Rassegna - ElleP Consortium SC

ELENCO ARTICOLI del 31/03/2014
1. Bonus piccola mobilità: chi ne può beneficiare?
2. Tasi, Imu, Tari sempre più nel caos: ecco perché
3. Con l’IBAN tempi rapidi per i rimborsi
4. Inabilità civile, vale solo il reddito dell'interessato e non del nucleo familiare
5. Lavoratori extra UE, cambia la procedura per chiedere il permesso unico
6. Falsa fatturazione e denuncia penale
7. Detrazione familiari per extracomunitari
8. IUC, incertezza per gli acconti di giugno
9. Per il Redditometro conta la struttura effettiva della famiglia
10. Negato il rimborso di ritenute dirette effettuate dall'INPS
11. Ristrutturazioni edilizie: bonus anche con sagoma nuova, purché si rispetti il
volume
12. Bonus arredi: il limite di spesa
13. Regime dei minimi: omessa fatturazione e ravvedimento operoso
14. Termini d'impugnazione delle deliberazioni condominiali
15. Numerazione fatture
16. Bonus fiscali per gli inquilini degli alloggi sociali
17. Cedolare secca al 10% sui contratti a canone concordato
18. Diciotto mesi per spostare la residenza se la casa non è ultimata
19. Dal 1° aprile addio al modello 69
20. Modello 730/2014: cosa è cambiato
21. Modello 730/2014, le novità a portata di clic
22. Sanatoria cartelle esattoriali verso una proroga parziale
23. Cercasi 140 nuovi funzionari: il bando per la selezione è in rete
24. Affitto locale commerciale e Iva
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Bonus piccola mobilità: chi ne può beneficiare?
E’ operativo il bonus di 190 euro mensili per le assunzioni di lavoratori licenziati per
giustificato motivo oggettivo fatte nel 2013. La presentazione delle domande deve
avvenire entro il 12 aprile 2014.
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Tasi, Imu, Tari sempre più nel caos: ecco perché
Ci siamo già dimenticati il caos di dicembre-gennaio con i milioni di contribuenti
chiamati a versare «mini-Imu» e «maggiorazione Tares» senza capire bene che
cosa stessero pagando e perché? L'esperienza pare non abbia insegnato molto, e
per il Fisco locale il 2014 rischia di rivelarsi ancora più complicato dell'annus
horribilis appena trascorso. Già si prepara un nuovo rinvio al 31 luglio dei termini
entro cui i Comuni devono fissare aliquote e chiudere i bilanci preventivi, con il
risultato che se tutto va bene il sistema si stabilizzerà in autunno, con il solito
gioco di acconti basati su vecchie regole e conguagli più salati perché ancorati ai
nuovi parametri. Si prospetta, insomma, l'ennesimo ingorgo fiscale: ecco perché
È il "vizio genetico" della nuova Iuc, l'imposta "unica" (di nome, ma non di fatto)
comunale disegnata dalla legge di stabilità. Il tributo sui «servizi indivisibili» si
applica anche all'abitazione principale, che ha appena visto scomparire l'Imu, con
un'aliquota di base all'1 per mille elevabile dai Comuni fino al 2,5 per mille, ma
senza detrazioni fisse come avveniva con la vecchia Imu. Risultato: con questo
sistema molte abitazioni principali rischierebbero di pagare di Tasi molto più di
quanto versato nel 2012 con l'Imu, e il tributo colpirebbe anche i cinque milioni di
immobili che non hanno mai versato né Ici né Imu grazie alle detrazioni fisse che
cancellavano l'imposta per le case di valore catastale modesto. Per esempio: un
monolocale o un piccolo bilocale che per il Fisco vale 50mila euro non pagava l'Imu
ad aliquota standard, ma pagherebbe 50 euro di Tasi "base" (1 per mille) e 125 di
Tasi massima (2,5 per mille)
Per rimediare, sindaci e Governo Letta hanno trovato un accordo che il Governo
Renzi ha "ereditato" nel salva-Roma ter ora all'esame della Camera. L'accordo
prevede una "super-Tasi", cioè un'aliquota aggiuntiva dello 0,8 per mille che può
portare il conto complessivo al 3,3 per mille sulla prima casa oppure all'11,4 per
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mille (Imu più Tasi) sugli altri immobili. In questo modo, come ha sottolineato anche
la Corte dei conti nei giorni scorsi, la Tasi sull'abitazione principale diventa
un'imposta "gemella" della vecchia Imu (aliquote più alte e detrazioni), ma con
parecchi difetti. Il primo? La nuova regola prevede che le detrazioni per le
abitazioni principali producano «effetti equivalenti» a quelli della vecchia Imu
«sulla stessa tipologia di immobile», ma nessuno ha capito bene che cosa questo
voglia dire. Significa che nessuno può pagare di Tasi più di quel che si pagava di
Imu? Impossibile, perché una clausola del genere imporrebbe ai Comuni di
costruire detrazioni su misura, casa per casa, per assicurare il risultato. Più
probabile che il limite si riferisca al complesso della tassa, e impedisca ai sindaci di
raccogliere con la Tasi dalle abitazioni principali più di quanto raccoglievano
sull'Imu. Molte città, nel silenzio delle interpretazioni ufficiali (del resto il
decreto ha tempo fino al 6 maggio per essere convertito in legge) si stanno
orientando in questo senso, e studiano meccanismi che concentrano le detrazioni
sulle case di valore più basso.
Il buco della Tasi si apre qui, nelle case che hanno un valore catastale alto (per
esempio i "villini"; categoria catastale A/7) ma non rientrano fra i 74mila immobili
«di lusso» (categorie catastali A/1, A/8 e A/9) per i quali l'Imu si paga ancora. Su
queste case di pregio ma non «di lusso», infatti, la Tasi sarà sicuramente molto più
leggera dell'Imu, perché le detrazioni fisse della vecchia imposta avevano poco
effetto sui valori catastali alti mentre il meccanismo stesso del nuovo tributo
prevede aliquote di riferimento più basse. Un esempio aiuta a capire. Un villino con
giardino da 500mila euro di valore catastale pagava 1.800 euro di Imu standard e
fino a 2.800 euro di Imu massima (aliquota al 6 per mille e detrazione da 200
euro), in base all'aliquota decisa dal Comune; con la Tasi, il conto non potrà salire in
nessun caso oltre i 1.650 euro (aliquota massima del 3,3 per mille senza detrazioni).
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Nell'Imu, il 10% di case di valore più alto versava più del 50% dell'imposta: ecco
perché con la Tasi i conti dei Comuni non tornano.
