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Papa Francesco riceve gli indignados: “Quando parlo di terra, lavoro e casa
mi danno del comunista. Ma questo è il Vangelo!”. È l’unica sinistra rimasta
Mercoledì 29 ottobre 2014 – Anno 6 – n° 298
e 1,40 – Arretrati: e 2,00
Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma
tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46)
Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
NAPOLITANO FINALMENTE PARLA
E CONFERMA IL RICATTO MAFIOSO
Nelle tre ore di testimonianza sulla
Trattativa, il Presidente risponde a tutte
le domande. Evasivo sugli “indicibili
accordi”, fornisce inattesi riscontri
all’accusa dei pm: “Scalfaro, Spadolini,
Ciampi e io sapevamo che le stragi erano
un aut aut dei corleonesi: o lo Stato
alleggeriva la repressione, o Cosa Nostra
rovesciava l’ordine costituzionale”
MINUTO PER MINUTO
NELLA SALA OSCURA
50 risposte e 2 gialli
su D’Ambrosio
e Gianni De Gennaro
Lillo » pag. 2 - 3
CACCIA ALLO SPIFFERO
“Io non sono un Re
e neppure Pico
della Mirandola”
L’ULTIMA VERITÀ
I cronisti in strada
appesi alle labbra
degli ignoti avvocati
d’Esposito » pag. 4
La notte che Ciampi
sentì il tintinnio
del colpo di Stato
» pag. 2
Barbacetto » pag. 3
» CATRICALÀ E LA CONSULTA » Addii
» AFFARI SPORCHI » La Boccassini ottiene 13 arresti
L’ex sottosegretario e grand commis abbandona la
magistratura: “La bocciatura per la Corte costituzionale?
Io ho preferito evitare lo stillicidio”
Tecce » pag. 8
L’azienda legata a un boss
aveva ottenuto
la certificazione antimafia
per lavorare nei cantieri
del grande evento. Nelle
intercettazioni anche
le manovre politiche
per favorire un candidato
di Forza Italia nelle elezioni
comunali di Mariano
Comense
“Caro Violante Expo, altri appalti
così ti sporchi alla ’ndrangheta:
la camicia...”
in cella anche un Pd
SINDACO IN TRINCEA
Risse e ambulanze:
Cascella e la nuova
disfida di Barletta
Massari » pag. 10
Errori medici,
le assicurazioni
sono un bluff
Di Foggia » pag. 11
Milosa » pag. 9
Un frame di una videoindagine del Ros Ansa
BEATA CISL
VITA & TV
» EXTRACOMUNITARI
Psicosi da Ebola:
ora la Lega vuole
espellere pure
i soldati americani
Schiesari » pag. 17
Bonanni,
un miracolo
di stipendio:
336 mila euro
Cannavò » pag. 13
y(7HC0D7*KSTKKQ( +&!#!"!?!}
“Uomini
e donne”:
amori a fil
di sangue
Truzzi » pag. 18
LA CATTIVERIA
La ministra francese della Cultura Pellerin non legge un libro
da due anni. Sempre meglio di
Franceschini, che i libri li scrive
Fortuna che era inutile
di Marco Travaglio
hissà che cosa scriverà, ora, chi aveva teorizC
zato che la testimonianza di Napolitano era
inutile, superflua, un pretestuoso accanimento
dei pm di Palermo a caccia di vendette per il conflitto di attribuzioni, un pretesto per “mascariare”
il presidente della Repubblica agli occhi degli italiani e del mondo intero, per trascinarlo nel fango
della trattativa Stato-mafia, per spettacolarizzare
mediaticamente un processo già morto in partenza sul piano del diritto, naturalmente per violare
le sue prerogative autoimmunitarie, e altre scemenze. Quel che è accaduto ieri nella vecchia Sala
Oscura del Quirinale è la smentita più plateale e,
per certi versi, sorprendente di tutti gli inutili
(quelli sì) fiumi d’inchiostro versati per un anno e
mezzo da corazzieri, paggi e palafrenieri di complemento che, con l’aria di difendere Giorgio Napolitano, hanno guastato forse irrimediabilmente
la sua immagine pubblica, spingendolo a trincerarsi dietro segreti immotivati, privilegi inesistenti, regole riscritte ad (suam) personam e spandendo
tutt’intorno a lui una spessa e buia cortina fumogena che ha indotto molti cittadini a sospettare.
Quando ieri, finalmente, il capo dello Stato s’è
trovato di fronte ai giudici e ai giurati della Corte
d’Assise, ai quattro pm e ai legali degli imputati
(mafiosi, carabinieri e politici) e delle parti civili, è
stato lui stesso a dissipare – per quanto possibile –
tutto quel fumo. Facendo la cosa più normale: rispondere alle domande dicendo la verità, come
ogni testimone che si rispetti. E, finalmente libero
dai cattivi consiglieri, ha preso atto che la ricerca
della verità è il solo movente che anima i giudici e
i pm di questo processo: nessuno vuole incastrare
o screditare nessuno, tutti vogliono sapere cos’accadde fra il 1992 e il 1993, mentre Cosa Nostra
attaccava il cuore dello Stato e pezzi dello Stato la
aiutavano a ricattarlo, scendendo a patti e firmando cambiali in bianco. Insomma, ha detto la verità. E così, consapevolmente o meno, ha fornito
un assist insperato alla Procura di Palermo.
L’aut aut. Ripercorrendo i suoi ricordi e anche i
suoi appunti di ex presidente della Camera, Napolitano ha fornito un contributo che forse nemmeno i magistrati si aspettavano così nitido e prezioso, confermando in pieno l’ipotesi accusatoria
alla base del processo: che, cioè, i vertici dello Stato sapessero benissimo chi e perché metteva le
bombe. Per porre le istituzioni dinanzi a quello
che Napolitano ha definito un “aut aut”: o lo Stato
allentava la pressione e la repressione antimafia,
cominciando dall’alleggerimento del 41-bis, oppure si consegnava alla strategia destabilizzante di
Cosa Nostra, che avrebbe seguitato ad alzare il tiro
dello stragismo per rovesciare l’ordine costituzionale. I fatti – all’epoca sconosciuti a Napolitano,
ma persino al premier Carlo Azeglio Ciampi – ci
dicono che fra il giugno e il novembre del 1993
quell’allentamento ci fu: prima – all’indomani
della bomba in via Fauro a Roma e della strage in
via dei Georgofili a Firenze – con la rimozione al
vertice delle carceri del “duro” Nicolò Amato,
rimpiazzato con il “molle” Adalberto Capriotti e
col suo vice operativo Francesco Di Maggio; poi –
in seguito all’eccidio di via Palestro a Milano e alle
bombe alle basiliche romane di San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano (Giorgio come il
presidente della Camera Napolitano, Giovanni
come Spadolini presidente del Senato) – con la
revoca del 41-bis a centinaia di mafiosi. Il risultato, in simultanea con gli ultimi preparativi per la
nascita di Forza Italia (da un’idea di Marcello
Dell’Utri) e la discesa in campo di Silvio Berlusconi, fu la fine delle stragi. O meglio, la loro sospensione sine die, per dare a chi aveva chiuso la
trattativa il tempo e il modo di pagare le cambiali.
“Violenza o minaccia a corpo politico dello Stato”, cioè al governo, anzi ai governi italiani: questa
è l’accusa formulata dalla Procura (e confermata
dal Gup) agli imputati di mafia e di Stato. Un’accusa che la lunga testimonianza di Napolitano
sull’“aut aut” mafioso – tutt’altro che inutile, anzi
fra le più utili fin qui raccolte – ha clamorosamente rafforzato.
Segue a pagina 5
2
RICATTO MAFIOSO
MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014
il Fatto Quotidiano
IL POOL
LA SQUADRA DI PALERMO
Sono stati il procuratore aggiunto Teresi e i
pm Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene a porre le domande al capo
dello Stato. Il procuratore facente funzione
Leonardo Agueci, giunto in rappresentanza
dell’ufficio, non ha invece interloquito.
IL GIUDICE
ALFREDO MONTALTO
Il giudice Alfredo Montalto, che presiede la
Corte d’Assise del processo sulla trattativa,
ha lunga esperienza. Da lui passò, nel 1992
l’inchiesta sull’uccisione di Boris Giuliano.
Nel ‘95 respinse la richiesta di libertà avanzata dai legali di Calogero Mannino.
L’ASSIST DI NAPOLITANO AI PM
TRE ORE E MEZZA DI TESTIMONIANZA SU TUTTE E 40 LE DOMANDE DEI MAGISTRATI, PIÙ QUELLE
DEI LEGALI. E LA CONFERMA DELL’IPOTESI ACCUSATORIA SULLO STATO RICATTATO DAI CORLEONESI
di Marco Lillo
L
o Stato sapeva di essere sottoposto a un
ricatto da parte di
Totò Riina nel 1993.
Il presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano lo ha raccontato ieri ai magistrati di Palermo saliti a Roma tra mille
polemiche appositamente per
sentirlo al Quirinale.
Erano due i principali filoni sui
quali i pm si attendevano risposte dalla testimonianza del
Capo dello Stato: la lettera di
dimissioni del 18 giugno 2012
di Loris D’Ambrosio, nella
quale il consigliere giuridico
del Colle scriveva a Napolitano
“Lei sa che di ciò ho scritto anche di recente su richiesta di
Maria Falcone (nella prefazione di un libro, Ndr). E sa che, in
quelle poche pagine, non ho
esitato a fare cenno a episodi
del periodo 1989- 1993 che mi
preoccupano e fanno riflettere;
che mi hanno portato a enucleare ipotesi - solo ipotesi- di
cui ho detto anche ad altri,
quasi preso anche dal vivo timore di essere stato allora considerato solo un ingenuo e utile
scriba di cose utili a fungere da
scudo per indicibili accordi”.
Il secondo tema all’ordine del
giorno era la consapevolezza
da parte di Napolitano nel
1992-1993 della strategia di
Cosa Nostra: fare la guerra per
poi fare la pace grazie a una
trattativa intavolata al fine di
ottenere benefici per i mafiosi.
SUL PRIMO PUNTO sostanzialmente l’accusa ieri ha fatto
un buco nell’acqua dando ragione allo stesso Napolitano
che aveva scritto una lettera nel
novembre del 2013 al Presidente della Corte di Assise di
GIALLO VIOLANTE
“Violante mi disse
che Vito Ciancimino
voleva parlare
all’Antimafia”. Perché
dirlo al presidente
della Camera?
Palermo Salvatore Montalto
per evitare la convocazione
perché il presidente non aveva
mai ricevuto nessun ‘ragguaglio o specificazione da Loris
D’ambrosio’ dopo la lettera del
18 giugno 2012 e prima della
sua morte il 26 luglio dello stesso anno.
Ben diverso invece l’apporto
dato ieri, almeno secondo il
giudizio dato dai magistrati palermitani, sul secondo versante: Napolitano ha offerto una
descrizione inedita di come ha
vissuto, nella sua veste di presidente della Camera, il periodo in cui - secondo l’accusa - si
sarebbe svolta la trattativa a
suon di bombe tra i corleonesi e
le istituzioni.
Le auto blindate dei magistrati
di Palermo varcano l’ingresso
laterale del palazzo del Quirinale su via XX settembre alle 9 e
40 del mattino. Il Procuratore
aggiunto Vittorio Teresi, i pm
Nino Di Matteo, Francesco Del
Bene e Roberto Tartaglia, hanno preparato un elenco di una
quarantina di domande da
porre al Presidente della Repubblica. Tutte saranno ammesse dalla Corte tranne una,
quella più delicata sulle ragioni
della cancellazione del regime
di isolamento del 41 bis a favore di 330 mafiosi nel novembre 1993, dopo le bombe di Cosa Nostra. L’opposizione della
Corte alla domanda dei pm è
stata motivata con l’estraneità
al tema probatorio. Anche se
altre domande sarebbero potute cadere sotto la stessa mannaia e invece sono state ammesse.
NELLA SALA del Bronzino ci
sono una quarantina di persone, i giudici, due togati e i popolari, la cancelliera, cinque
pm - presente anche il Procuratore capo di Palermo Leonardo Agueci.
Alle dieci e 5 minuti si inizia.
Giorgio Napolitano si siede a
sinistra dietro lo studiolo, davanti alla Corte ci sono gli avvocati. Il procuratore Agueci fa
un breve discorso introduttivo
per ricordare il rispetto per
l’istituzione che ha di fronte ma
anche per la verità che i magistrati stanno cercando. Il vero e proprio esame ha inizio
con il procuratore aggiunto
Teresi che chiede al testimone
di precisare i suoi incarichi istituzionali. “Presidente della Repubblica”.
Si inizia a parlare di Loris
D’Ambrosio. Non esiste ancora un verbale ma è possibile ricostruire il senso delle risposte
grazie al resoconto orale degli
avvocati. Il Capo dello Stato è
prodigo di ricordi e di attestati
di stima verso D’Ambrosio:
“Me lo presentò il professor
Giovanni Maria Flick ed era
una persona libera da schemi e
di grande cultura. Con lui - dice
Napolitano - c’era un rapporto
di stima ma non di natura personale. Parlavamo solo di lavoro”.
Il procuratore Teresi legge alcuni passi della lettera di
D’Ambrosio e della sua prefazione al libro di Maria Falcone
ma Napolitano spiega che:
“D’Ambrosio era sconvolto
per la campagna mediatica nei
suoi confronti. Ma mai mi parlò del suo timore di essere considerato scriba di indicibili accordi”.
Napolitano ribadisce quanto
anticipato nella lettera alla
Corte un anno fa: “Nessuna discussione sul passato con
D’Ambrosio. Era una regola
non scritta. Dovevamo lavora-
nate con Mancino che lo pongono in una luce di ambiguità”.
Napolitano risponde di buon
grado a tutte le domande anche
se spesso ricorda che il contrasto alla criminalità non rientrava nella sua competenza diretta. Poi prende la parola il pm
Antonino Di Matteo e chiede a
Napolitano se fosse a conoscenza della proposta di audizione dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino in Commissione Antimafia esaminata
dal presidente di allora della
commissione, Luciano Violante, su sollecitazione del generale Mario Mori.
Napolitano racconta una circostanza inedita: Violante allora gli disse che Vito Ciancimino aveva chiesto di essere sentito dalla Commissione Antimafia anche se gli espresse un
giudizio sfavorevole e poi la co-
PROTAGONISTI
Giorgio
Napolitano ha testimoniato ieri al Quirinale. A lato, il boss
mafioso Totò Riina e l’ex ministro Nicola Mancino Ansa
GIALLO CESIS
“Già il 29 luglio ‘93
sapevamo che erano
stragi di mafia”.
Perchè il Cesis ad
agosto avallava la
pista multipla?
re giorno per giorno e guardare
al futuro e non al passato. Gli
indicibili accordi pertanto rimangono tre righe alle quali è
difficile o impossibile dare
un’interpretazione. Aggiungo
che alcune espressioni di quella
lettera - prosegue Napolitano sono frutto di uno stato di tensione prodotto dal suo tormento e dal suo travaglio nel momento in cui escono le telefo-
sa non si fece. Violante non disse a Napolitano però che la sollecitazione era giunta dall’allora colonnello del Ros dei Carabinieri Mario Mori, ora imputato per il reato di minaccia o
violenza a corpo dello Stato.
A sorpresa il punto più importante per l’accusa arriva quando si arriva a parlare della valutazione delle stragi del 1993.
All’indomani degli attentati del
27 luglio del 1993 a Roma e a
Milano “fu subito chiaro - dice
il presidente Giorgio Napolitano - che erano sussulti dell’ala
stragista della mafia dei corleonesi”. Per Napolitano quella
strategia era chiaro che fosse
“finalizzata a dare un aut aut ai
pubblici poteri o a fare pressioni di tipo destabilizzante”. Secondo l’allora presidente della
Camera “l’allarme non venne
SCHERMO OSCURO
Affamati di notizie dietro un nastro blu
di Carlo Tecce
uando il militare abbandona la garitta a siniQ
stra per il cambio di turno, le telecamere puntano verso il Quirinale, si accendono i riflettori, si
cato ci sono due elementi, che presto avranno un
valore irrisorio: l’udienza sarà cominciata per le 10,
la Corte d’Assise di Palermo è passata per un accesso laterale. La piazza è presidiata da poliziotti e
carabinieri, agenti in borghese. I turisti vengono
fermati, non capiscono, e non chiedono troppo.
Qui le risposte non sono disponibili, perché la truppa di cronisti - irrilevante la presenza degli stranieri
- può soltanto fissare il portone quirinalizio e aspettare l’uscita di un avvocato, uno qualsiasi. Quello
sfoderano i microfoni. Chi sta per scartare il panino
rimane attonito, indubbiamente colpevole per aver
ceduto all’appetito. Accade almeno un paio di volte,
accade invano. Ormai sono le 12 e 30 minuti. Non ci
sono segnali da interpretare, non ci sono informazioni da carpire di slancio. DenLa folla di giornalisti ieri fuori dal Quirinale LaPresse
tro, il testimone Giorgio Napolitano viene interrogato dai magistrati di Palermo che processano la trattativa tra lo Stato e la mafia. Fuori, i giornalisti sono confinati dietro un nastro blu, non
possono guardare, non potranno
ascoltare, entro un paio di giorni
potranno leggere i verbali. E dunque prevale l’istinto di sopravvivenza: i cronisti si intervistano tra
loro, riflettono tra loro, desumono tra loro. Di rilevante e verifi-
che viene concesso, e con estrema gentilezza, è un
suggerimento su come raggiungere la Fontana di
Trevi. Le 13 sono superate da un pezzo, la sicurezza
intorno al Colle richiama automobili di servizio,
s’avverte un po’ di agitazione. Il momento è arrivato. Napolitano ha finito, e sapremo. Non tanto. Il
Quirinale non ha ammesso i giornalisti a palazzo, la
sala del Bronzino - definita Oscura - non viene ripresa da telecamere. Appena s’affaccia un signore
con una valigetta in completo scuro e un fascio di
carte, archetipo di un legale (poi
vai a sindacare se di imputati o di
parti civili), scatta la ridda di voci,
VISTI DA FUORI
la ricerca di notizie, anzi di molecole di notizie. A ognuno un
Cronisti, deduzioni
atomo. Un particolare. Il commento, la perifrasi e il ricordo, di
e autointerviste.
sua costituzione labile, di cosa ha
Come sopravvivere
pronunciato il capo dello Stato. Il
più lesto è un avvocato siciliano
a un evento a porte
con barbetta e capelli un po’ neri
e un po’ grigi, quasi in automachiuse (che si
tico inizia a raccontare la dispodovevano aprire)
nibilità di Napolitano, l’atteggia-
mento dei giudici, dei magistrati e persino l’accoglienza ricevuta.
DOPO 5 MINUTI, un inviato domanda: “Ma chi
è?”. Il vicino lo rassicura: “Quando finisce, glielo
chiediamo”. E avviene, poi: “Scusi, ci può dire il suo
nome?”. Non è di immediata comprensione, di
mezzo c’è il doppio cognome: Giovanni Airò Farulla, comune di Palermo. Svelata l’identità di questa preziosa fonte collettiva, i giornalisti hanno un
sussulto, perché s’appalesa l’avvocato di Totò Riina, il loquace Luca Cianferoni, che viene anticipato
di un attimo dal collega che assiste Marcello
Dell’Utri. E in retrovia s’intravedono pure i legali di
Nicola Mancino. Airò Farulla viene mollato. Occorre una strategia, che fallisce quando ci si accorge
che le versioni degli avvocati non coincidono. Ma
gli avvocati sono fortunati, perché portano il verbo
da un palazzo sacro, oggi violato. Ghermiti atomi
di notizie qua e là, si smonta il muro di obiettivi più
volte crollato e si torna - a panini gelidi - in regia a
montare i pezzi o in redazione a scrivere. Bastava
un filmato o una diretta tv o un po’ di trasparenza.
Per saziare la legittima fame (di notizie).
il Fatto Quotidiano
RICATTO MAFIOSO
L’AVVOCATO DI RIINA
CIANFERONI A PALAZZO
Quagliariello è rimasto indignato dalla scena di
Luca Cianferoni, difensore di Riina attorniato dai
giornalisti che gli chiedevano lumi sulla deposizione del Presidente della Repubblica. Senz’altro il legale del boss mafioso è stato uno dei
protagonisti della giornata.
LE PARTI CIVILI
DA DE GENNARO AL CENTRO PIO LA TORRE
Sono sette le parti civili ammesse al Quirinale per
il tramite dei loro legali: il Centro studi Pio La Torre,
l’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro, la Presidenza del Consiglio dei ministri, la presidenza
della Regione Sicilia, il Comune di Palermo, Libera
e l’associazione vittime della strage dei Georgofili.
MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014
3
Il procuratore
Vittorio Teresi
“Il teste politico
più netto: rafforza
la nostra accusa”
olto soddisfatti. I pm
M
palermitani tornano a
casa con un sorriso raggiante.
Per il Procuratore aggiunto
di Palermo, Vittorio Teresi:
“Il Capo dello Stato ci ha offerto elementi che consolidano il capo di imputazione di
minaccia o violenza a corpo
dello Stato. Abbiamo potuto
porre tutte le domande al Capo dello Stato che non si è mai
sottratto ad alcuna doman-
mata. Il presidente ha detto
sostanzialmente che i vertici
delle istituzioni avevano la
piena consapevolezza che gli
attentati e le stragi fossero
opera della mafia corlonese.
E “che l’obiettivo era destabilizzare lo Stato per porre un
aut aut alle istituzioni.
In questo quadro Napolitano
ha parlato di una triade istituzionale in contatto continuo?
In quei giorni, dopo le stragi,
si sono sentiti con il presidente Spadolini e il presidente
Scalfaro. Nessuno ebbe dubbi
su questa analisi.
Oggi, tra quelli, Napolitano è
l’unico in vita
È una constatazione che conferma la necessità di sentirlo.
Vittorio Teresi Ansa
sottovalutato anche perché oltre agli attentati ci fu il black
out a Palazzo Chigi e ricordo
che il presidente Ciampi disse
di avere temuto un colpo di
Stato”.
IL PM ANTONINO Di Matteo è
soddisfatto della risposta di
Napolitano anche perché la
Procura ha da poco scovato alcuni documenti dell’epoca che
sembrano disegnare uno scenario diverso. Il 6 agosto il Cesis, il Comitato esecutivo per i
Servizi di Sicurezza che coordina i servizi segreti e che ora è
stato sostituito dal Dis, redige
una nota al termine di una riunione alla quale partecipano le
massime autorità, compreso il
capo della DIA Gianni De Gennaro, nella quale si avanzano
altre piste oltre a quella mafiosa. Dai narcotrafficanti ai terroristi separatisti. Solo quattro
giorni dopo, il 10 agosto 1993,
Gianni De Gennaro sente l’esigenza di stilare una nota che indica il movente e gli autori giusti delle stragi.
Quando il pm Di Matteo chiede a Giorgio Napolitano cosa
sapesse di quel documento della Dia, il Capo dello Stato replica: “Ci stiamo allontanando
di molti chilometri dall'alveo
originario della mia testimonianza e si presume che io abbia una memoria da fare invidia a Pico della Mirandola.
Non ricordo la nota DIA a firma del dottore De Gennaro”.
Poi si passa all’allarme del SISMI su un attentato in preparazione ai danni di Napolitano
stesso e del presidente del Senato Spadolini.
“Si ne fui informato dal capo
della Polizia Parisi ”, spiega Napolitano prima di svalutare un
po’ l’allarme: “quell'anno partii
da”.
GIALLO DIA
Il 10.8 De Gennaro
firma un rapporto Dia
che punta tutto sulla
matrice mafiosa per il
41-bis. Per smarcarsi
dal Cesis?
Alla luce del risultato dal punto di vista processuale. Ne è
valsa la pena?
Certamente è stato molto utile e la mia sensazione è che
anche il presidente abbia colto l’importanza di questo
momento processuale. È stata una lezione di democrazia
e un grande contributo all’accertamento della verità.
La vostra ipotesi accusatoria è che lo Stato abbia subito nel
1992-1993 una sorta di ricatto a suon
di bombe da Cosa
Nostra. Napolitano,
allora presidente della
Camera, ha fornito
elementi a supporto
di questa tesi?
per andare in vacanza a Stromboli e il 23 agosto 1993 Parisi
mi riferì di questi allarmi ma
mi disse: ‘i servizi consigliano
cautela’ ma l'attendibilità della
fonte era tale che non chiese di
annullare il viaggio. L’allarme
si tradusse solo nella precauzione di inviare qualche agente
dei NOCS in più. Quando tornai da Parigi non ebbi ulteriori misure di sicurezza”.
Secondo noi l’ipotesi accusatoria esce
fortemente confer-
Di tutti gli esponenti delle
istituzioni sentiti finora il presidente è stato l’unico a dire
che la mafia ha ricattato lo
Stato con le bombe e che lo
Stato era consapevole. I ministri di allora, Giovanni Conso
e Nicola Mancino, non hanno
detto nulla di simile.
Non c’è dubbio. Il presidente
è stato il più netto.
C’è stata un po’ di irritazione
del presidente alle domande
degli avvocati della difese?
Forse un paio di domande sono state percepite come più
provocatorie. Una domanda
dell’avvocato di Totò Riina,
Luca Cianferoni, riguardava
la famosa frase di Oscar Luigi
Scalfaro: ‘Non ci sto’. La Corte l’ha esclusa perché estranea
al tema probatorio, prima ancora che potessi oppormi io.
Quando mi sono alzato per
oppormi ho colto lo sguardo
del presidente che credo abbia apprezzato.
(m.lil)
UN’ESTATE DIFFICILE
I timori di Ciampi, tra black out e golpe
di Gianni Barbacetto
isti da vicino, quei giorni
V
del 1993, delle bombe e
delle minacce stragiste, faceva-
no paura. Carlo Azeglio Ciampi
era presidente del Consiglio. “Il
mio governo ha avuto il triste
distintivo di essere stato accompagnato da una serie di attentati
terroristici che oggi sappiamo
essere di stampo mafioso”: così
li ricorda, in un suo libro oggi
introvabile, Un metodo per governare, edito dal Mulino nel 1996.
“La bomba di via Fauro esplode
due giorni dopo il voto di fiducia; una settimana dopo, il 27
maggio, c’è l’attentato di via dei
Georgofili a Firenze; il 2 giugno,
festa della Repubblica, viene
scoperta a pochi metri da Palazzo Chigi un’auto piena di esplosivo, mentre, riunito con i sin-
dacati e Confindustria, conducevo la trattativa sul costo del lavoro; il 27 luglio i gravissimi attentati a Roma e a Milano”. Con
il misterioso black-out che isola
per ore Palazzo Chigi.
OGGI SAPPIAMO che a mettere
la bombe sono stati uomini di
Cosa nostra. Ma da soli? Senza
che nessuno indicasse loro
obiettivi così sofisticati, due basiliche romane e il Padiglione di
arte contemporanea a Milano?
“Gli attentati del 1993 sono di
più difficile lettura”, scrive
Ciampi, “perché apparentemente non hanno dei precisi
obiettivi ‘militari’, non perseguono l’eliminazione fisica di
soggetti pericolosi per l’organizzazione mafiosa. Perché questi
attentati durante il governo
Ciampi? Forse che con esso ogni
aggancio è impossibile, irrecuperabile? È forse per questo che,
con una strategia stragistica, si
vuole dimostrare l’incapacità di
controllo dell’esecutivo sul territorio nazionale, e per tale via
delegittimarlo?”. Insomma: forse che si volesse fiaccare il governo per far passare la linea della trattativa?
Nel 2010, Ciampi rincara la dose: “Ebbi paura che fossimo a un
passo da un colpo di Stato”, dichiara. “Lo pensai allora, e mi
creda, lo penso ancora oggi”. Ma
i colpi di Stato non li fa Cosa nostra. Almeno non da sola. E infatti l’allora presidente del Consiglio, subito dopo le bombe del
luglio ’93, decide a sorpresa di
Carlo Azeglio Ciampi Ansa
IL RICORDO
“L’interazione delle
diverse crisi in atto
– sociale, economica,
morale e politica –
poteva dare luogo a
una miscela esplosiva”
partecipare alla manifestazione
del 2 agosto 1993 a Bologna, in
ricordo della strage alla stazione, e quel giorno, nel suo intervento in piazza, dice: “È già stato
travolto un immenso labirinto
di interessi illegali, frutto delle
degenerazioni della politica e
dell’uso distorto delle risorse
pubbliche. È questa svolta messa in atto, nel massimo ordine
democratico, dai cittadini elettori, dai loro giudici, dal loro
Parlamento, garantita dal capo
dello Stato: è questo processo di
vasto cambiamento l’obiettivo
del nuovo terrorismo (...), è contro questa concreta prospettiva
di uno Stato rinnovato che si è
scatenata una torbida alleanza
di forze che perseguono obiettivi congiunti di destabilizzazione politica e di criminalità comune”.
Mafia e politica, dunque, insieme in una nuova strategia terroristica: così Ciampi interpreta, a caldo, le stragi del ’93. Non
senza lo zampino di apparati
dello Stato, tanto che il presidente mette subito mano a una
riforma dei servizi segreti: “L’interazione delle diverse crisi in
atto – sociale, economica, morale e politica – poteva dare luogo in quell’estate del 1993 a una
miscela esplosiva”, ragiona nel
suo libro del ’96. “Questi eventi
mi indussero a porre mano a
una radicale ristrutturazione
dei servizi di sicurezza per accrescerne l’efficienza, migliorarne il coordinamento. Un disegno di riforma venne presentato al Parlamento in settembre,
ma nonostante gli sforzi del governo non riuscì a superare neppure l’iter in Commissione”.
4
RICATTO MAFIOSO
MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014
LEGA NORD
SALVINI: “IN 40, UNA FARSA”
”Una farsa. Giornata inutile, soldi e tempo sprecati. In 40 fra magistrati, avvocati
e compagnia per interrogare Napolitano.
Solo a me pare una follia? Sarà la storia
a giudicare quel che è successo davvero”, sostiene il leghista Matteo Salvini.
il Fatto Quotidiano
MOVIMENTO 5 STELLE
FRACCARO: “SI DIMETTA”
”Il presidente della Repubblica continua a
trascinare nel fango le istituzioni invece di
dimettersi - dice il deputato M5S Riccardo
Fraccaro - Quando si deciderà a togliere il
disturbo, e a far sparire la sua ombra dalle
istituzioni, sarà sempre troppo tardi”.
LE RISPOSTE DI SPALLE,
TENSIONE E BATTUTE
ORA IL RE È PIÙ SERENO
SALA OSCURA
All’inizio
dell’esame Giorgio Napolitano
ha dato le spalle ai pm Dlm
PER LA PRIMA MEZZ’ORA IL TESTIMONE NON SI È GIRATO VERSO
I PM, LA STIZZA AL NOME DI D’AMBROSIO. POI: “RISPONDO
ANCHE SE POTREI TACERE” E “NON SIAMO UNA MONARCHIA”
di Fabrizio d’Esposito
I
l Testimone nella Sala
Oscura. È entrato poco
dopo le dieci, con la sua
andatura un po’ curva.
“Napolitano Giorgio”. Un solo
agente, in borghese, a garantire
l’ordine pubblico, un uomo
della sicurezza del Quirinale.
Nessuno si è alzato, contrariamente a quanto riferito da
un’agenzia di stampa. I magistrati, i giudici popolari, gli avvocati sono rimasti tutti seduti.
Giorgio Napolitano ha trovato
una scrivania già pronta, dove
poggiare una serie di appunti
preparati con la sua proverbiale
pignoleria nei giorni scorsi. Accanto un altro scrittoio, più piccolo, per il vicesegretario generale del presidente della Repubblica. La Sala del Bronzino alias
Sala Oscura, al piano nobile del
Quirinale. Non ci sono finestre
che prendono luce dal mondo
fuori.
