Lunedì 24 marzo 2014 Salute e prevenzione PERCHÉ SALUTE E PREVENZIONE Ambiente e salute Oltre la paura di MARCO TRABUCCO AURILIO P revenzione è benessere: è dal ruolo centrale della prevenzione come elemento fondamentale per favorire e mantenere lo stato di benessere dell’individuo e della collettività che nasce Salute e prevenzione, progetto editoriale frutto della collaborazione tra il Corriere del Mezzogiorno e Network Salute, organo ufficiale dell’Osservatorio Italiano di Prevenzione e benessere. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità in Europa, così come in Italia, il maggior numero dei decessi è determinato da patologie croniche — malattie cardiovascolari, respiratorie, tumori e diabete — correlate ai quattro principali fattori di rischio: fumo, cattiva alimentazione, abuso di alcol e sedentarietà. La nostra mission, quindi, attraverso una pluralità di rubriche e interventi scientifici, sarà quella di contribuire a comunicare corretti messaggi di salute per contrastare proprio i fattori di rischio ancora «modificabili», e diffondendo così una visione innovativa di salute, non solo come unica responsabilità di medici e operatori sanitari, ma come obiettivo primario di tutti. L’individuo, il cittadino, deve diventare, in questo processo, partner attivo nel conservare e migliorare il proprio stato di salute. Già vari anni fa, secondo l’Ocse, il nostro servizio sanitario era carente in termini di tempestività di risposta al bisogno, di comunicazione e multiculturalità, di rispetto dell’autonomia e della libertà di scelta, e infine scarso in termini di comfort e personalizzazione dell’assistenza. Oggi, pur essendo migliorata la qualità media dell’assistenza sanitaria rimangono, in particolare al Sud: basta pensare ai tempi di attesa fatalmente lunghi della sanità pubblica per alcuni accertamenti diagnostici utili per screening e prevenzione di patologie ad alta incidenza. E alle vecchie criticità se ne aggiungono altre, come quella di una non equa ripartizione dei fondi per la sanità destinati alle Regioni. Con la crescente domanda di informazione sulla salute, appare evidente che la comunicazione in sanità deve assumere un ruolo sempre più centrale nelle strategie di prevenzione sanitaria, diritti del malato e accessibilità alle cure: noi proviamo a dare il nostro contributo. Buona lettura. * Coordinatore scientifico di Network Salute © RIPRODUZIONE RISERVATA in collaborazione con di RAFFAELE NESPOLI ALLE PAGINE 2, 3 e 4 Quando l’ansia diventa patologia di RAFFAELE FELACO A PAGINA 6 Alimentazione «Curarsi» a tavola di KATHERINE ESPOSITO A PAGINA 7 Come convivere con il diabete A PAGINA 8 Sanità, i dati Istat 2013 Povero Sud, si risparmia perfino sulle cure mediche di EMANUELE IMPERIALI A PAGINA 11 Anoressia nervosa L’insidia di CHIARA MARASCA A PAGINA 9 2 Lunedì 24 Marzo 2014 Corriere del Mezzogiorno NA La vita al tempo dell’allarme inquinamento Oltre la paura di RAFFAELE NESPOLI D a un lato una paura incontrollata, l’idea di essere sull’orlo di un baratro dal quale sarà difficile salvarsi; dall’altro un «negazionismo» spesso parossistico, quasi un tentativo di ridurre tutto a una questione di stili di vita. Sta di fatto che il tema della salute, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, sembra essere ormai legato a doppio filo a sconcertanti vicende di cronaca: dall’incredibile situazione dell’Ilva di Taranto alla materializzazione dello spettro di Gomorra in Campania. E proprio per la Terra dei fuochi è scattato di recente il divieto di vendita dei prodotti agricoli coltivati in zone ritenute «ad alto rischio». Anche in questo caso, per avere un’idea d’insieme, si deve però guardare la questione da più punti di vista. Forte l’impatto mediatico della notizia, poi però ci si dimentica di sottolineare che dei 57 Comuni campani coinvolti, 1.076 chilometri quadrati in tutto, solo per il 2 per cento c’è la necessità di adottare misure di salvaguardia. Un caos alimentato dall’unica certezza di non essere riusciti sino a oggi a stabilire un nesso chiaro tra causa ed effetto, capire quali siano le reali conseguenze per i milioni di cittadini che si trovano a vivere in queste aree e, se possibile, definire quali siano gli screening necessari a seconda delle zone, cioè dei fattori inquinanti ai quali si è più esposti. Perché, se è vero che il rischio di creare allarmismi ingiustificati è sempre dietro l’angolo, è altrettanto vero che non si può non cercare di definire una sorta di road map che aiuti a fare un po’ di chiarezza. Paradossalmente, a questo compito pare abbiano assolto più che altro intellettuali, giornalisti e sacerdoti. Uno su tutti, Maurizio Patriciello, uomo simbolo della protesta di migliaia di cittadini. © Campania € 0.47 (non vendibile separatamente dal Corriere della Sera) Antonio Polito direttore responsabile Maddalena Tulanti vicedirettore Tanto rumore sulla Terra dei fuochi ma in Campania ci sono 345 mila ettari di terreni ufficialmente inquinati nei Sin Suo, e di Marco Demarco (editorialista del Corriere della Sera ed ex direttore del Corriere del Mezzogiorno) è il libro «Non aspettiamo l’apocalisse», storia di una battaglia che ha avuto il grande merito di accendere i riflettori sulla questione ambientale in Campania. Sempre sulla Terra dei fuochi si concentra l’instant book del «Pomodoro flambé» ‘‘ Sin e Sir Dopo il grande successo in edicola, «Pomodoro Flambé. La prima inchiesta su cosa mangiamo» è in vendita sullo store di Corriere.it, nella sezione saggistica, al prezzo di 4 euro. L’instant book curato dal giornalista del Corriere del Mezzogiorno Gianluca Abate fa il punto sull’emergenza ambientale e agroalimentare in Campania, regione dove nel 2011 si è registrata la spesa alimentare più alta d’Italia (superiore anche alla Lombardia) ma dove oggi i consumi sono crollati. Carmine Festa redattore capo centrale Domenico Errico amministratore delegato Speciale a cura di Angelo Lomonaco Sede legale: Vico II S. Nicola alla Dogana, 9 80133 Napoli - Tel: 081.7602001 Fax: 081.58.02.779 Reg. Trib. Napoli n. 4881 del 17/6/1997 Editoriale del Mezzogiorno s.r.l Vincenzo Divella presidente Giorgio Fiore vicepresidente Corriere del Mezzogiorno «Pomodoro flambè. La prima inchiesta su cosa mangiamo», a cura del giornalista Gianluca Abate. Al contrario, la politica non ha dato segni di risveglio. Almeno non quanti ne sarebbero serviti. Così, per quanto ci si possa documentare, e magari farsi un’idea propria, restano le domande di mi- «Sin» sta per Siti di interesse nazionale, «Sir» significa Siti di interesse regionale. Si tratta di aree contaminate e particolarmente pericolose, per le quali sono necessari interventi di bonifica. Dei 57 Sin iniziali, 6 sono in Campania, per complessivi 345 mila ettari, ma 4 sono stati declassati a Sir dal governo Monti. I Sir campani sono Litorale Domizio Flegreo e Agro Aversano, Pianura, Bacino idrografico del fiume Sarno, Aree del litorale vesuviano. Restano Sin Napoli Est e Bagnoli. Nessun declassamento in Puglia, dove i Sin sono quattro: Manfredonia, Brindisi, ex Fibronit di Bari e area industriale di Taranto. Nel Sud, altri 4 Sin sono in Sicilia, 2 in Basilicata e uno in Calabria. ‘‘ © Copyright Editoriale del Mezzogiorno s.r.l. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo quotidiano può essere riprodotta con mezzi grafici, meccanici, elettronici o digitali. Ogni violazione sarà perseguita a norma di legge. gliaia di cittadini. Quali sono le zone a rischio? Ci sono screening ai quali sarebbe bene sottoporsi per intercettare sul nascere un’eventuale malattia da inquinamento? Ci sono esami ai quali non si dovrebbe mai rinunciare? In attesa di trovare le risposte, si può almeno partire da un dato di fatto: comunque la si pensi, in Italia sono stati individuati negli anni ben 57 tra Siti di interesse nazionale (Sin) e Siti di interesse regionale (Sir), aree contaminate molto estese classificate come molto pericolose, per le quali sono necessari interventi di bonifica. La prima eccezione che si potrebbe sollevare è che in tutte le regioni esiste almeno uno di questi siti, e il «record» è detenuto da una regione del Nord, la Lombardia, che ne ha 7. Volendo abbozzare una sorta di classifica, subito dopo c’è la Campania (sei siti), poi Piemonte e Toscana (cinque), Puglia e Sicilia (quattro), Liguria (tre). Due per Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Marche, Lazio, Abruzzo, Sardegna e Basilicata. Mentre le regioni per le quali è stato individuato un solo Sin sono Valle d’Aosta, Umbria, Molise e Calabria. Va detto, però, che se la mappa si legge dal punto di vista dell’estensione delle aree maggiormente contaminate, i dati iniziano a essere più significativi. In questo caso le regioni più colpite risultano la Sardegna, con 445 mila etta- Stampa: Sedit Servizi Editoriali srl Via delle Orchidee, 1 - 70026 Z. I. Modugno - Bari - Tel. 080.585.74.39 Sped. in A.P. - 45% - Art.2 comma 20/B Legge 662/96 - Filiale di Napoli Diffusione: m-dis Distribuzione Media Spa - Via Cazzaniga, 19 20132 Milano - Tel. 02.25821 Pubblicità: Rcs MediaGroup S.p.A. Divisione Pubblicità, Vico II San Nicola alla Dogana, 9 - 80133 Napoli Tel. 081.497.77.11 Fax 081. 497.77.12 ri, e la Campania, con 345 mila. Tra i Sin più “noti”: Bagnoli (ex Italsider), Napoli Est, l’ex Fibronit di Bari, l’area industriale di Taranto e quella di Crotone. Di recente il ministero della Salute ha anche presentato un importante progetto che ha valutato la mortalità della popolazione residente in 44 Sin per un periodo di otto anni; circa 6 milioni di abitanti residenti in 298 comuni. «Sentieri» — acronimo di Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento — ha considerato 63 cause di morte (oltre ai tumori anche malattie respiratorie, circolatorie, neurologiche e renali) potenzialmente associate alla residenza in prossimità di poli chimici, petrolchimici, raffinerie, stabilimenti siderurgici, centrali elettriche, miniere e cave, zone aree o portuali, siti di smaltimento dei rifiuti e inceneritori. In alcuni casi i nessi causali sono apparsi chiari, perché esistono conoscenze scientifiche adeguate a spiegare incrementi osservati, come nel caso dei siti caratterizzati dalla presenza di amianto o di altre fibre asbestiformi nei quali l’aumento della mortalità per mesotelioma pleurico arriva a crescere 8 volte tra gli uomini e oltre 9 volte tra le donne. In altri casi, invece, si osservano incrementi della mortalità per cause per le quali il nesso con l’inquinamento ambientale è sospettato ma non accertato. Per esempio il tumore polmonare, che mostra un aumento di circa il 10 per cento sia tra gli uomini che tra le donne in siti contaminati da poli siderurgici (Taranto) o petrolchimici (Porto Torres). In altri siti ancora la mortalità per tutte le cause è inferiore del 5-10 per cento rispetto alla popolazione regionale, come a Sesto San Giovanni e Manfredonia. Questo non può che far pensare a un quadro di partenza favorevole, di una contaminazione ambientale che, pur esisten- Tariffe pubblicitarie (più IVA) - a modulo: Finanziaria € 142; Politica € 80 - € 110 colore; Legale sentenze € 142; Ricerche di personale € 100; Commerciale € 104; Occasionale € 129; Posizione prestabilita più 20%; Ultima pagina più 25% Proprietà del Marchio: © RCS MediaGroup S.p.A. Divisione Quotidiani Distribuito con il Direttore responsabile: Ferruccio de Bortoli 3 Corriere del Mezzogiorno Lunedì 24 Marzo 2014 NA Giuseppe Colucci Agostino Di Ciaula Laureato in Medicina e Chirurgia nel ’69 e specializzato in Medicina interna e in Oncologia, Giuseppe Colucci è stato primario di Oncologia medica e sperimentale fino al dicembre 2011 e dall’agosto 2001 è direttore del Dipartimento di Oncologia medica dell’Istituto Oncologico di Bari. Professore a contratto di Oncologia medica presso la Scuola di specializzazione in Medicina interna delle Università di Bari e di Palermo, è stato fondatore, nell’85, e presidente del Gruppo Oncologico dell’Italia Meridionale (Goim) che rappresenta oggi uno dei più importanti gruppi cooperatori italiani per la ricerca scientifica e per la formazione oncologica. Colucci ha fondato anche la Mediterranean Oncology Society, della quale è presidente onorario, come della Società italiana tumori (Sit), mentre in passato ha presieduto l’Ordine dei medici di Bari. È autore di oltre 580 pubblicazioni scientifiche, tutte di interesse oncologico, e ha promosso e organizzato decine di convegni specialistici. Cesare Gridelli Nato a Bari, Agostino Di Ciaula si è laureato in Medicina e Chirurgia nell’89 e specializzato in Medicina interna nel ’94. Medico ospedaliero — vicedirettore della Medicina interna di Bisceglie-Trani — è da anni attivamente impegnato in attività assistenziali, didattiche e di ricerca biomedica. Ha prodotto numerose pubblicazioni scientifiche (articoli su riviste internazionali, libri e capitoli di libro), anche grazie a collaborazioni con l’Università di Bari e con atenei esteri. Svolge attività di reviewer per alcune riviste mediche internazionali (European Journal for Clinical Investigation, Neurogastroenterology and Motility, Bmc Gastroenterology, Clinical and Experimental Rheumatology). È referente regionale per la Puglia dell’nternational Society of Doctors for Environment e, nell'ambito delle attività dell’Isde, si occupa delle interazioni tra ambiente e salute umana. Ha partecipato come relatore a numerosi convegni scientifici e divulgativi. Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1985 all’Università Federico II di Napoli, dopo aver conseguito le specializzazioni in Oncologia medica e in Medicina interna, Cesare Gridelli è diventato dirigente di I livello nella Divisione di Oncologia medica e poi responsabile dell’Unità operativa di Chemioterapia ambulatoriale dell’Istituto dei tumori di Napoli. Attualmente dirige la Struttura complessa di Oncologia medica e il Dipartimento di Onco-Ematologia dell’Azienda ospedaliera Moscati di Avellino. Membro di numerose associazioni scientifiche e gruppi cooperativi, Gridelli svolge attività di revisione ed editoriale per numerose riviste scientifiche internazionali ed è autore di oltre di più di settecento pubblicazioni tra abstracts e lavori per estenso su riviste nazionali e internazionali (di cui oltre trecentocinquanta su riviste internazionali indexate). L’area industriale di Taranto, al centro di moltissime polemiche Nella pagina a sinistra, rifiuti accumulati proprio vicino a coltivazioni agricole nella Terra dei fuochi, nella zona tra Napoli e Caserta, in Campania do, non si è tradotta in un’esposizione nociva per la popolazione; almeno non tale da determinare un danno alla salute. Si può poi presupporre un buon avanzamento delle opere di bonifica e di riconversione industriale con attività a minore impatto ambientale, o di definitiva dismissione dell’attività industriale stessa. Tuttavia, vale la pena di scavare più a fondo. Proprio per questo il progetto Sentieri ha raggiunto importanti sviluppi che mirano a caratterizzare lo stato di salute delle persone che vivono in prossimità dei siti inquinati, attraverso l’impiego di indicatori multipli (mortalità, incidenza tumorale, ricoveri ospedalieri, malformazioni congenite) e la conduzione di studi di coorte e di sorveglianza epidemiologica. Come riportato dall’Istituto superiore di Sanità: «Con il sostegno dell’Italia, l’Oms sta inoltre lavorando alla costituzione di una rete collaborativa sui siti contaminati europei. In questo senso, il progetto Sentieri ha gettato le basi per la realizzazione di un programma di osservazione permanente in stretta collaborazione tra istituzioni che operano nei settori ambientali e di sanità pubblica». Bene. Stabiliti alcuni punti fermi, però, la situazione resta caotica e il quadro generale non è del tutto intellegibile. Si può allora ricorrere all’aiuto di medici esperti per cercare di diradare un po’ la nebbia e interpretarlo almeno nelle sue parti essenziali. Per Expertscape (associazione californiana di Palo Alto, che si dedica a informare i pazienti sui migliori specialisti mondiali), Cesare Gridelli è il miglior oncologo del mondo nel trattamento del tumore al polmone, ed è proprio lui a spiegare: «Troppo spesso si sente parlare di tumori e di inquinamento, senza avere però cognizione di causa. Ultimamente – dice — l’attenzione dei media si è concentrata sulla Terra dei fuochi, un problema gravissimo di L’area industriale di Taranto è sicuramente contaminata, tuttavia sono pericolosi anche certi stili di vita cui si deve parlare, e per il quale certamente servono le bonifiche. Ma quello che mi preoccupa di più è l’assenza di dati certi e la mancanza di un vero e proprio registro dei tumori. Va detto che le cose stanno cambiando, fino a qualche tempo fa avevamo solo due registri per i tumori capaci di coprire appena il 30 per cento della popo- lazione campana. Dal primo gennaio è partito invece il registro regionale, che sarà ben più completo. Ma i dati li avremo non prima di tre anni. Stando così le cose, non è possibile parlare di causa e di effetto in termini scientifici. Possiamo solo analizzare i dati che abbiamo, che però ci danno una visione molto parziale». Resta la que- stione di fondo, cosa fare in attesa di conoscere le reali forme e dimensioni del problema? Per Gridelli non si può fare altro che usare il buon senso, «tenere alta la guardia, senza però fasciarsi il capo prima di esserselo rotto». In altre parole, spiega «si deve prendere atto della possibilità che nei prossimi anni potrebbe esserci Comportamenti a rischio ‘‘ In attesa che i dati statistici forniscano informazioni attendibili sui danni da inquinamento nelle aree ex industriali e in quelle dove sono stati stipati rifiuti per anni, i medici sottolineano è già accertato che gli stili di vita a rischio effettivamente influiscono. Il fumo, per esempio, è responsabile del tumore al polmone nel 70 per cento dei casi, e per il 30 per cento di tutte le altre neoplasie. Di contro, chi smette di fumare ha la certezza di migliorare la propria salute e ridurre i rischi che corre: dopo 5 anni, infatti, il rischio di mortalità per tumore polmonare si riduce quasi della metà rispetto a quello di un fumatore, e diminuisce anche il pericolo di cancro all’esofago, al cavo orale e alla vescica. Trascorsi dieci anni da quando si è smesso di fumare, il rischio di tumore si riduce addirittura sino al 40-50 per cento. E quindici anni dopo l’ultima sigaretta, il rischio di avere malattie cardiache coronariche è lo stesso di un non fumatore. Una campagna anti-fumo a Napoli una ricaduta sulla salute, in termini di aumento dei tumori e di altre malattie. Ma al momento non esistono per la Campania evidenze che lascino presupporre un significativo aumento delle neoplasie. C’è invece la certezza che stili di vita a rischio siano la principale causa di morti per tumore del polmone, ad esempio il fumo è responsabile del tumore al polmone nel 70 per cento dei casi, e per il 30 per cento di tutte le altre neoplasie». Così, al centro della discussione torna il tema di ciò che si può fare «nel proprio piccolo» per ridurre al massimo i rischi. Tra le tante incongruenze dei nostri tempi c’è infatti quella di preoccuparsi, a volte anche in maniera eccessiva, dei pericoli che arrivano dall'inquinamento ambientale; mentre, al contrario, non ci si cura minimamente di tutta una serie di comportamenti che, si sa per cento, avranno effetti devastati sulla salute. Anche i dati citati da Gridelli mettono in evidenza questa grave «schizofrenia» collettiva, per la quale si arriva addirittura ad aver paura di comprare verdura o frutta proveniente dall’area della Terra dei fuochi, ma non si ha nessun problema a fumare un pacchetto di sigarette al giorno. Che poi è un po’ come assumere costantemente una piccola dose di veleno. Eppure, chi smette di fumare ha la certezza di fare qualcosa di buono per la propria salute: dopo 5 anni, ad esempio, il rischio di mortalità per tumore polmonare si riduce rispetto a quello di un fumatore quasi della metà, e diminuisce anche il pericolo di cancro all’esofago, al cavo orale e alla vescica. Dopo 10 anni da quando si è smesso di fumare, il rischio di tumore si riduce addirittura sino al 40-50 per cento; e dopo 15 anni il rischio di avere malattie cardiache coronariche è lo stesso di un non fumatore. CONTINUA A PAGINA 4 4 Lunedì 24 Marzo 2014 Corriere del Mezzogiorno NA Gli effetti delle alterazioni del macro ambiente si rilevano dopo 20 anni. Ma a Taranto, caso unico, l’attesa di vita si è già ridotta di 2 anni L’area ex industriale di Bagnoli, a Napoli SEGUE DA PAGINA 3 E il fumo non è certo l’unico fattore di rischio al quale molti accettano di esporsi senza batter ciglio. Sempre più spesso, infatti, alla dieta mediterranea si va sostituendo un’alimentazione da «fast food» d’importazione statunitense. Abitudini che non riguardano solo i giovani, che nel week end si fermano spesso a mangiare nei pub, ma anche gli adulti che hanno ormai quasi del tutto sostituito il pranzo con panini o hot dog. A questo si aggiunge ogni sorta di bibita gasata e snack, dei quali la maggior parte delle famiglie italiane fa un consumo smodato. «Non meraviglia — dice Gridelli — che si stia assistendo a uno spropositato aumento del diabete e di tutte le patologie ad esso associate. In definitiva, non possiamo non considerare che macro e micro ambiente interagiscono tra loro nella determinazione del nostro stato di salute. E i nostri comportamenti di ogni giorno possono veramente fare la differenza». Tornando però ai problemi di inquinamento ambientale, esiste un programma di prevenzione che si sentirebbe di sottoscrivere? «Dire che non abbiamo un quadro chiaro della situazione — chiarisce — non significa negare che esista un problema ambientale. Sappiamo già che tra i tumori legati a fattori di inquinamento, i più frequenti sono il mesotelioma pleurico, ma anche linfomi, leucemie e tumori del Mesotelioma pleurico ‘‘ Il mesotelioma è una neoplasia che colpisce il mesotelio, il sottile tessuto che riveste la gran parte degli organi interni. Si tratta di un tumore «raro», visto che rappresenta l’1 per cento circa di tutte le malattie oncologiche. La forma più frequente è quella che colpisce la pleura, il mesotelio che riveste i polmoni e la parete interna del torace. Il più importante fattore di rischio per il mesotelioma è rappresentato dall’esposizione all’amianto: la maggior parte di questi tumori riguarda infatti persone che sono entrate in contatto con questa sostanza, a casa o sul posto di lavoro, o che vivono con persone che la lavorano. fegato. Per elaborare un piano di screening, per così dire “su misura”, si dovrebbe prima di tutto sapere con precisione quali sono gli agenti inquinanti ai quali è sottoposta una determinata popolazione. Diciamo invece che sulla base degli unici dati che possiamo considerare certi, consiglierei a tutte le donne di fare una mammografia annuale, e un Pap test ogni due anni. Chiunque, superati i 50 anni, dovrebbe sottoporsi a un esame di sangue occulto nelle feci e fare una colonscopia. Per i fumatori ultracinquantenni, una volta l’anno, sarebbe consigliabile una Tac spirale del torace». Mammografia, pap test, tac ‘‘ La mammografia è una radiografia in cui si comprime il seno tra due lastre per individuare la presenza di possibili formazioni tumorali. Viene quindi eseguita quando alla palpazione si avverte la presenza di un nodulo o come test di screening per cercare di scoprire la malattia prima che si manifesti. Allo stesso modo, il pap test serve a individuare precocemente tumori del collo dell’utero o alterazioni che potrebbero diventarlo. La tomografia computerizzata (Tac), tecnica di diagnostica per immagini, consente invece di esaminare varie parti del corpo anche per la diagnosi e lo studio dei tumori. La tecnica a spirale consente di ottenere immagini tridimensionali. Come detto, però, la questione ambientale non riguarda solo la Campania. Molte altre regioni del Mezzogiorno sono state negli ultimi tempi al centro di polemiche, spesso sollevate da associazioni di cittadini preoccupate per le possibili ricadute che l’inquinamento può avere sulla salute. Uno dei casi più eclatanti, sul quale è intervenuta anche la magistratura, riguarda l’I- le quali i media prestano maggior attenzione nel tentativo di spiegare una realtà tanto complessa. «La visione “cancrocentrica” dei danni provocati dagli agenti inquinanti — dice — è un po’ fuorviante. Problemi maggiori, infatti, si hanno nel breve periodo con malattie diverse dal cancro. Per esempio patologie dell’apparato respiratorio, ma anche cardiovascolari». Come referente regionale dell’Isde, e nell’ambito delle attività di questa società scientifica, Di Ciaula ha ben chiare le interazioni tra ambiente e salute, e il suo punto di vista su quanto sta accadendo a Taranto ne è la prova. «Quella zona — prosegue — può essere considerata, in negativo, un laboratorio a livello nazionale. Purtroppo parliamo di un carico di inquinanti che si trascina da decenni, un unicum epidemiologico a livello nazionale». Una situazione ben fotografata anche dagli ultimi dati Istat (database «Health for All») che mostrano chiaramente come in Italia l’attesa di vita sia ovunque in ascesa e in alcune situazioni abbia raggiunto livelli che si mantengono costanti. Ma i residenti nella Provincia di Taranto rappresentano l’unico caso a livello nazionale in cui l’attesa di vita dal 2006 ha invece subito una preoccupante inversione di tendenza, con una perdita nel 2009 di circa 2 anni di vita attesa per gli uomini, e di poco più di un anno per le donne». Contestualmente si rileva anche un forte aumento di patologie come che nulla hanno a che vedere con i tumori. «A Taranto — aggiunge Di Ciaula — si è registrato un significativo incremento della va di Taranto. E qui la questione pare com- questo, siamo di fronte a un fenomeno generazioni future». In conclusione, servi- mortalità per malattie respiratorie acute, plicarsi. Se da un lato l’impatto ambientale che interessa l’intera area di Taranto? Non rebbero programmi di prevenzione attenti malattie dell’apparato digerente e malattie sulla salute pare innegabile, dall’altro non direi. I dati ci dicono che i casi di tumore sia alle ricadute del micro che del macro cardiache. L’aumento della concentraziosi può non iniziare a distinguere tra «mi- del polmone sono aumentati, ma non in ambiente? «La prevenzione è importante ne atmosferica di inquinanti causa effetti cro» e «macro ambiente». Una classifica- maniera tanto accentuata come certa stam- per tutti, servirebbe però una maggiore importanti nel breve termine (anche nelzione ben chiarita dall’oncologo Giuseppe pa vuole far credere. Colpisce più che altro sensibilità per i soggetti a rischio. Ovvero l’intervallo di una sola giornata), soprattutColucci, specialista per quel che riguarda i il trend, ecco perché le autorità dovrebbe- persone oltre i 40 anni, fumatori o che han- to in termini di malattie cardiovascolari tumori gastroenterici e polmonari. «Che il ro imporre screening per la prevenzione no un cattivo stile di vita; e per coloro che (infarti, aritmie, ictus, scompenso cardiacancro sia una malattia ambientale — dice secondaria nelle popolazioni a rischio. Ad vivono in zone dove l’inquinamento am- co) e respiratorie (asma, riacutizzazioni di — è accertato. Si deve però capire cosa si esempio — prosegue Colucci — un esame bientale ha un peso reale. In questo senso broncopatie croniche). Questo è particolarintende quando si parla di ambiente. Par- che si chiama Tac spirale a basso dosag- il quartiere Tamburi di Taranto è un perfet- mente evidente nei soggetti più vulnerabili, come i bambini, liamo di macro ambiente facendo riferi- gio. A poco serve, invece, la semplice radio- to esempio. Un agglogli anziani, i malati merato urbano che la mento a tutti i fattori ai quali siamo nor- grafia del torace che in passato si faceva ancronici. E, ovviamenmalmente esposti. Ad esempio esposizioni nualmente. Nell’intervallo tra un controllo politica ha colpevolMutazioni epigenetiche te, si ripercuote sul per così dire “accidentali”, legate al luogo e l’altro possono infatti svilupparsi neopla- mente fatto nascere numero dei decessi. di lavoro. Il micro ambiente è invece lega- sie fatali. Il problema vero è che la preven- a un chilometro dalle Il «danno epigenetico» è L’effetto dell’inquito a stile di vita (alimentazione, fumo, zione secondaria non è tanto efficace, non ciminiere». un’alterazione che induce namento per lungo In altre parole, penstress e così via), ed è a questa classifica- quanto quella primaria. Diciamo che audifetti dell’espressione del Dna tempo determina inzione che si lega il 70 per cento circa dei menta la possibilità di guarigione, un T1 o sando ai tumori, si in assenza di modifiche della vece la comparsa di considera la possibilicasi di tumore. Va detto che gli effetti del un T2 hanno possibilità di guarigione a 5 sequenza dei geni. malattie polmonari macro ambiente sono rilevabili di norma a anni che si aggira attorno al 60 per cento». tà di diagnosi precoÈ stato dimostrato che questo danno croniche, ad esemce un’arma vincente. Dicevamo però che non siamo solo al couna distanza di circa 20 anni, quindi siaè alla base di una vera e propria pio la bronchite cromo costretti a ragionare su dati che solo spetto di patologie neoplastiche. «Sì, ma Ma si è veramente «riprogrammazione» fetale nica, l’asma e l’enfivincenti se si agisce a nei prossimi anni potranno offrirci una vi- per patologie come la broncopolmonite patologica, in grado di determinare sema, e l’insorgenza sione più ampia e dettagliata. Insomma, cronica — sostiene Colucci — non si può monte, non solo cerl’insorgenza di malattie di varia di varie neoplasie