A loro la "super-Tasi" prevista dal decreto salva-Roma ter riserva solo brutte
notizie. Sugli immobili diversi dall'abitazione principale infatti la Tasi si aggiunge
all'Imu, ma la legge di stabilità prevedeva un tetto massimo alla somma delle due
imposte, che non avrebbero potuto superare l'aliquota complessiva del 10,6 per
mille. In altre parole, nelle migliaia di Comuni in cui l'aliquota Imu aveva già
raggiunto il 10,6 per mille non ci sarebbero potuti essere nuovi aumenti. Con la
"super-Tasi" cambia tutto, perché lo 0,8 per mille aggiuntivo è in deroga a tutti i
limiti e quindi può far raggiungere l'aliquota complessiva dell'11,4 per mille. I
Comuni possono mettere questo 0,8 per mille sulle prime case oppure sugli altri
immobili, ma è probabile che la maggioranza delle amministrazioni sceglierà questa
seconda ipotesi, che offre più gettito ed è meno costosa politicamente. La
conseguenza saranno nuovi aumenti su immobili che nel passaggio dall'Ici all'Imu
hanno visto raddoppiare il carico medio (da 9,2 a oltre 21 miliardi complessivi), con
punte di rincari che hanno raggiunto il 250 per cento.
Una complicazione ulteriore arriva con la regola del salva-Roma ter che cancella la
possibilità per i Comuni di affidare l'accertamento e la riscossione della Tasi agli
stessi soggetti che si occupano dell'Imu. I tanti Comuni che hanno esternalizzato
questa attività si trovano quindi di fronte a un bivio, composto però da due strade
altrettanto impraticabili. La prima scelta sarebbe quella di riportare all'interno
l'attività di riscossione, ma senza sforare il vincoli al turn over (quattro assunzioni
ogni dieci pensionamenti) e alla spesa di personale è impossibile costruire ex novo
le competenze che servono negli uffici tributi. L'alternativa è fare una gara, con il
risultato di affidare due imposte identiche, la Tasi e l'Imu, a due soggetti diversi,
che dovrebbero scambiarsi i database e avviare procedure parallele sugli stessi
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contribuenti. Un ginepraio, che peraltro richiede tempo e non può essere certo
concluso in tempo utile per gli acconti: bisogna infatti fare il bando, concedere un
periodo congruo per partecipare, chiudere l'affidamento e affrontare il probabile
contenzioso che spesso si affaccia in queste procedure. La conseguenza probabile
è un buco di liquidità nei Comuni interessati, e l'esperienza recente insegna che
questi problemi si traducono spesso in ulteriori aumenti fiscali per rimediare agli
inciampi dei conti.
Molte imprese e negozi smaltiscono autonomamente i propri rifiuti speciali
assimilati agli urbani. Questi soggetti devono pagare la Tari, il nuovo tributo sui
rifiuti che sostituisce la Tarsu-Tares (tassa sui rifiuti urbani) e la Tia (tariffa di
igiene ambientale)? «No!» ha detto la legge di stabilità preparata dal Governo
Letta, «Sì, ma con sconti» ha corretto il Parlamento approvando la stessa legge di
stabilità, «nemmeno per sogno!» ribadisce ora il salva-Roma ter, nell'attesa del
prossimo intervento parlamentare. Le due soluzioni, com'è ovvio, non sono
equivalenti, perché questa tipologia di rifiuti vale circa il 30% delle entrate totali
della Tari i piani tariffari devono garantire la copertura integrale dei costi. Se i
rifiuti speciali assimilati, che in effetti non usufruiscono del servizio perché
vengono smaltiti autonomamente, non pagano la Tari, la loro quota deve di
conseguenza spalmarsi sulle altre utenze. Quale che sia la decisione finale, questo
rimpallo allunga i tempi di definizione della tariffa, perché fare un piano
finanziario ex novo non è esattamente una procedura semplice. Il risultato
probabile è un secondo buco nella liquidità, parallelo a quello descritto prima sulla
Tasi.
Sono un buon termometro per la febbre dei bilanci locali. Da febbraio, dipendenti e
pensionati hanno iniziato a pagare gli aumenti decisi nel 2013 in oltre 1.200 Comuni,
spinti in molti casi proprio dal caos che ha caratterizzato il difficile "superamento"
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dell'Imu sull'abitazione principale nel corso dell'anno. Di riforma in riforma, il
continuo lavorio sulla finanza locale ha gonfiato enormemente le addizionali. Nel
2013 l'Irpef comunale ha raccolto 3,9 miliardi, con un aumento del 20,6% rispetto
all'anno precedente; nel 2014, per effetto delle decisioni del 2013, il conto salirà
oltre i 4,5 miliardi di euro, e nuovi incrementi di aliquote possono essere decisi
quest'anno anche per cercare di contrastare le tante incertezze su tutti gli altri
fronti della finanza locale.
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Con l’IBAN tempi rapidi per i rimborsi
Arriveranno direttamente sul conto corrente e in tempi più veloci i rimborsi erogati
alle imprese dall’Agenzia delle Entrate. L’Ufficio sta procedendo a richiedere la
comunicazione del proprio codice IBAN a 70 mila aziende titolari di diritto al
rimborso, ma l’opportunità di accelerare i tempi del rimborso - che in tal modo
arriverà a destinazione in maniera veloce e sicura e senza alcuna spesa per il
contribuente - è offerta anche ai cittadini, non solo alle società: sarà sufficiente
comunicare l’Iban compilando il modello dedicato disponibile sul sito internet
dell’Agenzia.
La richiesta alle imprese di comunicazione dell’Iban verrà inviata dall’Agenzia tramite
Posta elettronica certificata all’indirizzo della società risultante nel registro delle
imprese. La trasmissione del codice all’Agenzia da parte delle aziende può avvenire:
•
tramite i servizi online sul sito www.agenziaentrate.it, nell’area autenticata
riservata agli utenti registrati, in cui è possibile comunicare o aggiornare l’Iban;
•
presso qualsiasi ufficio dell’Agenzia, presentando il modello per la richiesta
di accredito disponibile presso gli sportelli o sul sito delle Entrate.
L’accredito su conto corrente del rimborso dovuto dall’Agenzia ai contribuenti
permetterà di evitare che aziende cittadini debbano attendere mesi prima di ricevere
quanto è loro dovuto dall’amministrazione finanziaria.
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Inabilità civile, vale solo il reddito dell'interessato
e non del nucleo familiare
In materia di requisiti reddituali per il riconoscimento della pensione d'inabilità
civile - di cui all'art. 12, Legge n. 118/1971 - la disposizione di cui all'art. 10, comma 5,
del D.L. n. 76/2013 (convertito in Legge n. 99/2013), secondo cui il limite di reddito
per il riconoscimento del diritto alla pensione si calcola con esclusivo
riferimento al reddito IRPEF dell'istante (e con esclusione del reddito percepito dagli
altri componenti del nucleo familiare), si applica anche ai procedimenti
giurisdizionali per i quali non sia intervenuta sentenza definitiva alla data di entrata in
vigore della nuova disposizione (28 giugno 2013), ma solo se sia già intervenuto
il riconoscimento del diritto. L'effetto, dunque, è quello di precludere all'Inps di
procedere al recupero degli importi eventualmente già erogati in esecuzione di
sentenze provvisoriamente esecutive, sempre che risulti provata la sussistenza del
requisito reddituale per il diritto alla pensione con riferimento al solo reddito
dell'istante.
