DELLE www.corrierecomunicazioni.it n°14. 15 settembre 2014 [email protected] 11 Versoil5G Phablet, telefono o multisala? ► Nati in Corea del Sud, gli extralarge sono strategici in un mercato in cui il contenuto fa la parte del leone nell’utilizzo delle reti telefoniche veloci. E la flessione di tablet e pc spinge le vendite antoniodini Cresce il telefonino. Non c’era bisogno che lo dicesse Apple con la sua nuova generazione di smartphone: in Asia se ne sono accorti da almeno cinque anni e gli apparecchi con schermi da 4,5, 5 e anche 6 pollici che sembravano esagerati fino a un paio di anni fa adesso stanno diventando dell’iPad fossero “perfette così”, nel 2012 anche Apple ha ridotto il tablet (l’iPad mini, ha uno schermo da 7,9 pollici) e poi aumentato il telefono (l’iPhone 5 e il 5s hanno uno schermo da 4 pollici). Il merito è stato soprattutto di Samsung, che fin dal 2010 ha commercializzato il Galaxy Tab A cui poi si è aggiunta una “quarta via”, per così dire, con i vari Galaxy Note sia della serie tablet che smartphone. Lg ha una struttura dell’offerta più semplice ma analoga e anche i giapponesi (segnatamente con Sony) e i cinesi e taiwanesi si sono ben presto accodati, producendo anche loro un’ampia teoria di apparecchi schermi e capaci di telefonare dipende da tre fattori, spiegano i ricercatori coreani di Samsung. Da un lato il desiderio degli utenti di poter consumare sempre più contenuti di tipo video oppure di giocare. Con un phablet in tasca o nella borsetta (entrambe necessariamente di dimensione sempre più generosa) l’utente medio ha poi risolto i suoi problemi di convergenza Si prevede che il trend complessivo del mercato vada in direzione «large» Stimati per il 2014 175 milioni di pezzi venduti. Contro 165 milioni di tablet la norma anche da noi. La febbre del phablet (parola ibrida che indica il matrimonio tra “smart-phone” e “tablet”) nasce con un virus tutto coreano: l’idea di creare telefoni extra-large è venuta per prime infatti alle due grandi Chaebol di Seul: Samsung ed Lg. Alla base il bisogno di difendersi dall’arrivo dell’iPad, il tablet di Apple lanciato sul mercato nel 2010 con schermo da 9,7 pollici. Nonostante Steve Jobs sostenesse che la misura delle prime cinque generazioni dell’iPhone (tutte 3,5 pollici) e quella degli apparecchi: basta telefoni minuscoli, ultrabook e tablet di grande formato. Si fa tutto su uno schermo unico, magari con l’aiuto anche del pennino, e poi si utilizza il phablet come telecomando per il televisore di casa. Perché l’utilizzo di banda Lte sempre più larga, i processori a quattro, sei o otto core e la memoria abbondante, senza contare gli schermi che costano sempre meno e le batterie sempre più efficienti, consentono di usare il phablet (e lo smartphone) meglio e di più. Ad esempio, come un set-top-box senza fili dello schermo piatto di casa per poter acquistare, registrare e proiettare wireless i programmi televisivi e film preferiti. Infine, c’è un tema economico. In un momento di flessione sia del mercato tablet che di quello dei Pc, i phablet viaggiano a tutta birra: le vendite dei phablet previste per il 2014, infatti, secondo Bob O’Donnell di Technalysis Research veleggiano attorno ai 175 milioni di pezzi, contro i 165 milioni di tablet. In particolare, in Corea del Sud due terzi dei telefoni venduti sono phablet. Da un lato per il gusto crescente degli utenti di questo paese per i grandi schermi e dall’altro per l’offerta di modelli diversi e le promozioni messe in piedi da Oem e operatori. Ma i Galaxy Note di Samsung e i G Flex di Lg non si vendono bene solo in Corea. Invece, i mercati che vedono crescere dietro ad Apple i telefoni di grandi dimensioni sono gli asiatici come Cina, Taiwan e Indonesia, ma anche il Brasile e l’Europa dell’Est. I dati di mercato indicano una crescente penetrazione di questo tipo di apparecchi e, se anche i numeri oscillano a seconda dei ritagli fatti dai diversi analisti e basati sul numero dei pollici dello schermo, la tendenza complessiva è decisamente chiara e va in questa direzione. Anche un’analisi della dimensione media degli schermi degli smartphone indica chiaramente che i phablet si collocano al vertice del mercato in un processo di crescita non rapido ma costante: nel 2010 la dimensione media degli schermi dei telefoni cellulari intelligente era di 3,58 pollici, che a fine 2013 era arrivata poco sotto ai 4,6 pollici. E se la fascia mondiale di mercato occupata dai phablet è del 7% (misure dello schermo comprese tra 5 e 6,9 pollici), in Corea del Sud diventa il 41% del mercato. Nel Paese in cui il contenuto sta diventando il re dell’utilizzo delle reti telefoniche veloci, le dimensioni dello schermo contano. 