Papa Francesco riceve gli indignados: “Quando parlo di terra, lavoro e casa mi danno del comunista. Ma questo è il Vangelo!”. È l’unica sinistra rimasta Mercoledì 29 ottobre 2014 – Anno 6 – n° 298 e 1,40 – Arretrati: e 2,00 Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009 NAPOLITANO FINALMENTE PARLA E CONFERMA IL RICATTO MAFIOSO Nelle tre ore di testimonianza sulla Trattativa, il Presidente risponde a tutte le domande. Evasivo sugli “indicibili accordi”, fornisce inattesi riscontri all’accusa dei pm: “Scalfaro, Spadolini, Ciampi e io sapevamo che le stragi erano un aut aut dei corleonesi: o lo Stato alleggeriva la repressione, o Cosa Nostra rovesciava l’ordine costituzionale” MINUTO PER MINUTO NELLA SALA OSCURA 50 risposte e 2 gialli su D’Ambrosio e Gianni De Gennaro Lillo » pag. 2 - 3 CACCIA ALLO SPIFFERO “Io non sono un Re e neppure Pico della Mirandola” L’ULTIMA VERITÀ I cronisti in strada appesi alle labbra degli ignoti avvocati d’Esposito » pag. 4 La notte che Ciampi sentì il tintinnio del colpo di Stato » pag. 2 Barbacetto » pag. 3 » CATRICALÀ E LA CONSULTA » Addii » AFFARI SPORCHI » La Boccassini ottiene 13 arresti L’ex sottosegretario e grand commis abbandona la magistratura: “La bocciatura per la Corte costituzionale? Io ho preferito evitare lo stillicidio” Tecce » pag. 8 L’azienda legata a un boss aveva ottenuto la certificazione antimafia per lavorare nei cantieri del grande evento. Nelle intercettazioni anche le manovre politiche per favorire un candidato di Forza Italia nelle elezioni comunali di Mariano Comense “Caro Violante Expo, altri appalti così ti sporchi alla ’ndrangheta: la camicia...” in cella anche un Pd SINDACO IN TRINCEA Risse e ambulanze: Cascella e la nuova disfida di Barletta Massari » pag. 10 Errori medici, le assicurazioni sono un bluff Di Foggia » pag. 11 Milosa » pag. 9 Un frame di una videoindagine del Ros Ansa BEATA CISL VITA & TV » EXTRACOMUNITARI Psicosi da Ebola: ora la Lega vuole espellere pure i soldati americani Schiesari » pag. 17 Bonanni, un miracolo di stipendio: 336 mila euro Cannavò » pag. 13 y(7HC0D7*KSTKKQ( +&!#!"!?!} “Uomini e donne”: amori a fil di sangue Truzzi » pag. 18 LA CATTIVERIA La ministra francese della Cultura Pellerin non legge un libro da due anni. Sempre meglio di Franceschini, che i libri li scrive Fortuna che era inutile di Marco Travaglio hissà che cosa scriverà, ora, chi aveva teorizC zato che la testimonianza di Napolitano era inutile, superflua, un pretestuoso accanimento dei pm di Palermo a caccia di vendette per il conflitto di attribuzioni, un pretesto per “mascariare” il presidente della Repubblica agli occhi degli italiani e del mondo intero, per trascinarlo nel fango della trattativa Stato-mafia, per spettacolarizzare mediaticamente un processo già morto in partenza sul piano del diritto, naturalmente per violare le sue prerogative autoimmunitarie, e altre scemenze. Quel che è accaduto ieri nella vecchia Sala Oscura del Quirinale è la smentita più plateale e, per certi versi, sorprendente di tutti gli inutili (quelli sì) fiumi d’inchiostro versati per un anno e mezzo da corazzieri, paggi e palafrenieri di complemento che, con l’aria di difendere Giorgio Napolitano, hanno guastato forse irrimediabilmente la sua immagine pubblica, spingendolo a trincerarsi dietro segreti immotivati, privilegi inesistenti, regole riscritte ad (suam) personam e spandendo tutt’intorno a lui una spessa e buia cortina fumogena che ha indotto molti cittadini a sospettare. Quando ieri, finalmente, il capo dello Stato s’è trovato di fronte ai giudici e ai giurati della Corte d’Assise, ai quattro pm e ai legali degli imputati (mafiosi, carabinieri e politici) e delle parti civili, è stato lui stesso a dissipare – per quanto possibile – tutto quel fumo. Facendo la cosa più normale: rispondere alle domande dicendo la verità, come ogni testimone che si rispetti. E, finalmente libero dai cattivi consiglieri, ha preso atto che la ricerca della verità è il solo movente che anima i giudici e i pm di questo processo: nessuno vuole incastrare o screditare nessuno, tutti vogliono sapere cos’accadde fra il 1992 e il 1993, mentre Cosa Nostra attaccava il cuore dello Stato e pezzi dello Stato la aiutavano a ricattarlo, scendendo a patti e firmando cambiali in bianco. Insomma, ha detto la verità. E così, consapevolmente o meno, ha fornito un assist insperato alla Procura di Palermo. L’aut aut. Ripercorrendo i suoi ricordi e anche i suoi appunti di ex presidente della Camera, Napolitano ha fornito un contributo che forse nemmeno i magistrati si aspettavano così nitido e prezioso, confermando in pieno l’ipotesi accusatoria alla base del processo: che, cioè, i vertici dello Stato sapessero benissimo chi e perché metteva le bombe. Per porre le istituzioni dinanzi a quello che Napolitano ha definito un “aut aut”: o lo Stato allentava la pressione e la repressione antimafia, cominciando dall’alleggerimento del 41-bis, oppure si consegnava alla strategia destabilizzante di Cosa Nostra, che avrebbe seguitato ad alzare il tiro dello stragismo per rovesciare l’ordine costituzionale. I fatti – all’epoca sconosciuti a Napolitano, ma persino al premier Carlo Azeglio Ciampi – ci dicono che fra il giugno e il novembre del 1993 quell’allentamento ci fu: prima – all’indomani della bomba in via Fauro a Roma e della strage in via dei Georgofili a Firenze – con la rimozione al vertice delle carceri del “duro” Nicolò Amato, rimpiazzato con il “molle” Adalberto Capriotti e col suo vice operativo Francesco Di Maggio; poi – in seguito all’eccidio di via Palestro a Milano e alle bombe alle basiliche romane di San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano (Giorgio come il presidente della Camera Napolitano, Giovanni come Spadolini presidente del Senato) – con la revoca del 41-bis a centinaia di mafiosi. Il risultato, in simultanea con gli ultimi preparativi per la nascita di Forza Italia (da un’idea di Marcello Dell’Utri) e la discesa in campo di Silvio Berlusconi, fu la fine delle stragi. O meglio, la loro sospensione sine die, per dare a chi aveva chiuso la trattativa il tempo e il modo di pagare le cambiali. “Violenza o minaccia a corpo politico dello Stato”, cioè al governo, anzi ai governi italiani: questa è l’accusa formulata dalla Procura (e confermata dal Gup) agli imputati di mafia e di Stato. Un’accusa che la lunga testimonianza di Napolitano sull’“aut aut” mafioso – tutt’altro che inutile, anzi fra le più utili fin qui raccolte – ha clamorosamente rafforzato. Segue a pagina 5 2 RICATTO MAFIOSO MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014 il Fatto Quotidiano IL POOL LA SQUADRA DI PALERMO Sono stati il procuratore aggiunto Teresi e i pm Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene a porre le domande al capo dello Stato. Il procuratore facente funzione Leonardo Agueci, giunto in rappresentanza dell’ufficio, non ha invece interloquito. IL GIUDICE ALFREDO MONTALTO Il giudice Alfredo Montalto, che presiede la Corte d’Assise del processo sulla trattativa, ha lunga esperienza. Da lui passò, nel 1992 l’inchiesta sull’uccisione di Boris Giuliano. Nel ‘95 respinse la richiesta di libertà avanzata dai legali di Calogero Mannino. L’ASSIST DI NAPOLITANO AI PM TRE ORE E MEZZA DI TESTIMONIANZA SU TUTTE E 40 LE DOMANDE DEI MAGISTRATI, PIÙ QUELLE DEI LEGALI. E LA CONFERMA DELL’IPOTESI ACCUSATORIA SULLO STATO RICATTATO DAI CORLEONESI di Marco Lillo L o Stato sapeva di essere sottoposto a un ricatto da parte di Totò Riina nel 1993. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo ha raccontato ieri ai magistrati di Palermo saliti a Roma tra mille polemiche appositamente per sentirlo al Quirinale. Erano due i principali filoni sui quali i pm si attendevano risposte dalla testimonianza del Capo dello Stato: la lettera di dimissioni del 18 giugno 2012 di Loris D’Ambrosio, nella quale il consigliere giuridico del Colle scriveva a Napolitano “Lei sa che di ciò ho scritto anche di recente su richiesta di Maria Falcone (nella prefazione di un libro, Ndr). E sa che, in quelle poche pagine, non ho esitato a fare cenno a episodi del periodo 1989- 1993 che mi preoccupano e fanno riflettere; che mi hanno portato a enucleare ipotesi - solo ipotesi- di cui ho detto anche ad altri, quasi preso anche dal vivo timore di essere stato allora considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi”. Il secondo tema all’ordine del giorno era la consapevolezza da parte di Napolitano nel 1992-1993 della strategia di Cosa Nostra: fare la guerra per poi fare la pace grazie a una trattativa intavolata al fine di ottenere benefici per i mafiosi. SUL PRIMO PUNTO sostanzialmente l’accusa ieri ha fatto un buco nell’acqua dando ragione allo stesso Napolitano che aveva scritto una lettera nel novembre del 2013 al Presidente della Corte di Assise di GIALLO VIOLANTE “Violante mi disse che Vito Ciancimino voleva parlare all’Antimafia”. Perché dirlo al presidente della Camera? Palermo Salvatore Montalto per evitare la convocazione perché il presidente non aveva mai ricevuto nessun ‘ragguaglio o specificazione da Loris D’ambrosio’ dopo la lettera del 18 giugno 2012 e prima della sua morte il 26 luglio dello stesso anno. Ben diverso invece l’apporto dato ieri, almeno secondo il giudizio dato dai magistrati palermitani, sul secondo versante: Napolitano ha offerto una descrizione inedita di come ha vissuto, nella sua veste di presidente della Camera, il periodo in cui - secondo l’accusa - si sarebbe svolta la trattativa a suon di bombe tra i corleonesi e le istituzioni. Le auto blindate dei magistrati di Palermo varcano l’ingresso laterale del palazzo del Quirinale su via XX settembre alle 9 e 40 del mattino. Il Procuratore aggiunto Vittorio Teresi, i pm Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, hanno preparato un elenco di una quarantina di domande da porre al Presidente della Repubblica. Tutte saranno ammesse dalla Corte tranne una, quella più delicata sulle ragioni della cancellazione del regime di isolamento del 41 bis a favore di 330 mafiosi nel novembre 1993, dopo le bombe di Cosa Nostra. L’opposizione della Corte alla domanda dei pm è stata motivata con l’estraneità al tema probatorio. Anche se altre domande sarebbero potute cadere sotto la stessa mannaia e invece sono state ammesse. NELLA SALA del Bronzino ci sono una quarantina di persone, i giudici, due togati e i popolari, la cancelliera, cinque pm - presente anche il Procuratore capo di Palermo Leonardo Agueci. Alle dieci e 5 minuti si inizia. Giorgio Napolitano si siede a sinistra dietro lo studiolo, davanti alla Corte ci sono gli avvocati. Il procuratore Agueci fa un breve discorso introduttivo per ricordare il rispetto per l’istituzione che ha di fronte ma anche per la verità che i magistrati stanno cercando. Il vero e proprio esame ha inizio con il procuratore aggiunto Teresi che chiede al testimone di precisare i suoi incarichi istituzionali. “Presidente della Repubblica”. Si inizia a parlare di Loris D’Ambrosio. Non esiste ancora un verbale ma è possibile ricostruire il senso delle risposte grazie al resoconto orale degli avvocati. Il Capo dello Stato è prodigo di ricordi e di attestati di stima verso D’Ambrosio: “Me lo presentò il professor Giovanni Maria Flick ed era una persona libera da schemi e di grande cultura. Con lui - dice Napolitano - c’era un rapporto di stima ma non di natura personale. Parlavamo solo di lavoro”. Il procuratore Teresi legge alcuni passi della lettera di D’Ambrosio e della sua prefazione al libro di Maria Falcone ma Napolitano spiega che: “D’Ambrosio era sconvolto per la campagna mediatica nei suoi confronti. Ma mai mi parlò del suo timore di essere considerato scriba di indicibili accordi”. Napolitano ribadisce quanto anticipato nella lettera alla Corte un anno fa: “Nessuna discussione sul passato con D’Ambrosio. Era una regola non scritta. Dovevamo lavora- nate con Mancino che lo pongono in una luce di ambiguità”. Napolitano risponde di buon grado a tutte le domande anche se spesso ricorda che il contrasto alla criminalità non rientrava nella sua competenza diretta. Poi prende la parola il pm Antonino Di Matteo e chiede a Napolitano se fosse a conoscenza della proposta di audizione dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino in Commissione Antimafia esaminata dal presidente di allora della commissione, Luciano Violante, su sollecitazione del generale Mario Mori. Napolitano racconta una circostanza inedita: Violante allora gli disse che Vito Ciancimino aveva chiesto di essere sentito dalla Commissione Antimafia anche se gli espresse un giudizio sfavorevole e poi la co- PROTAGONISTI Giorgio Napolitano ha testimoniato ieri al Quirinale. A lato, il boss mafioso Totò Riina e l’ex ministro Nicola Mancino Ansa GIALLO CESIS “Già il 29 luglio ‘93 sapevamo che erano stragi di mafia”. Perchè il Cesis ad agosto avallava la pista multipla? re giorno per giorno e guardare al futuro e non al passato. Gli indicibili accordi pertanto rimangono tre righe alle quali è difficile o impossibile dare un’interpretazione. Aggiungo che alcune espressioni di quella lettera - prosegue Napolitano sono frutto di uno stato di tensione prodotto dal suo tormento e dal suo travaglio nel momento in cui escono le telefo- sa non si fece. Violante non disse a Napolitano però che la sollecitazione era giunta dall’allora colonnello del Ros dei Carabinieri Mario Mori, ora imputato per il reato di minaccia o violenza a corpo dello Stato. A sorpresa il punto più importante per l’accusa arriva quando si arriva a parlare della valutazione delle stragi del 1993. All’indomani degli attentati del 27 luglio del 1993 a Roma e a Milano “fu subito chiaro - dice il presidente Giorgio Napolitano - che erano sussulti dell’ala stragista della mafia dei corleonesi”. Per Napolitano quella strategia era chiaro che fosse “finalizzata a dare un aut aut ai pubblici poteri o a fare pressioni di tipo destabilizzante”. Secondo l’allora presidente della Camera “l’allarme non venne SCHERMO OSCURO Affamati di notizie dietro un nastro blu di Carlo Tecce uando il militare abbandona la garitta a siniQ stra per il cambio di turno, le telecamere puntano verso il Quirinale, si accendono i riflettori, si cato ci sono due elementi, che presto avranno un valore irrisorio: l’udienza sarà cominciata per le 10, la Corte d’Assise di Palermo è passata per un accesso laterale. La piazza è presidiata da poliziotti e carabinieri, agenti in borghese. I turisti vengono fermati, non capiscono, e non chiedono troppo. Qui le risposte non sono disponibili, perché la truppa di cronisti - irrilevante la presenza degli stranieri - può soltanto fissare il portone quirinalizio e aspettare l’uscita di un avvocato, uno qualsiasi. Quello sfoderano i microfoni. Chi sta per scartare il panino rimane attonito, indubbiamente colpevole per aver ceduto all’appetito. Accade almeno un paio di volte, accade invano. Ormai sono le 12 e 30 minuti. Non ci sono segnali da interpretare, non ci sono informazioni da carpire di slancio. DenLa folla di giornalisti ieri fuori dal Quirinale LaPresse tro, il testimone Giorgio Napolitano viene interrogato dai magistrati di Palermo che processano la trattativa tra lo Stato e la mafia. Fuori, i giornalisti sono confinati dietro un nastro blu, non possono guardare, non potranno ascoltare, entro un paio di giorni potranno leggere i verbali. E dunque prevale l’istinto di sopravvivenza: i cronisti si intervistano tra loro, riflettono tra loro, desumono tra loro. Di rilevante e verifi- che viene concesso, e con estrema gentilezza, è un suggerimento su come raggiungere la Fontana di Trevi. Le 13 sono superate da un pezzo, la sicurezza intorno al Colle richiama automobili di servizio, s’avverte un po’ di agitazione. Il momento è arrivato. Napolitano ha finito, e sapremo. Non tanto. Il Quirinale non ha ammesso i giornalisti a palazzo, la sala del Bronzino - definita Oscura - non viene ripresa da telecamere. Appena s’affaccia un signore con una valigetta in completo scuro e un fascio di carte, archetipo di un legale (poi vai a sindacare se di imputati o di parti civili), scatta la ridda di voci, VISTI DA FUORI la ricerca di notizie, anzi di molecole di notizie. A ognuno un Cronisti, deduzioni atomo. Un particolare. Il commento, la perifrasi e il ricordo, di e autointerviste. sua costituzione labile, di cosa ha Come sopravvivere pronunciato il capo dello Stato. Il più lesto è un avvocato siciliano a un evento a porte con barbetta e capelli un po’ neri e un po’ grigi, quasi in automachiuse (che si tico inizia a raccontare la dispodovevano aprire) nibilità di Napolitano, l’atteggia- mento dei giudici, dei magistrati e persino l’accoglienza ricevuta. DOPO 5 MINUTI, un inviato domanda: “Ma chi è?”. Il vicino lo rassicura: “Quando finisce, glielo chiediamo”. E avviene, poi: “Scusi, ci può dire il suo nome?”. Non è di immediata comprensione, di mezzo c’è il doppio cognome: Giovanni Airò Farulla, comune di Palermo. Svelata l’identità di questa preziosa fonte collettiva, i giornalisti hanno un sussulto, perché s’appalesa l’avvocato di Totò Riina, il loquace Luca Cianferoni, che viene anticipato di un attimo dal collega che assiste Marcello Dell’Utri. E in retrovia s’intravedono pure i legali di Nicola Mancino. Airò Farulla viene mollato. Occorre una strategia, che fallisce quando ci si accorge che le versioni degli avvocati non coincidono. Ma gli avvocati sono fortunati, perché portano il verbo da un palazzo sacro, oggi violato. Ghermiti atomi di notizie qua e là, si smonta il muro di obiettivi più volte crollato e si torna - a panini gelidi - in regia a montare i pezzi o in redazione a scrivere. Bastava un filmato o una diretta tv o un po’ di trasparenza. Per saziare la legittima fame (di notizie). il Fatto Quotidiano RICATTO MAFIOSO L’AVVOCATO DI RIINA CIANFERONI A PALAZZO Quagliariello è rimasto indignato dalla scena di Luca Cianferoni, difensore di Riina attorniato dai giornalisti che gli chiedevano lumi sulla deposizione del Presidente della Repubblica. Senz’altro il legale del boss mafioso è stato uno dei protagonisti della giornata. LE PARTI CIVILI DA DE GENNARO AL CENTRO PIO LA TORRE Sono sette le parti civili ammesse al Quirinale per il tramite dei loro legali: il Centro studi Pio La Torre, l’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro, la Presidenza del Consiglio dei ministri, la presidenza della Regione Sicilia, il Comune di Palermo, Libera e l’associazione vittime della strage dei Georgofili. MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014 3 Il procuratore Vittorio Teresi “Il teste politico più netto: rafforza la nostra accusa” olto soddisfatti. I pm M palermitani tornano a casa con un sorriso raggiante. Per il Procuratore aggiunto di Palermo, Vittorio Teresi: “Il Capo dello Stato ci ha offerto elementi che consolidano il capo di imputazione di minaccia o violenza a corpo dello Stato. Abbiamo potuto porre tutte le domande al Capo dello Stato che non si è mai sottratto ad alcuna doman- mata. Il presidente ha detto sostanzialmente che i vertici delle istituzioni avevano la piena consapevolezza che gli attentati e le stragi fossero opera della mafia corlonese. E “che l’obiettivo era destabilizzare lo Stato per porre un aut aut alle istituzioni. In questo quadro Napolitano ha parlato di una triade istituzionale in contatto continuo? In quei giorni, dopo le stragi, si sono sentiti con il presidente Spadolini e il presidente Scalfaro. Nessuno ebbe dubbi su questa analisi. Oggi, tra quelli, Napolitano è l’unico in vita È una constatazione che conferma la necessità di sentirlo. Vittorio Teresi Ansa sottovalutato anche perché oltre agli attentati ci fu il black out a Palazzo Chigi e ricordo che il presidente Ciampi disse di avere temuto un colpo di Stato”. IL PM ANTONINO Di Matteo è soddisfatto della risposta di Napolitano anche perché la Procura ha da poco scovato alcuni documenti dell’epoca che sembrano disegnare uno scenario diverso. Il 6 agosto il Cesis, il Comitato esecutivo per i Servizi di Sicurezza che coordina i servizi segreti e che ora è stato sostituito dal Dis, redige una nota al termine di una riunione alla quale partecipano le massime autorità, compreso il capo della DIA Gianni De Gennaro, nella quale si avanzano altre piste oltre a quella mafiosa. Dai narcotrafficanti ai terroristi separatisti. Solo quattro giorni dopo, il 10 agosto 1993, Gianni De Gennaro sente l’esigenza di stilare una nota che indica il movente e gli autori giusti delle stragi. Quando il pm Di Matteo chiede a Giorgio Napolitano cosa sapesse di quel documento della Dia, il Capo dello Stato replica: “Ci stiamo allontanando di molti chilometri dall'alveo originario della mia testimonianza e si presume che io abbia una memoria da fare invidia a Pico della Mirandola. Non ricordo la nota DIA a firma del dottore De Gennaro”. Poi si passa all’allarme del SISMI su un attentato in preparazione ai danni di Napolitano stesso e del presidente del Senato Spadolini. “Si ne fui informato dal capo della Polizia Parisi ”, spiega Napolitano prima di svalutare un po’ l’allarme: “quell'anno partii da”. GIALLO DIA Il 10.8 De Gennaro firma un rapporto Dia che punta tutto sulla matrice mafiosa per il 41-bis. Per smarcarsi dal Cesis? Alla luce del risultato dal punto di vista processuale. Ne è valsa la pena? Certamente è stato molto utile e la mia sensazione è che anche il presidente abbia colto l’importanza di questo momento processuale. È stata una lezione di democrazia e un grande contributo all’accertamento della verità. La vostra ipotesi accusatoria è che lo Stato abbia subito nel 1992-1993 una sorta di ricatto a suon di bombe da Cosa Nostra. Napolitano, allora presidente della Camera, ha fornito elementi a supporto di questa tesi? per andare in vacanza a Stromboli e il 23 agosto 1993 Parisi mi riferì di questi allarmi ma mi disse: ‘i servizi consigliano cautela’ ma l'attendibilità della fonte era tale che non chiese di annullare il viaggio. L’allarme si tradusse solo nella precauzione di inviare qualche agente dei NOCS in più. Quando tornai da Parigi non ebbi ulteriori misure di sicurezza”. Secondo noi l’ipotesi accusatoria esce fortemente confer- Di tutti gli esponenti delle istituzioni sentiti finora il presidente è stato l’unico a dire che la mafia ha ricattato lo Stato con le bombe e che lo Stato era consapevole. I ministri di allora, Giovanni Conso e Nicola Mancino, non hanno detto nulla di simile. Non c’è dubbio. Il presidente è stato il più netto. C’è stata un po’ di irritazione del presidente alle domande degli avvocati della difese? Forse un paio di domande sono state percepite come più provocatorie. Una domanda dell’avvocato di Totò Riina, Luca Cianferoni, riguardava la famosa frase di Oscar Luigi Scalfaro: ‘Non ci sto’. La Corte l’ha esclusa perché estranea al tema probatorio, prima ancora che potessi oppormi io. Quando mi sono alzato per oppormi ho colto lo sguardo del presidente che credo abbia apprezzato. (m.lil) UN’ESTATE DIFFICILE I timori di Ciampi, tra black out e golpe di Gianni Barbacetto isti da vicino, quei giorni V del 1993, delle bombe e delle minacce stragiste, faceva- no paura. Carlo Azeglio Ciampi era presidente del Consiglio. “Il mio governo ha avuto il triste distintivo di essere stato accompagnato da una serie di attentati terroristici che oggi sappiamo essere di stampo mafioso”: così li ricorda, in un suo libro oggi introvabile, Un metodo per governare, edito dal Mulino nel 1996. “La bomba di via Fauro esplode due giorni dopo il voto di fiducia; una settimana dopo, il 27 maggio, c’è l’attentato di via dei Georgofili a Firenze; il 2 giugno, festa della Repubblica, viene scoperta a pochi metri da Palazzo Chigi un’auto piena di esplosivo, mentre, riunito con i sin- dacati e Confindustria, conducevo la trattativa sul costo del lavoro; il 27 luglio i gravissimi attentati a Roma e a Milano”. Con il misterioso black-out che isola per ore Palazzo Chigi. OGGI SAPPIAMO che a mettere la bombe sono stati uomini di Cosa nostra. Ma da soli? Senza che nessuno indicasse loro obiettivi così sofisticati, due basiliche romane e il Padiglione di arte contemporanea a Milano? “Gli attentati del 1993 sono di più difficile lettura”, scrive Ciampi, “perché apparentemente non hanno dei precisi obiettivi ‘militari’, non perseguono l’eliminazione fisica di soggetti pericolosi per l’organizzazione mafiosa. Perché questi attentati durante il governo Ciampi? Forse che con esso ogni aggancio è impossibile, irrecuperabile? È forse per questo che, con una strategia stragistica, si vuole dimostrare l’incapacità di controllo dell’esecutivo sul territorio nazionale, e per tale via delegittimarlo?”. Insomma: forse che si volesse fiaccare il governo per far passare la linea della trattativa? Nel 2010, Ciampi rincara la dose: “Ebbi paura che fossimo a un passo da un colpo di Stato”, dichiara. “Lo pensai allora, e mi creda, lo penso ancora oggi”. Ma i colpi di Stato non li fa Cosa nostra. Almeno non da sola. E infatti l’allora presidente del Consiglio, subito dopo le bombe del luglio ’93, decide a sorpresa di Carlo Azeglio Ciampi Ansa IL RICORDO “L’interazione delle diverse crisi in atto – sociale, economica, morale e politica – poteva dare luogo a una miscela esplosiva” partecipare alla manifestazione del 2 agosto 1993 a Bologna, in ricordo della strage alla stazione, e quel giorno, nel suo intervento in piazza, dice: “È già stato travolto un immenso labirinto di interessi illegali, frutto delle degenerazioni della politica e dell’uso distorto delle risorse pubbliche. È questa svolta messa in atto, nel massimo ordine democratico, dai cittadini elettori, dai loro giudici, dal loro Parlamento, garantita dal capo dello Stato: è questo processo di vasto cambiamento l’obiettivo del nuovo terrorismo (...), è contro questa concreta prospettiva di uno Stato rinnovato che si è scatenata una torbida alleanza di forze che perseguono obiettivi congiunti di destabilizzazione politica e di criminalità comune”. Mafia e politica, dunque, insieme in una nuova strategia terroristica: così Ciampi interpreta, a caldo, le stragi del ’93. Non senza lo zampino di apparati dello Stato, tanto che il presidente mette subito mano a una riforma dei servizi segreti: “L’interazione delle diverse crisi in atto – sociale, economica, morale e politica – poteva dare luogo in quell’estate del 1993 a una miscela esplosiva”, ragiona nel suo libro del ’96. “Questi eventi mi indussero a porre mano a una radicale ristrutturazione dei servizi di sicurezza per accrescerne l’efficienza, migliorarne il coordinamento. Un disegno di riforma venne presentato al Parlamento in settembre, ma nonostante gli sforzi del governo non riuscì a superare neppure l’iter in Commissione”. 