Povero Sud, si risparmia perfino sulle cure mediche

Lunedì 24 marzo 2014
Salute e prevenzione
PERCHÉ SALUTE
E PREVENZIONE
Ambiente
e salute
Oltre la paura
di MARCO TRABUCCO AURILIO
P
revenzione è benessere: è dal
ruolo centrale della prevenzione
come elemento fondamentale
per favorire e mantenere lo stato
di benessere dell’individuo e della collettività che nasce Salute e prevenzione,
progetto editoriale frutto della collaborazione tra il Corriere del Mezzogiorno e
Network Salute, organo ufficiale dell’Osservatorio Italiano di Prevenzione e benessere.
Secondo l’Organizzazione Mondiale
della Sanità in Europa, così come in Italia, il maggior numero dei decessi è determinato da patologie croniche — malattie
cardiovascolari, respiratorie, tumori e
diabete — correlate ai quattro principali
fattori di rischio: fumo, cattiva alimentazione, abuso di alcol e sedentarietà. La
nostra mission, quindi, attraverso una
pluralità di rubriche e interventi scientifici, sarà quella di contribuire a comunicare corretti messaggi di salute per contrastare proprio i fattori di rischio ancora
«modificabili», e diffondendo così una visione innovativa di salute, non solo come unica responsabilità di medici e operatori sanitari, ma come obiettivo primario di tutti. L’individuo, il cittadino, deve
diventare, in questo processo, partner attivo nel conservare e migliorare il proprio stato di salute. Già vari anni fa, secondo l’Ocse, il nostro servizio sanitario
era carente in termini di tempestività di
risposta al bisogno, di comunicazione e
multiculturalità, di rispetto dell’autonomia e della libertà di scelta, e infine scarso in termini di comfort e personalizzazione dell’assistenza. Oggi, pur essendo
migliorata la qualità media dell’assistenza sanitaria rimangono, in particolare al
Sud: basta pensare ai tempi di attesa fatalmente lunghi della sanità pubblica per alcuni accertamenti diagnostici utili per
screening e prevenzione di patologie ad
alta incidenza. E alle vecchie criticità se
ne aggiungono altre, come quella di una
non equa ripartizione dei fondi per la sanità destinati alle Regioni.
Con la crescente domanda di informazione sulla salute, appare evidente che la
comunicazione in sanità deve assumere
un ruolo sempre più centrale nelle strategie di prevenzione sanitaria, diritti del
malato e accessibilità alle cure: noi proviamo a dare il nostro contributo. Buona
lettura.
* Coordinatore scientifico
di Network Salute
© RIPRODUZIONE RISERVATA
in collaborazione con
di RAFFAELE NESPOLI
ALLE PAGINE 2, 3 e 4
Quando
l’ansia diventa
patologia
di RAFFAELE FELACO
A PAGINA 6
Alimentazione
«Curarsi»
a tavola
di KATHERINE ESPOSITO
A PAGINA 7
Come
convivere
con il diabete
A PAGINA 8
Sanità, i dati Istat 2013
Povero Sud, si risparmia
perfino sulle cure mediche
di EMANUELE IMPERIALI
A PAGINA 11
Anoressia
nervosa
L’insidia
di CHIARA MARASCA
A PAGINA 9
2
Lunedì 24 Marzo 2014 Corriere del Mezzogiorno
NA
La vita al tempo dell’allarme inquinamento
Oltre la paura
di RAFFAELE NESPOLI
D
a un lato una paura incontrollata, l’idea di essere sull’orlo di un
baratro dal quale sarà difficile salvarsi; dall’altro un «negazionismo» spesso parossistico, quasi un tentativo di ridurre tutto a una questione di stili di vita. Sta di fatto che il tema della salute, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia,
sembra essere ormai legato a doppio filo
a sconcertanti vicende di cronaca: dall’incredibile situazione dell’Ilva di Taranto alla materializzazione dello spettro di Gomorra in Campania. E proprio per la Terra
dei fuochi è scattato di recente il divieto
di vendita dei prodotti agricoli coltivati in
zone ritenute «ad alto rischio». Anche in
questo caso, per avere un’idea d’insieme,
si deve però guardare la questione da più
punti di vista. Forte l’impatto mediatico
della notizia, poi però ci si dimentica di
sottolineare che dei 57 Comuni campani
coinvolti, 1.076 chilometri quadrati in tutto, solo per il 2 per cento c’è la necessità
di adottare misure di salvaguardia. Un caos alimentato dall’unica certezza di non
essere riusciti sino a oggi a stabilire un
nesso chiaro tra causa ed effetto, capire
quali siano le reali conseguenze per i milioni di cittadini che si trovano a vivere in
queste aree e, se possibile, definire quali
siano gli screening necessari a seconda
delle zone, cioè dei fattori inquinanti ai
quali si è più esposti. Perché, se è vero
che il rischio di creare allarmismi ingiustificati è sempre dietro l’angolo, è altrettanto vero che non si può non cercare di definire una sorta di road map che aiuti a fare
un po’ di chiarezza. Paradossalmente, a
questo compito pare abbiano assolto più
che altro intellettuali, giornalisti e sacerdoti. Uno su tutti, Maurizio Patriciello, uomo simbolo della protesta di migliaia di
cittadini.
©
Campania
€ 0.47 (non vendibile separatamente dal Corriere della Sera)
Antonio Polito
direttore responsabile
Maddalena Tulanti
vicedirettore
Tanto rumore sulla Terra dei fuochi
ma in Campania ci sono 345 mila ettari
di terreni ufficialmente inquinati nei Sin
Suo, e di Marco Demarco (editorialista
del Corriere della Sera ed ex direttore del
Corriere del Mezzogiorno) è il libro «Non
aspettiamo l’apocalisse», storia di una battaglia che ha avuto il grande merito di accendere i riflettori sulla questione ambientale in Campania. Sempre sulla Terra
dei fuochi si concentra l’instant book del
«Pomodoro flambé»
‘‘
Sin e Sir
Dopo il grande successo in
edicola, «Pomodoro Flambé. La
prima inchiesta su cosa mangiamo»
è in vendita sullo store di Corriere.it,
nella sezione saggistica, al prezzo di
4 euro. L’instant book curato dal
giornalista del Corriere del
Mezzogiorno Gianluca Abate
fa il punto sull’emergenza ambientale
e agroalimentare in Campania,
regione dove
nel 2011 si è
registrata la spesa
alimentare più alta
d’Italia (superiore
anche alla
Lombardia) ma dove
oggi i consumi sono
crollati.
Carmine Festa
redattore capo centrale
Domenico Errico
amministratore delegato
Speciale a cura di Angelo Lomonaco
Sede legale:
Vico II S. Nicola alla Dogana, 9
80133 Napoli - Tel: 081.7602001
Fax: 081.58.02.779
Reg. Trib. Napoli n. 4881
del 17/6/1997
Editoriale del Mezzogiorno s.r.l
Vincenzo Divella
presidente
Giorgio Fiore
vicepresidente
Corriere del Mezzogiorno «Pomodoro
flambè. La prima inchiesta su cosa mangiamo», a cura del giornalista Gianluca
Abate. Al contrario, la politica non ha dato segni di risveglio. Almeno non quanti
ne sarebbero serviti. Così, per quanto ci si
possa documentare, e magari farsi un’idea propria, restano le domande di mi-
«Sin» sta per Siti di interesse
nazionale, «Sir» significa Siti di
interesse regionale. Si tratta di aree
contaminate e particolarmente
pericolose, per le quali sono necessari
interventi di bonifica. Dei 57 Sin
iniziali, 6 sono in Campania, per
complessivi 345 mila ettari, ma 4 sono
stati declassati a Sir dal governo Monti.
I Sir campani sono Litorale Domizio
Flegreo e Agro Aversano, Pianura,
Bacino idrografico del fiume Sarno, Aree
del litorale vesuviano. Restano Sin
Napoli Est e Bagnoli. Nessun
declassamento in Puglia, dove i Sin sono
quattro: Manfredonia, Brindisi, ex
Fibronit di Bari e area industriale di
Taranto. Nel Sud, altri 4 Sin sono in
Sicilia, 2 in Basilicata e uno in Calabria.
‘‘
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Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo quotidiano può
essere riprodotta con mezzi grafici, meccanici, elettronici o digitali.
