Rizziconi, 11 dicembre 2014 Lettera aperta Al Presidente del Consiglio Al Ministro degli Interni Al Ministro dello Sviluppo Economico Al Ministro del Lavoro Al Ministro della Giustizia Al Ministro dell’Economia e delle Finanze Al Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie Ai Capigruppo di Camera e Senato Al Prefetto di Reggio Calabria Al Presidente della Commissione Antimafia Al Presidente della Regione Calabria Al Governatore di Banca d’Italia Al Presidente del Tribunale di Reggio Calabria Al Presidente del Tribunale di Palmi Al Procuratore Capo della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria Al Procuratore Capo della Repubblica presso il Tribunale di Palmi Al Segretario Generale CGIL Al Segretario Generale FIOM-CGIL Al Segretario Generale CISL Al Segretario Generale FIM-CISL Al Segretario Generale UIL Al Segretario Generale UILM-UIL Illustrissimi, da martedì 9 dicembre u.s. i dipendenti della mia azienda, la De Masi Costruzioni Srl con sede nell’area portuale di Gioia Tauro, che appartiene ad un gruppo industriale familiare che opera in Calabria e che aveva prima dei crimini che ha subito oltre 280 dipendenti, ad oggi rimasti in 150, hanno avviato come gesto estremo uno sciopero della fame in quanto l’azienda tra pochi giorni chiuderà ed essi perderanno il posto di lavoro. Certamente agli occhi dei tanti questa potrebbe essere una delle tantissime e disperate crisi industriali del Paese ma non è cosi in quanto: - da oltre 60 anni costruiamo macchine per la raccolta meccanizzata di frutti pendenti, olive, mandorle, pistacchi etc, che esportavamo in tutto il mondo, con il marchio De Masi leader sui mercati. - La crisi che sta affrontando l’azienda non è una crisi di prodotto di mercato o una crisi di competitività, ma una crisi dovuta alle illegalità ed ai crimini subiti, certificati dalle sentenze dei tribunali. - Abbiamo presentato ai tavoli istituzionali un piano industriale che prevede entro 24/36 mesi dall’avvio non solo l’assorbimento entro pochi mesi dell’intero personale attualmente in cassa integrazione, ma l’incremento a regime dell’occupazione a circa 200 unità complessive. Il piano è fondato e supportato da progetti e relazioni industriali con multinazionali che consentirebbero l’immediato rilancio della realtà industriale. - Non abbiamo bisogno di aiuti pubblici, di elemosine o sostegno di alcun genere, ma solo del ripristino della legge. Brevemente i fatti: a) Nel 2003 denunciammo con una lettera forte e chiara come alcune tra le maggiori banche nazionali (Banca Antonveneta, ora Monte dei Paschi di Siena, Banca di Roma, ora Unicredit e Banca Nazionale del Lavoro) ci avessero sottratto oltre 6 milioni di Euro dai nostri conti, addebitandoci interessi su crediti anticipati a tassi da usura. b) Nel 2006 dopo un lungo iter venne affidata in fase di incidente probatorio dinanzi al GIP una perizia tecnica ad un funzionario di Banca d’Italia, che confermò la presenza del fatto reato, rilevando l’usura in 69 trimestri su circa 150 analizzati. Nonostante le nostre contestazioni in merito al ruolo di terzietà nella vicenda della Banca D’Italia, e dei metodi e criteri di calcolo utilizzati che, come confermato poi dalle sentenze, sono illegali e “filo bancari”, vi fu comunque la conferma dell’evidenza del reato. Conferma che vi è stata in tutti i tre gradi di giudizio e definitivamente accertata dalla Sentenza di Cassazione nr ° 46669 del 23/11/2011, che attribuisce inoltre alle parti civili il diritto al risarcimento degli ingenti danni subiti, affermando alle pag. 26-27 che: “una volta accertata la sussistenza del fatto reato sotto il profilo oggettivo da parte degli istituti di credito, trattandosi comunque di illecito avente rilevanza civilistica, non rileva, ai fini risarcitori, che non sia stato accertato il responsabile penale della condotta illecita, in quanto l’azione, risarcitoria civile ben potrà essere espletata nei confronti degli istituti interessati che rispondono, comunque, ex art. 1218 e 1228 c.c., del fatto dei propri dipendenti. …..Su questa base la responsabilità della banca sussiste per il solo fatto che il danno ingiusto si è verificato per una condotta comunque alla stessa imputabile, dovendosi limitare l’apprezzamento della condotta dolosa o colposa (poco importa tale distinzione ai fini civilistici), alla comparazione tra standards normativi – come nella fattispecie in cui viene in rilievo la violazione dell’art. 644 