cando di limitare i oggi i numeri ci aiutano, ma non ci dicono fare prevenzione. Anche quando si parla di natura in età adulta. maligne, come il cantutto». Dunque, al momento possiamo so- diossina, dicendo che è sotto i livelli di danni di malattie già Altra conseguenza tipica del danno cro polmonare e le insorte ma impedenlo procedere per ipotesi? «In alcuni casi ab- guardia, si usa una frase equivoca; perché epigenetico è che, quando sono leucemie». Ma esibiamo già certezze, in altri possiamo affi- siamo nei termini di legge, ma si dovrebbe do che queste insorinteressate le cellule germinali del ste un aspetto ancor gano, evitando l’edarci al buon senso e fare delle stime». Da tenere conto anche del tempo di esposiziofeto, le conseguenze sanitarie si più inquietante. questo punto di vista, come si inquadra la ne». In sostanza, la tesi è che siamo sem- sposizione alle sorendono visibili e misurabili «Nel caso dell’Ilva, stanze che le provocaquestione degli screening, ad esempio per pre esposti ad agenti pericolosi e che per a distanza di due generazioni molti degli inquinanquanti vivono nei pressi dell’Ilva di Taran- questo stiamo registrando, in alcune zone no. Ecco perché la dal momento dell’esposizione di ti (soprattutto metalprevenzione primato? «Dal punto di vista mediatico capisco di più, in altre meno, un generale aumenli pesanti e compodonne in gravidanza. ria è solo in parte che la parola screening abbia un certo ap- to dei casi di cancro? «Sì, nonostante si sti organici clorurati compito dei medici, peal. Ma cerchiamo di mantenere un ap- stia combattendo questa battaglia con arcome diossine e che possono al massiproccio scientifico. Gli screening servono, mi sempre più sofisticate, e penso alle nuoPcb), oltre a entrare nella catena alimentama non meno importante è la prevenzione ve cure e alla prevenzione, non riusciamo mo svolgere un ruolo di sostegno informa- re sono in grado di superare la barriera plativo basato sulle evidenze scientifiche. In primaria. Nei pressi dell’Ilva si è registrato a evitare un bilancio sempre negativo. centare e di causare danni già in epoca fetaun incremento di alcune neoplasie, ma an- Ogni anno i casi aumentano perché vivia- realtà il ruolo più importante lo gioca la le. Questi inquinanti causano, tra gli altri che di tante altre malattie polmonari come mo in un ambiente altamente inquinato. politica. Questa è anche la tesi del dottor effetti, quello che si definisce “danno epiad esempio le bronchiti croniche. È chiaro Siamo perciò soggetti a mutazioni epige- Agostino Di Ciaula, specializzato in medici- genetico”, un’alterazione che induce difetche in quella zona entrano in gioco più fat- netiche, che possono modificare la funzio- na interna e referente per la Puglia dell’I- ti dell’espressione del Dna in assenza di tori. Basti pensare che le polveri che cado- ne dei geni. Fortunatamente non viene in- sde (International Society of Doctors for modifiche della sequenza dei geni. È stato no nei pressi del complesso industriale taccato il Dna e dunque queste modifica- Environment). Di Ciaula inquadra il pro- dimostrato che questo danno è alla base di cambiano il colore alle cose, figuriamoci zioni sono reversibili. Ma resta il fatto che blema guardando al di là delle patologie una vera e propria “riprogrammazione” fese non hanno un effetto sulla salute. Detto ci renderemo conto degli effetti solo con le neoplastiche, che sono di norma quelle al- tale patologica, in grado di determinare l’insorgenza di malattie di varia natura in età adulta. Altra conseguenza tipica del danno epigenetico è che, quando sono interessate le cellule germinali del feto, le La controversa storia dell’istituzione regionale conseguenze sanitarie si rendono visibili e misurabili a distanza di due generazioni dal momento dell’esposizione di donne in gravidanza. Quindi non parliamo di effetti che possono essere rilevati nell’immediato. I neonati — prosegue l’esperto — oltre che per esposizione diretta, subiscono il Secondo l’Airtum, oggi sono attivi 43 registri che seguono circa on le prime inchieste che hanno messo in correlazione passaggio di diossine e altri inquinanti tos28 milioni di italiani, corrispondenti al 47% della popolazione. l’inquinamento ambientale e lo stato di salute dei cittadini, sici attraverso il latte materno, continuanProprio la situazione campana è stata sino a qualche tempo fa tra agli occhi dell’opinione pubblica si è imposta con prepotenza la do ad accumularli dopo la prima contamile più controverse, tanto che a fare chiarezza, non più tardi due questione dei registri tumori. In Campania, l’assenza di un nazione subita già in utero. A questo promesi fa, è stato direttamente il governatore Stefano Caldoro: «Il quadro organico e rappresentativo della maggior parte della posito, uno studio pubblicato pochi mesi Registro dei tumori — ha spiegato — c’è, è vigente e funzionante popolazione ha creato sino a qualche tempo fa aspre polemiche, fa su una rivista scientifica internazionale dal settembre 2012, istituito con decreto commissariale 104. Il in primis quelle delle associazioni scese in piazza per denunciare ha dimostrato la presenza di diossine nel Consiglio regionale ha approvato una legge, nel luglio 2012, la condizione di degrado e di assoluto abbandono della Terra dei latte materno delle donne di Taranto, con impugnata dalla Corte Costituzionale, ma non abbiamo atteso fuochi. Il fatto che se ne parli sempre più, non significa però che valori sino a 40 volte superiori a quelli conulteriori attività del Consiglio e siamo intervenuti con un decreto tutti sappiano cosa significa l’espressione registro dei tumori, o siderati “tollerabili” dall’Organizzazione commissariale, esercitando un potere sostitutivo». Il decreto del che si conosca lo stato dell’arte in regioni come la Campania, Mondiale della Sanità». Dati che fanno risettembre 2012 prevede proprio «l’istituzione dei registri e, noi dove il rischio ambientale ha creato una valanga di polemiche, flettere e che, ancora una volta, rivelano siamo tra i primi, con copertura totale in tutta la Campania». non sempre giustificate. Così come è spiegato sul sito chiaramente come nella gestione degli equilibri tra ambiente e salute un ruolo di All’inizio ne erano dotati solo Caserta e Salerno. dell’Associazione italiana registro tumori (Airtum), quelle sparse primo piano si inevitabilmente affidato alR. Nes. sul territorio nazionale sono strutture impegnate nella raccolta di la politica. informazioni sui malati di cancro in base al luogo di residenza. © RIPRODUZIONE RISERVATA Siamo sempre esposti ad agenti pericolosi ma in molti casi è possibile fare prevenzione evitando i fattori di rischio ‘‘ Il Registro tumori? Esiste dal 2012 C © RIPRODUZIONE RISERVATA 5 Corriere del Mezzogiorno Lunedì 24 Marzo 2014 NA Ambiente e salute Incidono le grandi fabbriche e i rifiuti, ma anche gas di cucina, polvere, batteri nei filtri dei condizionatori Allarme asma allergica Carlo Capristo Tre milioni di casi in Italia per l’inquinamento «indoor» e «outdoor» di RAFFAELE NESPOLI U Carlo Capristo, nato a Napoli 14 novembre 1970, dopo aver conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia, si è specializzato in pediatria. È dottore di ricerca in Farmacologia e fisiopatologia respiratoria e dal 2007 ricercatore universitario presso il Dipartimento della Donna del bambino di Chirurgia generale e specialistica della Seconda Università degli Studi di Napoli. È anche docente di pediatria e di malattie respiratorie in età pediatrica. Dal 2011 partecipa alla stesura delle linee guida Gina (Italia) sulla diagnosi e terapia dell’asma. Dal 2013 è anche consigliere nazionale della Simri, ovvero della Società italiana di malattie respiratorie infantili che si propone di favorire e promuovere la ricerca, la didattica e l’assistenza per i problemi del bambino con malattie respiratorie. (Raf. Nes.) na malattia che in Italia colpisce circa tre milioni di persone, quasi centomila solo in Campania. Quando si parla di asma è chiaro che si pensa subito anche a possibili correlazioni con fattori di inquinamento ambientale: fumi, gas di scarico e allergeni che in persone predisposte possono provocare l’acutizzazione dei sintomi e, nei casi più gravi, anche vere e proprie crisi respiratorie. Naturalmente, non si possono stabilire delle correlazioni nette tra causa ed effetto, ma la cosa certa è che i casi stanno velocemente aumentando, e i soggetti più a rischio sono spesso i bambini. Ne abbiamo parlato con Carlo Capristo, professore di pediatria alla Seconda Università di Napoli. «Negli ultimi tempi — ribadisce lo specialista — si è osservata una sorta di escalation di questa malattia, soprattutto nelle principali metropoli. Questo lascia pensare che esista un nesso di causa ed effetto tra inquinamento ambientale e forme più o meno gravi di asma. Ma saranno necessari molti altri anni per capire con assoluta certezza quanto l’ambiente circostante possa incidere nella genesi e nell’evoluzione dell’asma». Il professore Capristo distingue l’inquinamento in outdoor e indoor, «esterno» e «interno». «Solitamente — spiega — si è indotti ad associare l’inquinamento alle grandi fabbriche o magari ai rifiuti. Questo in parte è giusto, ma esistono moltissimi altri fattori che possono essere classificati come inquinamento. Molti dei quali sono indoor, vale a dire che si trovano all’interno delle nostre case. Si pensi ad esempio al gas di cucina, ai batteri che si possono annidare nei filtri dei condizionatori e agli acari. E poi, muffe e allergeni di ogni tipo. Questi sono tutti fattori di rischio. È chiaro che lo stesso pericolo arriva anche da fuori, con i gas di scarico, le polveri sottili e così via». Resta però, nell’immaginario collettivo, una certa evanescenza del termine «asma». Pur essendo una parola che si sente spesso, a volte la si usa anche a sproposito. Dunque, meglio tratteggiare per grandi linee il profilo di questa malattia. «Tutti sanno — chiarisce Capristo — che l’asma è una patologia infiammatoria delle vie aeree. Quello che invece non sempre si comprende è che non esiste solo un tipo di asma. Ad esempio nei bambini possiamo individuare almeno tre fenotipi. Tre grandi categorie che spiegano l’evoluzione dei sintomi seguendo diverse tempistiche. In primo luogo, abbiamo bambini che mostrano i sintomi già nel primo anni di vita. Si tratta solitamente di un problema che si risolve entro i tre anni. La cosa che colpisce è che spesso, nella maggioranza dei casi, questi neonati hanno madri fumatrici. Altra categoria è quella che ricomprende bambini con sintomi solo a partire dai primi dodici mesi di vita, e che risolvono il problema non prima degli otto anni d’età. Solitamente si tratta di piccoli che hanno avuto infezioni gravi delle vie respiratorie, ad esempio bronchiolite o polmonite. Infine, soggetti asmatici veri e propri. Cioè ragazzini che iniziano a manifestare sintomi verso il terzo o quarto anno e che sviluppano in seguito asma cronica. Il più delle volte questo tipo di problema è legato alla presenza di un familiare allergico, a una dermatite atopica o un’allergia in atto». Accanto a queste, esiste poi una forma che viene definita asma grave, che non beneficia della consueta terapia con steroidi per via inalatoria ad alte dosi. Per i bambini è necessario individuare un piano terapeutico personalizzato con farmaci mirati, che vadano a controllare i meccanismi patogenetici. Va detto che la terapia anti-IgE, disponibile anche per i bambini, è fra le terapie raccomandate da un recentissimo documento congiunto delle società pneumologiche americana ed europea (Ers-Ats), pubblicato poche settimane fa. La ricerca in questo settore è ora concentrata nell’individuare biomarcatori che aiutino a caratterizzare da un punto di vista biologico le forme di asma grave e permettano quindi un approccio terapeutico guidato. La Società italiana per le malattie respiratorie infantili (Simri) sta portando avanti il primo registro europeo basato su un archivio on line per i bambini con asma grave che permetterà Una ragazza pronta ad azionare l’inalatore anti-asma Nella foto a sinistra, lo specialista Carlo Capristo di mappare l’epidemiologia e le caratteristiche di questi bambini. Ma, il punto nodale, dice Carlo Capristo «è che i farmaci attualmente a disposizione non sono in grado di modificare la storia naturale della malattia. Un esempio arriva dallo studio Camp (Childhood Asthma Management Program) grazie al quale si è osservato che il trattamento a lungo termine con corticosteridi per via inalatoria dei bambini asmatici, con asma moderato persistente, non è in grado di portare a una remissione. Oggi si bada al controllo dei sintomi e la terapia del paziente asmatico si fa sulla base dei sintomi. Per i medici si tratta di un compito importantissimo perché il fine è quello di permette a un bambino asmatico, e in seguito a un adulto, di avere una vita normale». © RIPRODUZIONE RISERVATA 6 Lunedì 24 Marzo 2014 Corriere del Mezzogiorno NA Raffaele Felaco Ambiente e salute mentale La tensione può scaturire da vicende personali, ma anche dalla paura dell’inquinamento Pericolo imminente Raffaele Felaco è psicologo sociale, psicoterapeuta e presidente dell’associazione Psicologi responsabilità sociale. È stato docente di psicologia sociale all’Università dell’Aquila e alla Sapienza di Roma. I suoi interessi scientifici sono incentrati sulla psicologia dell’emergenza e dei traumi, argomenti sui quali ha pubblicato tre volumi, materie che insegna in varie scuole di psicoterapia. È responsabile dell’ambulatorio di Supporto psicologico nelle malattie croniche e degenerative della Asl Napoli 2 Nord. È stato anche presidente dell’Ordine regionale degli psicologi ed è particolarmente impegnato nel costruire condizioni per lo sviluppo della professione, ha promosso la legge regionale della Campania numero 9 dell’agosto 2013 che ha istituito la figura dello psicologo del territorio. Ha partecipato inoltre a gruppi di ricerca in seno all’Istituto di Psicologia del Cnr e pubblicato sui temi dell’attaccamento e del temperamento. Attualmente è segretario del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi. La sensazione di rischio genera ansia, preoccupazioni eccessive richiedono il ricorso allo specialista di RAFFAELE FELACO S empre più spesso sentiamo parlare di ansia, ma non sempre sappiamo esattamente cosa sia, quali conseguenze possa avere. È importante partire dalla sua definizione clinica: si tratta di una condizione psichica caratterizzata da un’anticipazione apprensiva di un evento che si presume negativo, caratterizzata da sentimenti eccitativi e da sintomi fisici di tensione. Questa condizione può avere motivazioni interne o anche esterne all’individuo. Quando queste preoccupazioni diventano invasive e pervasive del nostro quotidiano possono condurre alla patologia. Soprattutto