Nella sentenza 18 marzo 2014, n. 6262, la Corte di Cassazione, a meno di un anno
dall'entrata in vigore della nuova disciplina in materia, ha affrontato per la seconda
volta (la prima era accaduto con la sentenza n. 25000/2013) la questione
della computabilità o meno del reddito dei componenti del nucleo familiare ai fini della
determinazione della sussistenza del requisito economico per il riconoscimento
del diritto alla pensione d'inabilità civile.
Il ricorso era stato proposto dall'INPS, che era risultato soccombente in primo e
secondo grado nel giudizio proposto da un'assistita per il riconoscimento del diritto
alla pensione d'inabilità civile di cui all'art. 12 della Legge n. 118/1971. Tale diritto era
stato negato dall'Istituto in quanto il reddito dell'assistita, nel cui computo era
stato ricompreso anche il reddito degli altri componenti il nucleo familiare, era
risultato superiore al limite reddituale richiesto. I Giudici d'appello avevano
dato ragione all'assistita, confermando la sentenza di primo grado e disattendendo la
tesi dell'Inps sui criteri di computabilità di detto limite.
La Suprema Corte, respingendo il ricorso dell'Istituto, ha ricordato che sui criteri di
computabilità del reddito - ai fini dell'integrazione del requisito economico per il
riconoscimento del diritto alla pensione d'inabilità civile - è intervenuto l'art. 10,
comma 5 del D.L. citato, che ha segnato un "evidente superamento dell'orientamento
interpretativo indicato da questa Corte",orientamento secondo cui, ai fini della
determinazione del requisito reddituale previsto per l'attribuzione della pensione
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d'inabilità di cui all'art. 12 della Legge n. 118/1971, doveva tenersi conto anche della
posizione reddituale degli altri componenti del nucleo familiare dell'interessato (tra le
altre, Cass. nn. 5016/2011 e 10658/2012).
La norma sopravvenuta ha stabilito non solo che per la valutazione indicata deve aversi
riguardo esclusivamente al reddito Irpef dell'interessato, ma anche (comma 6
dell'art. 10 citato) che l'applicazione di detto criterio va estesa alle domande di
pensione d'inabilità per le quali non sia intervenuto un provvedimento definitivo e "ai
procedimenti giurisdizionali non conclusi con sentenza definitiva alla data di entrata in
vigore, limitatamente al riconoscimento del diritto a pensione a decorrere dalla
medesima data, senza il pagamento di importi arretrati". La norma precisa che "non si
fa comunque luogo al recupero degli importi erogati prima della data di entrata in
vigore della presente disposizione, laddove conformi con i criteri di cui al comma 5".
Nel caso di specie, hanno rilevato i giudici di legittimità, si ravvisava proprio l'ipotesi
indicata dal comma 6 su indicato, in quanto alla data di entrata in vigore del decreto il
giudizio era ancora pendente e, d'altro canto, l'INPS non aveva mai contestato la
sussistenza del requisito reddituale in riferimento al solo reddito personale.
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Lavoratori extra UE, cambia la procedura per
chiedere il permesso unico
Il Consiglio dei Ministri ha pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 68 del 22 marzo
2014, il Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 40 contenente in materia di
immigrazione di lavoratori extra UE.
Disciplina dell'immigrazione
Il Decreto prevede delle modifiche al T.U. sull'immigrazione (Decreto Legislativo
n. 286/1998), che ha recepito la Direttiva 2011/98/UE del Parlamento europeo e del
Consiglio, datata 13 dicembre 2011, relativa a una procedura unica di domanda per il
rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di Paesi terzi di soggiornare e
lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i
lavoratori di Paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro.
Nel permesso di soggiorno che autorizza l'esercizio di attività lavorativa, è inserita
la dicitura: "perm. Unico lavoro". In questo modo un datore di lavoro saprà subito se
può assumere un cittadino straniero arrivato in Italia per un motivo diverso dal lavoro
(ad esempio grazie a un ricongiungimento), ma che può cercarsi un’occupazione.
Categorie senza la formula
L’art. 1 D.Lgs. n. 40/2014 ricorda poi che non saranno interessati della dicitura “Perm.
Unico Lavoro” i permessi di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, per lavoro
stagionale, per lavoro autonomo, per motivi umanitari, per rifugiati, per protezione
sussidiaria, per studio e per alcune figure professionali che entrano in Italia al di
fuori delle quote del decreto flussi.
Infine, saranno più lunghi i tempi di attesa: il permesso di soggiorno verrà rilasciato,
rinnovato o convertito entro sessanta giorni(prima erano venti) dalla data in cui è
stata presentata la domanda, se sussistono i requisiti e le condizioni previsti per il
permesso di soggiorno richiesto ovvero, in mancanza di questo, per altro tipo di
permesso da rilasciare in applicazione del T.U. Il lavoratore straniero, nelle more della
risposta non arrivata in tempi utili, può legittimamente soggiornare nel territorio dello
Stato e svolgere temporaneamente l'attività lavorativa fino ad eventuale
comunicazione dell'Autorità di pubblica sicurezza.
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Falsa fatturazione e denuncia penale
D: In seguito a un controllo per omissione di dichiarazione per l'anno 2007, la guardia
di finanza ipotizza l'emissione di fatture false. E' scattato, quindi, il controllo sulla
ditta che ha ricevuto queste fatture. La Guardia di Finanza ravvisa per questa ditta
(per la quale l'anno 2007 sarebbe chiuso) un comportamento rilevante penalmente e ha
informato il magistrato sostenendo che le annualità ancora aperte si raddoppiano e il
limite per la rilevanza penale scende a euro 30.000,00. E' corretto il comportamento
della Guardia di Finanza?
R: Con riferimento al quesito posto si osserva che il raddoppio dei termini opera anche
se la denuncia penale viene effettuata quando il termine di decadenza previsto
dall'art. 43 DPR 600/73 è già spirato ciò in quanto non si tratta di proroga ma di
termine ab origine raddoppiato, secondo quanto stabilito dalla Corte Costituzionale
con sent. 247/2011. quanto alle soglie si osserva che per rispondere con precisione
sarebbe necessario conoscere esattamente il reato ipotizzato posto che dalla
narrativa sembra evincersi l'ipotesi criminosa di cui all'art. 2 del D. Lgs. 74/2000 per
il quale non è prevista attualmente alcuna soglia di punibilità mentre viene indicata la
soglia (come riformata) di € 30.000 prevista per l'ipotesi di cui all'art. 3 del
medesimo decreto. In ogni caso nella legge 148/2011 di conversione del D.L. 138/2011
viene stabilito che le nuove disposizioni trovano applicazione "ai fatti successivi alla
data di entrata in vigore della legge di conversione". Sulla base di un'interpretazione
strettamente letterale, dunque, della norma, le nuove disposizioni sembrerebbero
applicabili ai fatti posti in essere dal 18.9.2011, in quanto "successivi" al 17.9.2011
(data di entrata in vigore della suddetta L. 148/2011). Ne consegue che le nuove
disposizioni sono applicabili in relazione alle dichiarazioni dei redditi ed IVA relative
al 2010, ove presentate tra il 18.9.2011 e la scadenza dei termini; nel caso di omessa
presentazione delle dichiarazioni dei redditi ed IVA relative al 2010 nonché alle
ulteriori fattispecie penali tributarie commesse a partire dalla suddetta data. A
parere di chi scrive sono comunque applicabili i principi di cui all'art. 2 del codice
penale che regolano la successione di leggi penali nel tempo secondo il principio del
favor rei.