c.p., comma 4, - situazione concreta, idonea a far ricadere sulla banca anche il rischio dei c.d. “danni anonimi”, cioè di cui non sia stato individuato il responsabile”. c) Il procedimento conclusosi con la sentenza di Cassazione si riferisce comunque ad un arco temporale che va dal 1999 al 2002, e per i periodi successivi, sussistendo la reiterazione del reato e delle illegalità subite, ho provveduto a depositare presso le procure competenti le ulteriori denunce penali ed a oggi vi sono i seguenti processi penali in corso: • Processo penale nr° 2540/08 R.G.N.R. – nr° 1135/11 RGT presso il Tribunale penale di Palmi (per i periodi successivi al 31/12/2002) a carico dei direttori generali di Banca Antonveneta, ora MPS; • Processo penale nr° 841/09 R.G.N.R. presso il Tribunale penale di Palmi (riunito con il procedimento nr. 2540/08), a carico dei direttori generali e funzionari di Banca Antonveneta (ora MPS) e BNL. • Processo penale nr° 8006/12 RGNR – 2233/13 RGT presso il Tribunale penale di Reggio Calabria, a carico dei direttori generali e funzionari di Unicredit Banca di Roma. Inoltre vi sono procedimenti in corso di istruttoria presso alcune Procure della Repubblica sia per il reiterarsi del reato di usura che per ulteriori e gravi reati: • Procedimento nr° 891/12 RGNR presso la Procura di Palmi per violazione degli artt. 644 e 110 c.p., trasmesso per competenza alla Procura della Repubblica di Roma. • Procedimento nr° 1755/13 R.G.N.R. presso la Procura di Palmi per violazione degli artt. 416 (associazione a delinquere), 644 e 110 c.p; • Procedimento nr° 873/12 R.G.N.R. presso la Procura di Reggio Calabria, trasmesso per competenza alla Procura della Repubblica di Roma; • Procedimento nr° 5112/13 R.G.R.N. presso la Procura di Reggio Calabria; • Procedimenti nr° 2524/12 RNR e nr. 737/13 RNR presso la Procura di Trani per violazione degli artt. 640 e 644 c.p. In tutti i processi e procedimenti vi è sempre l’inconfutabile conferma dell’elemento oggettivo del reato, l’usura e la violazione della legge 644 c.p. L’elemento in discussione è invece quello soggettivo, ovvero chi abbia commesso materialmente il reato, essendo passati dal computer in primo grado all’individuazione della responsabilità colposa degli organi apicali nella sentenza di Cassazione. Oltre a ciò io la mia famiglia e la mia azienda dall’Aprile dello scorso anno siamo sotto protezione in quanto oggetto di un gravissimo atto intimidatorio con l’esplosione di 44 colpi di kalashnikov contro i capannoni dell’azienda e poi con ulteriori fatti che hanno messo in grave pericolo la nostra incolumità. La mia azienda poi credo sia l’unica in Italia che è presidiata permanentemente dall’esercito Italiano che attua la vigilanza armata nell’arco delle 24 ore. Dopo 11 anni di battaglie legali e chiedendo a tutti giustizia, ho fatto di tutto per arrivare vivo e con le aziende in piedi al riconoscimento dei miei diritti; la mia famiglia si è privata di tutti i beni, abbiamo bussato ad amici e parenti per chiedere sostegno ed arrivare vivi ad una sentenza, siamo stati costretti a chiudere alcune aziende ed a svenderne altre, e ad oggi ci troviamo con soli 150 dipendenti rimasti. L’unità di crisi del MISE ha avviato un tavolo su questa vicenda già dal maggio scorso, con la partecipazione anche del Ministero degli Interni e del Ministero del Lavoro, ma dopo un anno e mezzo di trattative e di rinvii, al di là del costante e fattivo impegno dimostrato dai soggetti istituzionali, ritengo che non si sia ben compresa le reale posta in gioco, che non è rappresentata da importi o elemosine più o meno generose, ma da un principio, quello della giustizia. Le banche, appena abbiamo chiesto giustizia hanno prontamente chiuso i rapporti bancari, togliendoci la possibilità di lavorare, senza nessun’altra ragione che non fosse quella di impedirci di chiedere i nostri diritti. Grazie al nostro nome ed alla bontà dei nostri prodotti, abbiamo continuato sino ad oggi a mantenerci vendendo con pagamenti anticipati all’ordine, ma tale obbligata politica commerciale ci ha portato allo stremo ed esausti ed anche a seguito degli attentati subiti, abbiamo annunciato la chiusura dello stabilimento nel luglio dello scorso anno. Convocati al tavolo del Mise abbiamo presentato un complesso e dettagliato piano industriale in cui chiedevamo solamente che il governo si facesse carico di trovare i finanziamenti necessari per poterlo avviare, in attesa che la giustizia