DIALOGOI TESTI Direttore Giuseppe Grilli Università degli Studi di Roma Tre Comitato scientifico Giuseppe Savoca Università degli Studi di Catania Virgilio Tortosa Universidad de Alicante Carles Miralles Solá Universitat de Barcelona DIALOGOI TESTI La Collana propone testi e studi che affrontano le letterature comparate in una prospettiva specifica: quella che vede le interferenze tra i generi e le tematiche non come contraddizioni o diversità incomunicabili, ma come interrelazioni della complessità. Il modello teorico di riferimento è quello elaborato da Claudio Guillén, già nei sui primi saggi del periodo americano, legato all’ispirazione dei suoi maestri di Princeton, Levin e Poggioli, poi modificato, arricchito e completato nelle riflessioni e nei libri del periodo del suo ritorno in Europa e, in particolare, in Spagna, prima a Barcellona, poi a Madrid. Questo sguardo della maturità dell’ultimo periodo di ricerche e riflessioni diventa ricostruzione del passato rimosso, quello della primavera iberica spezzata dalle vicende della barbarie del Novecento. Ne è bella sintesi nel volume pubblicato nella nostra Collana, Sapere e conoscere. Coerentemente con queste premesse generali, la ricerca sulle letterature che la Collana persegue si svolge in una costante approssimazione alle sue frontiere tematiche e formali: la storia, le arti, il pensiero, anche nelle sue manifestazioni innovative e non canonizzate. Non ci sono dunque centri e periferie, come spesso in certa manualistica, ma dialoghi avviati, interrotti; dialoghi riannodati, tra passati e proiezioni presenti, e nella fiducia dei futuri ancora possibili. Anonimo Curial e Guelfa Introduzione di Antoni Ferrando Francés Traduzione di Cesáreo Calvo Rigual e Anna Giordano Gramegna Copyright © MMXIV ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, /A–B Roma () ---xxxx-x I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: maggio Indice generale Introduzione Lingua toscana in bocca catalana. Sull’italianità del Curial e Guelfa Nota al testo Libro primo Libro secondo Libro terzo Indice dei capitoli Introduzione Curial e Guelfa è uno dei migliori romanzi cavallereschi del secolo XV e una delle prime narrazioni europee che risentono dell’influenza dell’Umanesimo. Anonimo e scritto in lingua catalana, l’onomastica e l’argomento sono soprattutto italiani. Queste circostanze si spiegano perché, a metà del secolo XV, la Corona d’Aragona era una confederazione di regni ispanici — Aragona, Catalogna, Valencia– e italici — Sicilia, Sardegna, Napoli —, retti da un unico re, che faceva precedere il titolo di “re d’Aragona” a quello degli altri regni e che considerava il catalano la lingua principale di corte. Il Curial e Guelfa (d’ora in poi Curial) è senza dubbio la più importante eredità letteraria della presenza della Corona d’Aragona e della lingua catalana in Italia. Il Curial ha in comune con i romanzi cavallereschi francesi coevi — come il Livre des faits du bon messire Jehan le Maingre, dit Bouciquaut, il Livre des faits de Jacques de Lalaing, il Roman de Gillion de Trazegnies e Le Petit Jehan de Saintré — e con il Tirant lo Blanc, di Joanot Martorell, alcune caratteristiche: il realismo, l’umanità, delle gesta cavalleresche verosimili, lo sfondo storico, i riferimenti alla quotidianità, la tendenza all’umorismo e alla parodia, l’alternanza tra linguaggio colto e popolare. Tuttavia questi elementi si distinguono nel Curial per il predominio della componente sentimentale, per una certa complessità psicologica, per una rilevante presenza di elementi Introduzione eruditi provenienti dalla cultura classica greco–latina e dalla patristica cristiana, oltre che per una considerevole eleganza stilistica. In effetti, questi elementi eruditi sono un riflesso dei nuovi influssi umanistici che circolavano in Italia. Così come Martorell nel Tirant e in molte altre narrazioni cavalleresche, l’autore del Curial fa appello all’invenzione quando lo descrive come una storia reale preesistente. Si tratta, dunque, di un’opera di sintesi delle diverse correnti