'Erario, senza considerare che il soggetto che materialmente si sarebbe avvantaggiato del mancato versamento e che quindi avrebbe dovuto provvedere a mitigare il danno era la società Te., soggetto giuridicamente distinto dall'attuale imputato, il quale quindi non era tenuto ad alcun comportamento di sintomatico di avvenuta resipiscenza. In data 30 giugno 2014 la difesa del ricorrente ha depositato una memoria nella quale, richiamando la recente sentenza della Corte costituzionale n. 80 del 2014, con la quale è stata elevata la soglia di punibilità per il reato contestato, si segnala, articolandolo quale motivo aggiunto di impugnazione, il vizio da cui sarebbe affetta la impugnata sentenza in punto di determinazione della pena, in considerazione del minore disvalore penale in astratto ascrivibile alla condotta del prevenuto stante la maggiore attuale prossimità dell'importo evaso rispetto alla nuova soglia minima di punibilità. Considerato in diritto Il ricorso, risultato fondato nei termini che saranno qui di seguito precisati, deve, conseguentemente essere accolto. Esaminando i motivi di doglianza partendo dal primo di essi (afferente alla ritenuta nullità della notificazione del decreto di citazione in giudizio dell'imputato di fronte al giudice di appello - e, pertanto, dell'intero giudizio di secondo grado celebrato nella contumacia, in ipotesi illegittimamente dichiarata, del Lu. - in quanto tale notificazione è stata eseguita ai sensi dell'art. 157, comma 8-bis, cod, proc. pen. come novellato a seguito della entrata in vigore dell'art. 2, comma 1, del decreto legge n. 17 del 2005, convertito, con modificazioni, con legge n. 60 del 2005) rileva questa Corte che il motivo in questione è infondato. Evidentemente non ignora il Collegio che questa stessa Sezione della suprema Corte in una non lontana occasione, correttamente richiamata dalla difesa del prevenuto, ebbe ad affermare il principio secondo il quale qualora, nonostante l'intervenuta nomina di un difensore di fiducia e la sussistenza, quindi, della condizione che avrebbe legittimato la notifica del decreto di citazione a giudizio in primo grado nelle forme di cui all'art. 157, comma 8-bis, cod. proc. pen. (e cioè presso il difensore stesso), detta notifica sia stata effettuata al domicilio dichiarato dall'imputato, così da dar luogo al legittimo affidamento, da parte di costui, che anche le successive notifiche sarebbero state effettuate nello stesso modo, il giudice d'appello, il quale constati che invece la notifica del decreto di citazione in secondo grado è stata effettuata, pur in modo formalmente regolare, a mani del difensore, deve porsi il problema che l'imputato non abbia avuto effettiva conoscenza dell'atto e deve quindi disporre, prima dell'eventuale dichiarazione di contumacia, a pena di nullità del giudizio, che la notifica venga rinnovata (così: Corte di cassazione, Sezione III penale, 27 novembre 2007, n. 43952). Tale indirizzo, mai successivamente ribadito da questa Corte - né, per vero, mai espressamente smentito dopo la sua formulazione - ritiene questo Collegio che non debba essere condiviso. Al riguardo rileva il Collegio che, secondo la puntuale previsione dell'art. 157, comma 8-bis, cod. proc. pen., nel testo novellato nei termini sopra precisati, successivamente alla esecuzione della prima notificazione all'imputato non detenuto, i successivi atti del processo sono portati alla sua conoscenza, laddove vi sia stata una nomina di difensore di fiducia, tramite la notificazione degli stessi mediante consegna al predetto difensore. Questi, a sua volta, ove non intenda accettare la responsabilità che gli deriverebbe da siffatta modalità di notificazione degli atti all'imputato, essendo questa, in linea di principio, esulante rispetto ai limiti del mandato professionale, potrà, con dichiarazione che, per produrre effetti, deve intervenire, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, o contestualmente all'atto di nomina ovvero, con comunicazione diretta all'autorità procedente, subito dopo tale nomina, ma sempre prima della notificazione di un atto (così, ex multis, Corte di cassazione, Sezione I penale, 12 aprile 2013 n. 16615), informare di ciò l'autorità in questione, in tal modo impedendo l'operatività di detta disposizione, e