Candidati, voti e favori Gli intrighi alla Sapienza

Cronache 21
Corriere della Sera Domenica 14 Settembre 2014
Università
Cambio al vertice dopo dieci anni (e tante polemiche). Il preside di Medicina: «Voglio un ateneo più europeo e porterò i calabresi in Europa»
In aula Studenti
alla Sapienza:
in tutto sono 110 mila
I volti
SEGUE DALLA PRIMA
Dicono abbia «risvegliato un mammut». Ma anche «devastato l’immagine dell’ateneo», coi mammut succede.
Parlare di cambio d’era non è eccessivo: vent’anni da preside di Medicina,
dieci da pro-rettore vicario e da rettore, moglie e due figli piazzati dentro
l’università, polemiche, inchieste, una
vasta corte di vassalli tra ordinari, associati e ricercatori, ovvero un popolo
di 3.872 elettori, molti dei quali gli devono qualcosa. Per dire: nonostante la
mission di dimagrire, Frati divise Medicina in tre, moltiplicandone le poltrone. «Nessuno dei sei candidati può
sostenere di non essere un uomo suo,
io sono leale e lo dico», sorride Tiziana
Catarci, una dei sei, che uomo non è
ma fa paura a un sacco di uomini —
bella, intelligente e aggressiva. La
chiamano la Zarina. «Non lo sapevo
ma non mi dispiace, Caterina la Grande ha trasformato la Russia». La Zarina
domina (per ora) sull’informatica e ha
in mano InfoSapienza, cervello milionario e vero centro di potere dell’università anche nell’allocazione delle risorse («i dati sono neutrali, poi la politica li… orienta»). È lei una delle due
carte che Frati prova a giocare perché
il cambio d’era si trasformi in una
transizione da lui stesso governata,
magari assurgendo a presidente della
Fondazione che, adesso, incassa gli introiti degli affitti dell’ateneo ma domani — chissà — potrebbe gestire direttamente il patrimonio immobiliare
di lasciti e donazioni, diventando tutt’altra torta.
L’altra carta è Eugenio Gaudio, preside di Medicina: cosentino. Il dettaglio non è irrilevante, i calabresi alla
Sapienza sono molti, non solo tra i
professori, ma anche tra tecnici e studenti (che pure votano, sebbene con un meccanismo
ponderato). Il Quotidiano
della Calabria gli fa garbata
propaganda («Un medico
calabrese tra i sei candidati»). Lui si schermisce: «Veramente vorrei una Sapienza più europea. Poi, se riesco
a portare i calabresi in Europa…». S’inalbera sul fratismo: «Non ne parlo! Voglio
parlarle del Paese!», dice, alzando i decibel. Immagina
un’università aperta ai quattrini privati: «Basta ideologismi». Non per ragioni ideologiche
Frati aveva un tempo affidato al dipartimento di Carlo Gaudio, fratello di
Eugenio, il proprio figliolo cardiochirurgo, Giacomo, che se pure fosse il
nuovo Valdoni si porta addosso lo
stigma dell’aiutino. Per non far preferenze, nel dipartimento di Eugenio si
può trovare poi anche la figliola di
Luigi il Magnifico, Paola, a Medicina
legale. Gaudio ha a sua volta il figlio
che fa dottorato di ricerca a Ingegneria
(ma sono decine i rampolli di professori con dottorato in ateneo). Ovvio
3.872
Tiziana Catarci
Sistemi di elaborazione delle informazioni
Il numero dei votanti
nelle elezioni
alla Sapienza
Eugenio Gaudio
Preside della facoltà di Medicina
Candidati, voti e favori
Gli intrighi alla Sapienza
per la fine dell’era Frati
Si sceglie il nuovo rettore. «Tutti e sei sono legati a lui»
Medico Luigi Frati, 71 anni, rettore della
Sapienza, è docente di Patologia generale
che con tanti intrecci familiari Frati
abbia a cuore il destino del fido amico.
Nonostante ciò si narra che lo punzecchi di tanto in tanto: «Eugenio caro,
mica vorrai diventare rettore al primo
colpo? Persino io ho dovuto fare il prorettore di Guarini, prima».
Nei corridoi si fanno calcoli frenetici. Catarci porta di suo tra i 350 e i 550
voti, Gaudio ne ha un pacchetto di
1.200 (Medicina da sola conta un terzo
dell’università). Bella somma, ma si
sussurra che i due non si sopportino,
al ballottaggio del quarto scrutinio si
tratta, e tutto può succedere. La Zarina
storce la bocca: «Gaudio e io? Rapporti
istituzionali. Sua prorettrice, io? Corro
per vincere». Sa di cosa parla. Frati potrebbe assegnarle la guida del tandem.
