N. 06086/2014REG.PROV.COLL. N. 03193/2012 REG.RIC

N. 06086/2014REG.PROV.COLL.
N. 03193/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3193 del 2012, proposto da:
Ministero dell'Economia e delle Finanze in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per
legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
[omissis];
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II n. 02586/2012, resa tra le parti,
concernente i criteri per la determinazione del compenso aggiuntivo da corrispondere ai Giudici
tributari regionali
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di [omissis]
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 ottobre 2014 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti
gli avvocati avvocato dello stato Elefante e Maria Vittoria Ferroni su delega dell'avvocato Marco
Antonioli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
E’ stata impugnata, dinanzi al TAR Lazio, la circolare della Direzione generale per la Giustizia
Tributaria, prot. 28113/2009 del 22/5/2009, avente ad oggetto “criteri per la determinazione del
compenso aggiuntivo da corrispondere ai giudici delle Commissioni tributarie regionali – art. 13,
comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545”, con la quale è stabilito che “ove la Commissione
tributaria regionale definisca con una sentenza l’unico ricorso prodotto in appello, il compenso
aggiuntivo da riconoscere ai giudici è “parametrato” a detto unico ricorso, non assumendo alcun
rilievo, ai fini di cui trattasi, il numero dei ricorsi eventualmente riuniti e definiti dalla Commissione
tributaria provinciale con la sentenza appellata…….”, nonché la nota n. 656 del 7 luglio 2009, con
la quale sono comunicate le istruzioni operative ed informatiche per l’effettuazione del calcolo.
I ricorrenti – tutti giudici della Commissaria tributaria di Milano – a supporto del gravame hanno
dedotto una serie di motivi, tra il quali anche l’incompetenza del Dirigente a determinare il
compenso aggiuntivo variabile dei Giudici tributari.
Il TAR Lazio con sentenza semplificata ha accolto il ricorso, ed annullato per incompetenza l’atto
impugnato, ritenendo che la disciplina delle dedotte questioni fosse riservata alla fonte ministeriale.
Ha proposto appello il Ministero dell’Economia e Finanze, reiterando preliminarmente le questioni
di irricevibilità per tardività e di difetto di giurisdizione, entrambe vanamente eccepite nel primo
grado di giudizio; nel merito, deducendo errores in iudicando, essenzialmente riconducibili
all’omessa considerazione della natura meramente interpretativa dell’atto.
La Sezione, con decisione in forma semplificata n. 2991/2012, ha accolto l’appello sotto il profilo
della giurisdizione, ritenendo si trattasse di una circolare interpretativa avente ad oggetto spettanze
economiche per l’attività svolta dai singoli magistrati, in relazione alle quali la legge non lascia
all’amministrazione margini di scelta “discrezionale”.
La Corte di Cassazione - dinanzi alla quale la sentenza è stata impugnata per motivi di giurisdizione
- l’ha cassata, affermando che le spettanze economiche per cui è causa, hanno natura indennitaria e
non retributiva, e sono affidate alle determinazioni discrezionali dell’autorità che ha provveduto alla
nomina onoraria del magistrato, a fronte delle quali, quest’ultimo ha una posizione di mero interesse
legittimo.
Sicchè il ricorso è stato riassunto dinanzi alla Sezione, per la definitiva decisione.
La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 28 ottobre 2014.
DIRITTO
1.1. Va preliminarmente esaminata la questione dell’irricevibilità per tardività del ricorso di primo
grado, riproposta dall’amministrazione appellante in conseguenza del rigetto da parte del TAR.
La circolare sarebbe stata trasmessa per posta elettronica all’indirizzo personale dei giudici tributari
milanesi l’1 giugno 2009: da ciò la tardività del ricorso notificato solo il 13 ottobre 2010. Il TAR ha
disatteso l’eccezione, rilevando che: a) non trattasi, nella specie, di posta elettronica certificata; b)
in ogni caso non tutti i magistrati ricorrenti avevano, all’epoca dei fatti, comunicato un proprio
indirizzo di p.e., pertanto non v’è dubbio che per almeno alcuni di essi il termine di impugnazione
debba decorrere dalla data di formale comunicazione della circolate da parte della segreteria
(circostanza che rende ultronea ogni discussione sulle situazioni individuali, trattandosi della
richiesta d’annullamento di un atto a contenuto generale ed inscindibile).