se investono una quantità di eventi o attività della nostra giornata. Ad esempio, se la persona ha difficoltà a controllare la preoccupazione ci possono essere irrequietezza, difficoltà a concentrarsi, irritabilità e problemi di tensione muscolare. In realtà tutti siamo soggetti a un’ansia «episodica», che pure ci provoca queste emozioni, ma che tuttavia non diventano pervasive. Ad esempio se siamo in sala di attesa e aspettiamo la nascita di nostro figlio, è proprio così che ci sentiamo; anche se aspettiamo i risultati di un importante test o esame clinico. Oppure se il nostro amore appena sbocciato è in ritardo possiamo sperimentare queste emozioni negative. I tifosi di uno sport, come gli ultras nel calcio, possono essere sovraeccitati, avere difficoltà di concentrazione, essere soggetti a irritabilità, oppure vivere uno stato emotivo alterato in attesa che venga battuto un calcio di rigore. Queste condizioni hanno la caratteristica dell’occasionalità e pur suscitando emozioni molto forti, al punto che possiamo sentire di non poterle reggere e restare prigionieri di quello stato, non rappresentano un pericolo per la nostra integrità. Alcuni ritengono addirittura positiva quella tensione ansiosa, quell’irrequietezza che ci prende prima di un esame a scuola o di un importante colloquio di lavoro. I motivi per cui ci sentiamo in questo modo, dicevamo, possono essere interni o esterni. Nel primo caso sono solitamente legati alla combinazione di caratteristiche temperamentali innate ed esperienze precoci, ma anche a esperienze accadute un’unica volta, e particolarmente traumatizzanti. Vivere il periodo formativo della vita in una condizione di stress cronico, come ad esempio in una famiglia conflittuale o maltrattante, è una condizione che può dar luogo a disturbi d’ansia in età adulta. Tuttavia le condizioni di stress possono anche essere esterne al mondo degli affetti, per esempio una condizione cronica di instabilità sociale o la perenne precarietà economica o addirittura la guerra. Anche vivere in condizioni di forte probabilità di incidenti naturali, climatiche di pericolo, sperimentare nell’infanzia allagamenti, terremoti, frane, valanghe, sono condizioni di stress che minano il sentimento di sicurezza personale e che possono dar luogo a cronicizzazioni dell’ansia. Condizioni invece di pericolo di incidenti ambientali connessi con attività umane, come presenza di centrali atomiche, industrie inquinanti o inquinamento del suolo e dell’ambiente, creano una condizione psichica di «pericolo imminente» e incontrollabile, che produce ansia in tutti i cittadini. E in questo senso basta pensare a quello che sta avvenendo in regioni come la Campania con la Terra dei fuochi, o in Puglia con l’Ilva di Taranto. In entrambi i casi, ma ce ne sarebbero anche molti altri da prendere in considerazione, il rischio ambientale diventa un potente innesco per fenomeni di ansia. Anche perché, i media amplificano il fenomeno sotto due aspetti: da un lato lo validano, fanno in modo che sia percepito come «indiscutibile», dall’altro lo rendono estremamente pressante. Tutto questo può tradursi in un vero e proprio problema sociale. Sintomi come irrequietezza, irritabilità, tensioni, disturbi del sonno, possono trasfor- marsi in un problema di difficile gestione se non adeguatamente considerati e gestiti in tempo. Proprio quando la durata, l’intensità, la frequenza delle preoccupazioni sono eccessive rispetto alla reale probabilità o impatto dell’evento temuto e la persona trova difficile impedire che i pensieri perturbanti non interferiscano col compito che sta svolgendo, così come l’eccessiva preoccupazione per attività quotidiane rutinarie, rendono necessaria la consultazione di uno specialista per chiedere aiuto. © RIPRODUZIONE RISERVATA Psicoterapia La metodologia è frutto di un lavoro di osservazione e sperimentazione durato oltre sedici anni Un tuffo (insieme) in piscina per sfidare l’autismo Funzionamento e risultati della Terapia multisistemica in acqua (Tma) di GIOVANNI CAPUTO e GIOVANNI IPPOLITO Giovanni Caputo Q uando parliamo di disturbo autistico facciamo riferimento a uno dei più gravi disturbi dell’età evolutiva: una complessa disabilità dello sviluppo che compare tipicamente durante i primi tre anni di età e perdura per tutta la vita, risultato di un disturbo neurologico che agisce sul funzionamento del cervello. Purtroppo, ancora oggi, la causa di questa malattia rimane sconosciuta e gli interventi che vengono adottati sono diversi. I bambini autistici normalmente hanno difficoltà nella comunicazione verbale e non verbale, nelle interazioni sociali, nelle attività legate al tempo libero e al gioco. Ed è proprio su queste premesse che, dopo anni di osservazione e sperimentazione, è nata in Italia la Terapia multisistemica in acqua (Tma) metodo Caputo-Ippolito. Una metodologia che è il frutto di più di 16 anni di esperienze pratiche con persone affette da autismo, che è stata poi usata anche per altre patologie. Ad esempio il disturbo da attenzione e iperattività, fobie specifiche, disturbo oppositivo provocatorio, ritardi mentali, sindrome di Down e disturbo della condotta. Parliamo di una metodologia che presta una grande attenzione alle predisposizioni di ogni singolo individuo e ai suoi deficit e che non deve essere l’unico intervento ma si deve inserire in un progetto riabilitativo globale, in cui gli aspetti relazionali, emotivi e di integrazione sociale sono fondamentali. In particolare, la Tma è un trattamento nato e sviluppato in un ambiente naturale, quale è la piscina pubblica, e usa come modello teorico di riferimento la teoria dell’attaccamento di John Bowlby, l’holding winnicottiano e la sintonizzazione di Daniel Stern. In pratica, dopo diverse sperimentazioni in piscina, ci Giovanni Caputo è uno psicologo psicoterapeuta cognitivo comportamentale, ideatore della Terapia multisistemica in acqua. Coautore del libro edito dalla Franco Angeli «La Terapia multisistemica in acqua. Un nuovo approccio terapeutico per soggetti con disturbo autistico e della relazione. Indicazioni per operatori, psicologi, terapisti, genitori». Da anni è impegnato in progetti per integrazione dei diversamente abili. I suoi interessi di ricerca sono relativi allo studio e alle tecniche di intervento nella disabilità e nello specifico nell’autismo. Ha collaborato con la cattedra di scienze cognitive della Seconda Università di Napoli sui temi della riabilitazione dei soggetti diversamente abili. siamo resi conto che la maggior parte dei soggetti con disturbo autistico e della relazione rispondeva positivamente; a partire da questo abbiamo voluto strutturare una terapia capace di farci entrare in relazione con i pazienti, lontano dai centri di riabilitazione e dagli studi medici, in un ambiente ludico. Attraverso questo «setting» abbiamo ottenuto importanti risultati che ci hanno spinto all’osservazione e alla sperimentazione di nuove forme di comunicazione tra lo psicologo, il soggetto con disturbo autistico e il gruppo dei pari. Un intervento che si articola in quattro fasi: valutativa, emotivo-relazionale, senso-natatoria, dell’integrazione sociale; e usa tecniche cognitive, comportamentali, relazionali e senso motorie. L’obiettivo terapeutico è molto ambizioso, visto che puntiamo a migliorare gli aspetti compromessi e caratterizzanti il disturbo generalizzato dello sviluppo: deficit grave nello sviluppo della relazio- menti interni, vale a dire la crescita e sviluppo del Sé. E i risultati ottenuti sono estremamente significativi. Si è infatti raggiunta una diminuzione dei comportamenti problematici legati all’auto e all’etero aggressività, alle stereotipie e ai comportamenti disadattivi. Abbiamo notato un aumento di quello che viene definito «sguardo diretto» e un aumento dei tempi di attenzione, delle capacità imitative e dei contatti corporei. Migliorano anche le capacità motorie e natatorie, aumenta l’espressione emotiva (riconoscimento di paura, rabbia, felicità e vergogna). E inoltre, aumentano le posture corporee e dei gesti che regolano l’interazione sociale (capacità di scambio, turnazione, posizione del corpo in acqua e in interazione con il terapeuta). Cosa estremamente importante, la Tma porta anche ad aumento della ricerca spontanea e intenzionale della figura di riferimento (riconoscimento e ricerca ne sociale reciproca; menomazione gra- intenzionale del terapeuta, capacità di ve della comunicazione; attività e inte- differenziazione tra terapeuta e altre firessi che possono essere ristretti e stere- gure); aumento della condivisione del gioco e della reciprocità sociale (condiviotipati (criteri DSM IV). Ciò che accade è che le tecniche nata- sione delle regole sociali, riconoscimentorie e le capacità acquisite durante l’in- to del gruppo di appartenenza). E ancotervento, vengono utilizzate come veico- ra, della capacità a sviluppare relazioni lo per raggiungere obiettivi terapeutici e con i coetanei, e aumento dell’autostiattuare successivamente anche il fonda- ma. Migliora sia la comunicazione verbamentale processo di socializzazione e in- le, sia quella non verbale e dei contatti tegrazione con il gruppo dei pari. La pau- corporei e si ottiene una canalizzazione ra dell’acqua che il bambino sperimenta dell’aggressività in maniera funzionale, viene usata come attivatore emozionale con un complessivo aumento dell’autoe relazionale capace di avviare una pri- nomia personale e una stimolazione delmordiale richiesta di sostegno e poi di le capacità psicomotorie. Parliamo di accudimento. Si tratta di un metodo fon- una quantità di miglioramenti che apdato sul rapporto umano e finalizzato al- partengono alle aree comunicative, relala rieducazione e alla modificazione de- zionali, senso motorie, cognitive e comgli schemi cognitivi, comportamentali, portamentali. E la validità del percorso comunicativi, emotivi e di interazione terapeutico è assicurata dalla presenza sociale reciproca. E può agire sull’atte- costante di uno psicologo adeguatamennuazione dei sintomi, modificando posi- te formato con la funzione di supervisotivamente i processi comunicativo-rela- re e da terapisti o tecnici della Tma. zionali, e inducendo importanti cambia© RIPRODUZIONE RISERVATA Giovanni Ippolito Psicologo, psicoterapeuta sistemico relazionale, psicologo della Polizia di Stato, ideatore della Terapia multisistemica in acqua, Giovanni Ippolito da anni è impegnato in progetti per l’integrazione sociale dei bambini diversamente abili. Coautore del libro edito dalla Franco Angeli «La Terapia multisistemica in acqua. Un nuovo approccio terapeutico per soggetti con disturbo autistico e della relazione. Indicazioni per operatori, psicologi, terapisti, genitori», ha firmato con Maria Lucia Ippolito e Michela Gambatesa «Calimero e l’amico Speciale», racconto didattico per l’integrazione dei bambini autistici a scuola che ha ricevuto tre premi letterari. Tra l’altro ha collaborato con le cattedre di pedagogia generale e sociale e di scienze cognitive della Sun. 7 Corriere del Mezzogiorno Lunedì 24 Marzo 2014 NA Alimentazione C’è una legge regionale che si pone l’obiettivo di far diventare la Campania punto di riferimento nazionale Dieta mediterranea «Curarsi» a tavola di KATHERINE ESPOSITO A vete deciso di vivere più a lungo e in buona salute, di ridurre il rischio di malattie cardiovascolari o cancro, di avere una vita sessuale soddisfacente? La scienza dice che la dieta mediterranea può aiutarvi. Quasi un anno è passato da quel 4 aprile 2013 quando furono pubblicati sulla più autorevole rivista di medicina del pianeta i risultati di una ricerca spagnola: la dieta mediterranea arricchita con olio extravergine di oliva e frutta secca riduce del 30 per cento il rischio di infarto miocardico, ictus o morte cardiovascolare. Non tutti sembrano aver realizzato che in termini numerici la dieta mediterranea fa almeno la stessa cosa di quanto faccia una terapia con statine, i farmaci universalmente riconosciuti e utilizzati per ridurre gli eventi cardiovascolari nei pazienti ad alto rischio. Non a caso lo studio è spagnolo: dei 750 milioni di piante di olivo, il 95 per cento si trova nel bacino del Mediterraneo, con Spagna, Italia e Grecia sul podio. Né tantomeno è un caso che i maggiori studiosi della dieta mediterranea si trovino in questi paesi e per un curioso contrappasso, con podio invertito: Grecia, Italia e Spagna. Prendendo spunto dallo studio spagnolo, abbiamo pubblicato i dati di un nostro studio, iniziato nel gennaio 2004, che aveva lo scopo di valutare gli effetti di una dieta di tipo mediterraneo, somministrata a pazienti con diabete tipo 2 di nuova diagnosi. Dopo poco più di 8 anni, abbiamo tirato le somme: minore necessità di pillole per la glicemia, miglioramento della salute vascolare della carotide e maggiore probabilità di remissione del diabete, questi in sintesi gli effetti della dieta mediterranea a confronto con una dieta a basso tenore di lipidi. Il nostro studio di intervento rimane il più lungo finora effettuato. Paradossalmente, ai pazienti diabetici viene di solito raccomandato di ridurre la quota di grassi, e quindi anche l’olio, nel tentativo di ridurre le calorie. Invece, i risultati dello studio spagnolo e anche del nostro (circa il 40 per cento di energia giornaliera proveniente dai grassi, principalmente olio di oliva) suggeriscono l’opposto: anche il paziente a rischio cardiovascolare, compreso il diabetico, può avvantaggiarsi della dieta mediterranea. Coniugare la salute con lo sviluppo, sulla solida base dell’«evidenza scientifica», è il presupposto indispensabile per l’avvio di un processo teso alla definizione di un nuovo modello di sviluppo ecosostenibile e duraturo. La Campania, prima produttrice di nocciole e noci in Italia, si attesta al quarto posto per produzione di olio È importante scegliere prodotti freschi privilegiando verdura e frutta E puntare sull’olio extravergine d’oliva con 5 prodotti Dop. Esiste anche una legge sulla dieta mediterranea, emanata dalla Regione Campania (unica in Italia), che si pone un ambizioso obiettivo: essere, come regione, il punto di riferimento per il paese, visto che il Cilento è la comunità emblematica scelta dall’Unesco per assegnare il riconoscimento di patrimonio immateriale dell’umanità alla dieta mediterranea. Per saperne di più, il sito da consultare è Expertscape (www.expertscape.com), nato con l’obiettivo di facilitare la ricerca di uno specialista di chiara fama in qualunque campo della medicina. Expertscape basa la sua graduatoria sulle pubblicazioni scientifiche, partendo dall’assunto che nessuno può definirsi un esperto in un dato campo medico, a meno che non faccia ricerche d'avanguardia e le pubblichi. Sebbene nella valutazione non entrino caratteristiche come l’empatia, l’umanità, la capacità di comunicare con il paziente, la qualità principale che un grande