4 RICATTO MAFIOSO MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014 LEGA NORD SALVINI: “IN 40, UNA FARSA” ”Una farsa. Giornata inutile, soldi e tempo sprecati. In 40 fra magistrati, avvocati e compagnia per interrogare Napolitano. Solo a me pare una follia? Sarà la storia a giudicare quel che è successo davvero”, sostiene il leghista Matteo Salvini. il Fatto Quotidiano MOVIMENTO 5 STELLE FRACCARO: “SI DIMETTA” ”Il presidente della Repubblica continua a trascinare nel fango le istituzioni invece di dimettersi - dice il deputato M5S Riccardo Fraccaro - Quando si deciderà a togliere il disturbo, e a far sparire la sua ombra dalle istituzioni, sarà sempre troppo tardi”. LE RISPOSTE DI SPALLE, TENSIONE E BATTUTE ORA IL RE È PIÙ SERENO SALA OSCURA All’inizio dell’esame Giorgio Napolitano ha dato le spalle ai pm Dlm PER LA PRIMA MEZZ’ORA IL TESTIMONE NON SI È GIRATO VERSO I PM, LA STIZZA AL NOME DI D’AMBROSIO. POI: “RISPONDO ANCHE SE POTREI TACERE” E “NON SIAMO UNA MONARCHIA” di Fabrizio d’Esposito I l Testimone nella Sala Oscura. È entrato poco dopo le dieci, con la sua andatura un po’ curva. “Napolitano Giorgio”. Un solo agente, in borghese, a garantire l’ordine pubblico, un uomo della sicurezza del Quirinale. Nessuno si è alzato, contrariamente a quanto riferito da un’agenzia di stampa. I magistrati, i giudici popolari, gli avvocati sono rimasti tutti seduti. Giorgio Napolitano ha trovato una scrivania già pronta, dove poggiare una serie di appunti preparati con la sua proverbiale pignoleria nei giorni scorsi. Accanto un altro scrittoio, più piccolo, per il vicesegretario generale del presidente della Repubblica. La Sala del Bronzino alias Sala Oscura, al piano nobile del Quirinale. Non ci sono finestre che prendono luce dal mondo fuori. Nel salone che ospita gli incontri con gli altri capi di Stato, la Corte di Palermo è stata assisa su una pedana, al centro. Su un lato, a sinistra, la postazione di Napolitano, poi i banchi per pm e avvocati. L’incipit di questa giornata storica è rigido, nervoso. Napolitano è in abito blu e ha una postura tesissima. Mesi e mesi di polemiche e scontri si risolvono in quelle mani che si muovono e poi si fermano sullo scrittoio. Alle prime domande del pm Vitto- rio Teresi, il Testimone ha offerto la prima stranezza di questa udienza al buio, senza giornalisti e senza immagini. Non si è mai girato e ai magistrati ha dato la nuca. Di solito chi depone ascolta rivolgendosi verso chi parla, corte o pm o avvocati che siano. Nella prima mezz’ora non è mai accaduto. E Teresi ha parlato guardando Napolitano di spalle. Chi c’era racconta che è stato questo uno dei momenti di tensione più vistosi. IL CAPO dello Stato si è sciolto alla sesta domanda del pm, salvo stizzirsi quando si è indugiato su Loris D’Ambrosio, il suo consigliere giuridico morto d’infarto. Napolitano ha ripercorso il loro rapporto di “stima e di affetto” e quando ha detto che “eravamo una squadra di lavoro” ha poi aggiunto, come chiosa superflua e orgogliosa: “Non siamo in una monarchia, io sono un presidente della Re- DOPO L’AUDIZIONE Bilancio “positivo” a caldo con lo staff. Il capo dello Stato si è tolto un peso, adesso si concentrerà sulla legge elettorale pubblica”. Ecco perché “la squadra di lavoro”. In un altro passaggio, il Testimone stizzito che non vuole essere chiamato re ha invece esibito la sua ironia. A proposito di un “anonimo” spedito dal carcere di Pianosa all’allora presidente Scalfaro, Napolitano ha liquidato la ricostruzione dei pm con una battuta assertiva: “Non sono mica DI BATTISTA Da Gelli ai Cpt ecco perché è “indecoroso” he ci sia il “reato di C vilipendio” nei confronti del capo dello Stato, lo sa bene. Così, il deputato M5S Alessandro Di Battista, ieri si è messo lì, attento a “dosare le parole” ma intenzionatissimo a dimostrare perché, al di là del processo sulla trattativa, Giorgio Napolitano sia un “soggetto politicamente indecoroso”. Comincia dal 1953, “inizio dei 61 anni di politica” di Napolitano, “costati al contribuente italiano oltre 16 milioni di euro tra stipendi e rimborsi vari”. Passa al 1956, “quando i carri armati sovietici massacravano gli studenti a Budapest e lui dichiarava che l’Urss stava portando la pace in Ungheria”. Poi arriva al 1981, alla questione morale di Berlinguer: per Napolitano “vuote invettive”, ricostruisce Di Battista. Poi c'è Tangentopoli e il no dell’allora presidente della Camera all'ingresso dei finanzieri a Montecitorio “per richiedere gli originali dei bilanci dei partiti”. E ancora le accuse di Di Pietro: Napolitano “non è credibile” sulle tangenti Enimont. Poi, Di Battista, gli attribuisce, nell'ordine, la responsabilità delle cose più disparate: la fuga all'estero di Licio Gelli, la nascita dei Cpt, il segreto di Stato sulle confessioni di Schiavone, le firme alle leggi ad personam di Berlusconi, la grazia al colonnello Usa coinvolto nel rapimento Abu Omar. E solo alla fine, si arriva a parlare della trattativa. Di Battista è convinto: “La Rete è libera e queste informazioni viaggeranno per l'eternità e tutti sapranno cosa lei ha fatto”. Mafia, archiviazione per Schifani Pico della Mirandola”. Ossia, la mia memoria è normale, non prodigiosa. Sovente, il capo dello Stato ha accompagnato le sue risposte ricordando le sue prerogative. Per la serie: “Potrei non rispondere ma sono disponibile lo stesso”. L’esame di Napolitano nella Sala Oscura ha portato via oltre tre ore, perlopiù impegnate dai magistrati. A mezzogiorno la pausa. Il presidente della corte, Alfredo Montalto, ha chiesto al teste se voleva fermarsi per qualche minuto e il teste ha risposto di sì. Un quarto d’ora di stop e per alcuni “ospiti” dell’udienza finanche un piccolo giro per il Quirinale. Napolitano è uscito per poi rientrare e affrontare la parte finale. Il congedo è stato più rilassato dell’incipit dell’udienza. Una stretta di mano a Montalto e un arrivederci corale a tutti. Una volta nel suo studio, il presidente della Repubblica ha fatto un bilancio a caldo con i suoi più stretti consiglieri. Un bilancio ritenuto “positivo”, in particolare per aver evitato, innanzitutto, un Vietnam mediatico. Il nervosismo è tornato con le prime dichiarazioni di un avvocato che ha fatto sapere: “Napolitano si è avvalso anche della facoltà di non rispondere”. Il Colle ha smentito poco dopo con una nota ufficiale: “Ha risposto alle domande senza opporre limiti di riservatezza connessi alle sue prerogative costituzionali né obiezioni”. Proiettata sul lungo periodo, la giornata di ieri viene riassunta così da chi conosce gli umori del Colle: “Nel suo secondo mandato, Napolitano aveva due macigni. Uno era Palermo, l’altro le riforme e la legge elettorale. Adesso ne rimane uno solo, da qui alle dimissioni”. In pratica, la legge elettorale, che difficilmente sarà approvata prima di febbraio-marzo. Napolitano non andrà via a gennaio. E per certi versi l’udienza di ieri ha alleggerito il suo mandato. Renato Schifani, da Forza Italia al Ncd Ansa ACCOLTA LA RICHIESTA DEI PM, RESTANO LE PAROLE DEI PENTITI E QUELLE DI TOTÒ RIINA NELL’ORA D’ARIA di Giuseppe Lo Bianco Palermo avevano chiamato “Schioperatu” per naL’ sconderlo a occhi indiscreti, visto che all’epoca della nuova iscrizione nel registro degli indagati per concorso esterno alla mafia Renato Schifani era ancora presidente del Senato, la seconda carica dello Stato. Ma oggi quel nome fittizio è stato cancellato da quel registro: dopo oltre dieci anni di inchieste il gip di Palermo Vittorio Anania ha accolto la richiesta dei pm Nino Di Matteo e Paolo Guido, e ha archiviato il fascicolo nei confronti dell’ex capogruppo del Pdl, oggi esponente del Nuovo Centro Destra, con l’ipotesi di concorso in associazione mafiosa. E se nelle carte non ci sono elementi per mandare a giudizio l’ex leader di Forza Italia restano le ombre su rapporti borderline con Cosa Nostra di cui hanno parlato non solo i pentiti ma anche Totò Riina, nelle sue passeggiate all’ora d’aria con il detenuto pugliese Alberto Lorusso: “Abbiamo il paese ciliegiaro, questo senatore, il senatore che abbiamo, che abbiamo alla Camera, il paese di lui era mandamento nostro...” dice il Capo dei Capi, parlando con Lorusso, il 18 novembre 2013. E aggiunge, senza citare per nome Schifani, originario appunto di Chiusa Sclafani: è “il senatore che abbiamo – dice Riina, equivocando il ramo del Parlamento – che abbiamo alla Camera”. stra negli anni in cui esercitava a Palermo la professione di avvocato e non si occupava di politica. Dalle parole di Spatuzza, l’ex killer di Brancaccio che ha raccontato agli inquirenti delle visite che Schifani avrebbe fatto nei capannoni della Valtras – l’azienda di trasporti di proprietà del suo cliente Pippo Cosenza a cui avrebbe partecipato, secondo il pentito, anche il boss straNONOSTANTE Schifani per difendersi abbia gista Filippo Graviano – alle accuse di Stefano Lo sempre sostenuto che “come sempre accade in Verso, che nell’ottobre 2012, al processo contro questo Paese c’è sempre qualcuno che tenta di l’ex capo del Ros Mario Mori, aveva rivelato di intorbidire le acque”, la citazione di Riina nei avere ricevuto le confidenze del capomafia Nisuoi confronti si aggiunge alle dichiarazioni dei cola Mandalà, che gli aveva confermato di avere collaboratori di giustizia che nel corso di oltre “nelle mani Renato Schifani”. Un rapporto, quindici anni hanno raccontato i rapporti del quello con la famiglia Mandalà, assai influente a senatore azzurro con persone legate a Cosa no- Villabate, confermato da un altro collaboratore, Francesco Campanella, ex presidente del consiglio comunale del Villabate (la cui amminiACCUSA E DIFESA strazione è stata sciolta nel ’99 e All’ex presidente del Senato sono state attribuite frequentazioni nel ’04 per infiltrazione mafiosa, ndr), che ha contribuito a riborderline, all’epoca in cui era avvocato a Palermo e non faceva lasciare la falsa carta d’identità ancora politica. E lui: “Cercano di intorbidire le acque” utilizzata da Provenzano per recarsi in Francia. Per approfondire questi rapporti l’ex gip Piergiorgio Morosini, oggi membro del Csm, nel 2013 dopo aver rifiutato la richiesta di archiviazione ordinò un supplemento di indagini, comprendente nuove audizioni dei pentiti tra cui Nino Giuffrè, detto “manuzza”, Tullio Cannella e Innocenzo Lo Sicco. E infine, la Procura aveva in programma di interrogare anche Giovanni Costa, un faccendiere palermitano arrestato a settembre a Santo Domingo che aveva annunciato pubblicamente: “Prima o poi la verità su Schifani dovrò raccontarla tutta”. Schifani ha sempre dichiarato la propria estraneità alle accuse: “Non ho mai fatto politica prima del 1996 e Riina mi risulta essere stato arrestato nel gennaio del 1993. Inoltre, è noto a tutti che sono nato a Palermo, dove ho studiato ed esercitato la mia professione. Questi sono i fatti”. il Fatto Quotidiano RICATTO MAFIOSO IN VECE DEL PREMIER LA BOSCHI: “GLI SIAMO GRATI” Matteo Renzi tace, parla Maria Elena Boschi: ”Ancora una volta, oggi, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha dimostrato il suo profondo rispetto per le istituzioni repubblicane e l'alto senso dello Stato. A lui va tutta la nostra gratitudine per la dedizione e la fedeltà alla Costituzione”. IL VIMINALE ALFANO: “VINCE IL DIRITTO” Per il ministro dell’Interno Angelino Alfano “la deposizione del presidente Napolitano è nel segno di quell'autonomia dei poteri e degli ordini dello Stato da lui sempre auspicata, nonché della certezza del diritto intesa come fede incrollabile”. MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014 5 SEGUE DALLA PRIMA di Marco Travaglio La Triade dello Stato sapeva del ricatto: poi il governo sbracò della “triade”, Napolitano è l’unico superstite: Scalfaro e Spadolini sono morti, e così l’allora capo della Polizia Vincenzo Parisi, uomo-chiaa lettera. Il contributo meno interesve di quella stagione, anche per il suo filo diretto con Scalfaro. 2) Perché nessun altro uosante Napolitano mo delle istituzioni di allora è mai stato così l’ha fornito a prochiaro ed esplicito sul livello di consapevolezza posito di un passo della lettera di dimissioni che gli inviò il 18 dei rappresentanti dello Stato sul significato dell’offensiva stragista di Cosa Nostra: una giugno 2012 il suo consigliere lunga sfilza di politici smemorati e/o reticenti. giuridico Loris D’Ambrosio, 3) Perché, se già il 29 luglio '93 si sapeva che le nel pieno delle polemiche per bombe in via Palestro e contro le basiliche le sue telefonate con Nicola erano roba di mafia per piegare lo Stato, non si Mancino: “Lei sa di ciò che ho scritto anche di recente su ri- NAPOLITANO RICORDA LE CONSULTAZIONI CON SCALFARO E SPADOLINI SULLA PISTA comprende quel che accadde subito dopo. Piste e depistaggi. Il 6 agosto '93, attorno a un chiesta di Maria Falcone. E sa tavolo del Cesis (il comitato che coordinava i che, in quelle poche pagine, CORLEONESE E IL MOVENTE DI ”AUT AUT” ALLE ISTITUZIONI. MA I SERVIZI DEPISTAVANO servizi segreti militare e civile), si riunirono i non ho esitato a fare cenno a capi dell’intelligence, ma anche il capo della episodi del periodo 1989-1993 che mi preoccupano e fanno Polizia Parisi, il capo della Dia De Gennaro, il vicecomandante del Ros Mori e il vicecapo e riflettere...”. Napolitano souomo forte del Dap Francesco Di Maggio. E se stiene che D’Ambrosio non gli disse nulla, anche se riconosce ne uscirono con una fumosa relazione, sulle bombe della settimana precedente, piena di che poi nel libro della Falcone quegli episodi non li raccontò. piste fasulle al limite del depistaggio: oltre Ha trovato anche la lettera all’eventuale matrice mafiosa, ipotizzarono dattiloscritta che il consigliere quella del terrorismo serbo, o palestinese, o del inviò alla Falcone, ma assicura narcotraffico internazionale. Del resto, se gli ai pm che il testo è identico a apparati e i servizi avessero davvero avuto quello poi pubblicato. “... (epidubbi sulla pista mafiosa per strappare allo Stato un cedimento sul 41-bis, cioè sul tratsodi) che mi hanno portato a enucleare ipotesi – solo ipotamento dei boss detenuti, perché mai invitare tesi – di cui ho detto anche ad a quel tavolo un estraneo come il vicecapo altri...”. Quell’“anche ad altri” delle carceri Di Maggio? Fin da giugno, il suo fa pensare, per la seconda volsuperiore Capriotti aveva scritto al ministro ta, che ne abbia parlato anche Conso sollecitando un taglio lineare dei 41-bis con Napolitano. Il quale però per “dare un segnale di distensione nelle carnega. “...quasi preso anche dal ceri”. E proprio per accelerarlo Cosa Nostra aveva seminato morte e terrore in quella privivo timore di essere stato allora considerato solo un inmavera-estate. Infatti appena quattro giorno dopo il vertice al Cesis, il 10 agosto, De Gengenuo e utile scriba di cose 26 LUGLIO 1993 Il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro con i presidenti del Senato Giovanni Spadolini naro firmò un rapporto utili a fungere da scudo per e della Camera Giorgio Napolitano. Sotto, Loris D’Ambrosio (1947-2012) Ansa indicibili accordi”. Il presidella Dia, destinato a Mandente riconosce che si tratta di frasi “dram- costringere lo Stato a piegarsi. Roma e Firenze imprecisata “pubblicisticino e a Violante, che metLA LETTERA matiche”. Perché allora non ne chiese conto al a maggio. Poi Milano e di nuovo Roma nella ca” che già all’epoca avrebteva nero su bianco la pista suo collaboratore dopo averle lette? La risposta notte fra il 27 e il 28 luglio. Il presidente ricorda be riferito di due correnti mafioso-trattativista delle Il consigliere D’Ambrosio è evasiva: quando, l’indomani, parlò con che subito, fin dal 29 luglio, “la Triade” Scal- divergenti fra i corleonesi: bombe e invitava il goverD’Ambrosio, lo fece soltanto per convincerlo a faro-Spadolini-Napolitano, cioè i massimi l’ala guerrafondaia e un’ala nel 2012 gli scrisse di “indicibili no a non cedere sul 41-bis: ritirare le dimissioni e non affrontò con lui il vertici dello Stato che condividevano tutte le più morbida (quella di “È chiaro che l’eventuale accordi”. Il Presidente tema degli “indicibili accordi”. Ora, visto che conoscenze (mutuate dall’intelligence e dalle Provenzano). In realtà revoca anche solo parziaD’Ambrosio è morto e gli “altri” destinatari forze investigative) su quel che stava accaden- nessuno allora scrisse mai le... del 41-bis potrebbe riconosce: “Erano parole rappresentare il primo delle sue confidenze sono ignoti, il giallo ri- do, erano certi che anche quelle stragi avevano nulla del genere: lo disse il una matrice mafiosa (“corleonese”, specifica il ministro dell’Interno mane insoluto. concreto cedimento dello drammatiche”. Ma perché Stato intimidito dalla staIl 1992. Anche sul 1992 – quando inizia l’at- presidente) e un movente ricattatorio, estor- Mancino, nel dicembre non gli chiese spiegazioni? gione delle bombe”. Un tacco ricattatorio di Cosa Nostra allo Stato do- sivo. Napolitano ricorda di averne parlato col '92, poco prima della catpo la sentenza della Cassazione sul maxipro- presidente Scalfaro e forse, ma non lo ricorda tura di Riina, in un’incremodo per smarcarsi dal fumoso e depistante rapporcesso, con il delitto Lima, la strage di Capaci, con precisione, col premier Ciampi. Il quale, dibile intervista al Giornale to del Cesis, che pure lo l’inizio della trattativa del Ros con Vito Cian- dopo il black out dei centralini di Palazzo Chigi di Sicilia. Poi si giustificò cimino (intermediario prima con Riina poi nella notte delle bombe, dirà di aver temuto un con i pm sostenendo di stesso De Gennaro aveva siglato? Un mese dopo, 11 con Provenzano), la mattanza di via D’Amelio, colpo di Stato e tirerà in ballo la P2. Non solo averlo saputo da Pino Arl’accantonamento di Ciancimino e le trame di Cosa Nostra voleva ricattare lo Stato: ma i mas- lacchi, consulente della settembre, lo Sco della PoProvenzano per consegnare Riina ai carabi- simi esponenti dello Stato si sentivano sotto Dia. Ma l’allora capo della lizia, guidato da Antonio nieri – Napolitano ha poco da dire. Se non che ricatto di Cosa Nostra. Napolitano ricorda una Dia, Gianni De Gennaro, Manganelli, fu ancora più ha smentito: in quei mesi ricorda bene come, alla Cameesplicito, usando per la riiniani e provenzaniani rira da lui presieduta, il decreto prima volta il termine sultavano una cosa sola, Scotti-Martelli sul 41-bis, va“trattativa” in una nota inONOREVOLI SCRIVANIE rato il 6 giugno subito dopo viata all’Antimafia di Vioanzi si pensava che ProCapaci, si arenò e occorse lante: “Obiettivo della stravenzano fosse addirittura l’omicidio di Borsellino pertegia delle bombe sarebbe morto. Solo chi trattava ché il Parlamento lo converquello di giungere a una con Ciancimino, e dunque tisse in legge il 1° agosto. E sorta di trattativa con lo con Provenzano, sapeva che, stranamente, il neopresiche quest’ultimo era vivo e si era smarcato Stato per la soluzione dei principali problemi dente dell’Antimafia Luciano dall’ala stragista. Ma su questi fatti Napolitano che affliggono l’organizzazione: il ‘carcerario’ o un ufficio a palazzo Marini, in via Poli. e il ‘pentitismo’... Creare panico, intimidire, Violante, suo compagno di non ha nulla di utile da riferire. partito, rivelò anche a lui che Due belle stanze al quinto piano. E posso Tutti sapevano. In una nota del Sismi appena destabilizzare, indebolire lo Stato, per creare i Ciancimino voleva esser conscoperta e depositata dai pm, datata 29 luglio presupposti di una ‘trattativa’, per la cui contestimoniare che il mio piano è pochissimo vocato e sentito in commis'93 (il giorno dopo le stragi di Milano e Roma), duzione potrebbero essere utilizzati da Cosa frequentato”. Andrea Vecchio, deputato di sione (cosa che Violante prosi legge: “Tra il 16 ed il 20 agosto ci sarà un Nostra anche canali istituzionali”. Più chiaro Scelta Civica, fa outing. E confessa che nei loro mise di fare, e poi misterioattentato che non sarà portato a monumenti o di così... uffici, i deputati, non ci vanno mai. Insomma, samente non fece mai). Per la a teatri, ma a persone. A livello grosso. Una Lo sbraco. Anche questo allarme, come i preverità, a raccomandare don strage. Poi si faranno ad uno grosso (inteso in cedenti, viene ignorato sia da Mancino sia da il trasloco in un “open space”, l'approdo alle Vito per un incontro a tu per senso di personalità politica). Spadolini e Na- Violante. E il 5 novembre il ministro Conso “scrivanie condivise”, non sarebbe una tragetu con Violante, era stato propolitano, uno vale l’altro. Gli autori sono sem- non rinnova il 41-bis in scadenza a 334 mafiosi dia. Eppure, ieri, l'ennesima riunione per deprio il colonnello Mario Mori, pre i soliti: quelli là (riferito ai corleonesi?) detenuti, contro il parere negativo della Procidere che fare con i contratti di affitto in scama questo il compagno Luciad’accordo coi grossi (riferito ai politici) e coi cura di Palermo. Ma in ossequio alla solleno non lo disse al compagno massoni”. Parole che fanno scopa con quelle citazione che gli veniva dal nuovo capo del denza a dicembre, non ha portato a nessun Giorgio. Perché il presidente pronunciate ieri da Napolitano, che fra l’altro Dap fin da giugno. Per negare l’evidente cerisultato. Anzi sì, una certezza c'è: ognuno dell’Antimafia avvertì proprio ha ricordato il rafforzamento delle misure di dimento al ricatto mafioso, Conso s’è trincevuole la sua stanza, va bene l'open space ma il presidente della Camera di sicurezza sulla sua persona proprio in quei rato dietro il rapporto del Cesis che ipotizzava solo per un breve periodo. Poco importa se, quella richiesta di Ciancimigiorni. Perché è così importante, per la pub- matrici diverse da quella di Cosa Nostra per le no? Napolitano non sa spieblica accusa, la testimonianza del presidente stragi dell’estate. Ma, oltre ai rapporti Dia e per dare un tetto a tutti i 405 deputati, bigarselo. sulla matrice corleonese e sulla finalità ricat- Sco, a smentirlo ora c’è anche la parola di Nasognerà pagare ancora un affitto. Il 1993. Dopo la cattura pilotatoria delle stragi dell’estate '93 come con- politano: i vertici dello Stato sapevano fin da tata di Riina, Cosa Nostra si sapevolezza comune e unitaria fin da subito subito che era stata Cosa Nostra per ricattarlo. rifà sotto a suon di bombe per presso i massimi vertici dello Stato? 1) Perché, E lo Stato sbracò. L Niente open space, voglio una stanza H 6 PIAZZE E CONTI MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014 Spiùvimez: al Sud morti che nati, come nel 1918 NEL MEZZOGIORNO, lo scorso anno, ci sono stati più morti che nati. Lo rivela il secondo rapporto Svimez sull’economia, che fotografa un Sud sempre più povero. Con 117 mila nascite nel meridione si è registrato il numero più basso dal 1861. Si rischia la desertificazione, anche perché si continua a emigrare: lo scorso anno, dal Mezzogiorno, sono partiti in 116 mila. La causa è la povertà: oltre 1 milione e 14 mila (+ 40% nell’ultimo anno) le famiglie disagiate. Mentre quelle che vivono in stato di “deprivazione materiale severa”, dal 2008 al 2012, sono aumentate del 7%. Non riescono a pagare l’affitto, il mutuo o il riscaldamento e fanno fatica a fare un pasto di carne o pesce ogni due giorni. La regione più povera è la Calabria, con un prodotto interno lordo pro capite di 15.989 eu- Sciopero generale anti-Renzi La Cgil si gioca l’ultima carta LA CAMUSSO VUOLE ASPETTARE DICEMBRE: SPERA CHE LA CRISI AFFONDI IL PREMIER di Giorgio Meletti L a sfida è mortale. Matteo Renzi vuole la Cgil fuori dal terreno di gioco. Susanna Camusso ha una sola vera speranza, che il rottamatore imploda a breve, travolto dagli implacabili numeri della crisi. In subordine, la Cgil può solo cercare di guadagnare tempo per rinviare la resa. Così nella sede romana di Corso Italia è già iniziata la discussione organizzativa sullo sciopero generale che Maurizio Landini della Fiom vuole già a novembre, a costo di farlo solo con i metalmeccanici, e che Camusso vorrebbe rinviare a dicembre. A quel punto le partite di Jobs Act e legge di stabilità saranno già concluse, ma non importa, se Renzi non si schianta sarà in ogni caso una lunga marcia. LO SCARTO tra le illusioni e la realtà Camusso l'ha misurato nelle sole 48 ore che hanno separato la trionfale manifestazione di sabato scorso e lo schiaffone che si è presa lunedì pomeriggio a Palazzo Chigi. Ecco Camusso 1 nel retropalco di piazza San Giovanni baciare con vivo affetto ed entusiasmo l'irredentista pidino Stefano Fassina che si complimenta: “Mi pare che ha funzionato”. Lei replica sorridente: “Possiamo respirare bene, no?”. Sì, una bella boccata d’ossigeno, la manifestazione contro Renzi è andata meglio delle previsioni degli stessi organizzatori. Ed ecco Camusso 2 che va all'incontro con il governo sulla legge di Stabilità e ne esce con le mascelle serrate. “Lo spirito dell’incontro si potrebbe riassumere in: mandateci una mail”. Altro che email. A stretto giro Renzi, che ha disertato l'incontro con i sindacati, va in tv e scandisce: “I sindacati devono trattare le condizioni dei lavoratori con le imprese, non le leggi con il governo”. In confronto gli arzigogolati distinguo di Mario Monti sulla fine della concertazione erano carezze. E infatti quel governo tecnico non ha pagato dazio, al ministro Elsa Fornero fu consentita una feroce riforma delle pensioni (con tanto di esodati) e il depotenziamento dell'articolo 18 al modico prezzo di uno scioperetto di tre ore “per lavarsi la coscienza”, come rimarcarono i più critici. Polemica antica. Il 16 ottobre 2010, sempre a San Giovanni, Maurizio Landini esordì con il suo primo comizio da segretario della Fiom chiedendo alla Cgil lo sciopero generale, e l'allora leader Guglielmo Epifani lo liquidò ricordandogli che “per i lavoratori lo sciopero è un grande sacrificio”. Adesso Camusso è pronta a impugnare per la prima volta l'arma dello sciopero generale soprattutto per dimostrare che Landini non ha il monopolio della lotta dura. MA RENZI stringe il cappio in- Dall’alto: Susanna Camusso e Maurizio Landini Ansa, LaPresse DIFFERENZE Landini invoca la prova di forza già per il mese prossimo, il segretario prende tempo. E incassa l’appoggio della Cantone il Fatto Quotidiano torno al collo della Cgil, rivendicando che il popolo di sinistra comunque sta con lui, e snocciola risultati elettorali e sondaggi politici che sono l'unica lingua che gli piace parlare. Camusso è costretta ad alzare la posta per tre ragioni. Glielo chiede l'apparato che l'ha espressa quattro anni fa, preoccupato per il proprio futuro. Deve prendere tempo con un conflitto che giustifichi l'esistenza della sua organizzazione. Deve scrollarsi di dosso lo ro, meno della metà delle Regioni più ricche. Primato negativo anche per le donne. Solo una su cinque lavora, contro il 43 per cento delle occupate del centro nord e il 50 per cento della media europea. Nel Mezzogiorno, il Pil è crollato del 3,5 per cento nel 2013. In aumento la disoccupazione: dal 2008 al 2013 si sono persi più di mezzo milione di posti di lavoro, 583 mila solo al Sud. ALFANO “Silvio rischia di fare lo scendiletto” erlusconi rischia di finire col fare lo scenB diletto della Lega e di tutto il repertorio nazionalista e antieuropeista di Salvini”. Così An- gelino Alfano sull’Huffington Post, commenta l’intervista rilasciata da Berlusconi a Il Foglio. B. ha risposto alle domande di Giuliano Ferrara, ribadendo che a marzo la destra moderata “tornerà in campo”. Ma senza fare il nome di Alfano. Il ministro dell’Interno non ha gradito. E commenta: “Il presidente Berlusconi potrà anche candidarsi alla guida dei moderati, ma la realtà è che non ha più né bandiere da issare né qualcosa da proclamare”. Alfano dice di “avere il massimo rispetto per la persona Berlusconi”. Ma semina critiche, anche sull’apertura dell’ex premier alle unioni tra persone dello stesso sesso: “L’ennesima bandiera ammainata da Forza Italia rispetto alla sua storia e al suo popolo”. Per Alfano una destra senza Ncd è una scelta perdente: “Le elezioni regionali in Calabria ne sono l’esempio: se Berlusconi vuole continuare a perdere non credo che avrà molta compagnia”. scetticismo di parte del suo stesso mondo. Nessuno parla apertamente, perché questi sono gli usi della casa, ma in molti sanno che i suoi quattro anni di leadership sono stati segnati da tentennamenti e scelte peculiari, come quella di dedicarsi alla guerra contro la Fiom di Landini e ai solenni accordi con la Confindustria di Emma Marcegaglia. Le 48 ore che hanno avvelenato l'umore di Camusso hanno provocato effetti a catena. Carla Cantone, capo dello Spi, il sindacato dei pensionati che con tre milioni di iscritti vale metà dell’organizzazione, sabato scorso ai piedi del palco predicava il dialogo con Renzi: “Non andiamo avanti con il muro contro muro o peggio fare finta di fare il muro contro muro”. Cantone è la stessa che nel 2013, all’indomani del trionfo grillino alle elezioni politiche, accusava Camusso di immobilismo e intimava al sindacato di non “rendersi sordo davanti alla richiesta forte di parole e azioni nuove”. Adesso prende atto della durezza di Renzi e si schiera con il segretario generale: “Se il governo non vuole dialogare io sono per combattere, io sono una combattente”. MA È UNA LOTTA contro il tempo. Renzi vuole certificare l’irrilevanza del sindacato, Camusso deve rinviare il momento in cui la provocazione del premier diventi nozione comune. È una marcia in salita. Per la prima volta nella sua storia la Cgil non è più affiancata a un grande partito politico, con una conseguenza terrificante. Migliaia di quadri sindacali sparsi per la penisola non vedono più un orizzonte politico per le proprie ambizioni personali, quelle che hanno portato finora dal sindacato al Parlamento, a un consiglio regionale, a una poltrona di sindaco. Così si diffonde anche dentro la Cgil, spontanea e inarrestabile, quella voglia di renzismo che rende tutto più difficile per Camusso. Twitter@giorgiomeletti La Ue s’accontenta dei 4,5 miliardi di Padoan SOSTANZIALE VIA LIBERA DELLA COMMISSIONE ALLA MANOVRA. IL GOVERNO APPROVA IL NUOVO DEF: IL DEFICIT NEL 2015 SCENDE AL 2,6% DEL PIL di Marco Palombi opo l’inchino da quattro miliardi e mezzo D del governo italiano - certificato ieri con l’approvazione della Nota di aggiornamento al Def - anche dalla Commissione europea è arrivato il sostanziale via libera alla legge di Stabilità italiana: “Non abbiamo rilevato casi di ‘particolarmente grave non ottemperanza’, che ci obbligherebbero a prendere in considerazione un parere negativo in questa fase del processo”, ha spiegato il portavoce di Jyrki Katainen (si riferiva anche alla Francia, che ha però “pagato” meno: 3,6 miliardi). Bruxelles, insomma, si accontenta della nuova correzione da 0,3 punti al rapporto deficit/Pil formalizzata ieri: si tratta di 4,53 miliardi aggiuntivi, come anticipato dalla lettera di Pier Carlo Padoan all’esecutivo Ue, che derivano per 3,3 miliardi dal Fondo che doveva servire a tagliare le tasse, per 500 milioni da mancato cofinanziamento di investimenti Ue e per 753 milioni da un ampliamento del regime di reverse change dell’Iva (quest’ultimo deve essere autorizzato proprio dall’Ue e al momento è coperto da una clausola di salvaguardia di pari entità che poi non è altro che un aumento delle accise). Queste norme verranno inserite quanto prima nella legge di Stabilità con un emendamento del governo. quasi costò la vita al governo (salvato, tra gli altri, dall’ex M5S Luis Orellana) il 14 ottobre scorso. Difficile gli venga concesso, perché quel tipo di voto serve - stante il nuovo articolo 81 della Costituzione - a rinviare il pareggio di bilancio al 2017 e ormai sul tema le Camere si sono già espresse. Insomma, maggioranza semplice e passaggio in carrozza per i nuovi numeri del Def. Nonostante il quadro della manovra peggiori (cioè salga la quota di austerità, altrimenti detto nel documento “LA MAGGIORE correzione di bilancio rappresenta uno sforzo davvero notevole per il Paese in un contesto caratterizzato da tre anni consecutivi di recessione e in presenza di rischi crescenti di deflazione”, si legge nella Nota di aggiornamento al Def (Documento di economia e finanza) approvata ieri dal Consiglio dei ministri. Nel testo si spiega in sostanza che il SFORZO NOTEVOLE rapporto deficit/Pil nel 2015 arriverà, invece che al 2,9%, al 2,6. La manovra di Così Pier Carlo Padoan, Renzi, dunque, diventa ancora più recessiva anche se - sostiene il governo - “gli in audizione alla Camera, effetti macroeconomici delle misure agdefinisce la nuova giuntive non alterano sostanzialmente le previsioni programmatiche”. Ora quel correzione dello 0,3%: testo andrà in Parlamento (si parte dal Senato) per essere approvato e le oppo“Ma non è stata una resa sizioni vorrebbero chiedere il voto a magall’Europa, anzi...” gioranza assoluta che a Palazzo Madama “sforzo davvero notevole”), il ministro dell’Economia - ieri in audizione davanti alle commissioni Bilancio del Parlamento - ritiene che tutto sia come prima e la legge di Stabilità consenta di “mantenere un equilibrio non facile tra continuazione del risanamento delle finanze pubbliche e stimolo alla crescita”. Un animale macroeconomico, quest’ultimo, ancora mai visto in natura: il risanamento delle finanze pubbliche ci ha portato in recessione e in recessione continua a mantenerci. LO STESSO PADOAN lo ammette: “È ovvio che Pier Carlo Padoan Ansa ora la manovra sia meno espansiva rispetto a prima, ma abbiamo scelto le misure con impatto recessivo secondo noi minore”. In ogni caso, sostiene il ministro, questa “non è affatto una resa alla Ue: il deficit strutturale doveva scendere dello0,7%, siamo arrivati allo 0,3% proprio perché la Commissione ha riconosciuto per la prima volta un’applicazione della flessibilità all’interno delle regole del Patto”. Di fatto, dice Padoan, Bruxelles “ha riconosciuto lo stretto rapporto tra manovra e riforme strutturali”. Nella vita, d’altronde, bisogna accontentarsi. L’ALTRO FUTURO il Fatto Quotidiano T rani, a processo le agenzie di rating S&P e Fitch LE AGENZIE di rating Standard & Poor’s e Fitch, e sei tra manager e analisti sono stati rinviati a giudizio dal giudice per l'udienza preliminare Angela Schiralli, con l’accusa di manipolazione pluriaggravata di mercato. Alla base dell’inchiesta del pubblico ministero Michele Ruggiero ci sono intercettazioni telefoniche e una mail interna del 13 gennaio 2012 in cui Renato Panichi, responsabile di S&P per i rapporti con le banche, scrive a Eileen Zhang e Moritz Kraemer (entrambi imputati), gli analisti che firmano i rapporti sull’Italia, che “non è giusto scrivere che c’è un elevato livello di vulnerabilità ai rischi di finanziamenti esterni. Attualmente è proprio il contrario, uno dei punti di forza delle banche italiane è stato proprio il limitato ricorso/appello ai finanziamenti esterni o all’ingrosso. Per favore rimuovi il riferimento alle banche!”