7.0 con schermo da 7 pollici e capace di telefonare. Mentre Apple ha scelto per anni la strada della divisione netta tra apparecchi telefonici e tablet, i coreani per differenziarsi hanno aperto una terza via in cui i due apparecchi convergono. dagli schermi compresi tra i 5 e i 7 pollici e con capacità telefonica. Alla lista si è aggiunta anche Nokia, che prima dell’acquisizione da parte di Microsoft aveva messo in produzione una serie di phablet. L’alluvione di apparecchi dai grandi Vita digitale Occhio al «video brain emotion» Velocità e bassa latenza aprono al primato di servizi e contenuti sulla tecnologia Veloci, sempre più veloci. Perché oramai tutte le strade, tutte le case sono saturate. L’appetito di banda vien mangiando e non ci si può fermare. A sentir parlare i tecnici e gli strateghi delle reti senza fili coreani c’è da stupirsi: come può esserci fame di bit nel Paese con la maggior penetrazione di banda larga e di terminali intelligenti senza fili, quello in cui la latenza è minore e ci sono più chilometri di fibra ottica (più di mezzo milione)? “È il mercato più competitivo - dice Changsoon Choi, uno dei dirigenti di SK Telecom - e quello in cui vengono provate per prime le nuove tecnologie. È anche il paese in cui la convergenza dei sistemi e delle reti si sta manifestando portando a due conseguenze: il primato dei contenuti e dei servizi sulla tecnologia da un lato, il bisogno di una connettività veloce e senza latenze sempre crescente dall’altro”. Per pensare alla Corea oggi bisogna immaginare un paese che ha il suo sistema di mappe per la navigazione stradale alternativo a quello di Google o di Apple. A un paese da 60 milioni di abitanti che ha la forza di sviluppare i suoi assistenti digitali (come Siri e Halo) facendo forza della barriera linguistica e culturale che tiene gli stranieri fuori. Un paese in cui ci sono sperimentazioni per raccoglitori di bottiglie di plastica e lattine con tecnologia Rfid che “sentono” cosa viene lasciato e ricaricano il credito sul telefono di chi fa riciclaggio. Le case degli anziani di Seul hanno pavimenti con sensori di pressione e microfoni che possono “sentire” una caduta improvvisa e chiede automaticamente aiuto. I telefoni di ultima generazione possono contenere la cartella clinica digitale di chi li usa e le ricette, per poter Oggi lo sharing ossessiona gli architetti dei servizi digitali prelevare le medicine e pagare la farmacia, oltre che servire da aiuto per i medici curanti. In Corea la bassissima latenza dei sistemi Lte-A sta facendo esplodere il gaming multiplayer, cioè i videogiochi tra utenti diversi via rete cellulare, ma anche il cloud gaming, ovvero la possibilità di accedere a un gioco in streaming, che non deve essere preventivamente scaricato. “Con la velocità e la bassa latenza abbiamo superato alcune delle barriere tradizionali dei terminali, dal punto di vista della potenza e dell’autonomia”, dice un dirigente di Lg U+ mostrando una serie di servizi dedicati sull’ultima versione di un apparecchio telefonico costruito dalla casa madre: un G3 Cat.6 (che assieme alla variante Cat.6 del Samsung Galaxy S 5 è uno dei due terminali abilitati al nuovo Lte con Carrier Aggregation) sul quale “gira” un videogioco che in realtà viene eseguito da un server remoto. Come spesso accade in Asia, i termini usati dal marketing suonano strani all’orecchio di un occidentale: “video brain emotion” non sarebbe la prima scelta per un’agenzia di comunicazione americana o inglese. Ma rende l’idea: una vita da fantascienza, con la possibilità di guardare sul telefonino fino a quattro canali tivù contemporaneamente, magari “sparandoli” su schermi esterni, servizi di cloud storage, navigatori e servizi di concierge con bambole virtuali un po’ simili a cartoni animati manga capaci di aiutare anche l’utente più sprovveduto a organizzare la sua giornata, man- giare sano oppure trovare ristoranti gourmet, ricordarsi di prendere il treno fino all’aiuto nello sport o per ricordare i compleanni (e i regali preferiti dalla dolce metà), con un sistema adattivo che “impara” da tutto quello che può conoscere del proprio “padrone” e che sembra perfetto tranne il nome: U-Spoon. La condivisione, lo sharing, la possibilità di fare le cose insieme ossessiona gli architetti dei nuovi servizi digitali coreani: dalle mappe per guidare in gruppo alla possibilità di chattare e telefonare mentre si fanno altre cose. Il tutto a 70 euro al mese, servizi, minuti e gigabyte quasi illimitati. Il massimo è per la coppia a casa: da due telefonini si può scaricare e spedire lo stream video di due film diversi sullo stesso televisore che “sdoppia” l’immagine. Due paia di occhiali in fase diversa permettono di vedere la partita e il film romantico in contemporanea, usando ovviamente le cuffie per l’audio ma senza che nessuno debba abbandonare il divano. La nuova rivoluzione non sono più le tecnologie ma la condivisione e la partecipazione con la rete a fare da valletto e tutta l’intelligenza nella nuvola. Nel futuro saranno gli algoritmi sociali a fare la differenza. A.D.
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