Ogni violazione sarà perseguita a
norma di legge.
gliaia di cittadini. Quali sono le zone a rischio? Ci sono screening ai quali sarebbe
bene sottoporsi per intercettare sul nascere un’eventuale malattia da inquinamento? Ci sono esami ai quali non si dovrebbe mai rinunciare? In attesa di trovare le
risposte, si può almeno partire da un dato
di fatto: comunque la si pensi, in Italia sono stati individuati negli anni ben 57 tra
Siti di interesse nazionale (Sin) e Siti di
interesse regionale (Sir), aree contaminate molto estese classificate come molto
pericolose, per le quali sono necessari interventi di bonifica. La prima eccezione
che si potrebbe sollevare è che in tutte le
regioni esiste almeno uno di questi siti, e
il «record» è detenuto da una regione del
Nord, la Lombardia, che ne ha 7. Volendo
abbozzare una sorta di classifica, subito
dopo c’è la Campania (sei siti), poi Piemonte e Toscana (cinque), Puglia e Sicilia
(quattro), Liguria (tre). Due per Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Marche, Lazio,
Abruzzo, Sardegna e Basilicata. Mentre le
regioni per le quali è stato individuato un
solo Sin sono Valle d’Aosta, Umbria, Molise e Calabria. Va detto, però, che se la
mappa si legge dal punto di vista dell’estensione delle aree maggiormente contaminate, i dati iniziano a essere più significativi. In questo caso le regioni più colpite risultano la Sardegna, con 445 mila etta-
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ri, e la Campania, con 345 mila. Tra i Sin
più “noti”: Bagnoli (ex Italsider), Napoli
Est, l’ex Fibronit di Bari, l’area industriale
di Taranto e quella di Crotone. Di recente
il ministero della Salute ha anche presentato un importante progetto che ha valutato la mortalità della popolazione residente in 44 Sin per un periodo di otto anni;
circa 6 milioni di abitanti residenti in 298
comuni. «Sentieri» — acronimo di Studio
epidemiologico nazionale dei territori e
degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento — ha considerato 63 cause
di morte (oltre ai tumori anche malattie
respiratorie, circolatorie, neurologiche e
renali) potenzialmente associate alla residenza in prossimità di poli chimici, petrolchimici, raffinerie, stabilimenti siderurgici, centrali elettriche, miniere e cave,
zone aree o portuali, siti di smaltimento
dei rifiuti e inceneritori.
In alcuni casi i nessi causali sono apparsi chiari, perché esistono conoscenze
scientifiche adeguate a spiegare incrementi osservati, come nel caso dei siti caratterizzati dalla presenza di amianto o di
altre fibre asbestiformi nei quali l’aumento della mortalità per mesotelioma pleurico arriva a crescere 8 volte tra gli uomini
e oltre 9 volte tra le donne. In altri casi,
invece, si osservano incrementi della mortalità per cause per le quali il nesso con
l’inquinamento ambientale è sospettato
ma non accertato. Per esempio il tumore
polmonare, che mostra un aumento di circa il 10 per cento sia tra gli uomini che tra
le donne in siti contaminati da poli siderurgici (Taranto) o petrolchimici (Porto
Torres). In altri siti ancora la mortalità
per tutte le cause è inferiore del 5-10 per
cento rispetto alla popolazione regionale,
come a Sesto San Giovanni e Manfredonia. Questo non può che far pensare a un
quadro di partenza favorevole, di una contaminazione ambientale che, pur esisten-
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Corriere del Mezzogiorno Lunedì 24 Marzo 2014
NA
Giuseppe Colucci
Agostino Di Ciaula
Laureato in Medicina e Chirurgia nel ’69 e
specializzato in Medicina interna e in Oncologia,
Giuseppe Colucci è stato primario di Oncologia
medica e sperimentale fino al dicembre 2011 e
dall’agosto 2001 è direttore del Dipartimento di
Oncologia medica dell’Istituto Oncologico di Bari.
Professore a contratto di Oncologia medica presso
la Scuola di specializzazione in Medicina interna
delle Università di Bari e di Palermo, è stato
fondatore, nell’85, e presidente del Gruppo
Oncologico dell’Italia Meridionale (Goim) che rappresenta oggi uno dei
più importanti gruppi cooperatori italiani per la ricerca scientifica e per la
formazione oncologica. Colucci ha fondato anche la Mediterranean
Oncology Society, della quale è presidente onorario, come della Società
italiana tumori (Sit), mentre in passato ha presieduto l’Ordine dei medici
di Bari. È autore di oltre 580 pubblicazioni scientifiche, tutte di interesse
oncologico, e ha promosso e organizzato decine di convegni specialistici.
Cesare Gridelli
Nato a Bari, Agostino Di Ciaula si è laureato in
Medicina e Chirurgia nell’89 e specializzato in
Medicina interna nel ’94. Medico ospedaliero —
vicedirettore della Medicina interna di
Bisceglie-Trani — è da anni attivamente
impegnato in attività assistenziali, didattiche e di
ricerca biomedica. Ha prodotto numerose
pubblicazioni scientifiche (articoli su riviste
internazionali, libri e capitoli di libro), anche grazie a
collaborazioni con l’Università di Bari e con atenei
esteri. Svolge attività di reviewer per alcune riviste mediche internazionali
(European Journal for Clinical Investigation, Neurogastroenterology and Motility,
Bmc Gastroenterology, Clinical and Experimental Rheumatology). È referente
regionale per la Puglia dell’nternational Society of Doctors for Environment
e, nell'ambito delle attività dell’Isde, si occupa delle interazioni tra ambiente
e salute umana. Ha partecipato come relatore a numerosi convegni
scientifici e divulgativi.
Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1985
all’Università Federico II di Napoli, dopo aver
conseguito le specializzazioni in Oncologia medica
e in Medicina interna, Cesare Gridelli è diventato
dirigente di I livello nella Divisione di Oncologia
medica e poi responsabile dell’Unità operativa di
Chemioterapia ambulatoriale dell’Istituto
dei tumori di Napoli. Attualmente dirige
la Struttura complessa di Oncologia medica
e il Dipartimento di Onco-Ematologia
dell’Azienda ospedaliera Moscati di Avellino.
Membro di numerose associazioni scientifiche e gruppi cooperativi,
Gridelli svolge attività di revisione ed editoriale per numerose riviste
scientifiche internazionali ed è autore di oltre di più di settecento
pubblicazioni tra abstracts e lavori per estenso su riviste nazionali
e internazionali (di cui oltre trecentocinquanta su riviste
internazionali indexate).
L’area industriale di Taranto,
al centro di moltissime polemiche
Nella pagina a sinistra,
rifiuti accumulati proprio vicino
a coltivazioni agricole
nella Terra dei fuochi,
nella zona tra Napoli e Caserta,
in Campania
do, non si è tradotta in un’esposizione nociva per la popolazione; almeno non tale
da determinare un danno alla salute. Si
può poi presupporre un buon avanzamento delle opere di bonifica e di riconversione industriale con attività a minore impatto ambientale, o di definitiva dismissione
dell’attività industriale stessa.
Tuttavia, vale la pena di scavare più a
fondo. Proprio per questo il progetto Sentieri ha raggiunto importanti sviluppi che
mirano a caratterizzare lo stato di salute
delle persone che vivono in prossimità
dei siti inquinati, attraverso l’impiego di
indicatori multipli (mortalità, incidenza
tumorale, ricoveri ospedalieri, malformazioni congenite) e la conduzione di studi
di coorte e di sorveglianza epidemiologica. Come riportato dall’Istituto superiore
di Sanità: «Con il sostegno dell’Italia,
l’Oms sta inoltre lavorando alla costituzione di una rete collaborativa sui siti contaminati europei. In questo senso, il progetto Sentieri ha gettato le basi per la realizzazione di un programma di osservazione
permanente in stretta collaborazione tra
istituzioni che operano nei settori ambientali e di sanità pubblica». Bene.
Stabiliti alcuni punti fermi, però, la situazione resta caotica e il quadro generale
non è del tutto intellegibile. Si può allora
ricorrere all’aiuto di medici esperti per cercare di diradare un po’ la nebbia e interpretarlo almeno nelle sue parti essenziali. Per
Expertscape (associazione californiana di
Palo Alto, che si dedica a informare i pazienti sui migliori specialisti mondiali),
Cesare Gridelli è il miglior oncologo del
mondo nel trattamento del tumore al polmone, ed è proprio lui a spiegare: «Troppo spesso si sente parlare di tumori e di
inquinamento, senza avere però cognizione di causa. Ultimamente – dice — l’attenzione dei media si è concentrata sulla Terra dei fuochi, un problema gravissimo di
L’area industriale di Taranto è
sicuramente contaminata, tuttavia
sono pericolosi anche certi stili di vita
cui si deve parlare, e per il quale certamente servono le bonifiche. Ma quello che mi
preoccupa di più è l’assenza di dati certi e
la mancanza di un vero e proprio registro
dei tumori. Va detto che le cose stanno
cambiando, fino a qualche tempo fa avevamo solo due registri per i tumori capaci di
coprire appena il 30 per cento della popo-
lazione campana. Dal primo gennaio è partito invece il registro regionale, che sarà
ben più completo. Ma i dati li avremo non
prima di tre anni. Stando così le cose, non
è possibile parlare di causa e di effetto in
termini scientifici. Possiamo solo analizzare i dati che abbiamo, che però ci danno
una visione molto parziale». Resta la que-
stione di fondo, cosa fare in attesa di conoscere le reali forme e dimensioni del problema? Per Gridelli non si può fare altro
che usare il buon senso, «tenere alta la
guardia, senza però fasciarsi il capo prima
di esserselo rotto». In altre parole, spiega
«si deve prendere atto della possibilità
che nei prossimi anni potrebbe esserci
Comportamenti a rischio
‘‘
In attesa che i dati statistici
forniscano informazioni
attendibili sui danni da
inquinamento nelle aree ex
industriali e in quelle dove sono
stati stipati rifiuti per anni, i medici
sottolineano è già accertato che gli
stili di vita a rischio effettivamente
influiscono. Il fumo, per esempio, è
responsabile del tumore al polmone
nel 70 per cento dei casi, e per il 30
per cento di tutte le altre neoplasie.
