settimanale di bagheria n° 589

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e ro i di g ue r ra
SdB 589 - 4 Maggio 2014
AllÊeroe Giovan Battista Mineo dedicata una lapide nella città di Arezzo
Il prossimo 29 giugno la cerimonia nella cittadina toscana
Il prossimo 29 giugno la città di Arezzo
intitolerà un'area pubblica ed una lapide a due eroi che durante la seconda
guerra mondiale salvarono la vita a
200 persone destinate ad essere fucilate
dai tedeschi per ritorsione contro il rapimento, da parte dei partigiani, di due
loro ufficiali. Uno di questi era Giovan
Battista Mineo, bagherese deceduto
nel 1987.
Della vicenda che ha coinvolto il nostro
concittadino il "Settimanale di Bagheria" nel recente passato ha pubblicato
un ampio articolo a firma del prof.
Maurizio Padovano. Recentemente sull'atto eroico di Mineo assieme ad un
altro partigiano, Giuseppe Rosadi,
Santino Gallorini ha prodotto un libro
richiedendo il patrocinio anche al comune di Bagheria.
Ripercorriamone la storia. Siamo nel
giugno del 1944, il 26 una unità di partigiani, costituita da slavi e disertori
dell’esercito tedesco, comandata da un
russo di Odessa, fermò un’auto tedesca che procedeva lungo la
via della Libbia, da Arezzo ad Anghiari. Nell’azione fu ucciso
l’autista e presi prigionieri un colonnello tedesco assieme al suo
attendente. Il colonnello era il barone Von Gablenz, fratello di
due importanti generali e che al momento ricopriva importanti
incarichi nel Korück 584 (l’organismo di difesa delle retrovie
della X Armata) e portava rilevanti documenti per l’imminente
ripiegamento del LXXVI Panzer Korps (corpo corazzato) ed il
limitrofo LI Gebirgs Korps (truppe da montagna).
Il comando tedesco di Arezzo iniziò un grande rastrellamento,
prendendo prigionieri più di 300 civili dei paesi limitrofi, che poi
furono portati, assieme al parroco don Elia, all’interno della
chiesa della Chiassa Superiore (AR). Fu quindi diramato un
bando, che concedeva 48 ore ai partigiani per riconsegnare il colonnello ed il suo aiutante sani e salvi, altrimenti tutti gli ostaggi
sarebbero stati fucilati.
Anche un attacco alla chiesa della Chiassa non era possibile, perché avrebbe provocato l’uccisione degli ostaggi. Intanto, Rosseti
fece pervenire un messaggio al comando tedesco, in cui minacciava di uccidere i 35 tedeschi suoi prigionieri, se fossero state
usate violenze ai civili ostaggi alla Chiassa.
Nella notte, complici alcune sentinelle austriache, molti ostaggi
(vecchi, donne e bambini) furono fatti scappare, ma ne rimanevano ancora più di 200 in chiesa. L’ultimatum stava per scadere
ed ormai la strage era prossima.
Quando tutto stava per precipitare, arrivò alla Chiassa un partigiano su di un
cavallo bianco. Andò al comando tedesco e chiese di poter parlare con il
comandante.
Era Giovan Battista Mineo, il sottotenente partigiano “Gianni”, che munito di un lasciapassare repubblichino,
faceva finta di lavorare per loro. Una
specie di “agente segreto” dei partigiani, insomma. Era stata lui l’ultima
speranza per il comandante Rosseti.
Mineo chiese al comandante tedesco
altre 24 ore di tempo e si impegnò a riportare lui stesso il colonnello rapito.
L’ufficiale tedesco chiese ai suoi superiori e alla fine, dopo alcune incertezze, fu accolta la richiesta di Mineo
e le 24 ore furono concesse. Mineo
partì alla ricerca del colonnello e della
banda slava, che trovò dopo molte ore
di cammino, sulle montagne tra il
Chiavaretto ed Anghiari. Ma il russo
che lo aveva rapito, non voleva rilasciare l’alto ufficiale nemico.
Dopo molte trattative, portate avanti con pazienza ed intelligenza
da “Gianni” Mineo, il russo consegnò il colonnello Von Gablenz
ed il suo aiutante al partigiano italiano. Adesso, però, c’era da riportare l’ostaggio alla Chiassa, in tempo per la scadenza dell’ultimatum.
Intanto, il comando della XXIII Brigata aveva mandato un giovane russo a prendere la cavalla Luna dal contadino Sergio Primitivi, abitante a Preconne di Anghiari; il russo si unì a Mineo e
poi, con il colonnello e l’attendente, iniziarono la lunga marcia
verso la chiesa della Chiassa.
Mancavano poche ore alla scadenza dell’ultimatum e la strada da
fare era ancora lunga. Il colonnello, ultra sessantenne e menomato da una grave ferita risalente alla Grande Guerra, non ce la
faceva a tenere un passo svelto. Fu fatto salire sulla cavalla, ma
comunque la marcia proseguiva troppo lentamente. Arrivati verso
le Chiassacce, Mineo incontrò altri partigiani, tra cui Giuseppe
Rosadi; a quel punto, Von Gablenz scrisse un biglietto con l’ordine di sospensione della rappresaglia, Mineo lo prese, consegnò
a Rosadi e all’altro partigiano russo i due tedeschi prigionieri, con
l’ordine di accompagnarli alla Chiassa, mentre lui incominciò ad
andare più veloce.
Ma il tempo passava troppo in fretta e quindi Mineo incominciò
a correre. Correva da tanto tempo, stava arrivando in vista della
Chiassa, ma l’ultimatum stava scadendo.