Nel salone che ospita gli incontri con gli altri capi di Stato, la
Corte di Palermo è stata assisa
su una pedana, al centro. Su un
lato, a sinistra, la postazione di
Napolitano, poi i banchi per
pm e avvocati. L’incipit di questa giornata storica è rigido,
nervoso. Napolitano è in abito
blu e ha una postura tesissima.
Mesi e mesi di polemiche e
scontri si risolvono in quelle
mani che si muovono e poi si
fermano sullo scrittoio. Alle
prime domande del pm Vitto-
rio Teresi, il Testimone ha offerto la prima stranezza di questa udienza al buio, senza giornalisti e senza immagini. Non si
è mai girato e ai magistrati ha
dato la nuca. Di solito chi depone ascolta rivolgendosi verso
chi parla, corte o pm o avvocati
che siano. Nella prima
mezz’ora non è mai accaduto. E
Teresi ha parlato guardando
Napolitano di spalle. Chi c’era
racconta che è stato questo uno
dei momenti di tensione più vistosi.
IL CAPO dello Stato si è sciolto
alla sesta domanda del pm, salvo stizzirsi quando si è indugiato su Loris D’Ambrosio, il suo
consigliere giuridico morto
d’infarto. Napolitano ha ripercorso il loro rapporto di “stima
e di affetto” e quando ha detto
che “eravamo una squadra di
lavoro” ha poi aggiunto, come
chiosa superflua e orgogliosa:
“Non siamo in una monarchia,
io sono un presidente della Re-
DOPO L’AUDIZIONE
Bilancio “positivo”
a caldo con lo staff.
Il capo dello Stato
si è tolto un peso,
adesso si concentrerà
sulla legge elettorale
pubblica”. Ecco perché “la
squadra di lavoro”. In un altro
passaggio, il Testimone stizzito
che non vuole essere chiamato
re ha invece esibito la sua ironia.
A proposito di un “anonimo”
spedito dal carcere di Pianosa
all’allora presidente Scalfaro,
Napolitano ha liquidato la ricostruzione dei pm con una battuta assertiva: “Non sono mica
DI BATTISTA Da Gelli ai Cpt
ecco perché è “indecoroso”
he ci sia il “reato di
C
vilipendio” nei confronti del capo dello Stato, lo sa bene. Così, il deputato M5S Alessandro
Di Battista, ieri si è messo lì, attento a “dosare le
parole” ma intenzionatissimo a dimostrare
perché, al di là del processo sulla trattativa,
Giorgio Napolitano sia
un “soggetto politicamente indecoroso”.
Comincia dal 1953, “inizio dei 61 anni di
politica” di Napolitano, “costati al contribuente italiano oltre 16 milioni di euro tra stipendi e rimborsi vari”. Passa al
1956, “quando i carri armati sovietici
massacravano gli studenti a Budapest e
lui dichiarava che l’Urss stava portando
la pace in Ungheria”. Poi arriva al 1981,
alla questione morale di Berlinguer: per
Napolitano “vuote
invettive”, ricostruisce Di Battista. Poi c'è
Tangentopoli e il no
dell’allora presidente
della Camera all'ingresso dei finanzieri
a Montecitorio “per
richiedere gli originali dei bilanci dei
partiti”. E ancora le
accuse di Di Pietro:
Napolitano “non è
credibile” sulle tangenti Enimont. Poi,
Di Battista, gli attribuisce, nell'ordine, la
responsabilità delle cose più disparate: la
fuga all'estero di Licio Gelli, la nascita dei
Cpt, il segreto di Stato sulle confessioni di
Schiavone, le firme alle leggi ad personam di
Berlusconi, la grazia al colonnello Usa coinvolto nel rapimento Abu Omar. E solo alla
fine, si arriva a parlare della trattativa. Di
Battista è convinto: “La Rete è libera e queste informazioni viaggeranno per l'eternità
e tutti sapranno cosa lei ha fatto”.
Mafia, archiviazione per Schifani
Pico della Mirandola”. Ossia, la
mia memoria è normale, non
prodigiosa. Sovente, il capo dello Stato ha accompagnato le sue
risposte ricordando le sue prerogative. Per la serie: “Potrei
non rispondere ma sono disponibile lo stesso”.
L’esame di Napolitano nella Sala Oscura ha portato via oltre tre
ore, perlopiù impegnate dai
magistrati. A mezzogiorno la
pausa. Il presidente della corte,
Alfredo Montalto, ha chiesto al
teste se voleva fermarsi per
qualche minuto e il teste ha risposto di sì. Un quarto d’ora di
stop e per alcuni “ospiti”
dell’udienza finanche un piccolo giro per il Quirinale. Napolitano è uscito per poi rientrare
e affrontare la parte finale.
Il congedo è stato più rilassato
dell’incipit dell’udienza. Una
stretta di mano a Montalto e un
arrivederci corale a tutti. Una
volta nel suo studio, il presidente della Repubblica ha fatto un
bilancio a caldo con i suoi più
stretti consiglieri. Un bilancio
ritenuto “positivo”, in particolare per aver evitato, innanzitutto, un Vietnam mediatico. Il
nervosismo è tornato con le prime dichiarazioni di un avvocato che ha fatto sapere: “Napolitano si è avvalso anche della
facoltà di non rispondere”. Il
Colle ha smentito poco dopo
con una nota ufficiale: “Ha risposto alle domande senza opporre limiti di riservatezza connessi alle sue prerogative costituzionali né obiezioni”.
Proiettata sul lungo periodo, la
giornata di ieri viene riassunta
così da chi conosce gli umori del
Colle: “Nel suo secondo mandato, Napolitano aveva due macigni. Uno era Palermo, l’altro
le riforme e la legge elettorale.
Adesso ne rimane uno solo, da
qui alle dimissioni”. In pratica,
la legge elettorale, che difficilmente sarà approvata prima di
febbraio-marzo. Napolitano
non andrà via a gennaio. E per
certi versi l’udienza di ieri ha alleggerito il suo mandato.
Renato Schifani,
da Forza Italia
al Ncd Ansa
ACCOLTA LA RICHIESTA DEI PM, RESTANO LE PAROLE DEI PENTITI E QUELLE DI TOTÒ RIINA NELL’ORA D’ARIA
di Giuseppe Lo Bianco
Palermo
avevano chiamato “Schioperatu” per naL’
sconderlo a occhi indiscreti, visto che
all’epoca della nuova iscrizione nel registro degli indagati per concorso esterno alla mafia Renato Schifani era ancora presidente del Senato,
la seconda carica dello Stato. Ma oggi quel nome
fittizio è stato cancellato da quel registro: dopo
oltre dieci anni di inchieste il gip di Palermo
Vittorio Anania ha accolto la richiesta dei pm
Nino Di Matteo e Paolo Guido, e ha archiviato il
fascicolo nei confronti dell’ex capogruppo del
Pdl, oggi esponente del Nuovo Centro Destra,
con l’ipotesi di concorso in associazione mafiosa. E se nelle carte non ci sono elementi per
mandare a giudizio l’ex leader di Forza Italia
restano le ombre su rapporti borderline con Cosa Nostra di cui hanno parlato non solo i pentiti
ma anche Totò Riina, nelle sue passeggiate
all’ora d’aria con il detenuto pugliese Alberto
Lorusso: “Abbiamo il paese ciliegiaro, questo
senatore, il senatore che abbiamo, che abbiamo
alla Camera, il paese di lui era mandamento nostro...” dice il Capo dei Capi, parlando con Lorusso, il 18 novembre 2013. E aggiunge, senza
citare per nome Schifani, originario appunto di
Chiusa Sclafani: è “il senatore che abbiamo –
dice Riina, equivocando il ramo del Parlamento
– che abbiamo alla Camera”.
stra negli anni in cui esercitava a Palermo la professione di avvocato e non si occupava di politica. Dalle parole di Spatuzza, l’ex killer di
Brancaccio che ha raccontato agli inquirenti delle visite che Schifani avrebbe fatto nei capannoni
della Valtras – l’azienda di trasporti di proprietà
del suo cliente Pippo Cosenza a cui avrebbe partecipato, secondo il pentito, anche il boss straNONOSTANTE Schifani per difendersi abbia gista Filippo Graviano – alle accuse di Stefano Lo
sempre sostenuto che “come sempre accade in Verso, che nell’ottobre 2012, al processo contro
questo Paese c’è sempre qualcuno che tenta di l’ex capo del Ros Mario Mori, aveva rivelato di
intorbidire le acque”, la citazione di Riina nei avere ricevuto le confidenze del capomafia Nisuoi confronti si aggiunge alle dichiarazioni dei cola Mandalà, che gli aveva confermato di avere
collaboratori di giustizia che nel corso di oltre “nelle mani Renato Schifani”. Un rapporto,
quindici anni hanno raccontato i rapporti del quello con la famiglia Mandalà, assai influente a
senatore azzurro con persone legate a Cosa no- Villabate, confermato da un altro collaboratore,
Francesco Campanella, ex presidente del consiglio comunale
del Villabate (la cui amminiACCUSA E DIFESA
strazione è stata sciolta nel ’99 e
All’ex presidente del Senato sono state attribuite frequentazioni nel ’04 per infiltrazione mafiosa, ndr), che ha contribuito a riborderline, all’epoca in cui era avvocato a Palermo e non faceva lasciare la falsa carta d’identità
ancora politica. E lui: “Cercano di intorbidire le acque”
utilizzata da Provenzano per
recarsi in Francia.
Per approfondire
questi rapporti
l’ex gip Piergiorgio Morosini, oggi
membro del Csm,
nel 2013 dopo
aver rifiutato la richiesta di archiviazione ordinò un supplemento
di indagini, comprendente nuove audizioni dei
pentiti tra cui Nino Giuffrè, detto “manuzza”,
Tullio Cannella e Innocenzo Lo Sicco. E infine,
la Procura aveva in programma di interrogare
anche Giovanni Costa, un faccendiere palermitano arrestato a settembre a Santo Domingo che
aveva annunciato pubblicamente: “Prima o poi
la verità su Schifani dovrò raccontarla tutta”.
Schifani ha sempre dichiarato la propria
estraneità alle accuse: “Non ho mai fatto politica prima del 1996 e Riina mi risulta essere
stato arrestato nel gennaio del 1993. Inoltre, è
noto a tutti che sono nato a Palermo, dove ho
studiato ed esercitato la mia professione. Questi sono i fatti”.
il Fatto Quotidiano
RICATTO MAFIOSO
IN VECE DEL PREMIER
LA BOSCHI: “GLI SIAMO GRATI”
Matteo Renzi tace, parla Maria Elena Boschi: ”Ancora una volta, oggi, il presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano ha dimostrato il suo profondo
rispetto per le istituzioni repubblicane e l'alto senso dello Stato. A lui va tutta la nostra gratitudine
per la dedizione e la fedeltà alla Costituzione”.
IL VIMINALE
ALFANO: “VINCE IL DIRITTO”
Per il ministro dell’Interno Angelino Alfano “la
deposizione del presidente Napolitano è nel segno di quell'autonomia dei poteri e degli ordini
dello Stato da lui sempre auspicata, nonché della certezza del diritto intesa come fede incrollabile”.
MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014
5
SEGUE DALLA PRIMA
di Marco
Travaglio
La Triade dello Stato
sapeva del ricatto:
poi il governo sbracò
della “triade”, Napolitano è l’unico superstite:
Scalfaro e Spadolini sono morti, e così l’allora
capo della Polizia Vincenzo Parisi, uomo-chiaa lettera. Il contributo meno interesve di quella stagione, anche per il suo filo diretto con Scalfaro. 2) Perché nessun altro uosante Napolitano
mo delle istituzioni di allora è mai stato così
l’ha fornito a prochiaro ed esplicito sul livello di consapevolezza
posito di un passo della lettera
di dimissioni che gli inviò il 18
dei rappresentanti dello Stato sul significato
dell’offensiva stragista di Cosa Nostra: una
giugno 2012 il suo consigliere
lunga sfilza di politici smemorati e/o reticenti.
giuridico Loris D’Ambrosio,
3) Perché, se già il 29 luglio '93 si sapeva che le
nel pieno delle polemiche per
bombe in via Palestro e contro le basiliche
le sue telefonate con Nicola
erano roba di mafia per piegare lo Stato, non si
Mancino: “Lei sa di ciò che ho
scritto anche di recente su ri- NAPOLITANO RICORDA LE CONSULTAZIONI CON SCALFARO E SPADOLINI SULLA PISTA
comprende quel che accadde subito dopo.
Piste e depistaggi. Il 6 agosto '93, attorno a un
chiesta di Maria Falcone. E sa
tavolo del Cesis (il comitato che coordinava i
che, in quelle poche pagine, CORLEONESE E IL MOVENTE DI ”AUT AUT” ALLE ISTITUZIONI. MA I SERVIZI DEPISTAVANO
servizi segreti militare e civile), si riunirono i
non ho esitato a fare cenno a
capi dell’intelligence, ma anche il capo della
episodi del periodo 1989-1993
che mi preoccupano e fanno
Polizia Parisi, il capo della Dia De Gennaro, il
vicecomandante del Ros Mori e il vicecapo e
riflettere...”. Napolitano souomo forte del Dap Francesco Di Maggio. E se
stiene che D’Ambrosio non gli
disse nulla, anche se riconosce
ne uscirono con una fumosa relazione, sulle
bombe della settimana precedente, piena di
che poi nel libro della Falcone
quegli episodi non li raccontò.
piste fasulle al limite del depistaggio: oltre
Ha trovato anche la lettera
all’eventuale matrice mafiosa, ipotizzarono
dattiloscritta che il consigliere
quella del terrorismo serbo, o palestinese, o del
inviò alla Falcone, ma assicura
narcotraffico internazionale. Del resto, se gli
ai pm che il testo è identico a
apparati e i servizi avessero davvero avuto
quello poi pubblicato. “... (epidubbi sulla pista mafiosa per strappare allo
Stato un cedimento sul 41-bis, cioè sul tratsodi) che mi hanno portato a
enucleare ipotesi – solo ipotamento dei boss detenuti, perché mai invitare
tesi – di cui ho detto anche ad
a quel tavolo un estraneo come il vicecapo
altri...”. Quell’“anche ad altri”
delle carceri Di Maggio? Fin da giugno, il suo
fa pensare, per la seconda volsuperiore Capriotti aveva scritto al ministro
ta, che ne abbia parlato anche
Conso sollecitando un taglio lineare dei 41-bis
con Napolitano. Il quale però
per “dare un segnale di distensione nelle carnega. “...quasi preso anche dal
ceri”. E proprio per accelerarlo Cosa Nostra
aveva seminato morte e terrore in quella privivo timore di essere stato allora considerato solo un inmavera-estate. Infatti appena quattro giorno
dopo il vertice al Cesis, il 10 agosto, De Gengenuo e utile scriba di cose 26 LUGLIO 1993 Il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro con i presidenti del Senato Giovanni Spadolini
naro firmò un rapporto
utili a fungere da scudo per e della Camera Giorgio Napolitano. Sotto, Loris D’Ambrosio (1947-2012) Ansa
indicibili accordi”. Il presidella Dia, destinato a Mandente riconosce che si tratta di frasi “dram- costringere lo Stato a piegarsi. Roma e Firenze imprecisata “pubblicisticino e a Violante, che metLA LETTERA
matiche”. Perché allora non ne chiese conto al a maggio. Poi Milano e di nuovo Roma nella ca” che già all’epoca avrebteva nero su bianco la pista
suo collaboratore dopo averle lette? La risposta notte fra il 27 e il 28 luglio. Il presidente ricorda be riferito di due correnti
mafioso-trattativista delle
Il consigliere D’Ambrosio
è evasiva: quando, l’indomani, parlò con che subito, fin dal 29 luglio, “la Triade” Scal- divergenti fra i corleonesi:
bombe e invitava il goverD’Ambrosio, lo fece soltanto per convincerlo a faro-Spadolini-Napolitano, cioè i massimi l’ala guerrafondaia e un’ala
nel 2012 gli scrisse di “indicibili no a non cedere sul 41-bis:
ritirare le dimissioni e non affrontò con lui il vertici dello Stato che condividevano tutte le più morbida (quella di
“È chiaro che l’eventuale
accordi”. Il Presidente
tema degli “indicibili accordi”. Ora, visto che conoscenze (mutuate dall’intelligence e dalle Provenzano). In realtà
revoca anche solo parziaD’Ambrosio è morto e gli “altri” destinatari forze investigative) su quel che stava accaden- nessuno allora scrisse mai
le... del 41-bis potrebbe
riconosce: “Erano parole
rappresentare il primo
delle sue confidenze sono ignoti, il giallo ri- do, erano certi che anche quelle stragi avevano nulla del genere: lo disse il
una matrice mafiosa (“corleonese”, specifica il ministro
dell’Interno
mane insoluto.
concreto cedimento dello
drammatiche”. Ma perché
Stato intimidito dalla staIl 1992. Anche sul 1992 – quando inizia l’at- presidente) e un movente ricattatorio, estor- Mancino, nel dicembre
non gli chiese spiegazioni?
gione delle bombe”. Un
tacco ricattatorio di Cosa Nostra allo Stato do- sivo. Napolitano ricorda di averne parlato col '92, poco prima della catpo la sentenza della Cassazione sul maxipro- presidente Scalfaro e forse, ma non lo ricorda tura di Riina, in un’incremodo per smarcarsi dal fumoso e depistante rapporcesso, con il delitto Lima, la strage di Capaci, con precisione, col premier Ciampi. Il quale, dibile intervista al Giornale
to del Cesis, che pure lo
l’inizio della trattativa del Ros con Vito Cian- dopo il black out dei centralini di Palazzo Chigi di Sicilia. Poi si giustificò
cimino (intermediario prima con Riina poi nella notte delle bombe, dirà di aver temuto un con i pm sostenendo di
stesso De Gennaro aveva
siglato? Un mese dopo, 11
con Provenzano), la mattanza di via D’Amelio, colpo di Stato e tirerà in ballo la P2. Non solo averlo saputo da Pino Arl’accantonamento di Ciancimino e le trame di Cosa Nostra voleva ricattare lo Stato: ma i mas- lacchi, consulente della
settembre, lo Sco della PoProvenzano per consegnare Riina ai carabi- simi esponenti dello Stato si sentivano sotto Dia. Ma l’allora capo della
lizia, guidato da Antonio
nieri – Napolitano ha poco da dire. Se non che ricatto di Cosa Nostra. Napolitano ricorda una Dia, Gianni De Gennaro,
Manganelli, fu ancora più
ha smentito: in quei mesi
ricorda bene come, alla Cameesplicito, usando per la
riiniani e provenzaniani rira da lui presieduta, il decreto
prima volta il termine
sultavano una cosa sola,
Scotti-Martelli sul 41-bis, va“trattativa” in una nota inONOREVOLI SCRIVANIE
rato il 6 giugno subito dopo
viata all’Antimafia di Vioanzi si pensava che ProCapaci, si arenò e occorse
lante: “Obiettivo della stravenzano fosse addirittura
l’omicidio di Borsellino pertegia delle bombe sarebbe
morto. Solo chi trattava
ché il Parlamento lo converquello di giungere a una
con Ciancimino, e dunque
tisse in legge il 1° agosto. E
sorta di trattativa con lo
con Provenzano, sapeva
che, stranamente, il neopresiche quest’ultimo era vivo e si era smarcato Stato per la soluzione dei principali problemi
dente dell’Antimafia Luciano
dall’ala stragista. Ma su questi fatti Napolitano che affliggono l’organizzazione: il ‘carcerario’
o un ufficio a palazzo Marini, in via Poli.
e il ‘pentitismo’... Creare panico, intimidire,
Violante, suo compagno di
non ha nulla di utile da riferire.
partito, rivelò anche a lui che
Due belle stanze al quinto piano. E posso
Tutti sapevano. In una nota del Sismi appena destabilizzare, indebolire lo Stato, per creare i
Ciancimino voleva esser conscoperta e depositata dai pm, datata 29 luglio presupposti di una ‘trattativa’, per la cui contestimoniare che il mio piano è pochissimo
vocato e sentito in commis'93 (il giorno dopo le stragi di Milano e Roma), duzione potrebbero essere utilizzati da Cosa
frequentato”. Andrea Vecchio, deputato di
sione (cosa che Violante prosi legge: “Tra il 16 ed il 20 agosto ci sarà un Nostra anche canali istituzionali”. Più chiaro
Scelta Civica, fa outing. E confessa che nei loro
mise di fare, e poi misterioattentato che non sarà portato a monumenti o di così...
uffici, i deputati, non ci vanno mai. Insomma,
samente non fece mai). Per la
a teatri, ma a persone. A livello grosso. Una Lo sbraco. Anche questo allarme, come i preverità, a raccomandare don
strage. Poi si faranno ad uno grosso (inteso in cedenti, viene ignorato sia da Mancino sia da
il trasloco in un “open space”, l'approdo alle
Vito per un incontro a tu per
senso di personalità politica). Spadolini e Na- Violante. E il 5 novembre il ministro Conso
“scrivanie condivise”, non sarebbe una tragetu con Violante, era stato propolitano, uno vale l’altro. Gli autori sono sem- non rinnova il 41-bis in scadenza a 334 mafiosi
dia. Eppure, ieri, l'ennesima riunione per deprio il colonnello Mario Mori,
pre i soliti: quelli là (riferito ai corleonesi?) detenuti, contro il parere negativo della Procidere che fare con i contratti di affitto in scama questo il compagno Luciad’accordo coi grossi (riferito ai politici) e coi cura di Palermo. Ma in ossequio alla solleno non lo disse al compagno
massoni”. Parole che fanno scopa con quelle citazione che gli veniva dal nuovo capo del
denza a dicembre, non ha portato a nessun
Giorgio. Perché il presidente
pronunciate ieri da Napolitano, che fra l’altro Dap fin da giugno. Per negare l’evidente cerisultato. Anzi sì, una certezza c'è: ognuno
dell’Antimafia avvertì proprio
ha ricordato il rafforzamento delle misure di dimento al ricatto mafioso, Conso s’è trincevuole la sua stanza, va bene l'open space ma
il presidente della Camera di
sicurezza sulla sua persona proprio in quei rato dietro il rapporto del Cesis che ipotizzava
solo per un breve periodo. Poco importa se,
quella richiesta di Ciancimigiorni. Perché è così importante, per la pub- matrici diverse da quella di Cosa Nostra per le
no? Napolitano non sa spieblica accusa, la testimonianza del presidente stragi dell’estate. Ma, oltre ai rapporti Dia e
per dare un tetto a tutti i 405 deputati, bigarselo.
sulla matrice corleonese e sulla finalità ricat- Sco, a smentirlo ora c’è anche la parola di Nasognerà pagare ancora un affitto.
Il 1993. Dopo la cattura pilotatoria delle stragi dell’estate '93 come con- politano: i vertici dello Stato sapevano fin da
tata di Riina, Cosa Nostra si
sapevolezza comune e unitaria fin da subito subito che era stata Cosa Nostra per ricattarlo.
rifà sotto a suon di bombe per
presso i massimi vertici dello Stato? 1) Perché, E lo Stato sbracò.
L
Niente open space,
voglio una stanza
H
6
PIAZZE E CONTI
MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014
Spiùvimez:
al Sud
morti che nati,
come nel 1918
NEL MEZZOGIORNO, lo scorso anno, ci sono
stati più morti che nati. Lo rivela il secondo rapporto Svimez sull’economia, che fotografa un Sud
sempre più povero. Con 117 mila nascite nel meridione si è registrato il numero più basso dal 1861.
Si rischia la desertificazione, anche perché si continua a emigrare: lo scorso anno, dal Mezzogiorno, sono partiti in 116 mila. La causa è la povertà:
oltre 1 milione e 14 mila (+ 40% nell’ultimo anno)
le famiglie disagiate. Mentre quelle che vivono in
stato di “deprivazione materiale severa”, dal
2008 al 2012, sono aumentate del 7%. Non riescono a pagare l’affitto, il mutuo o il riscaldamento
e fanno fatica a fare un pasto di carne o pesce ogni
due giorni. La regione più povera è la Calabria, con
un prodotto interno lordo pro capite di 15.989 eu-
Sciopero generale anti-Renzi
La Cgil si gioca l’ultima carta
LA CAMUSSO VUOLE ASPETTARE DICEMBRE: SPERA CHE LA CRISI AFFONDI IL PREMIER
di Giorgio Meletti
L
a sfida è mortale.
Matteo Renzi vuole
la Cgil fuori dal terreno di gioco. Susanna Camusso ha una sola vera speranza, che il rottamatore
imploda a breve, travolto dagli
implacabili numeri della crisi.
In subordine, la Cgil può solo
cercare di guadagnare tempo
per rinviare la resa. Così nella
sede romana di Corso Italia è
già iniziata la discussione organizzativa sullo sciopero generale che Maurizio Landini della
Fiom vuole già a novembre, a
costo di farlo solo con i metalmeccanici, e che Camusso vorrebbe rinviare a dicembre. A
quel punto le partite di Jobs Act
e legge di stabilità saranno già
concluse, ma non importa, se
Renzi non si schianta sarà in
ogni caso una lunga marcia.
LO SCARTO tra le illusioni e la
realtà Camusso l'ha misurato
nelle sole 48 ore che hanno separato la trionfale manifestazione di sabato scorso e lo
schiaffone che si è presa lunedì
pomeriggio a Palazzo Chigi.
Ecco Camusso 1 nel retropalco
di piazza San Giovanni baciare
con vivo affetto ed entusiasmo
l'irredentista pidino Stefano
Fassina che si complimenta:
“Mi pare che ha funzionato”.
Lei replica sorridente: “Possiamo respirare bene, no?”. Sì, una
bella boccata d’ossigeno, la manifestazione contro Renzi è andata meglio delle previsioni degli stessi organizzatori. Ed ecco
Camusso 2 che va all'incontro
con il governo sulla legge di
Stabilità e ne esce con le mascelle serrate. “Lo spirito
dell’incontro si potrebbe riassumere in: mandateci una
mail”.
Altro che email. A stretto giro
Renzi, che ha disertato l'incontro con i sindacati, va in tv e
scandisce: “I sindacati devono
trattare le condizioni dei lavoratori con le imprese, non le
leggi con il governo”. In confronto gli arzigogolati distinguo di Mario Monti sulla fine
della concertazione erano carezze. E infatti quel governo
tecnico non ha pagato dazio, al
ministro Elsa Fornero fu consentita una feroce riforma delle
pensioni (con tanto di esodati)
e il depotenziamento dell'articolo 18 al modico prezzo di uno
scioperetto di tre ore “per lavarsi la coscienza”, come rimarcarono i più critici. Polemica antica. Il 16 ottobre 2010,
sempre a San Giovanni, Maurizio Landini esordì con il suo
primo comizio da segretario
della Fiom chiedendo alla Cgil
lo sciopero generale, e l'allora
leader Guglielmo Epifani lo liquidò ricordandogli che “per i
lavoratori lo sciopero è un
grande sacrificio”. Adesso Camusso è pronta a impugnare
per la prima volta l'arma dello
sciopero generale soprattutto
per dimostrare che Landini
non ha il monopolio della lotta
dura.
MA RENZI stringe il cappio in-
Dall’alto: Susanna Camusso
e Maurizio Landini Ansa, LaPresse
DIFFERENZE
Landini invoca
la prova di forza già
per il mese prossimo,
il segretario prende
tempo. E incassa
l’appoggio della Cantone
il Fatto Quotidiano
torno al collo della Cgil, rivendicando che il popolo di sinistra comunque sta con lui, e
snocciola risultati elettorali e
sondaggi politici che sono l'unica lingua che gli piace parlare. Camusso è costretta ad alzare la posta per tre ragioni.
Glielo chiede l'apparato che l'ha
espressa quattro anni fa, preoccupato per il proprio futuro.
Deve prendere tempo con un
conflitto che giustifichi l'esistenza della sua organizzazione. Deve scrollarsi di dosso lo
ro, meno della metà delle Regioni più ricche. Primato negativo anche per le donne. Solo una su
cinque lavora, contro il 43 per cento delle occupate del centro nord e il 50 per cento della media
europea. Nel Mezzogiorno, il Pil è crollato del 3,5
per cento nel 2013. In aumento la disoccupazione:
dal 2008 al 2013 si sono persi più di mezzo milione di posti di lavoro, 583 mila solo al Sud.
ALFANO “Silvio rischia
di fare lo scendiletto”
erlusconi rischia di finire col fare lo scenB
diletto della Lega e di tutto il repertorio nazionalista e antieuropeista di Salvini”. Così An-
gelino Alfano sull’Huffington Post, commenta l’intervista rilasciata da Berlusconi a Il Foglio. B. ha
risposto alle domande di Giuliano Ferrara, ribadendo che a marzo la destra moderata “tornerà in
campo”. Ma senza fare il nome di Alfano. Il ministro dell’Interno non ha gradito. E commenta:
“Il presidente Berlusconi potrà anche candidarsi
alla guida dei moderati, ma la realtà è che non ha
più né bandiere da issare né qualcosa da proclamare”. Alfano dice di “avere il massimo rispetto per la persona Berlusconi”. Ma semina critiche, anche sull’apertura dell’ex premier alle
unioni tra persone dello stesso sesso: “L’ennesima
bandiera ammainata da Forza Italia rispetto alla
sua storia e al suo popolo”. Per Alfano una destra
senza Ncd è una scelta perdente: “Le elezioni regionali in Calabria ne sono l’esempio: se Berlusconi vuole continuare a perdere non credo che
avrà molta compagnia”.
scetticismo di parte del suo
stesso mondo. Nessuno parla
apertamente, perché questi sono gli usi della casa, ma in molti
sanno che i suoi quattro anni di
leadership sono stati segnati da
tentennamenti e scelte peculiari, come quella di dedicarsi alla
guerra contro la Fiom di Landini e ai solenni accordi con la
Confindustria di Emma Marcegaglia.
Le 48 ore che hanno avvelenato
l'umore di Camusso hanno
provocato effetti a catena. Carla
Cantone, capo dello Spi, il sindacato dei pensionati che con
tre milioni di iscritti vale metà
dell’organizzazione,
sabato
scorso ai piedi del palco predicava il dialogo con Renzi: “Non
andiamo avanti con il muro
contro muro o peggio fare finta
di fare il muro contro muro”.
Cantone è la stessa che nel
2013, all’indomani del trionfo
grillino alle elezioni politiche,
accusava Camusso di immobilismo e intimava al sindacato di
non “rendersi sordo davanti alla richiesta forte di parole e
azioni nuove”. Adesso prende
atto della durezza di Renzi e si
schiera con il segretario generale: “Se il governo non vuole
dialogare io sono per combattere, io sono una combattente”.
MA È UNA LOTTA contro il
tempo. Renzi vuole certificare
l’irrilevanza del sindacato, Camusso deve rinviare il momento in cui la provocazione del
premier diventi nozione comune. È una marcia in salita. Per la
prima volta nella sua storia la
Cgil non è più affiancata a un
grande partito politico, con
una conseguenza terrificante.
Migliaia di quadri sindacali
sparsi per la penisola non vedono più un orizzonte politico
per le proprie ambizioni personali, quelle che hanno portato
finora dal sindacato al Parlamento, a un consiglio regionale, a una poltrona di sindaco.
Così si diffonde anche dentro la
Cgil, spontanea e inarrestabile,
quella voglia di renzismo che
rende tutto più difficile per Camusso.