facesse il suo corso in quanto noi abbiamo il sacrosanto ed indiscutibile diritto di essere risarciti. Ci è stato però detto che se non chiudiamo il contenzioso esistente con le banche queste si rifiutano di darci nuova finanza. Nell’interesse dell’azienda e del mantenimento dei posti di lavoro, abbiamo quindi manifestato la nostra disponibilità, proponendo una transazione pari al 25% dell’importo della causa civile di risarcimento danni in corso presso il Tribunale di Palmi del valore di oltre 215 milioni di Euro. Sembra che una banca abbia arrogantemente affermato nel corso delle trattative di essere certa di sconfiggerci in tutte le sedi e per questo di non voler trattare, e sinceramente, visto la storia giudiziaria di questi undici anni, non so nel nome di quali leggi ciò possa essere affermato. Alla fine di queste snervanti e dilatorie trattative ci è stata quindi proposta una transazione del valore di 3 milioni di Euro, con la formula del “prendere o lasciare”. Proposta sconcertante che non ci consentirebbe assolutamente di riprendere l’attività lavorativa ed ha il solo fine, dopo aver allungato i tempi della trattativa per portarci vicini alla fine, di metterci davanti ad un’offerta che non potremo più rifiutare. Questo è quanto successo. Il Governo, forse non avendo ben presente l’oggetto della vicenda afferma di non poter intervenire oltremodo in una lite tra privati, ma forse si dimentica che il mercato creditizio è un bene pubblico sottoposto alla tutela dell’art. 47 della Costituzione e la violazione di tali norme, come nel caso dell’usura, di fatto prima vìola il bene pubblico e poi l’interesse della vittima. Le violazioni commesse non sono quindi in danno di De Masi, ma prima di tutto dell’interesse pubblico e siccome l’attività bancaria, come sancito dalla legge, è tutelata e sottoposta a vigilanza, si chiede all’Ente a ciò preposto, Banca d’Italia: - Se ritiene giusto e rispondente alle leggi, all’etica ed ai principi di onestà e di rispetto del bene pubblico, l’operato delle banche in questo contesto? - Se ritiene sufficiente o rispondente agli interessi generali consentire che con diverse e continuate azioni criminali le tre banche possano di fatto distruggere un’azienda come la De Masi emanando solo delle banali sanzioni amministrative? - Non ritiene che con il suo comportamento non solo vìola il suo dovere di tutelare gli interessi dei risparmiatori e utenti bancari ma di fatto si rende corresponsabile di tali reati (vedi atti Procura Trani)? - Non ritiene che il comportamento assunto dalle banche sia un ulteriore sfruttamento di una posizione di forza che, di fronte all’evidenza dei reati commessi, possa prefigurare un tentativo di estorsione finalizzato a privare la vittima in stato di bisogno dei propri diritti? Il Governo, il Ministero del Tesoro e gli altri organi a ciò preposti, in presenza di fatti reato accertati , non ritengono doveroso avviare o “costringere” (applicando la legge) a farlo chi di competenza, un procedimento di commissariamento della governance delle banche e di sospendere o revocare le autorizzazioni all’esercizio dell’attività bancaria? Si chiede alle Istituzioni tutte se ritengono doveroso, corretto e dignitoso costringere un’azienda, una famiglia ed i suoi lavoratori alla fame, in presenza di fatti reato accertati e di ben evidenti responsabilità? Io ho rispetto delle Istituzioni ma vorrei che le Istituzioni non dimenticassero il fine a cui sono chiamate: la tutela del bene pubblico e dei valori sanciti dalle leggi e dalla Costituzione. Spero e confido ancora come cittadino ed imprenditore che ha sempre creduto nei sacrali valori del mio Paese ed all’eguaglianza di tutti davanti alla legge, che le Istituzioni non possano permettere che un gruppo di aziende sane, che hanno sempre combattuto delle forti battaglie per la legalità in un territorio difficile e complicato e che garantiscono ca. 150 posti di lavoro ai quali va aggiunto l’indotto, siano portate al tracollo da fatti e comportamenti posti in essere da istituti di credito, che sentenze dello Stato italiano hanno già individuato come illegali. Non rinuncerò mai alla mia dignità di essere un uomo libero senza padroni e padrini, voglio e pretendo giustizia, lo griderò forte e combatterò sino all’ultimo mio respiro per ottenerla: lo devo a me stesso, alla mia famiglia ed ai miei dipendenti. Con ossequi. Antonino De Masi
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