In sede d’appello l’amministrazione precisa che tutti i giudici tributari hanno percepito compensi
variabili liquidati con in nuovi criteri uniformi fissati dalla circolare contestata, sicchè non sarebbe
verosimile, anche in ragione della specifica competenza posseduta, che i medesimi non abbiano
avuto piena conoscenza dei contenuti della circolari ben prima dei 60 gg. antecedenti la notifica del
gravame.
1.2. Il motivo non è fondato. L’invio di p.e. al destinatario, in assenza delle garanzie della posta
certificata, o della prova della ricezione, non può considerarsi valida notifica. Potrebbe al più
costituire elemento, utile, unitamente ad altri inequivoche circostanze fattuali, a corroborare la
prova della piena conoscenza del provvedimento da parte del destinatario; e tuttavia anche questa
prova risulta vana ove si consideri che, nel caso di specie, alcuni dei ricorrenti non avevano
comunicato il proprio indirizzo e dunque sicuramente non possono aver ricevuto alcunché per via
telematica. La posizione di questi ultimi, essendo di per sé sola sufficiente a sorreggere la
procedibilità della domanda di annullamento dell’atto generale, rende - come correttamente
segnalato dal giudice di prime cure - ultronea ogni indagine circa la piena conoscenza
eventualmente raggiunta dagli altri.
Né può ipotizzarsi come verosimile la piena conoscenza per il sol fatto dell’incasso, da parte di tutti
i giudici ricorrenti, del compenso variabile liquidato secondo i nuovi criteri, atteso che esso, nel
periodo in considerazione potrebbe non aver interessato casi di appello su ricorsi riuniti (ossia la
fattispecie sulla quale le modifiche sono intervenute); a tacere del fatto che è certamente arduo e
comunque non immediato inferire dall’ammontare delle somme percepite i (nuovi) criteri della
liquidazione.
2.1. Venendo al merito delle questioni. Prevede il d.lgs 31 dicembre 1992, n. 545, all’art. 13:
“1. Il Ministro delle finanze con proprio decreto di concerto con il Ministro del tesoro determina il
compenso fisso mensile spettante ai componenti delle commissioni tributarie.
2. Con il decreto di cui al comma 1, oltre al compenso mensile viene determinato un compenso
aggiuntivo per ogni ricorso definito, anche se riunito ad altri ricorsi, secondo criteri uniformi, che
debbono tener conto delle funzioni e dell'apporto di attività di ciascuno alla trattazione della
controversia, compresa la deliberazione e la redazione della sentenza, nonché, per i residenti in
comuni diversi della stessa regione da quello in cui ha sede la commissione, delle spese sostenute
per l'intervento alle sedute della commissione. Il compenso è liquidato in relazione ad ogni
provvedimento emesso”.
Con il primo dei provvedimenti impugnati, il Direttore della giustizia tributaria presso il
Dipartimento delle finanze del Ministero dell’Economia e Finanze ha dettato nuovi criteri per la
determinazione del compenso aggiuntivo da corrispondere ai giudici delle Commissioni tributarie
regionali, ed in particolare - modificando il disposto della circolare ministeriale n. 80 dell’11 marzo
1998 secondo la quale “nel secondo grado di giudizio il compenso aggiuntivo spetta per il numero
dei ricorsi presentati in primo grado, indipendentemente dal numero di appelli proposti e dal fatto
che i ricorsi in primo grado siano stati riuniti” - ha stabilito che ove la Commissione tributaria
regionale definisca con una sentenza l’unico ricorso prodotto in appello, il compenso aggiuntivo da
riconoscere ai giudici è “parametrato” a detto unico ricorso, non assumendo alcun rilievo, ai fini di
cui trattasi, il numero dei ricorsi eventualmente riuniti e definiti dalla Commissione tributaria
provinciale con la sentenza appellata…”.