Twitter@giorgiomeletti
La Ue s’accontenta dei 4,5 miliardi di Padoan
SOSTANZIALE VIA LIBERA DELLA COMMISSIONE ALLA MANOVRA. IL GOVERNO APPROVA IL NUOVO DEF: IL DEFICIT NEL 2015 SCENDE AL 2,6% DEL PIL
di Marco Palombi
opo l’inchino da quattro miliardi e mezzo
D
del governo italiano - certificato ieri con
l’approvazione della Nota di aggiornamento al
Def - anche dalla Commissione europea è arrivato
il sostanziale via libera alla legge di Stabilità italiana: “Non abbiamo rilevato casi di ‘particolarmente grave non ottemperanza’, che ci obbligherebbero a prendere in considerazione un parere
negativo in questa fase del processo”, ha spiegato
il portavoce di Jyrki Katainen (si riferiva anche
alla Francia, che ha però “pagato” meno: 3,6 miliardi). Bruxelles, insomma, si accontenta della
nuova correzione da 0,3 punti al rapporto deficit/Pil formalizzata ieri: si tratta di 4,53 miliardi
aggiuntivi, come anticipato dalla lettera di Pier
Carlo Padoan all’esecutivo Ue, che derivano per
3,3 miliardi dal Fondo che doveva servire a tagliare le tasse, per 500 milioni da mancato cofinanziamento di investimenti Ue e per 753 milioni
da un ampliamento del regime di reverse change
dell’Iva (quest’ultimo deve essere autorizzato
proprio dall’Ue e al momento è coperto da una
clausola di salvaguardia di pari entità che poi non
è altro che un aumento delle accise). Queste norme verranno inserite quanto prima nella legge di
Stabilità con un emendamento del governo.
quasi costò la vita al governo (salvato, tra gli altri,
dall’ex M5S Luis Orellana) il 14 ottobre scorso.
Difficile gli venga concesso, perché quel tipo di
voto serve - stante il nuovo articolo 81 della Costituzione - a rinviare il pareggio di bilancio al
2017 e ormai sul tema le Camere si sono già espresse. Insomma, maggioranza semplice e passaggio
in carrozza per i nuovi numeri del Def. Nonostante il quadro della manovra peggiori (cioè salga la
quota di austerità, altrimenti detto nel documento
“LA MAGGIORE correzione di bilancio rappresenta uno sforzo davvero notevole per il Paese in
un contesto caratterizzato da tre anni consecutivi
di recessione e in presenza di rischi crescenti di
deflazione”, si legge nella Nota di aggiornamento
al Def (Documento di economia e finanza) approvata ieri dal Consiglio dei ministri. Nel testo si spiega in sostanza che il
SFORZO NOTEVOLE
rapporto deficit/Pil nel 2015 arriverà, invece che al 2,9%, al 2,6. La manovra di
Così Pier Carlo Padoan,
Renzi, dunque, diventa ancora più recessiva anche se - sostiene il governo - “gli
in audizione alla Camera,
effetti macroeconomici delle misure agdefinisce la nuova
giuntive non alterano sostanzialmente le
previsioni programmatiche”. Ora quel
correzione dello 0,3%:
testo andrà in Parlamento (si parte dal
Senato) per essere approvato e le oppo“Ma non è stata una resa
sizioni vorrebbero chiedere il voto a magall’Europa, anzi...”
gioranza assoluta che a Palazzo Madama
“sforzo davvero notevole”), il ministro dell’Economia - ieri in audizione davanti alle commissioni
Bilancio del Parlamento - ritiene che tutto sia come prima e la legge di Stabilità consenta di “mantenere un equilibrio non facile tra continuazione
del risanamento delle finanze pubbliche e stimolo
alla crescita”. Un animale macroeconomico, quest’ultimo, ancora mai visto in natura: il risanamento delle finanze pubbliche ci ha portato in recessione e in recessione continua a mantenerci.
LO STESSO PADOAN lo ammette: “È ovvio che
Pier Carlo Padoan Ansa
ora la manovra sia meno espansiva rispetto a prima, ma abbiamo scelto le misure con impatto recessivo secondo noi minore”. In ogni caso, sostiene il ministro, questa “non è affatto una resa alla
Ue: il deficit strutturale doveva scendere dello0,7%, siamo arrivati allo 0,3% proprio perché la
Commissione ha riconosciuto per la prima volta
un’applicazione della flessibilità all’interno delle
regole del Patto”. Di fatto, dice Padoan, Bruxelles
“ha riconosciuto lo stretto rapporto tra manovra e
riforme strutturali”. Nella vita, d’altronde, bisogna accontentarsi.
L’ALTRO FUTURO
il Fatto Quotidiano
T
rani, a processo
le agenzie di rating
S&P e Fitch
LE AGENZIE di rating Standard &
Poor’s e Fitch, e sei tra manager e
analisti sono stati rinviati a giudizio
dal giudice per l'udienza preliminare
Angela Schiralli, con l’accusa di manipolazione pluriaggravata di mercato. Alla base dell’inchiesta del pubblico ministero Michele Ruggiero ci
sono intercettazioni telefoniche e
una mail interna del 13 gennaio 2012
in cui Renato Panichi, responsabile di
S&P per i rapporti con le banche, scrive a Eileen Zhang e Moritz Kraemer
(entrambi imputati), gli analisti che
firmano i rapporti sull’Italia, che “non
è giusto scrivere che c’è un elevato
livello di vulnerabilità ai rischi di finanziamenti esterni. Attualmente è
proprio il contrario, uno dei punti di
forza delle banche italiane è stato
proprio il limitato ricorso/appello ai
finanziamenti esterni o all’ingrosso.
Per favore rimuovi il riferimento alle
banche!”. Gli analisti, secondo l’ac-
ZAPATISTI, MARXISTI E INDIGNADOS
TUTTI DAL PAPA: “AMO I DEBOLI”
IN VATICANO I MOVIMENTI MONDIALI, TERRENO UNA VOLTA ARATO DALLA SINISTRA
di Salvatore
N
Cannavò
el tempo in cui la
sinistra non sa dire nulla di sé, può
capitare di entrare
in Vaticano e trovare centinaia di esponenti dei movimenti sociali di tutto il mondo
parlare sotto la croce di Cristo
citando Marx. Di ascoltare il
presidente boliviano, Evo
Morales, proporre di “uscir
fuori dal capitalismo”. Oppure sentir esaltare “il processo
rivoluzionario” della lotta zapatista e il passamontagna sul
volto del sub-comandante
Marcos. Si possono incontrare campesinos, sindacati, marxisti e anarchici, gli indignados
spagnoli e gli Steelworkers sta-
tunitensi. Oppure gli italiani
del Leoncavallo, la fabbrica
“recuperata” Rimaflow, la cascina, anch’essa recuperata,
Mondeggi che fa parte della
rete Genuino Clandestino. E
ancora, nell’introduzione di
monsignor Marcelo Sánchez
Sorondo, Cancelliere della
Pontificia Accademia delle
Scienze Sociali, si sente parlare degli Indignados oppure
di Occupy Wall Street come
ripresa “del movimento di critica al capitalismo”.
L’INCONTRO MONDIALE dei
movimenti popolari che si
conclude oggi presso il Centro
Salesianum di Roma, ha avuto
ieri il suo momento clou con
l’intervento del Papa e quello,
distinto, di Morales nel pomeriggio. Un evento originale nato dalla volontà dei movimenti
sociali provenienti da tutto il
mondo e dalla scelta del papato che, non a caso, ha voluto
partecipare in prima persona
sia pure per una sessione di
quasi due ore. A rappresentare
la Santa Sede, comunque, sono stati incaricati il cardinale
Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio
Consiglio della Giustizia e della Pace e monsignor Sorondo.
“Se parlo di terra, casa e lavoro
sembra che il Papa sia comunista” ha esordito Francesco
nella sua comunicazione di ieri mattina. “Ma terra, casa e
lavoro sono parte dell dottrina
sociale della Chiesa”. La volontà del Vaticano di offrire
una sponda reale a una realtà
che fino a ieri guardava solo
alla sinistra degli schieramenti
politici, è palese. La gran parte
dei leader sociali presenti, si
pensi al leader dei Sem Terra
brasiliani, Joao Pedro Stedile,
sono stati i promotori dei Social forum di Porto Alegre,
hanno contestato i vertici globali. L’anima sociale dell’incontro, Juan Grabois, è leader
dei Cartoneros argentini che,
oltre a tenere un rapporto
strettissimo con l’allora cardinale di Buenos Aires, Jorge
Bergoglio, hanno animato le
lotte di quel paese accanto ai
piqueteros.
Le immagini nella vecchia, e
IL NUOVO CORSO
Francesco:
“Io comunista? Voglio
dare voce a coloro
che non vengono
ascoltati”. Malumori
nella Chiesa romana
IL PONTEFICE
Papa Francesco. A sinistra,
Evo Morales, il presidente
simbolo boliviano Ansa
MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014
suggestiva, sala nascosta in
fondo alla Città del Vaticano anche il Papa ha ammesso di
non esserci mai stato prima sono emblematiche. C’è l’abito istituzionale, ma indigeno,
di Evo Morales, il cappello degli antenati del messicano filo-zapatista Lopèz Rodriguez.
Ci sono i cubani del centro
protestante Martin Luther
King che perorano la causa
dell’autogestione e del recupero di economie passivizzate. Il
7
cusa, avrebbero rilanciato, dal 10 al
18 gennaio 2012, annunci preventivi
di
imminente
declassamento
dell’Italia, diventati ufficiali solo il 27
gennaio 2012. Divulgando queste informazioni riservate, avrebbero provocato un’alterazione del prezzo dei
titoli di Stato.
ILVA Via i sigilli ai soldi
dei Riva, per l’ambiente
soldi per l’Aia (Autorizzazione integrata ambienI
tale) dell’Ilva ci sono e si potrà procedere al risanamento del parco minerali, montagne di polveri
che nei giorni di vento si disperdono sui quartieri
della città. Il gip di Milano Fabrizio D’Arcangelo ha
accolto la richiesta di Piero Gnudi, commissario straordinario
dello stabilimento, sbloccando
un miliardo e 200 milioni di euro. La somma era stata sequestrata alla famiglia Riva, proprietaria
dell’Ilva, nel paradiso fiscale delle
isole Jersey, cifra poi rientrata in
Italia con lo scudo fiscale. Nella
vicenda è intervenuto il co-portavoce nazionale dei
Verdi Angelo Bonelli, che ha depositato un esposto
alla Procura di Taranto. Secondo Bonelli l’Aia non è
applicata e il commissario Gnudi ha violato la legge
perché il piano industriale doveva essere presentato
30 giorni dopo la pubblicazione piano ambientale
(messo a punto dall’ex sub-commissario Ronchi prima dell’estate). L’Unione europea aveva avvertito
che “all’Ilva persistono violazioni delle direttive in
materia di tutela ambientale”. “Quanto scritto
dall’Ue – dichiara Bonelli – è a nostro avviso una
notizia di reato. A Taranto si rischia la catastrofe”.
dibattito è libero. Le critiche
alla Chiesa naturali. L’israeliano Michael Warshawski, sostenitore della causa palestinese, chiede a Monsignor Czerny
del Pontificio Consiglio della
Giustizia e Pace se non pensa
che la Chiesa debba scusarsi
per il sostegno al colonialismo.
Altri, sostengono che l’etica è
importante ma non basta,
“serve l’azione dei popoli”.
LA PAROLA D’ORDINE scelta
dal Vaticano è “camminare insieme”. È quella su cui insiste
Francesco nel suo discorso in
cui premette che non c’è “nessuna ideologia” in questo
evento ma solo la voglia di dare voce a coloro che in genere
non vengono ascoltati. Come
immagine il Papa indica quella
del “poliedro, figura geometrica con molte facce distinte”.
Un modo per valorizzare uomini e donne, laici e cristiani,
marxisti e non, tutti sono ben-
venuti. Il messaggio finale ricorda altri slogan: “Sigan con su
lucha”, andate avanti con la vostra lotta.
La giornata non mancherà di
provocare discussioni interne
alla Chiesa. Ne corso dell’incontro il Pontefice si è sentito
chiedere la riabilitazione della
Teologia della Liberazione e i
nomi di Frei Betto e Leonard
Boff sono risuonati a voce alta.
Oggi si chiude con il documento conclusivo e con la proposta, impegnativa, di costituire un “consiglio del movimento popolare”. “Le varie
esperienze possono confluire
in modo più coordinato” ha
detto lo stesso Francesco.
L’ipotesi è quella di un incontro all’anno. “Facciamo un sinodo socialista” aveva proposto qualcuno il primo giorno.
La risposta degli organizzatori
non è stata scontata: “Non siate troppo clericali, chiamatelo
incontro, non sinodo”.
Quando l’autogestione in fabbrica è lavoro
RENZI DICE: “TENER APERTE LE AZIENDE, NON OCCUPARLE”. LA RIMAFLOW, DESTINATA A CHIUDERE, ORA È GESTITA DAGLI OPERAI
l presidente boliviano Evo Morales firma
I
per la Rimaflow, la fabbrica recuperata di
Trezzano sul Naviglio che sta lottando per tenere aperta la propria scommessa. La solidarietà è convinta: “In Bolivia stiamo puntando
molto sui processi di autogestione e di protagonismo diretto dei lavoratori” spiega il presidente a un emozionato Gigi Malabarba venuto in Vaticano a rappresentare le ragioni
della fabbrica recuperata. Una sfida per la sopravvivenza di alcune decine di lavoratori - ma
prima della chiusura a Trezzano lavoravano in
330 - e una sfida ad affermazioni come quella
ribadita ancora ieri da Matteo Renzi: “Vogliamo tenere aperte le fabbriche non occuparle”.
Alla Rimaflow, invece, l’unico
modo per mantenere il proprio posto di lavoro è stato
proprio quello di occuparlo.
Un’esperienza avviata nel febbraio 2013 dopo che la vecchia
Maflow, componentistica per
automobili, chiuse tutto lasciando a casa centinaia di
persone.
all’incontro abbiamo pensato all’esperienza dei
Rimaflow oggi è all’Incontro dei movimenti Social Forum. Qui abbiamo trovato molti di
popolari insieme alla cascina Mondeggi, an- quelli a cui la nostra iniziativa si è ispirata,
ch’essa recuperata, sia pure nel settore agricolo, come i Sem Terra, e la presenza di realtà come
e al più celebre Leoncavallo. “Al centro ci sia- Genuino Clandestino dimostra l’utilità di spazi
mo divisi, spiega Elena Hileg Iannuzzi, ma alla come questi per chi sta sperimentando processi
fine abbiamo deciso di accettare l’invito. Stare economici alternativi al capitalismo”.
qui con tutte queste realtà è solo positivo”.
Malabarba, già operaio Alfa Romeo, un passato IL RAPPORTO con Stedile è quello più stretto.
anche da senatore del Prc, oggi dedicato a tem- Lo storico leader di uno dei movimenti di maspo pieno alla vita della fabbrisa più grandi al mondo, con 10
ca occupata la spiega così:
milioni di aderenti, sarà sabato
“Quando Joao Pedro Stedile
1 novembre alla Rimaflow per
ANTI-CRISI
(il leader dei Sem Terra, ndr.)
un dibattito sulla sovranità alici ha proposto di partecipare
mentare. L’iniziativa è orgaIl caso di Trezzano fa
nizzata per dare davvero il via
alla campagna con cui la fabproseliti: nascono in
brica sta cercando di acquistatutt’Italia casi di realtà re un grande impianto per la
produzione e distribuzione di
prese in mano
aria compressa, “fondamentale per poter alimentare tutte le
dai dipendenti per la
macchine necessarie e le at“produzione dal basso” trezzature da officina di riuso”.
Servono 15 mila euro e il progetto è supportato
dalla piattaforma “Produzioni dal basso”.
Nel frattempo la fabbrica è diventata un punto
di riferimento per Trezzano - al suo interno c’è
una Cittadella dell’Altra economia - ma anche
per altri lavoratori. Dopo Rimaflow le fabbriche
in via di occupazione, e recupero, sono aumentate. Poche settimana fa è partito il progetto del
Birrificio Messina, a Roma le ex officine Oz si
battono per lo stesso obiettivo. A Orvieto, gli
operai della Electrolysis, dopo aver letto della
Rimaflow, vogliono rilevare lo stabilimento in
crisi. Alla Rimaflow sono stati girati documentari internazionali, si raduna parte del No Expo
milanese e si è costruito un punto di riferimento per la rete Genuino Clandestino che racchiude decine di produzioni artigianali fuori
dai circuiti ufficiali. “Per sostenerci abbiamo
anche prodotti alimentari come il Ri-moncello
e la Ri-passata di pomodoro”. Da ora, però,
inizia la sfida industriale. Con quindicimila euro ce la possono fare. Fare da soli è conveniente.
Sal. Can.
8
STRANO MA VERO
MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014
Cslitta
onsulta, il voto
ancora
Grillo: “Fate i nomi”
Bocciati e contenti
di Carlo Tecce
P
iù o meno un mese
fa, Antonio Catricalà era il candidato di
Forza Italia per la
Consulta. Oggi il calabrese di
Catanzaro, che ha ricoperto cariche un po’ ovunque, è un ex
giudice del Consiglio di Stato.
Ha lasciato la magistratura,
dov’era rientrato dopo aver
scalato e riscalato il potere: sottosegretario a Palazzo Chigi
con Mario Monti; viceministro
allo Sviluppo economico con
Enrico Letta; segretario generale sempre a Palazzo Chigi con
Silvio Berlusconi; capo di gabinetto nei governi di Massimo
D’Alema e Giuliano Amato;
presidente dell’Autorità Antitrust.
Quanti anni, Catricalà?
IL VOTO è rinviato a “data da destinarsi” e lo stallo
del Parlamento nella scelta dei membri della Consulta e del Csm non accenna a smuoversi: la seduta
comune era stata convocata per domani alle 13,
ma il pressing dei partiti ha convinto la presidente
Laura Boldrini a cancellare l’appuntamento dal calendario di Montecitorio. Inutile perdere tempo
con l’ennesima votazione, l’accordo sui nomi non
c’è. Il Pd di Matteo Renzi la settimana scorsa aveva
aperto al Movimento Cinque Stelle, dopo che i tentativi di intesa con Forza Italia (per l’elezione serve
la maggioranza dei due terzi) sono falliti per venti
volte. Ma nemmeno con i grillini, pare che la situazione si sia smossa. Si era parlato di un incontro
da mettere in agenda, ma ieri Beppe Grillo ha fatto
sapere tramite blog che tutto è in alto mare: ci
il Fatto Quotidiano
sarebbe stata una “chiamata di Renzi a un nostro
parlamentare per individuare i nomi in segreto e
scambiarsi le poltrone - sostiene il leader M5S - Se
il Pd vuole condivisione non tenti la via della trattativa segreta. Renzi faccia i suoi nomi pubblicamente. Chiunque abbia i requisiti per essere eletto
in ruoli di garanzia così importanti può essere candidabile per il M5S se valido e indipendente”.
La riflessione di Catricalà
“Io e Violante alla Corte
una brutta coppia”
Ne ho 62, la metà li ho trascorsi
da servitore di questa nazione.
Il periodo più difficile fu durante il processo Moro, ero avvocato dello Stato, parte civile.
Il più bello fu il primo all’Antitrust.
E perché adesso si è dimesso?
Mi faccio una seconda vita, mi
associo allo studio legale Lipani&Partners in piazza Cavour,
zona Cassazione. Sarò il maestro di una scuola di avvocati.
E non rimpiange l’ultimo tassello, la nomina alla Consulta?
Io non ci pensavo mica, non per
il presente. Sono giovane.
E cosa pensava?
Ritenevo di poter chiudere il
mio lavoro come presidente del
Consiglio di Stato. Non capiterà più, ormai.
MicroMega squirting
della porno-filosofa
C
apita che Diego Fusaro – “filosofo e saggista italiano, risultato non idoneo all’insegnamento
universitario” informa Wikipedia – scriva della pornostar Valentina Nappi sulla rivista on line “L’intellettuale dissidente”, specificando di averne ignorato
finanche il nome fino a poco tempo fa. Sì certo, vabbè. L’intento di Fusaro è quello di distruggere le ambizioni filosofiche della Nappi, perché “anche un verme può essere oggetto di attenzione filosofica, diceva Aristotele”. Tutto ciò sarebbe rimasto nella clandestinità più assoluta se la porno-filosofa non fosse comparsa su MicroMega con l’articolo
“Squirtare in faccia a Diego Fusaro”.
Ps Lo “squirting” è la fuoriuscita
di un fluido dall’uretra
in reazione all'orgasmo
Neppure la Consulta è capitata,
eppure Forza Italia l’aveva proposta.
I vertici di Forza Italia mi dissero che c’era un accordo su di
me, però mancava il consenso.
Ho scoperto che in molti non
mi volevano, ripetevano: questo Catricalà non è dei nostri.
Almeno è stato chiarito che sono un tecnico, non un politico.
E perché si è ritirato, perché
non ha insistito? Poteva prendere esempio da Luciano Violante.
Io ho preferito evitare lo stillicidio. Troppo fumo nero sporca le camicie bianche. La coppia
era male assortita, calata
dall’alto e non condivisa dal
basso. Per raggiungere un traguardo in questo Parlamento,
occorre coinvolgere i Cinque
Stelle e la Lega Nord. Non bastano i democratici e i forzisti.
Per Matteo Renzi andava bene
Catricalà, ma lo stesso Matteo
Renzi non sopporta i burocrati
come Catricalà.
In parte, Renzi ha ragione. Ci
sono prassi, vincoli e normette
che possono essere superate.
Ma è sbagliato far credere ai cittadini che la burocrazia sia da
rottamare, ci sono molte eccellenze. Quando imputano alla
Ragioneria di Stato di ostacolare il governo commettono un
grave errore: la Ragioneria dipende dal Tesoro e risponde al
ministro.
Come rimediare?
Non è facile. Quando Monti era
presidente del Consiglio e anche reggente del Tesoro, per testimonianza diretta, posso rivelarvi che il rapporto era perfetto, funzionale. Al Tesoro
fanno riferimento al ministro,
non al premier: non lo fanno
per cattiveria, ma perché i meccanismi sono questi.
POTERE
EMINENZE
GRIGIE
Non c’è mai stata
una stagione mia
e di Gianni Letta,
dunque quello che non
è iniziato vi assicuro
che non può finire. Io
e lui amici per sempre
Come spiega la diaspora o la
scomparsa dei ministri del governo di Monti?
Non mi ha stupito. Era il nostro
destino, la missione era limitata. Ci hanno chiamato per scelte non certo popolari: tassare le
case o rinviare le pensioni. La
politica non se la sentiva, né
quella di maggioranza né quella di opposizione.
Come giudica il Corrado Passera politico?
Può avere un futuro. È stato un
banchiere, questo non lo aiuta.
Per il momento, non vedo le
masse che gli girano intorno,
piuttosto una parte elitaria. Gli
auguro buona fortuna.
Ora non ha imposizioni di mandato, lo ammetta: Catricalà è un
fidato di Silvio Berlusconi.
No, ci mancherebbe. Io sono un
tecnico, sennò i senatori di Forza Italia mi avrebbero votato per
la Consulta, o no?
Non la indicò Berlusconi
nell’esecutivo di Enrico Letta
come viceministro con delega
alle Telecomunicazioni?
No, perché il mio compito era
concentrato sugli operatori telefonici, non c’era nulla da fare
su Mediaset. Io dovevo mettere
Antonio
Catricalà, ex
sottosegretario a Palazzo
Chigi
LaPresse
al sicuro la rete di Telecom, la
banda larga. Avevo un accordo
con il presidente Franco Bernabè, già si parlava di nuove società, di numeri, di soldi. Poi
Bernabè è uscito da Telecom e il
progetto è saltato.
La stagione dei Gianni Letta e
dei Catricalà è finita?
Non credo ci sia stata una nostra stagione, e dunque quello
che non è iniziato vi assicuro
che non può finire. Siamo servitori dello Stato, e lo restiamo
per sempre.
Non negherà pure la sua amicizia con Letta?
Questo mai.
UNIONI OMOSESSUALI
M5S, il sondaggio
cambia in corsa
F
unziona così. Sulla piattaforma M5S compare
un sondaggio utile a testare l'umore della base
(hanno vinto i sì). Tema di attualità: unioni omosessuali, sì o no? Ma c'è una postilla, già decisiva,
che prevede “l’esclusione della possibilità di adottare figli estranei alla coppia”. O meglio: c’era. Perché a un certo punto, a metà pomeriggio, quella
parte sul no alle adozioni scompare. Parapiglia, denuncia dei deputati, fastidio
per il cambio in corsa. Poi la
precisazione dell’ufficio stampa: al posto della domanda c’è
“un link a un post esplicativo”.
Leggere attentamente le avvertenze, soprattutto se scritte piccole piccole.
Vecchio e nuovo Pd, il boom del Terzo Segreto
LANCIATO A “PIAZZA PULITA” IL VIDEO SATIRICO SULL’APPUNTAMENTO GALANTE VETERO E RENZIANO ORA SPOPOLA IN RETE
di Luca De Carolis
l corteggiatore stile vecchio
I
Pd è insicuro, indossa una
polo nera stinta, mette in tavola
per la bella ospite un Lambrusco aperto da giorni. Il suo alter
ego renziano è spavaldo nella
sua camicia bianca, versa il vino
nel decanter, celebra la sua start
up in un diluvio di parole in inglese. E la ragazza gli cederà (pagando con una delusione). Alla
faccia delle dotte analisi, la distanza tra bersaniani rosso antico e devoti del divin Matteo la
disegna alla perfezione Sliding
doors, il nuovo video del Terzo
segreto di satira. Tradotto dalla
sigla sociale, cinque ragazzi
lombardi tra i 26 e i 31 anni, autori, registi e montatori. Studiavano tutti alle Scuole civiche di
cinema e televisione di Milano,
ora fanno ridere mezza Italia
con i loro filmati su YouTube che
raccontano in cinque minuti
volti e tic dei partiti.
IL MIGLIORE “fondo” politico
possibile: spassoso eppure fedele, fino nei dettagli. Perché la politica non può che far ridere.
“Abbiamo scherzato su tutti, ma
c’è anche chi l’ha presa male”
racconta Pietro Belfiore, uno
della cinquina (con lui Davide
Rossi, Davide Bonacina, Andrea Fadenti e Andrea Mazzarella). Per esempio? “Si sono arrabbiati in diversi per Qualcuno
vota 5Stelle. Diciamo che gli elettori del Movimento si sono divisi a metà. ‘Touchè, mi ritrovo in
molti personaggi’ hanno ammesso alcuni. Altri ci hanno insultato: ‘Vi paga il Pd’, ‘impiccatevi”. Peccato per tanta bile,
perché il video merita risate senza cattivi pensieri. “Il Movimento è come Vasco Rossi, il problema sono i fan”, motteggia un
personaggio. Segue trafila di ragioni per il voto ai Cinque Stelle:
da chi non si fida delle promozioni (“Lo so che Madrid costa
meno, ma non volo dove dice il
sistema”) a quelli che al super-
TIPI DEMOCRATICI
Il corteggiatore
bersaniano è insicuro.
Il suo alter ego 2.0
è spavaldo in camicia
bianca, ma alla fine
sarà una delusione
mercato prendono “solo i prodotti in fondo allo scaffale”. Fino a chi sceglie Grillo “perché la
colpa è sempre loro”. Ma non finisce qui: “Hanno protestato
anche per I berlusconiani, dove
raccontavamo un gruppo che va
a disintossicarsi dal voto a B. ‘È
una settimana che non vedo Studio Aperto’ celebra uno dei rico-
verati”. E i politici? “Non ci ha
mai chiamato nessuno. Una
volta Vendola ci ha invitato in
diretta tv a una sua iniziativa a
Milano. Anche Cuperlo ha sorriso davanti un video che lo riguardava: ma era un riso amaro...”. Dove volete arrivare? “I
primi video costavano 300 euro,
lavoravamo tutti gratis, com-
presi gli attori. Oggi collaboriamo con Piazza Pulita, i nostri video vanno benissimo. Ma vorremmo osare di più, con un film
o una serie televisiva”.
Il video è online anche su ilfattoquotidiano.it
rata in teatro con la compagna e
amici per andare allo stadio,
“ma senza dirlo”. Allora a cena
provoca una lite furibonda tra le
coppie, ammiccando di piacere.
E a fine serata se ne va alla partita. Belfiore conclude: “È stato
un lavoro impegnativo. Stiamo
cercando di far capire ai vari
committenti che i nostri video
costano soldi e impegno”. Perché la satira è una cosa seria.
IL PRIMO esperimento di più
ampio respiro è stato ll dalemiano, nove minuti quasi teatrali. Il
protagonista, seguace del lider
maximo, vuole schivare una se-
Twitter @lucadecarolis
UN GIORNO IN ITALIA
il Fatto Quotidiano
Fsi aida
Campidoglio,
dimette
capogruppo Dem
IL PREZZO DI UN SONDAGGIO. Si
è dimesso ieri il capogruppo del Pd
in Campidoglio Francesco D’Ausilio, dopo le polemiche e i veleni seguiti alla pubblicazione su un quotidiano di un questionario commissionato dal gruppo capitolino che
bocciava l’amministrazione comu-
nale, a partire dal sindaco Ignazio
Marino, protagonista di un vero e
proprio crollo nei consensi. “Questo gesto ha lo scopo di mettere
tutti di fronte alle proprie responsabilità - spiega - e aprire una fase
nuova: tanti romani sono insoddisfatti di questa Giunta e noi che ne
Persone della cosca a colloquio all’uscita di
un bar nell’hinterland milanese. Secondo i pm la ‘ndrangheta, oltre a
controllare il territorio, agisce con una “violenza inaudita”
AFFARI IMMOBILIARI
Nella foto scattata dal Ros di Milano
l’ex consigliere del Pd a colloquio con i boss della cosca Galati per
discutere dell’area industriale acquistata nel comune di Rho
LAVORI EXPO, POLITICI E AFFARI
LOMBARDIA TERRA DI ’NDRINE
TREDICI ARRESTI. IN CARCERE ANCHE EX CONSIGLIERE COMUNALE DEL PD DI RHO
MARIANO COMENSE, LE RICHIESTE DI VOTI AL BOSS AI DOMICILIARI IN VILLA
di Davide Milosa
P
Milano
olitica, affari, controllo del territorio.
Storia di ’ndrangheta in Lombardia. Ieri
tredici arresti. In carcere finisce gente legata al clan Mancuso e anche vecchie conoscenze dell’antimafia. Persone
che, scontata la galera, tornano
a fare l’unica cosa che gli viene
bene: il mafioso. Ne è consapevole il procuratore aggiunto
Ilda Boccassini che ieri ha
commentato: “Dal giro è difficile staccarsi. Se ne esce solo da
morti o collaborando con lo
Stato”.
L’inchiesta Quadrifoglio condotta dal Ros, agli ordini del
colonnello Giovanni Sozzo, fotografa una mafia che da un lato allarga il “suo capitale sociale” mettendo a libro paga poliziotti e funzionari dell’Agenzia delle entrate, e dall’altro
non sente più nemmeno il bisogno di mimetizzarsi. In galera finisce anche un ex consigliere comunale del Pd di Rho
imparentato con alcuni boss e
accusato di aver addomesticato il Pgt (ex piano regolatore,
ndr) locale favorendo la cosca
Galati. Non manca Expo con
un’impresa riconducibile al
clan che ha lavorato in subappalto alla Tangenziale esterna
di Milano. Una presunta impresa mafiosa con certificato
antimafia. E questo dopo che la
Regione aveva messo a vigilare
sulle infiltrazione il colonnello
Mario Mori e Giuseppe De
Donno.
IN VISITA A CASA DEL BOSS
Villa bunker in via Al Pollirolo
5 a Mariano Comense. Vigilia
di Natale del 2013. Due uomini
stanno seduti in un ampio salotto. Uno estrae dei fogli con
annotati nomi e cifre. Chi sono
questi due?
Il primo, il più anziano, è Salvatore Muscatello boss della
’ndrangheta, capo indiscusso e
rispettato, protagonista di tante
inchieste dell’antimafia milanese. L’ultima è l’operazione
Infinito. Per quella Muscatello
è stato condannato e subito
I MAGISTRATI
Per Ilda Boccassini
dopo l’operazione
“Infinito” nulla
è cambiato. “Dalla
mafia – ha detto – si
esce solo da morti”
messo ai domiciliari. In realtà
dalla villa il padrino continua a
comandare.