culturali che convergono nella narrativa romanza tardomedievale, che concede al nostro romanzo un’aria internazionale e una patina di modernità. Senza titolo originale, senza copertina, senza dedica e senza data, Curial ci è giunto in una copia manoscritta, sconosciuta alla romanistica fino a quando, nel , Manuel Milà i Fontanals pubblicò sulla Revue des langues romanes una breve nota informativa e critica, corredata della trascrizione dei primi paragrafi di ognuno dei tre libri di cui è composta. L’opera si può datare verso la metà del secolo XV, cioè, in coincidenza cronologica con la presenza di Alfonso I il Magnanimo a Napoli come sovrano (–). Dobbiamo al suo primo editore, Antoni Rubió i Lluch (), la proposta di intitolarlo Curial e Guelfa, nomi dei suoi protagonisti principali. Curial, nel senso in cui è usato nel romanzo, cioè “cortigiano”. Guelfa è il nome di una fazione politica italiana sostenitrice, nel basso Medioevo, della supremazia del papato, contraria alla fazione ghibellina, sostenitrice degli interessi imperiali. Curial e Guelfa sono italiani, così com’è di filiazione italiana l’intreccio erotico–sentimentale di gran parte del romanzo, ma lo scenario geografico dove si svolgono le gesta di Curial e la provenienza della maggior parte dei Introduzione suoi personaggi secondari interessa non solo l’Italia, ma anche la Germania, l’Ungheria, la Terra Santa, l’Egitto, la Grecia, la Tunisia e, soprattutto, la Francia. Il romanzo serba un ruolo speciale alla figura di Pietro il Grande, sovrano della Corona di Aragona (–), e, in quanto consorte di Costanza di Hohenstaufen, anche re di Sicilia (–). Sebbene di tono antiangioino, l’influenza culturale francese ne è il fulcro, ed è infatti in terra francese che avvengono le principali gesta cavalleresche di cui sarà protagonista Curial. Tutti gli sforzi destinati a scoprirne l’autore non hanno finora dato risultati definitivi. I primi editori catalani e gli storici della letteratura catalana, basandosi generalmente sul suo presunto carattere “nazionale”, l’hanno presentato come opera di un autore catalano e di origine dialettale catalano–orientale, sebbene i suoi primi critici non catalani, l’italiano Bernardo Sanvisenti e lo spagnolo Marcelino Menéndez y Pelayo, coincidessero nell’attribuirlo a un possibile autore italiano, almeno del nucleo originario. Tuttavia, prestigiosi lessicografi come Joan Coromines, Germà Colón e Joan Veny hanno osservato che, per le preferenze lessicali, l’autore potrebbe essere di origine valenzana. Le fonti che l’autore usa e rielabora a fondo sono, nonostante tutto, per lo più italiane, ma, com’era usuale per l’epoca, sono di origine francese la fraseologia, il lessico cavalleresco e molti riferimenti al mondo e ai personaggi della letteratura cavalleresca. Crediamo, come Martí de Riquer (:), che, “malgrado le sue fonti ed il suo ambiente straniero, essenzialmente italiano, è un’opera rigorosamente originale e scritta con maestria, un eccellente stile e un buon senso narrativo”. Queste caratteristiche mettono in evidenza il suo straordinario interesse letterario e linguistico. Introduzione Fino ad oggi sono state pubblicate quattro edizioni filologiche, quella già citata di Antoni Rubió (), quella di Ramon Aramon i Serra (–), quella di Ramon Miquel i Planas () e quella di Antoni Ferrando (), base della presente traduzione in italiano (), svolta da Cesáreo Calvo ed Anna Giordano ed ora rivista (), così come la traduzione francese di Jean–Marie Barberà (), in portoghese di Ricardo da Costa (), e quella inglese di Max Wheeler (), tutte fatte e pubblicate nel quadro ISIC–IVITRA. Una nuova edizone critica con trascrizione semimodernizzata del testo e adattata al catalano orientale attuale è stata pubblicata a cura di Lola Badia e Jaume Torró (). La versione di Marina Gustà () modernizza la maggior parte della grafia e quella di Jaume Torró () regolarizza la grafia e attualizza gran parte dei tratti linguistici e lessicali. Il Curial è stato tradotto in spagnolo, da Rafael Marquina (), da Pere Gimferrer (), da Júlia Butinyà, in versione elettronica (), da Maria Àngels Fuster () e da David Guixeras (). C’è anche una prima versione inglese, quella di Pamela Waley (), una versione olandese, di Bob de Nijs (), e una versione tedesca, di Gret Schib (). Tuttavia, la proiezione internazionale di un’opera così poco conosciuta fuori dall’ambito linguistico catalano, come il Curial, si deve soprattutto alla coesione del programma sistematico di traduzioni del romanzo condotto dall’ISIC–IVITRA e alla pubblicazione di John Benjamins, a cura d’Antoni Ferrando, degli Estudis lingüístics i culturals sobre “Curial e Güelfa”, novel·la cavalleresca anònima del segle XV en llengua catalana (), costitutio da circa quaranta lavori di notevole rilevanza. Bisogna ora congratularsi con la decisione di Aracne editrice di offrire al lettore di lingua italiana la prima ver- Introduzione sione del Curial nella sua lingua, realizzata con notevole competenza da Cesáreo Calvo ed Anna Giordano, professori dell’Università di Valencia. L’analisi della lingua del Curial che precede la traduzione, realizzata dal professor Calvo, permette di restituire in un certo senso all’Italia un prodotto letterario che, secondo tutti gli indizi che ci offre il romanzo, è stato composto probabilmente in Italia da un autore che scrive in lingua catalana, ma che conosce molto bene la lingua e la letteratura italiana. Il codice del Curial: l’enigma delle origini e della trasmissione non documentate Il codice che riproduce in un’unica copia Curial contiene folia, in carta, e si conserva attualmente nella Biblioteca Nazionale di Madrid, con la segnatura . Appartiene al fondo antico, ma nessun bibliografo ne aveva indicato l’esistenza fino a che, verso il , il bibliotecario Agustín Duran lo comunicò a Antonio Paz y Melia, e questi, pochi anni dopo, a Manuel Milà i Fontanals. Il tipo di carta, lo stadio storico della lingua — come la conservazione assolutamente predominante delle desinenze verbali –ats, –ets e –its — e diversi riferimenti a situazioni e personaggi storici del momento confermano che il testo corrisponde alla seconda metà degli anni quaranta del sec. XV. La copia, non autografa, riproduce un’opera finita, nel senso che presenta un testo perfettamente disegnato e sviluppato, con incipit e fine, ma non una versione definitiva del romanzo, giacché riporta diversi spazi in bianco. Il testo è diviso in tre libri, preceduti da altrettanti proemi, con i corrispondenti capitoli o sezioni, che non hanno titoli. Introduzione Per le caratteristiche che presenta, il codice sembra essere stato usato molto poco. Nonostante l’assenza di documenti sulle origini e sul processo di trasmissione dell’opera, nessuno studioso del Curial aveva mai dubitato della sua autenticità finché, nel , Jaume Riera, funzionario dell’Archivio della Corona d’Aragona, si disse convinto che si trattava di una falsificazione realizzata dallo stesso Milà i Fontanals. Opinione questa che non è stata avallata da altri esperti in paleografia e codicologia (Anscari M. Mundó, Francesc Gimeno, Josep Perarnau, ecc.), i quali coincidono nel segnalare che i caratteri della copia (filigrane documentate poco prima della metà del secolo XV, inchiostro pieno di ossido di ferro, lettera notarile catalana, assenza di capolettera, sistema di abbreviazioni, ecc) rendono impossibile tale ipotesi. Tuttavia, l’azzardata ipotesi di Riera ebbe la virtù di richiamare l’attenzione sull’assenza più assoluta di qualsiasi riferimento diretto o indiretto all’esistenza del testo fino al citato articolo di Milà, del . Il manoscritto presenta caratteristiche grafiche, come la rappresentazione di sennora e pennora al posto di senyora e penyora (“signora”, “pegno”), e come quella di fincar (cast. hincar) invece di ficar (“mettere”) e assí (cast. así) al posto di així (“così”), o come l’annotazione corrige sul margine all’inizio del secondo libro, o come il fatto di consegnare in castigliano nelle carte e l’inizio del “quaderno primero” e “segundo” rispettivamente, che fanno pensare a una copia fatta da