Il gruppo dei giudici tributari ricorrenti ritiene, per quanto qui specificatamente rileva, che la
circolare violi le attribuzioni del Ministro dell’Economia e Finanze, al quale specificatamente il
d.lgs. 545/1992 demanda la determinazione, secondo criteri uniformi, oltre che del compenso fisso
mensile, anche del compenso “variabile” in ragione di “ogni ricorso definito, anche se riunito ad
altri ricorsi”.
2.2. Secondo l’amministrazione appellante, invece, il Direttore generale non avrebbe esercitato
alcuna potestà di determinazione del compenso variabile, ma si sarebbe limitato ad un’attività
esegetica del testo di legge, in relazione ad alcuni aspetti lasciati in ombra sui quali si erano
registrati pareri (anche dell’organo di autogoverno) contrastanti, incidendo sulle modalità di
liquidazione e non sulla determinazione (in astratto) del quantum di indennità spettante per ogni
ricorso. L’oggetto della circolare, in particolare, rientrerebbe nei compiti affidati alla Direzione
della Giustizia tributaria dal d.P.R. 30 gennaio 2008, n. 4, fra i quali l’art. 15 contempla “la gestione
automatizzata degli uffici di segreteria degli organi della giurisdizione tributaria” nonché “la
gestione amministrativa contabile dei capitoli di spesa delle Commissioni tributarie. La circolare,
dunque conterrebbe semplicemente istruzioni per una corretta liquidazione dei compensi variabili,
già determinati dal decreto ministeriale, cui l’art. 13 del d.lgs 31 dicembre 1992, n. 545 rinvia.
2.3. La tesi non può essere condivisa.
E’ pur vero che procedendo nel modo sopra descritto, il direttore generale non ha determinato ex
ante ed in via generale l’entità dell’indennità, limitandosi ad indicare un criterio concernente
esclusivamente la conta dei ricorsi, non puntualmente disciplinato dal legislatore per il grado
d’appello. Non è parimenti revocabile in dubbio, tuttavia, che il numero dei ricorsi e le modalità del
loro conteggio incidano in diminuzione sul compenso variabile, con effetto del tutto omogeneo
all’attività di “determinazione” riservata al Ministro. E l’aspetto non è di poco rilievo.
L’ammontare dell’indennità per singolo ricorso è non a caso collegato espressamente e chiaramente,
dallo stesso legislatore, alle modalità di computo dei ricorsi, quanto meno per le Commissioni
tributarie provinciali: esse sostanziano la “variabile” del “compenso variabile”. Sicchè, la
circostanza che analoga norma non sia chiaramente ed immediatamente ricavabile anche per le
Commissioni tributarie regionali, non degrada la questione a mero aspetto applicativo, ed anzi la
erge, ancor più, ad attività di diretta attuazione del disposto legislativo. In sostanza, se il legislatore
ha dato dignità di legge al criterio della “riunione”, vuol dire che la “riunione” dei ricorsi è fattore
estremamente significativo e rilevante, tanto da costituire oggetto di considerazione propedeutica ed
inderogabile rispetto alla generale e successiva attività di determinazione del compenso
contestualmente demandata alla fonte regolamentare. Ora, se, quanto ed in che modo la “riunione”
incida anche nel giudizio di secondo grado, stante l’oggettiva incertezza della formulazione
letterale, è valutazione che ben può effettuare il Ministro nell’ambito del suo potere normativo di
determinazione del compenso, come tale fisiologicamente comprensivo anche dell’interpretazione
della fonte primaria attributiva di detto potere, salvo sempre il controllo di legittimità. Così non può
dirsi per il dirigente generale nell’esercizio del potere organizzativo e gestionale avente ad oggetto
la concreta implementazione delle previsioni normative.
L’appello è pertanto respinto, con conseguente integrale conferma della sentenza di prime cure.
Avuto riguardo alla novità delle questioni, le spese possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando
sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 ottobre 2014 con l'intervento dei
magistrati:
Marzio Branca, Presidente FF
Nicola Russo, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/12/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)