In questo caso parla con Giuseppe Antonio Briglia, calabrese di Grotteria, precedenti per
mafia e un’antica affiliazione
nella locale di Cermante (altro
Comune del Comasco) con
l’incarico di curare l’invio del
denaro ai boss detenuti. “Qua –
dice Briglia – ci sono tutti (...)
quelli che hanno dato di più (...)
poi ve li controllate (...) chi ha
pagato (...) chi non ha pagato
(...) tutte cose”.
Muscatello, che deve scontare
17 anni, scuote il capo. “Sto pa-
9
siamo i principali azionisti abbiamo
l’obbligo di lavorare affinché ci sia la
capacità dell’amministrazione di rispondere ai problemi della città. Il
rapporto con il sindaco è molto difficoltoso, e spero che il mio addio
possa rimettere in moto alcuni processi”.
“LA MAFIA SE VEDE CHE UNA COSA FUNZIONA I SOLDI CE LI METTE, POI MAGARI FA ALTRE COSE, PER CARITÀ!”
SUL TERRITORIO
MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014
gando per tutti, se tu vuoi fare
lo ’ndranghetista, non è che tu
te la canti e io sono il capo!”.
DENARO E PROTEZIONE
Di nuovo nella villa. Qui i carabinieri hanno distribuito microspie ovunque. Ogni parola
resta registrata. Ogni nome annotato. Muscatello riceve tutti.
E in molti casi, oltre a consigli,
regala denaro. Come nel caso
della moglie del boss Fortunato
Valle, oggi in carcere. “Ma non
voglio niente – dice – voglio che
state bene”. Risponde il padrino: “Ma lo voglio io”.
Dal capo si va anche per ottenere protezione. Meglio lui che
le forze dell’ordine. Succede
per il titolare di un ristorante
della zona che si è ritrovato la
serranda sforacchiata da diversi colpi di pistola. “Voi – dice –
siete una persona per bene e io
sono venuto a trovarvi in amicizia, mandatemi qualche ambasciata, voi potete fare qualcosa”. E poi ci sono i mafiosi di
rango che a Mariano Comense
si fermano per omaggiare il
vecchio Salvatore Muscatello.
BRUTI-ROBLEDO “Clima
deteriorato in Procura”
l Consiglio giudiziario di Milano (l’articolazione
I
locale del Csm) è intervenuto ieri sul conflitto tra il
procuratore aggiunto Alfredo Robledo e il suo capo
Edmondo Bruti Liberati. Il clima in procura è “fortemente deteriorato e ha bisogno di risposte urgenti”,
che “siano in grado di superare il diffuso disagio di
magistrati, avvocati, organi investigativi e cittadini”.
Lo scontro ha creato “una situazione conflittuale ormai insanabile e insostenibile”. Su tre punti del dissidio, il consiglio giudiziario ha discusso e ha poi votato, schierandosi a maggioranza (12 a 4) a favore di
Robledo. Ha bocciato la sua esclusione dagli interrogatori su Expo e anche il provvedimento con cui
Bruti gli ha tolto la guida del dipartimento anti-corruzione: è un “esautoramento completo”, un atto organizzativo “utilizzato per risolvere in modo improprio un conflitto”. Spetterà ora al Csm prendere decisioni. Su un punto in discussione, quello della nomina da parte di Robledo di custodi giudiziari – pagati circa 1 milione di euro – per le somme sequestrate
ad alcune banche durante un’indagine, il consiglio ha
deciso di trasmettere gli atti al procuratore generale
della Cassazione e a quello della Corte dei conti, per le
opportune verifiche.
LA QUESTUA ELETTORALE
Dal boss ci si va per tutto. Lui è
lo Stato. Quello che ti dà un lavoro e se vuole ti fa eleggere. Ed
ecco allora che al 5 di via Al Pollirolo bussa Emilio Pizzinga, ex
consigliere comunale in lista
per le elezioni dello scorso
maggio a Mariano Comense,
non coinvolto negli arresti di
ieri. Dice al boss: “Vedete se mi
trovate preferenza! Se no, non
si fa più niente dopo!”. E ancora: “A me hanno dato in mano il partito”. Il boss chiede:
“Quale partito?”. Pizzinga risponde: “Forza Italia!”.
“IN COMUNE CI PENSO IO”
La politica si aiuta perché la politica serve. Come nel caso di
Luigi Calogero Addisi, l’ex
consigliere Pd arrestato ieri,
che a Rho fiuta l’affare di un terreno, dopodiché, oltre a investire soldi suoi, mette in contatto l’imprenditore lombardo
con Antonio Galati, il boss locale che sborsa 300mila euro.
Addisi garantisce: “In Comune
ci penso io”. E così sarà. Il Pgt
approva la variante, Addisi ad-
dirittura vota e durante un consiglio comunale, mascherando
il suo interesse immobiliare, dice: “Con questo Pgt abbiamo
cercato di ridisegnare la città,
preservandola dalle brutture e
dagli scempi maligni”. Per il
giudice “Addisi mente” perché
“sa che l’area è stata comprata
con denaro della ’ndrangheta”.
“QUESTO TI INCAPRETTA!”
Non solo. Lui sa chi è Antonio
Galati. E lo spiega: “Conoscete
una faccia di Antonio che non è
quella vera (…) ti incapretta! tu
credimi, ti incapretta e prima di
farti fuori si diverte”. Ecco la
faccia della ’ndrangheta. Quella
che, attraverso una società con
certificato antimafia, si è infiltrata nei lavori collaterali
all’Expo e quella che decide di
bruciare l’auto di un vigile che
ha denunciato un affiliato.
Proiettili in busta arrivano al
direttore del carcere di Monza,
rea, a detta di Galati, di aver
bloccato il suo trasferimento in
Calabria. Benvenuti in Lombardia, ultima provincia di
’ndrangheta.
Milano 2015, arriva Artusi (non il gastronomo)
A COORDINARE I 7 MILA EVENTI SARÀ IL CIELLINO FEDELISSIMO DI FORMIGONI, GIÀ ARRESTATO NEL 1983 PER LO SCANDALO ZAMPINI
di Gianni Barbacetto
ciellino fino all’affarismo ligrestiano. È Claudio
Milano
N
ei sei mesi di Expo (1 maggio-31 ottobre
2015) a Milano ci saranno 7 mila iniziative
diffuse: mostre, concerti, spettacoli, incontri,
convegni, presentazioni, avvenimenti. È “Expo
in città”, targato Comune di Milano e Camera di
commercio. Chi conosce il “Fuorisalone” sa che
nella settimana del Salone del mobile Milano si
trasforma, diventa una città piena di vita e di
iniziative. Con il progetto di “Expo in città”, il
“Fuorisalone” durerà sei mesi. A Palazzo Marino, gli uomini del sindaco Giuliano Pisapia sono giustamente fieri del lavoro fatto. Peccato
solo aver dato retta alla Camera di commercio,
che ha imposto, al vertice di “Expo in città”, un
personaggio che più riciclato non si può, un politico che ha attraversato tutti i passati possibili,
dalla destra Dc allo scandalo Zampini, dalla segreteria democristiana sotto la Mole a una cella
del carcere di Torino, e poi dal formigonismo
Artusi, coordinatore di “Expo in città”.
Torinese, laurea in Ingegneria, 62 anni, ha solo
il cognome in comune con il grande gastronomo. Negli anni Ottanta è coinvolto nel primo
grande scandalo che anticipa Tangentopoli:
quello delle mazzette a Torino che nel 1983
coinvolgono socialisti, comunisti, democristiani, liberali. Nel marzo di quell’anno, sotto gli
occhi inflessibili del sindaco Diego Novelli che si
rifiuta di coprire le illegalità, finiscono in carcere Adriano Zampini, indicato come il regista
della corruzione, l’ex vicesindaco socialista Enzo Biffi Gentili, il comunista Giancarlo Quagliotti e anche l’ex segretario cittadino della Dc: è
Claudio Artusi. In appello, nel 1988, Artusi viene condannato a 1 anno. Poi scompare dalla
scena politica piemontese per riapparire a Milano, nel gruppo dei fedelissimi di Roberto Formigoni targati Cl. Lavora in Webco-Westinghouse, in Ansaldo Signal, in Infrastrutture
Lombarde. Diventa direttore generale
dell’Anas, da cui dà le dimisatletico salta il tavolo e passa
sioni nel giugno 2006. Pronto
dalla parte del venditore a
per essere issato da Formigoni
quella dei compratori: il 15
maggio 2009 viene nominato
ai vertici di Sviluppo Sistema
Fiera e poi di Fiera Milano spa,
amministratore delegato di CityLife. Dalla nuova postazione
come amministratore delegato. Sono gli anni in cui la Fiera,
assiste alla edificazione dei pasotto il controllo ciellino, prolazzoni che sembrano navi e
dei tre grattacieli griffati delle
getta la dismissione del “polo
interno”, in città, e trasmigra
archistar internazionali Zaha
verso il “polo esterno” a
Hadid, Arata Isozaki e Daniel
Rho-Pero. Un’operazione imClaudio Artusi LaPresse Libeskind.
mobiliare che è il primo atto
Peccato però che nel frattempo
dell’operazione Expo. Che cosa succede? La la crisi abbia zavorrato l’operazione. Il mattone
Fondazione Fiera smantella i suoi padiglioni non tira più. Ligresti finisce fallito e arrestato.
tradizionali e rivende l’area alla cordata Citylife, Nel giugno 2013, Generali e Allianz sono cocon dentro Generali e capofila Salvatore Ligre- strette a prendere in mano direttamente il tisti. Incassa 520 milioni di euro, con i quali fi- mone di CityLife. Artusi si dimette. Niente paunanzia il nuovo polo fieristico di Rho-Pero e, già ra: non resta disoccupato a lungo. La Camera di
che c’è, compra anche in eccesso: le aree che poi commercio di Carlo Sangalli ha pronta per lui la
verranno buone per farci su l’Expo 2015.
nuova poltrona, quella da cui manovrare il
Fatta l’operazione CityLife, Artusi con gesto “FuoriExpo”. Si salvi chi può.
10
N
apoli, blitz
anti-prostituzione
Fermato un 16enne
di Antonio Massari
I
COSE LORO
MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014
inviato a Barletta
l clima è quello della
guerriglia e dello stallo,
ma il primo cittadino
Pasquale Cascella non
molla la sua trincea. L’uomo
ne ha viste tante: classe 1952,
ex notista politico de L’Unità,
ex portavoce di Massimo
D’Alema a Palazzo Chigi, di
Luciano Violante alla Camera,
di Giorgio Napolitano al Quirinale. Ma quel che sta accadendo nella natia Barletta, forse, non l’aveva visto mai.
A parte approvare la legge di
bilancio, ultimamente, non gli
riesce di concludere quasi nulla.
NEANCHE IL SIMBOLICO ge-
sto di istituire il registro per le
coppie di fatto. O approvare il
regolamento sullo Ius soli.
Niente. La tensione è evidente
e il Pd è in preda a una crisi di
nervi: prendiamo ad esempio
il consigliere (comunale e regionale) Pd Filippo Caracciolo
che, alla semplice richiesta di
una dichiarazione, sull’eventuale registro delle unioni di
fatto, ci risponde così: “Non
dico nulla, venga di persona,
perché al telefono io non parlo
neanche con Gesù Cristo: voglio prima guardarla negli occhi”. Va bene. C’è parecchia
tensione in Comune – obiettiamo all’assessora Anna Rizzi
Francabandiera– ed ecco la risposta: “Scusi, sto partendo, ho
un volo a momenti, arrivederci”.
Ma insomma – chiediamo
all’assessore al personale Antonio Rizzi – che accade in
municipio? “Sono in un momento delicato, ho dei problemi familiari, se non le dispiace
ci sentiamo nei prossimi giorni”. Il più gentile di tutti è Gaetano Porcelli, segretario generale del Comune, rientrato oggi dopo i cinque giorni di prognosi refertati dal pronto soccorso: venerdì scorso, gli infermieri del 118, sono passati a
prenderlo direttamente dal
suo ufficio, in municipio, dopo
il diverbio con il sindaco Cascella, finito anch’egli in am-
A SOLI 16 ANNI si prostituisce nei pressi di Piazza Garibaldi, a Napoli. A scoprirlo gli agenti
dell’Unità operativa tutela minori ed emergenze
sociali della Polizia municipale di Napoli. Nel corso di un’attività di appostamento, gli agenti hanno individuato il ragazzo minorenne intento a
prostituirsi nelle stradine adiacenti al Corso Garibaldi, in prossimità di Porta Capuana. Il sedi-
cenne, italiano, si accompagnava a un altro ragazzo italiano di 18 anni. Il minore ha spiegato di
recarsi abitualmente nella zona per offrire prestazioni sessuali al costo di 30 euro.
I due ragazzi, entrambi residenti fuori Napoli,
hanno raccontato di raggiungere la zona di Piazza
Garibaldi poiché le strade limitrofe rappresenterebbero un luogo di incontro che, sin dalle pri-
IN TRINCEA
Barletta, il Comune
di Cascella a pezzi
tra urla e ambulanze
IL SINDACO NON RIESCE A FAR APPROVARE NULLA. PER FERMARE
UNA DISCUSSIONE SULLE COPPIE DI FATTO CI È VOLUTO IL 118
bulanza dopo la sonora litigata. Due ambulanze separate.
La domanda è d’obbligo: vi siete picchiati? “Ma no – risponde Porcelli – è stato solo un
diverbio”. Motivo? “Regolamento su Ius soli e registro per
le unioni di fatto. Il sindaco ha
obiettato che avrei potuto e
dovuto accelerare i tempi. Ma
sa, lui è abituato al Quirinale,
pensa che io abbia gli stessi poteri del segretario generale del
presidente della Repubblica,
gli ho spiegato che in un Comune non funziona esattamente così”.
E il sindaco non l’ha presa bene. “Eh no. Ha iniziato a offendere, a urlare”. Le ha dato
me ore del pomeriggio, è funzionale per adescare
clienti interessati alla prostituzione maschile e di
consumare i rapporti sessuali prevalentemente
nelle auto dei clienti stessi e in luoghi appartati. Il
minore è stato affidato al padre. Nei giorni scorsi,
a seguito di diverse segnalazioni nella stessa zona, erano stati identificati otto soggetti, tre maschi e cinque donne, dediti alla prostituzione.
SPATUZZA “Così Cosa
Nostra ha preso Roma”
ono con te contro tutti”. Dall’ospedale dove si
S
trovava in detenzione per motivi di salute Carmine Fasciani, capo clan di Ostia, continuava a dare
ordini a tale Bosco: “Rimetterti al lavoro. Quello che
ti scrivo non lo faccio per metterti in difficoltà, solo
perché ti rendi conto che non puoi contare su nessuno. Finché sanno che io sono tuo socio non devi
preoccuparti”. La lettera è agli atti del processo ai
clan di Ostia: ieri sono state chieste condanne per un
totale di 325 anni per 19 persone. Tra questi, Carmine Fasciani (30 anni) e Vito e Vincenzo Triassi
(18 anni a testa). Durante la requisitoria, i pm sono
partiti da lontano. Dal 1995 quando Gaspare Spatuzza era partito per “cercare di capire se questi
Triassi erano vicino a persone alle quali potevo fare
un dispiacere”, come ha dichiarato il pentito. Avrebbe dovuto ucciderli, ma volta compresa la potenza
dei Triassi a Ostia “ho cercato di ingaggiarli e crearmi su Roma un aggancio con questa famiglia”.
È il primo passo: poco dopo, Cosa Nostra aveva
messo le mani sulla città.
Valeria Pacelli
hanno chiamato l’ambulanza:
temevano per la mia pressione”.
POI SULL’AMBULANZA c’è sa-
CRISI DI NERVI
Litigio con il segretario
generale Porcelli:
“Questione di carattere”.
Ma ora l’ex portavoce
di Napolitano è ostaggio
della maggioranza
del cretino? “Non esattamente,
però mi ha offeso, io gli ho risposto... Ma io sono un iperteso, ci hanno separati perché
urlavamo parecchio, lui è rimasto nella sua stanza e io,
quando sono arrivato nel mio
ufficio, beh, i miei assistenti
il Fatto Quotidiano
Il sindaco di Barletta, Pasquale Cascella Ansa
lito anche il primo cittadino.
Sindaco – chiediamo – perché
ha chiamato l'ambulanza?
“Non ne voglio parlare”. Pausa. “Questioni di carattere”.
Pausa. “Tensione”. Pausa. “È
stato un normale diverbio su
atti amministrativi che devono
essere portati a compimento”.
Il punto – gliene va dato atto –
è che Cascella ha rotto un sistema che durava da vent’anni.
Ed è sempre più solo. I partiti
della maggioranza hanno ottenuto un solo assessorato ciascuno.
A prescindere dalle preferenze
ottenute. Il Pd – che ha portato
in municipio ben nove consiglieri – conta un solo assessore.
Al pari del Centro Democratico che, di consiglieri, ne ha
portato appena uno. Ma è sin
dall’inizio, dal primo atto di
giunta, che la maggioranza
prova a fargli capire chi comanda: per eleggere il presi-
dente del consiglio comunale,
Carmela Peschechera, ci sono
voluti ben tre scrutini. Poi – in
poche settimane – si dimette il
primo assessore, Ugo Villani,
professore universitario di diritto internazionale, scelto dal
sindaco per le Politiche dei Diritti e dei Doveri.
Il motivo ufficiale, nella versione di Villani, è l’impossibilità di insegnare e contemporaneamente lavorare in municipio. Poi si dimette l’assessore
al bilancio – a febbraio di quest’anno – e l’interim è tuttora
nelle mani di Cascella. Che
continua a combattere. È stato
vincente, nelle elezioni di primavera 2013, quando fu calato
dall’alto, cioè da Enrico Letta,
pochi giorni prima che diventasse premier. Da un lato il
rapporto con il Presidente Napolitano, dall’altro l’imprimatur di Letta, Cascella calava gli
assi e il Pd cittadino subiva. Poi
è arrivato Renzi. Letta è solo
un ricordo e Napolitano dovrà
pur andare in pensione. Quegli
assi ora valgono poco. E le carte, ora, sono in mano al Pd.
L’ex patron dell’Inter e il ristorante da 1 euro
ERNESTO PELLEGRINI APRE “RUBEN”, A MILANO. “QUI VERRÀ CHI HA BISOGNO: PRECARI DA 600 EURO, EX CARCERATI E PADRI IN DIFFICOLTÀ”
di Marco
Maroni
er gli imprenditori di successo, ma anP
che per calciatori o gente dello spettacolo, aprire un ristorante è un classico. L’et-
no chic Nobu di Armani, e Gold il concept
luxury restaurant (come si definisce sul sito)
di Dolce & Gabbana, per dire, sono tra i
ristoranti più trendy di Milano. Per uno come Ernesto Pellegrini, che sulla ristorazione
su larga scala ci ha costruito un gruppo da
oltre 500 milioni di fatturato, la cosa invece è
piuttosto banale.
L’EX PRESIDENTE DELL’INTER, attraverso la
sua fondazione, ha aperto Ruben, locale da
210 coperti nella periferia sud di Milano. A
ben guardare anche il locale di Pellegrini è
trendy, nel senso che va incontro a una nuova
tendenza, quella dei nuovi poveri e del disagio economico dei ceti medi. La crisi, la
precarizzazione e la polarizzazione dei redditi producono un numero crescente di disoccupati e di individui che pur avendo un
lavoro faticano a mettere insieme il pranzo
con la cena. Sono i “ceti medi coinvolti nella
vulnerabilità economica”, come li definisce
l’ultimo rapporto della Caritas ambrosiana,
che segnala come il 47% di chi si rivolge alle
strutture di beneficenza siano ormai occupati
con un reddito insufficiente, e con una quota
crescente di italiani rispetto agli immigrati.
Se alla crisi economica si somma la riduzione
del welfare, con i trasferimenti agli enti locali,
Ruben, il ristorante solidale che aprirà a novembre
e quindi ai servizi sul territorio, in caduta, si
capisce come il perimetro del disagio si è
allargato. I clienti che frequenteranno il primo “ristorante solidale” (che aprirà a novembre) non sono quindi gli emarginati cronici che si rivolgono a mense come quelle
dell’Opera San Francesco. Sono padri separati che non ce la fanno, lavoratori saltuari o
precari da 600 euro al mese, ma anche ex
carcerati, nuovi disoccupati, famiglie in trasferta per lunghe cure mediche, che cercano
di non scivolare nella marginalità sociale.
Come spiega Davide Locastro, direttore della
Fondazione Ernesto Pellegrini, “queste nuove fasce di bisogno non si rivolgono alle strutture caritatevoli perché non vogliono identificarsi con gli stereotipi della povertà e perché non sono avvezzi a rivolgersi a servizi di
beneficenza”.
La cena nello spazio di via Gonin 52, infatti si
paga. Offrirà quasi cinquecento coperti, su
due turni, dal lunedì al sabato, scelta tra almeno due primi e due secondi più bevande,
vino compreso, al prezzo di un euro. Bambini
e ragazzi fino a 16 anni non pagano. I clienti
verranno inviati da parrocchie, centri
d’ascolto, realtà del volontariato. Si potrà
usufruire del servizio per periodo massimo di
due mesi, eventualmente rinnovabili, l’intento infatti è quello di dare un supporto a chi si
trova in difficoltà temporanea e cerca di rialzarsi.
A DARE IL NOME AL RISTORANTE, un con-
tadino vicino di casa di Pellegrini morto di
stenti nei primi anni 60. Una persona a cui
Pellegrini, classe 1940, figlio di contadini e
primo impiego come contabile in un’azienda
di ristorazione nel 1960, si rammarica di non
aver dato una mano. L’Organizzazione mense Pellegrini, fondata nel 1965 con 150 mila
lire, oggi è un gruppo multinazionale da
7.500 dipendenti. Pellegrini è però forse più
noto per essere stato, dal 1984 al 1995, presidente dell’Inter. Con la sua gestione la
squadra conquistò il tredicesimo scudetto,
nella stagione 1988-1989, la Supercoppa nel
1989 e la Coppa Uefa nel 1991 e nel 1994.
29 OTTOBRE 2014
CASTA
SINDACALE
il FATTO
ECONOMICO
» Perché Raffaele
Bonanni guadagnava
oltre 330 mila euro
quando ha lasciato
la guida della Cisl?
11
UN TRENO
IN CITTÀ
ILLUSIONE
START-UP
» Sulle aziende
innovative italiane
si riversa un fiume
di milioni di euro, ma
pochi sono ben impiegati
» Se le Ferrovie dello
Stato entrassero nel
trasporto urbano
si ridurrebbe ancora
la concorrenza
All’interno
FAR WEST La copertura per i medici è obbligatoria: costa
fino a 20 mila euro e il mercato è in mano a società
opache che spesso fanno crac e pagano difficilmente
ASSICURAZIONI
SANITARIE BEFFA:
CHI CI RIMETTE
SONO I PAZIENTI
di Carlo Di Foggia
I
A fine 2013 l'Ivass ha interdetto due agenzie rumene, la Onix Asigurari e la Forte Asigurari Reasigurari per irregolarità e, stando alle indiscrezioni, è pronta a sanzionare due grossi operatori del
settore: un italiana e una compagnia estera.
Gli esempi non mancano. Il caso più eclatante è
quello di City Insurance (fermata nel 2012), una
compagnia formalmente rumena, ma in realtà
controllata da un groviglio di società italiane (e
gravata da sospetti di infiltrazioni camorristiche):
con un patrimonio di soli 3,7 milioni di euro, riscuoteva premi per centinaia di milioni, e si era
accaparrata appalti in tutto il Veneto. Tra le Asl
coinvolte, anche quella di Cesena, costretta ad
aprire un nuovo bando dopo la triste vicenda Faro,
la compagnia dell'ex presidente del Consiglio di
Stato Pasquale Melito (già capo di gabinetto di ministeri come Bilancio, Sanità e Finanze) finita in
un crac da 600 milioni di euro e decine di truffati
soldi non sono mai arrivati”. Nove anni e neanche un euro: Paola (il nome è
di fantasia), nata disabile a causa di un
errore durante il parto, aspetta ancora
il risarcimento (1,5 milioni di euro)
deciso dal tribunale di Treviso e mai
saldato. Nel far west delle assicurazioni sanitarie,
succede infatti che i Lloyd's di Londra, assicuratori dell'ospedale, si oppongano a una sentenza
italiana, proponendo una cifra inferiore: o accetti
o avviamo il contenzioso. Risultato? “A distanza
di quasi dieci anni non è arrivato neanche un euro”, spiegano gli avvocati. Non è il caso peggiore.
Nella sanità c'è un bubbone che rischia di esplodere. A più di due mesi dall'obbligo di polizza per
gli oltre 200 mila medici professionisti, regna il
caos: le Regioni - scottate da raggiri milionari non si assicurano più, mentre i medici subiscono prezzi e contenziosi
in crescita esponenziale. In mezzo, i
UNA CASCATA DI SOLDI NOSTRI
pazienti, che si trovano a dover trattare con assicuratori stranieri, spesLa malasanità ci costa 2 miliardi l’anno, a cui
so misteriosi, che in caso d’insolvenza scaricano gli oneri sulle strutne vanno aggiunti 13 che lo Stato spende per gli
ture sanitarie. “E il futuro rischia di
esami clinici inutili, prescritti per evitare le cause
essere peggiore”, spiega Luigi Conte, segretario della Federazione degli ordini dei medici. Cosa è successo? Ad agosto scorso è scattato l'obbligo per i medici (previsto dal decreto Balduzzi del 2012) di
sottoscrivere un'assicurazione sanitaria per tutelarsi dalle cause di risarcimento, a eccezione dei
115 mila del Servizio sanitario nazionale (dove,
grazie al decreto Pa, vale solo per le strutture).
Con più di 30 mila denunce l'anno (ma la cifra
potrebbe essere tre volte superiore considerando
le compagnie straniere), polizze e indennizzi lievitati fino al 600 per cento, la novità rischia però di
far implodere il sistema. Per ora, chi non si adegua
non rischia nulla: la Federazione ha infatti deciso
di sospendere le sanzioni disciplinari previste dal
decreto. Il motivo è semplice: a oggi i costi sono
proibitivi, e per ortopedici, chirurghi e ginecologi
privati sfiorano i 20 mila euro l’anno. In teoria, per
questi ultimi il decreto avrebbe dovuto istituire un
fondo di solidarietà, ma il decreto attuativo non è
ancora arrivato. Nel frattempo le denunce sono
aumentate esponenzialmente, così come gli importi dei risarcimenti, passati in media da 10 mila
a 34 mila euro, con punte di svariati milioni nei
casi molto gravi. A conti fatti, la malasanità costa
alle casse pubbliche due miliardi di euro l’anno, a
cui vanno aggiunti i 13 miliardi che lo Stato spende per la “medicina difensiva”, cioè quelli esami
clinici inutili prescritti per evitare le cause.
FUGGITI GLI ITALIANI, il settore è in mano stra-
niera: decine di sigle dai nomi più disparati e dai
patrimoni fragili, spuntate come funghi grazie all'assenza di regole comunitarie. L’Ivass, l’Autorità
che vigila sulle assicurazioni, ha le mani bloccate e
può solo interdirne l'operatività in Italia. La maggior parte delle compagnie, ha però sede all'estero,
soprattutto Romania, e opera in “Libera prestazione di servizi” (Lps). Tradotto: il controllo sulla
“solvibilità” spetta alle autorità rumene, che però
chiudono più di un occhio. Una volta sanzionate,
denunciano i controllori italiani, le compagnie si
clonano, continuando a operare sotto altro nome.
CAMICI BIANCHI
Il
caos delle assicurazioni obbligatorie per i medici (costano anche 20 mila euro
l’anno) si riflette sui pazienti Ansa
(dei 1500 sinistri, meno della metà verrà risarcita).
“Le compagnie straniere vincono le gare grazie ai
prezzi stracciati - spiega (sotto anonimato) uno dei
più grossi Broker assicurativi al Fatto - Spesso si
accordano col broker scelto dall'Ente garantendogli una percentuale più alta”. Negli ultimi mesi, la
Lig Insurance di Bucarest, con un capitale di poco
più di sei milioni di euro si è aggiudicata decine di
appalti (anche di grossa entità). Oltre il 60 per cento del mercato è ormai in mano alla Amtrust (200
contratti e 65 mila medici coperti): un gruppo
americano con una sussidiaria inglese guidata in
Italia dal broker napoletano Antonio Somma attraverso un sistema di società a cascata. A fine 2013
la Regione Sicilia ha disdetto il contratto triennale
siglato con la compagnia per assicurare 18 aziende
sanitarie dell'isola (costo: 45 milioni di euro). Sotto
accusa, i 150 mila euro fissati come tetto per la
franchigia, una cifra che coprirebbe solo il 20 per
cento dei sinistri. Annunciando la decisione, il
presidente Rosario Crocetta ha parlato di presunte
irregolarità nello svolgimento della gara e indagini
in corso negli Usa sulla società (che però ha subito
smentito). Nei mesi scorsi, la compagnia è finita al
centro di alcuni report finanziari negativi sulla
strana contabilità adottata dal gruppo: questi trasferisce i premi a diverse controllate, che a sua volta si riassicurano. Una struttura arzigogolata che
passa attraverso le Bermuda (dove finisce il 40%
dei ricavi italiani) e arriva fino in Lussemburgo.
VISTO IL PANORAMA, quasi tutte le Regioni sono
andate in “autoassicurazione”. Funziona così: si
accantonano soldi, assicurando solo i grossi importi e si incrociano le dita. Anche così però, il
meccanismo rischia di aumentare i deficit. Nel
2012, le 9 Asl del Veneto hanno speso quasi 77
milioni, contro i 69 stimati con l’assicuratore. E se
le strutture non pagano, tocca ai medici. I contenziosi hanno tempi lunghissimi e la prescrizione
scatta dopo 10 anni. Molte compagnie, però, impongono clausole capestro (le claims made) che limitano la copertura alla durata del contratto. “Se
qualcuno ti fa causa cinque anni dopo - spiega
Conte - l'assicurazione non paga e ti lascia solo”.
POSTO FISSO
Ops, il web
mi ha rubato
la scrivania
di Stefano Feltri
“IL POSTO FISSO NON C'È PIÙ”. Tutta la
polemica sulla frase pronunciata dal premier Matteo Renzi si è concentrata sull’aggettivo, “fisso”. Sarebbe opportuno preoccuparsi di più del sostantivo: la scomparsa
dei posti. Intere categorie professionali
hanno le stesse prospettive di un triceratopo nel Cretaceo: l’estinzione. Secondo uno
studio molto citato (anche dal governatore
di Bankitalia Ignazio Visco) firmato da Carl
Benedikt Frey e Michael Osborne dell’università di Oxford, il 47 per cento dei lavori
che conosciamo svanirà nei prossimi due
decenni. Magari il numero è impreciso, ma
possiamo scommettere che nel 2034 non
ci saranno più bigliettai al cinema o sui treni (basterà uno smartphone), spariranno
gli impiegati delle Poste e i bancari allo
sportello (a che servono con l’e-banking?),
i vigili agli angoli delle strade a fare le multe (telecamere e microchip), gli operatori
dei call center non disturberanno più con le
loro telefonate promozionali. Ma vista la
crescita esponenziale della capacità di elaborazione dei software nell’era dei big data, anche i traduttori cominciano a temere
la concorrenza di Google Translator, così
come i professori che si dedicano solo alla
didattica stanno scoprendo le inquietanti
potenzialità dell’e-learning: non quello dei
nostri diplomifici di provincia, ma quello
che permette a un indiano con una connessione Internet di seguire i migliori docenti di Harvard invece che un mediocre
insegnante locale. Un solo professore bravo (guardate su Youtube la superstar della
filosofia Michael Sandel) può rendere esuberi decine di docenti mediocri. Da duecento anni sappiamo che i timori di Ned
Ludd sono infondati: i telai per produrre
calze si sono affermati nonostante le proteste dei “luddisti”, ma la disoccupazione
non è esplosa. La tecnologia produce aumenti di produttività che generano profitti,
quindi un aumento della domanda che fa
nascere la necessità di nuovi posti di lavoro
in settori diversi da quello stravolto dall’innovazione. La “disoccupazione tecnologica” non esiste. Una certezza durata per un
paio di secoli che ora comincia a vacillare.