Di contro, chi smette di fumare ha
la certezza di migliorare la propria
salute e ridurre i rischi che corre:
dopo 5 anni, infatti, il rischio di
mortalità per tumore polmonare si
riduce quasi della metà rispetto a
quello di un fumatore, e diminuisce
anche il pericolo di cancro
all’esofago, al cavo orale e alla
vescica. Trascorsi dieci anni da
quando si è smesso di fumare, il
rischio di tumore si riduce
addirittura sino al 40-50 per cento.
E quindici anni dopo l’ultima
sigaretta, il rischio di avere malattie
cardiache coronariche è lo stesso di
un non fumatore.
Una campagna anti-fumo a Napoli
una ricaduta sulla salute, in termini di aumento dei tumori e di altre malattie. Ma al
momento non esistono per la Campania
evidenze che lascino presupporre un significativo aumento delle neoplasie. C’è invece la certezza che stili di vita a rischio siano la principale causa di morti per tumore
del polmone, ad esempio il fumo è responsabile del tumore al polmone nel 70 per
cento dei casi, e per il 30 per cento di tutte
le altre neoplasie». Così, al centro della discussione torna il tema di ciò che si può
fare «nel proprio piccolo» per ridurre al
massimo i rischi. Tra le tante incongruenze dei nostri tempi c’è infatti quella di preoccuparsi, a volte anche in maniera eccessiva, dei pericoli che arrivano dall'inquinamento ambientale; mentre, al contrario,
non ci si cura minimamente di tutta una
serie di comportamenti che, si sa per cento, avranno effetti devastati sulla salute.
Anche i dati citati da Gridelli mettono in
evidenza questa grave «schizofrenia» collettiva, per la quale si arriva addirittura ad
aver paura di comprare verdura o frutta
proveniente dall’area della Terra dei fuochi, ma non si ha nessun problema a fumare un pacchetto di sigarette al giorno. Che
poi è un po’ come assumere costantemente una piccola dose di veleno. Eppure, chi
smette di fumare ha la certezza di fare
qualcosa di buono per la propria salute:
dopo 5 anni, ad esempio, il rischio di mortalità per tumore polmonare si riduce rispetto a quello di un fumatore quasi della
metà, e diminuisce anche il pericolo di
cancro all’esofago, al cavo orale e alla vescica. Dopo 10 anni da quando si è smesso
di fumare, il rischio di tumore si riduce addirittura sino al 40-50 per cento; e dopo
15 anni il rischio di avere malattie cardiache coronariche è lo stesso di un non fumatore.
CONTINUA A PAGINA 4
4
Lunedì 24 Marzo 2014 Corriere del Mezzogiorno
NA
Gli effetti delle alterazioni del macro ambiente si rilevano dopo 20 anni. Ma a Taranto, caso unico, l’attesa di vita si è già ridotta di 2 anni
L’area ex industriale
di Bagnoli, a Napoli
SEGUE DA PAGINA 3
E il fumo non è certo l’unico fattore di
rischio al quale molti accettano di esporsi
senza batter ciglio. Sempre più spesso, infatti, alla dieta mediterranea si va sostituendo un’alimentazione da «fast food»
d’importazione statunitense. Abitudini
che non riguardano solo i giovani, che nel
week end si fermano spesso a mangiare
nei pub, ma anche gli adulti che hanno ormai quasi del tutto sostituito il pranzo con
panini o hot dog. A questo si aggiunge
ogni sorta di bibita gasata e snack, dei quali la maggior parte delle famiglie italiane fa
un consumo smodato. «Non meraviglia —
dice Gridelli — che si stia assistendo a uno
spropositato aumento del diabete e di tutte le patologie ad esso associate. In definitiva, non possiamo non considerare che macro e micro ambiente interagiscono tra loro nella determinazione del nostro stato di
salute. E i nostri comportamenti di ogni
giorno possono veramente fare la differenza».
Tornando però ai problemi di inquinamento ambientale, esiste un programma
di prevenzione che si sentirebbe di sottoscrivere? «Dire che non abbiamo un quadro chiaro della situazione — chiarisce —
non significa negare che esista un problema ambientale. Sappiamo già che tra i tumori legati a fattori di inquinamento, i più
frequenti sono il mesotelioma pleurico,
ma anche linfomi, leucemie e tumori del
Mesotelioma pleurico
‘‘
Il mesotelioma è una neoplasia
che colpisce il mesotelio, il
sottile tessuto che riveste la gran
parte degli organi interni. Si tratta di
un tumore «raro», visto che
rappresenta l’1 per cento circa di
tutte le malattie oncologiche. La
forma più frequente è quella che
colpisce la pleura, il mesotelio che
riveste i polmoni e la parete interna
del torace. Il più importante fattore
di rischio per il mesotelioma è
rappresentato dall’esposizione
all’amianto: la maggior parte di
questi tumori riguarda infatti
persone che sono entrate in contatto
con questa sostanza, a casa o sul
posto di lavoro, o che vivono con
persone che la lavorano.
fegato. Per elaborare un piano di screening, per così dire “su misura”, si dovrebbe prima di tutto sapere con precisione
quali sono gli agenti inquinanti ai quali è
sottoposta una determinata popolazione.
Diciamo invece che sulla base degli unici
dati che possiamo considerare certi, consiglierei a tutte le donne di fare una mammografia annuale, e un Pap test ogni due
anni. Chiunque, superati i 50 anni, dovrebbe sottoporsi a un esame di sangue occulto nelle feci e fare una colonscopia. Per i
fumatori ultracinquantenni, una volta l’anno, sarebbe consigliabile una Tac spirale
del torace».
Mammografia, pap test, tac
‘‘
La mammografia è una
radiografia in cui si comprime il
seno tra due lastre per individuare la
presenza di possibili formazioni
tumorali. Viene quindi eseguita quando
alla palpazione si avverte la presenza
di un nodulo o come test di screening
per cercare di scoprire la malattia
prima che si manifesti. Allo stesso
modo, il pap test serve a individuare
precocemente tumori del collo dell’utero
o alterazioni che potrebbero diventarlo.
La tomografia computerizzata (Tac),
tecnica di diagnostica per immagini,
consente invece di esaminare varie
parti del corpo anche per la diagnosi e
lo studio dei tumori. La tecnica a
spirale consente di ottenere immagini
tridimensionali.
Come detto, però, la questione ambientale non riguarda solo la Campania. Molte
altre regioni del Mezzogiorno sono state
negli ultimi tempi al centro di polemiche,
spesso sollevate da associazioni di cittadini preoccupate per le possibili ricadute
che l’inquinamento può avere sulla salute.
Uno dei casi più eclatanti, sul quale è intervenuta anche la magistratura, riguarda l’I-
le quali i media prestano maggior attenzione nel tentativo di spiegare una realtà tanto complessa. «La visione “cancrocentrica” dei danni provocati dagli agenti inquinanti — dice — è un po’ fuorviante. Problemi maggiori, infatti, si hanno nel breve
periodo con malattie diverse dal cancro.