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Detrazione familiari per extracomunitari
Quali adempimenti gli extracomunitari residenti nel Paese di origine
devono porre in essere per il riconoscimento della detrazione per carichi
di famiglia?
Le detrazioni per carichi di famiglia per i soggetti non residenti extracomunitari
spettano a condizione che si dimostri, con idonea documentazione, che le persone alle
quali le detrazioni si riferiscono non possiedano un reddito complessivo superiore a
2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili, compresi i redditi prodotti fuori dal
territorio dello Stato, e di non godere, nel paese di residenza, di alcun beneficio
fiscale connesso ai carichi familiari (articolo 12 del Tuir). La parentela e lo status di
familiare a carico devono essere attestati secondo le modalità indicate dal Dm
149/2007, tramite la documentazione originale prodotta dall’autorità consolare del
Paese d'origine, con traduzione in lingua italiana e asseverazione da parte del prefetto
competente per territorio o, in alternativa, per coloro che provengono da Paesi che
hanno sottoscritto la Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961, documentazione con
apposizione dell’apostille, o, ancora, tramite documentazione validamente formata nel
Paese d'origine, in base alla normativa di quella nazione, tradotta in italiano e
asseverata come conforme all'originale dal Consolato italiano nel paese di origine. La
richiesta di detrazione, per gli anni successivi a quello di prima presentazione, deve
essere accompagnata da dichiarazione che confermi il perdurare della situazione
certificata ovvero da una nuova documentazione, qualora sia necessario aggiornare i
dati certificati.
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IUC, incertezza per gli acconti di giugno
Rinviata al 31 luglio la decisione sulle regole e le aliquote IUC
E' ormai quasi certo il rinvio al 31 luglio della data entro cui bisognerà chiudere i
bilanci comunali e definire le regole e le aliquote della IUC. Il motivo della proroga è
dovuta alle incertezze che riguardano il funzionamento della nuova imposta e delle sue
componenti Tasi (servizi indivisibili) e Tari (rifiuti). Ciò però renderà impossibile
incassare i relativi acconti a giugno. Per l'Imu, invece, si può fare riferimento alle
aliquote decise l'anno scorso, e questo permetterà di poter versare gli acconti
rimandando al saldo di dicembre il conguaglio sui valori 2014. Per la Tasi, anche
ipotizzando di calcolare l'acconto sulla base dei parametri standard, si finirebbe per
far versare anche a chi grazie alle detrazioni (non previste dalle regole standard) non
avrebbe da pagare, prevedendo poi le relative restituzioni una volta definiti gli sconti.
Per la Tari invece manca al momento una norma che consenta ai Comuni di far pagare
le prime rate sulla base dei parametri Tares-Tarsu 2013.
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Per il Redditometro conta la struttura effettiva
della famiglia
Prima di inviare le lettere per il redditometro è necessario verificare a priori la
corrispondenza tra la famiglia effettiva e quella fiscale
A seguito del problema posto dal Garante della privacy lo scorso 21 novembre,
l'Agenzia delle Entrate ha introdotto un'ulteriore verifica prima di inviare al
contribuente selezionato l'avviso del contraddittorio. I funzionari dovranno
riscontrare se la famiglia fiscale indicata in Anagrafe tributaria coincide o meno con
quella effettiva (o «anagrafica). Per procedere alla verifica potrà essere usato il
collegamento diretto con l'anagrafe comunale o, in alternativa, potrà essere
effettuata una richiesta al municipio titolare dell'informazione da inviare tramite
posta elettronica certificata. In questo modo si dovrebbe evitare di selezionare
coloro che con il reddito complessivo dichiarato dalla famiglia giustificano l'apparente
scostamento individuale. L'unico problema resta l'effettiva conoscenza della
convivenza da parte dei comuni; non in tutti i centri infatti è stato istituito il registro
delle coppie di fatto.
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Negato il rimborso di ritenute dirette effettuate
dall'INPS
La Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 6903, depositata il 24 marzo scorso, ha
affrontato il tema della richiesta di rimborso, da parte dl contribuente, di ritenute
che il sostituto gli ha trattenuto in eccesso. Non scostandosi dall'orientamento ormai
consolidato e risalente nel tempo, gli Ermellini hanno ribadito quali rimborsi ricadono
nella disciplina di cui all'art. 38, D.P.R. n. 602/1973 (rubricato "Rimborso di
versamenti diretti") e quali nella diversa disciplina di cui al precedente art. 37 del
medesimo decreto (rubricato "Rimborsi di ritenute dirette"). Mentre il primo, l'art.
38, riguarda il rimborso delle ritenute trattenute dal datore di lavoro privato, ovvero
"diverso da un'Amministrazione statale", che opera in qualità di sostituto d'imposta e ricomprende tanto l'istanza di rimborso di chi ha fatto il versamento quanto, ex
comma 2, quella "presentata dal dipendente percipiente" - l'art. 37, viceversa, regola
la "diversa ipotesi della "ritenuta diretta", che si verifica solo per le Amministrazioni
dello Stato, cui è concesso di avvalersene nei confronti dei dipendenti, per attuare
una compensazione tra il credito dell'Amministrazione stessa e il credito del
contribuente". (Così, Cass. s.u. n. 9940/2000, n. 12810/2002).
Ciò che merita di essere sottolineato, nel caso concreto deciso con l'ordinanza, è che
i Supremi Giudici hanno cassato la sentenza della CTR di Bologna che annullava
il silenzio rifiuto su un'istanza di rimborso per IRPEF presentata dalla contribuente,
poiché applicava alla fattispecie la disciplina di cui all'art. 37, D.P.R. n. 602/73 e,
dunque, l'annessa prescrizione decennale, tenuto conto che l'INPS aveva operato
direttamente le ritenute, "si che l'errore è stato commesso dall'Amministrazione che
ha erogato al contribuente un importo netto inferiore al dovuto". Diversamente, la
Cassazione, decidendo nel merito, "trattandosi di ritenute alla fonte (cioè operate dal
datore di lavoro in qualità di sostituto d'imposta, sia esso privato o pubblico diverso
dallo Stato)", ha applicato l'art. 38, D.P.R. 602/73 ai sensi del quale la richiesta di
rimborso va "presentata nel termine in esso fissato rispetto alla data in cui la ritenuta
è stata operata" (quarantotto mesi), e ha rigettato l'originario ricorso del
contribuente avverso il silenzio rifiuto.
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Ristrutturazioni edilizie: bonus anche con sagoma
nuova, purché si rispetti il volume
L’ENEA, all’interno del suo portale, ha predisposto una nuova FAQ (la n. 68 bis) con lo
scopo di delineare gli interventi di ristrutturazione edilizia e i relativi bonus.