Lo studio di Oxford e l’Economist concordano: spariranno i lavori intermedi, quelli oggi
svolti dai colletti bianchi, rimarranno quelli
altamente qualificati e creativi (ingegneri,
programmatori, stilisti, scrittori) e quelli
che richiedono scarse competenze ma non
possono essere delocalizzati o affidati a
una app o a un robot (dagli spazzini ai barbieri alle badanti). In generale: resisteranno i lavori che richiedono discrezionalità e
interazione tra persone. Ma con conseguenze sulle retribuzioni poco piacevoli, visto che crescerà la competizione per entrambi gli estremi ma ne soffriranno di più i
lavoratori poco qualificati che vedranno ridursi ancora i compensi.
Se non cerchiamo di anticipare questi
cambiamenti, presto dovremo porci il problema della scomparsa dei posti tout court.
Fissi o variabili.
12
di Virginia
MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014
il FATTO ECONOMICO
Della Sala
È
come se mi avessero regalato una Ferrari. Ma
non ho la benzina”. Il
viaggio nell’Italia delle
start-up inizia dal sud, in compagnia
di Marco Cristofaro, 28 anni, commercialista, che vive in un paese di
provincia della Campania. Ha creato
un sito, buondeal.it, su cui affaccia le
offerte commerciali delle province
campane permettendo agli utenti di
acquistare dal sito o di prenotare
l’offerta e pagare in negozio. L’ispirazione è quella dei coupon, ma
Marco e la sua fidanzata evitano gli
sconti eccessivi “perché alterano la
qualità del prodotto”. La società è
una start-up nata a febbraio 2014
con l’assegnazione di un finanziamento statale di 75.000 euro a fondo
perduto “senza il quale – racconta
Marco – non sarei mai partito”. Oggi
conta più di 50 clienti in una zona
dove l’innovazione fatica a trovare
spazi, ma dei soldi del finanziamento non c’è traccia”. Anzi. Invitalia
(Agenzia nazionale per l'attrazione
degli investimenti e lo sviluppo
d'impresa, ente che agisce su mandato del governo e che ha concesso
l’incentivo) ha chiesto 5.000 euro
dell’incentivo per i corsi di formazione a cui Marco dovrebbe partecipare. Cifra che altrimenti andrebbe perduta.
Nella confusione che ruota in Italia
attorno al concetto di start-up, almeno l’ultimo dato del Registro Imprese è chiaro: a settembre 2014,
l’elenco speciale annovera 2583
aziende, con un aumento del 600 per
cento dal 2012. Aprire un negozio o
una nuova pizzeria non significa
creare una start-up. Che per la legge
italiana deve avere meno di quattro
anni di vita e un bilancio inferiore ai
5 milioni. Ma, soprattutto, svilupparsi in ambiti innovativi investendo almeno il 15 per cento del fatturato in ricerca e riservando un terzo dei posti lavoro a ricercatori e
dottorandi.
Dove finiscono
gli incentivi milionari
Non è facile monitorare il flusso di
soldi pubblici destinato alle start-up
perché non esiste una mappatura
completa. L’ultimo rilevamento Aifi
(Associazione italiana del private
equity e venture capital) mostra che
nel 2013 le start-up italiane, quasi
8.000 addetti nel complesso per un
fatturato di 300 milioni di euro, hanno ricevuto finanziamenti pari a 81
milioni di euro per 158 progetti analizzati. Una media di mezzo milione
di euro per ogni domanda accolta,
tra credito bancario, contributi a
fondo perduto e garanzie statali.
Questi numeri però non dicono tutto. Partiamo da alcuni bandi regio-
LOTTA PER SOPRAVVIVERE Le aziende innovative
sono 2500, ricevono fondi per oltre 300 milioni
e occupano 8000 persone. Ma poche vivono a lungo
START-UP, QUANT’È
LONTANA L’ITALIA
DALLA SILICON VALLEY
I CASI DI SUCCESSO
A Trento nasce CoReHab,
per la riabilitazione che sembra
un videogioco: due ragazzi,
un milione di investimento
iniziale, pareggio di bilancio
nel 2015 e nessun aiuto di Stato
nali: nel 2014, la Campania ha stabilito un finanziamento di 30 milioni di euro. Con l’iniziativa
Start-up e Restart anche la Lombardia ha messo a disposizione circa 30
milioni, mentre in Abruzzo, con
Start-uphope, i milioni disponibili
sono 14. Il Fondo Nuove Iniziative
d’Impresa, in Puglia, ammonta a circa 26 milioni. Su lavoce.info un recente censimento di Roberto Perotti, professore ordinario alla Bocconi,
e Filippo Teoldi, ricercatore, mostra
che la sola Regione Lazio ha almeno
14 programmi riservati alle start-up
per 120 milioni di euro tra 2012 e
I PIRATI
Il film “I Pirati della Silicon
Valley” che racconta la rivalità tra Steve Jobs (Apple) e
Bill Gates (Microsoft) Ansa
2015. L’ipotesi è che, assieme ad altri
finanziamenti per le piccole e medie
imprese, questi investimenti siano
una “necessità di rimodulare i fondi
FESR del periodo 2007-13 e utilizzarli entro il 2015, altrimenti dovranno essere restituiti all’Europa”.
Ai fondi pubblici si sommano poi
quelli degli investitori privati e dei
network. Tra tutti, Innogest con circa 80 milioni nel 2013, Principia con
90 milioni, 360° Capital Partners
con 100 milioni. Esiste poi una intera schiera di decine di finanziatori
occasionali, italiani e stranieri. Centinaia di milioni di euro che vor-
ticano lasciando poche tracce.
Otto imprese su dieci
muoiono subito
Nel 2014 almeno undici start-up italiane hanno ricevuto tra 1 e i 20 milioni di euro di fondi da investitori
privati e network. Decisyon, con sede a Latina, ha ricevuto 22 milioni di
dollari da un investitore newyorchese. È difficile definirla ancora
start-up, ma quando ha iniziato a
produrre software per la finanza, lo
era. La Thereson ha invece ricevuto
un finanziamento di un milione di
euro per portare avanti il progetto
medico per la cura del piede diabetico. Si tratta esempi rari. Secondo
il Global Entrepreneurship Monitor, in Italia solo due imprese innovative su dieci nascono trainate
da reali opportunità di sviluppo. Il
restante 80 per cento fallisce nel giro
di tre-cinque anni, soprattutto le
start-up finanziate esclusivamente
dallo Stato e coperte dai suoi fondi di
garanzia.
“Zuckerberg non ha creato Facebook per diventare plurimiliardario,
ma per cambiare il mondo”. Andrea
Dusi è il fondatore di Start-upover.com, fattura 40 milioni di euro
all’anno con i cofanetti regalo Wish
Days. Sul suo blog raccoglie, racconta e analizza i fallimenti delle
start-up di tutto il mondo: “In Italia
fallisce quasi il 95 per cento delle
start up nel giro di tre anni perché si
chiede ai giovani di essere capaci di
fare impresa senza la dovuta preparazione pratica. Il loro sogno è diventare ricchi, evitare di essere disoccupati: si tende a creare una politica intorno alle cose, a usare amici,
parenti e conoscenti per ricevere i
fondi. Creare un’azienda deve invece significare voler cambiare il mondo”. In questo vuoto di idee, si inserisce chi cerca di lucrare in modo
palese sull’illusione di un’impresa
innovativa. Un corso online offre lezioni da casa, via Internet, con percorsi destinati a “massaggiare” la
creatività dell’aspirante startupper
per aiutarlo a generare una brillante
idea d’impresa innovativa. Tutto
SOGNANDO
FACEBOOK
I numeri delle start up italiane,
le imprese innovative
Infografica a cura di Simone Pisani
LA RESA DEI CONTI
La Borsa affonda
Saipem: -5,8%
La Borsa affonda Saipem
nel giorno in cui la controllata Eni rende pubblici i suoi
conti: Saipem chiude i primi
9 mesi del 2014 con un utile
netto di 212 milioni, ricavi a 9.475
milioni di euro (+9,1%) e un utile
prima delle tasse di 443 milioni di
euro contro un valore negativo per
14 milioni del 2013 con un’acquisizione di nuovi ordini pari a 14.988
milioni. Il risultato del periodo si
confronta con una perdita di 229
milioni dell’anno precedente. Per
l’intero anno l’attesa è di raggiungere circa 13 miliardi di euro di ricavi, un risultato operativo di 600 milioni e un utile netto di 280 milioni
di euro. Il titolo, dopo essere stato
sospeso in mattinata, ha chiuso le
contrattazioni con un -5,8%. A pesare è stata la decisione della società di rivedere al ribasso la guidance 2014: l’attenzione del mercato si è appuntata sull’indebitamento che, in base alle previsioni,
dovrebbe attestarsi a fine anno a
4,7 miliardi di euro, sopra la forbice
indicata tra 4,2 e 4,5 miliardi.
previo pagamento (950 euro più Iva
per pochi mesi) e con “successo assicurato”.
Quegli incubatori
di speranze
Un altro elenco del Registro Imprese
è quello degli incubatori certificati,
strutture fisiche che si occupano di
selezionare tramite bandi di concorso le migliori idee per start-up svilupparle fornendo tutor ed esperti in
materia, mettendo in contatto con
possibili imprenditori e ripartendo i
fondi pubblici e privati che vi con-
29 OTTOBRE 2014
vogliano. Forniscono gli uffici e i
servizi in comune (i cosiddetti spazi
di coworking) per lavorare sulle proprie idee e un rimborso spese di circa
800 euro. Nel 2014, il ministero per
lo Sviluppo economico ha messo a
disposizione degli incubatori della
rete Invitalia circa 5 milioni euro. La
dotazione iniziale della rete era di
190 milioni di euro di cui, al 31 marzo 2014, ne erano stati spesi 34.
“Sono arrivato in Italia dopo una
laurea in Fisica in Polonia e un tirocinio al Cern di Ginevra”, racconta Przemek Majewski, che nell’incubatore trentino da 450 mila euro
Techpeaks sta sviluppando un sistema di monitoraggio per l’autocontrollo del diabete e dei suoi sintomi.
Parla seduto su una palla gonfiabile
gialla, ce ne sono in tutta la stanza.
La sede di Teckpeacks ha due piani
inutilizzati. “Stiamo cercando fondi
e speriamo di aprirci al mercato internazionale. Forse saremo destinati
al fallimento, ma non ci spaventa. La
mia prima start-up è fallita, la seconda anche, la terza non saprei dire
se è fallita, ma comunque l’ho dovuta chiudere. E ho solo 28 anni”.
L’innovazione è meglio
se è fai-da-te
Nella zona industriale di Trento, in
un edificio di pareti a specchio con
ampi e luminosi spazi di design circondato da un paesaggio di montagne e rocce, c'è la sede della
start-up CoReHab di Roberto Tomasi e David Tacconi, 34 e 35 anni.
Sono i creatori di Riablo e i fondatori
dell’impresa che ha ricevuto un investimento iniziale di un milione di
euro (di cui circa la metà finanziato
dalla provincia). Il pareggio di bilancio previsto entro il 2015 si deve
al supporto di Andrea Cappelletti,
l’imprenditore per cui lavorano e
che li appoggia. Non sono passati
attraverso alcun incubatore, non si
sono appoggiati all’università per i
brevetti né hanno dovuto partecipare a conferenze, gare e workshop. E
non hanno fallito. Roberto indossa
una t-shirt dei Peanuts, ha l’orecchino e ci mostra come funziona
Riablo. Accende un maxi schermo,
infila su braccia e gambe delle fasce
che contengono sensori, si posiziona
sulla pedana e regola il rilevatore di
movimento. Sembra stia giocando a
un videogioco, ma l’orsetto che appare sullo schermo e che ripete i suoi
movimenti, nel percorso deve superare ostacoli che inducono il suo
controllore umano a fare esercizi di
riabilitazione fisica con un monitoraggio dei miglioramenti. “L’idea è
nata perché David si infortunava
spesso giocando a calcio e aveva bisogno di un percorso di riabilitazione stimolante e monitorato – racconta Roberto – e all’inizio la mamma di David ci cuciva a mano i legacci per contenere i sensori”. Andrea Cappelletti, imprenditore a capo di Ars Future, che provvedeva a
servizi di free wi-fi con un investimento iniziale di 5 milioni, ha preso
a cuore il progetto, lo ha fatto analizzare e ha deciso di patrocinarlo.
“David e Roberto lavoravano per me
e un giorno mi dissero: ‘Ce ne andiamo, vogliamo creare una nostra
impresa’. Gli chiesi di parlarmene e
poi proposi loro di svilupparla qui
con un investimento iniziale di un
milione”. La fase di commercializzazione è rapida: “Prevedevamo di
avviarla nel 2014 – racconta Andrea
Cappelletti – ma a dicembre 2013 già
avevamo ordini dal mondo per centinaia di migliaia di euro. E un
premio come migliore start-up
italiana”. Roberto è consapevole che la loro idea non si sarebbe sviluppata così velocemente se si fosse affidato ad
altri canali: “Incubatori e iniziative sono ottimi strumenti
– spiega – ma a volte fanno
perdere tempo tra eventi, conferenze e premi. Così si perde
di vista il progetto e il lavoro.
Due elementi che costituiscono il
motore dello sviluppo”.
13
IL FEUDO Da quando è diventato segretario nel 2006
lo stipendio è salito velocemente fino a 336 mila euro
BONANNI HA USATO
LA CISL PER RITIRARSI
DA PENSIONATO D’ORO
di Salvatore Cannavò
U
n segretario generale del secondo sindacato italiano che guadagna 336 mila euro
l’anno costituisce una
curiosità. Soprattutto se
non è chiaro come ha
guadagnato quella cifra.
Se quel segretario si
chiama Raffaele Bonanni, poi, la curiosità si dilata al quadrato. La cifra
è superiore al tetto per i
grandi manager di Stato
(240 mila), pericolosamente vicina a quei
grandi dirigenti contro
cui Bonanni ha spesso
puntato il dito. E spiega
più chiaramente il motivo delle sue dimissioni
anticipate dalla segreteria della Cisl, piombate
all'improvviso nella vita
del sindacato cattolico e
nel dibattito politico e
sindacale.
Raffaele Bonanni avrebbe dovuto lasciare la segreteria della Cisl, a cui
era stato eletto nel 2006,
fra pochi mesi. Eppure il
24 settembre scorso decise di anticipare la sua
uscita. Stanchezza politica, si è scritto, oppure
indisponibilità a essere
additato come il rappresentante di una storia
vecchia e conservatrice,
quella sindacale, secondo il copione redatto dal
premier Matteo Renzi.
Ma forse, anche il frutto
di una faida interna alla
Cisl fatta di lettere anonime, velate minacce,
dossier che sono passati
nelle mani dei vari dirigenti.
UNO DI QUESTI dossier
Il Fatto lo ha potuto leg-
gere e racconta una storia beffarda, fatta di un
aumento vertiginoso
dello stipendio dell’ex
segretario proprio a ridosso dell’anno in cui, il
2011, decide di andare in
pensione. Beneficiando
di Camilla Conti
così a pieno del sistema
retributivo ed evitando
di finire nelle maglie della imminente riforma
Fornero.
Il dato sulla pensione di
Bonanni è stato già reso
noto. L’ex sindacalista,
infatti, percepisce dal
marzo 2012 la pensione
(numero 36026124) dall'importo lordo di 8.593
euro al mese. Al netto
delle trattenute si tratta
di 5.391,50 euro mensili. Qualcosa che
nessun lavoratore
medio si può permettere.
Nei
giorni
dell’addio alla
segreteria,
Bonanni ha
giustificato tali
importi
sempre
allo
stesso
modo:
si tratta
del frutto di
46 anni di lavoro dipendente, con contributi regolarmente
versati,
quindi niente di speciale. Inoltre, va ricordato,
Bonanni è riuscito a
sfuggire, grazie all’anzianità lavorativa, alle
modifiche operate nel
1995 dalla riforma Dini
che introdusse il sistema
contributivo, quello poi
esteso a tutti i lavoratori
dalla riforma Fornero.
Sistema basato sul principio: “Tanti contributi
hai versato, tanto sarà
l’assegno pensionistico”. Con il sistema retributivo, invece, la pensione si calcolava sulla
base della media degli
ultimi anni di retribuzione: cinque anni prima della riforma Dini,
casistica in cui Bonanni
rientra in quanto a quella data aveva superato
ampiamente le 18 annualità contributive richieste. Su questo particolare scatta la vicenda
di cui stiamo dando con-
L’ALTRA
CASTA L’ex
segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, e
la lista dei suoi
stipendi degli
ultimi anni
Ansa
Epifani. La sua pensione
è di “soli” 3.400 euro
mensili netti anch’essi
peraltro frutto di uno
scatto improvviso di 800
euro al mese maturato
nel 2005 alla vigilia di
presentare la domanda
pensionistica.
Anche
qui, gli ultimi cinque anni sono stati utilizzati per
alzare la retribuzione
senza che il Comitato direttivo della Cgil ne sapesse nulla.
E QUI C’È IL PUNTO che
FINE CORSA
La sua paga 2011
supera il tetto per
i manager pubblici.
Risultato? Assegno
previdenziale
da 5.331 euro
to.
Il sindacalista, oggi senza incarichi pubblici,
viene eletto segretario
generale della Cisl nel
2006. Fino a quella data
era segretario confederale e guadagnava meno
di 80 mila euro lordi l'anno. 75.223 nel 2003,
77.349 nel 2004 e 79.054
nel 2005. Quando diventa segretario generale,
secondo il regolamento
interno alla Cisl, il suo
stipendio viene incrementato del 30%. Quindi, secondo le regole interne, avrebbe dovuto
guadagnare circa 100
mila euro lordi annui.
Nel 2006, la Cisl dichiara
all’Inps una retribuzione
lorda, ai fini contributivi,
di 118.186 euro. Un po’
più alta di quella prevista
ma non di molto. Le stranezze devono giungere
con gli anni seguenti.
Nel 2007, infatti, la retribuzione complessiva dichiarata all'Inps è di
171.652 euro lordi annui. Che aumenta ancora nel 2008: 201.681 annui. L’evoluzione è spettacolare, gli incrementi
retributivi di Bonanni
sono stati del 45% e poi
del 17%. Ma la progressione continua: nel 2009,
la retribuzione è di
255.579 (+26%), nel
2010 sale “di poco” a
267.436 (+4%) mentre
nel 2011 schizza a
336.260 con un aumento
del 25%.
SIAMO alla vigilia della
domanda di pensione
che, dicono i suoi critici,
Bonanni riesce a presentare prima del varo della
riforma Fornero. E così,
beneficiando di una carriera contributiva davvero ampia – 46 anni – e
potendosi basare sulle
ultime cinque retribuzioni d’oro riesce a conquistare una cifra nemmeno lontanamente sognata da qualunque altro
sindacalista. Prendiamo
l’esempio di un “pari
grado” di cui Il Fatto si è
già occupato, Guglielmo
spiega, forse, la fuoriuscita improvvisa dalla
Cisl di Bonanni. Chi ha
deciso questi scatti, questi aumenti progressivi?
La Cisl preferisce non
commentare. Quando
Bonanni si dimise il sindacato di via Po si limitò
a ricordare che negli ultimi anni il segretario
aveva percepito degli arretrati, la liquidazione
del fondo pensione integrativo (che quindi si aggiunge all’assegno dell'Inps) e altri benefit legati alla sua retribuzione.
Questi emolumenti, però, non figurano nella retribuzione ai fini Inps e
comunque non avrebbero potuto essere così ampi. Negli ultimi cinque
anni, infatti, Bonanni ha
percepito un ammontare complessivo di 1.230
mila euro invece dei 600
mila spettanti secondo il
regolamento. Il doppio.
Sentito dal Fatto, l’ex segretario Cisl ha preferito
non rilasciare dichiarazioni. Nella Cisl la discussione prosegue sotto
traccia.
ANDRÉ ESTEVES I nuovi soci di Mps
studiano la reazione alla bocciatura Bce
S
i racconta che quando André Esteves lasciò l’Ateneo di Rio dove lavorava come
informatico per fare lo stagista al Banco Pactual (di cui poi sarebbe diventato proprietario) la madre gli domandò: “Ma tu ti fidi dei
banchieri?”. Chissà cosa risponderebbe
oggi il numero uno del fondo brasiliano Btg
che si trova coinvolto come azionista nelle
due partite più delicate del sistema bancario italiano: Mps e Carige. Entrambe
bocciate dai test della Bce. Ed entrambe
finite nel “carrello” di Esteves che nell’ultimo anno ha comprato il 2% del Monte,
siglando un patto con i messicani di Fintech e la Fondazione, ma anche una quota
attorno al 2% nella Cassa ligure. Se Mps
procederà con un nuovo aumento di capi-
tale, il brasiliano dovrà rimettere mano al
portafoglio. Idem per la ricapitalizzazione
già annunciata da Genova. Ma la situazione
più complicata riguarda Siena. All’advisor
Ubs scelto dal presidente Alessandro Profumo, i sudamericani hanno affiancato Citigroup. Nel frattempo, dopo aver conquistato due poltrone cda e nei comitati strategici,
i rappresentanti di Btg e Fintech hanno iniziato ad approfondire l’esame delle ultime
trimestrali chiuse in rosso. Chiedendosi perché il management non abbia fatto fin da subito una svalutazione complessiva delle situazioni pregresse. E perché fosse stato previsto prima un aumento da un miliardo, poi
da 3 e solo alla fine da 5, chiuso questa estate. Tutto per evitare una nazionalizzazione
che, forse, sarebbe stata più indolore. Ora si
potrebbero delineare due strade: un nuovo
aumento di capitale da varare nei prossimi
nove mesi costruendo nel frattempo un percorso di aggregazione con una banca, come
la Cassa Risparmio di Firenze, che consenta
di riproporre il modello dell'ex Banca Toscana che operava soprattutto nell'erogazione
del credito alle imprese. L’alternativa potrebbe essere, una volta rivisto il piano di ristrutturazione come richiesto dalla Commissione Ue, l’accordo con un’altra banca
europea che entrerebbe in maniera soft attraverso l’aumento di capitale per poi completare il percorso con la fusione. Intanto
Esteves monitora i titoli in Borsa: ieri Mps ha
segnato un +1,4%, Carige un flebile +0,65.
14
29 OTTOBRE 2014
il FATTO ECONOMICO
RISPARMIO La sorpresa sui fondi pensione
di Beppe Scienza
NON TUTTO IL MALE
viene per nuocere. L’aumento della tasse sulla
previdenza integrativa,
previsto dalla legge di stabilità, può essere l’occasione buona per interrompere i versamenti o
evitare di sana pianta fondi pensione, piani individuali previdenziali (pip)
ecc. Ci basiamo sul testo
presentato dal governo,
salvo rifare i conti, se il
Parlamento apporterà rilevanti modifiche.
Vediamo cosa dicono i
numeri, ragionando sulle
nuove aliquote: l’imposta
su interessi, rivalutazioni
ecc. passa per il TFR
dall’11 al 17% e per la previdenza complementare
al 20%, dopo che era già
stata elevata all’11,5% da
luglio.
C’è anche una piccola cattiveria del governo, perché l’aumento per il TFR
scatta dal 2015, mentre
nel secondo caso opera da
inizio 2014. Infatti, non
per merito dei gestori, ma
per le buone sorti del
di Marco Ponti
L
e ferrovie dello Stato
da un po’ di tempo
hanno aggiunto a FS
una I (“FSI”), dove la I
finale sta per l’Italia,
per non essere da meno ad Autostrade per l’Italia, e sarebbero disponibili a estendere la loro attività ai trasporti urbani, in particolare
quelli di Roma e di Milano. Sono già
presenti nel settore: stanno concorrendo per l’azienda torinese e hanno già
vinto la gara (a lotto unico) per quella
di Firenze. Secondo alcune voci maligne, a Firenze hanno vinto soprattutto
perché si è preferita un’azienda italiana
politicamente “robusta” a infidi stranieri, quali erano gli altri due concorrenti.
mercato obbligazionario,
quest'anno i fondi pensione dovrebbero rendere
bene. Al che il governo si
è detto: “Piatto ricco, mi
ci ficco”. Ma già solo per
il futuro, per un giovane
lavoratore con redditi
medio-bassi e una permanenza di 30-40 anni in un
fondo pensione o simile,
il vantaggio fiscale complessivo si è ridotto all’osso. È sceso intorno allo
0,7% su base annua.
Troppo poco, perché facilmente molto inferiore
alla somma dei costi, pa-
lesi e occulti, dei prodotti
della previdenza integrativa. Insomma, saldo netto
negativo. C’è poi il secondo punto. Tale modestissimo e ipotetico vantaggio
poggia solo sulla minore
tassazione finale. Ma si
può essere davvero sicuri
che non verrà anch’essa
aumentata? L’attuale governo non si è sentito legato alle decisioni dei governi del 2005-2006. Perché mai quelli in carica
intorno al 2050 dovrebbero sentirsi vincolati a scelte prese da politici di
RACCONTANO
BALLE
mezzo secolo prima?
Conclusioni: risparmiare
sì, ma evitare ogni prodotto previdenziale. Soprattutto i giovani, per
non parlare dell'imbroglio
di chi addirittura consiglia ai genitori di intestare
fondi pensione ai propri
figli neonati. E chi ha aderito, interrompa i versamenti. Al limite, avendone diritto, chieda il TFR
in busta paga e l’investa in
prima persona in cose sicure.
Twitter @beppescienza
www.beppescienza.it
INTRECCI I Comuni auspicano che il gruppo guidato da Elia
si occupi anche di trasporto urbano, sperando così di
ricevere più fondi. Ma i cittadini alla fine ci rimetterebbero
3,3
MILIARDI
RENZI, L’UE
DALLA
E IL FONDO
EVASIONE
MISTERIOSO
FISCALE
TAGLIA-TASSE
BUONA PARTE della correzione al deficit/Pil patteggiato con l’Ue verrà “dal fondo per la riduzione della pressione fiscale”:
3,3 miliardi che Matteo Renzi aveva definito “una riserva”. In effetti, quel fondo è un
mistero. Nel 2011, si ipotizzò di farlo partire
dal 2014 raccogliendo i proventi della lotta
all'evasione. Nel 2012 si decise di anticiparlo al 2013. Nel 2013 si optò per un semplice
monitoraggio: su 12,5 miliardi recuperati,
solo 4,5 erano “strutturali”. Purtroppo però servivano per “l’equilibrio di bilancio”.
Tradotto: niente risorse. Per consolazione
si istituì un fondo taglia-Irap, poi cancellato
da Letta per istituire finalmente il tanto atteso Fondo. Ora, Renzi. 4 anni, zero euro.
L’assurdo assalto
delle Ferrovie ai bus
cento di proprietà pubblica. Tutte le
ferrovie europee aborrono l’uso dei termini “monopolio”, “sussidio”, “dominante”, “pubblico”. Amano raffigurare
se stesse, e spesso riescono a farsi raffigurare dai media, come aziende private che operano nel mercato. Poi però,
nei rari casi in cui emergono pubblicamente gli elevatissimi costi che generano alle casse pubbliche, ribadiscono
la loro vocazione sociale, e il fatto che
operano soprattutto per il benessere
della collettività troppo umano. Al management ferroviario non tocca certo
rinunciare a parte del proprio potere.
Tocca allo Stato costringerlo a farlo, per
difendere utenti e contribuenti.
MA SEMBRA ESSERCI una lodevole
C’È COMUNQUE un aspetto positivo
nella vicenda fiorentina: per la prima
volta in Italia abbiamo una grande città
che non solo ha fatto una gara, ma ha
rinunciato alla proprietà dell’azienda.
Se il Comune di Firenze non sarà contento dei risultati, litigherà con FSI, e
non con se stesso come fanno tutti gli
altri, proprietari delle aziende urbane.
Ma l’eventuale avvento di FSI nel settore presenta molti più aspetti negativi
che positivi, e questo certo non per
qualche colpa o demerito dell’azienda
li), la rete ferroviaria è un
ferroviaria, ma al
PER PROTESTA
monopolio
naturale
contrario
perché
esteso e la gran parte dei
questa è troppo forte,
Il presidente di FSI
servizi passeggeri sono
cioè ha un potere poesercitati in condizione
litico ed economico
Messori ha rimesso
di monopolio legale, an“innegoziabile” (quele deleghe perché non
che se vi sono state gare
sto potere, nel linper alcuni servizi locali
guaggio degli econosi può privatizzare
(nessuna di queste è stata
misti, è noto come
vinta da concorrenti).
clout). Infatti FSI ha
un’azienda contraria
FSI è un’impresa fortecaratteristiche pecualla concorrenza
mente dominante (circa
liari. È un’azienda toil 90 per cento del fattutalmente pubblica,
rato del settore) e non
quindi per definizione gode di forti appoggi politici, riceve può fallire, a differenza di ogni altra immoltissimi sussidi dallo Stato (“corri- presa.
spettivi”, come FSI preferisce chiamar- Ciascuno dei punti precedenti sarebbe
motivo sufficiente per sconsigliare l’ulteriore rafforzamento di FSI, rendendola ancor meno controllabile dal regolatore pubblico (in questo caso dalla
neo-costituita Autorità per la Regolazione dei Trasporti). Si tratterebbe di
“integrazione verticale di impresa dominante”, e di solito in questo caso si
registra un intervento censorio da parte
del regolatore pubblico.
PROPRIO PER QUESTO potere la ces-
sione di aziende di trasporto urbano a
FSI è auspicata dagli amministratori locali. Cesserebbero di colpo per loro
moltissimi problemi economici e gestionali. Illuminante in proposito è l’af-
fermazione (in privato) dell’assessore
ai trasporti di una delle città coinvolte:
“Come sarebbe bello cedere l’azienda a
FSI, quelli i soldi dallo Stato riescono
sempre ad averli, e quanti ne vogliono”.
Una assoluta verità. E ovviamente questo ingresso di FSI renderebbe impossibile fare gare per piccoli lotti, cioè la
strategia che in Europa si è rivelata la
più efficace per razionalizzare i servizi.
Ma la perla finale di questa vicenda è
verbale, e scaturisce dalla dichiarazione
di interesse di FSI per l’ingrasso nelle
aziende di Roma e Milano: si tratterebbe, secondo l’amministratore delegato
di FSI di Michele Elia, di una “privatizzazione”, anche se FSI è al cento per
eccezione al quadro sopra descritto: il
presidente di FSI, il professor Marcello
Messori aveva una importate delega di
cui si stava occupando: quella sulle modalità di privatizzazione parziale del colosso pubblico. Due scuole di pensiero
si fronteggiano: una è quella di fare entrare investitori privati con la cessione
di quote azionarie, operazione che garantirebbe la forza contrattuale e politica del gruppo FSI. L’altra visione è opposta: cedere quei rami d’azienda che
non ha più senso siano in mano pubblica (l’Alta Velocità, i servizi merci, alcuni asset della rete). In questo modo il
potere politico-monopolistico di FSI
diminuirebbe, con benefici per gli
utenti e le casse pubbliche. Domenica
Messori ha annunciato di aver rimesso
tutte le deleghe, escluse quelle, in gran
parte formali, di “controllo”, con motivazioni che sembrano attinenti proprio a divergenze sulle modalità di privatizzazione. Conoscendone il pensiero e il rigore, vi sono pochi dubbi di
quale modello dei due sopra descritti
fosse sostenitore. La coerenza con le
proprie convinzioni nella sfera del
top-management pubblico è cosa davvero rara in Italia. C’è da sperare che la
politica, per una volta ne prenda atto, e
ne tragga le conseguenze.