. Gli analisti, secondo l’ac- ZAPATISTI, MARXISTI E INDIGNADOS TUTTI DAL PAPA: “AMO I DEBOLI” IN VATICANO I MOVIMENTI MONDIALI, TERRENO UNA VOLTA ARATO DALLA SINISTRA di Salvatore N Cannavò el tempo in cui la sinistra non sa dire nulla di sé, può capitare di entrare in Vaticano e trovare centinaia di esponenti dei movimenti sociali di tutto il mondo parlare sotto la croce di Cristo citando Marx. Di ascoltare il presidente boliviano, Evo Morales, proporre di “uscir fuori dal capitalismo”. Oppure sentir esaltare “il processo rivoluzionario” della lotta zapatista e il passamontagna sul volto del sub-comandante Marcos. Si possono incontrare campesinos, sindacati, marxisti e anarchici, gli indignados spagnoli e gli Steelworkers sta- tunitensi. Oppure gli italiani del Leoncavallo, la fabbrica “recuperata” Rimaflow, la cascina, anch’essa recuperata, Mondeggi che fa parte della rete Genuino Clandestino. E ancora, nell’introduzione di monsignor Marcelo Sánchez Sorondo, Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, si sente parlare degli Indignados oppure di Occupy Wall Street come ripresa “del movimento di critica al capitalismo”. L’INCONTRO MONDIALE dei movimenti popolari che si conclude oggi presso il Centro Salesianum di Roma, ha avuto ieri il suo momento clou con l’intervento del Papa e quello, distinto, di Morales nel pomeriggio. Un evento originale nato dalla volontà dei movimenti sociali provenienti da tutto il mondo e dalla scelta del papato che, non a caso, ha voluto partecipare in prima persona sia pure per una sessione di quasi due ore. A rappresentare la Santa Sede, comunque, sono stati incaricati il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e monsignor Sorondo. “Se parlo di terra, casa e lavoro sembra che il Papa sia comunista” ha esordito Francesco nella sua comunicazione di ieri mattina. “Ma terra, casa e lavoro sono parte dell dottrina sociale della Chiesa”. La volontà del Vaticano di offrire una sponda reale a una realtà che fino a ieri guardava solo alla sinistra degli schieramenti politici, è palese. La gran parte dei leader sociali presenti, si pensi al leader dei Sem Terra brasiliani, Joao Pedro Stedile, sono stati i promotori dei Social forum di Porto Alegre, hanno contestato i vertici globali. L’anima sociale dell’incontro, Juan Grabois, è leader dei Cartoneros argentini che, oltre a tenere un rapporto strettissimo con l’allora cardinale di Buenos Aires, Jorge Bergoglio, hanno animato le lotte di quel paese accanto ai piqueteros. Le immagini nella vecchia, e IL NUOVO CORSO Francesco: “Io comunista? Voglio dare voce a coloro che non vengono ascoltati”. Malumori nella Chiesa romana IL PONTEFICE Papa Francesco. A sinistra, Evo Morales, il presidente simbolo boliviano Ansa MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014 suggestiva, sala nascosta in fondo alla Città del Vaticano anche il Papa ha ammesso di non esserci mai stato prima sono emblematiche. C’è l’abito istituzionale, ma indigeno, di Evo Morales, il cappello degli antenati del messicano filo-zapatista Lopèz Rodriguez. Ci sono i cubani del centro protestante Martin Luther King che perorano la causa dell’autogestione e del recupero di economie passivizzate. Il 7 cusa, avrebbero rilanciato, dal 10 al 18 gennaio 2012, annunci preventivi di imminente declassamento dell’Italia, diventati ufficiali solo il 27 gennaio 2012. Divulgando queste informazioni riservate, avrebbero provocato un’alterazione del prezzo dei titoli di Stato. ILVA Via i sigilli ai soldi dei Riva, per l’ambiente soldi per l’Aia (Autorizzazione integrata ambienI tale) dell’Ilva ci sono e si potrà procedere al risanamento del parco minerali, montagne di polveri che nei giorni di vento si disperdono sui quartieri della città. Il gip di Milano Fabrizio D’Arcangelo ha accolto la richiesta di Piero Gnudi, commissario straordinario dello stabilimento, sbloccando un miliardo e 200 milioni di euro. La somma era stata sequestrata alla famiglia Riva, proprietaria dell’Ilva, nel paradiso fiscale delle isole Jersey, cifra poi rientrata in Italia con lo scudo fiscale. Nella vicenda è intervenuto il co-portavoce nazionale dei Verdi Angelo Bonelli, che ha depositato un esposto alla Procura di Taranto. Secondo Bonelli l’Aia non è applicata e il commissario Gnudi ha violato la legge perché il piano industriale doveva essere presentato 30 giorni dopo la pubblicazione piano ambientale (messo a punto dall’ex sub-commissario Ronchi prima dell’estate). L’Unione europea aveva avvertito che “all’Ilva persistono violazioni delle direttive in materia di tutela ambientale”. “Quanto scritto dall’Ue – dichiara Bonelli – è a nostro avviso una notizia di reato. A Taranto si rischia la catastrofe”. dibattito è libero. Le critiche alla Chiesa naturali. L’israeliano Michael Warshawski, sostenitore della causa palestinese, chiede a Monsignor Czerny del Pontificio Consiglio della Giustizia e Pace se non pensa che la Chiesa debba scusarsi per il sostegno al colonialismo. Altri, sostengono che l’etica è importante ma non basta, “serve l’azione dei popoli”. LA PAROLA D’ORDINE scelta dal Vaticano è “camminare insieme”. È quella su cui insiste Francesco nel suo discorso in cui premette che non c’è “nessuna ideologia” in questo evento ma solo la voglia di dare voce a coloro che in genere non vengono ascoltati. Come immagine il Papa indica quella del “poliedro, figura geometrica con molte facce distinte”. Un modo per valorizzare uomini e donne, laici e cristiani, marxisti e non, tutti sono ben- venuti. Il messaggio finale ricorda altri slogan: “Sigan con su lucha”, andate avanti con la vostra lotta. La giornata non mancherà di provocare discussioni interne alla Chiesa. Ne corso dell’incontro il Pontefice si è sentito chiedere la riabilitazione della Teologia della Liberazione e i nomi di Frei Betto e Leonard Boff sono risuonati a voce alta. Oggi si chiude con il documento conclusivo e con la proposta, impegnativa, di costituire un “consiglio del movimento popolare”. “Le varie esperienze possono confluire in modo più coordinato” ha detto lo stesso Francesco. L’ipotesi è quella di un incontro all’anno. “Facciamo un sinodo socialista” aveva proposto qualcuno il primo giorno. La risposta degli organizzatori non è stata scontata: “Non siate troppo clericali, chiamatelo incontro, non sinodo”. Quando l’autogestione in fabbrica è lavoro RENZI DICE: “TENER APERTE LE AZIENDE, NON OCCUPARLE”. LA RIMAFLOW, DESTINATA A CHIUDERE, ORA È GESTITA DAGLI OPERAI l presidente boliviano Evo Morales firma I per la Rimaflow, la fabbrica recuperata di Trezzano sul Naviglio che sta lottando per tenere aperta la propria scommessa. La solidarietà è convinta: “In Bolivia stiamo puntando molto sui processi di autogestione e di protagonismo diretto dei lavoratori” spiega il presidente a un emozionato Gigi Malabarba venuto in Vaticano a rappresentare le ragioni della fabbrica recuperata. Una sfida per la sopravvivenza di alcune decine di lavoratori - ma prima della chiusura a Trezzano lavoravano in 330 - e una sfida ad affermazioni come quella ribadita ancora ieri da Matteo Renzi: “Vogliamo tenere aperte le fabbriche non occuparle”. Alla Rimaflow, invece, l’unico modo per mantenere il proprio posto di lavoro è stato proprio quello di occuparlo. Un’esperienza avviata nel febbraio 2013 dopo che la vecchia Maflow, componentistica per automobili, chiuse tutto lasciando a casa centinaia di persone. all’incontro abbiamo pensato all’esperienza dei Rimaflow oggi è all’Incontro dei movimenti Social Forum. Qui abbiamo trovato molti di popolari insieme alla cascina Mondeggi, an- quelli a cui la nostra iniziativa si è ispirata, ch’essa recuperata, sia pure nel settore agricolo, come i Sem Terra, e la presenza di realtà come e al più celebre Leoncavallo. “Al centro ci sia- Genuino Clandestino dimostra l’utilità di spazi mo divisi, spiega Elena Hileg Iannuzzi, ma alla come questi per chi sta sperimentando processi fine abbiamo deciso di accettare l’invito. Stare economici alternativi al capitalismo”. qui con tutte queste realtà è solo positivo”. Malabarba, già operaio Alfa Romeo, un passato IL RAPPORTO con Stedile è quello più stretto. anche da senatore del Prc, oggi dedicato a tem- Lo storico leader di uno dei movimenti di maspo pieno alla vita della fabbrisa più grandi al mondo, con 10 ca occupata la spiega così: milioni di aderenti, sarà sabato “Quando Joao Pedro Stedile 1 novembre alla Rimaflow per ANTI-CRISI (il leader dei Sem Terra, ndr.) un dibattito sulla sovranità alici ha proposto di partecipare mentare. L’iniziativa è orgaIl caso di Trezzano fa nizzata per dare davvero il via alla campagna con cui la fabproseliti: nascono in brica sta cercando di acquistatutt’Italia casi di realtà re un grande impianto per la produzione e distribuzione di prese in mano aria compressa, “fondamentale per poter alimentare tutte le dai dipendenti per la macchine necessarie e le at“produzione dal basso” trezzature da officina di riuso”. Servono 15 mila euro e il progetto è supportato dalla piattaforma “Produzioni dal basso”. Nel frattempo la fabbrica è diventata un punto di riferimento per Trezzano - al suo interno c’è una Cittadella dell’Altra economia - ma anche per altri lavoratori. Dopo Rimaflow le fabbriche in via di occupazione, e recupero, sono aumentate. Poche settimana fa è partito il progetto del Birrificio Messina, a Roma le ex officine Oz si battono per lo stesso obiettivo. A Orvieto, gli operai della Electrolysis, dopo aver letto della Rimaflow, vogliono rilevare lo stabilimento in crisi. Alla Rimaflow sono stati girati documentari internazionali, si raduna parte del No Expo milanese e si è costruito un punto di riferimento per la rete Genuino Clandestino che racchiude decine di produzioni artigianali fuori dai circuiti ufficiali. “Per sostenerci abbiamo anche prodotti alimentari come il Ri-moncello e la Ri-passata di pomodoro”. Da ora, però, inizia la sfida industriale. Con quindicimila euro ce la possono fare. Fare da soli è conveniente. Sal. Can. 8 STRANO MA VERO MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014 Cslitta onsulta, il voto ancora Grillo: “Fate i nomi” Bocciati e contenti di Carlo Tecce P iù o meno un mese fa, Antonio Catricalà era il candidato di Forza Italia per la Consulta. Oggi il calabrese di Catanzaro, che ha ricoperto cariche un po’ ovunque, è un ex giudice del Consiglio di Stato. Ha lasciato la magistratura, dov’era rientrato dopo aver scalato e riscalato il potere: sottosegretario a Palazzo Chigi con Mario Monti; viceministro allo Sviluppo economico con Enrico Letta; segretario generale sempre a Palazzo Chigi con Silvio Berlusconi; capo di gabinetto nei governi di Massimo D’Alema e Giuliano Amato; presidente dell’Autorità Antitrust. Quanti anni, Catricalà? IL VOTO è rinviato a “data da destinarsi” e lo stallo del Parlamento nella scelta dei membri della Consulta e del Csm non accenna a smuoversi: la seduta comune era stata convocata per domani alle 13, ma il pressing dei partiti ha convinto la presidente Laura Boldrini a cancellare l’appuntamento dal calendario di Montecitorio. Inutile perdere tempo con l’ennesima votazione, l’accordo sui nomi non c’è. Il Pd di Matteo Renzi la settimana scorsa aveva aperto al Movimento Cinque Stelle, dopo che i tentativi di intesa con Forza Italia (per l’elezione serve la maggioranza dei due terzi) sono falliti per venti volte. Ma nemmeno con i grillini, pare che la situazione si sia smossa. Si era parlato di un incontro da mettere in agenda, ma ieri Beppe Grillo ha fatto sapere tramite blog che tutto è in alto mare: ci il Fatto Quotidiano sarebbe stata una “chiamata di Renzi a un nostro parlamentare per individuare i nomi in segreto e scambiarsi le poltrone - sostiene il leader M5S - Se il Pd vuole condivisione non tenti la via della trattativa segreta. Renzi faccia i suoi nomi pubblicamente. Chiunque abbia i requisiti per essere eletto in ruoli di garanzia così importanti può essere candidabile per il M5S se valido e indipendente”. La riflessione di Catricalà “Io e Violante alla Corte una brutta coppia” Ne ho 62, la metà li ho trascorsi da servitore di questa nazione. Il periodo più difficile fu durante il processo Moro, ero avvocato dello Stato, parte civile. Il più bello fu il primo all’Antitrust. E perché adesso si è dimesso? Mi faccio una seconda vita, mi associo allo studio legale Lipani&Partners in piazza Cavour, zona Cassazione. Sarò il maestro di una scuola di avvocati. E non rimpiange l’ultimo tassello, la nomina alla Consulta? Io non ci pensavo mica, non per il presente. Sono giovane. E cosa pensava? Ritenevo di poter chiudere il mio lavoro come presidente del Consiglio di Stato. Non capiterà più, ormai. MicroMega squirting della porno-filosofa C apita che Diego Fusaro – “filosofo e saggista italiano, risultato non idoneo all’insegnamento universitario” informa Wikipedia – scriva della pornostar Valentina Nappi sulla rivista on line “L’intellettuale dissidente”, specificando di averne ignorato finanche il nome fino a poco tempo fa. Sì certo, vabbè. L’intento di Fusaro è quello di distruggere le ambizioni filosofiche della Nappi, perché “anche un verme può essere oggetto di attenzione filosofica, diceva Aristotele”. Tutto ciò sarebbe rimasto nella clandestinità più assoluta se la porno-filosofa non fosse comparsa su MicroMega con l’articolo “Squirtare in faccia a Diego Fusaro”. Ps Lo “squirting” è la fuoriuscita di un fluido dall’uretra in reazione all'orgasmo Neppure la Consulta è capitata, eppure Forza Italia l’aveva proposta. I vertici di Forza Italia mi dissero che c’era un accordo su di me, però mancava il consenso. Ho scoperto che in molti non mi volevano, ripetevano: questo Catricalà non è dei nostri. Almeno è stato chiarito che sono un tecnico, non un politico. E perché si è ritirato, perché non ha insistito? Poteva prendere esempio da Luciano Violante. Io ho preferito evitare lo stillicidio. Troppo fumo nero sporca le camicie bianche. La coppia era male assortita, calata dall’alto e non condivisa dal basso. Per raggiungere un traguardo in questo Parlamento, occorre coinvolgere i Cinque Stelle e la Lega Nord. Non bastano i democratici e i forzisti. Per Matteo Renzi andava bene Catricalà, ma lo stesso Matteo Renzi non sopporta i burocrati come Catricalà. In parte, Renzi ha ragione. Ci sono prassi, vincoli e normette che possono essere superate. Ma è sbagliato far credere ai cittadini che la burocrazia sia da rottamare, ci sono molte eccellenze. Quando imputano alla Ragioneria di Stato di ostacolare il governo commettono un grave errore: la Ragioneria dipende dal Tesoro e risponde al ministro. Come rimediare? Non è facile. Quando Monti era presidente del Consiglio e anche reggente del Tesoro, per testimonianza diretta, posso rivelarvi che il rapporto era perfetto, funzionale. Al Tesoro fanno riferimento al ministro, non al premier: non lo fanno per cattiveria, ma perché i meccanismi sono questi. POTERE EMINENZE GRIGIE Non c’è mai stata una stagione mia e di Gianni Letta, dunque quello che non è iniziato vi assicuro che non può finire. Io e lui amici per sempre Come spiega la diaspora o la scomparsa dei ministri del governo di Monti? Non mi ha stupito. Era il nostro destino, la missione era limitata. Ci hanno chiamato per scelte non certo popolari: tassare le case o rinviare le pensioni. La politica non se la sentiva, né quella di maggioranza né quella di opposizione. Come giudica il Corrado Passera politico? Può avere un futuro. È stato un banchiere, questo non lo aiuta. Per il momento, non vedo le masse che gli girano intorno, piuttosto una parte elitaria. Gli auguro buona fortuna. Ora non ha imposizioni di mandato, lo ammetta: Catricalà è un fidato di Silvio Berlusconi. No, ci mancherebbe. Io sono un tecnico, sennò i senatori di Forza Italia mi avrebbero votato per la Consulta, o no? Non la indicò Berlusconi nell’esecutivo di Enrico Letta come viceministro con delega alle Telecomunicazioni? No, perché il mio compito era concentrato sugli operatori telefonici, non c’era nulla da fare su Mediaset. Io dovevo mettere Antonio Catricalà, ex sottosegretario a Palazzo Chigi LaPresse al sicuro la rete di Telecom, la banda larga. Avevo un accordo con il presidente Franco Bernabè, già si parlava di nuove società, di numeri, di soldi. Poi Bernabè è uscito da Telecom e il progetto è saltato. La stagione dei Gianni Letta e dei Catricalà è finita? Non credo ci sia stata una nostra stagione, e dunque quello che non è iniziato vi assicuro che non può finire. Siamo servitori dello Stato, e lo restiamo per sempre. Non negherà pure la sua amicizia con Letta? Questo mai. UNIONI OMOSESSUALI M5S, il sondaggio cambia in corsa F unziona così. Sulla piattaforma M5S compare un sondaggio utile a testare l'umore della base (hanno vinto i sì). Tema di attualità: unioni omosessuali, sì o no? Ma c'è una postilla, già decisiva, che prevede “l’esclusione della possibilità di adottare figli estranei alla coppia”. O meglio: c’era. Perché a un certo punto, a metà pomeriggio, quella parte sul no alle adozioni scompare. Parapiglia, denuncia dei deputati, fastidio per il cambio in corsa. Poi la precisazione dell’ufficio stampa: al posto della domanda c’è “un link a un post esplicativo”. Leggere attentamente le avvertenze, soprattutto se scritte piccole piccole. Vecchio e nuovo Pd, il boom del Terzo Segreto LANCIATO A “PIAZZA PULITA” IL VIDEO SATIRICO SULL’APPUNTAMENTO GALANTE VETERO E RENZIANO ORA SPOPOLA IN RETE di Luca De Carolis l corteggiatore stile vecchio I Pd è insicuro, indossa una polo nera stinta, mette in tavola per la bella ospite un Lambrusco aperto da giorni. Il suo alter ego renziano è spavaldo nella sua camicia bianca, versa il vino nel decanter, celebra la sua start up in un diluvio di parole in inglese. E la ragazza gli cederà (pagando con una delusione). Alla faccia delle dotte analisi, la distanza tra bersaniani rosso antico e devoti del divin Matteo la disegna alla perfezione Sliding doors, il nuovo video del Terzo segreto di satira. Tradotto dalla sigla sociale, cinque ragazzi lombardi tra i 26 e i 31 anni, autori, registi e montatori. Studiavano tutti alle Scuole civiche di cinema e televisione di Milano, ora fanno ridere mezza Italia con i loro filmati su YouTube che raccontano in cinque minuti volti e tic dei partiti. IL MIGLIORE “fondo” politico possibile: spassoso eppure fedele, fino nei dettagli. Perché la politica non può che far ridere. “Abbiamo scherzato su tutti, ma c’è anche chi l’ha presa male” racconta Pietro Belfiore, uno della cinquina (con lui Davide Rossi, Davide Bonacina, Andrea Fadenti e Andrea Mazzarella). Per esempio? “Si sono arrabbiati in diversi per Qualcuno vota 5Stelle. Diciamo che gli elettori del Movimento si sono divisi a metà. ‘Touchè, mi ritrovo in molti personaggi’ hanno ammesso alcuni. Altri ci hanno insultato: ‘Vi paga il Pd’, ‘impiccatevi”. Peccato per tanta bile, perché il video merita risate senza cattivi pensieri. “Il Movimento è come Vasco Rossi, il problema sono i fan”, motteggia un personaggio. Segue trafila di ragioni per il voto ai Cinque Stelle: da chi non si fida delle promozioni (“Lo so che Madrid costa meno, ma non volo dove dice il sistema”) a quelli che al super- TIPI DEMOCRATICI Il corteggiatore bersaniano è insicuro. Il suo alter ego 2.0 è spavaldo in camicia bianca, ma alla fine sarà una delusione mercato prendono “solo i prodotti in fondo allo scaffale”. Fino a chi sceglie Grillo “perché la colpa è sempre loro”. Ma non finisce qui: “Hanno protestato anche per I berlusconiani, dove raccontavamo un gruppo che va a disintossicarsi dal voto a B. ‘È una settimana che non vedo Studio Aperto’ celebra uno dei rico- verati”. E i politici? “Non ci ha mai chiamato nessuno. Una volta Vendola ci ha invitato in diretta tv a una sua iniziativa a Milano. Anche Cuperlo ha sorriso davanti un video che lo riguardava: ma era un riso amaro...”. Dove volete arrivare? “I primi video costavano 300 euro, lavoravamo tutti gratis, com- presi gli attori. Oggi collaboriamo con Piazza Pulita, i nostri video vanno benissimo. Ma vorremmo osare di più, con un film o una serie televisiva”. Il video è online anche su ilfattoquotidiano.it rata in teatro con la compagna e amici per andare allo stadio, “ma senza dirlo”. Allora a cena provoca una lite furibonda tra le coppie, ammiccando di piacere. E a fine serata se ne va alla partita. Belfiore conclude: “È stato un lavoro impegnativo. Stiamo cercando di far capire ai vari committenti che i nostri video costano soldi e impegno”. Perché la satira è una cosa seria. IL PRIMO esperimento di più ampio respiro è stato ll dalemiano, nove minuti quasi teatrali. Il protagonista, seguace del lider maximo, vuole schivare una se- Twitter @lucadecarolis UN GIORNO IN ITALIA il Fatto Quotidiano Fsi aida Campidoglio, dimette capogruppo Dem IL PREZZO DI UN SONDAGGIO. Si è dimesso ieri il capogruppo del Pd in Campidoglio Francesco D’Ausilio, dopo le polemiche e i veleni seguiti alla pubblicazione su un quotidiano di un questionario commissionato dal gruppo capitolino che bocciava l’amministrazione comu- nale, a partire dal sindaco Ignazio Marino, protagonista di un vero e proprio crollo nei consensi. “Questo gesto ha lo scopo di mettere tutti di fronte alle proprie responsabilità - spiega - e aprire una fase nuova: tanti romani sono insoddisfatti di questa Giunta e noi che ne Persone della cosca a colloquio all’uscita di un bar nell’hinterland milanese. Secondo i pm la ‘ndrangheta, oltre a controllare il territorio, agisce con una “violenza inaudita” AFFARI IMMOBILIARI Nella foto scattata dal Ros di Milano l’ex consigliere del Pd a colloquio con i boss della cosca Galati per discutere dell’area industriale acquistata nel comune di Rho LAVORI EXPO, POLITICI E AFFARI LOMBARDIA TERRA DI ’NDRINE TREDICI ARRESTI. IN CARCERE ANCHE EX CONSIGLIERE COMUNALE DEL PD DI RHO MARIANO COMENSE, LE RICHIESTE DI VOTI AL BOSS AI DOMICILIARI IN VILLA di Davide Milosa P Milano olitica, affari, controllo del territorio. Storia di ’ndrangheta in Lombardia. Ieri tredici arresti. In carcere finisce gente legata al clan Mancuso e anche vecchie conoscenze dell’antimafia. Persone che, scontata la galera, tornano a fare l’unica cosa che gli viene bene: il mafioso. Ne è consapevole il procuratore aggiunto Ilda Boccassini che ieri ha commentato: “Dal giro è difficile staccarsi. Se ne esce solo da morti o collaborando con lo Stato”. L’inchiesta Quadrifoglio condotta dal Ros, agli ordini del colonnello Giovanni Sozzo, fotografa una mafia che da un lato allarga il “suo capitale sociale” mettendo a libro paga poliziotti e funzionari dell’Agenzia delle entrate, e dall’altro non sente più nemmeno il bisogno di mimetizzarsi. In galera finisce anche un ex consigliere comunale del Pd di Rho imparentato con alcuni boss e accusato di aver addomesticato il Pgt (ex piano regolatore, ndr) locale favorendo la cosca Galati. Non manca Expo con un’impresa riconducibile al clan che ha lavorato in subappalto alla Tangenziale esterna di Milano. Una presunta impresa mafiosa con certificato antimafia. E questo dopo che la Regione aveva messo a vigilare sulle infiltrazione il colonnello Mario Mori e Giuseppe De Donno. IN VISITA A CASA DEL BOSS Villa bunker in via Al Pollirolo 5 a Mariano Comense. Vigilia di Natale del 2013. Due uomini stanno seduti in un ampio salotto. Uno estrae dei fogli con annotati nomi e cifre. Chi sono questi due? Il primo, il più anziano, è Salvatore Muscatello boss della ’ndrangheta, capo indiscusso e rispettato, protagonista di tante inchieste dell’antimafia milanese. L’ultima è l’operazione Infinito. Per quella Muscatello è stato condannato e subito I MAGISTRATI Per Ilda Boccassini dopo l’operazione “Infinito” nulla è cambiato. “Dalla mafia – ha detto – si esce solo da morti” messo ai domiciliari. In realtà dalla villa il padrino continua a comandare. In questo caso parla con Giuseppe Antonio Briglia, calabrese di Grotteria, precedenti per mafia e un’antica affiliazione nella locale di Cermante (altro Comune del Comasco) con l’incarico di curare l’invio del denaro ai boss detenuti. “Qua – dice Briglia – ci sono tutti (...) quelli che hanno dato di più (...) poi ve li controllate (...) chi ha pagato (...) chi non ha pagato (...) tutte cose”. Muscatello, che deve scontare 17 anni, scuote il capo. “Sto pa- 9 siamo i principali azionisti abbiamo l’obbligo di lavorare affinché ci sia la capacità dell’amministrazione di rispondere ai problemi della città. Il rapporto con il sindaco è molto difficoltoso, e spero che il mio addio possa rimettere in moto alcuni processi”. “LA MAFIA SE VEDE CHE UNA COSA FUNZIONA I SOLDI CE LI METTE, POI MAGARI FA ALTRE COSE, PER CARITÀ!” SUL TERRITORIO MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014 gando per tutti, se tu vuoi fare lo ’ndranghetista, non è che tu te la canti e io sono il capo!”