Chiedergli conferma è difficile, il rettore non risponde a quattro telefonate.
Ha rischiato l’arresto per difendere dai
poliziotti un romeno che volantinava
all’università. Gesto generoso, non
fosse che i volantini, anonimi, diffamavano uno dei sei candidati alla sua
successione. «Su questo non le dirò
una parola, si getta fango sulla Sapienza», tronca il diffamato, Giancarlo
Ruocco, ex capodipartimento di Fisica
e prorettore, 500 o 600 voti di dote.
L’accusano di avere avallato tutte le
scelte di Frati. «Ha fatto un buon lavoro. Ritengo mi abbia chiamato per le
mie competenze, non per politica, io
gli ero contro». Ma Frati include, no?
«Devo riconoscergli grande apertura
mentale». La sua avventura con l’Istituto italiano di tecnologia, 20 milioni
di finanziamento per cinque anni di
ricerche biomediche, può aver aumentato la stima del rettore ma certamente gli avrà procurato molte invidie, riflesse nel volantino. «Si presenta
la cosa come uno scambio, e non è vero. Due volte gli ho scritto lettere di dimissioni da prorettore e lui ha sempre
cambiato rotta».
Con 500 o 600 voti di partenza, la
sorpresa può essere Andrea Lenzi, endocrinologo, da otto anni presidente
del Consiglio universitario nazionale:
«Ho lavorato con cinque ministri. Se
nessuno ha ritenuto di investire su ricerca e innovazione, la colpa non è solo degli altri che son cattivi. È anche di
chi non dà un’immagine adeguata
della Sapienza. Frati è stato il mio preside. Poi, quando è stato eletto rettore,
mi sono dimesso da cinque cariche.
Non volevo essere ancillare». Lenzi è
La prossima poltrona
L’attuale numero uno
punterebbe a diventare
presidente della Fondazione
più politico, il Cun dà peso. Ha una figlia ricercatrice di Storia all’università
dei Legionari di Cristo, ha subìto duri
attacchi: forse sopra le righe rispetto
all’incarico della ragazza. «L’ho scritto
pure sul profilo Wikipedia, di mia figlia».
Qui Luigi il Magnifico ha mutato
anime e cattedre. Roberto Nicolai,
candidato delle facoltà umanistiche,
parla di «questione etica». La caccia al
parente è sacrosanta ma a tratti parossistica (la Catarci ha il marito in facoltà, ma si sono conosciuti lì da ragazzi).
Quasi tutti i candidati declamano sulle
sorti del Paese e sussurrano sulle magagne dei rivali. «Io mi sono dimessa
da prorettrice. Qualcuno fa il prorettore di lotta e di governo», dice la Zarina
alludendo a Ruocco. Lei, presidente di
InfoSapienza, siede per delega di Frati
anche nel consiglio d’amministrazione di Cineca, consorzio che fornisce
servizi all’università e ne valuta le ricerche. Inopportuno? «Certamente
no!». «Se divento rettore questa cosa
finisce», tuona invece Renato Masiani,
350 o 400 voti possibili, ingegnere e
preside di Architettura. InfoSapienza
era cosa sua. «Poi Frati decise diversamente, e arrivò Tiziana». Fatto fuori?
Replica gelida: «Renato era tutti i lunedì alle riunioni del governo dell’ateneo. Magari era distratto. Vuole la verità? Sono la prima candidata rettrice
in settecento anni di Sapienza: e do fastidio». In effetti colleghi (e colleghe)
non le risparmiano nessuno dei luoghi comuni su una donna di potere
che ostenta il tacco dodici. Ma è la Sapienza di Frati, miseria e nobiltà: in bilico tra la bolla papale da cui nacque e
una pagina web di Dagospia.