BERNANKE La Fed e i limiti delle Banche centrali nella crisi
L
LA FEDERAL RESERVE E LA CRISI
FINANZIARIA
di Ben S. Bernanke
Il Saggiatore
pagg. 176, 16,00 ¤
a politica monetaria è uno
strumento
rudimentale,
che incide sui prezzi di tutte le
attività e sull’intera economia,
quindi è meglio intervenire sul
problema con la precisione di
un laser”. Così parla Ben Bernanke ai suoi studenti: prima di
guidare la Federal Reserve, la
banca centrale americana,
Bernanke è stato un apprezzato professore di economia a
Princeton, oltre che tra i maggiori studiosi esperti del legame tra politica monetaria e
Grande Depressione. Il Saggia-
tore pubblica ora una raccolta
di seminari che Bernanke ha tenuto alla George Washington
University nel 2012, quando
dunque era ancora presidente
della Fed, che sono godibili e
istruttivi. Emerge al contempo
una grande consapevolezza
delle potenzialità (distruttive)
della politica monetaria ma anche della sua limitatezza
nell’affrontare le crisi. Bernanke dimostra in modo convincente la correttezza dell’analisi
di Friedman, cioè che la crisi del
Ventinove non sarebbe stata
così grave se la Fed avesse tenuto una linea espansiva invece di sposare le tesi “liquidazioniste” (falliscano un po’ di banche così si fa pulizia nel sistema). Ma l’economista di Princeton è anche abile a sgusciare
tra le giuste obiezioni degli studenti: sostiene, per esempio,
che la bolla immobiliare non
era colpa della Fed e dei suoi
tassi troppo bassi, come sarebbe dimostrato da bolle analoghe in Paesi in condizioni monetarie diverse (Spagna, Gran
Bretagna). Eppure Bernanke è
consapevole che le banche
centrali moderne devono
preoccuparsi della stabilità
macroeconomica e non soltanto di quella dei prezzi, perché
se crolla il sistema la deflazione
o l’iper inflazione sono dietro
l’angolo. Eppure, nell’analisi
della crisi, Bernanke separa i
due piani: sì, la Fed doveva
preoccuparsi della tenuta macroeconomica ma attraverso
gli strumenti di vigilanza (affinché le banche erogassero meno mutui sub prime) e non alzando i tassi di interesse per
scoraggiare il credito. Su questo non è distante dal suo predecessore Alan Greenspan,
convinto che non spetti alle
banche centrali sgonfiare le
bolle, devono limitarsi a gestirne le conseguenze. Due anni
dopo quelle lezioni, Bernanke
ha constatato che la capacità
delle banche americane di valurate il merito di credito non è
migliorata: la sua banca gli ha
comunicato che non poteva rinegoziare il mutuo immobiliare, perché le prospettive di reddito di Bernanke erano incerte.
UN GIORNO IN ITALIA
il Fatto Quotidiano
Iarrestato:
mprenditore
“Rifiuti
nel Volturno”
CON LA MINACCIA del licenziamento costringeva i lavoratori a sversare rifiuti nel fiume Volturno o a sotterrarli nei terreni
dell’azienda. Giuseppe Gravante, imprenditore casertano, è stato arrestato ieri con l’accusa di estorsione e smaltimento illecito di
rifiuti e si trova ora agli arresti domiciliari. Il
“patron del latte” era stato proprietario del
marchio Latte Matese fino al 1984 ed è tuttora titolare di Foreste Molisane, azienda che
gli valse la cittadinanza onoraria. Gli investigatori della Forestale hanno accertato che
almeno dal 1994 tutti gli scarti dell’attività
venivano interrati, si parla di 6,5 quintali al
giorno. L’attività di smaltimento illegale era
così ben congegnata che erano stati predi-
MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014
sposti scarichi diretti e pompe idrauliche nel
fiume Volturno. Così l’azienda si liberava non
solo degli escrementi di circa 3.500 capi, ma
anche dei reflui delle sale di mungitura, delle
acque di lavaggio delle stalle contaminate da
detergenti e acidi fortemente tossici. Un inquinamento equivalente a quello prodotto
da una città di 24 mila abitanti.
Veleni e Napalm:
alla sbarra i generali
PROCESSO AI COMANDANTI DEL POLIGONO DI QUIRRA IN SARDEGNA:
“TESTATE AL TORIO, ESPLOSIONI DI GAS E MUNIZIONI DISTRUTTE”
NELLA “DISCARICA” DI 130 CHILOMETRI QUADRATI. E UNA SCIA DI TUMORI
di Maddalena Brunetti
U
Cagliari
na discarica di rifiuti bellici nel cuore della Sardegna e
morti misteriose.
Per decenni. Nel Poligono interforze del Salto di Quirra centinaia di esplosioni hanno distrutto le armi in disuso stoccate nei depositi italiani. Tutto in
uno spazio di 130 chilometri
quadrati di pianori, boschi, altipiani e coste a disposizione
della Difesa, tra le province di
Cagliari e dell’Ogliastra, sulla
costa orientale dell’Isola, quella
con le spiagge più belle e selvagge. Una zona militare, confinante con una decina di piccoli
paesi, dove sarebbero stati interrati anche numerosi fusti di
famigerato Napalm e dove,
eserciti e industrie civili e militari di ogni parte del mondo,
hanno sperimentato i loro armamenti: anche missili anticarro Milan con componenti al torio, altamente radioattivo.
Operazioni condotte senza informare le popolazioni vicine,
senza un presidio sanitario e,
soprattutto, senza impedire che
i pastori continuassero a far pascolare i loro animali all’interno
del filo spinato, anche a poche
ore dai test. Una convivenza
forzata, pecore e vacche che
brucano accanto a carri armati
sforacchiati, boati che mandano in frantumi le finestre dei
paesi vicini, missili che perdono
il controllo distruggendo coltivazioni e l’incubo che la guerra
simulata possa aver compro-
messo l’ambiente, minando la
salute di animali e persone.
È LA RICOSTRUZIONE della
Procura di Lanusei (Ogliastra)
che ha indagato sul presunto disastro ambientale provocato
dalle attività belliche, ottenendo
il rinvio a giudizio di generali e
colonnelli che si sono alternati a
capo del poligono dal 2004 in
poi. Il processo sulla cosiddetta
“Sindrome di Quirra” – ossia
l’anomalo picco di leucemie, tumori e malformazioni lamentato da chi abita o lavora nei pressi
della base – prenderà il via questa mattina a Lanusei, dopo tre
anni dall’apertura della clamorosa inchiesta del procuratore
Domenico Fiordalisi, che ha
portato sul banco degli imputati
i generali Fabio Molteni, Alessio
Test con esplosione di gas nel 2003 al Poligono del Salto di Quirra Ansa
Cecchetti, Roberto Quattrocicchi, Carlo Landi, Valter Auloni,
Paolo Ricci e i colonnelli Gianfranco Fois e Fulvio Ragazzon.
Rispondono di omessa cautela,
in ipotesi dolosa, contro infortuni e disastri, ma non direttamente dei decessi.
Stando all’inchiesta – aperta dopo il rapporto di due veterinari
sulle gravi forme tumorali contratte dal 65 per cento dei pasto-
15
ri che portavano le greggi nello
spazio militare – tra il 1984 e il
2008 a Quirra sono state distrutte enormi quantità di munizioni
e bombe fuori uso provenienti
da tutti gli arsenali italiani
dell’Aeronautica. I testimoni
hanno raccontato di file di camion carichi di armi, che entravano nel poligono dove venivano accatastate in un cratere e poi
fatte “brillare”. Le esplosioni an-
davano avanti per giorni, le colonne di fumo che si levavano
verso il cielo – che in tanti hanno
descritto – avrebbero disperso
nell’aria “enormi quantitativi di
particelle metalliche e tossiche”,
come si legge nel capo d’imputazione. Nel poligono sarebbero
stati distrutti anche i missili da
guerra Nike con valvole radioattive e cariche di biglie al
tungsteno “altamente cancerogene se vaporizzate”. E tra il
1986 e il 2003, sono stati esplosi
ben 1.187 missili anticarro Milan che avrebbero “nebulizzato
consistenti quantitativi di torio
radioattivo”. Un quadro inquietante aggravato, secondo la Procura, dai test industriali definiti
“unici al mondo”. Come le numerose esplosioni di gas hanno
messo alla prova la resistenza
dei tubi usati per i moderni metanodotti e gli oleodotti, da introdurre sul mercato.
TOCCHERÀ AL TRIBUNALE
stabilire se i militari sono colpevoli o innocenti. Accusa e difesa
si preparano alla battaglia in aula mentre i legali di parte civile –
che tutelano presunte vittime
della sindrome di Quirra – sono
pronti a chiamare come testimoni tutti ministri alla Difesa, i
sottosegretari e i presidenti della
Repubblica dal 1999 a oggi.
16
ALTRI MONDI
MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014
Pianeta terra
il Fatto Quotidiano
HONG KONG UN MESE DI PROTESTA
È passato un mese dalla protesta per chiedere
alla Cina elezioni libere e a suffragio universale.
La manifestazione è stata indetta dagli stessi
gruppi. I partecipanti sono diminuiti anche a
causa degli attacchi di gruppi pro Pechino che
per alcuni sono vicini alle triadi mafiose. La Presse
TURCHIA PARTITI I PESHMERGA PER SALVARE KOBANE
Sono partiti dal nord Iraq i primi 150 miliziani curdi che tenteranno di
salvare Kobane, la cittadina al confine con la Turchia assediata
dall’Isis . Nel frattempo i miliziani islamici hanno invitato i seguaci ad
attaccare insegnanti americani e occidentali nei Paesi arabi.LaPresse
A Parigi meglio un buon
ministro che un erudito
Un milione contro Compaorè
LA RESPONSABILE DELLA CULTURA: “NON LEGGO LIBRI DA DUE ANNI”. PER L’EX ORFANA
COREANA ELOGI SULL’ONESTÀ INTELLETTUALE MA ANCHE ACCUSE D’IGNORANZA
di Luana
De Micco
Parigi
E
ssere sinceri non
sempre paga in
politica. Ne sta facendo le spese
Fleur Pellerin, 41 anni, la giovane ministra francese della
Cultura, che per aver ammesso di non aver letto neanche un libro negli ultimi due
anni, perché assorbita dal la-
voro e quindi non ha tempo,
è ancora al centro di accesi
dibattiti in Francia. Se alla vicenda i giornali transalpini
dedicano qualche trafiletto, i
siti invece si scatenano e i social network sono spietati
con lei. Una responsabile
della Cultura che non legge
nel paese di André Malraux e
dell’eccezione culturale è una
vergogna! Non ne parliamo
se la stessa ministra, interve-
nuta domenica scorsa in una
trasmissione su Canal +, riconosce anche, con una dose
notevole d’onestà e di coraggio, di non aver mai letto Patrick Modiano e di non saper
citare un solo titolo dei suoi
romanzi. Eppure lo scrittore
francese è stato insignito del
Nobel per la Letteratura appena qualche settimana fa.
Non avrebbe potuto prepararsi? “Riconosco senza pro-
blemi che da due anni non ho
tempo per leggere. Leggo
molte note di lavoro, i dispacci d’agenzia e testi di legge. Ma per il resto leggo molto poco”, ha detto candidamente la ministra.
UNO DEI COMMENTI più pe-
santi è stato dello scrittore
Tahar Ben Jalloun: “È molto
triste, mi dispiace per lei. Un
ministro deve immergersi
BURKINA FASO E IL PRESIDENTE-DITTATORE
Scontri fra dimostranti e polizia: i primi sono contro
la modifica costituzionale che permetterebbe a
Compaorè, al potere dal 1987, di ricandidarsi LaPresse
“SECCHIONA”
Laureata all’Ena,
la scuola dell’élite
amministrativa, Fleur
Pellerin spiega: “Leggo
dispacci e testi di legge,
non ho tempo per i libri”
nella letteratura, fosse solo
per dovere politico”. Nostalgico Slate.fr ha pubblicato ieri
un dibattito del 1978 tra Modiano e François Mitterrand,
che tre anni dopo sarebbe diventato presidente della Re-
41 ANNI, NATA A SEUL
Fleur Pellerin è stata nominata
da Hollande ministro della Cultura del suo II governo. A destra,
Francois Mitterrand LaPresse/Ansa
pubblica. Ricordando i vecchi tempi quando i politici
erano anche uomini di cultura.
La Francia si spacca tra accusatori e difensori. I primi
pensano che Fleur Pellerin
debba dimettersi, i secondi
ne difendono l’onestà. In posizione neutra c’è chi ritiene
che sono stati i consiglieri
della ministra a sbagliare.
Perché non preparare una
schedina su Modiano per evi-
tare le gaffe? Troppo tardi.
Ma, nel governo senza risultati di François Hollande, dove sono state commesse gaffe
ben più gravi di questa, Fleur
Pellerin è in realtà uno dei
rari esempi di serietà e competenza.
La ministra nata a Seul, in
Corea del Sud, fu abbandonata per strada a quattro
giorni di vita, raccolta e messa in un orfanotrofio dove a
sei mesi fu adottata dalla famiglia francese che le ha dato
nome e cognome. È diplomata all’Ena, la scuola delle élite,
e si è fatta strada nel difficile –
e maschile – mondo della politica. Nell’ultimo rimpasto
di governo è stato il presidente Hollande in persona a volerla promuovere affidandole
la Cultura, dopo che la giovane donna aveva dimostrato
le sue capacità all’economia
digitale e al commercio estero.
Tutti pazzi per Brand, giullare dell’antipolitica
L’ISTRIONICO PRESENTATORE INGLESE TENTATO DALLA CANDIDATURA A SINDACO DI LONDRA: POTREBBE ESSERE IL ‘GRILLO’ A SINISTRA DEI LABURISTI
di Caterina
Soffici
Londra
eccato Russell Brand abbia
P
smentito: non si candiderà a
sindaco di Londra. Avremmo as-
sistito a una campagna elettorale
memorabile, tra due gigioni mediatici di altissimo livello.
La notizia è girata per qualche giorno e perfino il sindaco uscente Boris Johnson (conservatore, ex giornalista, vulcanico, biondo tendente
al fosforescente) ha scritto nella
sua rubrica sul Daily Telegraph che
sarebbe stato “elettrizzante” avere
come avversario il comico del momento, di nuovo su tutti gli schermi e i media del Regno Unito grazie alla pubblicazione del suo ultimo libro, Revolution, dove ha messo nero su bianco il suo manifesto-denuncia contro il sistema. La
politica si è spettacolarizzata e il
fatto che uno squinternato come
Russell Brand possa scendere in
campo non stupisce nessuno.
Trentanove anni, Brand è un presentatore televisivo (Big Brother,
Mtv Awards), conduttore radiofo-
nico, attore. Era già una celebrità
oltremanica, è diventata una celebrità globale dopo il matrimonio
con la cantante Katy Perry: un colpo di bottiglia (scagliata da lei contro lui durante le prove per gli Mtv
Award) che diventa colpo di fulmine, con celebrazione segreta in
India e cerimonia di rito hindù. Il
tutto dura 14 mesi, ben documentati nelle paparazzate nei locali
notturni di New York, Los Angeles, Londra.
VITA HOLLYWOODIANA e fisico
Newsnight con Jeremy Paxman, e
aveva ammesso di non aver mai
votato e invitato gli spettatori a
non votare perché la politica tradizionale fa schifo. Vagheggiava
un sistema socialista ugualitario,
basato sulla redistribuzione del
reddito, su un’alta tassazione per
le multinazionali, sul rispetto per
l’ambiente. Il video ha totalizzato
10 milioni e mezzo di visioni. Il
Financial Times titolò: “Il Beppe
Grillo riluttante della Gran Bre-
ascetico, barba lunga e capello inRussell Brand,
colto, un mix tra Gesù e
showman inglese LaPresse
Che Guevara, eccessi e
vitalismo senza soluzio“NON VOTATE”
ne di continuità. Un passato di droga e alcolismo,
Lo showman accusato
alternati a disordini bipolari e bulimia, Russell
con le sue frasi
Brand è diventato una
di allontanare i giovani
sorta di guru dell’antipolitica. Appena un anno fa
dai temi sociali, eppure
Brand era apparso nel
programma politico per
i messaggi hanno
eccellenza, l’approfondil’effetto opposto
mento serale della Bbc
tagna”. Riluttante perché ha sempre detto che non intende candidarsi ad alcunché, ma solo dare
voce alla maggioranza silenziosa
del paese che nessuno rappresenta. Entrambi comici ed entrambi
anti sistema.
Ma le analogie Brand-Grillo finiscono lì. Ora arriva con il libro-manifesto che invita alla Rivoluzione, partendo proprio dal
non voto. “Questo non è il migliore dei mondi possibili, come vi
hanno fatto credere”. L’ombra di
Thomas Piketty, il teorico della
nuova disuguaglianza - citato anche nei ringraziamenti - aleggia in
tutto il libro.
BRAND SI PONE come il paladino
dei nuovi poveri, il 99 per cento
che “perde la casa, il lavoro, i servizi sociali” e i politici se ne fregano. Dice qualcosa di sinistra,
mentre il Labour balbetta contro
gli immigrati, per paura dell’avanzata
degli
indipendentisti
dell’Ukip. Nelle nuove vesti di attivista antisistema ha anche riadattato il “Pifferaio magico” e “I
vestiti nuovi dell’Imperatore” per
uno spettacolo speciale, sul palco
della Royal Albert Hall di Londra,
il mese prossimo. Hanno accusato
Brand di dare il cattivo esempio ai
giovani e di allontanarli dalla politica. Ma paradossalmente è successo proprio il contrario: il suo
messaggio antipolitico ha catturato l’interesse di un sacco di gente
che non si era mai interessata a
temi sociali e non ha fiducia nella
democrazia.
il Fatto Quotidiano
ALTRI MONDI
NORD COREA TEST MISSILI SOTTOMARINI
Dalle immagini satellitari si vede una nuova
struttura, con un ingresso sotterraneo, che potrebbe essere usata per testare il lancio di missili balistici da sottomarini, sulla costa orientale.
Lo riporta il sito web 38 North, che monitora
le attività del regime di Pyongyang Ansa
TURCHIA 18 MINATORI INTRAPPOLATI
Il guasto di un tubo dell’acqua ha allagato la
galleria la miniera di carbone Has Sekerler, nel
sud del Paese. Sono 18 gli operai bloccati a 300
metri sotto terra e 225 i soccorritori intervenuti.
Il soccorso è difficile e sono poche le possibilità
di salvare i minatori. Ansa
MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014
17
I “MALATI” AMERICANI A VICENZA
E LA QUARANTENA DEI LEGHISTI
MENTRE NELLA BASE 11 MILITARI SONO SOTTO OSSERVAZIONE DOPO ESSER STATI NEI
LUOGHI DI EBOLA, I SINDACI DEL NORD-EST IMPONGONO VISITE MEDICHE AGLI STRANIERI
di Alessio
Schiesari
O
k la quarantena,
ma si continua a
lavorare. Gli 11
cittadini statunitensi rientrati alla caserma ex
Dal Molin dopo la missione
anti-Ebola in Africa resteranno per 21 giorni, questo il periodo massimo di incubazione del virus, isolati dai vicentini, dai loro commilitoni e
dal resto del mondo. Eppure,
il diplomatico e 10 dieci militari, tra cui due donne, continueranno a lavorare. Lo si è
visto anche alla conferenza
stampa di ieri, in cui il generale Derryl Williams, l’ufficiale a capo delle operazioni in
Liberia, ha risposto alle domande in videoconferenza
dall’edificio nel quale è confinato.
Anche se il comando Usa ri-
USA L’Allegro Chirurgo
non ha soldi per curarsi
inventore dell’“Allegro Chirurgo”, ironia delL’
la sorte, deve essere operato ma non ha denaro sufficiente. John Spinello oggi ha 77 anni e
qualche problema di salute; era solo uno studente
di design industriale quando, ormai 50 anni fa,
inventò il gioco da tavolo “Operations” (da noi
tradotto in “Allegro Chirurgo”) in cui lo scopo era
operare con mano ferma. John con l’invenzione non si è arricchito
perché ne aveva venduto la licenza per soli 500
dollari. Il gioco ha venduto milioni di copie in
tutto il mondo. Adesso
che l’inventore sfortunato deve essere operato alla gola, alcuni suoi amici
hanno lanciato una campagna on line per aiutarlo.
Chissà che qualche ex bambino diventato medico
grazie al gioco non si faccia avanti.
fiuta il termine quarantena –
sostituito da un più rassicurante controllo monitorato –
è evidente che la sostanza non
cambia. I militari sono stati
confinati in tre edifici: uno
per gli alloggi, uno per lo svago e un terzo per continuare a
svolgere le mansioni d’ufficio.
Il controllo della temperatura
corporea, che viene realizzato
due volte al giorno, è affidato
agli stessi militari in isolamento, in modo da evitare i
contatti con il personale sanitario. Durante tutto il periodo della quarantena, infatti, i soldati avranno rapporti
diretti solo con i commilitoni
rientrati dall’Africa insieme a
loro.
LA STESSA PROCEDURA verrà seguita per gli altri due scaglioni di militari, entrambi tra
le 30 e le 35 unità: il primo
rientrerà in Veneto mercoledì, il secondo sabato. In caso
di sospetto contagio è previsto
il ricovero all’ospedale cittadino, il San Bortolo. “Al momento non sono previste altre
partenze”, fanno sapere dalla
base. Il comando della missione passerà quindi al 101ima
divisione
aviotrasportata
Kentucky.
La quarantena dei soldati “vicentini” è una sorta di esperimento pilota: è la prima volta che il Pentagono prende
una misura di profilassi così
drastica e, anche sulla base di
quest’esperienza, e di quella
analoga in corso nella base tedesca di Ramstein, si deciderà
se applicare lo stesso protocollo per i militari inviati in
Africa direttamente dagli States.
Nonostante le ripetute rassicurazioni degli ufficiali Usa,
“nessuno dei nostri soldati è
entrato in contatto con persone affette da sintomi di ebola” (e, in effetti, la missione è
La videoconferenza dalla caserma Ederle a Vicenza Ansa
TEST-PILOTA
La procedura potrebbe
essere replicata
per tutti i reparti
statunitensi di ritorno
dalla missione
in Africa occidentale
volta alla creazione di infrastrutture sanitarie e centri di
isolamento, non alla cura di
chi ha contratto il virus), il governatore del Veneto, Luca
Zaia, non ha preso bene la decisione di fare rientrare i militari in Italia invece che negli
States. “La quarantena se la
facciano a casa loro. È anche
una questione di rispetto istituzionale nei nostri confronti”, ha dichiarato l'esponente
leghista prima di promettere
una protesta ufficiale all’ambasciatore americano in Italia.
“La scelta di farci rientrare a
Vicenza è stata dei vertici militari Usa, noi abbiamo obbedito a degli ordini”, ha risposto a distanza il generale Williams.
Dello stesso tenore delle parole di Zaia anche la proposta
lanciata dai parlamentari veneti del M5s, che anzi hanno
rilanciato: “Il governo rispedisca a Washington tutti i militari Usa operativi nella base
di Vicenza”.
MA È TUTTA LA POLITICA
regionale ad avere messo la
possibile epidemia al centro
delle priorità e dei rischi imminenti per i veneti. Il sindaco
di Padova (anche lui leghista),
Massimo Bitonci, primo in
Italia ha emesso un’ordinanza
“anti-Ebola”: libretto sanitario e visita medica obbligatoria per tutti gli stranieri pro-
CARROCCIO E M5S
Gli esponenti dei due
partiti chiedono
al governo di rispedire
in patria i soldati.
Nell’ordinanza sanitaria
anche i profughi siriani
venienti “dall’area africana”
che vogliano soggiornare nella città patavina. Curiosamente però nel provvedimento che
indica la lunga lista di Paesi a
rischio (tra cui figurava perfino la Siria), mancano Guinea, Liberia e Sierra Leone,
ovvero quelli colpiti dalla pandemia. Il virus della psicosi è
contagioso: nei giorni scorsi
l'ordinanza Bitonci è stata replicata da svariati altri sindaci
del Carroccio.
La ripresa mette in crisi McDonald’s (e la Barbie)
TRA ECONOMIA E ‘POLITICAMENTE CORRETTO’ DUE SIMBOLI USA IN DECLINO, PER VIA DELLA CONCORRENZA E DEI MODELLI SOCIALI CHE CAMBIANO
di Angela
Vitaliano
New York
volte non servono elezioni,
A
nuovi presidenti, grandi campagne di sensibilizzazione per cam-
biare il volto di un
paese. A volte, il
cambiamento avviene quasi “silenziosamente” e quando si è
realizzato ce ne rendiamo conto
perché ciò che, fino a ieri, ci “rappresentava”, oggi, non esiste più.
Questo è, difatti, proprio quello che
potrebbe succedere negli Stati Uniti
dove, due dei simboli meglio riconoscibili a livello globale, potrebbero, in un futuro prossimo, addirittura scomparire.
SI PARLA DI MCDONALD’S, la ca-
tena di fast food più famosa al mondo e della bambola “reginetta di tutte le bambole”, la celeberrima Barbie, compagna fedele di generazioni
di bambine, amata e detestata con la
stessa passione e veemenza.
Gli americani, improvvisamente,
ma neanche troppo, sembrano aver
smesso di amare entrambi e di essersi appassionati a prodotti simili,
ma alternativi. I profitti di McDonald’s, a esempio, alla fine di settembre, hanno fatto registrare un
calo del 30%, segnando un record negativo per il 4° trimestre consecutivo. Le azioni della catena di fast food sono
scese del 5,2% facendo apparire sempre più vicina la possibilità di una chiusura in perdita, evento che si è verificato
solo un’altra volta negli ultimi
dieci anni.
A determinare il declino, al
momento inarrestabile di
McDonald’s, è stato prima di
tutto l’intensificarsi della concorrenza rappresentata da catene come Burger King e Wendy’s
che sono state rafforzate dagli in-
genti capitali delle banche di investimento. Non vanno poi sottovalutate le questioni di politica estera
con il governo russo che, adducendo ragioni “sanitarie”, nei giorni
piu’ difficili della crisi ucraina, ha
ordinato la chiusura di 5 McDonald’s senza lasciar capire quando
potranno tornare in attività.
CI SONO POI RAGIONI più squisi-
tamente economiche legate all’aumento del prezzo della carne dovuto, in particolare, al persistere del
virus della “mucca pazza” e, di conseguenza, all’aumento del prezzo
dei menù offerti dal fast food. Non
va dimenticato, inoltre, un nuovo
trend che si sta diffondendo nel paese legato all’ alimentazione “sana” e
ai prodotti biologici che hanno reso
il McDonald’s, soprattutto nella
grandi città americane,
sempre meno invitante.
BIOLOGICO E SORPASSATA
Stesso destino quello
della Barbie che, con il
La catena di fast food risente anche del
calo delle vendite del
boicottaggio russo; la bambola rappresenta
21% fatto registrare a
un immaginario femminile superato
settembre, fa segnare
un nuovo minino, dopo il - 15% del
trimestre precedente. Quella che
una volta era la punta di diamante
della produzione Mattel, dunque,
rischia di trascinare l’intera nave
ammiraglia in acque molto turbolente se non si riesce a pianificare in
modo da assicurare un’inversione
di tendenza, soprattutto ora che la
Walt Disney è pronta ad affidare la
licenza per la produzione del modello “Frozen” alla Hasbro.
E se e vero che la vendita delle bambole, in generale, è calata, dal momento che i bambini preferiscono i
giochi elettronici, è anche vero che
la Barbie è quella che fa registrare le
perdite maggiori, contro un meno
preoccupante -7% dell’altrettanto
famosa American Girl Doll. Questo
perché la bionda e longilinea Barbie,
eterna fidanzata del “belloccio”
Ken, rispecchia sempre meno il
mondo “ideale” delle bambine che,
finalmente, hanno le stesse opportunità dei maschietti di accedere a
giochi che siano anche istruttivi e
che non evochino un modello ormai vetusto (e da archiviare) di donna.
18
il Fatto Quotidiano
MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014
TENSIONE JUVENTUS-INTER,
CI MANCAVA EVELINA CHRISTILLIN
L’organizzatrice di Torino 2006, accesa tifosa
bianconera, in un post sull’Huffington Post,
ha definito Thohir “Cicciobello a mandorla”
e ironizzato sui denti di Moratti
ALTRI GUAI PER MARADONA:
SCHIAFFI ALL’EX FIDANZATA
JOAN AS A POLICE WOMAN:
TOUR ANNULLATO ANCHE IN ITALIA
La tv argentina Canal 13TV ha trasmesso
un video in cui Maradona picchia l’ex
fidanzata Rocío Oliva. È stata la stessa
ragazza a girare il video e a diffonderle
SECONDO
La cantautrice Joan As a Police Woman
(Joan Wasser) ha annullato per gravi motivi
familiari il tour europeo, comprese le tre date
italiane a Bologna, Milano e Torino
TEMPO
SPETTACOLI.SPORT.IDEE
Amori all’ultimo sangue
“UOMINI E DONNE” DI MARIA DE FILIPPI: È SOLO UN PROGRAMMA TV O LE NOSTRE VITE SONO DAVVERO (CONCIATE) COSÌ?
I
di Silvia Truzzi
l Segreto è Jonás Berami che –
morto come Juan Castaneda
nella telenovela spagnola più vista della stagione – è resuscitato
negli studi di Uomini e Donne.
Dove “sta facendo un percorso”
(qui si esprimono così) con diverse corteggiatrici (alcune dai
nomi improbabili, tipo Rama
Lila. Ma è un classico, è un posto
pieno di Sharon, di Noemi, di
Samuel). Se lo contendono una
stangona tutta tatuata – che non
è augurabile avere come nemica
e la cui mission esistenziale è “far
ridere il suo uomo” – e una pierre discotecara con un deficit alle
ghiandole lacrimali. Su un altro
trono “maschio” c’è Andrea,
bolognese che arriva dal Grande
Fratello, ha uno strepitoso successo sui social e ci tiene molto a
mostrare il cipiglio decisionista.
Lato par condicio: Teresa – from
Sicilia with love – ricorda come
l’ironia di Aristofane sul genere
( “non esistono al mondo creature più sfrontate delle donne”)
sia più che mai fondata. Al suo
cospetto un Salvatore biondo
che prova timidamente a rompere il ghiaccio: “Sei contenta di
vedermi? No”, quindi sì. Però
sai che c’è? Bacio Fabio. E tie’.
PER CHI non l’avesse mai visto –
ed è pressoché impossibile: è in
onda da 18 anni – il programma
pomeridiano di Canale 5 mette
in scena (letteralmente) il corteggiamento. Che è già una messa in scena di se stessi, cioè il momento in cui si espone la mercanzia migliore (le magagne arrivano poi), e che probabilmente oltre le quinte di Mediaset è
roba piuttosto archeologica.
Da qualche anno, la trasmissione condotta da Maria De Filippi
non è più uno spazio riservato
solo a giovani carini pieni di belle speranze: esiste anche una editio senior, riservata alle persone
con più primavere alle spalle,
forse per esaurimento scorte o
problemi di discriminazione
(più che per esigenze commerciali: gli ascolti premiano il “trono classico” rispetto al “trono
over”, che in effetti non è un bel
vedere). Per tutti lo scopo – al di
là dell'attrazione fatale per la no-
ZEFFIRELLI contro La Scala
“La mia Aida venduta”
di Mariateresa Totaro
cervelloni della Scala stanno pensando a me come un
I
artista da dimenticare”. Il regista Franco Zeffirelli si sfoga
contro il teatro La Scala di Milano, che ha ceduto all’Astana
Opera Theater del Kazakistan la produzione della “sua” Aida,
diretta dal maestro nel 2006. Una “infame procedura”, secondo il regista, “che richiederà fermamente l’intervento
della magistratura”. Ma il teatro milanese si difende: “L’allestimento dell’Aida era di esclusiva proprietà della Scala – si
legge in una nota – che continua ad
avere alta considerazione per Zeffirelli.
Sono stati pienamente tutelati i titolari
dei diritti, cioè Zeffirelli e il costumista
Maurizio Millenotti, che sono stati
contattati dall’Astana Opera Theatre per
la corresponsione di quanto dovuto”.