. DENARO E PROTEZIONE Di nuovo nella villa. Qui i carabinieri hanno distribuito microspie ovunque. Ogni parola resta registrata. Ogni nome annotato. Muscatello riceve tutti. E in molti casi, oltre a consigli, regala denaro. Come nel caso della moglie del boss Fortunato Valle, oggi in carcere. “Ma non voglio niente – dice – voglio che state bene”. Risponde il padrino: “Ma lo voglio io”. Dal capo si va anche per ottenere protezione. Meglio lui che le forze dell’ordine. Succede per il titolare di un ristorante della zona che si è ritrovato la serranda sforacchiata da diversi colpi di pistola. “Voi – dice – siete una persona per bene e io sono venuto a trovarvi in amicizia, mandatemi qualche ambasciata, voi potete fare qualcosa”. E poi ci sono i mafiosi di rango che a Mariano Comense si fermano per omaggiare il vecchio Salvatore Muscatello. BRUTI-ROBLEDO “Clima deteriorato in Procura” l Consiglio giudiziario di Milano (l’articolazione I locale del Csm) è intervenuto ieri sul conflitto tra il procuratore aggiunto Alfredo Robledo e il suo capo Edmondo Bruti Liberati. Il clima in procura è “fortemente deteriorato e ha bisogno di risposte urgenti”, che “siano in grado di superare il diffuso disagio di magistrati, avvocati, organi investigativi e cittadini”. Lo scontro ha creato “una situazione conflittuale ormai insanabile e insostenibile”. Su tre punti del dissidio, il consiglio giudiziario ha discusso e ha poi votato, schierandosi a maggioranza (12 a 4) a favore di Robledo. Ha bocciato la sua esclusione dagli interrogatori su Expo e anche il provvedimento con cui Bruti gli ha tolto la guida del dipartimento anti-corruzione: è un “esautoramento completo”, un atto organizzativo “utilizzato per risolvere in modo improprio un conflitto”. Spetterà ora al Csm prendere decisioni. Su un punto in discussione, quello della nomina da parte di Robledo di custodi giudiziari – pagati circa 1 milione di euro – per le somme sequestrate ad alcune banche durante un’indagine, il consiglio ha deciso di trasmettere gli atti al procuratore generale della Cassazione e a quello della Corte dei conti, per le opportune verifiche. LA QUESTUA ELETTORALE Dal boss ci si va per tutto. Lui è lo Stato. Quello che ti dà un lavoro e se vuole ti fa eleggere. Ed ecco allora che al 5 di via Al Pollirolo bussa Emilio Pizzinga, ex consigliere comunale in lista per le elezioni dello scorso maggio a Mariano Comense, non coinvolto negli arresti di ieri. Dice al boss: “Vedete se mi trovate preferenza! Se no, non si fa più niente dopo!”. E ancora: “A me hanno dato in mano il partito”. Il boss chiede: “Quale partito?”. Pizzinga risponde: “Forza Italia!”. “IN COMUNE CI PENSO IO” La politica si aiuta perché la politica serve. Come nel caso di Luigi Calogero Addisi, l’ex consigliere Pd arrestato ieri, che a Rho fiuta l’affare di un terreno, dopodiché, oltre a investire soldi suoi, mette in contatto l’imprenditore lombardo con Antonio Galati, il boss locale che sborsa 300mila euro. Addisi garantisce: “In Comune ci penso io”. E così sarà. Il Pgt approva la variante, Addisi ad- dirittura vota e durante un consiglio comunale, mascherando il suo interesse immobiliare, dice: “Con questo Pgt abbiamo cercato di ridisegnare la città, preservandola dalle brutture e dagli scempi maligni”. Per il giudice “Addisi mente” perché “sa che l’area è stata comprata con denaro della ’ndrangheta”. “QUESTO TI INCAPRETTA!” Non solo. Lui sa chi è Antonio Galati. E lo spiega: “Conoscete una faccia di Antonio che non è quella vera (…) ti incapretta! tu credimi, ti incapretta e prima di farti fuori si diverte”. Ecco la faccia della ’ndrangheta. Quella che, attraverso una società con certificato antimafia, si è infiltrata nei lavori collaterali all’Expo e quella che decide di bruciare l’auto di un vigile che ha denunciato un affiliato. Proiettili in busta arrivano al direttore del carcere di Monza, rea, a detta di Galati, di aver bloccato il suo trasferimento in Calabria. Benvenuti in Lombardia, ultima provincia di ’ndrangheta. Milano 2015, arriva Artusi (non il gastronomo) A COORDINARE I 7 MILA EVENTI SARÀ IL CIELLINO FEDELISSIMO DI FORMIGONI, GIÀ ARRESTATO NEL 1983 PER LO SCANDALO ZAMPINI di Gianni Barbacetto ciellino fino all’affarismo ligrestiano. È Claudio Milano N ei sei mesi di Expo (1 maggio-31 ottobre 2015) a Milano ci saranno 7 mila iniziative diffuse: mostre, concerti, spettacoli, incontri, convegni, presentazioni, avvenimenti. È “Expo in città”, targato Comune di Milano e Camera di commercio. Chi conosce il “Fuorisalone” sa che nella settimana del Salone del mobile Milano si trasforma, diventa una città piena di vita e di iniziative. Con il progetto di “Expo in città”, il “Fuorisalone” durerà sei mesi. A Palazzo Marino, gli uomini del sindaco Giuliano Pisapia sono giustamente fieri del lavoro fatto. Peccato solo aver dato retta alla Camera di commercio, che ha imposto, al vertice di “Expo in città”, un personaggio che più riciclato non si può, un politico che ha attraversato tutti i passati possibili, dalla destra Dc allo scandalo Zampini, dalla segreteria democristiana sotto la Mole a una cella del carcere di Torino, e poi dal formigonismo Artusi, coordinatore di “Expo in città”. Torinese, laurea in Ingegneria, 62 anni, ha solo il cognome in comune con il grande gastronomo. Negli anni Ottanta è coinvolto nel primo grande scandalo che anticipa Tangentopoli: quello delle mazzette a Torino che nel 1983 coinvolgono socialisti, comunisti, democristiani, liberali. Nel marzo di quell’anno, sotto gli occhi inflessibili del sindaco Diego Novelli che si rifiuta di coprire le illegalità, finiscono in carcere Adriano Zampini, indicato come il regista della corruzione, l’ex vicesindaco socialista Enzo Biffi Gentili, il comunista Giancarlo Quagliotti e anche l’ex segretario cittadino della Dc: è Claudio Artusi. In appello, nel 1988, Artusi viene condannato a 1 anno. Poi scompare dalla scena politica piemontese per riapparire a Milano, nel gruppo dei fedelissimi di Roberto Formigoni targati Cl. Lavora in Webco-Westinghouse, in Ansaldo Signal, in Infrastrutture Lombarde. Diventa direttore generale dell’Anas, da cui dà le dimisatletico salta il tavolo e passa sioni nel giugno 2006. Pronto dalla parte del venditore a per essere issato da Formigoni quella dei compratori: il 15 maggio 2009 viene nominato ai vertici di Sviluppo Sistema Fiera e poi di Fiera Milano spa, amministratore delegato di CityLife. Dalla nuova postazione come amministratore delegato. Sono gli anni in cui la Fiera, assiste alla edificazione dei pasotto il controllo ciellino, prolazzoni che sembrano navi e dei tre grattacieli griffati delle getta la dismissione del “polo interno”, in città, e trasmigra archistar internazionali Zaha verso il “polo esterno” a Hadid, Arata Isozaki e Daniel Rho-Pero. Un’operazione imClaudio Artusi LaPresse Libeskind. mobiliare che è il primo atto Peccato però che nel frattempo dell’operazione Expo. Che cosa succede? La la crisi abbia zavorrato l’operazione. Il mattone Fondazione Fiera smantella i suoi padiglioni non tira più. Ligresti finisce fallito e arrestato. tradizionali e rivende l’area alla cordata Citylife, Nel giugno 2013, Generali e Allianz sono cocon dentro Generali e capofila Salvatore Ligre- strette a prendere in mano direttamente il tisti. Incassa 520 milioni di euro, con i quali fi- mone di CityLife. Artusi si dimette. Niente paunanzia il nuovo polo fieristico di Rho-Pero e, già ra: non resta disoccupato a lungo. La Camera di che c’è, compra anche in eccesso: le aree che poi commercio di Carlo Sangalli ha pronta per lui la verranno buone per farci su l’Expo 2015. nuova poltrona, quella da cui manovrare il Fatta l’operazione CityLife, Artusi con gesto “FuoriExpo”. Si salvi chi può. 10 N apoli, blitz anti-prostituzione Fermato un 16enne di Antonio Massari I COSE LORO MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014 inviato a Barletta l clima è quello della guerriglia e dello stallo, ma il primo cittadino Pasquale Cascella non molla la sua trincea. L’uomo ne ha viste tante: classe 1952, ex notista politico de L’Unità, ex portavoce di Massimo D’Alema a Palazzo Chigi, di Luciano Violante alla Camera, di Giorgio Napolitano al Quirinale. Ma quel che sta accadendo nella natia Barletta, forse, non l’aveva visto mai. A parte approvare la legge di bilancio, ultimamente, non gli riesce di concludere quasi nulla. NEANCHE IL SIMBOLICO ge- sto di istituire il registro per le coppie di fatto. O approvare il regolamento sullo Ius soli. Niente. La tensione è evidente e il Pd è in preda a una crisi di nervi: prendiamo ad esempio il consigliere (comunale e regionale) Pd Filippo Caracciolo che, alla semplice richiesta di una dichiarazione, sull’eventuale registro delle unioni di fatto, ci risponde così: “Non dico nulla, venga di persona, perché al telefono io non parlo neanche con Gesù Cristo: voglio prima guardarla negli occhi”. Va bene. C’è parecchia tensione in Comune – obiettiamo all’assessora Anna Rizzi Francabandiera– ed ecco la risposta: “Scusi, sto partendo, ho un volo a momenti, arrivederci”. Ma insomma – chiediamo all’assessore al personale Antonio Rizzi – che accade in municipio? “Sono in un momento delicato, ho dei problemi familiari, se non le dispiace ci sentiamo nei prossimi giorni”. Il più gentile di tutti è Gaetano Porcelli, segretario generale del Comune, rientrato oggi dopo i cinque giorni di prognosi refertati dal pronto soccorso: venerdì scorso, gli infermieri del 118, sono passati a prenderlo direttamente dal suo ufficio, in municipio, dopo il diverbio con il sindaco Cascella, finito anch’egli in am- A SOLI 16 ANNI si prostituisce nei pressi di Piazza Garibaldi, a Napoli. A scoprirlo gli agenti dell’Unità operativa tutela minori ed emergenze sociali della Polizia municipale di Napoli. Nel corso di un’attività di appostamento, gli agenti hanno individuato il ragazzo minorenne intento a prostituirsi nelle stradine adiacenti al Corso Garibaldi, in prossimità di Porta Capuana. Il sedi- cenne, italiano, si accompagnava a un altro ragazzo italiano di 18 anni. Il minore ha spiegato di recarsi abitualmente nella zona per offrire prestazioni sessuali al costo di 30 euro. I due ragazzi, entrambi residenti fuori Napoli, hanno raccontato di raggiungere la zona di Piazza Garibaldi poiché le strade limitrofe rappresenterebbero un luogo di incontro che, sin dalle pri- IN TRINCEA Barletta, il Comune di Cascella a pezzi tra urla e ambulanze IL SINDACO NON RIESCE A FAR APPROVARE NULLA. PER FERMARE UNA DISCUSSIONE SULLE COPPIE DI FATTO CI È VOLUTO IL 118 bulanza dopo la sonora litigata. Due ambulanze separate. La domanda è d’obbligo: vi siete picchiati? “Ma no – risponde Porcelli – è stato solo un diverbio”. Motivo? “Regolamento su Ius soli e registro per le unioni di fatto. Il sindaco ha obiettato che avrei potuto e dovuto accelerare i tempi. Ma sa, lui è abituato al Quirinale, pensa che io abbia gli stessi poteri del segretario generale del presidente della Repubblica, gli ho spiegato che in un Comune non funziona esattamente così”. E il sindaco non l’ha presa bene. “Eh no. Ha iniziato a offendere, a urlare”. Le ha dato me ore del pomeriggio, è funzionale per adescare clienti interessati alla prostituzione maschile e di consumare i rapporti sessuali prevalentemente nelle auto dei clienti stessi e in luoghi appartati. Il minore è stato affidato al padre. Nei giorni scorsi, a seguito di diverse segnalazioni nella stessa zona, erano stati identificati otto soggetti, tre maschi e cinque donne, dediti alla prostituzione. SPATUZZA “Così Cosa Nostra ha preso Roma” ono con te contro tutti”. Dall’ospedale dove si S trovava in detenzione per motivi di salute Carmine Fasciani, capo clan di Ostia, continuava a dare ordini a tale Bosco: “Rimetterti al lavoro. Quello che ti scrivo non lo faccio per metterti in difficoltà, solo perché ti rendi conto che non puoi contare su nessuno. Finché sanno che io sono tuo socio non devi preoccuparti”. La lettera è agli atti del processo ai clan di Ostia: ieri sono state chieste condanne per un totale di 325 anni per 19 persone. Tra questi, Carmine Fasciani (30 anni) e Vito e Vincenzo Triassi (18 anni a testa). Durante la requisitoria, i pm sono partiti da lontano. Dal 1995 quando Gaspare Spatuzza era partito per “cercare di capire se questi Triassi erano vicino a persone alle quali potevo fare un dispiacere”, come ha dichiarato il pentito. Avrebbe dovuto ucciderli, ma volta compresa la potenza dei Triassi a Ostia “ho cercato di ingaggiarli e crearmi su Roma un aggancio con questa famiglia”. È il primo passo: poco dopo, Cosa Nostra aveva messo le mani sulla città. Valeria Pacelli hanno chiamato l’ambulanza: temevano per la mia pressione”. POI SULL’AMBULANZA c’è sa- CRISI DI NERVI Litigio con il segretario generale Porcelli: “Questione di carattere”. Ma ora l’ex portavoce di Napolitano è ostaggio della maggioranza del cretino? “Non esattamente, però mi ha offeso, io gli ho risposto... Ma io sono un iperteso, ci hanno separati perché urlavamo parecchio, lui è rimasto nella sua stanza e io, quando sono arrivato nel mio ufficio, beh, i miei assistenti il Fatto Quotidiano Il sindaco di Barletta, Pasquale Cascella Ansa lito anche il primo cittadino. Sindaco – chiediamo – perché ha chiamato l'ambulanza? “Non ne voglio parlare”. Pausa. “Questioni di carattere”. Pausa. “Tensione”. Pausa. “È stato un normale diverbio su atti amministrativi che devono essere portati a compimento”. Il punto – gliene va dato atto – è che Cascella ha rotto un sistema che durava da vent’anni. Ed è sempre più solo. I partiti della maggioranza hanno ottenuto un solo assessorato ciascuno. A prescindere dalle preferenze ottenute. Il Pd – che ha portato in municipio ben nove consiglieri – conta un solo assessore. Al pari del Centro Democratico che, di consiglieri, ne ha portato appena uno. Ma è sin dall’inizio, dal primo atto di giunta, che la maggioranza prova a fargli capire chi comanda: per eleggere il presi- dente del consiglio comunale, Carmela Peschechera, ci sono voluti ben tre scrutini. Poi – in poche settimane – si dimette il primo assessore, Ugo Villani, professore universitario di diritto internazionale, scelto dal sindaco per le Politiche dei Diritti e dei Doveri. Il motivo ufficiale, nella versione di Villani, è l’impossibilità di insegnare e contemporaneamente lavorare in municipio. Poi si dimette l’assessore al bilancio – a febbraio di quest’anno – e l’interim è tuttora nelle mani di Cascella. Che continua a combattere. È stato vincente, nelle elezioni di primavera 2013, quando fu calato dall’alto, cioè da Enrico Letta, pochi giorni prima che diventasse premier. Da un lato il rapporto con il Presidente Napolitano, dall’altro l’imprimatur di Letta, Cascella calava gli assi e il Pd cittadino subiva. Poi è arrivato Renzi. Letta è solo un ricordo e Napolitano dovrà pur andare in pensione. Quegli assi ora valgono poco. E le carte, ora, sono in mano al Pd. L’ex patron dell’Inter e il ristorante da 1 euro ERNESTO PELLEGRINI APRE “RUBEN”, A MILANO. “QUI VERRÀ CHI HA BISOGNO: PRECARI DA 600 EURO, EX CARCERATI E PADRI IN DIFFICOLTÀ” di Marco Maroni er gli imprenditori di successo, ma anP che per calciatori o gente dello spettacolo, aprire un ristorante è un classico. L’et- no chic Nobu di Armani, e Gold il concept luxury restaurant (come si definisce sul sito) di Dolce & Gabbana, per dire, sono tra i ristoranti più trendy di Milano. Per uno come Ernesto Pellegrini, che sulla ristorazione su larga scala ci ha costruito un gruppo da oltre 500 milioni di fatturato, la cosa invece è piuttosto banale. L’EX PRESIDENTE DELL’INTER, attraverso la sua fondazione, ha aperto Ruben, locale da 210 coperti nella periferia sud di Milano. A ben guardare anche il locale di Pellegrini è trendy, nel senso che va incontro a una nuova tendenza, quella dei nuovi poveri e del disagio economico dei ceti medi. La crisi, la precarizzazione e la polarizzazione dei redditi producono un numero crescente di disoccupati e di individui che pur avendo un lavoro faticano a mettere insieme il pranzo con la cena. Sono i “ceti medi coinvolti nella vulnerabilità economica”, come li definisce l’ultimo rapporto della Caritas ambrosiana, che segnala come il 47% di chi si rivolge alle strutture di beneficenza siano ormai occupati con un reddito insufficiente, e con una quota crescente di italiani rispetto agli immigrati. Se alla crisi economica si somma la riduzione del welfare, con i trasferimenti agli enti locali, Ruben, il ristorante solidale che aprirà a novembre e quindi ai servizi sul territorio, in caduta, si capisce come il perimetro del disagio si è allargato. I clienti che frequenteranno il primo “ristorante solidale” (che aprirà a novembre) non sono quindi gli emarginati cronici che si rivolgono a mense come quelle dell’Opera San Francesco. Sono padri separati che non ce la fanno, lavoratori saltuari o precari da 600 euro al mese, ma anche ex carcerati, nuovi disoccupati, famiglie in trasferta per lunghe cure mediche, che cercano di non scivolare nella marginalità sociale. Come spiega Davide Locastro, direttore della Fondazione Ernesto Pellegrini, “queste nuove fasce di bisogno non si rivolgono alle strutture caritatevoli perché non vogliono identificarsi con gli stereotipi della povertà e perché non sono avvezzi a rivolgersi a servizi di beneficenza”. La cena nello spazio di via Gonin 52, infatti si paga. Offrirà quasi cinquecento coperti, su due turni, dal lunedì al sabato, scelta tra almeno due primi e due secondi più bevande, vino compreso, al prezzo di un euro. Bambini e ragazzi fino a 16 anni non pagano. I clienti verranno inviati da parrocchie, centri d’ascolto, realtà del volontariato. Si potrà usufruire del servizio per periodo massimo di due mesi, eventualmente rinnovabili, l’intento infatti è quello di dare un supporto a chi si trova in difficoltà temporanea e cerca di rialzarsi. A DARE IL NOME AL RISTORANTE, un con- tadino vicino di casa di Pellegrini morto di stenti nei primi anni 60. Una persona a cui Pellegrini, classe 1940, figlio di contadini e primo impiego come contabile in un’azienda di ristorazione nel 1960, si rammarica di non aver dato una mano. L’Organizzazione mense Pellegrini, fondata nel 1965 con 150 mila lire, oggi è un gruppo multinazionale da 7.500 dipendenti. Pellegrini è però forse più noto per essere stato, dal 1984 al 1995, presidente dell’Inter. Con la sua gestione la squadra conquistò il tredicesimo scudetto, nella stagione 1988-1989, la Supercoppa nel 1989 e la Coppa Uefa nel 1991 e nel 1994. 29 OTTOBRE 2014 CASTA SINDACALE il FATTO ECONOMICO » Perché Raffaele Bonanni guadagnava oltre 330 mila euro quando ha lasciato la guida della Cisl? 11 UN TRENO IN CITTÀ ILLUSIONE START-UP » Sulle aziende innovative italiane si riversa un fiume di milioni di euro, ma pochi sono ben impiegati » Se le Ferrovie dello Stato entrassero nel trasporto urbano si ridurrebbe ancora la concorrenza All’interno FAR WEST La copertura per i medici è obbligatoria: costa fino a 20 mila euro e il mercato è in mano a società opache che spesso fanno crac e pagano difficilmente ASSICURAZIONI SANITARIE BEFFA: CHI CI RIMETTE SONO I PAZIENTI di Carlo Di Foggia I A fine 2013 l'Ivass ha interdetto due agenzie rumene, la Onix Asigurari e la Forte Asigurari Reasigurari per irregolarità e, stando alle indiscrezioni, è pronta a sanzionare due grossi operatori del settore: un italiana e una compagnia estera. Gli esempi non mancano. Il caso più eclatante è quello di City Insurance (fermata nel 2012), una compagnia formalmente rumena, ma in realtà controllata da un groviglio di società italiane (e gravata da sospetti di infiltrazioni camorristiche): con un patrimonio di soli 3,7 milioni di euro, riscuoteva premi per centinaia di milioni, e si era accaparrata appalti in tutto il Veneto. Tra le Asl coinvolte, anche quella di Cesena, costretta ad aprire un nuovo bando dopo la triste vicenda Faro, la compagnia dell'ex presidente del Consiglio di Stato Pasquale Melito (già capo di gabinetto di ministeri come Bilancio, Sanità e Finanze) finita in un crac da 600 milioni di euro e decine di truffati soldi non sono mai arrivati”. Nove anni e neanche un euro: Paola (il nome è di fantasia), nata disabile a causa di un errore durante il parto, aspetta ancora il risarcimento (1,5 milioni di euro) deciso dal tribunale di Treviso e mai saldato. Nel far west delle assicurazioni sanitarie, succede infatti che i Lloyd's di Londra, assicuratori dell'ospedale, si oppongano a una sentenza italiana, proponendo una cifra inferiore: o accetti o avviamo il contenzioso. Risultato? “A distanza di quasi dieci anni non è arrivato neanche un euro”, spiegano gli avvocati. Non è il caso peggiore. Nella sanità c'è un bubbone che rischia di esplodere. A più di due mesi dall'obbligo di polizza per gli oltre 200 mila medici professionisti, regna il caos: le Regioni - scottate da raggiri milionari non si assicurano più, mentre i medici subiscono prezzi e contenziosi in crescita esponenziale. In mezzo, i UNA CASCATA DI SOLDI NOSTRI pazienti, che si trovano a dover trattare con assicuratori stranieri, spesLa malasanità ci costa 2 miliardi l’anno, a cui so misteriosi, che in caso d’insolvenza scaricano gli oneri sulle strutne vanno aggiunti 13 che lo Stato spende per gli ture sanitarie. “E il futuro rischia di esami clinici inutili, prescritti per evitare le cause essere peggiore”, spiega Luigi Conte, segretario della Federazione degli ordini dei medici. Cosa è successo? Ad agosto scorso è scattato l'obbligo per i medici (previsto dal decreto Balduzzi del 2012) di sottoscrivere un'assicurazione sanitaria per tutelarsi dalle cause di risarcimento, a eccezione dei 115 mila del Servizio sanitario nazionale (dove, grazie al decreto Pa, vale solo per le strutture). Con più di 30 mila denunce l'anno (ma la cifra potrebbe essere tre volte superiore considerando le compagnie straniere), polizze e indennizzi lievitati fino al 600 per cento, la novità rischia però di far implodere il sistema. Per ora, chi non si adegua non rischia nulla: la Federazione ha infatti deciso di sospendere le sanzioni disciplinari previste dal decreto. Il motivo è semplice: a oggi i costi sono proibitivi, e per ortopedici, chirurghi e ginecologi privati sfiorano i 20 mila euro l’anno. In teoria, per questi ultimi il decreto avrebbe dovuto istituire un fondo di solidarietà, ma il decreto attuativo non è ancora arrivato. Nel frattempo le denunce sono aumentate esponenzialmente, così come gli importi dei risarcimenti, passati in media da 10 mila a 34 mila euro, con punte di svariati milioni nei casi molto gravi. A conti fatti, la malasanità costa alle casse pubbliche due miliardi di euro l’anno, a cui vanno aggiunti i 13 miliardi che lo Stato spende per la “medicina difensiva”, cioè quelli esami clinici inutili prescritti per evitare le cause. FUGGITI GLI ITALIANI, il settore è in mano stra- niera: decine di sigle dai nomi più disparati e dai patrimoni fragili, spuntate come funghi grazie all'assenza di regole comunitarie. L’Ivass, l’Autorità che vigila sulle assicurazioni, ha le mani bloccate e può solo interdirne l'operatività in Italia. La maggior parte delle compagnie, ha però sede all'estero, soprattutto Romania, e opera in “Libera prestazione di servizi” (Lps). Tradotto: il controllo sulla “solvibilità” spetta alle autorità rumene, che però chiudono più di un occhio. Una volta sanzionate, denunciano i controllori italiani, le compagnie si clonano, continuando a operare sotto altro nome. CAMICI BIANCHI Il caos delle assicurazioni obbligatorie per i medici (costano anche 20 mila euro l’anno) si riflette sui pazienti Ansa (dei 1500 sinistri, meno della metà verrà risarcita). “Le compagnie straniere vincono le gare grazie ai prezzi stracciati - spiega (sotto anonimato) uno dei più grossi Broker assicurativi al Fatto - Spesso si accordano col broker scelto dall'Ente garantendogli una percentuale più alta”. Negli ultimi mesi, la Lig Insurance di Bucarest, con un capitale di poco più di sei milioni di euro si è aggiudicata decine di appalti (anche di grossa entità). Oltre il 60 per cento del mercato è ormai in mano alla Amtrust (200 contratti e 65 mila medici coperti): un gruppo americano con una sussidiaria inglese guidata in Italia dal broker napoletano Antonio Somma attraverso un sistema di società a cascata. A fine 2013 la Regione Sicilia ha disdetto il contratto triennale siglato con la compagnia per assicurare 18 aziende sanitarie dell'isola (costo: 45 milioni di euro). Sotto accusa, i 150 mila euro fissati come tetto per la franchigia, una cifra che coprirebbe solo il 20 per cento dei sinistri. Annunciando la decisione, il presidente Rosario Crocetta ha parlato di presunte irregolarità nello svolgimento della gara e indagini in corso negli Usa sulla società (che però ha subito smentito). Nei mesi scorsi, la compagnia è finita al centro di alcuni report finanziari negativi sulla strana contabilità adottata dal gruppo: questi trasferisce i premi a diverse controllate, che a sua volta si riassicurano. Una struttura arzigogolata che passa attraverso le Bermuda (dove finisce il 40% dei ricavi italiani) e arriva fino in Lussemburgo. VISTO IL PANORAMA, quasi tutte le Regioni sono andate in “autoassicurazione”. Funziona così: si accantonano soldi, assicurando solo i grossi importi e si incrociano le dita. Anche così però, il meccanismo rischia di aumentare i deficit. Nel 2012, le 9 Asl del Veneto hanno speso quasi 77 milioni, contro i 69 stimati con l’assicuratore. E se le strutture non pagano, tocca ai medici. I contenziosi hanno tempi lunghissimi e la prescrizione scatta dopo 10 anni. Molte compagnie, però, impongono clausole capestro (le claims made) che limitano la copertura alla durata del contratto. “Se qualcuno ti fa causa cinque anni dopo - spiega Conte - l'assicurazione non paga e ti lascia solo”. POSTO FISSO Ops, il web mi ha rubato la scrivania di Stefano Feltri “IL POSTO FISSO NON C'È PIÙ”. Tutta la polemica sulla frase pronunciata dal premier Matteo Renzi si è concentrata sull’aggettivo, “fisso”. Sarebbe opportuno preoccuparsi di più del sostantivo: la scomparsa dei posti. Intere categorie professionali hanno le stesse prospettive di un triceratopo nel Cretaceo: l’estinzione. Secondo uno studio molto citato (anche dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco) firmato da Carl Benedikt Frey e Michael Osborne dell’università di Oxford, il 47 per cento dei lavori che conosciamo svanirà nei prossimi due decenni. Magari il numero è impreciso, ma possiamo scommettere che nel 2034 non ci saranno più bigliettai al cinema o sui treni (basterà uno smartphone), spariranno gli impiegati delle Poste e i bancari allo sportello (a che servono con l’e-banking?), i vigili agli angoli delle strade a fare le multe (telecamere e microchip), gli operatori dei call center non disturberanno più con le loro telefonate promozionali. Ma vista la crescita esponenziale della capacità di elaborazione dei software nell’era dei big data, anche i traduttori cominciano a temere la concorrenza di Google Translator, così come i professori che si dedicano solo alla didattica stanno scoprendo le inquietanti potenzialità dell’e-learning: non quello dei nostri diplomifici di provincia, ma quello che permette a un indiano con una connessione Internet di seguire i migliori docenti di Harvard invece che un mediocre insegnante locale. Un solo professore bravo (guardate su Youtube la superstar della filosofia Michael Sandel) può rendere esuberi decine di docenti mediocri. Da duecento anni sappiamo che i timori di Ned Ludd sono infondati: i telai per produrre calze si sono affermati nonostante le proteste dei “luddisti”, ma la disoccupazione non è esplosa. La tecnologia produce aumenti di produttività che generano profitti, quindi un aumento della domanda che fa nascere la necessità di nuovi posti di lavoro in settori diversi da quello stravolto dall’innovazione. La “disoccupazione tecnologica” non esiste. Una certezza durata per un paio di secoli che ora comincia a vacillare. Lo studio di Oxford e l’Economist concordano: spariranno i lavori intermedi, quelli oggi svolti dai colletti bianchi, rimarranno quelli altamente qualificati e creativi (ingegneri, programmatori, stilisti, scrittori) e quelli che richiedono scarse competenze ma non possono essere delocalizzati o affidati a una app o a un robot (dagli spazzini ai barbieri alle badanti). In generale: resisteranno i lavori che richiedono discrezionalità e interazione tra persone. Ma con conseguenze sulle retribuzioni poco piacevoli, visto che crescerà la competizione per entrambi gli estremi ma ne soffriranno di più i lavoratori poco qualificati che vedranno ridursi ancora i compensi. Se non cerchiamo di anticipare questi cambiamenti, presto dovremo porci il problema della scomparsa dei posti tout court. Fissi o variabili. 