Per esempio patologie dell’apparato respiratorio, ma anche cardiovascolari». Come
referente regionale dell’Isde, e nell’ambito
delle attività di questa società scientifica,
Di Ciaula ha ben chiare le interazioni tra
ambiente e salute, e il suo punto di vista
su quanto sta accadendo a Taranto ne è la
prova. «Quella zona — prosegue — può essere considerata, in negativo, un laboratorio a livello nazionale. Purtroppo parliamo
di un carico di inquinanti che si trascina
da decenni, un unicum epidemiologico a
livello nazionale». Una situazione ben fotografata anche dagli ultimi dati Istat (database «Health for All») che mostrano chiaramente come in Italia l’attesa di vita sia
ovunque in ascesa e in alcune situazioni
abbia raggiunto livelli che si mantengono
costanti. Ma i residenti nella Provincia di
Taranto rappresentano l’unico caso a livello nazionale in cui l’attesa di vita dal 2006
ha invece subito una preoccupante inversione di tendenza, con una perdita nel
2009 di circa 2 anni di vita attesa per gli
uomini, e di poco più di un anno per le
donne». Contestualmente si rileva anche
un forte aumento di patologie come che
nulla hanno a che vedere con i tumori. «A
Taranto — aggiunge Di Ciaula — si è registrato un significativo incremento della
va di Taranto. E qui la questione pare com- questo, siamo di fronte a un fenomeno generazioni future». In conclusione, servi- mortalità per malattie respiratorie acute,
plicarsi. Se da un lato l’impatto ambientale che interessa l’intera area di Taranto? Non rebbero programmi di prevenzione attenti malattie dell’apparato digerente e malattie
sulla salute pare innegabile, dall’altro non direi. I dati ci dicono che i casi di tumore sia alle ricadute del micro che del macro cardiache. L’aumento della concentraziosi può non iniziare a distinguere tra «mi- del polmone sono aumentati, ma non in ambiente? «La prevenzione è importante ne atmosferica di inquinanti causa effetti
cro» e «macro ambiente». Una classifica- maniera tanto accentuata come certa stam- per tutti, servirebbe però una maggiore importanti nel breve termine (anche nelzione ben chiarita dall’oncologo Giuseppe pa vuole far credere. Colpisce più che altro sensibilità per i soggetti a rischio. Ovvero l’intervallo di una sola giornata), soprattutColucci, specialista per quel che riguarda i il trend, ecco perché le autorità dovrebbe- persone oltre i 40 anni, fumatori o che han- to in termini di malattie cardiovascolari
tumori gastroenterici e polmonari. «Che il ro imporre screening per la prevenzione no un cattivo stile di vita; e per coloro che (infarti, aritmie, ictus, scompenso cardiacancro sia una malattia ambientale — dice secondaria nelle popolazioni a rischio. Ad vivono in zone dove l’inquinamento am- co) e respiratorie (asma, riacutizzazioni di
— è accertato. Si deve però capire cosa si esempio — prosegue Colucci — un esame bientale ha un peso reale. In questo senso broncopatie croniche). Questo è particolarintende quando si parla di ambiente. Par- che si chiama Tac spirale a basso dosag- il quartiere Tamburi di Taranto è un perfet- mente evidente nei soggetti più vulnerabili, come i bambini,
liamo di macro ambiente facendo riferi- gio. A poco serve, invece, la semplice radio- to esempio. Un agglogli anziani, i malati
merato
urbano
che
la
mento a tutti i fattori ai quali siamo nor- grafia del torace che in passato si faceva ancronici. E, ovviamenmalmente esposti. Ad esempio esposizioni nualmente. Nell’intervallo tra un controllo politica ha colpevolMutazioni epigenetiche
te, si ripercuote sul
per così dire “accidentali”, legate al luogo e l’altro possono infatti svilupparsi neopla- mente fatto nascere
numero dei decessi.
di lavoro. Il micro ambiente è invece lega- sie fatali. Il problema vero è che la preven- a un chilometro dalle
Il «danno epigenetico» è
L’effetto dell’inquito a stile di vita (alimentazione, fumo, zione secondaria non è tanto efficace, non ciminiere».
un’alterazione che induce
namento per lungo
In altre parole, penstress e così via), ed è a questa classifica- quanto quella primaria. Diciamo che audifetti dell’espressione del Dna
tempo determina inzione che si lega il 70 per cento circa dei menta la possibilità di guarigione, un T1 o sando ai tumori, si
in assenza di modifiche della
vece la comparsa di
considera
la
possibilicasi di tumore. Va detto che gli effetti del un T2 hanno possibilità di guarigione a 5
sequenza dei geni.
malattie polmonari
macro ambiente sono rilevabili di norma a anni che si aggira attorno al 60 per cento». tà di diagnosi precoÈ stato dimostrato che questo danno
croniche, ad esemce
un’arma
vincente.
Dicevamo però che non siamo solo al couna distanza di circa 20 anni, quindi siaè alla base di una vera e propria
pio la bronchite cromo costretti a ragionare su dati che solo spetto di patologie neoplastiche. «Sì, ma Ma si è veramente
«riprogrammazione» fetale
nica, l’asma e l’enfivincenti
se
si
agisce
a
nei prossimi anni potranno offrirci una vi- per patologie come la broncopolmonite
patologica, in grado di determinare
sema, e l’insorgenza
sione più ampia e dettagliata. Insomma, cronica — sostiene Colucci — non si può monte, non solo cerl’insorgenza di malattie di varia
di varie neoplasie
cando
di
limitare
i
oggi i numeri ci aiutano, ma non ci dicono fare prevenzione. Anche quando si parla di
natura in età adulta.
maligne, come il cantutto». Dunque, al momento possiamo so- diossina, dicendo che è sotto i livelli di danni di malattie già
Altra conseguenza tipica del danno
cro polmonare e le
insorte
ma
impedenlo procedere per ipotesi? «In alcuni casi ab- guardia, si usa una frase equivoca; perché
epigenetico è che, quando sono
leucemie». Ma esibiamo già certezze, in altri possiamo affi- siamo nei termini di legge, ma si dovrebbe do che queste insorinteressate le cellule germinali del
ste un aspetto ancor
gano,
evitando
l’edarci al buon senso e fare delle stime». Da tenere conto anche del tempo di esposiziofeto,
le
conseguenze
sanitarie
si
più inquietante.
questo punto di vista, come si inquadra la ne». In sostanza, la tesi è che siamo sem- sposizione alle sorendono visibili e misurabili
«Nel caso dell’Ilva,
stanze
che
le
provocaquestione degli screening, ad esempio per pre esposti ad agenti pericolosi e che per
a
distanza
di
due
generazioni
molti degli inquinanquanti vivono nei pressi dell’Ilva di Taran- questo stiamo registrando, in alcune zone no. Ecco perché la
dal momento dell’esposizione di
ti (soprattutto metalprevenzione
primato? «Dal punto di vista mediatico capisco di più, in altre meno, un generale aumenli pesanti e compodonne in gravidanza.
ria
è
solo
in
parte
che la parola screening abbia un certo ap- to dei casi di cancro? «Sì, nonostante si
sti organici clorurati
compito
dei
medici,
peal. Ma cerchiamo di mantenere un ap- stia combattendo questa battaglia con arcome diossine e
che
possono
al
massiproccio scientifico. Gli screening servono, mi sempre più sofisticate, e penso alle nuoPcb),
oltre
a
entrare
nella
catena alimentama non meno importante è la prevenzione ve cure e alla prevenzione, non riusciamo mo svolgere un ruolo di sostegno informa- re sono in grado di superare la barriera plativo
basato
sulle
evidenze
scientifiche.
In
primaria. Nei pressi dell’Ilva si è registrato a evitare un bilancio sempre negativo.
centare e di causare danni già in epoca fetaun incremento di alcune neoplasie, ma an- Ogni anno i casi aumentano perché vivia- realtà il ruolo più importante lo gioca la le. Questi inquinanti causano, tra gli altri
che di tante altre malattie polmonari come mo in un ambiente altamente inquinato. politica. Questa è anche la tesi del dottor effetti, quello che si definisce “danno epiad esempio le bronchiti croniche. È chiaro Siamo perciò soggetti a mutazioni epige- Agostino Di Ciaula, specializzato in medici- genetico”, un’alterazione che induce difetche in quella zona entrano in gioco più fat- netiche, che possono modificare la funzio- na interna e referente per la Puglia dell’I- ti dell’espressione del Dna in assenza di
tori. Basti pensare che le polveri che cado- ne dei geni. Fortunatamente non viene in- sde (International Society of Doctors for modifiche della sequenza dei geni. È stato
no nei pressi del complesso industriale taccato il Dna e dunque queste modifica- Environment). Di Ciaula inquadra il pro- dimostrato che questo danno è alla base di
cambiano il colore alle cose, figuriamoci zioni sono reversibili. Ma resta il fatto che blema guardando al di là delle patologie una vera e propria “riprogrammazione” fese non hanno un effetto sulla salute. Detto ci renderemo conto degli effetti solo con le neoplastiche, che sono di norma quelle al- tale patologica, in grado di determinare
l’insorgenza di malattie di varia natura in
età adulta. Altra conseguenza tipica del
danno epigenetico è che, quando sono interessate le cellule germinali del feto, le
La controversa storia dell’istituzione regionale
conseguenze sanitarie si rendono visibili e
misurabili a distanza di due generazioni
dal momento dell’esposizione di donne in
gravidanza. Quindi non parliamo di effetti
che possono essere rilevati nell’immediato. I neonati — prosegue l’esperto — oltre
che per esposizione diretta, subiscono il
Secondo l’Airtum, oggi sono attivi 43 registri che seguono circa
on le prime inchieste che hanno messo in correlazione
passaggio di diossine e altri inquinanti tos28 milioni di italiani, corrispondenti al 47% della popolazione.