Allora Mineo iniziò ad urlare con tutte le sue forze.
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I tedeschi, che stavano approntando il plotone di esecuzione già
erano intenti a far uscire i civili dalla chiesa per fucilarli, sentirono
le urla e, spinti anche dalle implorazioni delle donne del paese e
delle vittime designate, si decisero ad attendere e per capire chi
era che urlava, spedirono una pattuglia.
Il partigiano arrivò sfinito in piazza della chiesa e vide quell’orrendo preparativo in atto.
Ebbe appena il fiato per urlare: “Il colonnello è vivo! È vivo! Fra
pochi minuti arriva!”.
Le fucilazioni furono sospese ed infine arrivarono i due tedeschi,
scortati da Giuseppe Rosadi e dal giovane russo. Il colonnello
diede subito ordine di aprire la porta della chiesa e lasciare liberi
i più di 200 ostaggi. La gente piangeva, urlava di gioia, mentre le
campane della chiesa suonavano a festa.
Il 29 giugno 1944, giorno dell’orrenda strage di Civitella, Cornia
e San Pancrazio, Mineo – aiutato da Giuseppe Rosadi e da uno
sconosciuto ragazzo russo - ha salvato più di 200 civili con il suo
coraggio e la sua intelligenza.
Questa vicenda è stata narrata da Renzo Martinelli (I giorni della
Chiassa, Firenze 1945), da Antonio Curina (Fuochi sui monti dell’Appennnino Toscano, Arezzo 1957), da Enzo Droandi (Arezzo
distrutta). Ma nessuno si è mai sentito in dovere di ricordare questo fatto adeguatamente, rendendo onore ai due partigiani conosciuti: Giovan Battista Mineo, il partigiano “Gianni”, morto a
Novara nel 1987 e Giuseppe Rosadi, morto nel 2008.
Gianni Mineo apparteneva ad una famiglia di Bagheria e seppur
nato nel 1921 a Santa Flavia - paese di origine della madre, Sebastiana Varisco - ha abitato a Bagheria fino al 1952, quando è
emigrato a Novara, dove è deceduto nel 1987. A Bagheria sono
nati due dei suoi tre figli: Caterina e Francesco, attualmente vi ha
la residenza la terza figlia Ivi. Considerando che per il Comune
di Bagheria, deve essere un onore, l'aver avuto tra i suoi Cittadini anche Gianni Mineo, ho pensato di chiedere una collaborazione per la pubblicazione del libro che narra l'intera
vicenda.
Santino Gallorini
Comunicazione da parte della „Caritas cittadina di Bagheria‰
La Caritas cittadina di Bagheria, a seguito di dichiarazioni rilasciate in una intervista da un candidato sindaco di Bagheria che affermava che, in caso di sua elezione, avrebbe “riaperto” il servizio di “mensa per i poveri”, tiene a precisare che tale servizio non
è mai stato interrotto e ad oggi circa 50 pasti completi (anche di dolce) vengono garantiti, tutti i giorni feriali, ad altrettanti concittadini che vivono in una stato di disagio.
La Caritas cittadina ribadisce che questo servizio viene reso grazie all'immensa disponibilità dei tanti volontari che si prodigano
affinché chi è meno fortunato di noi abbia garantito almeno un pasto completo al giorno.
Nel contempo si fa presente che tra non molto la mensa della Caritas si trasferirà nella sede dell'ex chiesa di San Pietro in Corso
Butera liberando i locali in affitto fin'ora utilizzati di Via Santa Flavia.
Concetta Testa
Sospesi, per otto giorni, dal servizio i dipendenti del cimitero comunale
Il provvedimento a seguito dei fatti accaduti alcuni mesi fa
Ed alla fine, come in un racconto di Andrea Camilleri, si sono
scoperti, e puniti, i colpevoli delle tristissime vicende che
hanno coinvolto il cimitero comunale di Bagheria portando
alla gogna mediatica nazionale l'intera città e contribuendo in
maniera determinante anche alla mozione di sfiducia nei confronti dell'amministrazione Lo Meo.
Solo che questa volta, a differenza delle vicende raccontate
dall'autore delle storie del commissario Montalbano, i nomi
dei colpevoli erano da tempo sulla bocca di tutti e nessuna sorpresa è stata registrata non appena sono venute fuori le decisioni della “commissione disciplinare” costituita, sembra, per
la vicenda “Mercadante” ed “utilizzata” anche per i quattro dipendenti “ex cimitero”.
Su questa “prassi” è giunta voce (da confermare) che le commissioni costituite per i dirigenti debbano essere diverse da
quelle che devono giudicare i dipendenti e quindi, se ciò fosse
Michele Manna
vero, (così per come ci ha riferito un sindacalista) probabilmente si dovrebbe ricominciare tutto dall'inizio. Per quanto riguarda invece la conclusione dei lavori della commissione e
dei provvedimenti adottati, va detto che tre dipendenti sono
stati sospesi per otto giorni, senza retribuzione, mentre il
quarto, responsabile del servizio, di giorni di sospensione ne
ha ricevuti dieci. Tutti e quattro, già subito dopo la scoperta dei
roghi al cimitero, erano stati trasferiti in altri settori del comune. La vicenda venne a galla a seguito delle dichiarazioni
del pentito di mafia Sergio Flamia e della successiva operazione dei carabinieri di Bagheria.
E pensare che una vicenda del genere, venuta fuori grazie ad
una dichiarazione di un mafioso di primo piano, possa essere
solo opera di quattro dipendenti comunali non ci crede nessuno, probabilmente nemmeno lo stesso commissario Montalbano.