Il caso pratico esaminato
L’interpellante dichiara l’intenzione di effettuare una ristrutturazione edilizia del
proprio
immobile.
L’opera
consiste
nella demolizione
e nella successiva
ricostruzione con accorgimenti per ottenere un miglior efficientamento dal punto di
vista energetico, usufruendo delle detrazioni fiscali del 65%. Alla luce della recente
normativa introdotta dal Decreto del Fare, il dubbio risiede nel dover rispettare la
stessa sagoma preesistente o se sia sufficiente un rispetto della volumetria.
Il Decreto del Fare e il mancato riferimento alla sagoma
La Legge 9 agosto 2013, n. 98, di conversione del D.L. 21 giugno 2013, ha rivisto la
definizione
di
“ristrutturazione
edilizia” contenuta
nel
Testo
Unico
Edilizia, eliminando all’art. 3, comma 1, lett. d) D.P.R. n. 380/2001 il riferimento alla
“sagoma”. Dal 21 agosto 2013, data in cui è entrata in vigore la normativa, sono perciò
compresi tra gli interventi di ristrutturazione edilizia anche quelli che consistono nella
demolizione e ricostruzione di un immobile con la stessa volumetria del precedente,
senza che sia necessario rispettarne la sagoma.
Importante mantenere la volumetria originaria
Sono compresi nella ristrutturazione anche gli interventi “volti al ripristino degli
edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro
ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”. Ne deriva
che qualora l’opera abbia le caratteristiche per configurarsi come “ristrutturazione
edilizia” (mancanza di vincoli exD.Lgs. n. 42/2004 e s.m.i. e rispetto della
perimetrazione), alla luce Decreto del Fare, risultano agevolabili gli interventi che
consistono nella demolizione di un immobile e nella sua ricostruzione mantenendone
la volumetria originaria.
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Bonus arredi: il limite di spesa
Nel 2013 ho acquistato elettrodomestici usufruendo del bonus mobili su
una spesa di 10mila euro. Posso usufruire del bonus nel 2104 per una
ulteriore spesa di 10mila euro?
La risposta al quesito è negativa. La legge di stabilità per il 2014 ha prorogato anche
per quest’anno la detrazione del 50% per le spese sostenute per l’acquisto di mobili e
di grandi elettrodomestici finalizzati all’arredo dell’immobile oggetto di
ristrutturazione. Tale detrazione, da ripartire tra gli aventi diritto in dieci quote
annuali di pari importo, spetta nella misura del 50% delle spese sostenute dal 6 giugno
2013 al 31 dicembre 2014 ed è calcolata su un ammontare complessivo non superiore a
10mila euro (comma 139 dell’articolo 1 della legge 147/2013). Qualora la somma delle
spese superi l’importo di 10mila euro, la detrazione dovrà essere determinata
comunque sull’importo massimo di 10mila euro, da riferirsi alla singola unità abitativa
oggetto di ristrutturazione (circolare 29/E del 2013).
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Regime
dei
minimi:
omessa
fatturazione
e
ravvedimento operoso
Le operazioni poste in essere dai contribuenti che hanno scelto il regime dei minimi
rientrano nel campo di applicazione dell’IVA anche se non è consentito l’esercizio della
rivalsa di cui all’art. 18, D.P.R. n. 633/1972. Questa soluzione determina rilevanti
conseguenze sull’irrogazione delle relative sanzioni nell’ipotesi di omessa fatturazione,
ed anche sulle modalità di applicazione del ravvedimento operoso qualora il
contribuente intenda fruire di tale opportunità.
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Termini
d'impugnazione
delle
deliberazioni
condominiali
La Corte costituzionale, con ordinanza n. 52 del 21.03.2014, ha dichiarata
manifestamente inammissibile la questione di legittimità degli artt.1137, 1334 e 1335
c.c., sollevata dal Tribunale di Catania in riferimento all’art. 24 della Costituzione.
Il Tribunale siciliano aveva rappresentato diversi profili di incostituzionalità della
disciplina di cui all’art. 1137 c.c. in tema d’impugnazione delle deliberazioni
condominiali, con particolare riferimento alla posizione dei condomini assenti
all’assemblea, per i quali il termine di 30 giorni previsto per l’impugnazione decorre
dalla data di comunicazione della delibera.
A parere del giudice remittente, detto termine costituisce “un termine sostanziale a
rilevanza processuale”, per cui si pone la necessità di applicare tutte le garanzie che
assistono i termini processuali (in primis l’applicabilità della sospensione feriale), oltre
alla disciplina prevista per la notificazione degli atti processuali, a garanzia del diritto
di difesa dei condomini.
Il presunto contrasto con il diritto di difesa, costituzionalmente garantito, coinvolge il
combinato disposto degli artt. 1137, 1334 e 1335 c.c., “nella parte in cui non prevedono
che la comunicazione della delibera assembleare che, nei confronti dei condomini che
non abbiano preso parte alla relativa seduta, determina il decorso iniziale del termine
di trenta giorni di cui a detto art. 1137 c.c., sia presidiata dalle medesime garanzie di
conoscibilità dell’atto previste per la notificazione degli atti giudiziari”.
La questione sollevata origina da un giudizio di opposizione ad una delibera
condominiale ed al conseguente decreto ingiuntivo. Nella fattispecie all’attrice,
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assente all’assemblea del 3.8.10 perché fuori sede, era stata data comunicazione della
delibera a mezzo posta. In particolare, il postino aveva lasciato affisso alla porta della
sua abitazione il relativo avviso in data 6.8.10. La raccomandata era stata poi
restituita al mittente subito dopo ferragosto (durante il periodo di sospensione
feriale dei termini processuali), sicché, al rientro dalle vacanze, il termine per
impugnare era già decorso.
Nel rappresentare la questione d’incostituzionalità nei termini sopra decritti, il
Tribunale di Catania ritiene debba essere dichiarata anche l’illegittimità dell’art. 1335
(in base alla quale le dichiarazioni negoziali unilaterali si presumono conosciute nel
momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario), “irragionevolmente” applicabile
anche nei casi in cui il momento della conoscenza “segni il decorso iniziale del termine
di decadenza entro il quale poter adire quelle vie giudiziali che rappresentino per il
titolare l’unico rimedio per far valere il suo diritto”.
A sostegno delle proprie argomentazioni, il remittente richiama la giurisprudenza della
stessa Corte costituzionale (sentenza n. 346/1998), secondo cui la diversità di
disciplina tra le notifiche a mezzo posta e quelle eseguite personalmente dall’ufficio
giudiziario non deve comportare una diminuzione delle garanzie per il destinatario
delle prime: “anche per le notifiche a mezzo posta, infatti, si richiede che, in difetto
di consegna a mani, al destinatario dell’atto venga data comunicazione con lettera
raccomandata e che l’atto da portare a conoscenza non venga restituito al mittente
dopo un termine di deposito eccessivamente breve, potendosi verificare, specie nel
periodo estivo, che l’assenza dell’abitazione di protragga per più di dieci giorni”, con
conseguente impossibilità o grave difficoltà di individuare l’atto notificato ed
esercitare il diritto di difesa.