l’inquinamento ambientale e lo stato di salute dei cittadini,
sici attraverso il latte materno, continuanProprio la situazione campana è stata sino a qualche tempo fa tra
agli occhi dell’opinione pubblica si è imposta con prepotenza la
do ad accumularli dopo la prima contamile più controverse, tanto che a fare chiarezza, non più tardi due
questione dei registri tumori. In Campania, l’assenza di un
nazione subita già in utero. A questo promesi fa, è stato direttamente il governatore Stefano Caldoro: «Il
quadro organico e rappresentativo della maggior parte della
posito, uno studio pubblicato pochi mesi
Registro dei tumori — ha spiegato — c’è, è vigente e funzionante
popolazione ha creato sino a qualche tempo fa aspre polemiche,
fa su una rivista scientifica internazionale
dal settembre 2012, istituito con decreto commissariale 104. Il
in primis quelle delle associazioni scese in piazza per denunciare
ha dimostrato la presenza di diossine nel
Consiglio regionale ha approvato una legge, nel luglio 2012,
la condizione di degrado e di assoluto abbandono della Terra dei
latte materno delle donne di Taranto, con
impugnata dalla Corte Costituzionale, ma non abbiamo atteso
fuochi. Il fatto che se ne parli sempre più, non significa però che
valori sino a 40 volte superiori a quelli conulteriori attività del Consiglio e siamo intervenuti con un decreto
tutti sappiano cosa significa l’espressione registro dei tumori, o
siderati “tollerabili” dall’Organizzazione
commissariale, esercitando un potere sostitutivo». Il decreto del
che si conosca lo stato dell’arte in regioni come la Campania,
Mondiale della Sanità». Dati che fanno risettembre 2012 prevede proprio «l’istituzione dei registri e, noi
dove il rischio ambientale ha creato una valanga di polemiche,
flettere e che, ancora una volta, rivelano
siamo tra i primi, con copertura totale in tutta la Campania».
non sempre giustificate. Così come è spiegato sul sito
chiaramente come nella gestione degli
equilibri tra ambiente e salute un ruolo di
All’inizio ne erano dotati solo Caserta e Salerno.
dell’Associazione italiana registro tumori (Airtum), quelle sparse
primo piano si inevitabilmente affidato alR. Nes.
sul territorio nazionale sono strutture impegnate nella raccolta di
la politica.
informazioni sui malati di cancro in base al luogo di residenza.
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Siamo sempre esposti ad agenti pericolosi
ma in molti casi è possibile fare
prevenzione evitando i fattori di rischio
‘‘
Il Registro tumori? Esiste dal 2012
C
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5
Corriere del Mezzogiorno Lunedì 24 Marzo 2014
NA
Ambiente e salute Incidono le grandi fabbriche e i rifiuti, ma anche gas di cucina, polvere, batteri nei filtri dei condizionatori
Allarme asma allergica
Carlo Capristo
Tre milioni di casi in Italia
per l’inquinamento
«indoor» e «outdoor»
di RAFFAELE NESPOLI
U
Carlo Capristo, nato a
Napoli 14 novembre 1970,
dopo aver conseguito la
laurea in Medicina e
Chirurgia, si è specializzato
in pediatria. È dottore di
ricerca in Farmacologia e
fisiopatologia respiratoria e
dal 2007 ricercatore
universitario presso il
Dipartimento della Donna
del bambino di Chirurgia
generale e specialistica
della Seconda Università
degli Studi di Napoli. È
anche docente di pediatria
e di malattie respiratorie in
età pediatrica.
Dal 2011 partecipa alla
stesura delle linee guida
Gina (Italia) sulla diagnosi e
terapia dell’asma. Dal 2013
è anche consigliere
nazionale della Simri,
ovvero della Società italiana
di malattie respiratorie
infantili che si propone di
favorire e promuovere la
ricerca, la didattica e
l’assistenza per i problemi
del bambino con malattie
respiratorie.
(Raf. Nes.)
na malattia che in Italia colpisce
circa tre milioni di persone, quasi centomila solo in Campania.
Quando si parla di asma è chiaro che si pensa subito anche a possibili
correlazioni con fattori di inquinamento
ambientale: fumi, gas di scarico e allergeni che in persone predisposte possono provocare l’acutizzazione dei sintomi e, nei casi più gravi, anche vere e proprie crisi respiratorie. Naturalmente,
non si possono stabilire delle correlazioni nette tra causa ed effetto, ma la cosa
certa è che i casi stanno velocemente aumentando, e i soggetti più a rischio sono spesso i bambini. Ne abbiamo parlato con Carlo Capristo, professore di pediatria alla Seconda Università di Napoli. «Negli ultimi tempi — ribadisce lo
specialista — si è osservata una sorta di
escalation di questa malattia, soprattutto nelle principali metropoli. Questo lascia pensare che esista un nesso di causa ed effetto tra inquinamento ambientale e forme più o meno gravi di asma. Ma
saranno necessari molti altri anni per capire con assoluta certezza quanto l’ambiente circostante possa incidere nella
genesi e nell’evoluzione dell’asma».
Il professore Capristo distingue l’inquinamento in outdoor e indoor, «esterno» e «interno». «Solitamente — spiega
— si è indotti ad associare l’inquinamento alle grandi fabbriche o magari ai rifiuti. Questo in parte è giusto, ma esistono
moltissimi altri fattori che possono essere classificati come inquinamento. Molti dei quali sono indoor, vale a dire che
si trovano all’interno delle nostre case.
Si pensi ad esempio al gas di cucina, ai
batteri che si possono annidare nei filtri
dei condizionatori e agli acari. E poi,
muffe e allergeni di ogni tipo. Questi sono tutti fattori di rischio. È chiaro che lo
stesso pericolo arriva anche da fuori,
con i gas di scarico, le polveri sottili e
così via».
Resta però, nell’immaginario collettivo, una certa evanescenza del termine
«asma». Pur essendo una parola che si
sente spesso, a volte la si usa anche a
sproposito. Dunque, meglio tratteggiare
per grandi linee il profilo di questa malattia. «Tutti sanno — chiarisce Capristo
— che l’asma è una patologia infiammatoria delle vie aeree. Quello che invece
non sempre si comprende è che non esiste solo un tipo di asma. Ad esempio nei
bambini possiamo individuare almeno
tre fenotipi. Tre grandi categorie che
spiegano l’evoluzione dei sintomi seguendo diverse tempistiche. In primo
luogo, abbiamo bambini che mostrano i
sintomi già nel primo anni di vita. Si
tratta solitamente di un problema che si
risolve entro i tre anni. La cosa che colpisce è che spesso, nella maggioranza dei
casi, questi neonati hanno madri fumatrici. Altra categoria è quella che ricomprende bambini con sintomi solo a partire dai primi dodici mesi di vita, e che risolvono il problema non prima degli otto anni d’età. Solitamente si tratta di piccoli che hanno avuto infezioni gravi delle vie respiratorie, ad esempio bronchiolite o polmonite. Infine, soggetti asmatici veri e propri. Cioè ragazzini che iniziano a manifestare sintomi verso il terzo o
quarto anno e che sviluppano in seguito
asma cronica. Il più delle volte questo tipo di problema è legato alla presenza di
un familiare allergico, a una dermatite
atopica o un’allergia in atto».
Accanto a queste, esiste poi una forma che viene definita asma grave, che
non beneficia della consueta terapia con
steroidi per via inalatoria ad alte dosi.
Per i bambini è necessario individuare
un piano terapeutico personalizzato con
farmaci mirati, che vadano a controllare
i meccanismi patogenetici. Va detto che
la terapia anti-IgE, disponibile anche
per i bambini, è fra le terapie raccomandate da un recentissimo documento congiunto delle società pneumologiche
americana ed europea (Ers-Ats), pubblicato poche settimane fa.
La ricerca in questo settore è ora concentrata nell’individuare biomarcatori
che aiutino a caratterizzare da un punto
di vista biologico le forme di asma grave
e permettano quindi un approccio terapeutico guidato. La Società italiana per
le malattie respiratorie infantili (Simri)
sta portando avanti il primo registro europeo basato su un archivio on line per i
bambini con asma grave che permetterà
Una ragazza
pronta
ad azionare
l’inalatore
anti-asma
Nella foto
a sinistra,
lo specialista
Carlo Capristo
di mappare l’epidemiologia e le caratteristiche di questi bambini. Ma, il punto
nodale, dice Carlo Capristo «è che i farmaci attualmente a disposizione non sono in grado di modificare la storia naturale della malattia. Un esempio arriva
dallo studio Camp (Childhood Asthma
Management Program) grazie al quale
si è osservato che il trattamento a lungo
termine con corticosteridi per via inalatoria dei bambini asmatici, con asma
moderato persistente, non è in grado di
portare a una remissione. Oggi si bada
al controllo dei sintomi e la terapia del
paziente asmatico si fa sulla base dei sintomi. Per i medici si tratta di un compito importantissimo perché il fine è quello di permette a un bambino asmatico, e
in seguito a un adulto, di avere una vita
normale».
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Lunedì 24 Marzo 2014 Corriere del Mezzogiorno
NA
Raffaele Felaco
Ambiente e salute mentale La tensione può scaturire da vicende personali, ma anche dalla paura dell’inquinamento
Pericolo imminente
Raffaele Felaco è psicologo
sociale, psicoterapeuta e
presidente dell’associazione
Psicologi responsabilità
sociale. È stato docente di
psicologia sociale
all’Università dell’Aquila e
alla Sapienza di Roma. I suoi
interessi scientifici sono
incentrati sulla psicologia
dell’emergenza e dei traumi,
argomenti sui quali ha
pubblicato tre volumi,
materie che insegna in varie
scuole di psicoterapia. È
responsabile
dell’ambulatorio di Supporto
psicologico nelle malattie
croniche e degenerative
della Asl Napoli 2 Nord. È
stato anche presidente
dell’Ordine regionale degli
psicologi ed è
particolarmente impegnato
nel costruire condizioni per
lo sviluppo della professione,
ha promosso la legge
regionale della Campania
numero 9 dell’agosto 2013
che ha istituito la figura
dello psicologo del territorio.