Goffredo Buccini
Roberto Nicolai
Preside della facoltà
di Lettere e Filosofia
Renato Masiani
Preside della facoltà
di Architettura
Andrea Lenzi
Professore ordinario
di Endocrinologia
Giancarlo Ruocco
Professore di Struttura della materia
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Istruzione La stima del Censis: solo per le bollette si spenderebbero 7,9 euro al mese per studente. Oggi è dotata di una connessione veloce una primaria su 10
Internet e tablet in ogni scuola? Servono 650 milioni l’anno
Sarà la #voltabuona per #labuonascuola e #unadidatticanuova? O, a colpi di slogan e
hashtag, l’istruzione post riforma farà il passo avanti e i
tre indietro che fino ad oggi
hanno inchiodato la scuola
italiana all’analfabetismo digitale? Il tema è di non poco
conto. Dopo anni di tentativi e
piani per portare le tecnologie
in classe, anche il governo
Renzi parla di una robusta
iniezione di digitale. Spostando, però, la barra del timone:
«Il processo di digitalizzazione — ha detto il premier presentando il suo disegno per
una nuova scuola — è stato
troppo lento, non solo per
mancanza di risorse pubbliche, ma anche perché si è investito in tecnologie “pesanti”
(Lim e tablet, ndr), che hanno
drenato risorse, ingombrato
le classi, spaventato docenti
non preparati». Ora si cambia:
gli investimenti saranno dirottati su reti, connessione a
Internet veloce, open data.
Nessuna previsione di spesa,
nel «libro delle intenzioni».
Ma a fare i conti ci ha pensato
il Censis: «Servono 650 milioni di euro all’anno, dei quali
184 milioni per la connettività, 274 milioni per la sicurezza
e 192 milioni per infrastrutture e apparecchi tecnologici»,
ha scritto ieri l’istituto di ricerca, nel numero 8 del «Diario della transizione». Tradotto in costo medio, il Censis stima una bolletta per Internet
veloce nelle scuole di 7,9 euro
al mese a studente.
Ma la strada sarà lunga: oggi solo il 10% delle scuole pri-
marie e il 23% delle secondarie
sono connesse a Internet con
rete veloce (superiore a 30
Mbps). Le altre sono collegate
a bassa velocità e spesso si naviga solo dalla segreteria o dal
laboratorio tecnologico, se
c’è. In un’aula su due, al web
non si accede. L’uso di Cloud
dedicati a insegnanti e stu-
denti è frutto di sforzi pionieristici e volontari di alcuni insegnanti. E per quanto riguarda l’hardware, i tablet disponibili per uso individuale
sono appena 14 mila. Il registro elettronico — ha calcolato Skuola.net — è usato in
classe dal 37% dei docenti, anche se a farne un uso misto
72
Mila È il numero delle
lavagne interattive
nelle scuole italiane
Si trovano in 22 mila istituti
a disposizione di circa
300 mila classi. Il registro
elettronico è utilizzato
dal 37% degli insegnanti
(elettronico e cartaceo) sono il
70%. E nell’Agenda Digitale si
legge che «il 90% dei contenuti in classe viaggia ancora su
carta e solo il 16% degli studenti può avvalersi di un setting didattico innovativo».
Non che si sia a digiuno di
innovazioni e di sperimentazioni, ma quello che è stato
fatto negli anni non è organico e non è completo. Si sono
riempite le scuole di lavagne
interattive (ce ne sono 72 mila, a disposizione di circa 300
mila classi, in 22 mila scuole).
Si sono attrezzate di tecnologia (computer e dispositivi
mobili) 1.300 «Cl@ssi 2.0».
Una trentina di scuole sono
diventate «2.0»: hanno subito
cioè una trasformazione radicale della didattica e dell’ambiente di apprendimento. È
dal 2007 che si cerca di ammodernare il modo d’imparare.
Ma sin qui lo si è fatto con fondi insufficienti: il Piano Nazionale Scuola Digitale ha ricevuto finanziamenti, tra il
2007 e il 2011, per 110 milioni
di euro; altri 20 (più 20 dalle
Regioni) nella Fase Due (tra
2012 e 2014). A questi vanno
aggiunti i 15 milioni del progetto «Wireless nelle scuole»
(di cui beneficeranno 1.500
scuole, delle 3.800 che han
fatto domanda), voluto dal
Il dominio della carta
Secondo l’Agenda
Digitale il 90 per cento
dei contenuti in classe
viaggia ancora su carta
ministro Carrozza nel 2013 e
che si concluderà nel 2015; e il
piano di formazione dei docenti: 600 mila euro per la costituzione di 38 poli formativi
nelle Regioni, che organizzeranno corsi partendo dalle
esigenze del territorio. Sommando tutto, fa meno dello
0,1% della spesa pubblica per
l’istruzione.
L’Ocse ha stigmatizzato il
gap infrastrutturale e il ritardo
culturale, quantificando in 15
anni il ritardo rispetto a Paesi
più convinti dell’importanza
delle tecnologie, come la Gran
Bretagna; mentre la Commissione europea ha sottolineato
che il nostro Paese ha la più
bassa disponibilità di accesso
alla banda larga della Ue.
Antonella De Gregorio
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