medico deve avere, ribadisce Expertscape, è il sapere. E molto importante è anche la possibilità di riportare in maniera sintetica e intellegibile le informazioni chiave, per farle arrivare alla «gente comune». In questo senso la piramide alimentare ha segnato il passo e il tempo. Questo strumento educativo, probabilmente la guida alimentare più riconosciuta e usata nella storia della comunicazione, è stato però criticato per essere troppo complesso. Paradossalmente, i consumatori si sono così abituati all’immagine da non prestare più attenzione al suo contenuto. Nella civiltà delle immagini, come la nostra, si è pensato di usare un forma familiare, strettamente correlata al cibo e alle pratiche legate all’atto quotidiano del mangiare. L’occasione è stata fornita dalla pubblicazione delle nuove Linee Guida americane per una sana alimentazione, emanate nel 2010 dal dipartimento americano per l’Agricoltura: un’immagine completamente nuova per riportare l’attenzione su una sana alimentazione. «MyPlate» è così diventato alternativo alla piramide, un’icona più semplice e più facile da decifrare per la popolazione su come costruire un piatto sano. La semplicità, seppur seducente e mediaticamente attraente, non può però insegnare tutti i concetti di nutrizione, e alcuni messaggi si perdono. I consumatori hanno bisogno di tutte le informazioni per scegliere la giusta quantità di grassi e zuccheri che è accettabile mangiare, per distinguere i cereali raffinati, come il pane bianco, da quelli integrali; e tra carni grasse e altre fonti proteiche diverse dalla carne. La mossa successiva? Elaborare il piatto della dieta mediterranea, che senza discostarsi molto dall’icona, insista sulla stagionalità dei prodotti, la loro freschezza, la biodiversità, e soprattutto che spinga a un largo consumo di olio d’oliva extravergine. Metà del nostro piatto deve essere a base di verdura (30 per cento) e frutta (20 per cento), povere di calorie ma ricche di fibra. Fonte di vitamine, antiossidanti, minerali e numerosi composti biologici attivi (come polifenoli, antocianine, flavonoidi, catechine, licopene), che aumentano le difese del nostro organismo contro le malattie del secolo, ovvero quelle cardiovascolari e tumorali. Poco più di un quarto del piatto (30 per cento) è composto da alimenti a base di cereali (pane, pasta, riso, mais, avena, orzo, farro, miglio, couscous, altri cereali e derivati), che contengono soprattutto carboidrati complessi e una percentuale di proteine (in media 10 per cento). Il restante 20 per cento del piatto è composto da alimenti proteici di origine animale (preferire pesce, carni magre) oppure, e meglio, di origine vegetale (legumi e frutta secca) andrebbero consumate tutti i giorni. I legumi (fagioli, piselli, ceci, fave, lenticchie, fagiolini) possono essere mangiati a pranzo e a cena al posto del secondo piatto, mentre la frutta secca (noci, mandorle, pinoli, nocciole, pistacchi e anacardi) è ideale a colazione e negli spuntini. Latte e derivati vanno assunti con moderazione, anche in questo caso dando la preferenza a formaggi locali e certificati (Dop e Igp). Il condimento: sempre e solo l’olio extravergine d’oliva, utilizzato preferibilmente a crudo, da molti considerato il vero artefice della dieta mediterranea. © RIPRODUZIONE RISERVATA Katherine Esposito Katherine Esposito è docente associata di endocrinologia e malattie del metabolismo alla Seconda Università di Napoli (Sun). Dirige il Servizio di Diabetologia dell’azienda ospedaliera universitaria della Sun e dedica grande attenzione alla nutrizione intesa come salvaguardia della salute contro l’assalto dirompente delle malattie croniche, oggi etichettate come malattie non trasmissibili: diabete, cancro, malattie cardiovascolari. Katherine Esposito è fermamente convinta che il primato mondiale di eccellenza da lei conseguito nello studio della dieta mediterranea debba necessariamente tradursi nella possibilità di rendere fruibile a strati sempre più vasti della popolazione i suoi effetti benefici per la salute. 8 Lunedì 24 Marzo 2014 Corriere del Mezzogiorno NA Rischi e cure Con screening regolari i pazienti possono avere una vita normale. Decisivo il ruolo del Sistema sanitario Come convivere con il diabete Gabriele Riccardi Negli ultimi dieci anni aumento record (+30%) in particolare nel Sud di RAFFAELE NESPOLI Gabriele Riccardi è professore ordinario di endocrinologia e malattie del metabolismo alla Federico II, dove dal 2008 è anche presidente del corso di laurea magistrale in Nutrizione umana e dirige inoltre l’Unità operativa complessa di Diabetologia al nuovo Policlinico. Dopo la laurea è stato per due anni al Karolinska Hospital di Stoccolma in qualità di ricercatore. É stato presidente della Società italiana di Diabetologia dal 2010 al 2012, e oggi è presidente di Diabete Ricerca, la fondazione che promuove la ricerca italiana nel settore. Ha ricoperto incarichi prestigiosi a livello internazionale, tra cui la nomina nel Comitato Guida del Gruppo di studio su Nutrizione, esercizio fisico e metabolismo della Società Americana di Cardiologia, la direzione del gruppo di lavoro su obesità e rischio di diabete del progetto di ricerca finanziato dalla Comunità Europea su alimenti e salute, la direzione della rivista scientifica «Nutrition Metabolism and Cardiovascular Diseases» pubblicata da Elsevier. È tuttora membro dei consigli scientifici del Centro studi sugli alimenti per il diabete dell’Università di Lund, della Nutrition Foundation of Italy e del Barilla Center for Food and Nutrition. Ha pubblicato più di 400 lavori originali su riviste internazionali e occupa l’ottantunesima posizione nella graduatoria dei «Top italian scientists». (Raf. Nes.) «S tando ai dati nazionali, il diabete di tipo 2 è aumentato del 30 per cento circa negli ultimi dieci anni, e l’aumento è ancor più marcato nelle regioni meridionali. Non c’è da meravigliarsi, perché questa patologia ha una forte correlazione con gli stili di vita». A parlare è Gabriele Riccardi, professore ordinario di endocrinologia e malattie del metabolismo presso l’Università Federico II di Napoli. Ed è sempre lui a fare chiarezza su alcuni luoghi comuni, analizzando gli scenari che ci si prospettano se non si cambia radicalmente il modo di affrontare la malattia. «Quando si parla di diabete — dice — la prima cosa da chiarire è che si tratta di una malattia che non si può debellare. Possiamo curare i sintomi e tenerla a bada, ma nessuno può guarire. Detto questo, si deve distinguere tra diabete di tipo 1, quello che un po’ impropriamente si definisce giovanile, e il diabete di tipo 2. Il primo caso rappresenta una piccola parte della popolazione affetta da questa malattia, siamo nell’ordine di una persona su 10. Il diabete di tipo uno non dipende da abitudini alimentari, né da comportamenti individuali, è una forma di diabete che si configura come malattia autoimmune, caratterizzata essenzialmente dalla distruzione delle cellule B pancreatiche, che comporta solitamente una assoluta insulino-deficienza». Ed è proprio per la continua esigenza di insulina che per i pazienti affetti da diabete di tipo 1 la questione centrale è la qualità della vita. Ad ogni modo, grazie a strumenti sempre più hi-tech, anche in questi casi la quotidianità dei malati è ormai quasi del tutto normale. «Diverso — prosegue il professore Riccardi — è il caso del diabete di tipo 2. Si tratta infatti di una forma fortemente condizionata dal cambiamento che si è registrato nelle nostre abitudini negli ultimi dieci anni. Nei paesi più sviluppati è ormai estremamente frequente una sorta di sovralimentazione, dovuta a un consumismo sfrenato e all’impiego nell’industria alimentare di prodotti raffinati. Si pensi allo zucchero, ma anche alla farina bianca, ai grassi animali e così via. Gli alimenti che assumiamo sono altamente assimilabili e dunque creano problemi di sovrappeso o di obesità. Tanto che nelle grandi metropoli un adulto su due pesa più del dovuto». E in fatto di diabete, sovrappeso equivale a fattore di rischio «elevato». Ma quali sono le complicanze che possono discendere da questa malattia? «Si tratta soprattutto di problemi cardiovascolari: chi ha il diabete è esposto a un rischio di infarto o di ictus che può essere due o addirittura tre volte superiore alla media. Il diabete è tra le prime cause di morte per complicanze del sistema circolatorio, ma anche prima causa di dialisi (visto che compromette la funzionalità dei reni), di cecità acquisita e di amputazioni». Tuttavia, non esiste una cura. «In senso stretto no — spiega lo specialista — ma questo non deve indurre a credere che essere malati di diabete equivalga a una condanna senza appello. Anzi. Grazie alle inno- La verifica della glicemia con un glucometro Nella foto a sinistra, il diabetologo Gabriele Riccardi vative terapie oggi disponibili siamo perfettamente in grado di mantenere un giusto equilibrio glicemico nell’arco della giornata evitando così le complicanze nella maggior parte dei pazienti. Però, se queste dovessero svilupparsi, è importante diagnosticarle in tempo utile, quando non ci sono ancora manifestazioni cliniche, per trattarle prima che generino danni irreversibili all’organismo». Contro il diabete è possibile agire in modo preventivo? «È fondamentale riuscire a scoprire precocemente l’insorgere della malattia misurando, dopo i quarant’anni, la glicemia a digiuno una volta l’anno. Nelle persone con diabete è necessario non solo tenere sotto controllo la glicemia ma anche programmare lo screening annuale delle complicanze presso i centri di diabetologia». Una realtà dalla quale però siamo ancora molto lontani, si pensi che in fatto di screening in Italia vengono diagnosticati per tempo solo il 20 per cento dei problemi agli arti inferiori, il 30 per cento di quelli al rene e il 40 per cento alla retina. Con l’ovvio risultato che molti pazienti finiscono per perdere la propria indipendenza, magari legati a vita a una macchina per la dialisi. «È una condizione folle — conclude Riccardi — perché si tratta di pazienti ai quali siamo perfettamente in grado di assicurare una vita normale, non solo per durata ma anche per qualità. Purtroppo, specialmente per il diabete tipo 2, spesso se ne sottovaluta l’insidiosità trascurando quelle semplici misure che aiutano a prevenire i seri problemi legati allo sviluppo delle complicanze: piccoli cambiamenti nello stile di vita, controllo attento della glicemia, screening delle complicanze. Solo quando in Italia, e in particolare nelle regioni meridionali, il Sistema sanitario sarà in grado di assicurare adeguato supporto per raggiungere questi obbiettivi assistenziali, nella stragrande maggioranza delle persone con diabete potremo dirci soddisfatti». © RIPRODUZIONE RISERVATA 9 Corriere del Mezzogiorno Lunedì 24 Marzo 2014 NA L’eccellenza Per l’agenzia americana Expertscape il Centro per i disturbi dell’alimentazione della Sun è il migliore d’Italia Anoressia nervosa L’insidia Mario Maj di CHIARA MARASCA A Mario Maj è docente e direttore del dipartimento di Psichiatria della Sun e del Centro collaboratore dell’Organizzazione mondiale della sanità per la ricerca e la formazione nel campo della salute mentale dal ’95. Ha presieduto le Società mondiale, Società europea e italiana di Psichiatria e ha fatto parte del Consiglio Superiore di Sanità. Attivo come docente e come ricercatore in vari paesi europei, dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, Maj è autore di oltre 700 lavori su riviste scientifiche e di diverse monografie, ed è lo psichiatra italiano con il maggior numero di citazioni negli ultimi dieci anni secondo Thomson Reuters. Membro onorario del Royal College of Psychiatrists e dell'American College of Psychiatrists, è tra l’altro editor della rivista World Psychiatry e membro dell’Editorial Board di varie riviste scientifiche internazionali. dolescenti, tra i 15 e i 19 anni, che non si piacciono, che si vedono grasse anche quando non lo sono, che non accettano l’immagine di sé riflessa nello specchio. Ma anche maschi, in una percentuale minima (5-10%) eppure in aumento, di pari passo all’affermarsi di modelli «metrosexual» e sportivi come nuove icone di mascolinità. È l’identikit di chi soffre, in Italia, di anoressia nervosa, una condizione, spiega il professore Mario Maj, direttore del Dipartimento di Psichiatra alla Sun, la Seconda Università degli studi di Napoli, caratterizzata «da consistente perdita di peso, intensa paura di ingrassare anche se si è sottopeso, e disturbi della propria immagine corporea». Di casi, il Centro per i disturbi dell’alimentazione della Sun, in 17 anni di attività, ne ha seguiti oltre 300, diagnosticati tra i circa 1.800 pazienti presi in carico. Un intenso lavoro sul campo che, accompagnato dagli studi svolti in ateneo, è valso al centro un importante riconoscimento, giunto da Oltreoceano, come leader in Italia nella ricerca e nella terapia dell’anoressia nervosa. A giudicare il lavoro di Maj e colleghi al top è l’agenzia americana Expertscape (expertscape.com), che monitora gli articoli, le pubblicazioni e le citazioni apparse negli ultimi dieci anni sulle principali riviste scientifiche internazionali, valutandone l’impact factor e partendo dal database PubMed, primo punto di riferimento informativo della comunità biomedica mondiale. La Sun precede, nella valutazione, gli atenei di Torino, Padova e Firenze. Non solo. Lo psichiatra Palmiero Monteleone, sempre della Sun, è considerato da Expertscape il maggiore esperto italiano di anoressia nervosa. Di anoressia si ammalano otto donne su 100 mila ogni anno. In fasce d’età sempre più basse. Colpa della biologia? Non solo. Per il professore Maj, «l’esordio sempre più precoce è in parte spiegato dall’abbassamento dell’età del menarca, ma potrebbe anche essere collega- Colpisce molte adolescenti e si manifesta inizialmente come «male dell’anima» Benedetta Margari in una scena del film di Marco Pozzi «Maredimiele», del 2010, che racconta la storia di Sara, una ragazza affetta da anoressia nervosa to a un’anticipazione dell’età in cui gli adolescenti sono esposti alle pressioni socioculturali alla magrezza, attraverso mezzi di comunicazione come internet». Sotto accusa l’invasione delle super-modelle e delle icone patinate, dunque. Ma altri «elementi di vulnerabilità», per gli esperti, sarebbero alcune caratteristiche della personalità (perfezio- nismo, impulsività, bisogno di controllo), la bassa autostima e lo stare frequentemente «a dieta». Tra le giovanissime, questo disturbo che nasce da un «male dell’anima», e come tale prima di tutto va curato, diventa ancora più velocemente, e in maniera più grave, male fisico. «Un esordio più precoce», spiega sempre Maj, «compor- Palmiero Monteleone ta un rischio maggiore di danni permanenti secondari alla denutrizione, soprattutto a carico di quei tessuti che