uno scriba di lingua aragonese o castigliana, possibilmente a richiesta di un erudito aragonese o castigliano familiarizzato con la cultura catalana. Non sappiamo se questa circostanza abbia a che vedere con il fatto che i makulatur del codice, che fu rilegato alla fine del secolo XV in stile mudéjar, siano per lo più in castigliano, con testi am- Introduzione ministrativi riferiti alla zona di Toledo. Sembra, dunque, che il manoscritto finì in questa città castigliana e che da lì sarebbe passato alla Biblioteca Real, poi alla Biblioteca Nacional, probabilmente nel primo trentennio del secolo XIX. In ogni caso l’elevata presenza di elementi italiani nel romanzo e la mancanza di riferimenti documentali e letterari nella Penisola Iberica sembrano confermare che il testo ebbe origine in terre italiane, in un ambito cortigiano in cui circolavano cavalieri, curiali e mercanti di lingua catalana, aragonese e castigliana. Sommario Nel prologo del primo libro, l’autore annuncia che si propone di “narrarvi quanto costò a un gentil cavaliere e a una nobile dama l’amarsi l’un l’altro, e come con grande travaglio e pena, tribolati da molte disavventure, dopo lungo tempo ottennero il premio dei loro affanni”. Racconta, quindi, le vicissitudini attraverso cui deve passare il protagonista, Curial, per meritare di sposare Guelfa. Questo prologo, che fa da introduzione generale, annuncia così la lezione morale che sarà la narrazione degli amori tra Curial e Guelfa. Nel primo libro, Curial, adolescente lombardo di “umile origine”, entra al servizio del marchese di Monferrato. In questo modo ha la fortuna di contare sulla protezione di Guelfa, sorella del marchese e vedova del duca di Milano, che gli destina come tutore Melchiorre Pandone, l’amministratore dei suoi beni. Il rapporto sentimentale tra il giovane Curial e Guelfa provoca le maldicenze di due anziani invidiosi della corte di Monferrato, fino al punto che il marchese si sente obbligato ad allontanare Curial Introduzione dalla sua corte. Avendo saputo che la duchessa d’Austria è stata accusata falsamente di adulterio, Curial accorre, accompagnato da Jacob de Clèves, e riesce a spuntarla sui due accusatori in una battaglia giudiziaria. Per ringraziarlo, il duca di Baviera gli offre la mano di Lachesi, che Curial, pur essendosene innamorato, rifiuta per l’affetto che sente per Guelfa. Questa, saputi i fatti, è presa da una delirante gelosia. Curial torna nel Monferrato e, aiutato da tre cavalieri catalani, vincerà il napoletano Bocca di Far in un torneo convocato dal marchese. Ritornati a Barcellona, il re d’Aragona “don Pedro” offre una bellissima festa ai tre cavalieri. Il libro si conclude con un appassionato elogio del re. L’azione si situa, dunque, nel secolo XIII, sebbene nomi come Melchiorre Pandone, Jacob de Clèves e Bocca di Far suggeriscano personaggi storici della prima metà del secolo XV. Nel libro secondo, Curial si dirige a Melun, per partecipare ad un famosissimo torneo organizzato dal re di Francia. Guelfa lo fa accompagnare dalla sua donzella Arta, che cambia il suo nome per quello di Festa. Lungo il percorso di andata ha l’occasione di realizzare numerose gesta cavalleresche, di coincidere con quattro cavalieri aragonesi e di essere oggetto di una splendida accoglienza in un convento francese, in cui convivono monache dei più insigni casati nobiliari di Francia. A Melun, Curial si mette dalla parte dei cavalieri borgognoni ed aragonesi, che combattono contro i cavalieri francesi e bretoni. Vi partecipa, in incognito, il re Pietro. Con l’aiuto di Curial, il re Pietro ed i suoi cavalieri vincono brillantemente il duca di Orleans ed i suoi cavalieri. La presenza di Lachesi mette alla prova di nuovo la fedeltà amorosa di Curial. Per ordine di Guelfa, Curial deve restare a Parigi, dove ottiene nuovi successi cavallereschi, tra i quali quello di vincere Introduzione il temibile Sanglier de Vilahir. Curial, però, è di nuovo vittima della maldicenza: cade in disgrazia non solo del re di Francia, ma anche di Guelfa, che ha creduto ai due anziani