Ha partecipato inoltre a
gruppi di ricerca in seno
all’Istituto di Psicologia del
Cnr e pubblicato sui temi
dell’attaccamento e del
temperamento. Attualmente
è segretario del Consiglio
nazionale dell’Ordine degli
psicologi.
La sensazione di rischio genera
ansia, preoccupazioni eccessive
richiedono il ricorso allo specialista
di RAFFAELE FELACO
S
empre più spesso sentiamo parlare di
ansia, ma non sempre sappiamo esattamente cosa sia, quali conseguenze
possa avere. È importante partire dalla sua definizione clinica: si tratta di una condizione psichica caratterizzata da un’anticipazione apprensiva di un evento che si presume negativo, caratterizzata da sentimenti
eccitativi e da sintomi fisici di tensione. Questa condizione può avere motivazioni interne o anche esterne all’individuo. Quando
queste preoccupazioni diventano invasive e
pervasive del nostro quotidiano possono
condurre alla patologia. Soprattutto se investono una quantità di eventi o attività della
nostra giornata. Ad esempio, se la persona
ha difficoltà a controllare la preoccupazione
ci possono essere irrequietezza, difficoltà a
concentrarsi, irritabilità e problemi di tensione muscolare. In realtà tutti siamo soggetti a
un’ansia «episodica», che pure ci provoca
queste emozioni, ma che tuttavia non diventano pervasive. Ad esempio se siamo in sala
di attesa e aspettiamo la nascita di nostro figlio, è proprio così che ci sentiamo; anche se
aspettiamo i risultati di un importante test o
esame clinico. Oppure se il nostro amore appena sbocciato è in ritardo possiamo sperimentare queste emozioni negative. I tifosi di
uno sport, come gli ultras nel calcio, possono essere sovraeccitati, avere difficoltà di
concentrazione, essere soggetti a irritabilità,
oppure vivere uno stato emotivo alterato in
attesa che venga battuto un calcio di rigore.
Queste condizioni hanno la caratteristica
dell’occasionalità e pur suscitando emozioni
molto forti, al punto che possiamo sentire di
non poterle reggere e restare prigionieri di
quello stato, non rappresentano un pericolo
per la nostra integrità.
Alcuni ritengono addirittura positiva quella tensione ansiosa, quell’irrequietezza che
ci prende prima di un esame a scuola o di un
importante colloquio di lavoro. I motivi per
cui ci sentiamo in questo modo, dicevamo,
possono essere interni o esterni. Nel primo
caso sono solitamente legati alla combinazione di caratteristiche temperamentali innate
ed esperienze precoci, ma anche a esperienze accadute un’unica volta, e particolarmente traumatizzanti. Vivere il periodo formativo della vita in una condizione di stress cronico, come ad esempio in una famiglia conflittuale o maltrattante, è una condizione
che può dar luogo a disturbi d’ansia in età
adulta.
Tuttavia le condizioni di stress possono
anche essere esterne al mondo degli affetti,
per esempio una condizione cronica di instabilità sociale o la perenne precarietà economica o addirittura la guerra. Anche vivere in
condizioni di forte probabilità di incidenti
naturali, climatiche di pericolo, sperimentare nell’infanzia allagamenti, terremoti, frane, valanghe, sono condizioni di stress che
minano il sentimento di sicurezza personale
e che possono dar luogo a cronicizzazioni
dell’ansia. Condizioni invece di pericolo di
incidenti ambientali connessi con attività
umane, come presenza di centrali atomiche,
industrie inquinanti o inquinamento del suolo e dell’ambiente, creano una condizione
psichica di «pericolo imminente» e incontrollabile, che produce ansia in tutti i cittadini. E in questo senso basta pensare a quello
che sta avvenendo in regioni come la Campania con la Terra dei fuochi, o in Puglia con
l’Ilva di Taranto. In entrambi i casi, ma ce ne
sarebbero anche molti altri da prendere in
considerazione, il rischio ambientale diventa un potente innesco per fenomeni di ansia.
Anche perché, i media amplificano il fenomeno sotto due aspetti: da un lato lo validano, fanno in modo che sia percepito come
«indiscutibile», dall’altro lo rendono estremamente pressante. Tutto questo può tradursi in un vero e proprio problema sociale.
Sintomi come irrequietezza, irritabilità, tensioni, disturbi del sonno, possono trasfor-
marsi in un problema di difficile gestione se
non adeguatamente considerati e gestiti in
tempo.
Proprio quando la durata, l’intensità, la
frequenza delle preoccupazioni sono eccessive rispetto alla reale probabilità o impatto
dell’evento temuto e la persona trova difficile impedire che i pensieri perturbanti non interferiscano col compito che sta svolgendo,
così come l’eccessiva preoccupazione per attività quotidiane rutinarie, rendono necessaria la consultazione di uno specialista per
chiedere aiuto.
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Psicoterapia La metodologia è frutto di un lavoro di osservazione e sperimentazione durato oltre sedici anni
Un tuffo (insieme) in piscina per sfidare l’autismo
Funzionamento e risultati della Terapia multisistemica in acqua (Tma)
di GIOVANNI CAPUTO
e GIOVANNI IPPOLITO
Giovanni Caputo
Q
uando parliamo di disturbo autistico facciamo riferimento a uno
dei più gravi disturbi dell’età evolutiva: una complessa disabilità dello sviluppo che compare tipicamente durante
i primi tre anni di età e perdura per tutta
la vita, risultato di un disturbo neurologico che agisce sul funzionamento del
cervello. Purtroppo, ancora oggi, la causa di questa malattia rimane sconosciuta e gli interventi che vengono adottati
sono diversi. I bambini autistici normalmente hanno difficoltà nella comunicazione verbale e non verbale, nelle interazioni sociali, nelle attività legate al tempo libero e al gioco. Ed è proprio su queste premesse che, dopo anni di osservazione e sperimentazione, è nata in Italia
la Terapia multisistemica in acqua
(Tma) metodo Caputo-Ippolito. Una metodologia che è il frutto di più di 16 anni
di esperienze pratiche con persone affette da autismo, che è stata poi usata anche per altre patologie. Ad esempio il disturbo da attenzione e iperattività, fobie
specifiche, disturbo oppositivo provocatorio, ritardi mentali, sindrome di
Down e disturbo della condotta. Parliamo di una metodologia che presta una
grande attenzione alle predisposizioni
di ogni singolo individuo e ai suoi deficit e che non deve essere l’unico intervento ma si deve inserire in un progetto
riabilitativo globale, in cui gli aspetti relazionali, emotivi e di integrazione sociale sono fondamentali.
In particolare, la Tma è un trattamento nato e sviluppato in un ambiente naturale, quale è la piscina pubblica, e usa
come modello teorico di riferimento la
teoria dell’attaccamento di John Bowlby, l’holding winnicottiano e la sintonizzazione di Daniel Stern. In pratica, dopo
diverse sperimentazioni in piscina, ci
Giovanni Caputo è uno
psicologo psicoterapeuta
cognitivo
comportamentale,
ideatore della Terapia
multisistemica in acqua.
Coautore del libro edito
dalla Franco Angeli «La
Terapia multisistemica in
acqua. Un nuovo
approccio terapeutico per
soggetti con disturbo
autistico e della
relazione. Indicazioni per
operatori, psicologi,
terapisti, genitori». Da
anni è impegnato in
progetti per integrazione
dei diversamente abili. I
suoi interessi di ricerca
sono relativi allo studio e
alle tecniche di
intervento nella disabilità
e nello specifico
nell’autismo. Ha
collaborato con la
cattedra di scienze
cognitive della Seconda
Università di Napoli sui
temi della riabilitazione
dei soggetti
diversamente abili.
siamo resi conto che la maggior parte
dei soggetti con disturbo autistico e della relazione rispondeva positivamente; a
partire da questo abbiamo voluto strutturare una terapia capace di farci entrare
in relazione con i pazienti, lontano dai
centri di riabilitazione e dagli studi medici, in un ambiente ludico.
Attraverso questo «setting» abbiamo
ottenuto importanti risultati che ci hanno spinto all’osservazione e alla sperimentazione di nuove forme di comunicazione tra lo psicologo, il soggetto con
disturbo autistico e il gruppo dei pari.