non hanno ancora raggiunto una piena maturazione, come le ossa e il sistema nervoso centrale». Ma le complicanze fisiche dell’anoressia possono interessare quasi tutti gli organi e apparati: le conseguenze della malnutrizione possono riguardare il sistema cardiocircolatorio, il sistema emopoietico e immunitario, il sistema endocrino e metabolico, il sistema osteo-scheletrico, il sistema muscolare, la cute e l’apparato gastroenterico. E si arriva a stimare il rischio di morte per una persona con diagnosi di anoressia nervosa tra le 5 e le 10 volte superiore di quello dei soggetti sani della stessa età e sesso. Come si contrastano questi disturbi? Con un approccio multidisciplinare che include aspetti psichiatrici, psicosociali, medici e nutrizionali. La psicoterapia, viene considerata un passaggio essenziale nel trattamento, individuale o familiare che sia. Quest’ultima, secondo il modello del Maudsley Hospital di Londra, permetterebbe di ottenere la remissione in circa la metà dei casi nei soggetti giovani con meno di tre anni di malattia. Gli interventi offerti dal Centro comprendono il counseling nutrizionale, la psicoterapia cognitivo-comportamentale, la psicoterapia familiare, la psicoeducazione e la farmacoterapia. Il paziente è curato in regime ambulatoriale, ma nei casi che lo richiedono viene offerto un trattamento di riabilitazione intensiva in day hospital (pasti assistiti, ristrutturazione cognitiva) o il ricovero ordinario (in presenza di grave deperimento organico, rischio di suicidio, gravi complicanze mediche). Al Centro della Sun ci si occupa di anoressia nervosa, ma non solo. Tra i 1.800 pazienti presi in carico in questi anni oltre 500 erano affetti da bulimia nervosa e circa 400 da binge eating disorder, disturbo da alimentazione incontrollata, in aumento sopprattutto tra gli uomini. © RIPRODUZIONE RISERVATA Palmiero Monteleone è docente di psichiatria e coordina l’attività del Centro pilota della Regione Campania per i disturbi del comportamento alimentare presso il Dipartimento di Psichiatria della Seconda Università di Napoli. È presidente della sezione sui disturbi del comportamento alimentare della Società Mondiale di Psichiatria, è membro del gruppo di consulenti esperti dell'Icd-11 sulla classificazione dei disturbi dell'Alimentazione e della nutrizione dell’Oms. Segretario della Società italiana di psicopatologia dell’alimentazione e membro di varie società scientifiche nazionali e internazionali, Palmiero Monteleone collabora a numerosi progetti di ricerca del Cnr e del Miur. È autore di oltre 250 lavori scientifici e di alcune monografie ed è membro dell’editorial board di varie riviste scientifiche internazionali. 10 Lunedì 24 Marzo 2014 Corriere del Mezzogiorno NA Il cambiamento La responsabile regionale: «Procedura più snella con visite a nostro carico a partire dalla Campania» Invalidità civile La svolta dell’Inps di RAFFAELE NESPOLI «G razie all’accordo stipulato con la Regione, il sistema di riconoscimento dell’invalidità civile cambia radicalmente, a partire da un’uniformità di giudizio che permette di avvantaggiare i cittadini contraendo di molto i tempi di attesa». Non ha dubbi Maria Grazia Sampietro, direttore regionale per la Campania dell’Inps, nel parlare dell’importante processo di rinnovamento che in Campania sta vedendo protagonista l’ente previdenziale statale. Dottoressa Sampietro, cosa cambia per gli utenti? «Il cambiamento è sostanziale, visto che i cittadini che faranno richiesta dovranno sottoporsi a un’unica visita. Con il vecchio sistema, ancora in vigore a Napoli e Salerno, la domanda viene indirizzata all’Inps, ma sono poi le Asl a dover mettere a disposizione i calendari per le visite. E sono sempre le commissioni delle Asl a stilare i verbali che poi mandano all’Inps. Di qui, in molti casi, la nostra necessità di provvedere con un’ulteriore visita, prima di passare a un terzo passaggio presso la commissione medica superiore di Roma. Insomma, una vera epopea». Dunque, ora sarà possibile dimezzare i tempi? «Più che dimezzare. Nelle provincie virtuose, ad esempio Avellino, i tempi di attesa con la vecchia procedura erano di un paio di mesi. Ma in realtà critiche, come Caserta, i tempi di attesa andavano anche oltre l’anno. E questo solo per la prima visita. Ora abbiamo un’operatività immediata, quindici giorni appena nel caso ad esempio di pazienti oncologici o cittadini affetti da patologie particolarmente invalidanti, al massimo un mese per tutti gli altri casi». In quali provincie siete già operativi con il nuovo sistema? «Avellino, Benevento e Caserta. Come detto, a Caserta siamo subentrati in una situazione critica, basti pensare che abbiamo da smaltire circa 35 mila domande. Contiamo di metterci in pari entro ottobre. Intanto abbiamo attivato delle com- Maria Grazia Sampietro: «Tempi più che dimezzati ad Avellino, Caserta e Benevento. Ora Napoli e Salerno» Maria Grazia Sampietro, responsabile dell’Inps in Campania missioni che lavorano sul quotidiano, così da offrire risposte immediate soprattutto per le urgenze e non rischiare di creare disagi all’utenza». Qual è la situazione di Napoli? «Speriamo di essere pienamente operativi entro la fine dell’anno, ma non sarà facile perché su Napoli insistono tre Asl, e per due di queste esistono gravi situazioni di sofferenza. Inoltre c’è da gestire contestualmente la soppressione dell’Inpdap». Chi già si vede riconosciuta l’invalidità civile dovrà ripresentare la domanda? «No, nel modo più assoluto. La nuova procedura, più snella, vale solo per chi ancora non è stato sottoposto alla prima visita». Come si presentano le domande? «Abbiamo informatizzato l’intero processo, che oggi può essere attivato direttamente dai cittadini tramite il nostro portale o grazie a soggetti accreditati. La domanda deve essere corredata da un certificato medico, solitamente compilato dal medico di medicina generale». Aumenta dunque la trasparenza? «L’obiettivo è questo. C’è da dire che l’accertamento in capo a più soggetti genera un rischio maggiore, mentre con la nuova procedura e con la tracciabilità di ogni singolo passaggio, dalla domanda alla verbalizzazione, sino alla validazione, si hanno maggiori garanzie di trasparenza. Va detto che in Campania le verifiche straordinarie hanno fatto emergere in passato situazioni di grande irregolarità, ma adesso siamo in media con il resto del Paese». Un cambiamento così radicale avrà certamente fatto emergere resistenze, no? «Come sempre quando si stravolgono processi consolidati si finisce per incappare in qualche contestazione, ma al di là di questo siamo andati avanti con convinzione, anche grazie alla ferma volontà della Regione che già nel 2011 aveva previsto che le Asl potessero cedere le funzioni di accertamento all’Inps. E poi un grosso impulso è arrivato anche dalla collaborazione dei direttori generali delle Asl che hanno ben compreso le potenzialità e i vantaggi di questo cambiamento». Intende dire in termini economici? «Prima di tutto in termini sociali, visto che gli utenti non sono più costretti a sottoporsi a un calvario. Ma si risparmierà anche in termini economici, e non poco. Parliamo di qualche milione di euro, soldi che potrebbero essere reinvestiti nel welfare». Eppure ci sarà un punto debole, qualcosa da migliorare. «Al momento l’unico rammarico riguarda alcuni problemi che stiamo avendo con il recapito dei verbali. Ci sono diversi quartieri che non ricevono la posta e quindi le nostre comunicazioni non arrivano, ma come è facile capire non dipende da noi. Intano, gli utenti possono controllare lo stato delle domande attraverso il nostro portale». Ritiene che questo esperimento possa essere replicato in altre regioni? «Qualche settimana fa lo stesso sistema ha preso il via in due provincie del Veneto e al più presto dovrebbero seguire Lazio e Sicilia; ma ci tengo a precisare che Avellino è stata la prima provincia in Italia a mettere in pratica questa procedura». © RIPRODUZIONE RISERVATA ❜❜ Nel capoluogo e nella seconda città della regione si spera di passare alla nuova gestione rispettivamente entro fine anno e per il primo maggio Il progetto Primo accordo in Italia per l’innovazione Meno burocrazia grazie all’intesa con la Regione Campania L a Campania è al centro di un progetto innovativo che promette di snellire e semplificare i complessi adempimenti burocratici necessari a ottenere il riconoscimento dell’invalidità civile. Tutto nasce da un protocollo di intesa che la Regione ha siglato con le Asl campane, intesa con la quale a partire dallo scorso luglio l’Inps ha iniziato a gestire direttamente le funzioni di accertamento e di rivedibilità dei requisiti sanitari, finora di competenza delle Commissioni mediche delle Asl. La sperimentazione si colloca nell’ambito dei percorsi finalizzati alla semplificazione e all’unificazione dei procedimenti, con l’auspicio che questo modello di innovazione gestionale, primo in Italia grazie alla fattiva collaborazione delle aziende sanitarie con la direzione regionale Inps, sia gradualmente esteso alle al- Nella fotografia a centro pagina, la sede regionale dell’Inps a Napoli Nell’immagine qui sopra, una giovane disabile in sedia a rotelle tre Asl campane. Un primo cambiamento, nel senso di questa gestione innovativa, è arrivato con l’articolo 20 della legge 102 del 2009 che, a decorrere dal primo gennaio 2010, ha introdotto importanti innovazioni nel processo di riconoscimento dei benefici in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, per realizzare la gestione coordinata delle fasi amministrative e sanitarie. L’obiettivo, già allora, era quello di arrivare con il tempo a una generale contrazione dei tempi di erogazione delle prestazioni, nel rispetto delle esigenze degli utenti più deboli. Ma anche di rendere omogenei sul territorio nazionale i criteri di riconoscimento dei benefici. Come realizzare un cambiamento tanto importante e complesso? Un altro punto chiave è nell’articolo 18 della legge 111 del 2011, con la quale il legislatore ha previsto per le Regioni, proprio per migliorare l’efficienza del procedimento, la possibilità di affidare all’Inps, con specifiche convenzioni, le funzioni relative all’accertamento dei requisiti sanitari per il riconoscimento delle invalidità civili. Ed è proprio grazie a questi interventi normativi che oggi si sta realizzando questa generale riorganizzazione del sistema. Va detto che la prima provincia ad aver adottato questo nuovo sistema è stata Avellino (primo luglio 2013), a seguire Benevento (primo novembre 2013) e Caserta (primo dicembre 2013). Più complessa la situazione di Salerno e Napoli per le quali si spera di passare alla nuova gestione rispettivamente entro il primo maggio e il 31 dicembre 2014. © RIPRODUZIONE RISERVATA 11 Corriere del Mezzogiorno Lunedì 24 Marzo 2014 NA Sanità, Italia in cifre 2013 Secondo l’Istat, i conti sono in ordine. Però nel Meridione in crisi si taglia perfino sui servizi essenziali Sud, ora si risparmia anche sulla salute N di EMANUELE IMPERIALI el Mezzogiorno la mortalità infantile era e resta ben più elevata rispetto a quella del Nord: 3,9 decessi per mille nati vivi contro 2,9 per il Nord. Nel Centro, sebbene il quoziente di mortalità infantile sia diminuito, vi è, così come nel Sud, un livello di mortalità infantile superiore alla media nazionale. Lo certifica autorevolmente l’Istat nella pubblicazione «Italia in cifre 2013», nella quale mette in evidenza anche quali siano le cause più frequenti di morte degli italiani. Il 70 per cento della mortalità complessiva è conseguente a malattie del sistema circolatorio e ai tumori. Con le prime che ancora oggi provocano un numero di decessi superiore ai morti per cancro. L’esame della geografia della mortalità complessiva conferma livelli più elevati di mortalità nelle regioni del Centro e del Nord rispetto a quelle meridionali. In particolare in tutte le regioni del Sud si muore meno per i tumori. Per le malattie del sistema circolatorio valori più elevati della media italiana si registrano in gran parte delle Regioni del Mezzogiorno. Nel Mezzogiorno si muore meno per i tumori, ma di più a causa delle malattie cardiocircolatorie Più infermieri al Nord che nel Mezzogiorno Al Sud ci sono più medici rispetto alle regioni centrali e settentrionali, 19 ogni 10 mila abitanti contro 16,6 al Nord e 18,3 al Centro, ma meno personale infermieristico e ausiliario. Infatti, rispetto a una media nazionale pari a 43,6 ogni 10 mila cittadini, solo nelle regioni sotto il Garigliano siamo a un livello più basso, pari al 37,9, mentre nelle aree settentrionali arrivano a 47,1 e in quelle centrali a 45,6. E il Sud può vantare un altro primato che è probabilmente poco conosciuto ma molto interessante: un numero elevatissimo di medici addetti alla guardia medica, ben 7.139, contro i 3.064 del Nord e i 1.901 del Centro. Ciò ovviamente si traduce in un elevato numero di presidî di guardia medica sul territorio meridionale, addirittura 1.700 sul totale italiano di 2.925. Medici di famiglia, meno assistiti al Sud La sanità italiana si articola in due grandi branche: quella rappresentata dall’assistenza territoriale e quella costituita dell’assistenza ospedaliera. La prima è costituita dalle strutture e dal personale che svolgono l’attività di base, medica, diagnostica o costituita da altri servizi alla persona come l’assistenza domiciliare integrata o quella fornita in strutture residenziali. Si tratta di un’offerta più capillare sul territorio rispetto a quella ospedaliera, che rappresenta quella di livello più alto fornita dal Servizio sanitario nazionale, sia per quel che riguarda l’intensità di cure sia in termini di risorse finanziarie assorbite. I quarantaseimila medici di medicina generale in Italia nel 2010, pur potendo fornire assistenza sanitaria fino a un massimo di 1.500 pazienti, in media ne hanno ciascuno 1.147, con valori più bassi al Sud, prima tra tutte le regioni la Basilicata dove un sanitario ha in cura «appena» 1.017 assistiti, mentre le punte più alte sono nelle regioni settentrionali, come dimostra il caso della Lombardia dove arrivano fino a 1.1316. Per quanto riguarda specificamente i pediatri, che sul territorio nazionale sono circa 7.700, in media 9 ogni 10 mila bambini fino a 14 anni, in Abruzzo, Calabria, Sicilia e Sardegna sono in numero leggermente più elevato, 10 ogni 10 mila. La rete ospedaliera Il servizio ospedaliero è a tutt’oggi il settore sanitario che assorbe più risorse economiche, trattando patologie acute che necessitano un’assistenza complessa e anche una dotazione di apparecchiature innovative. Tale tipologia di assistenza si sta orientando sempre più verso le casistiche complesse, nel tentativo di trasferire le prestazioni che richiedono cure mediche di bassa intensità verso i Servizi sanitari territoriali. Ne consegue il potenziamento di forme assistenziali alternative