12 di Virginia MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014 il FATTO ECONOMICO Della Sala È come se mi avessero regalato una Ferrari. Ma non ho la benzina”. Il viaggio nell’Italia delle start-up inizia dal sud, in compagnia di Marco Cristofaro, 28 anni, commercialista, che vive in un paese di provincia della Campania. Ha creato un sito, buondeal.it, su cui affaccia le offerte commerciali delle province campane permettendo agli utenti di acquistare dal sito o di prenotare l’offerta e pagare in negozio. L’ispirazione è quella dei coupon, ma Marco e la sua fidanzata evitano gli sconti eccessivi “perché alterano la qualità del prodotto”. La società è una start-up nata a febbraio 2014 con l’assegnazione di un finanziamento statale di 75.000 euro a fondo perduto “senza il quale – racconta Marco – non sarei mai partito”. Oggi conta più di 50 clienti in una zona dove l’innovazione fatica a trovare spazi, ma dei soldi del finanziamento non c’è traccia”. Anzi. Invitalia (Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, ente che agisce su mandato del governo e che ha concesso l’incentivo) ha chiesto 5.000 euro dell’incentivo per i corsi di formazione a cui Marco dovrebbe partecipare. Cifra che altrimenti andrebbe perduta. Nella confusione che ruota in Italia attorno al concetto di start-up, almeno l’ultimo dato del Registro Imprese è chiaro: a settembre 2014, l’elenco speciale annovera 2583 aziende, con un aumento del 600 per cento dal 2012. Aprire un negozio o una nuova pizzeria non significa creare una start-up. Che per la legge italiana deve avere meno di quattro anni di vita e un bilancio inferiore ai 5 milioni. Ma, soprattutto, svilupparsi in ambiti innovativi investendo almeno il 15 per cento del fatturato in ricerca e riservando un terzo dei posti lavoro a ricercatori e dottorandi. Dove finiscono gli incentivi milionari Non è facile monitorare il flusso di soldi pubblici destinato alle start-up perché non esiste una mappatura completa. L’ultimo rilevamento Aifi (Associazione italiana del private equity e venture capital) mostra che nel 2013 le start-up italiane, quasi 8.000 addetti nel complesso per un fatturato di 300 milioni di euro, hanno ricevuto finanziamenti pari a 81 milioni di euro per 158 progetti analizzati. Una media di mezzo milione di euro per ogni domanda accolta, tra credito bancario, contributi a fondo perduto e garanzie statali. Questi numeri però non dicono tutto. Partiamo da alcuni bandi regio- LOTTA PER SOPRAVVIVERE Le aziende innovative sono 2500, ricevono fondi per oltre 300 milioni e occupano 8000 persone. Ma poche vivono a lungo START-UP, QUANT’È LONTANA L’ITALIA DALLA SILICON VALLEY I CASI DI SUCCESSO A Trento nasce CoReHab, per la riabilitazione che sembra un videogioco: due ragazzi, un milione di investimento iniziale, pareggio di bilancio nel 2015 e nessun aiuto di Stato nali: nel 2014, la Campania ha stabilito un finanziamento di 30 milioni di euro. Con l’iniziativa Start-up e Restart anche la Lombardia ha messo a disposizione circa 30 milioni, mentre in Abruzzo, con Start-uphope, i milioni disponibili sono 14. Il Fondo Nuove Iniziative d’Impresa, in Puglia, ammonta a circa 26 milioni. Su lavoce.info un recente censimento di Roberto Perotti, professore ordinario alla Bocconi, e Filippo Teoldi, ricercatore, mostra che la sola Regione Lazio ha almeno 14 programmi riservati alle start-up per 120 milioni di euro tra 2012 e I PIRATI Il film “I Pirati della Silicon Valley” che racconta la rivalità tra Steve Jobs (Apple) e Bill Gates (Microsoft) Ansa 2015. L’ipotesi è che, assieme ad altri finanziamenti per le piccole e medie imprese, questi investimenti siano una “necessità di rimodulare i fondi FESR del periodo 2007-13 e utilizzarli entro il 2015, altrimenti dovranno essere restituiti all’Europa”. Ai fondi pubblici si sommano poi quelli degli investitori privati e dei network. Tra tutti, Innogest con circa 80 milioni nel 2013, Principia con 90 milioni, 360° Capital Partners con 100 milioni. Esiste poi una intera schiera di decine di finanziatori occasionali, italiani e stranieri. Centinaia di milioni di euro che vor- ticano lasciando poche tracce. Otto imprese su dieci muoiono subito Nel 2014 almeno undici start-up italiane hanno ricevuto tra 1 e i 20 milioni di euro di fondi da investitori privati e network. Decisyon, con sede a Latina, ha ricevuto 22 milioni di dollari da un investitore newyorchese. È difficile definirla ancora start-up, ma quando ha iniziato a produrre software per la finanza, lo era. La Thereson ha invece ricevuto un finanziamento di un milione di euro per portare avanti il progetto medico per la cura del piede diabetico. Si tratta esempi rari. Secondo il Global Entrepreneurship Monitor, in Italia solo due imprese innovative su dieci nascono trainate da reali opportunità di sviluppo. Il restante 80 per cento fallisce nel giro di tre-cinque anni, soprattutto le start-up finanziate esclusivamente dallo Stato e coperte dai suoi fondi di garanzia. “Zuckerberg non ha creato Facebook per diventare plurimiliardario, ma per cambiare il mondo”. Andrea Dusi è il fondatore di Start-upover.com, fattura 40 milioni di euro all’anno con i cofanetti regalo Wish Days. Sul suo blog raccoglie, racconta e analizza i fallimenti delle start-up di tutto il mondo: “In Italia fallisce quasi il 95 per cento delle start up nel giro di tre anni perché si chiede ai giovani di essere capaci di fare impresa senza la dovuta preparazione pratica. Il loro sogno è diventare ricchi, evitare di essere disoccupati: si tende a creare una politica intorno alle cose, a usare amici, parenti e conoscenti per ricevere i fondi. Creare un’azienda deve invece significare voler cambiare il mondo”. In questo vuoto di idee, si inserisce chi cerca di lucrare in modo palese sull’illusione di un’impresa innovativa. Un corso online offre lezioni da casa, via Internet, con percorsi destinati a “massaggiare” la creatività dell’aspirante startupper per aiutarlo a generare una brillante idea d’impresa innovativa. Tutto SOGNANDO FACEBOOK I numeri delle start up italiane, le imprese innovative Infografica a cura di Simone Pisani LA RESA DEI CONTI La Borsa affonda Saipem: -5,8% La Borsa affonda Saipem nel giorno in cui la controllata Eni rende pubblici i suoi conti: Saipem chiude i primi 9 mesi del 2014 con un utile netto di 212 milioni, ricavi a 9.475 milioni di euro (+9,1%) e un utile prima delle tasse di 443 milioni di euro contro un valore negativo per 14 milioni del 2013 con un’acquisizione di nuovi ordini pari a 14.988 milioni. Il risultato del periodo si confronta con una perdita di 229 milioni dell’anno precedente. Per l’intero anno l’attesa è di raggiungere circa 13 miliardi di euro di ricavi, un risultato operativo di 600 milioni e un utile netto di 280 milioni di euro. Il titolo, dopo essere stato sospeso in mattinata, ha chiuso le contrattazioni con un -5,8%. A pesare è stata la decisione della società di rivedere al ribasso la guidance 2014: l’attenzione del mercato si è appuntata sull’indebitamento che, in base alle previsioni, dovrebbe attestarsi a fine anno a 4,7 miliardi di euro, sopra la forbice indicata tra 4,2 e 4,5 miliardi. previo pagamento (950 euro più Iva per pochi mesi) e con “successo assicurato”. Quegli incubatori di speranze Un altro elenco del Registro Imprese è quello degli incubatori certificati, strutture fisiche che si occupano di selezionare tramite bandi di concorso le migliori idee per start-up svilupparle fornendo tutor ed esperti in materia, mettendo in contatto con possibili imprenditori e ripartendo i fondi pubblici e privati che vi con- 29 OTTOBRE 2014 vogliano. Forniscono gli uffici e i servizi in comune (i cosiddetti spazi di coworking) per lavorare sulle proprie idee e un rimborso spese di circa 800 euro. Nel 2014, il ministero per lo Sviluppo economico ha messo a disposizione degli incubatori della rete Invitalia circa 5 milioni euro. La dotazione iniziale della rete era di 190 milioni di euro di cui, al 31 marzo 2014, ne erano stati spesi 34. “Sono arrivato in Italia dopo una laurea in Fisica in Polonia e un tirocinio al Cern di Ginevra”, racconta Przemek Majewski, che nell’incubatore trentino da 450 mila euro Techpeaks sta sviluppando un sistema di monitoraggio per l’autocontrollo del diabete e dei suoi sintomi. Parla seduto su una palla gonfiabile gialla, ce ne sono in tutta la stanza. La sede di Teckpeacks ha due piani inutilizzati. “Stiamo cercando fondi e speriamo di aprirci al mercato internazionale. Forse saremo destinati al fallimento, ma non ci spaventa. La mia prima start-up è fallita, la seconda anche, la terza non saprei dire se è fallita, ma comunque l’ho dovuta chiudere. E ho solo 28 anni”. L’innovazione è meglio se è fai-da-te Nella zona industriale di Trento, in un edificio di pareti a specchio con ampi e luminosi spazi di design circondato da un paesaggio di montagne e rocce, c'è la sede della start-up CoReHab di Roberto Tomasi e David Tacconi, 34 e 35 anni. Sono i creatori di Riablo e i fondatori dell’impresa che ha ricevuto un investimento iniziale di un milione di euro (di cui circa la metà finanziato dalla provincia). Il pareggio di bilancio previsto entro il 2015 si deve al supporto di Andrea Cappelletti, l’imprenditore per cui lavorano e che li appoggia. Non sono passati attraverso alcun incubatore, non si sono appoggiati all’università per i brevetti né hanno dovuto partecipare a conferenze, gare e workshop. E non hanno fallito. Roberto indossa una t-shirt dei Peanuts, ha l’orecchino e ci mostra come funziona Riablo. Accende un maxi schermo, infila su braccia e gambe delle fasce che contengono sensori, si posiziona sulla pedana e regola il rilevatore di movimento. Sembra stia giocando a un videogioco, ma l’orsetto che appare sullo schermo e che ripete i suoi movimenti, nel percorso deve superare ostacoli che inducono il suo controllore umano a fare esercizi di riabilitazione fisica con un monitoraggio dei miglioramenti. “L’idea è nata perché David si infortunava spesso giocando a calcio e aveva bisogno di un percorso di riabilitazione stimolante e monitorato – racconta Roberto – e all’inizio la mamma di David ci cuciva a mano i legacci per contenere i sensori”. Andrea Cappelletti, imprenditore a capo di Ars Future, che provvedeva a servizi di free wi-fi con un investimento iniziale di 5 milioni, ha preso a cuore il progetto, lo ha fatto analizzare e ha deciso di patrocinarlo. “David e Roberto lavoravano per me e un giorno mi dissero: ‘Ce ne andiamo, vogliamo creare una nostra impresa’. Gli chiesi di parlarmene e poi proposi loro di svilupparla qui con un investimento iniziale di un milione”. La fase di commercializzazione è rapida: “Prevedevamo di avviarla nel 2014 – racconta Andrea Cappelletti – ma a dicembre 2013 già avevamo ordini dal mondo per centinaia di migliaia di euro. E un premio come migliore start-up italiana”. Roberto è consapevole che la loro idea non si sarebbe sviluppata così velocemente se si fosse affidato ad altri canali: “Incubatori e iniziative sono ottimi strumenti – spiega – ma a volte fanno perdere tempo tra eventi, conferenze e premi. Così si perde di vista il progetto e il lavoro. Due elementi che costituiscono il motore dello sviluppo”. 13 IL FEUDO Da quando è diventato segretario nel 2006 lo stipendio è salito velocemente fino a 336 mila euro BONANNI HA USATO LA CISL PER RITIRARSI DA PENSIONATO D’ORO di Salvatore Cannavò U n segretario generale del secondo sindacato italiano che guadagna 336 mila euro l’anno costituisce una curiosità. Soprattutto se non è chiaro come ha guadagnato quella cifra. Se quel segretario si chiama Raffaele Bonanni, poi, la curiosità si dilata al quadrato. La cifra è superiore al tetto per i grandi manager di Stato (240 mila), pericolosamente vicina a quei grandi dirigenti contro cui Bonanni ha spesso puntato il dito. E spiega più chiaramente il motivo delle sue dimissioni anticipate dalla segreteria della Cisl, piombate all'improvviso nella vita del sindacato cattolico e nel dibattito politico e sindacale. Raffaele Bonanni avrebbe dovuto lasciare la segreteria della Cisl, a cui era stato eletto nel 2006, fra pochi mesi. Eppure il 24 settembre scorso decise di anticipare la sua uscita. Stanchezza politica, si è scritto, oppure indisponibilità a essere additato come il rappresentante di una storia vecchia e conservatrice, quella sindacale, secondo il copione redatto dal premier Matteo Renzi. Ma forse, anche il frutto di una faida interna alla Cisl fatta di lettere anonime, velate minacce, dossier che sono passati nelle mani dei vari dirigenti. UNO DI QUESTI dossier Il Fatto lo ha potuto leg- gere e racconta una storia beffarda, fatta di un aumento vertiginoso dello stipendio dell’ex segretario proprio a ridosso dell’anno in cui, il 2011, decide di andare in pensione. Beneficiando di Camilla Conti così a pieno del sistema retributivo ed evitando di finire nelle maglie della imminente riforma Fornero. Il dato sulla pensione di Bonanni è stato già reso noto. L’ex sindacalista, infatti, percepisce dal marzo 2012 la pensione (numero 36026124) dall'importo lordo di 8.593 euro al mese. Al netto delle trattenute si tratta di 5.391,50 euro mensili. Qualcosa che nessun lavoratore medio si può permettere. Nei giorni dell’addio alla segreteria, Bonanni ha giustificato tali importi sempre allo stesso modo: si tratta del frutto di 46 anni di lavoro dipendente, con contributi regolarmente versati, quindi niente di speciale. Inoltre, va ricordato, Bonanni è riuscito a sfuggire, grazie all’anzianità lavorativa, alle modifiche operate nel 1995 dalla riforma Dini che introdusse il sistema contributivo, quello poi esteso a tutti i lavoratori dalla riforma Fornero. Sistema basato sul principio: “Tanti contributi hai versato, tanto sarà l’assegno pensionistico”. Con il sistema retributivo, invece, la pensione si calcolava sulla base della media degli ultimi anni di retribuzione: cinque anni prima della riforma Dini, casistica in cui Bonanni rientra in quanto a quella data aveva superato ampiamente le 18 annualità contributive richieste. Su questo particolare scatta la vicenda di cui stiamo dando con- L’ALTRA CASTA L’ex segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, e la lista dei suoi stipendi degli ultimi anni Ansa Epifani. La sua pensione è di “soli” 3.400 euro mensili netti anch’essi peraltro frutto di uno scatto improvviso di 800 euro al mese maturato nel 2005 alla vigilia di presentare la domanda pensionistica. Anche qui, gli ultimi cinque anni sono stati utilizzati per alzare la retribuzione senza che il Comitato direttivo della Cgil ne sapesse nulla. E QUI C’È IL PUNTO che FINE CORSA La sua paga 2011 supera il tetto per i manager pubblici. Risultato? Assegno previdenziale da 5.331 euro to. Il sindacalista, oggi senza incarichi pubblici, viene eletto segretario generale della Cisl nel 2006. Fino a quella data era segretario confederale e guadagnava meno di 80 mila euro lordi l'anno. 75.223 nel 2003, 77.349 nel 2004 e 79.054 nel 2005. Quando diventa segretario generale, secondo il regolamento interno alla Cisl, il suo stipendio viene incrementato del 30%. Quindi, secondo le regole interne, avrebbe dovuto guadagnare circa 100 mila euro lordi annui. Nel 2006, la Cisl dichiara all’Inps una retribuzione lorda, ai fini contributivi, di 118.186 euro. Un po’ più alta di quella prevista ma non di molto. Le stranezze devono giungere con gli anni seguenti. Nel 2007, infatti, la retribuzione complessiva dichiarata all'Inps è di 171.652 euro lordi annui. Che aumenta ancora nel 2008: 201.681 annui. L’evoluzione è spettacolare, gli incrementi retributivi di Bonanni sono stati del 45% e poi del 17%. Ma la progressione continua: nel 2009, la retribuzione è di 255.579 (+26%), nel 2010 sale “di poco” a 267.436 (+4%) mentre nel 2011 schizza a 336.260 con un aumento del 25%. SIAMO alla vigilia della domanda di pensione che, dicono i suoi critici, Bonanni riesce a presentare prima del varo della riforma Fornero. E così, beneficiando di una carriera contributiva davvero ampia – 46 anni – e potendosi basare sulle ultime cinque retribuzioni d’oro riesce a conquistare una cifra nemmeno lontanamente sognata da qualunque altro sindacalista. Prendiamo l’esempio di un “pari grado” di cui Il Fatto si è già occupato, Guglielmo spiega, forse, la fuoriuscita improvvisa dalla Cisl di Bonanni. Chi ha deciso questi scatti, questi aumenti progressivi? La Cisl preferisce non commentare. Quando Bonanni si dimise il sindacato di via Po si limitò a ricordare che negli ultimi anni il segretario aveva percepito degli arretrati, la liquidazione del fondo pensione integrativo (che quindi si aggiunge all’assegno dell'Inps) e altri benefit legati alla sua retribuzione. Questi emolumenti, però, non figurano nella retribuzione ai fini Inps e comunque non avrebbero potuto essere così ampi. Negli ultimi cinque anni, infatti, Bonanni ha percepito un ammontare complessivo di 1.230 mila euro invece dei 600 mila spettanti secondo il regolamento. Il doppio. Sentito dal Fatto, l’ex segretario Cisl ha preferito non rilasciare dichiarazioni. Nella Cisl la discussione prosegue sotto traccia. ANDRÉ ESTEVES I nuovi soci di Mps studiano la reazione alla bocciatura Bce S i racconta che quando André Esteves lasciò l’Ateneo di Rio dove lavorava come informatico per fare lo stagista al Banco Pactual (di cui poi sarebbe diventato proprietario) la madre gli domandò: “Ma tu ti fidi dei banchieri?”. Chissà cosa risponderebbe oggi il numero uno del fondo brasiliano Btg che si trova coinvolto come azionista nelle due partite più delicate del sistema bancario italiano: Mps e Carige. Entrambe bocciate dai test della Bce. Ed entrambe finite nel “carrello” di Esteves che nell’ultimo anno ha comprato il 2% del Monte, siglando un patto con i messicani di Fintech e la Fondazione, ma anche una quota attorno al 2% nella Cassa ligure. Se Mps procederà con un nuovo aumento di capi- tale, il brasiliano dovrà rimettere mano al portafoglio. Idem per la ricapitalizzazione già annunciata da Genova. Ma la situazione più complicata riguarda Siena. All’advisor Ubs scelto dal presidente Alessandro Profumo, i sudamericani hanno affiancato Citigroup. Nel frattempo, dopo aver conquistato due poltrone cda e nei comitati strategici, i rappresentanti di Btg e Fintech hanno iniziato ad approfondire l’esame delle ultime trimestrali chiuse in rosso. Chiedendosi perché il management non abbia fatto fin da subito una svalutazione complessiva delle situazioni pregresse. E perché fosse stato previsto prima un aumento da un miliardo, poi da 3 e solo alla fine da 5, chiuso questa estate. Tutto per evitare una nazionalizzazione che, forse, sarebbe stata più indolore. Ora si potrebbero delineare due strade: un nuovo aumento di capitale da varare nei prossimi nove mesi costruendo nel frattempo un percorso di aggregazione con una banca, come la Cassa Risparmio di Firenze, che consenta di riproporre il modello dell'ex Banca Toscana che operava soprattutto nell'erogazione del credito alle imprese. L’alternativa potrebbe essere, una volta rivisto il piano di ristrutturazione come richiesto dalla Commissione Ue, l’accordo con un’altra banca europea che entrerebbe in maniera soft attraverso l’aumento di capitale per poi completare il percorso con la fusione. Intanto Esteves monitora i titoli in Borsa: ieri Mps ha segnato un +1,4%, Carige un flebile +0,65. 14 29 OTTOBRE 2014 il FATTO ECONOMICO RISPARMIO La sorpresa sui fondi pensione di Beppe Scienza NON TUTTO IL MALE viene per nuocere. L’aumento della tasse sulla previdenza integrativa, previsto dalla legge di stabilità, può essere l’occasione buona per interrompere i versamenti o evitare di sana pianta fondi pensione, piani individuali previdenziali (pip) ecc. Ci basiamo sul testo presentato dal governo, salvo rifare i conti, se il Parlamento apporterà rilevanti modifiche. Vediamo cosa dicono i numeri, ragionando sulle nuove aliquote: l’imposta su interessi, rivalutazioni ecc. passa per il TFR dall’11 al 17% e per la previdenza complementare al 20%, dopo che era già stata elevata all’11,5% da luglio. C’è anche una piccola cattiveria del governo, perché l’aumento per il TFR scatta dal 2015, mentre nel secondo caso opera da inizio 2014. Infatti, non per merito dei gestori, ma per le buone sorti del di Marco Ponti L e ferrovie dello Stato da un po’ di tempo hanno aggiunto a FS una I (“FSI”), dove la I finale sta per l’Italia, per non essere da meno ad Autostrade per l’Italia, e sarebbero disponibili a estendere la loro attività ai trasporti urbani, in particolare quelli di Roma e di Milano. Sono già presenti nel settore: stanno concorrendo per l’azienda torinese e hanno già vinto la gara (a lotto unico) per quella di Firenze. Secondo alcune voci maligne, a Firenze hanno vinto soprattutto perché si è preferita un’azienda italiana politicamente “robusta” a infidi stranieri, quali erano gli altri due concorrenti. mercato obbligazionario, quest'anno i fondi pensione dovrebbero rendere bene. Al che il governo si è detto: “Piatto ricco, mi ci ficco”. Ma già solo per il futuro, per un giovane lavoratore con redditi medio-bassi e una permanenza di 30-40 anni in un fondo pensione o simile, il vantaggio fiscale complessivo si è ridotto all’osso. È sceso intorno allo 0,7% su base annua. Troppo poco, perché facilmente molto inferiore alla somma dei costi, pa- lesi e occulti, dei prodotti della previdenza integrativa. Insomma, saldo netto negativo. C’è poi il secondo punto. Tale modestissimo e ipotetico vantaggio poggia solo sulla minore tassazione finale. Ma si può essere davvero sicuri che non verrà anch’essa aumentata? L’attuale governo non si è sentito legato alle decisioni dei governi del 2005-2006. Perché mai quelli in carica intorno al 2050 dovrebbero sentirsi vincolati a scelte prese da politici di RACCONTANO BALLE mezzo secolo prima? Conclusioni: risparmiare sì, ma evitare ogni prodotto previdenziale. Soprattutto i giovani, per non parlare dell'imbroglio di chi addirittura consiglia ai genitori di intestare fondi pensione ai propri figli neonati. E chi ha aderito, interrompa i versamenti. Al limite, avendone diritto, chieda il TFR in busta paga e l’investa in prima persona in cose sicure. Twitter @beppescienza www.beppescienza.it INTRECCI I Comuni auspicano che il gruppo guidato da Elia si occupi anche di trasporto urbano, sperando così di ricevere più fondi. Ma i cittadini alla fine ci rimetterebbero 3,3 MILIARDI RENZI, L’UE DALLA E IL FONDO EVASIONE MISTERIOSO FISCALE TAGLIA-TASSE BUONA PARTE della correzione al deficit/Pil patteggiato con l’Ue verrà “dal fondo per la riduzione della pressione fiscale”: 3,3 miliardi che Matteo Renzi aveva definito “una riserva”. In effetti, quel fondo è un mistero. Nel 2011, si ipotizzò di farlo partire dal 2014 raccogliendo i proventi della lotta all'evasione. Nel 2012 si decise di anticiparlo al 2013. Nel 2013 si optò per un semplice monitoraggio: su 12,5 miliardi recuperati, solo 4,5 erano “strutturali”. Purtroppo però servivano per “l’equilibrio di bilancio”. Tradotto: niente risorse. Per consolazione si istituì un fondo taglia-Irap, poi cancellato da Letta per istituire finalmente il tanto atteso Fondo. Ora, Renzi. 4 anni, zero euro. L’assurdo assalto delle Ferrovie ai bus cento di proprietà pubblica. Tutte le ferrovie europee aborrono l’uso dei termini “monopolio”, “sussidio”, “dominante”, “pubblico”. Amano raffigurare se stesse, e spesso riescono a farsi raffigurare dai media, come aziende private che operano nel mercato. Poi però, nei rari casi in cui emergono pubblicamente gli elevatissimi costi che generano alle casse pubbliche, ribadiscono la loro vocazione sociale, e il fatto che operano soprattutto per il benessere della collettività troppo umano. Al management ferroviario non tocca certo rinunciare a parte del proprio potere. Tocca allo Stato costringerlo a farlo, per difendere utenti e contribuenti. MA SEMBRA ESSERCI una lodevole C’È COMUNQUE un aspetto positivo nella vicenda fiorentina: per la prima volta in Italia abbiamo una grande città che non solo ha fatto una gara, ma ha rinunciato alla proprietà dell’azienda. Se il Comune di Firenze non sarà contento dei risultati, litigherà con FSI, e non con se stesso come fanno tutti gli altri, proprietari delle aziende urbane. Ma l’eventuale avvento di FSI nel settore presenta molti più aspetti negativi che positivi, e questo certo non per qualche colpa o demerito dell’azienda li), la rete ferroviaria è un ferroviaria, ma al PER PROTESTA monopolio naturale contrario perché esteso e la gran parte dei questa è troppo forte, Il presidente di FSI servizi passeggeri sono cioè ha un potere poesercitati in condizione litico ed economico Messori ha rimesso di monopolio legale, an“innegoziabile” (quele deleghe perché non che se vi sono state gare sto potere, nel linper alcuni servizi locali guaggio degli econosi può privatizzare (nessuna di queste è stata misti, è noto come vinta da concorrenti). clout). Infatti FSI ha un’azienda contraria FSI è un’impresa fortecaratteristiche pecualla concorrenza mente dominante (circa liari. È un’azienda toil 90 per cento del fattutalmente pubblica, rato del settore) e non quindi per definizione gode di forti appoggi politici, riceve può fallire, a differenza di ogni altra immoltissimi sussidi dallo Stato (“corri- presa. spettivi”, come FSI preferisce chiamar- Ciascuno dei punti precedenti sarebbe motivo sufficiente per sconsigliare l’ulteriore rafforzamento di FSI, rendendola ancor meno controllabile dal regolatore pubblico (in questo caso dalla neo-costituita Autorità per la Regolazione dei Trasporti). Si tratterebbe di “integrazione verticale di impresa dominante”, e di solito in questo caso si registra un intervento censorio da parte del regolatore pubblico. PROPRIO PER QUESTO potere la ces- sione di aziende di trasporto urbano a FSI è auspicata dagli amministratori locali. Cesserebbero di colpo per loro moltissimi problemi economici e gestionali. Illuminante in proposito è l’af- fermazione (in privato) dell’assessore ai trasporti di una delle città coinvolte: “Come sarebbe bello cedere l’azienda a FSI, quelli i soldi dallo Stato riescono sempre ad averli, e quanti ne vogliono”. Una assoluta verità. E ovviamente questo ingresso di FSI renderebbe impossibile fare gare per piccoli lotti, cioè la strategia che in Europa si è rivelata la più efficace per razionalizzare i servizi. Ma la perla finale di questa vicenda è verbale, e scaturisce dalla dichiarazione di interesse di FSI per l’ingrasso nelle aziende di Roma e Milano: si tratterebbe, secondo l’amministratore delegato di FSI di Michele Elia, di una “privatizzazione”, anche se FSI è al cento per eccezione al quadro sopra descritto: il presidente di FSI, il professor Marcello Messori aveva una importate delega di cui si stava occupando: quella sulle modalità di privatizzazione parziale del colosso pubblico. Due scuole di pensiero si fronteggiano: una è quella di fare entrare investitori privati con la cessione di quote azionarie, operazione che garantirebbe la forza contrattuale e politica del gruppo FSI. L’altra visione è opposta: cedere quei rami d’azienda che non ha più senso siano in mano pubblica (l’Alta Velocità, i servizi merci, alcuni asset della rete). In questo modo il potere politico-monopolistico di FSI diminuirebbe, con benefici per gli utenti e le casse pubbliche. Domenica Messori ha annunciato di aver rimesso tutte le deleghe, escluse quelle, in gran parte formali, di “controllo”, con motivazioni che sembrano attinenti proprio a divergenze sulle modalità di privatizzazione. Conoscendone il pensiero e il rigore, vi sono pochi dubbi di quale modello dei due sopra descritti fosse sostenitore. La coerenza con le proprie convinzioni nella sfera del top-management pubblico è cosa davvero rara in Italia. C’è da sperare che la politica, per una volta ne prenda atto, e ne tragga le conseguenze. BERNANKE La Fed e i limiti delle Banche centrali nella crisi L LA FEDERAL RESERVE E LA CRISI FINANZIARIA di Ben S. Bernanke Il Saggiatore pagg. 176, 16,00 ¤ a politica monetaria è uno strumento rudimentale, che incide sui prezzi di tutte le attività e sull’intera economia, quindi è meglio intervenire sul problema con la precisione di un laser”. Così parla Ben Bernanke ai suoi studenti: prima di guidare la Federal Reserve, la banca centrale americana, Bernanke è stato un apprezzato professore di economia a Princeton, oltre che tra i maggiori studiosi esperti del legame tra politica monetaria e Grande Depressione. Il Saggia- tore pubblica ora una raccolta di seminari che Bernanke ha tenuto alla George Washington University nel 2012, quando dunque era ancora presidente della Fed, che sono godibili e istruttivi. Emerge al contempo una grande consapevolezza delle potenzialità (distruttive) della politica monetaria ma anche della sua limitatezza nell’affrontare le crisi. Bernanke dimostra in modo convincente la correttezza dell’analisi di Friedman, cioè che la crisi del Ventinove non sarebbe stata così grave se la Fed avesse tenuto una linea espansiva invece di sposare le tesi “liquidazioniste” (falliscano un po’ di banche così si fa pulizia nel sistema). Ma l’economista di Princeton è anche abile a sgusciare tra le giuste obiezioni degli studenti: sostiene, per esempio, che la bolla immobiliare non era colpa della Fed e dei suoi tassi troppo bassi, come sarebbe dimostrato da bolle analoghe in Paesi in condizioni monetarie diverse (Spagna, Gran Bretagna). Eppure Bernanke è consapevole che le banche centrali moderne devono preoccuparsi della stabilità macroeconomica e non soltanto di quella dei prezzi, perché se crolla il sistema la deflazione o l’iper inflazione sono dietro l’angolo. Eppure, nell’analisi della crisi, Bernanke separa i due piani: sì, la Fed doveva preoccuparsi della tenuta macroeconomica ma attraverso gli strumenti di vigilanza (affinché le banche erogassero meno mutui sub prime) e non alzando i tassi di interesse per scoraggiare il credito. Su questo non è distante dal suo predecessore Alan Greenspan, convinto che non spetti alle banche centrali sgonfiare le bolle, devono limitarsi a gestirne le conseguenze. Due anni dopo quelle lezioni, Bernanke ha constatato che la capacità delle banche americane di valurate il merito di credito non è migliorata: la sua banca gli ha comunicato che non poteva rinegoziare il mutuo immobiliare, perché le prospettive di reddito di Bernanke erano incerte. UN GIORNO IN ITALIA il Fatto Quotidiano Iarrestato: mprenditore “Rifiuti nel Volturno” CON LA MINACCIA del licenziamento costringeva i lavoratori a sversare rifiuti nel fiume Volturno o a sotterrarli nei terreni dell’azienda. Giuseppe Gravante, imprenditore casertano, è stato arrestato ieri con l’accusa di estorsione e smaltimento illecito di rifiuti e si trova ora agli arresti domiciliari. Il “patron del latte” era stato proprietario del marchio Latte Matese fino al 1984 ed è tuttora titolare di Foreste Molisane, azienda che gli valse la cittadinanza onoraria. Gli investigatori della Forestale hanno accertato che almeno dal 1994 tutti gli scarti dell’attività venivano interrati, si parla di 6,5 quintali al giorno. L’attività di smaltimento illegale era così ben congegnata che erano stati predi- MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014 sposti scarichi diretti e pompe idrauliche nel fiume Volturno. Così l’azienda si liberava non solo degli escrementi di circa 3.500 capi, ma anche dei reflui delle sale di mungitura, delle acque di lavaggio delle stalle contaminate da detergenti e acidi fortemente tossici. Un inquinamento equivalente a quello prodotto da una città di 24 mila abitanti. Veleni e Napalm: alla sbarra i generali PROCESSO AI COMANDANTI DEL POLIGONO DI QUIRRA IN SARDEGNA: “TESTATE AL TORIO, ESPLOSIONI DI GAS E MUNIZIONI DISTRUTTE” NELLA “DISCARICA” DI 130 CHILOMETRI QUADRATI. E UNA SCIA DI TUMORI di Maddalena Brunetti U Cagliari na discarica di rifiuti bellici nel cuore della Sardegna e morti misteriose. Per decenni. Nel Poligono interforze del Salto di Quirra centinaia di esplosioni hanno distrutto le armi in disuso stoccate nei depositi italiani. Tutto in uno spazio di 130 chilometri quadrati di pianori, boschi, altipiani e coste a disposizione della Difesa, tra le province di Cagliari e dell’Ogliastra, sulla costa orientale dell’Isola, quella con le spiagge più belle e selvagge. Una zona militare, confinante con una decina di piccoli paesi, dove sarebbero stati interrati anche numerosi fusti di famigerato Napalm e dove, eserciti e industrie civili e militari di ogni parte del mondo, hanno sperimentato i loro armamenti: anche missili anticarro Milan con componenti al torio, altamente radioattivo. Operazioni condotte senza informare le popolazioni vicine, senza un presidio sanitario e, soprattutto, senza impedire che i pastori continuassero a far pascolare i loro animali all’interno del filo spinato, anche a poche ore dai test. Una convivenza forzata, pecore e vacche che brucano accanto a carri armati sforacchiati, boati che mandano in frantumi le finestre dei paesi vicini, missili che perdono il controllo distruggendo coltivazioni e l’incubo che la guerra simulata possa aver compro- messo l’ambiente, minando la salute di animali e persone. È LA RICOSTRUZIONE della Procura di Lanusei (Ogliastra) che ha indagato sul presunto disastro ambientale provocato dalle attività belliche, ottenendo il rinvio a giudizio di generali e colonnelli che si sono alternati a capo del poligono dal 2004 in poi. Il processo sulla cosiddetta “Sindrome di Quirra” – ossia l’anomalo picco di leucemie, tumori e malformazioni lamentato da chi abita o lavora nei pressi della base – prenderà il via questa mattina a Lanusei, dopo tre anni dall’apertura della clamorosa inchiesta del procuratore Domenico Fiordalisi, che ha portato sul banco degli imputati i generali Fabio Molteni, Alessio Test con esplosione di gas nel 2003 al Poligono del Salto di Quirra Ansa Cecchetti, Roberto Quattrocicchi, Carlo Landi, Valter Auloni, Paolo Ricci e i colonnelli Gianfranco Fois e Fulvio Ragazzon. Rispondono di omessa cautela, in ipotesi dolosa, contro infortuni e disastri, ma non direttamente dei decessi. Stando all’inchiesta – aperta dopo il rapporto di due veterinari sulle gravi forme tumorali contratte dal 65 per cento dei pasto- 15 ri che portavano le greggi nello spazio militare – tra il 1984 e il 2008 a Quirra sono state distrutte enormi quantità di munizioni e bombe fuori uso provenienti da tutti gli arsenali italiani dell’Aeronautica. I testimoni hanno raccontato di file di camion carichi di armi, che entravano nel poligono dove venivano accatastate in un cratere e poi fatte “brillare”. Le esplosioni an- davano avanti per giorni, le colonne di fumo che si levavano verso il cielo – che in tanti hanno descritto – avrebbero disperso nell’aria “enormi quantitativi di particelle metalliche e tossiche”, come si legge nel capo d’imputazione. Nel poligono sarebbero stati distrutti anche i missili da guerra Nike con valvole radioattive e cariche di biglie al tungsteno “altamente cancerogene se vaporizzate”. E tra il 1986 e il 2003, sono stati esplosi ben 1.187 missili anticarro Milan che avrebbero “nebulizzato consistenti quantitativi di torio radioattivo”. Un quadro inquietante aggravato, secondo la Procura, dai test industriali definiti “unici al mondo”. Come le numerose esplosioni di gas hanno messo alla prova la resistenza dei tubi usati per i moderni metanodotti e gli oleodotti, da introdurre sul mercato. TOCCHERÀ AL TRIBUNALE stabilire se i militari sono colpevoli o innocenti. Accusa e difesa si preparano alla battaglia in aula mentre i legali di parte civile – che tutelano presunte vittime della sindrome di Quirra – sono pronti a chiamare come testimoni tutti ministri alla Difesa, i sottosegretari e i presidenti della Repubblica dal 1999 a oggi. 16 ALTRI MONDI MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014 Pianeta terra il Fatto Quotidiano HONG KONG UN MESE DI PROTESTA È passato un mese dalla protesta per chiedere alla Cina elezioni libere e a suffragio universale. La manifestazione è stata indetta dagli stessi gruppi. I partecipanti sono diminuiti anche a causa degli attacchi di gruppi pro Pechino che per alcuni sono vicini alle triadi mafiose. La Presse TURCHIA PARTITI I PESHMERGA PER SALVARE KOBANE Sono partiti dal nord Iraq i primi 150 miliziani curdi che tenteranno di salvare Kobane, la cittadina al confine con la Turchia assediata dall’Isis . Nel frattempo i miliziani islamici hanno invitato i seguaci ad attaccare insegnanti americani e occidentali nei Paesi arabi.LaPresse A Parigi meglio un buon ministro che un erudito Un milione contro Compaorè LA RESPONSABILE DELLA CULTURA: “NON LEGGO LIBRI DA DUE ANNI”. PER L’EX ORFANA COREANA ELOGI SULL’ONESTÀ INTELLETTUALE MA ANCHE ACCUSE D’IGNORANZA di Luana De Micco Parigi E ssere sinceri non sempre paga in politica. Ne sta facendo le spese Fleur Pellerin, 41 anni, la giovane ministra francese della Cultura, che per aver ammesso di non aver letto neanche un libro negli ultimi due anni, perché assorbita dal la- voro e quindi non ha tempo, è ancora al centro di accesi dibattiti in Francia. Se alla vicenda i giornali transalpini dedicano qualche trafiletto, i siti invece si scatenano e i social network sono spietati con lei. Una responsabile della Cultura che non legge nel paese di André Malraux e dell’eccezione culturale è una vergogna! Non ne parliamo se la stessa ministra, interve- nuta domenica scorsa in una trasmissione su Canal +, riconosce anche, con una dose notevole d’onestà e di coraggio, di non aver mai letto Patrick Modiano e di non saper citare un solo titolo dei suoi romanzi. Eppure lo scrittore francese è stato insignito del Nobel per la Letteratura appena qualche settimana fa. Non avrebbe potuto prepararsi? “Riconosco senza pro- blemi che da due anni non ho tempo per leggere. Leggo molte note di lavoro, i dispacci d’agenzia e testi di legge. Ma per il resto leggo molto poco”, ha detto candidamente la ministra. UNO DEI COMMENTI più pe- santi è stato dello scrittore Tahar Ben Jalloun: “È molto triste, mi dispiace per lei. Un ministro deve immergersi BURKINA FASO E IL PRESIDENTE-DITTATORE Scontri fra dimostranti e polizia: i primi sono contro la modifica costituzionale che permetterebbe a Compaorè, al potere dal 1987, di ricandidarsi LaPresse “SECCHIONA” Laureata all’Ena, la scuola dell’élite amministrativa, Fleur Pellerin spiega: “Leggo dispacci e testi di legge, non ho tempo per i libri” nella letteratura, fosse solo per dovere politico”. Nostalgico Slate.fr ha pubblicato ieri un dibattito del 1978 tra Modiano e François Mitterrand, che tre anni dopo sarebbe diventato presidente della Re- 41 ANNI, NATA A SEUL Fleur Pellerin è stata nominata da Hollande ministro della Cultura del suo II governo. A destra, Francois Mitterrand LaPresse/Ansa pubblica. Ricordando i vecchi tempi quando i politici erano anche uomini di cultura. La Francia si spacca tra accusatori e difensori. I primi pensano che Fleur Pellerin debba dimettersi, i secondi ne difendono l’onestà. In posizione neutra c’è chi ritiene che sono stati i consiglieri della ministra a sbagliare. Perché non preparare una schedina su Modiano per evi- tare le gaffe? Troppo tardi. Ma, nel governo senza risultati di François Hollande, dove sono state commesse gaffe ben più gravi di questa, Fleur Pellerin è in realtà uno dei rari esempi di serietà e competenza. La ministra nata a Seul, in Corea del Sud, fu abbandonata per strada a quattro giorni di vita, raccolta e messa in un orfanotrofio dove a sei mesi fu adottata dalla famiglia francese che le ha dato nome e cognome. È diplomata all’Ena, la scuola delle élite, e si è fatta strada nel difficile – e maschile – mondo della politica. Nell’ultimo rimpasto di governo è stato il presidente Hollande in persona a volerla promuovere affidandole la Cultura, dopo che la giovane donna aveva dimostrato le sue capacità all’economia digitale e al commercio estero. Tutti pazzi per Brand, giullare dell’antipolitica L’ISTRIONICO PRESENTATORE INGLESE TENTATO DALLA CANDIDATURA A SINDACO DI LONDRA: POTREBBE ESSERE IL ‘GRILLO’ A SINISTRA DEI LABURISTI di Caterina Soffici Londra eccato Russell Brand abbia P smentito: non si candiderà a sindaco di Londra. Avremmo as- sistito a una campagna elettorale memorabile, tra due gigioni mediatici di altissimo livello. La notizia è girata per qualche giorno e perfino il sindaco uscente Boris Johnson (conservatore, ex giornalista, vulcanico, biondo tendente al fosforescente) ha scritto nella sua rubrica sul Daily Telegraph che sarebbe stato “elettrizzante” avere come avversario il comico del momento, di nuovo su tutti gli schermi e i media del Regno Unito grazie alla pubblicazione del suo ultimo libro, Revolution, dove ha messo nero su bianco il suo manifesto-denuncia contro il sistema. La politica si è spettacolarizzata e il fatto che uno squinternato come Russell Brand possa scendere in campo non stupisce nessuno. Trentanove anni, Brand è un presentatore televisivo (Big Brother, Mtv Awards), conduttore radiofo- nico, attore. Era già una celebrità oltremanica, è diventata una celebrità globale dopo il matrimonio con la cantante Katy Perry: un colpo di bottiglia (scagliata da lei contro lui durante le prove per gli Mtv Award) che diventa colpo di fulmine, con celebrazione segreta in India e cerimonia di rito hindù. Il tutto dura 14 mesi, ben documentati nelle paparazzate nei locali notturni di New York, Los Angeles, Londra. VITA HOLLYWOODIANA e fisico Newsnight con Jeremy Paxman, e aveva ammesso di non aver mai votato e invitato gli spettatori a non votare perché la politica tradizionale fa schifo. Vagheggiava un sistema socialista ugualitario, basato sulla redistribuzione del reddito, su un’alta tassazione per le multinazionali, sul rispetto per l’ambiente. Il video ha totalizzato 10 milioni e mezzo di visioni. Il Financial Times titolò: “Il Beppe Grillo riluttante della Gran Bre- ascetico, barba lunga e capello inRussell Brand, colto, un mix tra Gesù e showman inglese LaPresse Che Guevara, eccessi e vitalismo senza soluzio“NON VOTATE” ne di continuità. Un passato di droga e alcolismo, Lo showman accusato alternati a disordini bipolari e bulimia, Russell con le sue frasi Brand è diventato una di allontanare i giovani sorta di guru dell’antipolitica. Appena un anno fa dai temi sociali, eppure Brand era apparso nel programma politico per i messaggi hanno eccellenza, l’approfondil’effetto opposto mento serale della Bbc tagna”. Riluttante perché ha sempre detto che non intende candidarsi ad alcunché, ma solo dare voce alla maggioranza silenziosa del paese che nessuno rappresenta. Entrambi comici ed entrambi anti sistema. Ma le analogie Brand-Grillo finiscono lì. Ora arriva con il libro-manifesto che invita alla Rivoluzione, partendo proprio dal non voto. “Questo non è il migliore dei mondi possibili, come vi hanno fatto credere”. L’ombra di Thomas Piketty, il teorico della nuova disuguaglianza - citato anche nei ringraziamenti - aleggia in tutto il libro. BRAND SI PONE come il paladino dei nuovi poveri, il 99 per cento che “perde la casa, il lavoro, i servizi sociali” e i politici se ne fregano. Dice qualcosa di sinistra, mentre il Labour balbetta contro gli immigrati, per paura dell’avanzata degli indipendentisti dell’Ukip. Nelle nuove vesti di attivista antisistema ha anche riadattato il “Pifferaio magico” e “I vestiti nuovi dell’Imperatore” per uno spettacolo speciale, sul palco della Royal Albert Hall di Londra, il mese prossimo. Hanno accusato Brand di dare il cattivo esempio ai giovani e di allontanarli dalla politica. Ma paradossalmente è successo proprio il contrario: il suo messaggio antipolitico ha catturato l’interesse di un sacco di gente che non si era mai interessata a temi sociali e non ha fiducia nella democrazia. il Fatto Quotidiano ALTRI MONDI NORD COREA TEST MISSILI SOTTOMARINI Dalle immagini satellitari si vede una nuova struttura, con un ingresso sotterraneo, che potrebbe essere usata per testare il lancio di missili balistici da sottomarini, sulla costa orientale. Lo riporta il sito web 38 North, che monitora le attività del regime di Pyongyang Ansa TURCHIA 18 MINATORI INTRAPPOLATI Il guasto di un tubo dell’acqua ha allagato la galleria la miniera di carbone Has Sekerler, nel sud del Paese. Sono 18 gli operai bloccati a 300 metri sotto terra e 225 i soccorritori intervenuti. Il soccorso è difficile e sono poche le possibilità di salvare i minatori. Ansa MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014 17 I “MALATI” AMERICANI A VICENZA E LA QUARANTENA DEI LEGHISTI MENTRE NELLA BASE 11 MILITARI SONO SOTTO OSSERVAZIONE DOPO ESSER STATI NEI LUOGHI DI EBOLA, I SINDACI DEL NORD-EST IMPONGONO VISITE MEDICHE AGLI STRANIERI di Alessio Schiesari O k la quarantena, ma si continua a lavorare. Gli 11 cittadini statunitensi rientrati alla caserma ex Dal Molin dopo la missione anti-Ebola in Africa resteranno per 21 giorni, questo il periodo massimo di incubazione del virus, isolati dai vicentini, dai loro commilitoni e dal resto del mondo. Eppure, il diplomatico e 10 dieci militari, tra cui due donne, continueranno a lavorare. Lo si è visto anche alla conferenza stampa di ieri, in cui il generale Derryl Williams, l’ufficiale a capo delle operazioni in Liberia, ha risposto alle domande in videoconferenza dall’edificio nel quale è confinato. Anche se il comando Usa ri- USA L’Allegro Chirurgo non ha soldi per curarsi inventore dell’“Allegro Chirurgo”, ironia delL’ la sorte, deve essere operato ma non ha denaro sufficiente. John Spinello oggi ha 77 anni e qualche problema di salute; era solo uno studente di design industriale quando, ormai 50 anni fa, inventò il gioco da tavolo “Operations” (da noi tradotto in “Allegro Chirurgo”) in cui lo scopo era operare con mano ferma. John con l’invenzione non si è arricchito perché ne aveva venduto la licenza per soli 500 dollari. Il gioco ha venduto milioni di copie in tutto il mondo. Adesso che l’inventore sfortunato deve essere operato alla gola, alcuni suoi amici hanno lanciato una campagna on line per aiutarlo. Chissà che qualche ex bambino diventato medico grazie al gioco non si faccia avanti. fiuta il termine quarantena – sostituito da un più rassicurante controllo monitorato – è evidente che la sostanza non cambia. I militari sono stati confinati in tre edifici: uno per gli alloggi, uno per lo svago e un terzo per continuare a svolgere le mansioni d’ufficio. Il controllo della temperatura corporea, che viene realizzato due volte al giorno, è affidato agli stessi militari in isolamento, in modo da evitare i contatti con il personale sanitario. Durante tutto il periodo della quarantena, infatti, i soldati avranno rapporti diretti solo con i commilitoni rientrati dall’Africa insieme a loro. LA STESSA PROCEDURA verrà seguita per gli altri due scaglioni di militari, entrambi tra le 30 e le 35 unità: il primo rientrerà in Veneto mercoledì, il secondo sabato. In caso di sospetto contagio è previsto il ricovero all’ospedale cittadino, il San Bortolo. “Al momento non sono previste altre partenze”, fanno sapere dalla base. Il comando della missione passerà quindi al 101ima divisione aviotrasportata Kentucky. La quarantena dei soldati “vicentini” è una sorta di esperimento pilota: è la prima volta che il Pentagono prende una misura di profilassi così drastica e, anche sulla base di quest’esperienza, e di quella analoga in corso nella base tedesca di Ramstein, si deciderà se applicare lo stesso protocollo per i militari inviati in Africa direttamente dagli States. Nonostante le ripetute rassicurazioni degli ufficiali Usa, “nessuno dei nostri soldati è entrato in contatto con persone affette da sintomi di ebola” (e, in effetti, la missione è La videoconferenza dalla caserma Ederle a Vicenza Ansa TEST-PILOTA La procedura potrebbe essere replicata per tutti i reparti statunitensi di ritorno dalla missione in Africa occidentale volta alla creazione di infrastrutture sanitarie e centri di isolamento, non alla cura di chi ha contratto il virus), il governatore del Veneto, Luca Zaia, non ha preso bene la decisione di fare rientrare i militari in Italia invece che negli States. “La quarantena se la facciano a casa loro. È anche una questione di rispetto istituzionale nei nostri confronti”, ha dichiarato l'esponente leghista prima di promettere una protesta ufficiale all’ambasciatore americano in Italia. “La scelta di farci rientrare a Vicenza è stata dei vertici militari Usa, noi abbiamo obbedito a degli ordini”, ha risposto a distanza il generale Williams. Dello stesso tenore delle parole di Zaia anche la proposta lanciata dai parlamentari veneti del M5s, che anzi hanno rilanciato: “Il governo rispedisca a Washington tutti i militari Usa operativi nella base di Vicenza”. MA È TUTTA LA POLITICA regionale ad avere messo la possibile epidemia al centro delle priorità e dei rischi imminenti per i veneti. Il sindaco di Padova (anche lui leghista), Massimo Bitonci, primo in Italia ha emesso un’ordinanza “anti-Ebola”: libretto sanitario e visita medica obbligatoria per tutti gli stranieri pro- CARROCCIO E M5S Gli esponenti dei due partiti chiedono al governo di rispedire in patria i soldati. Nell’ordinanza sanitaria anche i profughi siriani venienti “dall’area africana” che vogliano soggiornare nella città patavina. Curiosamente però nel provvedimento che indica la lunga lista di Paesi a rischio (tra cui figurava perfino la Siria), mancano Guinea, Liberia e Sierra Leone, ovvero quelli colpiti dalla pandemia. Il virus della psicosi è contagioso: nei giorni scorsi l'ordinanza Bitonci è stata replicata da svariati altri sindaci del Carroccio. La ripresa mette in crisi McDonald’s (e la Barbie) TRA ECONOMIA E ‘POLITICAMENTE CORRETTO’ DUE SIMBOLI USA IN DECLINO, PER VIA DELLA CONCORRENZA E DEI MODELLI SOCIALI CHE CAMBIANO di Angela Vitaliano New York volte non servono elezioni, A nuovi presidenti, grandi campagne di sensibilizzazione per cam- biare il volto di un paese. A volte, il cambiamento avviene quasi “silenziosamente” e quando si è realizzato ce ne rendiamo conto perché ciò che, fino a ieri, ci “rappresentava”, oggi, non esiste più. Questo è, difatti, proprio quello che potrebbe succedere negli Stati Uniti dove, due dei simboli meglio riconoscibili a livello globale, potrebbero, in un futuro prossimo, addirittura scomparire. SI PARLA DI MCDONALD’S, la ca- tena di fast food più famosa al mondo e della bambola “reginetta di tutte le bambole”, la celeberrima Barbie, compagna fedele di generazioni di bambine, amata e detestata con la stessa passione e veemenza. Gli americani, improvvisamente, ma neanche troppo, sembrano aver smesso di amare entrambi e di essersi appassionati a prodotti simili, ma alternativi. I profitti di McDonald’s, a esempio, alla fine di settembre, hanno fatto registrare un calo del 30%, segnando un record negativo per il 4° trimestre consecutivo. Le azioni della catena di fast food sono scese del 5,2% facendo apparire sempre più vicina la possibilità di una chiusura in perdita, evento che si è verificato solo un’altra volta negli ultimi dieci anni. A determinare il declino, al momento inarrestabile di McDonald’s, è stato prima di tutto l’intensificarsi della concorrenza rappresentata da catene come Burger King e Wendy’s che sono state rafforzate dagli in- genti capitali delle banche di investimento. Non vanno poi sottovalutate le questioni di politica estera con il governo russo che, adducendo ragioni “sanitarie”, nei giorni piu’ difficili della crisi ucraina, ha ordinato la chiusura di 5 McDonald’s senza lasciar capire quando potranno tornare in attività. CI SONO POI RAGIONI più squisi- tamente economiche legate all’aumento del prezzo della carne dovuto, in particolare, al persistere del virus della “mucca pazza” e, di conseguenza, all’aumento del prezzo dei menù offerti dal fast food. Non va dimenticato, inoltre, un nuovo trend che si sta diffondendo nel paese legato all’ alimentazione “sana” e ai prodotti biologici che hanno reso il McDonald’s, soprattutto nella grandi città americane, sempre meno invitante. BIOLOGICO E SORPASSATA Stesso destino quello della Barbie che, con il La catena di fast food risente anche del calo delle vendite del boicottaggio russo; la bambola rappresenta 21% fatto registrare a un immaginario femminile superato settembre, fa segnare un nuovo minino, dopo il - 15% del trimestre precedente. Quella che una volta era la punta di diamante della produzione Mattel, dunque, rischia di trascinare l’intera nave ammiraglia in acque molto turbolente se non si riesce a pianificare in modo da assicurare un’inversione di tendenza, soprattutto ora che la Walt Disney è pronta ad affidare la licenza per la produzione del modello “Frozen” alla Hasbro. E se e vero che la vendita delle bambole, in generale, è calata, dal momento che i bambini preferiscono i giochi elettronici, è anche vero che la Barbie è quella che fa registrare le perdite maggiori, contro un meno preoccupante -7% dell’altrettanto famosa American Girl Doll. Questo perché la bionda e longilinea Barbie, eterna fidanzata del “belloccio” Ken, rispecchia sempre meno il mondo “ideale” delle bambine che, finalmente, hanno le stesse opportunità dei maschietti di accedere a giochi che siano anche istruttivi e che non evochino un modello ormai vetusto (e da archiviare) di donna. 18 il Fatto Quotidiano MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014 TENSIONE JUVENTUS-INTER, CI MANCAVA EVELINA CHRISTILLIN L’organizzatrice di Torino 2006, accesa tifosa bianconera, in un post sull’Huffington Post, ha definito Thohir “Cicciobello a mandorla” e ironizzato sui denti di Moratti ALTRI GUAI PER MARADONA: SCHIAFFI ALL’EX FIDANZATA JOAN AS A POLICE WOMAN: TOUR ANNULLATO ANCHE IN ITALIA La tv argentina Canal 13TV ha trasmesso un video in cui Maradona picchia l’ex fidanzata Rocío Oliva. È stata la stessa ragazza a girare il video e a diffonderle SECONDO La cantautrice Joan As a Police Woman (Joan Wasser) ha annullato per gravi motivi familiari il tour europeo, comprese le tre date italiane a Bologna, Milano e Torino TEMPO SPETTACOLI.SPORT.IDEE Amori all’ultimo sangue “UOMINI E DONNE” DI MARIA DE FILIPPI: È SOLO UN PROGRAMMA TV O LE NOSTRE VITE SONO DAVVERO (CONCIATE) COSÌ? I di Silvia Truzzi l Segreto è Jonás Berami che – morto come Juan Castaneda nella telenovela spagnola più vista della stagione – è resuscitato negli studi di Uomini e Donne. Dove “sta facendo un percorso” (qui si esprimono così) con diverse corteggiatrici (alcune dai nomi improbabili, tipo Rama Lila. Ma è un classico, è un posto pieno di Sharon, di Noemi, di Samuel). Se lo contendono una stangona tutta tatuata – che non è augurabile avere come nemica e la cui mission esistenziale è “far ridere il suo uomo” – e una pierre discotecara con un deficit alle ghiandole lacrimali. Su un altro trono “maschio” c’è Andrea, bolognese che arriva dal Grande Fratello, ha uno strepitoso successo sui social e ci tiene molto a mostrare il cipiglio decisionista. Lato par condicio: Teresa – from Sicilia with love – ricorda come l’ironia di Aristofane sul genere ( “non esistono al mondo creature più sfrontate delle donne”) sia più che mai fondata. Al suo cospetto un Salvatore biondo che prova timidamente a rompere il ghiaccio: “Sei contenta di vedermi? No”, quindi sì. Però sai che c’è? Bacio Fabio. E tie’. PER CHI non l’avesse mai visto – ed è pressoché impossibile: è in onda da 18 anni – il programma pomeridiano di Canale 5 mette in scena (letteralmente) il corteggiamento. Che è già una messa in scena di se stessi, cioè il momento in cui si espone la mercanzia migliore (le magagne arrivano poi), e che probabilmente oltre le quinte di Mediaset è roba piuttosto archeologica. Da qualche anno, la trasmissione condotta da Maria De Filippi non è più uno spazio riservato solo a giovani carini pieni di belle speranze: esiste anche una editio senior, riservata alle persone con più primavere alle spalle, forse per esaurimento scorte o problemi di discriminazione (più che per esigenze commerciali: gli ascolti premiano il “trono classico” rispetto al “trono over”, che in effetti non è un bel vedere). Per tutti lo scopo – al di là dell'attrazione fatale per la no- ZEFFIRELLI contro La Scala “La mia Aida venduta” di Mariateresa Totaro cervelloni della Scala stanno pensando a me come un I artista da dimenticare”. Il regista Franco Zeffirelli si sfoga contro il teatro La Scala di Milano, che ha ceduto all’Astana Opera Theater del Kazakistan la produzione della “sua” Aida, diretta dal maestro nel 2006. Una “infame procedura”, secondo il regista, “che richiederà fermamente l’intervento della magistratura”. Ma il teatro milanese si difende: “L’allestimento dell’Aida era di esclusiva proprietà della Scala – si legge in una nota – che continua ad avere alta considerazione per Zeffirelli. Sono stati pienamente tutelati i titolari dei diritti, cioè Zeffirelli e il costumista Maurizio Millenotti, che sono stati contattati dall’Astana Opera Theatre per la corresponsione di quanto dovuto”. Ma il regista non ci sta: “La Scala si arrampica sugli specchi. Non è vero che sono padroni definitivi di un’opera d’arte, non è vero che ne possono fare quello che vogliono. Sono stato trattato come un oggetto da buttare via. Aida doveva tornare in scena quest’anno. Non voglio fare nomi, ma la verità è che c’è un signore che ha portato la morte a La Scala, con spettacoli incredibilmente volgari, banali, indegni del teatro. Mettere in scena questa Aida per me è stato come tirare su un figlio, apprezzato da milioni di persone. Adesso lo buttano via. Si trattava con tutta umiltà, della migliore produzione di questo capolavoro che abbia mai portato al pubblico”. Maria De Filippi conduce “Uomini e Donne” da 18 anni. Sotto, Carlo Freccero LaPresse torietà – è trovare il compagno della vita: e non è mica cosa da poco, specie in questi tempi confusi, di recriminazioni reciproche e tentativi maldestri di raggiungere equilibri tra ruoli in continua trasformazione. I tronisti (la parola è entrata nello Zanichelli nel 2009) si accomodano e aspettano che i corteggiatori dell’altro sesso trovino qualcosa di brillante da dire/fare per conquistarli. E vai con balli del mattone 2.0, omaggi di rose rosse al ralenti, esibizioni di canto (libri e poesie pochini, ma sono anticaglie). In esterna, dove la libertà di corteggiamento è maggiore e ci si può sbizzarrire creando situazioni più intime, è un trionfo di coperte stese su prati all'inglese e cuscini su cui i due aspiranti piccioncini si possono accomodare in favore di telecamere: sospiri (moltissimi), carezze, bacetti. A volte perfino più impegnativi baci alla francese, che regolarmente fanno incazzare gli aspiranti competitor che in studio si rivedono la prestazione dell’avversario e gli danno la pagella. Il meccanismo è geniale, fa leva su una dinamica universale: la competizione. Che ha come principale terreno di scontro l’avvenenza fisica. Ma è una gara da poco, almeno nella sezione giovani: sono tutti uguali. Capelli, abiti, facce, per le ragazze bocche fucsia (colore in voga presso le estetiste negli Anni 80), unghie lunghissime tinteggiate di cafonissime nuance nere, blu e marrone. Non si farebbe fatica a sostenere un'accusa di atti osceni in luogo pubblico anche nei confronti dei costumisti: e non per il pudore leso, ma per attentato all’eleganza. Se l’estetica anestetizza la vita, con l'etica – si fa per dire – non va meglio. Il cuore dello spettacolo è la guerra tra i pretendenti e le pretendenti. Le accuse sono sempre le stesse, si ripetono in loop: vuoi solo metterti in mostra, sei