ripristinando, pertanto, le ordinarie modalità notificatorie. Tale meccanismo normativo, semplificando una fase spesso macchinosa e di non facile attuazione del procedimento, è volto, come è stato sagacemente rilevato sin dalla sentenza di questa Corte n. 41469 del 2005, a costituire un efficace contemperamento, rispettoso del principio di bilanciamento fra i valori espressi dalla Carta costituzionale, fra le esigenze, che potrebbero prima facie apparire divergenti, della ragionevole durata del processo, di cui è espressione all'art. 111 della Costituzione, e quelle, non meno fondamentali per l'ordinato sviluppo della vita associata, della tutela del diritto di difesa, che evidentemente non potrebbe realizzarsi in assenza di una compiuta informazione al prevenuto dei modi e dei tempi in cui egli ha la possibilità di esercitare tale diritto, presidiate dall'art. 24 della Costituzione (sostanzialmente in questi termini: Corte di cassazione, Sezione IV penale, 21 novembre 2005, n. 41469). Sulla base di tali premesse - le quali evidenziano che la scelta di privilegiare le modalità di notificazione degli atti processuali fissate dall'art. 157, comma 8-bis, cod. proc. pen., non risponde ad una valutazione di mera e generica opportunità, da valutarsi in termini di ampia discrezionalità da parte dell'autorità procedente, ma risponde, viceversa, alla esigenza di assicurare il rispetto di un valore, quello della celerità del processo, costituzionalmente garantito, cui, come abbiamo visto, fungono da controlimiti, proprio in considerazione della rilevanza costituzionale degli altri interessi potenzialmente coinvolti dalla attuazione della predetta disposizione contenuta nel codice di rito, la possibilità che ora il prevenuto, attraverso un'espressa elezione di domicilio, ora il suo difensore di fiducia, attraverso la ricordata dichiarazione di non accettazione delle notificazioni, hanno di escludere l'operatività della ricordata disposizione, ripristinando la ordinaria disciplina - deve affermarsi che non sia conforme allo spirito della ricordata norma ritenere che quest'ultima possa essere obliterata ed annichilita nell'ipotesi in cui - per motivi diversi dalla richiesta da parte dei soggetti a ciò legittimati della applicazione dei ricordati contro limiti - l'autorità giudiziaria, pur avendone la possibilità, abbia provveduto a far eseguire una notificazione all'imputato non detenuto, successiva alla prima, senza adottare la forma di cui all'art. 157, comma 8-bis, cod. proc. pen.. Rileva, infatti, questa Corte, in ciò superando il ricordato orientamento espresso in senso opposto dalla richiamata sentenza Cass. n. 43952 del 2007, che nessun legittimo affidamento può costituirsi né esso può, pertanto essere meritevole di tutela da parte dell'ordinamento, laddove esso si concretizzi, in assenza di motivazioni dotate di pari valenza, nella lesione di un'interesse di valenza così fondamentale per l'ordinamento da essere tradotto in un principio di livello costituzionale. Nel caso che interessa non risulta né che il Lu. - il quale, si ricorda, non ha provveduto ad alcuna elezione di domicilio - abbia indicato un luogo ove dovevano essere eseguite le notificazioni degli atti nei suoi confronti, né che il suo difensore di fiducia abbia dichiarato di non accettare che le notificazioni al Lu. fossero eseguite presso il suo studio. Non vi è, pertanto, alcuna motivazione, connessa con l'esigenza di tutela del diritto di difesa, che possa giustificare l'affermazione della illegittimità della adozione da parte della Corte di appello del meccanismo di notificazione seguito; questa, pertanto, di fronte alla assenza ingiustificata del prevenuto ne ha correttamente dichiarato la contumacia proseguendo, quindi, nel giudizio, con la regolare celebrazione del processo. Fondato è, viceversa, risultato il secondo motivo di ricorso. Osserva, infatti, la Corte che, nel caso in cui l'omesso versamento di imposte penalmente rilevante si caratterizzi per essere riferito ad una obbligazione tributaria gravante, come nel presente caso, su di un soggetto impersonale, il reato in questione acquista in sostanza le sembianze di un reato proprio, nel senso che esso è suscettibile di essere commesso solamente dal soggetto, o dai soggetti, che, in base alla pertinente normativa