al ricovero ordinario come il Day hospital, la Day surgery, il Day service, la lungodegenza riabilitativa residenziale, l’attività ambulatoriale e l’assistenza domiciliare. Anche per effetto di questa radicale modifica, i posti letto degli ospedali continueranno a diminuire in Italia con l’obiettivo di raggiungere una media complessiva di 3,7 ogni mille abitanti di cui 0,7 dedicati alla riabilitazione e alla lungodegenza e il restante 3 per mille ai malati più acuti: ciò comporterà che molte regioni, in particolare quelle meridionali, dovranno riorganizzare la loro rete di assistenza ospedaliera. Attualmente, certifica l’Istat, nel nostro Paese vi sono 1.230 istituti di cura, di cui il 51,5 per cento pubblici e il 43,2 per cento privati che prestano servizi per conto del Servizio sanitario nazionale. Negli ultimi dodici anni c’è stato un calo significativo del numero di ospedali e cliniche convenzionate pa- ri al 17,4 per cento e una drastica riduzione del numero di posti letto per mille abitanti da 5,3 a 3,6. Sono diminuiti soprattutto gli ospedali e anche le cliniche interamente private, mentre è rimasta stabile la quota di quelle private accreditate. L’aspetto più preoccupante però è che alla diminuzione dei luoghi di cura ha corrisposto un aumento del personale a disposizione delle strutture, col numero dei medici salito da 115.553 a 130.195 unità nel 2010. Ciò ha modificato notevolmente il rapporto medico-posti letto, passando da un valore di circa 37 medici ogni 100 posti letto a 60. Le differenze nell’offerta di posti letto si riscontrano anche a livello regionale: la dotazione più elevata si registra al Nord-Ovest (3,9 posti letto per 1.000 abitanti), la più bassa nelle Isole (3,2 posti letto per 1.000 abitanti). La dotazione minima di posti letto in rappor- to alla popolazione residente si registra in Campania con 2,97 posti letto per 1.000 abitanti, quella massima, pari a 4,3, nel Molise. Negli istituti di cura del Servizio sanitario nazionale nel 2010 vi sono attualmente circa 8 mila 230 accessi in regime di chirurgia ambulatoriale e 7 milioni e 227 mila giornate di presenza in Day hospital. Analizzando il tasso di ospedalizzazione a livello regionale si nota che è particolarmente elevato in Molise (162 per mille residenti), e per l’Emilia Romagna, mentre in Basilicata è molto basso (109 per mille residenti). Meridionali e donne più «vulnerabili» All’aumentare dell’età, come è normale e prevedibile, diminuiscono le persone che danno un giudizio positivo sul proprio stato di salute: scende al 39,5 per cento tra le persone di 65-74 anni e raggiunge il 22,5 per cento tra gli ultrasettantacinquenni. Ma a parità di età, già a partire dai 45 anni emergono nette le differenze di genere a svantaggio delle donne: nella fascia di età 45-54 anni il 74,8 per cento degli uomini si considera in buona salute contro il 66,7 per cento delle coetanee. Le differenze maggiori si hanno tra i 65-74 anni (44,3 per cento contro il 35,1 per cento) e i 75 anni e oltre (28,2 per cento contro il 18,9 per cento). Se si analizza questo dato a livello territoriale, la quota di persone che si dichiara in buona salute è leggermente più elevata al Settentrione (71,9 per cento) che nel Centro (69,8 per cento) e nel Mezzogiorno (68,8 per cento). Tra le regioni italiane le situazioni migliori rispetto alla media nazionale si rilevano in Lombardia (73,5 per cento), quelle peggiori in Basilicata e in Calabria (64,1 per cento). In particolare negli ultimi anni al Sud diminuisce di circa l’1,2 per cento la quota di chi si dichiara in buona salute. Si tagliano i servizi «essenziali» La spesa sanitaria delle famiglie italiane è legata principalmente al reddito e poco alla qualità dell’offerta pubblica. Ma — udite, udite — la vera sorpresa è costituita dal fatto che per la prima volta dopo anni la tanto vituperata Sanità italiana scopre di avere i conti in ordine. Di fronte ai vincoli sempre più stringenti, infatti, negli ultimi mesi il disavanzo è stato sostanzialmente azzerato. Per di più la spesa pubblica ha smesso di crescere ma non c’è stato, come ci si poteva aspettare, neppure un balzo nei consumi privati. La conseguenza è che negli anni della crisi gli italiani sono stati costretti a tagliare sulla salute, anche sui servizi che, prima, sarebbero sembrati essenziali. Ciò è stato evidente soprattutto al Sud, dove per le tradizionali debolezze amministrative il sistema è più debole. Quanto valgono i consumi sanitari privati sostitutivi di quelli pubblici? All’incirca il 20 per cento (quasi 28 miliardi su 138) della spesa totale. In testa alla classifiche per spesa sanitaria privata pro capite c’è il Trentino Alto Adige, poi il Veneto e il Friuli Venezia Giulia. Seguono Emilia Romagna e Lombardia. Tutte Regioni del Nord le cui strutture pubbliche sono ben classificate dalle pagelle dell’Agenzia nazionale per i Servizi sanitari regionali. Tre parametri per i costi Il portafogli della sanità italiana nel 2014 avrà un valore di 110 miliardi, secondo i calcoli dell’accordo sui costi standard che ha permesso di redistribuire i fondi alle Regioni sulla base di un nuovo modello di spesa. Quest’anno, infatti, per la prima volta i conti sono stati elaborati sui riferimenti di tre Regioni virtuose, Umbria, Emilia Romagna e Veneto, e il risultato è stato una decurtazione di fondi a quelle più lontane dai prezzi ritenuti «adeguati» per far fronte alla domanda di salute. Alcune Regioni sono, però, ancora oggi alle prese con onerosi piani di rientro: oltre al Lazio, le altre quattro sono meridionali, e cioè Abruzzo, Campania, Molise e Calabria. Meno aborti e meno epatite È la Campania la regione con la più bassa percentuale di aborti femminili il cui dato influenza il minor tasso di interruzioni volontarie di gravidanza nel Sud rispetto al Centro-Nord. Al Centro il rapporto è pari a 9,1 casi ogni mille donne, mentre al Sud tale valore è uguale a 7,9. Nel Mezzogiorno, e questo è un altro dato siginificativo e forse anche sorprendente, sono molti meno coloro che contraggono l’epatite. Su 2.594 casi in Italia, in aumento rispetto al recente passato, il 58 per cento dei casi riguarda le regioni del Nord, il 24 per cento quelle del Centro e solo il restante 18 per cento quelle meridionali. I tassi sono più elevati in Valle d’Aosta, Emilia-Romagna e Toscana, mentre sono più bassi in Basilicata, Umbria e Molise. Pochi, per fortuna, i suicidi in Italia, ancor meno nel Mezzogiorno. Anzi diminuisce significativamente la mortalità per suicidio nel nostro Paese, da 8,3 a 6,7 ogni centomila abitanti, mantenendosi tra le più basse nel mondo. Peraltro il numero di coloro che si tolgono la vita cresce all’aumentare dell’età: da 1,3 suicidi per centomila abitanti fra gli under 25 si arriva a 6,2 tra i 25 e i 44 anni, 8,5 fra i 45 e i 64 anni fino a 11 per le persone di oltre sessantacinque anni, circa otto volte più alta rispetto alla classe più giovane. La composizione per sesso evidenzia la maggiore propensione al suidicio dei maschi, circa quattro volte superiore a quella delle donne. Se poi si osserva l’andamento del fenomeno a livello territoriale si nota che il Nord-Est e il Nord-Ovest continuano a essere le aree con livelli di mortalità più alti, il Centro e le Isole oscillano su valori prossimi alla media nazionale, il Sud conferma valori nettamente inferiori al resto del Paese. © RIPRODUZIONE RISERVATA 12 NA Lunedì 24 Marzo 2014 Corriere del Mezzogiorno 13 Corriere del Mezzogiorno Lunedì 24 Marzo 2014 NA Ricerca Ottenute immagini in vivo ad alta definizione delle strutture anatomiche deputate al deflusso convenzionale dell’umor acqueo Glaucoma Il ladro della vista Ciro Costagliola Lucio Zeppa di CIRO COSTAGLIOLA e LUCIO ZEPPA Laureato alla Federico II e specializzato in oftalmologia, dall’83 al ’97 Ciro Costagliola ha lavorato all’Istituto di Clinica oculistica con una cattedra di oftalmologia pediatrica, Servizio di prevenzione cecità neonatale della Seconda Università di Napoli. Dopo aver ricoperto il ruolo di ricercatore di clinica oculistica a Ferrara, dal 2006 è docente di malattie dell’apparato visivo all’Università del Molise dove è presidente regionale della sezione italiana dell’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità. Autore di oltre 250 pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali, di 12 libri e monografie e di oltre 250 comunicazioni a congressi nazionali e internazionali, è titolare di due brevetti internazionali. È anche responsabile dello spin off dell’Università del Molise «Mediplasma srl». S pesso si sente parlare di glaucoma e non ci si rende conto che si tratta di una parola generica, probabilmente non appropriata ma entrata nella terminologia specialistica, la cui accezione rimanda a differenti quadri clinici «morbosi» caratterizzati essenzialmente da una perdita graduale della vista, e successiva alla morte progressiva di cellule specifiche e dal nome non semplice: «ganglionari retiniche», alla cui realizzazione partecipano componenti genetiche diverse, suscettibilità individuale e vari fattori di rischio. Dal punto di vista etimologico è necessario risalire ai tempi di Ippocrate. La parola stava a indicare il colorito ceruleo degli occhi dei pazienti affetti. Quindi, più che definire una malattia, il termine rimandava a una caratteristica, cioè a un segno clinico di malattia. Ma questa, appunto, è solo una curiosità. Dal punto di vista clinico, invece, nella maggior parte dei casi la patologia si associa a un aumento della pressione intraoculare, capace di provocare una neuropatia ottica con caratteristiche alterazioni a carico dello strato delle fibre nervose retiniche, della testa del nervo ottico, e di conseguenza un deficit del campo visivo. Solitamente il glaucoma è un’affezione bilaterale, colpisce cioè entrambi gli occhi, anche se in maniera asincrona. Uno dei problemi maggiori è che la sintomatologia soggettiva negli stadi iniziali è praticamente inesistente, e dunque il Passi avanti grazie alla sinergia tra Ateneo del Molise e ospedale Moscati di Avellino decorso è insidioso. Stando così le cose, la diagnosi è posta occasionalmente nel corso di una visita oculistica di routine, e spesso arriva in ritardo. Non a caso il glaucoma è chiamato il «ladro silenzioso della vista». Volendo provare una classificazione, quella più accreditata suddivide il glaucoma in base a due tipologie patologiche ben distinte: glaucoma ad angolo chiuso e glaucoma ad angolo aperto. Entrambe, a loro volta, suddivise in altre «sottocategorie» legate all’origine: non accompagnate ad altre affezioni oculari o correlabili ad altre malattie oculari o sistemiche, e a seconda delle modalità di insorgenza in acuto, subacuto e cronico. Al di là di queste suddivisioni, è importante capire che il glaucoma è la seconda più importante causa di cecità tra la popolazione adulta di età compresa tra i 18 e i 65 anni. Ha una prevalenza variabile a seconda della provenienza geografica: circa il 2,7 per cento nella popolazione caucasica di oltre 40 anni e intorno al 7 per cento nelle popolazioni afroamericane. In Italia il presunto numero di pazienti affetti è superiore a 1 milione e 600 mila persone. Studi clinici controllati e randomizzati hanno dimostrato che l’au- mento della pressione intraoculare (Iop) rappresenta il più importante fattore di rischio per lo sviluppo del danno glaucomatoso. Ma come si produce l’aumento della pressione oculare? In condizioni normali all’interno dell’occhio è presente un liquido (l’umore acqueo) che è prodotto continuamente dai processi ciliari. Pertanto l’occhio si può paragonare a un contenitore con un rubinetto che introduce continuamente liquido al suo interno. Se le vie di scarico non sono pervie, si avrà un aumento di pressione all’interno del sistema, ovvero dell’occhio. Il deflusso dell’umor acqueo avviene attraverso due vie: trabecolare, pressione oculare dipendente, responsabile fino a circa l’80 per cento del deflusso, e uveosclerale, indipendente dalla pressione oculare, utilizzata fino al rimanente 20 per cento del deflusso. Va detto che numerose tecniche di imaging sono state sviluppate per visualizzare le vie di deflusso dell’umor acqueo, ma nessuna fornisce in maniera diretta la possibilità di conoscere in dettaglio le strutture anatomiche coinvolte. Recentemente, i nostri due gruppi di ricercatori — quella della cattedra di malattie dell’apparato visivo dell’Università del Molise e quella dell’Unità operativa complessa di oftalmologia dell’ospedale Moscati di Avellino — sono stati in grado per la prima volta di ottenere immagini in vivo e ad alta definizione delle strutture anatomiche deputate al deflusso convenzionale — trabecolare — dell’umor acqueo, mediante introduzione di un microcatetere nel canale dello Schlemm, durante la chirurgia del glaucoma. I risultati di questo studio sono stati accettati per la pubblicazione sulla rivista Jama Ophthalmology, e questo ha spinto tutti i professionisti coinvolti nello studio (i professori Luigi Ambrosone, Germano Guerra e il dottor Michele Fortunato) a effettuare un ulteriore avanzamento della ricerca, ipotizzando la somministrazione del mezzo di contrasto in maniera non invasiva. Cioè, non più con microcatetere applicato durante l’atto chirurgico, ma semplicemente instillando un collirio allestito specificamente, contenente una sospensione di «nanoparticelle intelligenti» che una volta applicate siano in grado di raggiungere le strutture anatomiche specifiche e rilasciare il mezzo di contrasto. Una lampada a fessura modificata sarà in grado di fotografare o filmare il tutto. La sinergia tra due piccole realtà quali la cattedra di Oftalmologia dell’Università del Molise e la divisione Oculistica dell’ospedale di Avellino si è dimostrata un’arma vincente che ha permesso lo sviluppo graduale e continuo di importanti filoni di ricerca e l’ottenimento di concreti risultati. © RIPRODUZIONE RISERVATA Lucio Zeppa, medico e chirurgo oculista, ha completato la sua formazione in strutture oculistiche italiane e straniere e, in particolare in Israele e nelle cliniche oculistiche delle Università di Napoli e di Trieste. Dirige l’Unità operativa complessa di Oculistica e trapianti di cornea del San Giuseppe Moscati di Avellino. Consigliere nazionale della Società oftalmologica italiana e vicepresidente della Società italiana glaucoma, è socio fondatore dell’Associazione italiana della chirurgia della cataratta e della refrazione, socio del gruppo Vitreo Retina e socio onorario dell’Associazione campana glaucoma. Ha partecipato in qualità di relatore a oltre 60 congressi ed è autore di pubblicazioni scientifiche a livello nazionale e internazionale. Ha eseguito oltre 40 mila interventi chirurgici relativi al segmento anteriore e alla vitreoretina. 