La Consulta, come detto,ha respinto la questione per manifesta inammissibilità alla
luce delle numerose lacune presenti nell’ordinanza di rimessione, sia riguardo alla
descrizione della fattispecie, sia in ordine al difetto di prova circa la rilevanza della
questione. Elementi che hanno portato i giudici costituzionali a ritenere non
necessario un esame approfondito della materia.
L’ordinanza di rimessione – osserva la Corte – non chiarisce di quale tipo di delibera si
tratti e quale vizio la parte ricorrente abbia fatto valere, anche considerato che il
termine perentorio di cui all’art. 1137 c.c. si applica solo alle delibere annullabili e non
a quelle nulle. Inoltre, non prende in adeguata considerazione il pacifico orientamento
secondo cui la presunzione di conoscenza prevista dall’art. 1135 c.c. ammette sempre
la prova contraria, a condizione che il destinatario dimostri di essere stato, senza sua
colpa, nell’impossibilità di avere notizia della comunicazione.
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Numerazione fatture
Ho aperto da poco una ditta individuale. Posso emettere la prima fattura
dell'attività con una numerazione superiore a 1, proseguendo poi in ordine
progressivo?
La numerazione delle fatture è stata recentemente oggetto di modifiche normative. A
partire dall'1 gennaio 2013, infatti, in seguito alla nuova formulazione dell’articolo 21,
comma 2, lettera b, del Dpr 633/1972 (a opera dell’articolo 1, comma 325, lettera d,
della legge 228/2012), la norma non prevede più che la fattura sia datata e numerata
in ordine progressivo per anno solare. È adesso sufficiente numerare le fatture
progressivamente senza riiniziare la numerazione da capo ogni anno, proseguendo poi
ininterrottamente per tutti gli anni solari di attività del contribuente, fino alla
cessazione dell’attività stessa. Tale modalità è infatti considerata, di per sé, idonea a
identificare in modo univoco la fattura, vista l’irripetibilità del numero di volta in volta
attribuito al documento fiscale. Se, però, non è più necessario adottare la
numerazione in ordine progressivo per anno solare, resta ferma la necessità di
adottare una numerazione che, al momento dell’inizio dell’attività, parta dal numero 1
(risoluzione 1/E del 2013).
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Bonus fiscali per gli inquilini degli alloggi sociali
Per le famiglie che vivono in un alloggio sociale è in arrivo un incremento delle
detrazioni Irpef, fino a 900 euro per le fasce di reddito più deboli. E’ quanto prevede
il D.L. 47/2017, pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale.
L’agevolazione è introdotta all’articolo 7 del provvedimento.
La norma prevede che per il triennio 2014-2016, ai soggetti titolari di contratti di
locazione di alloggi sociali (definiti ai sensi del D.M. 22 aprile 2008, attuativo dell’art.
5 della L. 9/2007) spetterà una detrazione complessiva pari a:
a)900 euro, se il reddito complessivo non supera euro 15.493,71;
b)450 euro, per i redditi compresi tra 15.493,71 e 30.987,41.
40 mila nuclei familiari interessati
Dalla
relazione
tecnica
è
possibile
stimare
in 40
mila il
numero
delle famiglie potenzialmente beneficiarie delle nuove detrazioni, con un perdita di
gettito per le casse erariali pari a 65 milioni di euro nel triennio.
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Cedolare secca al 10% sui contratti a canone
concordato
L’aliquota della cedolare secca per i contratti a canone concordato passa dal 15% al
10% per il quadriennio 2014-2017. E’ quanto prevede il D.L. recante “Misure urgenti
per l’emergenza abitativa”, pubblicato ieri sulla Gazzetta Ufficiale.
Il
provvedimento
riduce
al 10% l’aliquota
della
c.d. cedolare
secca sugli affitti a canone concordato, al fine di stimolare l’offerta nei comuni ad
alta densità abitativa.
Lo sconto fiscale è automatico per tutti i proprietari di casa abbiano già optato per la
cedolare: la riduzione del prelievo si applica infatti su tutti i canoni percepiti dal 2014
al 2017, senza bisogno di alcun adempimento.
Il decreto prevede che l’aliquota ridotta trovi applicazione anche per gli immobili
affittati nei confronti di cooperative o enti non commerciali a condizione che risultino
sublocate a studenti universitari con rinuncia dell’aggiornamento del canone di
locazione o assegnazione.
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Diciotto mesi per spostare la residenza se la casa
non è ultimata
Diciotto mesi sono considerati dalla Cassazione "un congruo margine di tempo" per
trasferire la residenza presso il Comune della prima casa e mantenere, così,
l'agevolazione. Fatta questa premessa, la Corte, con la sentenza n. 7067 depositata
il 26 marzo scorso, pone un freno alla corsa ad invocare la causa di forza maggiore che
consente una dilatazione del termine.
Secondo la Corte, il protrarsi dei lavori di compimento della casa, sopportato
dall'acquirente della casa in costruzione, non rappresenta, in sé, un evento
"sopravvenuto alla stipula dell'atto" caratterizzato dalla "non imputabilità alla parte
obbligata, e dall'inevitabilità ed imprevedibilità". E il giudice che compie l'automatica
riconduzione "all'ambito concettuale della forza maggiore" sbaglia, perché, per
stabilirlo, occorrono degli accertamenti.
A questo è, infatti, chiamata, in sede di rinvio, la CTR Umbria dalla Cassazione, che nel
guidarla, con la sentenza in oggetto, afferma che la realizzazione dell'impegno assunto
dall'acquirente, in sede di atto di compravendita, di trasferire la propria residenza
entro i diciotto mesi, è "un elemento costitutivo per il conseguimento
del beneficio richiesto
e
solo
provvisoriamente
concesso
dalla
legge".
Conseguentemente, esso rappresenta, per la Corte, "un vero e proprio obbligo verso il
fisco" che va rispettato tanto dall'acquirente della casa in costruzione quanto da
quello dell'immobile già edificato, "non essendo ravvisabili, in assenza di specifiche
disposizioni normative, plausibili ragioni per differenziare, ai fini della fruizione
dell'agevolazione in esame, il regime fiscale di siffatto acquisto".
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Dal 1° aprile addio al modello 69
A partire dal 1° aprile 2014, per la registrazione dei contratti di locazione immobiliare
non potrà più essere utilizzato il modello 69 né, per la registrazione telematica, i
vecchi programmi software.
Con il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate 10 gennaio 2014 è stato
approvato il nuovo modello RLI per la registrazione dei contratti di
locazione immobiliare da utilizzare a partire dallo scorso 3 febbraio e destinato a
sostituire il “vecchio” modello 69. Con il modello RLI i contribuenti possono adempiere
a tutti gli obblighi legati alle locazioni, comprese eventuali proroghe, cessioni e
risoluzioni, nonché l’esercizio dell’opzione o della revoca della cedolare
secca, direttamente online, allegando anche copia del testo contrattuale.