Ma il regista non ci sta: “La Scala si arrampica sugli specchi. Non è vero che
sono padroni definitivi di un’opera d’arte, non è vero che ne
possono fare quello che vogliono. Sono stato trattato come
un oggetto da buttare via. Aida doveva tornare in scena quest’anno. Non voglio fare nomi, ma la verità è che c’è un
signore che ha portato la morte a La Scala, con spettacoli
incredibilmente volgari, banali, indegni del teatro. Mettere
in scena questa Aida per me è stato come tirare su un figlio,
apprezzato da milioni di persone. Adesso lo buttano via. Si
trattava con tutta umiltà, della migliore produzione di questo capolavoro che abbia mai portato al pubblico”.
Maria De Filippi conduce “Uomini e Donne” da 18 anni. Sotto, Carlo Freccero LaPresse
torietà – è trovare il compagno
della vita: e non è mica cosa da
poco, specie in questi tempi
confusi, di recriminazioni reciproche e tentativi maldestri di
raggiungere equilibri tra ruoli in
continua trasformazione.
I tronisti (la parola è entrata nello Zanichelli nel 2009) si accomodano e aspettano che i corteggiatori dell’altro sesso trovino
qualcosa di brillante da dire/fare
per conquistarli. E vai con balli
del mattone 2.0, omaggi di rose
rosse al ralenti, esibizioni di canto (libri e poesie pochini, ma sono anticaglie). In esterna, dove
la libertà di corteggiamento è
maggiore e ci si può sbizzarrire
creando situazioni più intime, è
un trionfo di coperte stese su
prati all'inglese e cuscini su cui i
due aspiranti piccioncini si possono accomodare in favore di
telecamere: sospiri (moltissimi), carezze, bacetti. A volte
perfino più impegnativi baci alla
francese, che regolarmente fanno incazzare gli aspiranti competitor che in studio si rivedono
la prestazione dell’avversario e
gli danno la pagella. Il meccanismo è geniale, fa leva su una dinamica universale: la competizione. Che ha come principale
terreno di scontro l’avvenenza
fisica. Ma è una gara da poco, almeno nella sezione giovani: sono tutti uguali. Capelli, abiti,
facce, per le ragazze bocche fucsia (colore in voga presso le estetiste negli Anni 80), unghie lunghissime tinteggiate di cafonissime nuance nere, blu e marrone. Non si farebbe fatica a sostenere un'accusa di atti osceni in
luogo pubblico anche nei confronti dei costumisti: e non per il
pudore leso, ma per attentato
all’eleganza.
Se l’estetica anestetizza la vita,
con l'etica – si fa per dire – non
va meglio. Il cuore dello spettacolo è la guerra tra i pretendenti
e le pretendenti. Le accuse sono
sempre le stesse, si ripetono in
loop: vuoi solo metterti in mostra, sei un esibizionista, sei geloso di me perché sono più figo
di te, ti comporti male, sei aggressivo. Notoriamente chi va in
televisione a raccontare i fatti
Ma poi Uomini e donne fa giri lunghi: prima o poi ritornano.
All’inizio di ottobre una tal Valentina ha abbandonato lo studio strepitando perché “insultata dagli opinionisti” (un ballerino e una signora conciata alla
moda di Moira Orfei commentano le performance). L'ultima è
una rissa tra due signori (Ciro e
Franco, si legge su uno dei mille
siti che sfornano a ogni ora in-
IL SUCCESSO
“Il programma –sostiene
Carlo Freccero –descrive
in maniera sublime
la ‘pancia’del Paese,
un proletariato espresso
solo dai suoi sentimenti
suoi, a fare mille moine di pseudo seduzione, lo fa per timidezza o desiderio d'introspezione.
La frase più gettonata è: “Non è
possibile che ti piaccia lei, se ti
piaccio anche io. Ddai, siamo
troppo diverse”. Come se uno a
cui piace la torta di mele, non
potesse amare anche la millefoglie (lo scopo ovviamente è farsi
dire: ma no, sei meglio tu).
IN OGNI CASO, un po’ aggres-
sivi lo sono davvero, anche perché in tv la dolcezza non ha mai
pagato. E sono le ragazze a essere specialmente incazzose (la
famosa “ira funesta delle cagnette” cui si sottrae l’osso). Periodicamente c’è qualcuno che
se ne va, dopo sceneggiate tra
l'oltraggiato e l'indignato.
discrezioni sul programma) finita al pronto soccorso. La circostanza strabiliante è che riescono a fare un gigantesco casino parlando di niente. E se tutto questo sia o no la fenomenologia di qualcosa (siamo davvero così?), lo spiega bene Carlo
Freccero, un signore che di tv – e
del rapporto tra media e realtà –
se ne intende parecchio. “Molti
mi chiedono il perché di questa
mia passione, televisiva ovviamente, per Maria De Filippi –
scrive sul sito Tvblog – Semplice:
la De Filippi descrive in maniera
sublime la ‘pancia’ del Paese,
l’audience profonda di un proletariato che è espresso esclusivamente dai suoi sentimenti.
Ma, come l’audience, che registra e replica i gusti della mag-
gioranza, i suoi programmi replicano e amplificano la pancia
del Paese, facendo di quello che
è lo strato più fragile, meno acculturato, un modello positivo
da seguire. Il coatto diventa una
star”. Però nonostante l'usura –
18 anni sono una vita intera – il
programma tiene: l’audience è
assestata sul 20%. E questo – oltre la constatazione della pessima salute dei rapporti maschi-femmine – qualcosa vorrà
dire. Non è possibile fare un paragone con l’emorragia di ascolti dei talk politici, però sempre
Freccero, spiega un aspetto interessante. “Mi sono chiesto in
cosa i programmi della De Filippi, che mettono insieme le storie
dei meno acculturati, differiscono da programmi come quelli di
Santoro, che mettono ugualmente in scena il malessere sociale. Un cassintegrato che va da
Santoro a parlare della sua condizione lavorativa, sta scrivendo
una pagina di sociologia. La
stessa persona, nel ruolo del tronista di Uomini e donne, svela al
pubblico la sua psicologia. Maria De Filippi è funzionale alla
televisione commerciale nella
misura in cui affronta la dimensione psicologica individuale,
mettendo in scena la sfera dei
sentimenti e del privato”.
VALE che l'amore, il rapporto
con l’altro sesso, è l'argomento
più trasversale (e antico) del
mondo: appassiona il calciatore,
l’operaio, l'ingegnere nucleare,
l'infermiere, l'intellettuale impegnato (ammesso che ne esistano ancora nella fascia under
70) perché l’attrazione per il mistero dell’altro da sé è cosa ancestrale. In onda ovviamente lo
iato verità-finzione è più che
mai marcato. Però ci sono alcune cose che dalla vita quotidiana
si riflettono sullo schermo.
Per esempio la mascolinizzazione della femmina – di cui ha parlato giustamente anche Massimo su questo giornale – e la conseguente femminilizzazione del
maschio: le donne inseguono gli
uomini come mai hanno fatto –
in marcia militare su tacco 12 – e
non sanno più fare le prede. Viceversa, il maschio intimidito
non riesce più a cacciare, se non
se stesso nei guai. Dunque probabilmente Uomini e donne andrà
in onda per sempre. Almeno
finché, con il suo apprezzabile
aplomb distaccato, Maria De Filippi non abolirà l'amore per sfinimento. La pubblicità ovviamente la darà Matteo Renzi, che
per allora sarà diventato anche
opinionista unico sul Trono di
Mediaset.
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
Il mister
MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014
19
Pierpaolo Bisoli
Il pallone, specchio dell’Italia:
pagano le piccole, come gli operai
di Andrea Scanzi
N
on mi chieda se ho
un libro preferito:
sono una persona
semplice e concreta, mi sono fermato alla prima
di Ragioneria”. Pierpaolo Bisoli, allenatore del Cesena tra poco 48enne, insegue le parole
giuste: “Ai libri preferisco la
cronaca nera in tivù, per esempio Quarto Grado. Da mesi mi
interrogo sul caso Yara Gambirasio. Qualcuno lo troverà
macabro, ma il mio è solo il desiderio di provare a comprendere l’animo umano: sa, per un
allenatore è importante”. Il bilancio, sin qui, è positivo: “Stiamo andando bene e ci manca
qualche punto. Con Milan, Palermo e Inter meritavamo di
più, ma non mi lamento. Non
l’ho mai fatto, neanche con gli
arbitri”. Beh, mica tanto: domenica scorsa si è fatto espellere dopo Cesena-Inter e il presidente Lugaresi ha definito
“un poveretto” Mazzoleni: “Ho
fatto un errore di negligenza,
ma chiedevo solo rispetto. Vogliamo valere come gli altri”.
Con chi vi giocherete la salvezza?
Empoli, Cagliari, Chievo, Sassuolo, Palermo, Parma, Atalanta e Chievo.
Le sue precedenti esperienze in
Serie A non sono state fortunate: esonerato a Cagliari e Bologna.
Oggi sono un po’ più riflessivo,
ma voglia e passione restano
quelle. Ero così anche 12 anni
fa, quando ho cominciato ad
allenare a Porretta Terme, il
posto in cui sono nato.
In Italia i giovani hanno poco
spazio. Lei rappresenta una
controtendenza.
Spesso l’ho pagata sulla mia
pelle: a Cagliari ero tra i pochi a
credere in Nainggolan e non
mi pare di avere sbagliato. Nel
mio Cesena ci sono sempre
tre-quattro ragazzi del ’93 e ’94.
Con i giovani non hai certezze,
una volta ti danno 7 e quella
dopo 4,5, ma è così che ho portato in Nazionale quattro semisconosciuti dalla C2.
PALLONE D’ORO L’Italia
è soltanto in panchina
ifa e
hanno rivelato la rosa dei 23 canF
didati al Pallone d’Oro 2014 e dei 10 tecnici in lizza per
il titolo di Allenatore dell’Anno. I vincitori, scelti dai ca-
Chi?
France Football
Diamanti, Giaccherini, Schelotto e Parolo. Non ci credeva
nessuno. Diamanti voleva abbandonare il calcio, Schelotto
era un oggetto misterioso, su
Giaccherini ho puntato quando era in Interregionale e Parolo l’ho fatto prendere dal fallimento della Pistoiese. Ne vado fiero.
pitani e dai ct delle Nazionali e da una giuria di giornalisti,
saranno proclamati il 12 gennaio 2015. Ecco, in ordine
alfabetico, i candidati: Gareth Bale (Galles), Karim Benzema (Francia), Diego Costa (Spagna), Thibaut Courtois
(Belgio), Cristiano Ronaldo (Portogallo), Angel Di Maria
(Argentina), Mario Götze (Germania), Eden Hazard (Belgio), Zlatan Ibrahimovic (Svezia), Andres Iniesta (Spagna),
Toni Kroos (Germania), Philipp Lahm (Germania), Javier
Mascherano (Argentina), Lionel Messi (Argentina), Thomas Müller (Germania), Manuel Neuer (Germania), Neymar (Brasile), Paul Pogba (Francia), Sergio Ramos (Spagna), Arjen Robben (Olanda), James Rodriguez (Colombia), Bastian Schweinsteiger (Germania), Yaya Touré (Costa d'Avorio). Nessun italiano dunque; solo tra gli allenatori in lizza Carlo Ancelotti e Antonio Conte.
Nel 2004 era il vice di Dino
Zoff alla Fiorentina.
Zoff ha una caratura micidiale.
Pacatissimo, con una cultura
fuori dalla media. Geniale e
mai impulsivo. Lo sento ancora.
Avete fermato il Milan di Inzaghi. Le piace?
SUDDITANZE
PSICOLOGICHE
Gli arbitri fanno più
attenzione con Juve
o Inter rispetto al Cesena.
Fanno come noi: lei
è più teso con un potente
o con un mendicante?
È triste, ma è così
IN ROMAGNA
Pierpaolo Bisoli ha portato
in Serie A il Cesena lo scorso
campionato. Quest’anno
è stato riconfermato LaPresse
di cultura elevata e gente di
strada. Un giorno sei un dio in
terra e quello dopo un deficiente. È un’altalena continua, soprattutto da allenatore: la società di oggi è più complessa, i
giovani non hanno regole e devi tenere insieme spogliatoi
multietnici con sensibilità diverse. A volte sei il papà comprensivo, altre la guida autoritaria da temere.
Chi è stato il suo maestro?
Ho affrontato la Juventus, che è
di un’altra categoria e gioca un
campionato tutto suo. Stasera
troveremo la Roma e potrò giudicarla. Il Milan ha un attacco
inferiore solo a Juve e Roma. E
neanche di molto.
Entrambi i suoi figli fanno i calciatori.
Ne sono felice: il calcio è una
straordinaria palestra di vita, ti
permette di incontrare persone
Carletto Mazzone. Nel ‘90/91
lo etichettavano già come rude
e difensivista, ma era già avanti
di venti anni.
Anche lei è definito rude e difensivista. La chiamano “Mister 0 a 0”.
Pago anch’io il fatto di non frequentare i salotti buoni e non
mettere la cravatta. Ho vinto
cinque campionati e qualche
giovane l’ho lanciato, cosa che
non sarebbe accaduta se pensassi solo al risultato. Se Capello e Mourinho dicono che la
chiave del successo è la difesa, li
chiamate innovativi; se lo dico
io, sono Mister 0 a 0. Devo poi
rivelarle una cosa.
Prego.
L’allenatore si vede nella fase
difensiva, non in quella offensiva. Negli ultimi 16 metri, là
davanti, è quasi tutto istinto. Se
un attaccante segna, è molto
spesso per una intuizione sua.
Non è che Dybala ha segnato
contro di noi perché gliel’ha
detto Iachini: lo ha fatto perché
è stato più freddo sottoporta
del mio Rodriguez. Nessun allenatore, a parte Zeman, ha in
Italia schemi offensivi riconoscibili. La bravura di un tecnico
si vede nella fase difensiva.
Sta dicendo che Inzaghi non è
un bravo allenatore?
Non posso né voglio dirlo, ma
Inzaghi aveva enormi difficoltà
fino ai 16 metri: poi, quando li
oltrepassava, diventava il calciatore più forte del mondo. E
lo era perché è nato così, non
perché lo aveva imparato dagli
allenatori.
Un tecnico si valuta anche dai
gol che subisce da palla inattiva: il Cesena ne prende più di
quanto dovrebbe.
Vero, ma i giornalisti dovrebbero considerare anche l’altezza delle rose. Se ho una difesa
alta in media 1.75 e l’attacco avversario supera il metro e 80, i
miracoli non li posso fare.
La Gialappa’s la prendeva in giro, reputandola un Hans Peter
Briegel dei poveri.
Mi divertiva molto. Confesso
che, ancora oggi, quando sono
triste riguardo qualche spezzone. Erano gli unici o quasi a
parlare di me, mi resero un po’
famoso. Oggi un programma
come Mai dire gol non sarebbe
possibile: troppi calciatori permalosi, troppi procuratori.
Quando vede arbitri come Rocchi e Mazzoleni compiere disastri, pensa alla malafede o alla
sudditanza psicologica?
Penso che il calcio non è un
mondo a parte e che, così come
nella società è l’operaio a pagare e non il notaio, anche nel
calcio spesso paga la provinciale. Tutti sbagliano, l’arbitro come l’allenatore, e l’arbitro avverte una maggiore soggezione
se incontra Juve o Inter e non il
Cesena. Proprio come noi: lei si
sente più teso se incontra un
uomo di potere o un mendicante? È triste, ma è nell’ordine
delle cose.
Lei era in campo nella famosa
Perugia-Juve del gol di Calori.
Ero il più vecchio del Perugia,
la stampa mi definiva ‘l’uomo
di Mazzone’. Quel pomeriggio
marcavo Del Piero e il giorno
dopo si parlava solo di me e Calori. Con Alessandro ci siamo
chiesti spesso se, quella volta,
abbiamo sbagliato.
Che risposta vi siete dati?
Che siamo stati onesti. Non
posso dire che giocammo col
coltello tra i denti, ma posso dire che fummo professionisti:
molto semplicemente, facemmo quello che dovevamo fare.
IL VERO FENOMENO
Carlos “Kaiser”, la leggenda
del calciatore mai sceso in campo
di Luca
Pisapia
el mondo realmente rovesciaN
to, il vero è un momento del
falso” scriveva Guy Debord prefi-
gurando la società dello spettacolo,
di cui il calcio è parte integrante.
Impossibile quindi sapere se i mirabolanti racconti di Carlos Henrique Raposo, detto Kaiser, cinquantenne che lavora a Rio de Janeiro
come personal trainer, appartengano al vero o al falso.
MA LA STORIA merita di essere
raccontata. È la storia di un ragazzo
brasiliano che per quasi vent’anni si
è finto calciatore, stipulando lucrativi contratti in patria e all’estero
senza mai scendere in campo.
È la storia del più grande illusionista del pallone. Di Carlos Kaiser,
cui sono state dedicati un documentario e una pagina su Wikipedia, anche se le prime tracce della
sua esistenza possono essere fatte
risalire a pochi anni fa, con un’in-
tervista sul quotidiano portoghese
Mais Futebol, si racconta che nasce a
Rio de Janeiro nei primi anni Sessanta e che la famiglia, di umili origini, lo spinge verso il calcio come
riscatto sociale. Carlos ci prova, ma
nonostante il fisico asciutto e la somiglianza con Beckenbauer, da qui
il soprannome Kaiser, non riesce a
sfondare. E a vent’anni è già un ex
calciatore. Ma se non ha i piedi
buoni, Carlos ha altri talenti: è socievole, colto, ama divertirsi e soprattutto ha una grande faccia tosta. È così che nelle notti festose dei
primi anni Ottanta di Rio de Janeiro diventa amico di molti calciatori famosi – come i futuri nazionali Bebeto, Romario, Edmundo
e Renato – e mette in pratica il suo
piano: convince gli amici in procinto di trasferirsi da un club all’altro a inserire nel contratto una
clausola per cui assumano anche
lui, giovane fenomeno di cui
all’epoca basta dire che se n’è sentito parlare un gran bene. Carlos
Kaiser riesce così a farsi ingaggiare
addirittura dal prestigioso Botafogo e l’anno dopo, nonostante le zero presenze, a trasferirsi al Flamengo, dove ancora non gioca mai.
Non potendo lavorare sulle sue abilità piuttosto scarse di calciatore, lavora sul personaggio: si veste bene,
frequenta i posti giusti e gira con un
telefono portatile, che poi si scopre
essere un giocattolo, con cui finge
di parlare con dirigenti stranieri
pronti a ingaggiarlo.
Per resistere alla tentazione di scendere in campo e scoprire il bluff, la
storia vuole che finga continuamente infortuni, attraverso certificati medici fasulli o chiedendo a un
compagno complice di fargli male
durante l’allenamento.
POI SI FA PERDONARE organiz-
zando festini a luci rosse per la gioia
di squadra, tifosi e giornalisti, che
vergano articoli in cui ne scrivono
un gran bene. Dopo un anno in
Messico al Puebla e uno negli States
del Pallone (1984) in cui Lino Banfi
ESPLOSIONE SOCIAL Il quotidiano portoghese “Mais Futebol” che per
primo ha raccontato la storia di “Kaiser”
a El Paso, rientra in Brasile senza
aver mai giocato una sola partita.
L’allenatore del Bangù, forse sospettoso, ci prova mandandolo a
scaldarsi nel secondo tempo di una
partita. Davanti all’abisso, Carlos
Kaiser non si scompone, e un attimo prima di togliersi la tuta si
scaglia contro un tifoso che a suo
dire l’ha insultato facendosi espellere. L’ingresso in campo è scongiurato.
L’illusionista può continuare a
spacciare il falso come vero e a preparare il suo capolavoro: un contratto da professionista in Europa,
con l’Ajaccio. D’altronde siamo in
un’epoca in cui lo scouting è amatoriale. Lo spezzone de L’allenatore
gira per tutta Rio a cercare presunti
campioni accompagnato da due
truffatori di mezza tacca come Gigi
e Andrea, è più reale di quanto si
possa immaginare.
In Corsica si fa benvolere al primo
allenamento baciando la maglia e
spedendo palloni in tribuna, per la
gioia dei tifosi, e tanto basta per
restarci un anno. Rientrato in patria, continua a (non) giocare fino
alla soglia dei quarant’anni.
QUANTO sia vero di questo raccon-
to, in fondo del tutto offerto in prima persona da Carlos Henrique
Raposo – lui dice di aver giocato, o
meglio di essere stato sotto contratto, anche con il club argentino
dell’Indipendiente che però nega di
averlo mai avuto in rosa – non è
dato saperlo, ma d’altronde, ammoniva Italo Calvino: “La menzogna non è nel discorso, è nelle cose”. E nel calcio, sublimazione della
società dello spettacolo, la menzogna è ovunque. Anche oggi. A guardare le rose delle grandi squadre, si
trovano molti giocatori che stazionano uno o più anni in un club
senza mai mettere piede in campo.
Carlos Kaiser, in fondo, è il nome di
ciascuno di loro.
20
SECONDO TEMPO
MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014
il Fatto Quotidiano
OUTDOOR
2014 Urban Art
Festival, Roma,
ex Dogana Scalo
San Lorenzo
OUTDOOR 2014
Moving Forward,
l’arte è per tutti
ROMA, 5.000 MQ DI ESPOSIZIONE ALLO SCALO
SAN LORENZO, STREET ART MA NON SOLO
di Diletta Parlangeli
I
n Europa, c’è una strada
che mi voglio ricordare”
(Ivano Fossati, Last Minute): una di quelle strade, adesso, si trova a Roma. Un
angolo d’Europa, di quell’Europa contemporanea che reinventa gli spazi, li investe e li trasforma, e li condivide senza
trincerarsi dietro l’altezzosa
IL FUMETTO
formula prestampata di chi fa
arte e la tiene per sé, ché deve
essere per pochi.
È un’operazione riuscita, quella dell’Outdoor 2014, quinta edizione dello Urban Art Festival
intitolato quest’anno Moving
Forward, che ha lasciato zona
Ostiense e si è catapultato alla
vecchia Dogana di Scalo San
Lorenzo. Cinquemila mq di
complesso industriale del 1925
di Stefano
Feltri
Uno, nessuno
e centomila Dylan
DYLAN DOG 337 - SPAZIO PROFONDO
di Roberto Recchioni, Nicola Mari e Lorenzo De Felici, Sergio Bonelli editore, 98 pagg., euro 3,20
L’UNICO VANTAGGIO di arrivare per ultimi a
recensire il nuovo inizio di Dylan Dog (colpa
della lentezza delle Poste Italiane, ma sorvoliamo) è che c’è stato il tempo di leggere le tante
reazioni sul web. Le premesse sono arcinote:
Roberto Recchioni è il nuovo curatore della collana – ormai da un anno – e dopo aver salvato il
salvabile delle storie già in lavorazione (i tempi
alla Bonelli sono lunghi), lancia ora un nuovo
corso dell’Indagatore dell’incubo che dovrebbe svecchiarlo un
po’, senza stravolgerlo: più tecnologia, nuovi personaggi, am-
messi in mano a 15 artisti provenienti da 6 nazioni differenti.
Si potrebbe anche chiamare
street art, non fosse che non è
su strada, ma in un enorme
spazio chiuso. E poi, spiega la
curatrice del Festival Antonella
Di Lullo, “l’idea è quella di offrire una panoramica più ampia dell’arte stessa, di far cadere
le etichette, compresa quella di
street art. Fare in modo che
Outdoor sia uno stato mentale.
Il fatto che non sia all’aperto dà
anche un ritmo diverso di visita: su strada di solito lo sguardo è molto veloce”.
UN MECCANISMO quasi fisio-
logico in effetti, inchioda da subito chi entra davanti agli ampi
spazi riempiti dalle idee degli
artisti. Nessun limite, nessun
tema prestabilito. A ognuno è
stata affidata un’area – tranne
alla la sudafricana Faith47, che
entrando per prima ha scelto il
corridoio per la sua elegante
pittura – che ha potuto occupare come meglio ha creduto.
Così il francese Thomas Canto
ha mischiato fili di geometrie
alla pittura per raccontare un
movimento tanto netto quanto
morbido (di grande impatto),
mentre Galo, di Torino, ha deciso di disegnare, sulle pareti
che conducono alla sala con-
TEATRO / ARTE
di Camilla
Tagliabue
A spasso per Milano
Ma è uno spettacolo
©Remote Milano
Milano (partenza dal cimitero
Monumentale), fino al 9 novembre
PARE di stare nel film “Lei”: “Non sono un
essere umano, ma voglio essere tua amica”, dice Fabiana, la voce artificiale che
guida il pubblico in “Remote Milano”, spettacolo interattivo e itinerante firmato
dall’ensemble tedesco Rimini Protokoll, ora
nel capoluogo lombardo per l’unica tappa
italiana, grazie a Zona K. Già sperimentata
a Berlino, Vienna, Avignone e San Pietroburgo, questa performance site-specific è
imbastita per non più di 50 spettatori alla
volta, tutti riforniti di cuffie e lettore mp3,
nonché coinvolti in prima persona come
attori della recita: è Fabiana a dirigere l’“orda” di performer, portandola a spasso per
la città, dal cimitero Monumentale alla stazione Garibaldi, dai grattacieli di piazza
Gae Aulenti all’ospedale Fatebenefratelli.
bientazioni più contemporanee. I commenti prevalenti su Internet e sui social sono di questo tenore: “Bella storia, ma cos’ha
di nuovo questo Dylan? Non aveva più senso far cominciare il
nuovo ciclo direttamente con il pensionamento dell’ispettore
Bloch, previsto nel numero di ottobre?”. La storia “Nello spazio
profondo”, scritta da Recchioni e disegnata da un ottimo Nicola
Mari che ricorda John Romita Jr, ha i colori (notevoli, di Lorenzo
De Felici) che in Bonelli si usano solo per le occasioni speciali.
Eppure sembra più una storia di raccordo – “fill-in”, le chiamano
nei comics americani – invece che un grande debutto: nel 2427
un clone di Dylan Dog deve recuperare una nave alla deriva nello
spazio infestata di fantasmi. Inevitabli le citazioni di Alien e della
fantascienza anni Ottanta (con qualche scelta un po’ didascalica,
tipo chiamare la nave spaziale Uk Thatcher). In realtà Recchioni
ha scelto la storia giusta per segnare il passaggio di epoca: è vero,
non ci sono ancora le novità di “continuity” che caratterizzano il
cambiamento, ma è una storia ambientata nel futuro, c’è un’intera squadra di coloni di Dylan, anche uno in versione femminile,
ciascuno con alcune delle caratteristiche del detective di Craven
Road. “Spazio profondo” è una dichiarazione di intenti più efficace di qualunque editoriale: per quando Dylan Dog possa
cambiare, per quanto gli sceneggiatori possano divertirsi a giocare con lui, deformandolo, trasformandolo, anche uccidendolo,
l’Indagatore dell’incubo resterà fedele a se stesso perché ormai è
diventato un protagonista del nostro immaginario. E, in qualche
modo, esiste. Non è più soltanto un eroe dei fumetti.
certi, le sue “faccette”, come
una folla che si dirige ad ascoltare, oppure, al contrario, torna
indietro a prendere aria. Sala
concerti, perché il Festival propone, fino al 22 novembre, anche questo: aperta tutti i weekend, ha in programma un cartellone di live e dj-set, da sera a
notte fonda. Un’altra caratteristica attrattiva, per ora apprezzata (la fila fuori il giorno
dell’inaugurazione è stata esaustiva).
Quest’angolo d’Europa, tuttavia, non sarà permanente: lo
spazio, dicono tutti, sarà demolito. Le opere di Tnec, Brus, Ike
e Hoek, Laurina Paperina coi
suoi amati topi, i colori psichedelici si Lady Aiko, la scultura
Derail di Davide Dormino, posizionata com’è sull’evocativo
binario morto, non esisteranno
più. “Se qualche artista si è rifiutato di collaborare per questo? No, anzi – risponde Di Lullo – Rientra un po’ nel concetto
di effimero, e soprattutto, la
mostra rimarrà per sempre
online grazie al progetto del
Google Cultural Institute (grazie a NUfactory, su Street Art
Rome, nda). Poi, come dico sempre io, l’arte ha lo straordinario
potere di colpire: o son pugni, o
son schiaffi. Quindi anche quest’esperienza resterà nella parte
di memoria emozionale, come
una cosa unica a Roma”.
“L’arte ha un valore temporale,
se vuoi una cosa definitiva,
prendi una tela – commenta
Galo – e poi chissà, a Torino un
sacco si esperienze simili sono
rimaste aperte più del previsto”. Magari, così quella strada
non si dovrà solo ricordare.
PATRIMONIO ALL’ITALIANA
Così ci si ritrova a ballare sotto Porta Nuova, a mettersi in posa davanti ai binari, a
giocare a calciobalilla in strada, a manifestare al semaforo, a intralciare il traffico
attraversando in massa, a fare una gara di
corsa sul ponte, mentre la guida commenta: “Se gli ultimi arrivati fossero macchine,
sarebbero già stati scartati! Ma per fortuna, voi siete esseri umani”.
Uno dei fili rossi di quest’opera geniale è il
rapporto tra natura e technè, uomo e intelligenza artificiale: un confronto impari
con un’entità virtuale che non sa cosa sia
la tristezza, o il fastidio. “È strano quel che
fai quando l’orda ti protegge”, chiosa lei
dopo che il gruppo ha obbedito ai suoi
ordini più astrusi. “Nell’orda la responsabilità individuale scompare, come la
singola goccia nella fontana”. Alla fine,
questo si rivela uno spettacolo davvero
crudele e squisitamente politico; il film
cambia: forse si è ne “L’onda”, in un espe-
di Tomaso
rimento sociale sulle strutture autoritarie; nazismi, fascismi, totalitarismi grandi
e piccoli. Il libro omonimo è diventato un
classico della letteratura scolastica in
Germania; in altri paesi, l’unico regime
con cui fare i conti è quello alimentare.
Montanari
Aiuto, è scomparsa la fontana
© Perugia
Fontana Maggiore
COM’È POSSIBILE che la Fontana Maggiore di Perugia sia
scomparsa? Eppure da questa
fotografia sembra proprio che
uno dei principali monumenti
del nostro Medio Evo sia sparito
nel nulla, cancellato, dimenticato: è stato forse smontato e spedito all'Expo al posto dei Bronzi
di Riace? O forse è esposto in
una mostra della Basilica Palladiana di Vicenza: ed ecco il titolo, Da Nicola Pisano a Caravaggio a Van Gogh? O se l'è rubato una qualche cricca annidata in qualche ministero?
No, non siamo (ancora) a questo punto: la Fontana c'è (ancora). È stata solo nascosta da
un orrendo capannone provvisorio. Una roba da sagra della
panzanella piccante o della ra-
nocchia scorticata. Che va benissimo, naturalmente: nulla
contro panzanella e ranocchie.
Ma non lì, per favore.
Il vero capolavoro della storia
dell'arte italiana (un capolavoro non assoluto, ma squisitamente relativo: cioè basato su
una rete di relazioni spaziali,
formali, metaforiche) è lo spazio pubblico urbano. I centri
delle nostre città sono infinitamente più importanti di tutti i
quadri che riusciate a ricordare. E questo è bellissimo: perché noi i nostri “capolavori” li
possiamo attraversare, percorrere, 'camminare'. Lo spazio
pubblico monumentale è la co-
sa più alta, più giusta, più originale che abbiamo saputo costruire lungo millenni. E allora:
perché diavolo dovremmo rovinarlo, alterarlo, banalizzarlo,
commercializzarlo per un
“evento” qualsiasi? Nelle nostre città non mancano – purtroppo – luoghi dove capannoni
come quello possono non disturbare: o addirittura portare
un accenno di vita e allegria.
Ma come si fa, invece, a piazzarlo in un posto che ha raggiunto il suo equilibrio grazie al
pensiero, al lavoro, alla continenza di generazioni e generazioni di nostri padri? E l'argomento della breve durata
non è un argomento convincente: nessuno si deturperebbe la faccia “solo per qualche
giorno”. E quella piazza è la faccia di Perugia, la faccia dell'Italia. Vediamo di non perderla.