maldicenti. Curial torna nel Monferrato cercando di riconquistare il suo onore davanti a Guelfa, ma quest’ultima giura che egli non godrà del suo favore, finché la corte di Santa Maria del Puy non le chiederà la grazia per lui. Nel libro terzo, Curial subisce le penitenze che potranno riscattarlo dallo stato di disgrazia. Si reca in Terra Santa, nel monastero di Santa Caterina, dove ritrova Sanglier come francescano, e sul Parnaso, in Grecia, dove, in sogno, ha una visione molto strana: le Muse lo nominano giudice di una questione letteraria: se Achille vinse Ettore “come un cavaliere” o no. Dopo, di ritorno a casa, naufraga sulle coste della Tunisia e, insieme ad un cavaliere catalano, Galceran de Mediona, viene venduto come schiavo. Tutti e due vengono comprati da Faraj, ricco moro di Tunisi. Qamar, figlia di Faraj, s’innamora di Curial, ma si suicida di fronte all’impossibilità di sposarsi con lui, poiché suo padre l’ha promessa al re di Tunisia. Grazie al tesoro che Qamar gli aveva consegnato e a una mediazione diplomatica, Curial riacquista la libertà dopo sette anni di prigionia. Travestito, compare nel Monferrato e cerca di riconquistare di nuovo il favore di Guelfa, che lo riconosce sentendolo cantare la canzone dell’elefante. Guelfa, tuttavia, non gli concede il perdono. Scoraggiato, si reca alla corte del re di Francia, che lo riempie di onori, ma cade nella lascivia. Malgrado tutto, ottiene la massima fama per aver salvato la cristianità dai turchi e recupera il favore del marchese di Monferrato. Dopo aver ricevuto molti doni dall’imperatore, Curial si avvia verso la corte di Santa Maria del Puy. Nel torneo che si celebra lì, Curial è vincitore assoluto ed Introduzione è allora che i re di Francia insieme alla corte lì riunita sollecitano per lui la mercé che aveva richiesto Guelfa. Costei considera soddisfatto il suo giuramento ed il re di Francia presiede le nozze dei due protagonisti. Melchiorre Pandone, che ha avuto cura degli interessi di Curial, considera terminata la sua missione e, abbracciandolo, esclama, come il vecchio Simeone biblico: Nunc dimittis servum tuum, Domine, secundum verbum tuum, in pace. Fonti letterarie Di origine latina Il riscontro delle fonti letterarie del Curial ci permette di avere un’idea precisa del contesto culturale e delle correnti ideologiche ed estetiche del momento in cui si produsse il romanzo. Non è sempre molto facile, tuttavia, scoprirle, perché, come vedremo dopo, l’anonimo autore rielaborò a fondo e fuse in modo molto creativo diverse tradizioni culturali, che sono essenziali per poter capire la teoria letteraria dell’Anonimo e le singolarità dell’opera. Le fonti latine interessano non solamente gli scrittori della Roma classica, ma includono anche le traduzioni latine dei classici greci e degli scrittori medievali. Abbiamo già visto che, se paragoniamo il Curial con i romanzi cavallereschi coevi, una delle peculiarità che richiamano di più l’attenzione è la presenza di numerose digressioni erudite — “poetiche finzioni”, le chiama l’autore —, generalmente provenienti da fonti latine, che hanno lo scopo di presentare Curial non solo come un cavaliere esemplare, ma anche come un conoscitore delle lettere, fino al punto che Apollo, in una delle visioni mitologiche Introduzione che troviamo nel romanzo, lo ritrae come il “migliore e più ardito dei cavalieri e il maggiore di tutti i poeti ed oratori che ci siano oggi”. L’Anonimo ricrea numerosi motivi erotici dei poeti elegiaci latini, specialmente di Ovidio, e fa intervenire personaggi del mondo classico come Bacco o le Muse. Si tratta, però, di materiali generalmente di seconda mano, che l’autore dovette trarre da compendi dell’epoca derivati dalla Genealogia deorum gentilium, di Boccaccio, o di qualche Ovidio moralizzato, e che completò con delle letture, non sempre ben assimilate, e di opere di commenti di classici latini, come Cicerone, Sallustio o Valerio Massimo. Sono state annotate molte inesattezze nel trattamento della mitologia classica, che non sono in generale, però, imputabili