Il provvedimento 10 gennaio 2014 ha previsto che, per le richieste di registrazione dei
contratti di locazione immobiliare presentate fino al 31 marzo 2014, è possibile
continuare a presentare agli uffici dell’Agenzia delle Entrate, in alternativa al modello
RLI, il modello 69.
Pertanto, il modello 69, a partire da martedì prossimo non potrà più essere utilizzato
per gli adempimenti legati alla registrazione dei contratti di locazione di immobili.
In particolare, il nuovo modello RLI sostituisce il modello 69 esclusivamente in
relazione ai seguenti adempimenti:
a) richieste di registrazione dei contratti di locazione e affitto di beni immobili;
b) proroghe, cessioni e risoluzioni dei contratti di locazione e affitto di beni immobili;
c) comunicazione dei dati catastali ai sensi dell’art. 19, comma 15, D.L. n. 78/2010;
d) esercizio o revoca dell’opzione per la cedolare secca;
e) denunce relative ai contratti di locazione non registrati, ai contratti di locazione
con canone superiore a quello registrato o ai comodati fittizi.
Il modello 69, tuttavia, non va in pensione poiché dovrà continuare ad essere utilizzato
per la registrazione di atti, diversi da quelli appena indicati, presso gli Uffici
dell’agenzia delle Entrate.
Registrazione on line
Il modello RLI deve essere presentato anche per la registrazione dei contratti di
locazione immobiliare tramite i servizi online.
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La registrazione del contratto di locazione per via telematica rappresenta
un obbligo per i contribuenti-contraenti che possiedono almeno 10 unità
immobiliari (art. 5, comma 3, D.P.R. n. 404/2001) e per gli agenti di affari in
mediazione iscritti nella sezione degli agenti immobiliari del ruolo di cui all’art. 2,
legge n. 39/1989 (art. 5, comma 3-bis, D.P.R. n. 404 citato). Per tutti gli altri soggetti
la registrazione telematica rappresenta una facoltà e quindi è sempre possibile
ricorrere alle tradizionali procedure di registrazione dei contratti e di versamento
delle relative imposte.
Si precisa che la risoluzione n. 52/E del 20 febbraio 2002 ha chiarito che l’obbligo di
registrare telematicamente il contratto di locazione opera soltanto nel caso in cui a
richiedere la registrazione provveda il soggetto possessore di almeno 10 unità
immobiliari, mentre l’obbligo di utilizzare la procedura telematica non sussiste ove la
registrazione venga richiesta dalla controparte, che non sia in possesso di altrettante
unità immobiliari.
A partire dal 1° aprile, per la registrazione telematica dei contratti di locazione
immobiliare si potranno utilizzare le seguenti applicazioni:
- per la presentazione in via telematica del modello RLI il prodotto software
“Contratti di locazione e affitto di immobili (RLI)”, reso disponibile gratuitamente nel
sito dell’Agenzia delle Entrate. L’utilizzo degli altri software oggi in uso (Contratti di
locazione, IRIS e Siria) è possibile solo fino al 31 marzo 2014;
- la versione web del software, che consente la registrazione dei propri contratti di
locazione e di versare le eventuali imposte di registro e bollo, senza la necessità di
alcuna installazione.
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Modello 730/2014: cosa è cambiato
L’Agenzia delle Entrate, con Provvedimento del 16 gennaio 2014 ha pubblicato il
Modello 730, con le relative istruzioni, per la dichiarazione dei redditi percepiti
nell’anno 2013 da lavoratori dipendenti e pensionati. Il Modello 730 può essere
presentato entro il 30 aprile al proprio datore di lavoro o ente pensionistico oppure
entro il 31 maggio ad un CAF o ad un intermediario abilitato. Una delle novità più
rilevanti di questo modello è l’introduzione, a regime, della possibilità di presentare
tale dichiarazione anche in mancanza di sostituto d’imposta nel mese in cui avviene il
rimborso (solitamente luglio): infatti il contribuente che ha percepito redditi di lavoro
dipendente, assimilati o di pensione nel corso dell’anno 2013 può presentare il Modello
730 barrando l’apposita casella posta nel frontespizio e comunicando all’Agenzia delle
Entrate, mediante apposito modello, le coordinate bancarie IBAN dove effettuare il
rimborso delle somme a credito.
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Modello 730/2014, le novità a portata di clic
L’Agenzia delle Entrate riepiloga le novità dei modelli 2014 attraverso una serie di
slides esplicative per ciascun modello. Tra le dichiarazioni dei redditi oggetto di
riepilogo, la prima in scadenza nelle prossime settimane è il Modello 730/2014:
vediamo le principali novità del modello e quali sono i soggetti che possono presentare
la dichiarazione.
Novità del mod. 730/2014
Come già ricordato in occasione dell’approvazione del Modello da parte dell’Agenzia, le
novità più importanti del modello 730 per il 2014 riguardano:
•
la possibilità di presentare il modello anche per i contribuenti che nel 2013
hanno percepito redditi di lavoro dipendente, redditi di pensione o redditi
assimilati, la cui dichiarazione si chiuda a debito e che non abbiano un sostituto
d'imposta che possa effettuare le operazioni di conguaglio;
•
la possibilità di compensare i crediti risultanti dal 730 mediante il
pagamento di altre imposte che vanno versate attraverso il modello F24;
•
l’aumento dell’importo delle detrazioni per i carichi di famiglia, che subiranno
un controllo preventivo nel caso di eccedenza rimborso superiore a 4.000 euro;
•
le detrazioni, pari al 50%, sulle spese relative alla ristrutturazione di
immobili e all’acquisto di mobili per immobili ristrutturati, nonché quelle, pari al
65%, relative a interventi sugli edifici finalizzati al risparmio energetico o
all’adozione di misure antisismiche.
Chi può presentare il modello 730 e i casi di esonero
Premesso che sono tenuti a presentare la dichiarazione nell’anno in corso quei soggetti
che hanno conseguito redditi nell’anno 2013 e non rientrano nelle ipotesi di esonero,
possono utilizzare il modello 730 i contribuenti che nell’anno 2014 sono:
•
•
pensionati, lavoratori dipendenti, lavoratori con contratto a tempo
determinato per un periodo inferiore a un anno, lavoratori che posseggono
soltanto redditi di co.co.co. almeno nel periodo giugno- luglio 2014 e che
conoscano i dati del sostituto che dovrà effettuare il conguaglio;
soggetti percipienti indennità sostitutive di reddito di lavoro dipendente e
persone impegnate in lavori socialmente utili;
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•
•
soci di cooperative (di produzione e lavoro, di servizi, agricole e di prima
trasformazione dei prodotti agricoli e della piccola pesca) e produttori agricoli
esonerati dalla presentazione dei sostituti d’imposta, IRAP e IVA ;
personale della scuola con contratto a tempo determinato, sacerdoti della
Chiesa cattolica, giudici costituzionali, parlamentari nazionali e altri titolari di
cariche pubbliche elettive.
Inoltre possono presentare il modello 730 coloro che hanno percepito nel 2013
redditi: di lavoro dipendente o assimilati, di lavoro autonomo per i quali non è richiesta
la partita IVA , di capitale, fondiari, diversi e infine alcuni redditi assoggettabili a
tassazione separata (Quadro D, sezione II).