Un intervento che si articola in quattro
fasi: valutativa, emotivo-relazionale,
senso-natatoria, dell’integrazione sociale; e usa tecniche cognitive, comportamentali, relazionali e senso motorie. L’obiettivo terapeutico è molto ambizioso,
visto che puntiamo a migliorare gli
aspetti compromessi e caratterizzanti il
disturbo generalizzato dello sviluppo:
deficit grave nello sviluppo della relazio-
menti interni, vale a dire la crescita e sviluppo del Sé. E i risultati ottenuti sono
estremamente significativi. Si è infatti
raggiunta una diminuzione dei comportamenti problematici legati all’auto e all’etero aggressività, alle stereotipie e ai
comportamenti disadattivi. Abbiamo notato un aumento di quello che viene definito «sguardo diretto» e un aumento dei
tempi di attenzione, delle capacità imitative e dei contatti corporei. Migliorano
anche le capacità motorie e natatorie, aumenta l’espressione emotiva (riconoscimento di paura, rabbia, felicità e vergogna). E inoltre, aumentano le posture
corporee e dei gesti che regolano l’interazione sociale (capacità di scambio, turnazione, posizione del corpo in acqua e in
interazione con il terapeuta).
Cosa estremamente importante, la
Tma porta anche ad aumento della ricerca spontanea e intenzionale della figura
di riferimento (riconoscimento e ricerca
ne sociale reciproca; menomazione gra- intenzionale del terapeuta, capacità di
ve della comunicazione; attività e inte- differenziazione tra terapeuta e altre firessi che possono essere ristretti e stere- gure); aumento della condivisione del
gioco e della reciprocità sociale (condiviotipati (criteri DSM IV).
Ciò che accade è che le tecniche nata- sione delle regole sociali, riconoscimentorie e le capacità acquisite durante l’in- to del gruppo di appartenenza). E ancotervento, vengono utilizzate come veico- ra, della capacità a sviluppare relazioni
lo per raggiungere obiettivi terapeutici e con i coetanei, e aumento dell’autostiattuare successivamente anche il fonda- ma. Migliora sia la comunicazione verbamentale processo di socializzazione e in- le, sia quella non verbale e dei contatti
tegrazione con il gruppo dei pari. La pau- corporei e si ottiene una canalizzazione
ra dell’acqua che il bambino sperimenta dell’aggressività in maniera funzionale,
viene usata come attivatore emozionale con un complessivo aumento dell’autoe relazionale capace di avviare una pri- nomia personale e una stimolazione delmordiale richiesta di sostegno e poi di le capacità psicomotorie. Parliamo di
accudimento. Si tratta di un metodo fon- una quantità di miglioramenti che apdato sul rapporto umano e finalizzato al- partengono alle aree comunicative, relala rieducazione e alla modificazione de- zionali, senso motorie, cognitive e comgli schemi cognitivi, comportamentali, portamentali. E la validità del percorso
comunicativi, emotivi e di interazione terapeutico è assicurata dalla presenza
sociale reciproca. E può agire sull’atte- costante di uno psicologo adeguatamennuazione dei sintomi, modificando posi- te formato con la funzione di supervisotivamente i processi comunicativo-rela- re e da terapisti o tecnici della Tma.
zionali, e inducendo importanti cambia© RIPRODUZIONE RISERVATA
Giovanni Ippolito
Psicologo, psicoterapeuta
sistemico relazionale,
psicologo della Polizia di
Stato, ideatore della
Terapia multisistemica in
acqua, Giovanni Ippolito da
anni è impegnato in
progetti per l’integrazione
sociale dei bambini
diversamente abili.
Coautore del libro edito
dalla Franco Angeli «La
Terapia multisistemica in
acqua. Un nuovo approccio
terapeutico per soggetti
con disturbo autistico e
della relazione. Indicazioni
per operatori, psicologi,
terapisti, genitori», ha
firmato con Maria Lucia
Ippolito e Michela
Gambatesa «Calimero e
l’amico Speciale», racconto
didattico per l’integrazione
dei bambini autistici a
scuola che ha ricevuto tre
premi letterari. Tra l’altro
ha collaborato con le
cattedre di pedagogia
generale e sociale e di
scienze cognitive della
Sun.
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Corriere del Mezzogiorno Lunedì 24 Marzo 2014
NA
Alimentazione C’è una legge regionale che si pone l’obiettivo di far diventare la Campania punto di riferimento nazionale
Dieta mediterranea
«Curarsi» a tavola
di KATHERINE ESPOSITO
A
vete deciso di vivere più a lungo e in buona salute, di ridurre il rischio di malattie cardiovascolari o cancro, di avere una vita sessuale soddisfacente? La scienza dice che la dieta mediterranea può aiutarvi. Quasi un anno è passato da quel 4
aprile 2013 quando furono pubblicati sulla più autorevole rivista di medicina del pianeta i risultati di una ricerca
spagnola: la dieta mediterranea arricchita con olio extravergine di oliva e frutta secca riduce del 30 per cento il
rischio di infarto miocardico, ictus o morte cardiovascolare. Non tutti sembrano aver realizzato che in termini
numerici la dieta mediterranea fa almeno la stessa cosa
di quanto faccia una terapia con statine, i farmaci universalmente riconosciuti e utilizzati per ridurre gli eventi
cardiovascolari nei pazienti ad alto rischio. Non a caso
lo studio è spagnolo: dei 750 milioni di piante di olivo, il
95 per cento si trova nel bacino del Mediterraneo, con
Spagna, Italia e Grecia sul podio. Né tantomeno è un caso che i maggiori studiosi della dieta mediterranea si trovino in questi paesi e per un curioso contrappasso, con
podio invertito: Grecia, Italia e Spagna.
Prendendo spunto dallo studio spagnolo, abbiamo
pubblicato i dati di un nostro studio, iniziato nel gennaio 2004, che aveva lo scopo di valutare gli effetti di una
dieta di tipo mediterraneo, somministrata a pazienti
con diabete tipo 2 di nuova diagnosi. Dopo poco più di
8 anni, abbiamo tirato le somme: minore necessità di
pillole per la glicemia, miglioramento della salute vascolare della carotide e maggiore probabilità di remissione
del diabete, questi in sintesi gli effetti della dieta mediterranea a confronto con una dieta a basso tenore di lipidi. Il nostro studio di intervento rimane il più lungo finora effettuato. Paradossalmente, ai pazienti diabetici
viene di solito raccomandato di ridurre la quota di grassi, e quindi anche l’olio, nel tentativo di ridurre le calorie. Invece, i risultati dello studio spagnolo e anche del
nostro (circa il 40 per cento di energia giornaliera proveniente dai grassi, principalmente olio di oliva) suggeriscono l’opposto: anche il paziente a rischio cardiovascolare, compreso il diabetico, può avvantaggiarsi della dieta mediterranea. Coniugare la salute con lo sviluppo, sulla solida base dell’«evidenza scientifica», è il presupposto indispensabile per l’avvio di un processo teso alla
definizione di un nuovo modello di sviluppo ecosostenibile e duraturo.
La Campania, prima produttrice di nocciole e noci in
Italia, si attesta al quarto posto per produzione di olio
È importante scegliere prodotti freschi
privilegiando verdura e frutta
E puntare sull’olio extravergine d’oliva
con 5 prodotti Dop. Esiste anche una legge sulla dieta
mediterranea, emanata dalla Regione Campania (unica
in Italia), che si pone un ambizioso obiettivo: essere, come regione, il punto di riferimento per il paese, visto
che il Cilento è la comunità emblematica scelta dall’Unesco per assegnare il riconoscimento di patrimonio immateriale dell’umanità alla dieta mediterranea. Per saperne di più, il sito da consultare è Expertscape
(www.expertscape.com), nato con l’obiettivo di facilitare la ricerca di uno specialista di chiara fama in qualunque campo della medicina. Expertscape basa la sua graduatoria sulle pubblicazioni scientifiche, partendo dall’assunto che nessuno può definirsi un esperto in un dato campo medico, a meno che non faccia ricerche d'avanguardia e le pubblichi. Sebbene nella valutazione
non entrino caratteristiche come l’empatia, l’umanità,
la capacità di comunicare con il paziente, la qualità principale che un grande medico deve avere, ribadisce
Expertscape, è il sapere. E molto importante è anche la
possibilità di riportare in maniera sintetica e intellegibile le informazioni chiave, per farle arrivare alla «gente
comune». In questo senso la piramide alimentare ha segnato il passo e il tempo. Questo strumento educativo,
probabilmente la guida alimentare più riconosciuta e
usata nella storia della comunicazione, è stato però criticato per essere troppo complesso. Paradossalmente, i
consumatori si sono così abituati all’immagine da non
prestare più attenzione al suo contenuto. Nella civiltà
delle immagini, come la nostra, si è pensato di usare un
forma familiare, strettamente correlata al cibo e alle pratiche legate all’atto quotidiano del mangiare. L’occasione è stata fornita dalla pubblicazione delle nuove Linee
Guida americane per una sana alimentazione, emanate
nel 2010 dal dipartimento americano per l’Agricoltura:
un’immagine completamente nuova per riportare l’attenzione su una sana alimentazione. «MyPlate» è così
diventato alternativo alla piramide, un’icona più semplice e più facile da decifrare per la popolazione su come
costruire un piatto sano.