direttamente all’autore, ma alle fonti adoperate. In ogni modo l’autore manifesta una decisa volontà di ricreazione del mondo classico in ambiti come l’esaltazione della bellezza fisica e l’ammirazione per la formazione culturale dei personaggi, compresi quelli femminili. L’autore si avvale anche dei padri della Chiesa, come Gregorio il Grande, Geronimo, Isidoro, Agostino d’Ippona, Giovanni di Limoges o Prospero di Aquitania e di famosi scrittori latini dell’epoca medioevale, come Macrobio, Boezio, Fulgenzio o Papias. Si osserva anche il magistero del Petrarca, che appare già all’inizio della prefazione del romanzo, quando l’autore, rimembrando il De remediis utriusque fortunae e le Familiares, avverte il lettore dei pericoli e delle pene che comporta l’amore e degli ostacoli che interpone la Fortuna, ma, soprattutto, nel libro terzo, quando imita l’Oratio della sua incoronazione come poeta. I riferimenti alla Historia destructionis Troiae rinviano probabilmente alla versione latina dell’autore siciliano Guido delle Colonne. Comunque, come hanno dimostrato Sònia Gros (), Ferrando () e Josep Martines Introduzione (), non si basano sulle Històries troianes, nella versione catalana di Jaume Conesa, ma sul testo latino, circostanza che situa la redazione del Curial molto probabilmente in un contesto italiano. Molte alterazioni testuali che si osservano nelle latine sono imputabili non solo ai commenti succitati, ma in modo particolare al Commentum di Pietro Alighieri e alla Summa de virtutibus et vitiis, di Guillelmus Peraldus (Mesa ). L’Anonimo dovette stare in contatto con alcuni umanisti italiani dell’epoca (Barzizza, Bruni, Decembrio, Bisticci, Aurispa, ecc.), gli uomini della “reverenda letteratura”, che leggevano, copiavano o facevano copiare le opere dei classici grecolatini, come Aristotele, Ovidio, Virgilio, Orazio, Properzio, Catullo, Stazio, Lucano, ecc. Tra i testi classici che dovette leggere figura il De bello civili, di Giulio Cesare, che però l’autore attribuisce a Livio (Badia / Torró ). Anche nel caso dell’Achilleide (Achilleïs) di Stazio, l’Anonimo l’attribuisce a Omero. Non ci sorprende, dunque, la presenza nel Curial di un bel numero di latinismi lessicali, come glomerós, insoferible, liberalitat, obicir, obtat, parcitat, revocar “richiamare”, ecc., ben documentati in Italia prima della metà del sec. XV, ma poco conosciuti ancora in catalano, e di calchi sintattici del latino, come le costruzioni dell’accusativo con l’infinito, le proposizioni con il verbo in fondo o gli ablativi assoluti. Di origine italiana L’autore conosce profondamente la letteratura italiana del Trecento. La fonte di autorità più citata, ed inoltre molto spesso in lingua italiana, è la Divina Commedia di Dante. È attraverso quest’opera, o i numerosi commenti a cui diede luogo durante il sec. XIV e gli inizi del XV, che l’autore ci Introduzione dà la descrizione dei due grandi protagonisti del torneo di Melun, copia romanzesca della sfida di Bordeaux tra Pietro il Grande — presentato come quel re che “d’ogni valor portò cinta la corda”— e il monarca napoletano Carlo d’Angiò. Tra questi commenti risalta quello di Benvenuto da Imola. L’Anonimo s’ispira anche ad altre due opere del grande fiorentino: la Vita Nuova, per la riproduzione della visione del cuore mangiato e per certi aspetti della trama sentimentale, e il Convivio. Anche Boccaccio procura al nostro autore molto materiale, che ne percorre tutta l’opera. All’inizio del primo libro, l’autore vi inserisce già la trama della prima novella della Quarta Giornata del Decamerone, sulle avventure di Guiscardo e di Ghismonda. Boccaccesco è, per esempio, anche il famoso episodio delle monache. Da quello che ha fatto osservare Gros (), l’Anonimo rielabora almeno diciassette novelle del Decamerone, opera che gli serve come modello letterario retorico, narrativo e linguistico. Non si basa, quindi, sulla traduzione catalana del . Questa circostanza conferma ancora una volta la genesi del Curial in Italia. Sono inoltre da considerarsi fonti principali la