Casi di esonero
I casi di esonero dalla presentazione della dichiarazione vengono individuati sulla base
della tipologia di reddito percepito, ma in alcuni casi devono sussistere ulteriori
condizioni, che attengono anche a limiti di reddito, al di sopra dei quali l’esonero non è
riconosciuto. Ad esempio, è riconosciuto l’esonero ai contribuenti che percepiscono
esclusivamente redditi esenti (indennità, rendite Inail per invalidità permanente o
morte, ecc.) e redditi soggetti ad imposta sostitutiva o a ritenuta alla fonte a titolo
d’imposta.
L’esonero è riconosciuto anche a coloro che percepiscono esclusivamente i redditi
derivanti dall’abitazione principale o da lavoro dipendente, oppure da lavoro
dipendente e da abitazione principale congiuntamente, oppure ancora da pensione o da
rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (compresi i lavori a progetto), ma
solo se ricorrono due condizioni:
•
i redditi devono essere corrisposti da un unico sostituto d’imposta obbligato
ad effettuare le ritenute d’acconto o da più sostituti, purché certificati
dall’ultimo che ha effettuato il conguaglio;
•
spettano le detrazioni per coniuge e familiari a carico e non sono dovute le
addizionali regionale e comunale.
Vi sono poi altri casi di esonero vincolati a limiti quantitativi di reddito e alla
sussistenza di ulteriori condizioni legate alla durata del periodo di lavoro o di pensione
oppure all’età. In particolare, in tali casi l’esonero è riconosciuto al contribuente che
possegga in via esclusiva redditi derivanti da:
•
terreni e/fabbricati ,nel limite massimo di 500 euro;
•
lavoro dipendente o assimilato insieme ad altre tipologie di reddito (nel
limite massimo di 8.000 euro), pensione insieme ad altre tipologie di reddito (nel
limite massimo di 7.500euro, o di 7.750 euro, in caso di contribuenti di età
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•
•
•
almeno a 75 anni), pensione insieme a redditi di terreni e abitazione principale
(nel limite massimo di 7.500 euro per la pensione e di 185,92 per i terreni), a
condizione - in tutte queste ipotesi - che il periodo di lavoro o di pensione non
sia inferiore a 365 giorni;
assegno periodico corrisposto dal coniuge insieme ad altre tipologie di
reddito, nel limite massimo di 7.500;
redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e altri redditi per i quali la
detrazione prevista non è rapportata al periodo di lavoro, nel limite massimo di
4.800 euro;
compensi derivanti da attività sportive dilettantistiche, nel limite massimo di
28.158.28 euro.
Infine è esonerato dalla presentazione della dichiarazione il contribuente, non
obbligato alla tenuta delle scritture contabili, che possiede redditi per i quali è dovuta
un’imposta non superiore a 10.33 euro.
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Sanatoria cartelle esattoriali verso una proroga
parziale
Un emendamento al Ddl enti locali approvato dal Senato fa slittare il termine per
aderire alla sanatoria delle cartelle al 31 maggio, ma solo per i destinatari di
ingiunzioni fiscali
La sanatoria delle cartelle esattoriali avrà un'ulteriore proroga di 2 mesi, quindi fino
al 31 maggio 2014, ma solo per i destinatari di ingiunzioni fiscali. E' quanto previsto
dall'emendamento approvato ieri dalla Commissione Bilancio del Senato nell'ambito
dell'esame in sede deliberante del Ddl sugli enti locali, che ora passa all'esame della
Camera. La riscossione dei carichi slitta anch'essa di due mesi, in particolare dal 15
aprile al 15 giugno 2014. Si ricorda che la sanatoria riguarda le cartelle e gli avvisi di
accertamento esecutivi ed affidati ad Equitalia entro il 31.10.2013.
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Cercasi 140 nuovi funzionari: il bando per la
selezione è in rete
Le domande di partecipazione al concorso dovranno essere compilate e
inviate on line all’Agenzia delle Entrate prima dello scadere della
mezzanotte di lunedì 28 aprile
Sul sito dell’Amministrazione finanziaria è pubblicata una procedura selettiva per
reclutare, a tempo indeterminato, 140 laureati in materie scientifiche da impiegare
come funzionari tecnici da destinare ai servizi catastali, cartografici, estimativi e
dell’osservatorio del mercato immobiliare.
Da oggi, gli aspiranti candidati avranno un mese di tempo per proporsi: le domande di
partecipazione, infatti, dovranno essere presentate, esclusivamente in via telematica,
entro le 23.59 di lunedì 28 aprile. La modalità è semplicissima: basta un click
sull’apposito link.
Ritratto del candidato
Oltre ai tradizionali requisiti, comuni ai concorsi pubblici, come quello della
cittadinanza italiana o dell’idoneità fisica all’impiego, il bando è aperto, in particolare,
ai laureati in ingegneria o architettura (o titoli equipollenti) iscritti alla sezione A
dell’albo di ingegnere o architetto.
La domanda
La richiesta di candidatura, come anticipato, deve arrivare all’Agenzia attraverso
l’applicazione informatica creata per l’occasione. Una volta completato l’invio,
l’aspirante funzionario riceverà un messaggio di posta elettronica automatico che
conferma l’acquisizione della domanda. Va da sé che il candidato dovrà comunicare un
indirizzo
e-mail.
Se, effettuata la trasmissione, il partecipante si rende conto di aver commesso
qualche errore, entro il 28 aprile avrà la possibilità di apportare tutte le modifiche
necessarie.
Infine, scaduto il termine di presentazione, dovrà stampare la propria domanda che
andrà esibita al momento della prima prova.
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E… a proposito di prove
La procedura ne prevede tre: una oggettiva attitudinale, una oggettiva tecnicoprofessionale e un tirocinio teorico-pratico di tre mesi in un ufficio dell’Agenzia, per
verificare l’abilità del candidato ad applicare le proprie conoscenze alla soluzione di
problemi operativi. Chi arriva a quest’ultimo step si guadagnerà una borsa di studio
consistente in 1.450 euro lordi al mese.
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Affitto locale commerciale e Iva
Esercito la mia attività in regime di esenzione Iva. Vorrei affittare dei
locali da una Sas. Il corrispettivo va assoggettato a Iva? Con quale
aliquota?
Per i contratti di locazione di fabbricati strumentali con locatore soggetto Iva, come
nel caso di una Sas che opera nell’ambito dell’esercizio dell’impresa, vige il regime di
esenzione (articolo 10, comma 8-ter, Dpr 633/1972). È, però, possibile optare per
l’assoggettamento all’imposta, manifestando l’opzione nello stesso atto di locazione. In
tal caso, trattandosi di immobili strumentali, si applica l’aliquota in misura ordinaria
(circolare 22/E del 2013). La locazione, oltre a scontare l’Iva al 22%, è assoggettata
anche all’imposta di registro nella misura dell’1% (articoli 40, comma 1-bis, del Dpr
131/1986, e 5, comma 1, lettera a-bis della tariffa, parte prima, allegata allo stesso
decreto).
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