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014
21
GIGI PROIETTI
Protagonista
di “Una pallottola nel cuore” su RaiUno LaPresse
ONDA SU ONDA
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
La promessa mancata:
riformare la Gasparri
di Loris Mazzetti
n questi primi otto mesi si è
I
capito che per il governo Renzi
non è una priorità rendere demo-
cratico ed europeo il sistema radiotelevisivo. Dell’argomento si occupa
direttamente lui, Giacomelli, titolare della delega alle Comunicazioni,
che ha saputo solo dalle agenzie che
il premier aveva deciso, per fare cassa, di diminuire del 5% la quota canone spettante alla Rai. Renzi ha appreso dal maestro Berlusconi che è
dalla tv che nasce il consenso, infatti
le sue iniziative assomigliano sempre più al Grande fratello di Orwell:
durante il suo ultimo intervento dal
palco della Leopolda, nelle immagini dei tg, si vede nettamente che attivisti si sbracciano per incitare la
platea ad applaudire di più.
RENZI USA la tv anche per far credere che dietro di lui non esiste un
grande suggeritore che, dopo l’eliminazione di Gratteri dal ministero
della Giustizia era stato identificato
in Napolitano, invece è la Ragioneria
di Stato che ogni volta che il governo
prende provvedimenti sentenzia
l’esistenza o meno della copertura
economica, come nel caso della legge
di Stabilità. A proposito di Napolitano, fare luce sulla trattativa Stato-mafia non significa non rispettare
l’istituzione della Presidenza della
Repubblica ma chiedere verità.
La legge ad personam Gasparri non
è più in discussione, anche se da qui
ad aprile (scadenza del cda della Rai)
ci sarebbero stati i tempi tecnici per
riformarla. Il sogno dell’uscita dei
partiti dalla Rai, creato dallo stesso
Renzi in tv durante lo scontro con
Floris, si sta trasformando in una pia
illusione: non riformando il sistema
anche il prossimo cda Rai verrà nominato dai partiti. Sull’argomento
anche il M5s non è da meno. Quando Fico diventò presidente della
commissione di Vigilanza Rai, nel
suo primo intervento, auspicò che
venisse fatta al più presto la riforma e
si augurò di essere l’ultimo presidente della commissione che, con l’uscita dei partiti dalla Rai, non avrebbe
più avuto senso di esistere. L’uomo
forte del M5s in commissione non è
Fico, ma il capogruppo Alberto Airola: conosce bene la materia per
aver lavorato anni nel settore come
operatore e programmista-regista, e
più volte ha collaborato con la Rai di
Torino. Airola è anche uno dei pochi
politici a essersi impegnati per riformare la legge Gasparri, ad esempio è
stato molto attivo nell’iniziativa di
MoveOn Italia: La Rai ai cittadini. Purtroppo, notizia dell’ultima ora, anche il M5s si sta adeguando e con lo
stesso Airola sta lavorando per avere
un proprio rappresentante nel prossimo cda Rai.
Giornalista da fiction,
meno male che c’è Proietti
di Nanni Delbecchi
za; uno che scrive meglio di Truman Ca-
Gigi Proietti, come a tutti i primi
della classe, toccano sempre i comA
piti più difficili. Dopo la divisa di ma-
resciallo e la tonaca di Filippo Neri, ecco
la prova del fuoco: riscattare l'immagine
del giornalista nell’immaginario televisivo. Non che i giornalisti manchino in
Tv, tutt’altro, ce n’è sempre una mezza
dozzina impegnata a fornire la propria
opinione nei più svariati salotti, ma qui,
nel debutto della serie Una pallottola nel
cuore (Raiuno, lunedì sera), parliamo di
giornalista formato fiction, varietà cronista di nera, ossia l'ennesima versione
dell’eroe che indaga in proprio, sempre
in scomoda convivenza con le istituzioni. Una stirpe variegata, in cui abbiamo
visto sfilare detective, marescialli, ispettori, preti, suore, cuochi e perfino un restauratore. Dei giornalisti, invece, la Tv
si fida poco (come peraltro la letteratura
poliziesca). A riscattare il mestieraccio di
solito ci pensa il cinema, specie quello
che nutre il maggior sprezzo di ogni verosimiglianza; basti vedere come Paolo
Sorrentino si è figurato Jep Gambardella,
giornalista mattatore de La Grande bellez-
pote, è più ribelle di Assange e veste meglio di Tom Wolfe e Oscar Giannino
messi insieme; e questo in un tempo e in
un luogo - la Roma di oggi - in cui i giornalisti non sono mai stati tanto sgrammaticati, tanto cortigiani e tanto con le
pezze al sedere.
IL CRONISTA di Proietti è di minori pre-
tese; intanto si chiama Bruno e non Jep;
non passeggia senza meta per il Gianicolo
ma presidia la redazione del Messaggero;
non frequenta i party ultracafonal ma le
trattorie casalinghe dove ordina la carbonara di nascosto dal figlio che vorrebbe
tenerlo a stecchetto considerato la pallottola che si ritrova nella cassa toracica (gli
sceneggiatori si sono tenuti un figlio medico di riserva, perché una fiction senza
camice è come una carbonara senza
guanciale). Insomma, ce la mette tutta
per apparire vagamente verosimile, ma
questo non lo salva da un estenuante slalom tra i luoghi comuni: il collega rampante che non vede l’ora di rottamarlo, il
collega buono e generoso che non farà
mai carriera, la caporedattrice cougar che
ha una tresca con il rottamatore, la pra-
Gli ascolti
di lunedì
UNA PALLOTTOLA NEL CUORE
Spettatori 6,18 mln Share 23,2%
PECHINO EXPRESS 3
Spettatori 0.000 Share 00%
ticante carina e volenterosa relegata dalla
caporedattora a scrivere ricette (però
creative). Ogni tanto, a capocchia, appaiono le rotative mentre sfornano le copie fresche di stampa che fanno tanto
Humphrey Bogart: “È la stampa bellezza!
E tu non puoi farci niente!” Non basta?
Allora sappiate che la praticante carina
arriva in redazione proprio nel giorno in
cui Bruno Palmieri viene pensionato, e
che sempre in quel giorno esce di prigione un poveretto condannato a 18 anni per
avere ucciso la moglie, ma alla cui colpevolezza il cronista Proietti non aveva
mai creduto. Cercate di non indovinare
come andrà a finire per almeno venti minuti, se ci riuscite. Ma sarà durissima, calcolando oltretutto che la trovata finale
con cui Bruno incastra il colpevole è copiata di sana pianta da un caso di Nero
Wolfe. In tutto questo, Proietti è sempre
Proietti (e anche Francesca Inaudi, Marco Marzocca e Licia Maglietta se la cavano bene), il giallo sarà risolto, il bene
trionferà e gli ascolti pure; ma a prezzo
della più scontata delle vicende tra caratteri di cartapesta, ambienti di cartongesso e battute oratoriali. E' la fiction Rai,
bellezza! E non possiamo farci niente.
SQUADRA ANTIMAFIA 6
Spettatori 4,55 mln Share 17,4%
TED
Spettatori 1,54 mln Share 5,79%
22
SECONDO TEMPO
MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014
il Fatto Quotidiano
IL BADANTE
GIUSTIZIA
Non chiedeteci
la verità assoluta
di Francesco
N
Caringella*
egli
ultimi
vent’anni la storia della politica e
la storia della giustizia sono state avvinte da un
filo rosso sempre più robusto.
Senza parlare del ciclone di
Mani Pulite, che ha attraversato i miei primi anni milanesi da magistrato, l’incandidabilità di Silvio Berlusconi è
figlia di due sentenze: quella
penale che lo ha condannato
per evasione fiscale e quella
amministrativa di mio pugno
che ha sancito l’applicabilità
retroattiva della legge Severino. Anche l’affaire De Magistris è il portato di una condanna per abuso d’ufficio.
Guardando fuori dall’Italia, le
sorti dell’intero pianeta sono
state influenzate da una sentenza: quella della Corte Suprema degli Usa che, con un
solo voto di scarto, ha assegnato i contestati voti della
Florida a Bush jr. strappando
dalle mani di Al Gore, che pure aveva ottenuto un più massiccio consenso popolare, le
chiavi della Casa Bianca.
IN UN CLIMA avvelenato, in
cui si mescolano inefficienza
della macchina giudiziaria,
insofferenza della politica al
controllo di legalità e diffidenza della gente comune
verso la professionalità e la
moralità dei magistrati, viene
da chiedersi se si possa avere
fiducia in una giustizia che
condiziona le sorti del Paese.
Anzitutto bisogna distinguere
LE REGOLE
Sono giuste le sentenze
che hanno danneggiato
Berlusconi, De Magistris
e Al Gore? Non lo so,
perché esistono solo
le sentenze corrette
tra giustizia e processo. La
giustizia è un’istituzione, un
potere, una garanzia, un bene
comune in cui ogni cittadino
deve avere per forza fiducia.
La delegittimazione della magistratura e del potere giudiziario, troppo spesso innescata da grida, urla e insulti di chi
vuole rovesciare il tavolo per
sottrarsi alle proprie responsabilità, conduce allo smarrimento del senso delle regole e
a un qualunquismo anarcoide
non degno di un paese che ha
dato i natali a giuristi come
Carnelutti e Sandulli e a magistrati come Falcone e Borsellino. Diverso è il discorso
per i singoli processi, lambiti,
oltre che dall’eventualità remotissima della malafede e
della corruzione, dal rischio
dell’errore che connota ogni
azione dell’uomo. L’errore
giudiziario, che significa non
solo condannare un innocente, ma anche liberare un cri-
“La legge è uguale per tutti” si legge nelle aule dei Tribunali Ansa
minale, non è eliminabile per
legge, in quanto discende dalla fallibilità dell’essere umano.
La ricerca della verità, in cui si
risolve il compito del giudice,
è una sfida temeraria, se non
impossibile nel secolo della
death of truth.
Un campione del romanticismo spagnolo, Duque de Rìvas, scrive: “In questo mondo
traditore non c’è verità né
menzogna, tutto dipende dal
colore del vetro attraverso cui
si guarda”. Compito del giudice non è la ricerca della verità assoluta, insondabile per
chi partecipa delle debolezze e
della fragilità della condizione
umana, ma la verità processuale, quella che, in base alle
carte del giudizio, è più probabilmente vera. Non esiste
quindi un’unica verità assoluta, ma più verità relative e
soggettive tra le quali il giudice, usando il vetro con il colore giusto e origliando dal
buco della serratura meglio
posizionato, deve trovare
quella che più si avvicina alla
verità oggettiva e, quindi, alla
realtà storica.
Due sono i grandi nemici del
giudice alla ricerca della verità
migliore: le bugie e i pregiudizi. Quanto alle bugie, può
accadere che tutti i protagonisti del processo mentano:
perché pensano che la menzogna sia più seducente e colorata della realtà (Canetti),
perché la verità non sembra
mai vera (Simenon), perché
dev’essere mescolata con un
po’ di menzogna per risultare
verosimile (Dostoevskij), perché dev’essere esagerata per
risultare credibile (Foster),
perché ci sono poche ragioni
per dire la verità mentre ce ne
sono infinite per raccontare
una bugia (Wilde), perché in
un mondo di illusioni e inganni la verità è un atto rivoluzionario (Orwell).
QUANTO al pregiudizio, Ci-
cerone insegna che il nemico
più pericoloso per chi cerca la
verità con la lanterna in mano
non è la menzogna, ma la
convinzione: una menzogna
può essere scoperta, ma grande è la tendenza dell’animo
umano, specie di un potente,
a non cambiare mai idea.
L’umiltà di Calamandrei è
l’antidoto al virus del pregiudizio e della presunzione che
ne è il bacino di coltura: “Giudici, l’umiltà è il prezzo che
dovete pagare all’enorme po-
tere che avete”.
Sono giuste, allora, le sentenze che hanno danneggiato, se
non assassinato, la vita politica di Berlusconi, De Magistris e Al Gore? Non lo so, ma
sono certo che la domanda è
sbagliata: non esiste la sentenza giusta o sbagliata in senso
assoluto. Tutte le sentenze sono giuste e sbagliate, visto che
la verità che ogni decisione afferma è soggettiva, relativa e
quindi revocabile in dubbio.
Esiste però la sentenza corretta: quella che afferma una verità processuale all’esito di un
percorso durante il quale è
stato usato un colore del vetro
non inquinato da bugie, pregiudizi ed errori. Se tali fattori
inquinanti saranno stati sconfitti, resterà solo l’ineliminabile opinabilità di ogni giudizio, croce e delizia della condizione dell’uomo, alla ricerca
eterna di una perfezione che
per fortuna gli sfugge.
Pasolini, la profezia
sbagliata per difetto
di Oliviero Beha
ERA UNA domenica esattamente come la prossima, il 2
novembre 1975, quando Pasolini venne assassinato. Non
c’era la tv del mattino, e tantomeno Internet, e la notizia
cominciò a circolare nei giornali radio. Adesso, dopo quasi
una generazione e mezza,
mentre i suoi libri continuano a
essere tradotti in tutto il mondo e la filmografia ogni tanto
ce lo ricorda, come per il film
discutibile di Abel Ferrara su di
lui, almeno in Italia le sue idee,
che ancora affascinano i giovani, sono estranee al dibattito
pubblico, quello per esempio
sul Pd tra la Leopolda e San
Giovanni. Oppure quello
sull’interrogatorio eccentrico,
eccentricissimo, del Presidente Napolitano nel processo alla “trattativa Stato-mafia” (le
due maiuscole sono da intendersi solo come segni diacritici, non un attestato di valore:
cfr. le polemiche su Grillo e “la
morale della mafia di una volta”). Mi riesce difficile non
sentire in occasioni simili il buco, la mancanza di un’intelligenza forte e non pusillanime
come quella di uno scrittore di
cui magari non resterà tutto,
ma di sicuro sopravviverà la
veggenza socioculturale. Resisto alla tentazione banale e
improduttiva di chiedermi che
cosa avrebbe detto oggi: di
Renzi e del suo monopolio
propagandistico con il codazzo di “cani del Sinai” (Fortini,
ma anche Flaiano) dietro al
carro del vincitore; della manifestazione di San Giovanni,
del milione di protestanti e di
quella parte di sinistra considerata non senza motivo alla
stregua di vecchi arnesi intercambiabili; dell’interrogatorio
n
al Quirinale, meglio se confrontato con il celeberrimo “Io
so… io so… ma non ho le prove”
del “romanzo delle stragi” di
Pier Paolo. Invece mi guardo
attorno: le considerazioni del
poeta sul consumismo che
aveva antropologicamente
cambiato i connotati degli italiani si sono rivelate una profezia sbagliata, ma per difetto.
Ormai gli italiani non ci sono
più, sono stati polverizzati culturalmente ed economicamente a colpi di spread, tv e
quant’altro, in un Paese svuotato di morale personale e di
etica collettiva, in cui anche la
battaglia per la legalità può assumere una veste tecnica, amministrativa, politica, in definitiva amorale mutuando stilemi mentali dall’illegalità. Va
È SUCCESSO
Quale conformismo:
chissà cosa avrebbe
detto il poeta di Renzi,
della sua fame di
governare in un Paese
ridotto ormai al deserto
Pier Paolo Pasolini LaPresse
bene quel che succede in aula
a Berlusconi, non va bene se
succede a De Magistris.
Quanto agli intellettuali, categoria di riferimento pasoliniana comprensiva anche dei media e dei sottomedia di allora,
ditemi il nome di una figura
pubblica che oggi abbia il coraggio di non avere paura o
vantaggi o interessi minuti o
massimi che lo tacitino.
CHE DICA di Renzi semplicemente chi è e che cosa fa,
astraendolo dal confronto con
la classe dirigente che l’ha preceduto sul quale – anche comprensibilmente – prospera.
Che gli faccia notare che avere
un partito al 41 e magari anche
al 51%, in un Paese distrutto, significa solo amministrare un
deserto per sé e per i suoi, cosa
che non mi mette di un’allegria
sconfinata. Forse sarebbe meglio vincere nel Paese, e rischiare di perdere le elezioni, dico
così, per capirci. Uno, pasolinianamente o no, che non si
esima dallo stigmatizzare gli
effetti di un sindacalismo pernicioso non nei suoi ideali bensì
nei suoi comportamenti, da
cinghia di trasmissione con la
politica e con le relative poltrone, al punto che oggi in giro per
Roma riconosci un sindacalista
piccolo, medio o grande dalla
sua fisiognomica: sono diventati un’espressione antropologica. Uno, infine, che dica dei
media che sono pienamente
corresponsabili di un Paese
sfasciato, più sfasciato che ai
tempi del fascio. Ed è davvero
tutto dire, anche se alla Leopolda si è celebrato, con grande attenzione all’“eterno femminino”, il “nuovo che avanza”: certo, ma in un paesaggio ormai
spettrale. Che birba, quell’ottimista di Pier Paolo.
n
* Magistrato e scrittore
PIOVONO PIETRE
Il miracolo della Leopolda:
c’è una cosa “a destra del Pd”
di Alessandro Robecchi
on le tifoserie schierate intente a sberC
tucciarsi come in seconda media, i dispetti tra piazze (e piazzette) contrapposte,
le arrampicate sui vetri da dibattito televisivo, non è facile tentare un ragionamento complessivo. Si aggiunga che la legge di
Stabilità ha ormai più versioni di una canzone dei Beatles (acustica, elettrica, in slide, versione Quirinale, merengue, heavy
metal, versione europea, e altre ne verranno), e la confusione aumenta. Si aggiunga
ancora che non si parla d’altro che delle
differenze interne al corpo mutante della
sinistra o di quel che fu (politiche... no,
economiche... no, culturali... no, antropologiche, eccetera), il che mette in gioco passioni personali che certo non aiutano la serenità dell’analisi. Ma insomma, ora, alla
fine ci siamo. E siccome non sono più i
tempi della nostalgia, dei gettoni, dei rullini e di Lenin, non faremo la solita domanda: Che fare?, ma ci chiederemo più smart e
friendly: and now?
Certo, c’è il caso che per qualche tempo il
lavoratore in mobilità e l’imprenditore che
lo licenzia possano votare per lo stesso partito. Ma è possibile ciò in un momento in
cui si prendono decisioni storiche per le
vite dell’uno e dell’altro? Un italiano alle
prese con l’angoscia del futuro e con la difesa del posto del lavoro, può sostenere in
modo convinto un preporto diretto tra leader e
CONSOLAZIONE
mier che lo chiama dinopopolo, tipo balcone.
sauro, accusandolo di
Ecco. Con l’aggiunta che
Sento la frase “a sinistra
non vedere il luminoso
la piazza di San Giovanni
futuro che è solo l’inizio?
interessa meno, ed è eletdel Pci/Pds/Ds/Pd”
Ovvio, la società è una
toralmente molto meno
da quando giocavano
pesante, della piazza telefaccenda
parecchio
complessa, tra il ragazvisiva della D’Urso, genMazzola e Rivera e mio
tilmente concessa dal cazotto azzimato della
Leopolda e il metalmecpadre aveva la Millecento. po dell’opposizione. I socanico col fischietto di
stenitori entusiasti, coFinalmente si cambia
stretti a ripetersi come un
piazza San Giovanni ci
sono milioni di sfumatumantra che loro “sono di
sinistra”, forse per conre. Però è fatale che qualcosa si romperà.
vincersi, fanno il resto sul piano teorico. Il
Io sento la frase “a sinistra del Partito della Nazione, di cui si legge da
Pci/Pds/Ds/Pd” da quando giocavano qualche tempo, è un’idea forte e pare in
Mazzola e Rivera e mio padre aveva la Mil- corso di attuazione, anche se strisciante.
lecento, dunque aspetto con la trepidazio- Un partito del Premier che si mangerà
ne mista a scetticismo dell’abbonato di molto a destra, mentre la grande incognita
lungo corso. Ma è la prima volta che vedo rimane a sinistra. Dove andranno gli eletdistintamente in atto la creazione di una tori accusati di essere trogloditi coi gettoni
cosa “a destra del Pd”. Segnali piccoli e del telefono? Rimasugli ingombranti del
grandi: i dirigenti locali di Forza Italia che secolo passato? Per ora hanno solo i vecchi,
votano alle primarie del Pd, fascinazione cari corpi intermedi, come va di moda
per Marchionne, applausi dalla destra chiamare il sindacato dei lavoratori. Per i
giornalistica (Foglio, Giornale e Libero bat- resto sono soli. Politicamente abbandonatono le mani spesso), imprenditori del ca- ti all’autogrill, legati al guardrail perché
chemire presentati come geni del Rinasci- non provochino incidenti, con una ciotola
mento, articolo 18, Fanfani meglio di Ber- d’acqua da ottanta euro e nient’altro. Neslinguer, il finanziere londinese che discetta suno che compaia per adottarli e ridare lodel diritto di sciopero, sberleffi al mondo ro una famiglia.
@AlRobecchi
del lavoro, lotta ai corpi intermedi e rap-
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014
23
A DOMANDA RISPONDO
Furio Colombo
Pluralismo:
dov’è l’opposizione?
Serve altro per capire
l’emergenza democratica
che sta vivendo il Paese?
Oramai l’ex simpatico
sindaco e attuale “caro
leader” dopo aver agguantato il potere con
un’operazione di palazzo
ai danni di Enrico Letta
(anche detto “Stai sereno”) ha abbandonato
ogni remora e sta correndo verso l’instaurazione
di un vero e proprio regime personale, facendosi
forte della assenza di alternative credibili e sfruttando il vecchio vizio italico di correre in soccorso
del vincitore. Credo che
se si vuole salvare quel
minimo di pluralismo che
ancora c’è in Italia bisogna
immediatamente
mettere in piedi un intervento a tutto campo (sociale, politico, mediatico)
che contrasti il crescente
conformismo.
Mauro Chiostri
In cerca di un lavoro,
altro che posto fisso
Secondo Renzi il posto
fisso non c’è più, almeno
non per tutti. Le poltrone
di certi palazzi, infatti, sono occupate da sempre. E
talvolta, sempre dalle
stesse persone. Ciò che
forse non è chiaro è che a
mancare non il posto fisso, ma proprio un qualsiasi posto di lavoro. La
fuga all’estero (non solo
di giovani) ormai è un vero e proprio esodo. Da
nord a sud, gli italiani
hanno le valigie in mano e
sono pronti ad andar via.
Partono neolaureati, ma
anche intere famiglie, in
cerca di lavoro, in cerca di
fortuna. E nessuno fiata.
Sono tutti impegnati a
farsi selfie e illustrare slide.
Alessandro Giordano
Bentornati sindacati:
e per fortuna c’è Landini
I sindacati si sono svegliati adesso, come la bella addormentata
dopo
cent’anni di narcosi. Ma
qui non c’è nessun principe. C’è un orco travestito
da imbonitore di pentole
e neanche l’ultimo di una
lunga
serie
iniziata
vent’anni fa. La vera domanda è dove sono stati i
tre sindacati in questi ultimi vent’anni? Cisl e Uil
al servizio del vento che tirava. La Cgil non ha mai
mosso un dito nonostante scempi sul lavoro sulle
pensioni sulle esternalizzazioni
sulle
fughe
all’estero delle imprese.
Hanno dormito o voluto
dormire, paghi solo della
loro inutile sopravvivenza. Se non semini per annate intere non raccogli
per altrettanti anni. Non
si può pretendere rispetto
dai poteri ai cui voleri ti
sei sdraiato da vent’anni.
Il sindacato storico è morto, ma nessuno l’ha assassinato, si è solo suicidato,
e Renzi che è un opportunista senza meriti ne ha
solo constatato il decesso.
L’unico rimasto vivo e
credibile è solo Landini.
Unica voce sensata nel
parla con l’opposizione
Pd, non parla con gli insegnanti, non parla con i
gufi, non parla con gli statali, non parla con i pensionati sociali, non parla
con chiunque sente in disaccordo. A loro comunica le sue decisioni e basta.
Ma parla con Verdini, con
tutti i parassiti ossequiosi,
con Berlusconi passa ore
parla e decide, parla con i
partecipanti alla Leopolda, dicono che è un partito, non è esatto penso sia
una “signoria” il dramma
è che lui crede di essere un
“De medici’’alla guida
della “Signoria della Leopolda’’, a cui tenta di far
assomigliare l’Italia.
Ma quanto
sono immaturi
i nuovi leader?
CARO COLOMBO, nelle litigate e risposte del nuovo Pd al vecchio Pd (qualunque
cosa siano l’uno e l’altro) mi sembra di
trovare tanta immaturità, cattiverie da ragazzini (tipo “brutto e cattivo”) invece di
vera politica. E noto che i segnali di “immaturità” (dico da insegnante) aumentano. Come in tutti i litigi dei ragazzini, ha
sempre cominciato l’altro. Profonda tristezza.
Luisa
HO RICEVUTO questa email mentre stavo
leggendo l’intervista di Wolfgang Schäuble
(Paolo Lepri, il Corriere della Sera, 27 ottobre). E l’immediata impressione, per me che
vivo in Italia, è stata di passare da un mondo bambino (ora festoso, ora litigioso, ora
con speranze, annunci e denunce sempre
fuori misura, ora dedito a minacce e a denunciare colpe ad altri) a un mondo adulto
in cui le frasi sono pesate, le tesi argomentate. La tecnica non è mai il ricorrente “invece
lui” o “a differenza di loro”, per fondare la
mia affermazione sul dislivello sgradevole,
rispetto a me, della persona o tesi confutata.
Gli argomenti sono, piuttosto, la rappresentazione chiara della mia ragione, con intenzione persuasiva, ovvero destinata non al
compiacimento di me stesso ma alla comprensione di un altro. Noto, per esempio,
nella intervista di Schäuble, uomo che non è
improprio considerare “conservatore”, questa affermazione: “Il principio della libera
circolazione delle persone e delle merci è un
principio fondante dell’unificazione europea. Non può essere limitato. Sarebbe incompatibile con i Trattati europei. Il problema che tutti abbiamo in Europa (l’immigrazione in misura crescente, ndr) che può
diventare più grande se si guarda agli avvenimenti in altre parti del mondo, deve essere
risolto con uno sforzo comune europeo. Non
può essere risolto ristabilendo confini. Sa-
Francesco Degni
Cannabis per curare
e leggi oscurantiste
Lo Stato produrrà marijuana a scopo terapeutico e il compito toccherà
all’Istituto chimico far-
la vignetta
deserto cerebrale dell’ultimo decennio, peraltro
schifata e sbeffeggiata dagli stessi che oggi lo propongono come capo partito.
Augusto Cavalli
Renzi e la Signoria
della Leopolda
Lo ha detto lui stesso,
Renzi che il governo non
colloquia. Può al massimo ascoltare. Lui non
parla con i sindacati, non
maceutico militare di Firenze: la Coldiretti si è
detta pronta a sostenere
questo progetto nazionale proponendo di allargare la filiera. L’idea è di utilizzare le serre abbandonate dalle colture non più
redditizie, riconvertendole alla coltivazione della cannabis, tutto legalmente sotto il controllo
dello Stato: significherebbe creare un mercato efficiente con conseguenti
posti di lavoro. L’Istituto
fiorentino è l’unico laboratorio italiano dove sarà
possibile sperimentare e
realizzare farmaci altrimenti introvabili, utili ad
affrontare malattie rare e
certi tipi di tumore: la
cannabis diventa l’ultima
speranza per molti malati, utile per guarire o alleviare il dolore. Ma quando parliamo di marijuana
si riapre un altro fronte,
quello dell’eterno dibatti-
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rebbe impensabile”. Schäuble mette a disposizione di chi lo ascolta i principi di civiltà
che hanno portato all’esistenza dell’Europa
unita. E non pretende di decidere, chiede di
condividere. In Italia circola, ai piani alti
della politica, un linguaggio sgarbato e semplice, in cerca di baruffa, che non è improprio considerare immaturo. Ecco alcuni
esempi recenti. Matteo Renzi: “Non consentiremo di fare del Partito democratico il partito dei reduci. Si mettano l’animo in pace.
Loro resteranno ai margini”. Dario Franceschini: “Il Pd non può essere il partito di chi
ieri era in piazza. Sarebbe a vocazione minoritaria”. Andrea Romano: “Ci sono parole che possono riacquistare il valore che sembrava perduto: nazione l’ha riutilizzata ora
Renzi. Patriottismo e sinistra tornino insieme”. (Evidentemente per Andrea Romano
la Resistenza non c’è mai stata, ndr). Maria
Elena Boschi: “Chi preferisco fra Berlinguer
e Fanfani? Da aretina non posso che dire
Fanfani”. Marianna Madia: “Sapete perché
io non vi rispondo? Perché, secondo me,
questo non è un giornalismo di rinnovamento”. Siamo al piano terra della disputa
politica, ogni affermazione declassata a
pensierino o spintone. E ad affermazioni
semplificate dove le parole vengono usate
secondo il loro senso elementare (nazione,
patriottismo, reduci, si mettano l’animo in
pace) come se la querelle interna di alcuni
agitati leader di un partito fosse ragione e
scopo, inizio e fine di tutto. Ecco, è con questo mondo elementare che dobbiamo ogni
giorno misurarci per tre quarti di ogni telegiornale e notizia stampa o web. Di cattiva
politica avevamo fatto una lunga esperienza. Ora dobbiamo confrontarci con la politica immatura.
Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano
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to sulla liberalizzazione
delle droghe leggere, riaccendendo lo scontro tra
favorevoli e contrari a
quello che è meglio conosciuto come “spinello”. In
Italia si è attuata una legge
che ha visto prevalere
l’ideologia della repressione sulla scienza della
prevenzione, il cui esito
ha avuto il “merito” di
contribuire al vergognoso sovraffollamento delle
carceri, evidenziando che
la sola repressione non
serve a ridurre il consumo
di tali droghe. Oggi qualcosa sembra muoversi,
ma resta urgente la necessità di chiarire la questione una volta per tutte,
senza timori di alcun genere.
Silvano Lorenzon
Reddito e lavoro,
differenza non da poco
Sputa sentenze sul mondo del lavoro e sulla sua
riorganizzazione, e ne
vuole fare la riforma. Bene. Resta da capire se abbia mai lavorato davvero.
Assunto sì. Anzi l’unico
assunto. Dal babbo, dunque a tutto tondo “figlio di
babbo” fino a quando è
stato scaricato sulla spesa
pubblica con la carriera di
amministratore (con i voti di babbo). Ovviamente,
nessuna vertenza con
babbo, nessun bisogno
del Sindacato. Ora vorrà
cambiare anche l’articolo
della Costituzione che dichiara l’Italia un paese
“fondato sul lavoro”.
Chiede alla Cgil di dimenticare il lavoro e sostituirlo con il reddito. Ma lavoro e reddito non sono sinonimi. Il lavoro è momento di riconoscimento
e di dignità sociale; nel secondo c’è l’elemosina
emarginante, la stessa dei
sussidi di disoccupazione
o della cassa integrazione.
La stessa differenza passa
tra il diritto al reintegro,
se mi hai ingiustamente
cacciato, e il risarcimento
economico, ti butto qualche monetina e te ne vai, il
padrone sono io. Dire che
nel Diritto del lavoro si sta
ritornando indietro ai
“padroni del vapore”, ai
“Signur da le beli braghe
bianche” è veterocomunismo? Sarebbe la nuova e
moderna sinistra?
Melquiades
L’interrogatorio segreto
del presidente
L’assenza di giornalisti
all’interrogatorio di Napolitano è una vergogna
inenarrabile. L’Italia, che
non è propriamente nota
in fatto di libertà di stampa, non fa che procedere
verso il fondo del barile.
Sarebbe auspicabile che
l’Europa, che mette il naso in tutto, talvolta per
fortuna, intervenga in
merito. Gli italiani devono sapere. I giornalisti devono poter raccontare. È
un nostro diritto. Delle
veline non sentiamo la
mancanza.
Paolo Garofalo
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