Fiammetta, l’Amorosa visione e il Filocolo. Le due prime opere gli servono per la caratterizzazione sentimentale di Guelfa. La terza, che gli serve per il tema delle due frecce di Cupido, sarebbe per Torró () la principale fonte d’ispirazione dell’episodio della duchessa accusata d’adulterio. Senza dubbio, l’autore ricorre spesso alla lingua e allo stile della storia di Biancifiore ricreata nel Filocolo, ma la fonte dell’episodio della duchessa deriva, come ha già indicato Jordi Rubió, dalla versione centroeuropea di questa leggenda. Non molti anni fa, Manuela Stocchi () mostrò le tecniche di adattamento del materiale di Boccaccio da parte del nostro autore anonimo, che non si limita a un’inserzione Introduzione più o meno linguisticamente modernizzata dei frammenti che gli interessavano, come suole fare Martorell nel Tirant lo Blanc, ma li lavora a fondo fino a dar loro una fisionomia originale. Le fonti principali per la trama narrativa del Curial sono la Vida del trovatore Raimbaut de Vaqueiras, che fornisce lo schema per l’infanzia e per i viaggi di Curial, e la Vida di Rigaut de Berbezilh, che gli procura gli episodi della canzone dell’elefante e di Santa Maria del Puy. Non sappiamo da quale versione provenga la Vida di Vaqueiras, di cui si avvale forse per la lunga permanenza del trovatore nel Monferrato, ma conosciamo invece quella di Berbezilh, che deriva dal Novellino, dove la canzone dell’elefante risulta attribuita a un certo “messer Alamanno”. Tenendo presente che questo anonimato si attribuisce in generale solo in Italia, e non in territorio catalano, l’autore del Curial poté attribuirla più facilmente al protagonista del romanzo. Tutto sommato fa pensare ad un filtro italiano delle Vidas dei trovatori provenzali. Accanto a queste fonti principali ce ne sono di secondarie, come La Fiorita, di Armannino da Bologna. Il richiamo a Breus Sens Pietat fa pensare al testo originale francese e non al Febusso e Breusso italiano. Mentre sono stati messi in evidenza un buon numero di parallelismi tra il Curial e la tradizione italiana di Paris e Viana in dettagli come l’allusione alla stella Diana, la previsione di portare con sé cambiali per un lungo viaggio o l’autoreclusione fisica della protagonista provocata dalla delusione amorosa. Si è ripetuto fino a diventare luogo comune, senza nessuna fondatezza, che le cronache di Desclot i Muntaner fornirono all’autore del Curial un abbondante materiale per l’opera, ma il fatto evidente, come ho già segnalato in alcune occasioni (, ), è che elementi così centrali Introduzione del romanzo provengano da fonti italiane, sia di carattere storico, sia di carattere letterario (soprattutto da Boccaccio). Più precisamente, la presentazione dell’episodio della duchessa d’Austria e quella del combattimento di Melun, non solamente è diversa dalla versione della leggenda dell’imperatrice di Germania accusata falsamente d’adulterio che dà Desclot e dalla versione che sia Desclot sia Muntaner danno rispettivamente della sfida di Bordeaux, ma derivano da un’evoluzione quattrocentesca di quella leggenda, di origine centroeuropea, e dalla versione che ci danno della sfida le cronache italiane proghibelline del sec. XIV. Allo stesso modo, la presentazione della figura del re “don Pietro”, che contiene termini abbastanza vicini a quella di queste stesse cronache e perfino delle cronache proguelfe, come quella del fiorentino Giovanni Villani, che deriva essenzialmente dalla Divina Commedia e dai suoi commenti. Esattamente, quella “grande inesattezza storica” — con parole di Rubió i Lluch — in cui cadde l’autore del Curial, quando affermò che il “maggiore” dei tre figli del re Pietro “si chiamava don Alfonso (e questo morì prima di suo padre)” — cioè, l’infante Alfonso, che gli successe e regnò come Alfonso III d’Aragona (–)—, dimostra che aveva senz’altro consultato l’Ottimo commento (c.), attribuito al fiorentino Andrea Lancia, per il quale “donno Anfriso [...] morì giovanetto” e siccome la “morte il tolse di mezzo, sì che non succedette nel regno”, o il Commento (c. –), di Francesco da Buti (c. –), per il quale “lo giovanetto che retro a lui sede, cioè don Alfonso, suo figliuolo, lo quale morì giovane innanti che fusse re”, o qualcun altro simile. Ben al contrario di ciò che, sullo stesso argomento, ci dice Muntaner: “Ha il detto signor infante Pietro molti figli, dei quali sopravvissero alla detta signora regina [Costanza] ed al re loro padre, quattro maschi e due Introduzione femmine, cioè, l’infante Alfonso, e l’infante Jaume, e l’infante Federico, e l’infante Pietro”. I nomi dei cavalieri che accompagnano il re Pietro nel combattimento di Melun — copia della sfida di Bordeaux — non si assomigliano affatto, tranne Blasco d’Alagón, a quelli che troviamo nelle cronache di Desclot e Muntaner e, invece, sono molto vicini ai nomi di alcuni cavalieri coevi. Se l’autore del Curial commette l’errore storico di affermare che Corradino è figlio dell’imperatore Federico II, quando in realtà era suo nipote, come spiega la Crònica di Desclot, è perché così si afferma nella Giornata II del Decameron, sua fonte diretta. La presenza nel Curial di Arrighetto Capece — nella realtà storica, Corrado Capece, ignorato da Desclot e da Muntaner — si deve attribuire anche alla citata fonte o alle numerose cronache italiane proghibelline, che lo presentano come un eroe della causa degli Hohenstaufen. L’ammirazione dell’Anonimo per la Divina Commedia, del guelfo Dante, non si manifestó come una difesa di Carlo d’Angiò, ma come un’affermazione della sua parzialità nel presentare questo re e come una difesa del re Pietro d’Aragona, che, secondo Dante, “d’ogni valor portò cinta la corda”. Diversamente invece, nel .. caratterizza gli “spagnoli” d’accordo con i luoghi comuni che circolavano all’epoca in Italia. L’onomastica, persino in certi tratti grafici — Ostalriche (Austria), Arrighetto Capete (per Capece), Ghismonda, Pandolfo, Paulino, Andria di Nigro, Ambrosio di Spinola, Ansaldo, ecc. — è italiana in modo schiacciante. Buona parte dell’onomastica del Curial corrisponde parzialmente a personaggi reali, che l’autore occulta alterandone i nomi e i cognomi. Così, Melchiorre Pandone sembra corrispondere a Pandolfo da Venafro. Il nome di Curial potrebbe essersi ispirato in Gabriele Curiale. La toponimia italiana Introduzione più esatta è quella del nord d’Italia. La forma dei nomi mitologici è anche quasi del tutto italiana. E italiano, soprattutto toscano e settentrionale, è l’uso dell’articolo la davanti a nomi propri femminili italiani, come “la Guelfa” o “l’Arta” e altri tratti linguistici, come ranapeix. La lingua presenta molti italianismi lessicali, come desenvolupar “liberare”, duel·lo, espaventable, fontana, preda, robaria, semblea “assemblea”, sorel·la, turma (parole che in questo caso, e negli esempi successivi, diamo al singolare, se sono nomi, e all’infinito, se sono verbi). Si possono anche considerare italianismi indiretti alcune parole che, nonostante siano documentate molto prima in catalano, sono rare in testi originali catalani del sec. XV, ma frequenti in testi tradotti o influenzati dall’italiano, come aquistar “ottenere”, catiu “cattivo”, encercar “indagare”, pensosa “pensierosa”. Si osservano inoltre delle costruzioni sintattiche che denunciano l’impatto dell’italiano contemporaneo, come in “molt bellísima dona”, “sotsmesos les forces d’amor, ans follia” (“anzi”), “altres que es volen sobtar” (“ci vogliono”), “besada–la moltes voltes”. Calvo (, ) ha tracciato un panorama molto completo degli italianismi lessicali e fraseologici del Curial e ha messo in evidenza quanto sia profonda la dipendenza linguistica del Curial da Boccaccio. Comunque l’autore sicuramente dominava molto bene l’italiano scritto ed orale e così, quando cita passaggi biblici come “nemo propheta acceptus est in patria sua” (Lluc .), non ricorre alle espressioni delle versioni catalane, ma alle italiane (Ferrando b: ). Di origine francese Le fonti letterarie francesi, presenti dappertutto nel Curial, sono specialmente visibili nel libro secondo. Si osservano
© Copyright 2024 ExpyDoc