14 Lunedì 24 Marzo 2014 Corriere del Mezzogiorno NA Nuove tecniche / 1 Forme e proporzioni naturali e nessun pericolo di intolleranza Soluzione lipofilling Roberto Grella Utilizzando il tessuto adiposo del paziente si rimodella il corpo senza inserire protesi di ROBERTO GRELLA Q Specializzato in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica con il massimo dei voti e la lode, Roberto Grella è docente del master di II livello in Medicina estetica e dottore di ricerca in Chirurgia ricostruttiva sperimentale alla Sun, dove svolge attività di docenza al corso di laurea e alla scuola di specializzazione in Chirurgia plastica in qualità di cultore della materia. È anche visiting professor all’Universidad International de Cataluna. Ha preso parte a numerosi congressi nazionali e internazionali di Chirurgia plastica per presentare tecniche e risultati delle sue ricerche. È autore di oltre 50 articoli scientifici, pubblicati su riviste internazionali, ed è revisore dal 2009 della rivista scientifica Americana Aesthetic Plastic Surgery. uando si parla di bisturi e bellezza la prima cosa alla quale si pensa è il «lifting». Ma quello che molti non sanno è che la chirurgia estetica ha fatto negli ultimi anni passi da gigante e oggi esistono tecniche all’avanguardia che permettono di raggiungere risultati prima impensabili. In fatto di nuove frontiere, ad esempio, una delle tecniche più innovative è il «lipofilling», sempre più utilizzata in chirurgia plastica con finalità sia ricostruttive sia estetiche, e che consiste nell’utilizzo del proprio tessuto adiposo per rimodellare viso e corpo, donando alle zone trattate forme e proporzioni del tutto naturali. Il lipofilling è una tecnica molto usata perché è poco invasiva, è naturale, non ha controindicazioni e i risultati sono di grande effetto. Il grasso corporeo viene prelevato grazie a piccole cannule da aree «donatrici» (cioè fianchi, pancia, ginocchia, interno coscia), centrifugato, purificato e iniettato nelle aree da trattare. In ambito estetico è impiegato nel volto per aumentare il volume di guance e zigomi allo scopo di ridefinirne il volume e i contorni, ma anche per rendere più proiettato un mento sfuggente o per correggere l’avvallamento prodotto sul dorso del naso da una rinoplastica sbagliata. Per il resto del corpo viene impiegato sempre più spesso in sostituzione degli impianti protesici, per aumentare il volume di polpacci, mammelle e glutei. Rispetto ad esempio all’acido ialuronico, il lipofilling ha il vantaggio di essere un trattamento definitivo, visto che una quota delle cellule iniettate (circa il 60 o il 70%) attecchisce in modo stabile e duraturo. L’unico fattore limitante è la quantità di tessuto adiposo pre- sente. Va anche detto che la tecnica garantisce massima sicurezza, visto che il tessuto adiposo impiantato appartiene alla paziente stessa, e quindi non ci possono essere reazioni di intolleranza. Il grande vantaggio di questa metodica risiede nel fatto che in un unico intervento si associa l’eliminazione di un accumulo adiposo e si ridona tono e volume ad aree anatomiche che invece ne hanno bisogno, ad esempio seno, glutei e polpacci. Una grande novità è il «nano fat grafting» che consiste in un’ulteriore separazione delle cellule adipose, che consente di ottenere un maggior numero di cellule staminali con risultati più efficaci, duraturi, ma soprattutto naturali. Le cellule staminali derivate dal tessuto adiposo che vengono iniettate hanno un forte potere rigenerativo, tant’è che vengono usate ormai di routine per migliorare gli esiti cicatriziali superficiali lasciati dall’acne o profondi da traumi o ustioni. Un altro vantaggio del nano fat grafting è la possibilità di ottenere cellule di piccolissime dimensioni che possono essere iniettate con aghi molto sottili, simili a quelli che vengono utilizzati per i comuni «filler». Questo avanzamento di tecnica ci consente di utilizzare sempre di più il lipofilling come un semplice filler di acido ialuronico e di trattare anche aree che in passato non potevano essere trattate. Negli ultimi anni abbiamo ottenuto risultati molto soddisfacenti anche nel trattamento delle mani. Purtroppo, le mani sono l’unica parte del corpo a tradire la vera età anagrafica di una persona e finora non si praticavano interventi o trattamenti di chirurgia estetica perché i risultati erano scarsi a fronte di costi elevati. Oggi, invece, con il lipofilling è possibile ringiovanire tutte le parti del viso e del corpo, anche quelle più ostiche da trattare. Il lipofilling vie- ne utilizzato da diversi anni nella chirurgia ricostruttiva della mammella, per eliminare gli esiti di quadrantectomie e di terapie adiuvanti quali la radiodermite post radioterapia. Va detto che questa tecnica è da considerarsi «trattamento medico», dunque deve essere affidata a professionisti seri e competenti, specialisti in chirurgia plastica, estetica e ricostruttiva, in strutture adeguate. Altrimenti i danni potrebbero essere anche molto gravi. © RIPRODUZIONE RISERVATA Prospettive Biotecnologie applicate alla chirurgia L’ingegneria che aiuta i medici a riprodurre tessuti e organi R iprodurre in laboratorio tessuti fondamentali per la salute e il benessere di migliaia di pazienti, per esempio di pelle, cartilagine e ossa. È di questo che si occupa l’ingegneria tissutale applicata alla chirurgia, scienza che usa materiali «intelligenti» e cellule staminali adulte per imitare la natura. Ed è facile immaginare che gli studi di oggi avranno un ruolo fondamentale nel determinare la medicina di domani. Si pensi, ad esempio, all’importanza dei trapianti in caso di persone affette da ulcere, tumori della pelle o con gravi ustioni. Situazioni per le quali, già oggi, si può intervenire con risultati sorprendenti. Il prossimo passo è quello di arrivare a creare valvole cardiache e vasi sanguigni, e l’orizzonte non è molto Alfonso Barbarisi Alfonso Barbarisi è docente di chirurgia generale alla Sun e, sempre alla Seconda Università di Napoli, direttore del Dipartimento di Scienze anestesiologiche, chirurgiche e dell’emergenza e direttore dell’unità complessa IX Divisione di Chirurgia generale, vascolare e biotecnologie applicate. Dal 2010 al 2013 è stato presidente dell’European Society of Surgery. In precedenza è stato presidente della Conferenza dei presidenti dei Collegi dell’area medica e rappresentante per l’Italia all’Uems (European Union of Medical Specialists, section of Surgery), nonché segretario dell’Uems Section of Surgery (General Surgery Division and Board Secretary). Ha ricoperto anche la carica di presidente della Società Italiana di Endocrinochirugia e della Società Italiana Tumori. 15 Corriere del Mezzogiorno Lunedì 24 Marzo 2014 NA Nuove tecniche / 2 Con l’applicazione «sottofasciale» si elimina l’effetto gradino Seno Bellezza e salute Mastoplastiche additive super-richieste Ma attenzione nella scelta del chirurgo di FRANCESCO D’ANDREA L a mastoplastica additiva è l’intervento di chirurgia estetica più richiesto e più praticato al mondo per aumentare il volume del seno attraverso l’utilizzo di protesi mammarie. Tutte le donne desiderano avere un seno in armonia con il proprio corpo perché il seno da sempre è simbolo di femminilità. Oltre a essere ispiratore di sensazioni materne, riveste un lontano. Tutto questo per poter salvare delle vite umane, e dare a pazienti affetti da gravi malformazioni o malattie una speranza in più. «Un giorno saremo capaci di coltivare interi organi: un rene, una vescica, il fegato o il cuore, che madre natura ha perfezionato in migliaia di anni», spiega Alfonso Barbarisi, docente di chirurgia generale che dirige il servizio di Biotecnologie applicate alla chirurgia presso il Policlinico della Seconda Università di Napoli. Come? «Grazie alle cellule staminali adulte, ma non ancora mature, e a materiali capaci di interagire e integrarsi con l’ambiente circostante. Questo ci permette di ingegnerizzare non solo tessuti ma anche grandi organi». Tuttavia, per passare dalla conoscenza di base alla ricerca finalizzata occorre formare una nuova figura di medico: il ricercatore «traslazionale», che in Italia, a differenza degli Stati Uniti, è poco diffuso. Ecco perché parecchi anni fa il professor Barbarisi decise di elaborare un progetto di qualifi- cazione scientifica post laurea, per creare un dottorato di ricerca in «Biotecnologie applicate alle scienze medico-chirurgiche». Un progetto che ha sempre avuto come fine quello di aprire il campo ad applicazioni concrete delle biotecnologie, visto che possono e devono aprirsi alla necessità economica dello sviluppo. Sono infatti tra le aree dell’high technology in maggiore espansione. E come spesso accade, anche in questo campo, sono gli americani quelli che corrono di più: negli ultimi anni sono stati messi all’opera migliaia di ricercatori e tecnici, con investimenti miliardi e di dollari. Un quadro complesso, nel quale il lavoro di Barbarisi si configura come vera e propria eccellenza. La prospettiva è dunque quella di poter arrivare a creare un giorno in laboratorio qualsiasi organo vitale in modo da non avere più bisogno dei donatori. R. Nes. © RIPRODUZIONE RISERVATA ruolo fondamentale nell’intimità sessuale. Alterazioni, anche lievi, della forma o del volume mammario possono essere motivo di perdita di autostima e di sex appeal con conseguenti ripercussioni sulla sfera psicologica e sulla vita di relazione. È questo il motivo per cui gli interventi di chirurgia estetica del seno sono tra i più richiesti in assoluto nel mondo. Nella maggior parte dei casi, a rivolgersi al chirurgo plastico per questo genere d’intervento sono giovani donne che in seguito a uno sviluppo modesto della mammella si presentano con un seno sproporzionatamente piccolo; o donne che hanno subito una riduzione del volume mammario dopo una gravidanza o una drastica perdita di peso. In questi ultimi due casi, talvolta si associa un abbassamento del seno che nelle forme più marcate richiede un intervento aggiuntivo di mastopessi o lifting, cioè di spostamento verso l’alto dell’intera mammella. In tutti i casi l’obiettivo della mastoplastica additiva dev’essere quello di ottenere risultati naturali, adattando l’aumento del seno alla conformazione corporea di ogni singola paziente. In questo siamo aiutati dalla possibilità di impiego di protesi sempre più diversificate in termini di forma, volumi, consistenza e materiali, tali da poter essere adattate a ogni paziente come se si trattasse di protesi «su misura», specifiche per il loro caso. Inoltre le tecniche moderne eseguite da mani esperte consentono il rispetto della funzionalità della mammella, permettendo al tempo stesso ampie riduzioni di rischi per la salute, cicatrici nascoste e risultati stabili e duraturi nel tempo. Una novità in questo campo è data da una particolare tecnica che applico sulle mie pazienti con risultati molto soddisfacenti sia dal punto di vista estetico che funzionale. Si tratta di posizionare le protesi in uno spazio anatomico detto «sottofasciale», che è un giusto compromesso tra i classici posizionamenti sottomuscolare e sottoghiandolare, con il vantaggio di eliminare l’effetto gradino, diminuire il dolore postoperatorio e ridurre i tempi della convalescenza, consentendo il ritorno a una vita attiva dopo sole 48 ore dall’intervento. Inoltre il posizionamento sottofasciale ci dà la certezza di lasciare tutto il tessuto mammario al di sopra della protesi, evitando interferenze con eventuali esami diagnostici successivi come ecografie o mammografie. È di fondamentale importanza affidarsi a un chirurgo plastico serio e specializzato, con il quale valutare il tipo di intervento idoneo da effettuare e discutere eventuali complicanze. Si deve diffidare da chi illustra solo i risultati positivi e soprattutto di chi propone interventi «low cost». Chi propone un intervento di mastoplastica additiva con una spesa di poche migliaia di euro non dovrebbe essere neanche preso in considerazione. Oggi in Italia, purtroppo, basta la sola laurea in medicina per fare il chirurgo plastico, e questo fa si che ci siano medici improvvisati e incompetenti, con danni per le ingenue pazienti. La scuola di specializzazione di cui sono titolare alla Sun, consente di avere una conoscenza completa della chirurgia plastica, dalla ricostruttiva all’estetica. Non dimentichiamo che la bellezza passa per la salute. © RIPRODUZIONE RISERVATA Francesco D’Andrea Specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica, Francesco D'Andrea è professore ordinario di chirurgia plastica alla Sun. È inoltre direttore della scuola di specializzazione di Chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica, direttore del master universitario di II livello di Medicina estetica e coordinatore di un dottorato di ricerca in Chirurgia sperimentale ricostruttiva. Direttore del reparto di Chirurgia plastica della Sun, è visiting professor all’Universita Internazionale della Catalogna. Ha organizzato numerosi congressi e corsi di aggiornamento e ha pubblicato oltre 150 lavori scientifici su riviste nazionali e internazionali. È stato segretario ed è è tesoriere della Società italiana di Chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica. È il delegato per l’Italia dell’European Association of Aesthetic Plastic Surgery. 16 Lunedì 24 Marzo 2014 Corriere del Mezzogiorno NA FORMAZIONE Certi che, ai fini di un adeguato apprendimento della psicoterapia sistemico relazionale, la formazione debba favorire una tras-formazione dello studente, la scuola: • Privilegia il lavoro sulla personalità e sulle modalità relazionali dell’allievo affinché possa utilizzarle produttivamente nella relazione terapeutica. • Dedica particolare attenzione alla sua storia familiare per valorizzare le risorse del patrimonio trigenerazionale. • Garantisce la pratica della psicoterapia supervisionata dallo staff didattico, ai pazienti che afferiscono al servizio clinico della scuola. PSICOTERAPIA • Individuo - famiglia coppia • Infanzia - adolescenza • Favorire l’aiuto Una parte del Servizio clinico viene riservato a costo ticket o a titolo gratuito per le persone in gravi difficoltà economica. La lista di attesa segue la prenotazione telefonica. • Specializzazione in Psicoterapia (per laureati in Psicologia, Medicina e Chirurgia) • Mediazione Familiare • Supervisione clinica • Consulenze terapeutiche • E.C.M. CREDIAMO ALLE OPPORTUNITÀ Borsa di studio per l’anno 2015 L’ITER istituisce annualmente 2 borse di studio, del valore di milleduecento euro ciascuno per le sedi di Napoli e Caserta per gli iscritti al primo anno della scuola di specializzazione. Idoneità 2015: è necessario superare il colloquio di ammissione con il direttore della scuola. PRENOTAZIONI COLLOQUI 2015: tramite il sito www.iterformazione.it, via mail agli indirizzi: [email protected] o [email protected], prenotazione telefonica ai numeri: 0823.351820 - 081.669195 - 338.7107077
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