un esibizionista, sei geloso di me perché sono più figo di te, ti comporti male, sei aggressivo. Notoriamente chi va in televisione a raccontare i fatti Ma poi Uomini e donne fa giri lunghi: prima o poi ritornano. All’inizio di ottobre una tal Valentina ha abbandonato lo studio strepitando perché “insultata dagli opinionisti” (un ballerino e una signora conciata alla moda di Moira Orfei commentano le performance). L'ultima è una rissa tra due signori (Ciro e Franco, si legge su uno dei mille siti che sfornano a ogni ora in- IL SUCCESSO “Il programma –sostiene Carlo Freccero –descrive in maniera sublime la ‘pancia’del Paese, un proletariato espresso solo dai suoi sentimenti suoi, a fare mille moine di pseudo seduzione, lo fa per timidezza o desiderio d'introspezione. La frase più gettonata è: “Non è possibile che ti piaccia lei, se ti piaccio anche io. Ddai, siamo troppo diverse”. Come se uno a cui piace la torta di mele, non potesse amare anche la millefoglie (lo scopo ovviamente è farsi dire: ma no, sei meglio tu). IN OGNI CASO, un po’ aggres- sivi lo sono davvero, anche perché in tv la dolcezza non ha mai pagato. E sono le ragazze a essere specialmente incazzose (la famosa “ira funesta delle cagnette” cui si sottrae l’osso). Periodicamente c’è qualcuno che se ne va, dopo sceneggiate tra l'oltraggiato e l'indignato. discrezioni sul programma) finita al pronto soccorso. La circostanza strabiliante è che riescono a fare un gigantesco casino parlando di niente. E se tutto questo sia o no la fenomenologia di qualcosa (siamo davvero così?), lo spiega bene Carlo Freccero, un signore che di tv – e del rapporto tra media e realtà – se ne intende parecchio. “Molti mi chiedono il perché di questa mia passione, televisiva ovviamente, per Maria De Filippi – scrive sul sito Tvblog – Semplice: la De Filippi descrive in maniera sublime la ‘pancia’ del Paese, l’audience profonda di un proletariato che è espresso esclusivamente dai suoi sentimenti. Ma, come l’audience, che registra e replica i gusti della mag- gioranza, i suoi programmi replicano e amplificano la pancia del Paese, facendo di quello che è lo strato più fragile, meno acculturato, un modello positivo da seguire. Il coatto diventa una star”. Però nonostante l'usura – 18 anni sono una vita intera – il programma tiene: l’audience è assestata sul 20%. E questo – oltre la constatazione della pessima salute dei rapporti maschi-femmine – qualcosa vorrà dire. Non è possibile fare un paragone con l’emorragia di ascolti dei talk politici, però sempre Freccero, spiega un aspetto interessante. “Mi sono chiesto in cosa i programmi della De Filippi, che mettono insieme le storie dei meno acculturati, differiscono da programmi come quelli di Santoro, che mettono ugualmente in scena il malessere sociale. Un cassintegrato che va da Santoro a parlare della sua condizione lavorativa, sta scrivendo una pagina di sociologia. La stessa persona, nel ruolo del tronista di Uomini e donne, svela al pubblico la sua psicologia. Maria De Filippi è funzionale alla televisione commerciale nella misura in cui affronta la dimensione psicologica individuale, mettendo in scena la sfera dei sentimenti e del privato”. VALE che l'amore, il rapporto con l’altro sesso, è l'argomento più trasversale (e antico) del mondo: appassiona il calciatore, l’operaio, l'ingegnere nucleare, l'infermiere, l'intellettuale impegnato (ammesso che ne esistano ancora nella fascia under 70) perché l’attrazione per il mistero dell’altro da sé è cosa ancestrale. In onda ovviamente lo iato verità-finzione è più che mai marcato. Però ci sono alcune cose che dalla vita quotidiana si riflettono sullo schermo. Per esempio la mascolinizzazione della femmina – di cui ha parlato giustamente anche Massimo su questo giornale – e la conseguente femminilizzazione del maschio: le donne inseguono gli uomini come mai hanno fatto – in marcia militare su tacco 12 – e non sanno più fare le prede. Viceversa, il maschio intimidito non riesce più a cacciare, se non se stesso nei guai. Dunque probabilmente Uomini e donne andrà in onda per sempre. Almeno finché, con il suo apprezzabile aplomb distaccato, Maria De Filippi non abolirà l'amore per sfinimento. La pubblicità ovviamente la darà Matteo Renzi, che per allora sarà diventato anche opinionista unico sul Trono di Mediaset. SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano Il mister MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014 19 Pierpaolo Bisoli Il pallone, specchio dell’Italia: pagano le piccole, come gli operai di Andrea Scanzi N on mi chieda se ho un libro preferito: sono una persona semplice e concreta, mi sono fermato alla prima di Ragioneria”. Pierpaolo Bisoli, allenatore del Cesena tra poco 48enne, insegue le parole giuste: “Ai libri preferisco la cronaca nera in tivù, per esempio Quarto Grado. Da mesi mi interrogo sul caso Yara Gambirasio. Qualcuno lo troverà macabro, ma il mio è solo il desiderio di provare a comprendere l’animo umano: sa, per un allenatore è importante”. Il bilancio, sin qui, è positivo: “Stiamo andando bene e ci manca qualche punto. Con Milan, Palermo e Inter meritavamo di più, ma non mi lamento. Non l’ho mai fatto, neanche con gli arbitri”. Beh, mica tanto: domenica scorsa si è fatto espellere dopo Cesena-Inter e il presidente Lugaresi ha definito “un poveretto” Mazzoleni: “Ho fatto un errore di negligenza, ma chiedevo solo rispetto. Vogliamo valere come gli altri”. Con chi vi giocherete la salvezza? Empoli, Cagliari, Chievo, Sassuolo, Palermo, Parma, Atalanta e Chievo. Le sue precedenti esperienze in Serie A non sono state fortunate: esonerato a Cagliari e Bologna. Oggi sono un po’ più riflessivo, ma voglia e passione restano quelle. Ero così anche 12 anni fa, quando ho cominciato ad allenare a Porretta Terme, il posto in cui sono nato. In Italia i giovani hanno poco spazio. Lei rappresenta una controtendenza. Spesso l’ho pagata sulla mia pelle: a Cagliari ero tra i pochi a credere in Nainggolan e non mi pare di avere sbagliato. Nel mio Cesena ci sono sempre tre-quattro ragazzi del ’93 e ’94. Con i giovani non hai certezze, una volta ti danno 7 e quella dopo 4,5, ma è così che ho portato in Nazionale quattro semisconosciuti dalla C2. PALLONE D’ORO L’Italia è soltanto in panchina ifa e hanno rivelato la rosa dei 23 canF didati al Pallone d’Oro 2014 e dei 10 tecnici in lizza per il titolo di Allenatore dell’Anno. I vincitori, scelti dai ca- Chi? France Football Diamanti, Giaccherini, Schelotto e Parolo. Non ci credeva nessuno. Diamanti voleva abbandonare il calcio, Schelotto era un oggetto misterioso, su Giaccherini ho puntato quando era in Interregionale e Parolo l’ho fatto prendere dal fallimento della Pistoiese. Ne vado fiero. pitani e dai ct delle Nazionali e da una giuria di giornalisti, saranno proclamati il 12 gennaio 2015. Ecco, in ordine alfabetico, i candidati: Gareth Bale (Galles), Karim Benzema (Francia), Diego Costa (Spagna), Thibaut Courtois (Belgio), Cristiano Ronaldo (Portogallo), Angel Di Maria (Argentina), Mario Götze (Germania), Eden Hazard (Belgio), Zlatan Ibrahimovic (Svezia), Andres Iniesta (Spagna), Toni Kroos (Germania), Philipp Lahm (Germania), Javier Mascherano (Argentina), Lionel Messi (Argentina), Thomas Müller (Germania), Manuel Neuer (Germania), Neymar (Brasile), Paul Pogba (Francia), Sergio Ramos (Spagna), Arjen Robben (Olanda), James Rodriguez (Colombia), Bastian Schweinsteiger (Germania), Yaya Touré (Costa d'Avorio). Nessun italiano dunque; solo tra gli allenatori in lizza Carlo Ancelotti e Antonio Conte. Nel 2004 era il vice di Dino Zoff alla Fiorentina. Zoff ha una caratura micidiale. Pacatissimo, con una cultura fuori dalla media. Geniale e mai impulsivo. Lo sento ancora. Avete fermato il Milan di Inzaghi. Le piace? SUDDITANZE PSICOLOGICHE Gli arbitri fanno più attenzione con Juve o Inter rispetto al Cesena. Fanno come noi: lei è più teso con un potente o con un mendicante? È triste, ma è così IN ROMAGNA Pierpaolo Bisoli ha portato in Serie A il Cesena lo scorso campionato. Quest’anno è stato riconfermato LaPresse di cultura elevata e gente di strada. Un giorno sei un dio in terra e quello dopo un deficiente. È un’altalena continua, soprattutto da allenatore: la società di oggi è più complessa, i giovani non hanno regole e devi tenere insieme spogliatoi multietnici con sensibilità diverse. A volte sei il papà comprensivo, altre la guida autoritaria da temere. Chi è stato il suo maestro? Ho affrontato la Juventus, che è di un’altra categoria e gioca un campionato tutto suo. Stasera troveremo la Roma e potrò giudicarla. Il Milan ha un attacco inferiore solo a Juve e Roma. E neanche di molto. Entrambi i suoi figli fanno i calciatori. Ne sono felice: il calcio è una straordinaria palestra di vita, ti permette di incontrare persone Carletto Mazzone. Nel ‘90/91 lo etichettavano già come rude e difensivista, ma era già avanti di venti anni. Anche lei è definito rude e difensivista. La chiamano “Mister 0 a 0”. Pago anch’io il fatto di non frequentare i salotti buoni e non mettere la cravatta. Ho vinto cinque campionati e qualche giovane l’ho lanciato, cosa che non sarebbe accaduta se pensassi solo al risultato. Se Capello e Mourinho dicono che la chiave del successo è la difesa, li chiamate innovativi; se lo dico io, sono Mister 0 a 0. Devo poi rivelarle una cosa. Prego. L’allenatore si vede nella fase difensiva, non in quella offensiva. Negli ultimi 16 metri, là davanti, è quasi tutto istinto. Se un attaccante segna, è molto spesso per una intuizione sua. Non è che Dybala ha segnato contro di noi perché gliel’ha detto Iachini: lo ha fatto perché è stato più freddo sottoporta del mio Rodriguez. Nessun allenatore, a parte Zeman, ha in Italia schemi offensivi riconoscibili. La bravura di un tecnico si vede nella fase difensiva. Sta dicendo che Inzaghi non è un bravo allenatore? Non posso né voglio dirlo, ma Inzaghi aveva enormi difficoltà fino ai 16 metri: poi, quando li oltrepassava, diventava il calciatore più forte del mondo. E lo era perché è nato così, non perché lo aveva imparato dagli allenatori. Un tecnico si valuta anche dai gol che subisce da palla inattiva: il Cesena ne prende più di quanto dovrebbe. Vero, ma i giornalisti dovrebbero considerare anche l’altezza delle rose. Se ho una difesa alta in media 1.75 e l’attacco avversario supera il metro e 80, i miracoli non li posso fare. La Gialappa’s la prendeva in giro, reputandola un Hans Peter Briegel dei poveri. Mi divertiva molto. Confesso che, ancora oggi, quando sono triste riguardo qualche spezzone. Erano gli unici o quasi a parlare di me, mi resero un po’ famoso. Oggi un programma come Mai dire gol non sarebbe possibile: troppi calciatori permalosi, troppi procuratori. Quando vede arbitri come Rocchi e Mazzoleni compiere disastri, pensa alla malafede o alla sudditanza psicologica? Penso che il calcio non è un mondo a parte e che, così come nella società è l’operaio a pagare e non il notaio, anche nel calcio spesso paga la provinciale. Tutti sbagliano, l’arbitro come l’allenatore, e l’arbitro avverte una maggiore soggezione se incontra Juve o Inter e non il Cesena. Proprio come noi: lei si sente più teso se incontra un uomo di potere o un mendicante? È triste, ma è nell’ordine delle cose. Lei era in campo nella famosa Perugia-Juve del gol di Calori. Ero il più vecchio del Perugia, la stampa mi definiva ‘l’uomo di Mazzone’. Quel pomeriggio marcavo Del Piero e il giorno dopo si parlava solo di me e Calori. Con Alessandro ci siamo chiesti spesso se, quella volta, abbiamo sbagliato. Che risposta vi siete dati? Che siamo stati onesti. Non posso dire che giocammo col coltello tra i denti, ma posso dire che fummo professionisti: molto semplicemente, facemmo quello che dovevamo fare. IL VERO FENOMENO Carlos “Kaiser”, la leggenda del calciatore mai sceso in campo di Luca Pisapia el mondo realmente rovesciaN to, il vero è un momento del falso” scriveva Guy Debord prefi- gurando la società dello spettacolo, di cui il calcio è parte integrante. Impossibile quindi sapere se i mirabolanti racconti di Carlos Henrique Raposo, detto Kaiser, cinquantenne che lavora a Rio de Janeiro come personal trainer, appartengano al vero o al falso. MA LA STORIA merita di essere raccontata. È la storia di un ragazzo brasiliano che per quasi vent’anni si è finto calciatore, stipulando lucrativi contratti in patria e all’estero senza mai scendere in campo. È la storia del più grande illusionista del pallone. Di Carlos Kaiser, cui sono state dedicati un documentario e una pagina su Wikipedia, anche se le prime tracce della sua esistenza possono essere fatte risalire a pochi anni fa, con un’in- tervista sul quotidiano portoghese Mais Futebol, si racconta che nasce a Rio de Janeiro nei primi anni Sessanta e che la famiglia, di umili origini, lo spinge verso il calcio come riscatto sociale. Carlos ci prova, ma nonostante il fisico asciutto e la somiglianza con Beckenbauer, da qui il soprannome Kaiser, non riesce a sfondare. E a vent’anni è già un ex calciatore. Ma se non ha i piedi buoni, Carlos ha altri talenti: è socievole, colto, ama divertirsi e soprattutto ha una grande faccia tosta. È così che nelle notti festose dei primi anni Ottanta di Rio de Janeiro diventa amico di molti calciatori famosi – come i futuri nazionali Bebeto, Romario, Edmundo e Renato – e mette in pratica il suo piano: convince gli amici in procinto di trasferirsi da un club all’altro a inserire nel contratto una clausola per cui assumano anche lui, giovane fenomeno di cui all’epoca basta dire che se n’è sentito parlare un gran bene. Carlos Kaiser riesce così a farsi ingaggiare addirittura dal prestigioso Botafogo e l’anno dopo, nonostante le zero presenze, a trasferirsi al Flamengo, dove ancora non gioca mai. Non potendo lavorare sulle sue abilità piuttosto scarse di calciatore, lavora sul personaggio: si veste bene, frequenta i posti giusti e gira con un telefono portatile, che poi si scopre essere un giocattolo, con cui finge di parlare con dirigenti stranieri pronti a ingaggiarlo. Per resistere alla tentazione di scendere in campo e scoprire il bluff, la storia vuole che finga continuamente infortuni, attraverso certificati medici fasulli o chiedendo a un compagno complice di fargli male durante l’allenamento. POI SI FA PERDONARE organiz- zando festini a luci rosse per la gioia di squadra, tifosi e giornalisti, che vergano articoli in cui ne scrivono un gran bene. Dopo un anno in Messico al Puebla e uno negli States del Pallone (1984) in cui Lino Banfi ESPLOSIONE SOCIAL Il quotidiano portoghese “Mais Futebol” che per primo ha raccontato la storia di “Kaiser” a El Paso, rientra in Brasile senza aver mai giocato una sola partita. L’allenatore del Bangù, forse sospettoso, ci prova mandandolo a scaldarsi nel secondo tempo di una partita. Davanti all’abisso, Carlos Kaiser non si scompone, e un attimo prima di togliersi la tuta si scaglia contro un tifoso che a suo dire l’ha insultato facendosi espellere. L’ingresso in campo è scongiurato. L’illusionista può continuare a spacciare il falso come vero e a preparare il suo capolavoro: un contratto da professionista in Europa, con l’Ajaccio. D’altronde siamo in un’epoca in cui lo scouting è amatoriale. Lo spezzone de L’allenatore gira per tutta Rio a cercare presunti campioni accompagnato da due truffatori di mezza tacca come Gigi e Andrea, è più reale di quanto si possa immaginare. In Corsica si fa benvolere al primo allenamento baciando la maglia e spedendo palloni in tribuna, per la gioia dei tifosi, e tanto basta per restarci un anno. Rientrato in patria, continua a (non) giocare fino alla soglia dei quarant’anni. QUANTO sia vero di questo raccon- to, in fondo del tutto offerto in prima persona da Carlos Henrique Raposo – lui dice di aver giocato, o meglio di essere stato sotto contratto, anche con il club argentino dell’Indipendiente che però nega di averlo mai avuto in rosa – non è dato saperlo, ma d’altronde, ammoniva Italo Calvino: “La menzogna non è nel discorso, è nelle cose”. E nel calcio, sublimazione della società dello spettacolo, la menzogna è ovunque. Anche oggi. A guardare le rose delle grandi squadre, si trovano molti giocatori che stazionano uno o più anni in un club senza mai mettere piede in campo. Carlos Kaiser, in fondo, è il nome di ciascuno di loro. 20 SECONDO TEMPO MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014 il Fatto Quotidiano OUTDOOR 2014 Urban Art Festival, Roma, ex Dogana Scalo San Lorenzo OUTDOOR 2014 Moving Forward, l’arte è per tutti ROMA, 5.000 MQ DI ESPOSIZIONE ALLO SCALO SAN LORENZO, STREET ART MA NON SOLO di Diletta Parlangeli I n Europa, c’è una strada che mi voglio ricordare” (Ivano Fossati, Last Minute): una di quelle strade, adesso, si trova a Roma. Un angolo d’Europa, di quell’Europa contemporanea che reinventa gli spazi, li investe e li trasforma, e li condivide senza trincerarsi dietro l’altezzosa IL FUMETTO formula prestampata di chi fa arte e la tiene per sé, ché deve essere per pochi. È un’operazione riuscita, quella dell’Outdoor 2014, quinta edizione dello Urban Art Festival intitolato quest’anno Moving Forward, che ha lasciato zona Ostiense e si è catapultato alla vecchia Dogana di Scalo San Lorenzo. Cinquemila mq di complesso industriale del 1925 di Stefano Feltri Uno, nessuno e centomila Dylan DYLAN DOG 337 - SPAZIO PROFONDO di Roberto Recchioni, Nicola Mari e Lorenzo De Felici, Sergio Bonelli editore, 98 pagg., euro 3,20 L’UNICO VANTAGGIO di arrivare per ultimi a recensire il nuovo inizio di Dylan Dog (colpa della lentezza delle Poste Italiane, ma sorvoliamo) è che c’è stato il tempo di leggere le tante reazioni sul web. Le premesse sono arcinote: Roberto Recchioni è il nuovo curatore della collana – ormai da un anno – e dopo aver salvato il salvabile delle storie già in lavorazione (i tempi alla Bonelli sono lunghi), lancia ora un nuovo corso dell’Indagatore dell’incubo che dovrebbe svecchiarlo un po’, senza stravolgerlo: più tecnologia, nuovi personaggi, am- messi in mano a 15 artisti provenienti da 6 nazioni differenti. Si potrebbe anche chiamare street art, non fosse che non è su strada, ma in un enorme spazio chiuso. E poi, spiega la curatrice del Festival Antonella Di Lullo, “l’idea è quella di offrire una panoramica più ampia dell’arte stessa, di far cadere le etichette, compresa quella di street art. Fare in modo che Outdoor sia uno stato mentale. Il fatto che non sia all’aperto dà anche un ritmo diverso di visita: su strada di solito lo sguardo è molto veloce”. UN MECCANISMO quasi fisio- logico in effetti, inchioda da subito chi entra davanti agli ampi spazi riempiti dalle idee degli artisti. Nessun limite, nessun tema prestabilito. A ognuno è stata affidata un’area – tranne alla la sudafricana Faith47, che entrando per prima ha scelto il corridoio per la sua elegante pittura – che ha potuto occupare come meglio ha creduto. Così il francese Thomas Canto ha mischiato fili di geometrie alla pittura per raccontare un movimento tanto netto quanto morbido (di grande impatto), mentre Galo, di Torino, ha deciso di disegnare, sulle pareti che conducono alla sala con- TEATRO / ARTE di Camilla Tagliabue A spasso per Milano Ma è uno spettacolo ©Remote Milano Milano (partenza dal cimitero Monumentale), fino al 9 novembre PARE di stare nel film “Lei”: “Non sono un essere umano, ma voglio essere tua amica”, dice Fabiana, la voce artificiale che guida il pubblico in “Remote Milano”, spettacolo interattivo e itinerante firmato dall’ensemble tedesco Rimini Protokoll, ora nel capoluogo lombardo per l’unica tappa italiana, grazie a Zona K. Già sperimentata a Berlino, Vienna, Avignone e San Pietroburgo, questa performance site-specific è imbastita per non più di 50 spettatori alla volta, tutti riforniti di cuffie e lettore mp3, nonché coinvolti in prima persona come attori della recita: è Fabiana a dirigere l’“orda” di performer, portandola a spasso per la città, dal cimitero Monumentale alla stazione Garibaldi, dai grattacieli di piazza Gae Aulenti all’ospedale Fatebenefratelli. bientazioni più contemporanee. I commenti prevalenti su Internet e sui social sono di questo tenore: “Bella storia, ma cos’ha di nuovo questo Dylan? Non aveva più senso far cominciare il nuovo ciclo direttamente con il pensionamento dell’ispettore Bloch, previsto nel numero di ottobre?”. La storia “Nello spazio profondo”, scritta da Recchioni e disegnata da un ottimo Nicola Mari che ricorda John Romita Jr, ha i colori (notevoli, di Lorenzo De Felici) che in Bonelli si usano solo per le occasioni speciali. Eppure sembra più una storia di raccordo – “fill-in”, le chiamano nei comics americani – invece che un grande debutto: nel 2427 un clone di Dylan Dog deve recuperare una nave alla deriva nello spazio infestata di fantasmi. Inevitabli le citazioni di Alien e della fantascienza anni Ottanta (con qualche scelta un po’ didascalica, tipo chiamare la nave spaziale Uk Thatcher). In realtà Recchioni ha scelto la storia giusta per segnare il passaggio di epoca: è vero, non ci sono ancora le novità di “continuity” che caratterizzano il cambiamento, ma è una storia ambientata nel futuro, c’è un’intera squadra di coloni di Dylan, anche uno in versione femminile, ciascuno con alcune delle caratteristiche del detective di Craven Road. “Spazio profondo” è una dichiarazione di intenti più efficace di qualunque editoriale: per quando Dylan Dog possa cambiare, per quanto gli sceneggiatori possano divertirsi a giocare con lui, deformandolo, trasformandolo, anche uccidendolo, l’Indagatore dell’incubo resterà fedele a se stesso perché ormai è diventato un protagonista del nostro immaginario. E, in qualche modo, esiste. Non è più soltanto un eroe dei fumetti. certi, le sue “faccette”, come una folla che si dirige ad ascoltare, oppure, al contrario, torna indietro a prendere aria. Sala concerti, perché il Festival propone, fino al 22 novembre, anche questo: aperta tutti i weekend, ha in programma un cartellone di live e dj-set, da sera a notte fonda. Un’altra caratteristica attrattiva, per ora apprezzata (la fila fuori il giorno dell’inaugurazione è stata esaustiva). Quest’angolo d’Europa, tuttavia, non sarà permanente: lo spazio, dicono tutti, sarà demolito. Le opere di Tnec, Brus, Ike e Hoek, Laurina Paperina coi suoi amati topi, i colori psichedelici si Lady Aiko, la scultura Derail di Davide Dormino, posizionata com’è sull’evocativo binario morto, non esisteranno più. “Se qualche artista si è rifiutato di collaborare per questo? No, anzi – risponde Di Lullo – Rientra un po’ nel concetto di effimero, e soprattutto, la mostra rimarrà per sempre online grazie al progetto del Google Cultural Institute (grazie a NUfactory, su Street Art Rome, nda). Poi, come dico sempre io, l’arte ha lo straordinario potere di colpire: o son pugni, o son schiaffi. Quindi anche quest’esperienza resterà nella parte di memoria emozionale, come una cosa unica a Roma”. “L’arte ha un valore temporale, se vuoi una cosa definitiva, prendi una tela – commenta Galo – e poi chissà, a Torino un sacco si esperienze simili sono rimaste aperte più del previsto”. Magari, così quella strada non si dovrà solo ricordare. PATRIMONIO ALL’ITALIANA Così ci si ritrova a ballare sotto Porta Nuova, a mettersi in posa davanti ai binari, a giocare a calciobalilla in strada, a manifestare al semaforo, a intralciare il traffico attraversando in massa, a fare una gara di corsa sul ponte, mentre la guida commenta: “Se gli ultimi arrivati fossero macchine, sarebbero già stati scartati! Ma per fortuna, voi siete esseri umani”. Uno dei fili rossi di quest’opera geniale è il rapporto tra natura e technè, uomo e intelligenza artificiale: un confronto impari con un’entità virtuale che non sa cosa sia la tristezza, o il fastidio. “È strano quel che fai quando l’orda ti protegge”, chiosa lei dopo che il gruppo ha obbedito ai suoi ordini più astrusi. “Nell’orda la responsabilità individuale scompare, come la singola goccia nella fontana”. Alla fine, questo si rivela uno spettacolo davvero crudele e squisitamente politico; il film cambia: forse si è ne “L’onda”, in un espe- di Tomaso rimento sociale sulle strutture autoritarie; nazismi, fascismi, totalitarismi grandi e piccoli. Il libro omonimo è diventato un classico della letteratura scolastica in Germania; in altri paesi, l’unico regime con cui fare i conti è quello alimentare. Montanari Aiuto, è scomparsa la fontana © Perugia Fontana Maggiore COM’È POSSIBILE che la Fontana Maggiore di Perugia sia scomparsa? Eppure da questa fotografia sembra proprio che uno dei principali monumenti del nostro Medio Evo sia sparito nel nulla, cancellato, dimenticato: è stato forse smontato e spedito all'Expo al posto dei Bronzi di Riace? O forse è esposto in una mostra della Basilica Palladiana di Vicenza: ed ecco il titolo, Da Nicola Pisano a Caravaggio a Van Gogh? O se l'è rubato una qualche cricca annidata in qualche ministero? No, non siamo (ancora) a questo punto: la Fontana c'è (ancora). È stata solo nascosta da un orrendo capannone provvisorio. Una roba da sagra della panzanella piccante o della ra- nocchia scorticata. Che va benissimo, naturalmente: nulla contro panzanella e ranocchie. Ma non lì, per favore. Il vero capolavoro della storia dell'arte italiana (un capolavoro non assoluto, ma squisitamente relativo: cioè basato su una rete di relazioni spaziali, formali, metaforiche) è lo spazio pubblico urbano. I centri delle nostre città sono infinitamente più importanti di tutti i quadri che riusciate a ricordare. E questo è bellissimo: perché noi i nostri “capolavori” li possiamo attraversare, percorrere, 'camminare'. Lo spazio pubblico monumentale è la co- sa più alta, più giusta, più originale che abbiamo saputo costruire lungo millenni. E allora: perché diavolo dovremmo rovinarlo, alterarlo, banalizzarlo, commercializzarlo per un “evento” qualsiasi? Nelle nostre città non mancano – purtroppo – luoghi dove capannoni come quello possono non disturbare: o addirittura portare un accenno di vita e allegria. Ma come si fa, invece, a piazzarlo in un posto che ha raggiunto il suo equilibrio grazie al pensiero, al lavoro, alla continenza di generazioni e generazioni di nostri padri? E l'argomento della breve durata non è un argomento convincente: nessuno si deturperebbe la faccia “solo per qualche giorno”. E quella piazza è la faccia di Perugia, la faccia dell'Italia. Vediamo di non perderla. SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014 21 GIGI PROIETTI Protagonista di “Una pallottola nel cuore” su RaiUno LaPresse ONDA SU ONDA IL PEGGIO DELLA DIRETTA La promessa mancata: riformare la Gasparri di Loris Mazzetti n questi primi otto mesi si è I capito che per il governo Renzi non è una priorità rendere demo- cratico ed europeo il sistema radiotelevisivo. Dell’argomento si occupa direttamente lui, Giacomelli, titolare della delega alle Comunicazioni, che ha saputo solo dalle agenzie che il premier aveva deciso, per fare cassa, di diminuire del 5% la quota canone spettante alla Rai. Renzi ha appreso dal maestro Berlusconi che è dalla tv che nasce il consenso, infatti le sue iniziative assomigliano sempre più al Grande fratello di Orwell: durante il suo ultimo intervento dal palco della Leopolda, nelle immagini dei tg, si vede nettamente che attivisti si sbracciano per incitare la platea ad applaudire di più. RENZI USA la tv anche per far credere che dietro di lui non esiste un grande suggeritore che, dopo l’eliminazione di Gratteri dal ministero della Giustizia era stato identificato in Napolitano, invece è la Ragioneria di Stato che ogni volta che il governo prende provvedimenti sentenzia l’esistenza o meno della copertura economica, come nel caso della legge di Stabilità. A proposito di Napolitano, fare luce sulla trattativa Stato-mafia non significa non rispettare l’istituzione della Presidenza della Repubblica ma chiedere verità. La legge ad personam Gasparri non è più in discussione, anche se da qui ad aprile (scadenza del cda della Rai) ci sarebbero stati i tempi tecnici per riformarla. Il sogno dell’uscita dei partiti dalla Rai, creato dallo stesso Renzi in tv durante lo scontro con Floris, si sta trasformando in una pia illusione: non riformando il sistema anche il prossimo cda Rai verrà nominato dai partiti. Sull’argomento anche il M5s non è da meno. Quando Fico diventò presidente della commissione di Vigilanza Rai, nel suo primo intervento, auspicò che venisse fatta al più presto la riforma e si augurò di essere l’ultimo presidente della commissione che, con l’uscita dei partiti dalla Rai, non avrebbe più avuto senso di esistere. L’uomo forte del M5s in commissione non è Fico, ma il capogruppo Alberto Airola: conosce bene la materia per aver lavorato anni nel settore come operatore e programmista-regista, e più volte ha collaborato con la Rai di Torino. Airola è anche uno dei pochi politici a essersi impegnati per riformare la legge Gasparri, ad esempio è stato molto attivo nell’iniziativa di MoveOn Italia: La Rai ai cittadini. Purtroppo, notizia dell’ultima ora, anche il M5s si sta adeguando e con lo stesso Airola sta lavorando per avere un proprio rappresentante nel prossimo cda Rai. Giornalista da