tributaria, risultano essere gravati del predetto obbligo adempievo. Quindi, in primo luogo, in quanto ne esercita i poteri di amministrazione con rilevanza esterna, il legale rappresentante della società tenuta dalla obbligazione tributaria; in via subordinata laddove emerga che la rappresentanza formale non corrisponda all'effettiva possibilità di autonoma spendita di detti poteri - colui che, anche soltanto in via di fatto, comunque eserciti l'attività di gestione della società. Per altro verso - trattandosi di reato omissivo in senso stretto, il quale appunto, si realizza allorché, entro il termine previsto per il compimento di un determinato atto, questo non è eseguito da chi, invece, vi era tenuto - la individuazione del soggetto penalmente responsabile si concentra ulteriormente in quanto essa concerne la persona sulla quale, secondo i principi sopra delineati, gravava l'obbligo di adempiere materialmente la obbligazione tributaria riferita al soggetto impersonale al momento di scadenza del termine ultimo ordinario per eseguire l'atto adempitivo. Tanto premesso, rileva la Corte che con la impugnata sentenza la Corte milanese ha affermato la penale responsabilità del Lu., ricostruendola sulla base di un duplice ordine di ragionamento; in base al primo, essa si fonderebbe sulla circostanza che il Lu. - il quale pacificamente non era più il legale rappresentante della Te. It. srl, cioè della società debitrice d'imposta, al momento della scadenza dell'obbligo fiscale - secondo i termini statutari, aveva ancora un generico potere rappresentativo di tale società; in base al secondo, essendo egli il soggetto firmatario della dichiarazione fiscale nella quale era stato liquidato l'ammontare dell'imposta dovuta, egli sarebbe stato onerato di uno specifico e "più pregnante" dovere di attenzione in ordine all'adempimento della obbligazione derivante dal contenuto della stessa dichiarazione fiscale da lui sottoscritta. Nessuno dei due argomenti spesi dalla Corte territoriale nella propria motivazione supera un vaglio di adeguatezza logica. Non il primo, in quanto è di tutta evidenza di non è sufficiente a fondare la penale responsabilità per il reato contestato al Lu. un generico potere rappresentativo della compagine sociale, attribuito secondo i termini statutari a tutti i soci della compagine cui essi partecipano, essendo a tale fine necessario l'esercizio di un potere rappresentativo specificamente volto all'attuazione dei doveri tributari. Infatti, diversamente argomentando, ad esempio nel caso di società di persone, la responsabilità penale per l'omesso versamento di imposte finirebbe per gravare su tutti i soci, essendo ciascuno di essi dotato del generico potere di impegnare la società partecipata. Non il secondo in quanto esso porterebbe ad ipotizzare, nel caso in cui il nuovo legale rappresentante della società, subentrato a quello che abbia sottoscritta la dichiarazione fiscale, ometta il pagamento della risultante imposta, un'inammissibile responsabilità per il fatto del terzo in capo all'originario legale rappresentante, il quale, laddove in ipotesi fosse del tutto uscito dalla compagine sociale, si troverebbe di fatto persino nella materiale impossibilità di adempiere a quel dovere di attenzione che, invece, la Corte milanese gli assegna. All'accoglimento del riferito secondo motivo di impugnazione consegue l'assorbimento dei successivi motivi, afferenti alla determinazione del trattamento sanzionatorio applicato al Lu., la cui incidenza sul giudizio a carico del prevenuto - in particolare con riferimento alle eventuali conseguenze derivanti dall'innalzamento della soglia minima di punibilità applicabile al reato contestato a seguito della parziale illegittimità costituzionale dell'art. 10-ter del DLgs n. 74 del 2000 dichiarata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 80 del 2014 - sarà eventualmente compito della Corte territoriale esaminare. La sentenza della Corte di appello di Milano deve, pertanto essere annullata, con rinvio ad altra Sezione della medesima Corte, la quale, in applicazione degli esposti principi, rivaluterà la ricorrenza degli elementi idonei a fondare la penale responsabilità del prevenuto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
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