fiction, meno male che c’è Proietti di Nanni Delbecchi za; uno che scrive meglio di Truman Ca- Gigi Proietti, come a tutti i primi della classe, toccano sempre i comA piti più difficili. Dopo la divisa di ma- resciallo e la tonaca di Filippo Neri, ecco la prova del fuoco: riscattare l'immagine del giornalista nell’immaginario televisivo. Non che i giornalisti manchino in Tv, tutt’altro, ce n’è sempre una mezza dozzina impegnata a fornire la propria opinione nei più svariati salotti, ma qui, nel debutto della serie Una pallottola nel cuore (Raiuno, lunedì sera), parliamo di giornalista formato fiction, varietà cronista di nera, ossia l'ennesima versione dell’eroe che indaga in proprio, sempre in scomoda convivenza con le istituzioni. Una stirpe variegata, in cui abbiamo visto sfilare detective, marescialli, ispettori, preti, suore, cuochi e perfino un restauratore. Dei giornalisti, invece, la Tv si fida poco (come peraltro la letteratura poliziesca). A riscattare il mestieraccio di solito ci pensa il cinema, specie quello che nutre il maggior sprezzo di ogni verosimiglianza; basti vedere come Paolo Sorrentino si è figurato Jep Gambardella, giornalista mattatore de La Grande bellez- pote, è più ribelle di Assange e veste meglio di Tom Wolfe e Oscar Giannino messi insieme; e questo in un tempo e in un luogo - la Roma di oggi - in cui i giornalisti non sono mai stati tanto sgrammaticati, tanto cortigiani e tanto con le pezze al sedere. IL CRONISTA di Proietti è di minori pre- tese; intanto si chiama Bruno e non Jep; non passeggia senza meta per il Gianicolo ma presidia la redazione del Messaggero; non frequenta i party ultracafonal ma le trattorie casalinghe dove ordina la carbonara di nascosto dal figlio che vorrebbe tenerlo a stecchetto considerato la pallottola che si ritrova nella cassa toracica (gli sceneggiatori si sono tenuti un figlio medico di riserva, perché una fiction senza camice è come una carbonara senza guanciale). Insomma, ce la mette tutta per apparire vagamente verosimile, ma questo non lo salva da un estenuante slalom tra i luoghi comuni: il collega rampante che non vede l’ora di rottamarlo, il collega buono e generoso che non farà mai carriera, la caporedattrice cougar che ha una tresca con il rottamatore, la pra- Gli ascolti di lunedì UNA PALLOTTOLA NEL CUORE Spettatori 6,18 mln Share 23,2% PECHINO EXPRESS 3 Spettatori 0.000 Share 00% ticante carina e volenterosa relegata dalla caporedattora a scrivere ricette (però creative). Ogni tanto, a capocchia, appaiono le rotative mentre sfornano le copie fresche di stampa che fanno tanto Humphrey Bogart: “È la stampa bellezza! E tu non puoi farci niente!” Non basta? Allora sappiate che la praticante carina arriva in redazione proprio nel giorno in cui Bruno Palmieri viene pensionato, e che sempre in quel giorno esce di prigione un poveretto condannato a 18 anni per avere ucciso la moglie, ma alla cui colpevolezza il cronista Proietti non aveva mai creduto. Cercate di non indovinare come andrà a finire per almeno venti minuti, se ci riuscite. Ma sarà durissima, calcolando oltretutto che la trovata finale con cui Bruno incastra il colpevole è copiata di sana pianta da un caso di Nero Wolfe. In tutto questo, Proietti è sempre Proietti (e anche Francesca Inaudi, Marco Marzocca e Licia Maglietta se la cavano bene), il giallo sarà risolto, il bene trionferà e gli ascolti pure; ma a prezzo della più scontata delle vicende tra caratteri di cartapesta, ambienti di cartongesso e battute oratoriali. E' la fiction Rai, bellezza! E non possiamo farci niente. SQUADRA ANTIMAFIA 6 Spettatori 4,55 mln Share 17,4% TED Spettatori 1,54 mln Share 5,79% 22 SECONDO TEMPO MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014 il Fatto Quotidiano IL BADANTE GIUSTIZIA Non chiedeteci la verità assoluta di Francesco N Caringella* egli ultimi vent’anni la storia della politica e la storia della giustizia sono state avvinte da un filo rosso sempre più robusto. Senza parlare del ciclone di Mani Pulite, che ha attraversato i miei primi anni milanesi da magistrato, l’incandidabilità di Silvio Berlusconi è figlia di due sentenze: quella penale che lo ha condannato per evasione fiscale e quella amministrativa di mio pugno che ha sancito l’applicabilità retroattiva della legge Severino. Anche l’affaire De Magistris è il portato di una condanna per abuso d’ufficio. Guardando fuori dall’Italia, le sorti dell’intero pianeta sono state influenzate da una sentenza: quella della Corte Suprema degli Usa che, con un solo voto di scarto, ha assegnato i contestati voti della Florida a Bush jr. strappando dalle mani di Al Gore, che pure aveva ottenuto un più massiccio consenso popolare, le chiavi della Casa Bianca. IN UN CLIMA avvelenato, in cui si mescolano inefficienza della macchina giudiziaria, insofferenza della politica al controllo di legalità e diffidenza della gente comune verso la professionalità e la moralità dei magistrati, viene da chiedersi se si possa avere fiducia in una giustizia che condiziona le sorti del Paese. Anzitutto bisogna distinguere LE REGOLE Sono giuste le sentenze che hanno danneggiato Berlusconi, De Magistris e Al Gore? Non lo so, perché esistono solo le sentenze corrette tra giustizia e processo. La giustizia è un’istituzione, un potere, una garanzia, un bene comune in cui ogni cittadino deve avere per forza fiducia. La delegittimazione della magistratura e del potere giudiziario, troppo spesso innescata da grida, urla e insulti di chi vuole rovesciare il tavolo per sottrarsi alle proprie responsabilità, conduce allo smarrimento del senso delle regole e a un qualunquismo anarcoide non degno di un paese che ha dato i natali a giuristi come Carnelutti e Sandulli e a magistrati come Falcone e Borsellino. Diverso è il discorso per i singoli processi, lambiti, oltre che dall’eventualità remotissima della malafede e della corruzione, dal rischio dell’errore che connota ogni azione dell’uomo. L’errore giudiziario, che significa non solo condannare un innocente, ma anche liberare un cri- “La legge è uguale per tutti” si legge nelle aule dei Tribunali Ansa minale, non è eliminabile per legge, in quanto discende dalla fallibilità dell’essere umano. La ricerca della verità, in cui si risolve il compito del giudice, è una sfida temeraria, se non impossibile nel secolo della death of truth. Un campione del romanticismo spagnolo, Duque de Rìvas, scrive: “In questo mondo traditore non c’è verità né menzogna, tutto dipende dal colore del vetro attraverso cui si guarda”. Compito del giudice non è la ricerca della verità assoluta, insondabile per chi partecipa delle debolezze e della fragilità della condizione umana, ma la verità processuale, quella che, in base alle carte del giudizio, è più probabilmente vera. Non esiste quindi un’unica verità assoluta, ma più verità relative e soggettive tra le quali il giudice, usando il vetro con il colore giusto e origliando dal buco della serratura meglio posizionato, deve trovare quella che più si avvicina alla verità oggettiva e, quindi, alla realtà storica. Due sono i grandi nemici del giudice alla ricerca della verità migliore: le bugie e i pregiudizi. Quanto alle bugie, può accadere che tutti i protagonisti del processo mentano: perché pensano che la menzogna sia più seducente e colorata della realtà (Canetti), perché la verità non sembra mai vera (Simenon), perché dev’essere mescolata con un po’ di menzogna per risultare verosimile (Dostoevskij), perché dev’essere esagerata per risultare credibile (Foster), perché ci sono poche ragioni per dire la verità mentre ce ne sono infinite per raccontare una bugia (Wilde), perché in un mondo di illusioni e inganni la verità è un atto rivoluzionario (Orwell). QUANTO al pregiudizio, Ci- cerone insegna che il nemico più pericoloso per chi cerca la verità con la lanterna in mano non è la menzogna, ma la convinzione: una menzogna può essere scoperta, ma grande è la tendenza dell’animo umano, specie di un potente, a non cambiare mai idea. L’umiltà di Calamandrei è l’antidoto al virus del pregiudizio e della presunzione che ne è il bacino di coltura: “Giudici, l’umiltà è il prezzo che dovete pagare all’enorme po- tere che avete”. Sono giuste, allora, le sentenze che hanno danneggiato, se non assassinato, la vita politica di Berlusconi, De Magistris e Al Gore? Non lo so, ma sono certo che la domanda è sbagliata: non esiste la sentenza giusta o sbagliata in senso assoluto. Tutte le sentenze sono giuste e sbagliate, visto che la verità che ogni decisione afferma è soggettiva, relativa e quindi revocabile in dubbio. Esiste però la sentenza corretta: quella che afferma una verità processuale all’esito di un percorso durante il quale è stato usato un colore del vetro non inquinato da bugie, pregiudizi ed errori. Se tali fattori inquinanti saranno stati sconfitti, resterà solo l’ineliminabile opinabilità di ogni giudizio, croce e delizia della condizione dell’uomo, alla ricerca eterna di una perfezione che per fortuna gli sfugge. Pasolini, la profezia sbagliata per difetto di Oliviero Beha ERA UNA domenica esattamente come la prossima, il 2 novembre 1975, quando Pasolini venne assassinato. Non c’era la tv del mattino, e tantomeno Internet, e la notizia cominciò a circolare nei giornali radio. Adesso, dopo quasi una generazione e mezza, mentre i suoi libri continuano a essere tradotti in tutto il mondo e la filmografia ogni tanto ce lo ricorda, come per il film discutibile di Abel Ferrara su di lui, almeno in Italia le sue idee, che ancora affascinano i giovani, sono estranee al dibattito pubblico, quello per esempio sul Pd tra la Leopolda e San Giovanni. Oppure quello sull’interrogatorio eccentrico, eccentricissimo, del Presidente Napolitano nel processo alla “trattativa Stato-mafia” (le due maiuscole sono da intendersi solo come segni diacritici, non un attestato di valore: cfr. le polemiche su Grillo e “la morale della mafia di una volta”). Mi riesce difficile non sentire in occasioni simili il buco, la mancanza di un’intelligenza forte e non pusillanime come quella di uno scrittore di cui magari non resterà tutto, ma di sicuro sopravviverà la veggenza socioculturale. Resisto alla tentazione banale e improduttiva di chiedermi che cosa avrebbe detto oggi: di Renzi e del suo monopolio propagandistico con il codazzo di “cani del Sinai” (Fortini, ma anche Flaiano) dietro al carro del vincitore; della manifestazione di San Giovanni, del milione di protestanti e di quella parte di sinistra considerata non senza motivo alla stregua di vecchi arnesi intercambiabili; dell’interrogatorio n al Quirinale, meglio se confrontato con il celeberrimo “Io so… io so… ma non ho le prove” del “romanzo delle stragi” di Pier Paolo. Invece mi guardo attorno: le considerazioni del poeta sul consumismo che aveva antropologicamente cambiato i connotati degli italiani si sono rivelate una profezia sbagliata, ma per difetto. Ormai gli italiani non ci sono più, sono stati polverizzati culturalmente ed economicamente a colpi di spread, tv e quant’altro, in un Paese svuotato di morale personale e di etica collettiva, in cui anche la battaglia per la legalità può assumere una veste tecnica, amministrativa, politica, in definitiva amorale mutuando stilemi mentali dall’illegalità. Va È SUCCESSO Quale conformismo: chissà cosa avrebbe detto il poeta di Renzi, della sua fame di governare in un Paese ridotto ormai al deserto Pier Paolo Pasolini LaPresse bene quel che succede in aula a Berlusconi, non va bene se succede a De Magistris. Quanto agli intellettuali, categoria di riferimento pasoliniana comprensiva anche dei media e dei sottomedia di allora, ditemi il nome di una figura pubblica che oggi abbia il coraggio di non avere paura o vantaggi o interessi minuti o massimi che lo tacitino. CHE DICA di Renzi semplicemente chi è e che cosa fa, astraendolo dal confronto con la classe dirigente che l’ha preceduto sul quale – anche comprensibilmente – prospera. Che gli faccia notare che avere un partito al 41 e magari anche al 51%, in un Paese distrutto, significa solo amministrare un deserto per sé e per i suoi, cosa che non mi mette di un’allegria sconfinata. Forse sarebbe meglio vincere nel Paese, e rischiare di perdere le elezioni, dico così, per capirci. Uno, pasolinianamente o no, che non si esima dallo stigmatizzare gli effetti di un sindacalismo pernicioso non nei suoi ideali bensì nei suoi comportamenti, da cinghia di trasmissione con la politica e con le relative poltrone, al punto che oggi in giro per Roma riconosci un sindacalista piccolo, medio o grande dalla sua fisiognomica: sono diventati un’espressione antropologica. Uno, infine, che dica dei media che sono pienamente corresponsabili di un Paese sfasciato, più sfasciato che ai tempi del fascio. Ed è davvero tutto dire, anche se alla Leopolda si è celebrato, con grande attenzione all’“eterno femminino”, il “nuovo che avanza”: certo, ma in un paesaggio ormai spettrale. Che birba, quell’ottimista di Pier Paolo. n * Magistrato e scrittore PIOVONO PIETRE Il miracolo della Leopolda: c’è una cosa “a destra del Pd” di Alessandro Robecchi on le tifoserie schierate intente a sberC tucciarsi come in seconda media, i dispetti tra piazze (e piazzette) contrapposte, le arrampicate sui vetri da dibattito televisivo, non è facile tentare un ragionamento complessivo. Si aggiunga che la legge di Stabilità ha ormai più versioni di una canzone dei Beatles (acustica, elettrica, in slide, versione Quirinale, merengue, heavy metal, versione europea, e altre ne verranno), e la confusione aumenta. Si aggiunga ancora che non si parla d’altro che delle differenze interne al corpo mutante della sinistra o di quel che fu (politiche... no, economiche... no, culturali... no, antropologiche, eccetera), il che mette in gioco passioni personali che certo non aiutano la serenità dell’analisi. Ma insomma, ora, alla fine ci siamo. E siccome non sono più i tempi della nostalgia, dei gettoni, dei rullini e di Lenin, non faremo la solita domanda: Che fare?, ma ci chiederemo più smart e friendly: and now? Certo, c’è il caso che per qualche tempo il lavoratore in mobilità e l’imprenditore che lo licenzia possano votare per lo stesso partito. Ma è possibile ciò in un momento in cui si prendono decisioni storiche per le vite dell’uno e dell’altro? Un italiano alle prese con l’angoscia del futuro e con la difesa del posto del lavoro, può sostenere in modo convinto un preporto diretto tra leader e CONSOLAZIONE mier che lo chiama dinopopolo, tipo balcone. sauro, accusandolo di Ecco. Con l’aggiunta che Sento la frase “a sinistra non vedere il luminoso la piazza di San Giovanni futuro che è solo l’inizio? interessa meno, ed è eletdel Pci/Pds/Ds/Pd” Ovvio, la società è una toralmente molto meno da quando giocavano pesante, della piazza telefaccenda parecchio complessa, tra il ragazvisiva della D’Urso, genMazzola e Rivera e mio tilmente concessa dal cazotto azzimato della Leopolda e il metalmecpadre aveva la Millecento. po dell’opposizione. I socanico col fischietto di stenitori entusiasti, coFinalmente si cambia stretti a ripetersi come un piazza San Giovanni ci sono milioni di sfumatumantra che loro “sono di sinistra”, forse per conre. Però è fatale che qualcosa si romperà. vincersi, fanno il resto sul piano teorico. Il Io sento la frase “a sinistra del Partito della Nazione, di cui si legge da Pci/Pds/Ds/Pd” da quando giocavano qualche tempo, è un’idea forte e pare in Mazzola e Rivera e mio padre aveva la Mil- corso di attuazione, anche se strisciante. lecento, dunque aspetto con la trepidazio- Un partito del Premier che si mangerà ne mista a scetticismo dell’abbonato di molto a destra, mentre la grande incognita lungo corso. Ma è la prima volta che vedo rimane a sinistra. Dove andranno gli eletdistintamente in atto la creazione di una tori accusati di essere trogloditi coi gettoni cosa “a destra del Pd”. Segnali piccoli e del telefono? Rimasugli ingombranti del grandi: i dirigenti locali di Forza Italia che secolo passato? Per ora hanno solo i vecchi, votano alle primarie del Pd, fascinazione cari corpi intermedi, come va di moda per Marchionne, applausi dalla destra chiamare il sindacato dei lavoratori. Per i giornalistica (Foglio, Giornale e Libero bat- resto sono soli. Politicamente abbandonatono le mani spesso), imprenditori del ca- ti all’autogrill, legati al guardrail perché chemire presentati come geni del Rinasci- non provochino incidenti, con una ciotola mento, articolo 18, Fanfani meglio di Ber- d’acqua da ottanta euro e nient’altro. Neslinguer, il finanziere londinese che discetta suno che compaia per adottarli e ridare lodel diritto di sciopero, sberleffi al mondo ro una famiglia. @AlRobecchi del lavoro, lotta ai corpi intermedi e rap- SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2014 23 A DOMANDA RISPONDO Furio Colombo Pluralismo: dov’è l’opposizione? Serve altro per capire l’emergenza democratica che sta vivendo il Paese? Oramai l’ex simpatico sindaco e attuale “caro leader” dopo aver agguantato il potere con un’operazione di palazzo ai danni di Enrico Letta (anche detto “Stai sereno”) ha abbandonato ogni remora e sta correndo verso l’instaurazione di un vero e proprio regime personale, facendosi forte della assenza di alternative credibili e sfruttando il vecchio vizio italico di correre in soccorso del vincitore. Credo che se si vuole salvare quel minimo di pluralismo che ancora c’è in Italia bisogna immediatamente mettere in piedi un intervento a tutto campo (sociale, politico, mediatico) che contrasti il crescente conformismo. Mauro Chiostri In cerca di un lavoro, altro che posto fisso Secondo Renzi il posto fisso non c’è più, almeno non per tutti. Le poltrone di certi palazzi, infatti, sono occupate da sempre. E talvolta, sempre dalle stesse persone. Ciò che forse non è chiaro è che a mancare non il posto fisso, ma proprio un qualsiasi posto di lavoro. La fuga all’estero (non solo di giovani) ormai è un vero e proprio esodo. Da nord a sud, gli italiani hanno le valigie in mano e sono pronti ad andar via. Partono neolaureati, ma anche intere famiglie, in cerca di lavoro, in cerca di fortuna. E nessuno fiata. Sono tutti impegnati a farsi selfie e illustrare slide. Alessandro Giordano Bentornati sindacati: e per fortuna c’è Landini I sindacati si sono svegliati adesso, come la bella addormentata dopo cent’anni di narcosi. Ma qui non c’è nessun principe. C’è un orco travestito da imbonitore di pentole e neanche l’ultimo di una lunga serie iniziata vent’anni fa. La vera domanda è dove sono stati i tre sindacati in questi ultimi vent’anni? Cisl e Uil al servizio del vento che tirava. La Cgil non ha mai mosso un dito nonostante scempi sul lavoro sulle pensioni sulle esternalizzazioni sulle fughe all’estero delle imprese. Hanno dormito o voluto dormire, paghi solo della loro inutile sopravvivenza. Se non semini per annate intere non raccogli per altrettanti anni. Non si può pretendere rispetto dai poteri ai cui voleri ti sei sdraiato da vent’anni. Il sindacato storico è morto, ma nessuno l’ha assassinato, si è solo suicidato, e Renzi che è un opportunista senza meriti ne ha solo constatato il decesso. L’unico rimasto vivo e credibile è solo Landini. Unica voce sensata nel parla con l’opposizione Pd, non parla con gli insegnanti, non parla con i gufi, non parla con gli statali, non parla con i pensionati sociali, non parla con chiunque sente in disaccordo. A loro comunica le sue decisioni e basta. Ma parla con Verdini, con tutti i parassiti ossequiosi, con Berlusconi passa ore parla e decide, parla con i partecipanti alla Leopolda, dicono che è un partito, non è esatto penso sia una “signoria” il dramma è che lui crede di essere un “De medici’’alla guida della “Signoria della Leopolda’’, a cui tenta di far assomigliare l’Italia. Ma quanto sono immaturi i nuovi leader? CARO COLOMBO, nelle litigate e risposte del nuovo Pd al vecchio Pd (qualunque cosa siano l’uno e l’altro) mi sembra di trovare tanta immaturità, cattiverie da ragazzini (tipo “brutto e cattivo”) invece di vera politica. E noto che i segnali di “immaturità” (dico da insegnante) aumentano. Come in tutti i litigi dei ragazzini, ha sempre cominciato l’altro. Profonda tristezza. Luisa HO RICEVUTO questa email mentre stavo leggendo l’intervista di Wolfgang Schäuble (Paolo Lepri, il Corriere della Sera, 27 ottobre). E l’immediata impressione, per me che vivo in Italia, è stata di passare da un mondo bambino (ora festoso, ora litigioso, ora con speranze, annunci e denunce sempre fuori misura, ora dedito a minacce e a denunciare colpe ad altri) a un mondo adulto in cui le frasi sono pesate, le tesi argomentate. La tecnica non è mai il ricorrente “invece lui” o “a differenza di loro”, per fondare la mia affermazione sul dislivello sgradevole, rispetto a me, della persona o tesi confutata. Gli argomenti sono, piuttosto, la rappresentazione chiara della mia ragione, con intenzione persuasiva, ovvero destinata non al compiacimento di me stesso ma alla comprensione di un altro. Noto, per esempio, nella intervista di Schäuble, uomo che non è improprio considerare “conservatore”, questa affermazione: “Il principio della libera circolazione delle persone e delle merci è un principio fondante dell’unificazione europea. Non può essere limitato. Sarebbe incompatibile con i Trattati europei. Il problema che tutti abbiamo in Europa (l’immigrazione in misura crescente, ndr) che può diventare più grande se si guarda agli avvenimenti in altre parti del mondo, deve essere risolto con uno sforzo comune europeo. Non può essere risolto ristabilendo confini. Sa- Francesco Degni Cannabis per curare e leggi oscurantiste Lo Stato produrrà marijuana a scopo terapeutico e il compito toccherà all’Istituto chimico far- la vignetta deserto cerebrale dell’ultimo decennio, peraltro schifata e sbeffeggiata dagli stessi che oggi lo propongono come capo partito. Augusto Cavalli Renzi e la Signoria della Leopolda Lo ha detto lui stesso, Renzi che il governo non colloquia. Può al massimo ascoltare. Lui non parla con i sindacati, non maceutico militare di Firenze: la Coldiretti si è detta pronta a sostenere questo progetto nazionale proponendo di allargare la filiera. L’idea è di utilizzare le serre abbandonate dalle colture non più redditizie, riconvertendole alla coltivazione della cannabis, tutto legalmente sotto il controllo dello Stato: significherebbe creare un mercato efficiente con conseguenti posti di lavoro. L’Istituto fiorentino è l’unico laboratorio italiano dove sarà possibile sperimentare e realizzare farmaci altrimenti introvabili, utili ad affrontare malattie rare e certi tipi di tumore: la cannabis diventa l’ultima speranza per molti malati, utile per guarire o alleviare il dolore. Ma quando parliamo di marijuana si riapre un altro fronte, quello dell’eterno dibatti- il Fatto Quotidiano Direttore responsabile Antonio Padellaro Condirettore Marco Travaglio Direttore de ilfattoquotidiano.it Peter Gomez Caporedattore centrale Ettore Boffano Caporedattore Edoardo Novella Caporedattore (Inchieste) Marco Lillo Art director Paolo Residori Redazione 00193 Roma , Via Valadier n° 42 tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230 mail: [email protected] - sito: www.ilfattoquotidiano.it Editoriale il Fatto S.p.A. sede legale: 00193 Roma , Via Valadier n° 42 Presidente:Antonio Padellaro Amministratore delegato: Cinzia Monteverdi Consiglio di Amministrazione: Luca D’Aprile, Peter Gomez, Marco Tarò, Marco Travaglio, Lorenzo Fazio rebbe impensabile”. Schäuble mette a disposizione di chi lo ascolta i principi di civiltà che hanno portato all’esistenza dell’Europa unita. E non pretende di decidere, chiede di condividere. In Italia circola, ai piani alti della politica, un linguaggio sgarbato e semplice, in cerca di baruffa, che non è improprio considerare immaturo. Ecco alcuni esempi recenti. Matteo Renzi: “Non consentiremo di fare del Partito democratico il partito dei reduci. Si mettano l’animo in pace. Loro resteranno ai margini”. Dario Franceschini: “Il Pd non può essere il partito di chi ieri era in piazza. Sarebbe a vocazione minoritaria”. Andrea Romano: “Ci sono parole che possono riacquistare il valore che sembrava perduto: nazione l’ha riutilizzata ora Renzi. Patriottismo e sinistra tornino insieme”. (Evidentemente per Andrea Romano la Resistenza non c’è mai stata, ndr). Maria Elena Boschi: “Chi preferisco fra Berlinguer e Fanfani? Da aretina non posso che dire Fanfani”. Marianna Madia: “Sapete perché io non vi rispondo? Perché, secondo me, questo non è un giornalismo di rinnovamento”. Siamo al piano terra della disputa politica, ogni affermazione declassata a pensierino o spintone. E ad affermazioni semplificate dove le parole vengono usate secondo il loro senso elementare (nazione, patriottismo, reduci, si mettano l’animo in pace) come se la querelle interna di alcuni agitati leader di un partito fosse ragione e scopo, inizio e fine di tutto. Ecco, è con questo mondo elementare che dobbiamo ogni giorno misurarci per tre quarti di ogni telegiornale e notizia stampa o web. Di cattiva politica avevamo fatto una lunga esperienza. Ora dobbiamo confrontarci con la politica immatura. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 [email protected] to sulla liberalizzazione delle droghe leggere, riaccendendo lo scontro tra favorevoli e contrari a quello che è meglio conosciuto come “spinello”. In Italia si è attuata una legge che ha visto prevalere l’ideologia della repressione sulla scienza della prevenzione, il cui esito ha avuto il “merito” di contribuire al vergognoso sovraffollamento delle carceri, evidenziando che la sola repressione non serve a ridurre il consumo di tali droghe. Oggi qualcosa sembra muoversi, ma resta urgente la necessità di chiarire la questione una volta per tutte, senza timori di alcun genere. Silvano Lorenzon Reddito e lavoro, differenza non da poco Sputa sentenze sul mondo del lavoro e sulla sua riorganizzazione, e ne vuole fare la riforma. Bene. Resta da capire se abbia mai lavorato davvero. Assunto sì. Anzi l’unico assunto. Dal babbo, dunque a tutto tondo “figlio di babbo” fino a quando è stato scaricato sulla spesa pubblica con la carriera di amministratore (con i voti di babbo). Ovviamente, nessuna vertenza con babbo, nessun bisogno del Sindacato. Ora vorrà cambiare anche l’articolo della Costituzione che dichiara l’Italia un paese “fondato sul lavoro”. Chiede alla Cgil di dimenticare il lavoro e sostituirlo con il reddito. Ma lavoro e reddito non sono sinonimi. Il lavoro è momento di riconoscimento e di dignità sociale; nel secondo c’è l’elemosina emarginante, la stessa dei sussidi di disoccupazione o della cassa integrazione. La stessa differenza passa tra il diritto al reintegro, se mi hai ingiustamente cacciato, e il risarcimento economico, ti butto qualche monetina e te ne vai, il padrone sono io. Dire che nel Diritto del lavoro si sta ritornando indietro ai “padroni del vapore”, ai “Signur da le beli braghe bianche” è veterocomunismo? Sarebbe la nuova e moderna sinistra? Melquiades L’interrogatorio segreto del presidente L’assenza di giornalisti all’interrogatorio di Napolitano è una vergogna inenarrabile. L’Italia, che non è propriamente nota in fatto di libertà di stampa, non fa che procedere verso il fondo del barile. Sarebbe auspicabile che l’Europa, che mette il naso in tutto, talvolta per fortuna, intervenga in merito. Gli italiani devono sapere. I giornalisti devono poter raccontare. È un nostro diritto. Delle veline non sentiamo la mancanza. Paolo Garofalo Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 [email protected] Abbonamenti FORME DI ABBONAMENTO COME ABBONARSI • Abbonamento postale annuale (Italia) Prezzo 290,00 e Prezzo 220,00 e Prezzo 200,00 e • 6 giorni • 5 giorni • 4 giorni • Abbonamento postale semestrale (Italia) Prezzo 170,00 e Prezzo 135,00 e Prezzo 120,00 e • 6 giorni • 5 giorni • 4 giorni • Modalità Coupon annuale * (Italia) Prezzo 370,00 e Prezzo 320,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Modalità Coupon semestrale * (Italia) Prezzo 190,00 e Prezzo 180,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento in edicola annuale (Italia) Prezzo 305,00 e • 7 giorni Prezzo 290,00 e • 6 giorni È possibile sottoscrivere l’abbonamento su: https://shop.ilfattoquotidiano.it/abbonamenti/ • Abbonamento in edicola semestrale (Italia) Prezzo 185,00 e • 7 giorni Prezzo 170,00 e • 6 giorni Oppure rivolgendosi all’ufficio abbonati tel. +39 0521 1687687, fax +39 06 92912167 o all’indirizzo mail: [email protected] ABBONAMENTO DIGITALE • Mia - Il Fatto Quotidiano (su tablet e smartphone) Abbonamento settimanale 5,49 e Abbonamento mensile 17,99 e Abbonamento semestrale 94,99 e Abbonamento annuale 179,99 e • il Fatto Quotidiano - Pdf (su Pc) Abbonamento settimanale Abbonamento mensile Abbonamento semestrale Abbonamento annuale 4,00 e 12,00 e 70,00 e 130,00 e * attenzione accertarsi prima che la zona sia raggiunta dalla distribuzione de Il Fatto Quotidiano Centri stampa: Litosud, 00156 Roma, via Carlo Pesenti n°130, 20060 Milano, Pessano con Bornago, via Aldo Moro n° 4; Centro Stampa Unione Sarda S. p. 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