La semplicità, seppur seducente e mediaticamente attraente, non può però insegnare tutti i concetti di nutrizione, e alcuni messaggi si perdono. I consumatori hanno bisogno di tutte le informazioni per scegliere la giusta quantità di grassi e zuccheri che è accettabile mangiare, per distinguere i cereali raffinati, come il pane
bianco, da quelli integrali; e tra carni grasse e altre fonti
proteiche diverse dalla carne. La mossa successiva? Elaborare il piatto della dieta mediterranea, che senza discostarsi molto dall’icona, insista sulla stagionalità dei prodotti, la loro freschezza, la biodiversità, e soprattutto
che spinga a un largo consumo di olio d’oliva extravergine. Metà del nostro piatto deve essere a base di verdura
(30 per cento) e frutta (20 per cento), povere di calorie
ma ricche di fibra. Fonte di vitamine, antiossidanti, minerali e numerosi composti biologici attivi (come polifenoli, antocianine, flavonoidi, catechine, licopene), che
aumentano le difese del nostro organismo contro le malattie del secolo, ovvero quelle cardiovascolari e tumorali. Poco più di un quarto del piatto (30 per cento) è composto da alimenti a base di cereali (pane, pasta, riso,
mais, avena, orzo, farro, miglio, couscous, altri cereali e
derivati), che contengono soprattutto carboidrati complessi e una percentuale di proteine (in media 10 per
cento). Il restante 20 per cento del piatto è composto da
alimenti proteici di origine animale (preferire pesce, carni magre) oppure, e meglio, di origine vegetale (legumi
e frutta secca) andrebbero consumate tutti i giorni. I legumi (fagioli, piselli, ceci, fave, lenticchie, fagiolini) possono essere mangiati a pranzo e a cena al posto del secondo piatto, mentre la frutta secca (noci, mandorle, pinoli, nocciole, pistacchi e anacardi) è ideale a colazione
e negli spuntini. Latte e derivati vanno assunti con moderazione, anche in questo caso dando la preferenza a
formaggi locali e certificati (Dop e Igp). Il condimento:
sempre e solo l’olio extravergine d’oliva, utilizzato preferibilmente a crudo, da molti considerato il vero artefice
della dieta mediterranea.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Katherine Esposito
Katherine Esposito è
docente associata di
endocrinologia e malattie
del metabolismo alla
Seconda Università di
Napoli (Sun).
Dirige il Servizio di
Diabetologia dell’azienda
ospedaliera universitaria
della Sun e dedica grande
attenzione alla nutrizione
intesa come salvaguardia
della salute contro l’assalto
dirompente delle malattie
croniche, oggi etichettate
come malattie non
trasmissibili: diabete,
cancro, malattie
cardiovascolari.
Katherine Esposito è
fermamente convinta che il
primato mondiale di
eccellenza da lei conseguito
nello studio della dieta
mediterranea debba
necessariamente tradursi
nella possibilità di rendere
fruibile a strati sempre più
vasti della popolazione i
suoi effetti benefici per la
salute.
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Lunedì 24 Marzo 2014 Corriere del Mezzogiorno
NA
Rischi e cure Con screening regolari i pazienti possono avere una vita normale. Decisivo il ruolo del Sistema sanitario
Come convivere con il diabete
Gabriele Riccardi
Negli ultimi dieci anni
aumento record (+30%)
in particolare nel Sud
di RAFFAELE NESPOLI
Gabriele Riccardi è professore ordinario
di endocrinologia e malattie del
metabolismo alla Federico II, dove dal
2008 è anche presidente del corso di
laurea magistrale in Nutrizione umana e
dirige inoltre l’Unità operativa complessa
di Diabetologia al nuovo Policlinico. Dopo
la laurea è stato per due anni al
Karolinska Hospital di Stoccolma in
qualità di ricercatore. É stato presidente
della Società italiana di Diabetologia dal
2010 al 2012, e oggi è presidente di
Diabete Ricerca, la fondazione che
promuove la ricerca italiana nel settore.
Ha ricoperto incarichi prestigiosi a livello
internazionale, tra cui la nomina nel
Comitato Guida del Gruppo di studio su
Nutrizione, esercizio fisico e metabolismo
della Società Americana di Cardiologia, la
direzione del gruppo di lavoro su obesità
e rischio di diabete del progetto di
ricerca finanziato dalla Comunità
Europea su alimenti e salute, la direzione
della rivista scientifica «Nutrition
Metabolism and Cardiovascular
Diseases» pubblicata da Elsevier. È
tuttora membro dei consigli scientifici del
Centro studi sugli alimenti per il diabete
dell’Università di Lund, della Nutrition
Foundation of Italy e del Barilla Center
for Food and Nutrition. Ha pubblicato più
di 400 lavori originali su riviste
internazionali e occupa l’ottantunesima
posizione nella graduatoria dei «Top
italian scientists».
(Raf. Nes.)
«S
tando ai dati nazionali,
il diabete di tipo 2 è aumentato del 30 per cento circa negli ultimi dieci anni, e l’aumento è ancor più marcato nelle regioni meridionali. Non
c’è da meravigliarsi, perché questa patologia ha una forte correlazione con
gli stili di vita». A parlare è Gabriele
Riccardi, professore ordinario di endocrinologia e malattie del metabolismo presso l’Università Federico II di
Napoli. Ed è sempre lui a fare chiarezza su alcuni luoghi comuni, analizzando gli scenari che ci si prospettano se
non si cambia radicalmente il modo
di affrontare la malattia. «Quando si
parla di diabete — dice — la prima cosa da chiarire è che si tratta di una malattia che non si può debellare. Possiamo curare i sintomi e tenerla a bada,
ma nessuno può guarire. Detto questo, si deve distinguere tra diabete di
tipo 1, quello che un po’ impropriamente si definisce giovanile, e il diabete di tipo 2. Il primo caso rappresenta una piccola parte della popolazione affetta da questa malattia, siamo
nell’ordine di una persona su 10. Il
diabete di tipo uno non dipende da
abitudini alimentari, né da comportamenti individuali, è una forma di diabete che si configura come malattia
autoimmune, caratterizzata essenzialmente dalla distruzione delle cellule
B pancreatiche, che comporta solitamente una assoluta insulino-deficienza». Ed è proprio per la continua esigenza di insulina che per i pazienti affetti da diabete di tipo 1 la questione
centrale è la qualità della vita. Ad
ogni modo, grazie a strumenti sempre più hi-tech, anche in questi casi
la quotidianità dei malati è ormai quasi del tutto normale.
«Diverso — prosegue il professore
Riccardi — è il caso del diabete di tipo 2. Si tratta infatti di una forma fortemente condizionata dal cambiamento che si è registrato nelle nostre
abitudini negli ultimi dieci anni. Nei
paesi più sviluppati è ormai estremamente frequente una sorta di sovralimentazione, dovuta a un consumismo sfrenato e all’impiego nell’industria alimentare di prodotti raffinati.
Si pensi allo zucchero, ma anche alla
farina bianca, ai grassi animali e così
via. Gli alimenti che assumiamo sono
altamente assimilabili e dunque creano problemi di sovrappeso o di obesità. Tanto che nelle grandi metropoli
un adulto su due pesa più del dovuto». E in fatto di diabete, sovrappeso
equivale a fattore di rischio «elevato».
Ma quali sono le complicanze che
possono discendere da questa malattia? «Si tratta soprattutto di problemi
cardiovascolari: chi ha il diabete è
esposto a un rischio di infarto o di ictus che può essere due o addirittura
tre volte superiore alla media. Il diabete è tra le prime cause di morte per
complicanze del sistema circolatorio,
ma anche prima causa di dialisi (visto che compromette la funzionalità
dei reni), di cecità acquisita e di amputazioni». Tuttavia, non esiste una
cura. «In senso stretto no — spiega lo
specialista — ma questo non deve indurre a credere che essere malati di
diabete equivalga a una condanna
senza appello. Anzi. Grazie alle inno-
La verifica
della glicemia
con un
glucometro
Nella foto
a sinistra,
il diabetologo
Gabriele
Riccardi
vative terapie oggi disponibili siamo
perfettamente in grado di mantenere
un giusto equilibrio glicemico nell’arco della giornata evitando così le complicanze nella maggior parte dei pazienti. Però, se queste dovessero svilupparsi, è importante diagnosticarle
in tempo utile, quando non ci sono
ancora manifestazioni cliniche, per
trattarle prima che generino danni irreversibili all’organismo». Contro il
diabete è possibile agire in modo preventivo? «È fondamentale riuscire a
scoprire precocemente l’insorgere
della malattia misurando, dopo i quarant’anni, la glicemia a digiuno una
volta l’anno. Nelle persone con diabete è necessario non solo tenere sotto
controllo la glicemia ma anche programmare lo screening annuale delle
complicanze presso i centri di diabetologia». Una realtà dalla quale però
siamo ancora molto lontani, si pensi
che in fatto di screening in Italia vengono diagnosticati per tempo solo il
20 per cento dei problemi agli arti inferiori, il 30 per cento di quelli al rene
e il 40 per cento alla retina. Con l’ovvio risultato che molti pazienti finiscono per perdere la propria indipendenza, magari legati a vita a una macchina per la dialisi. «È una condizione folle — conclude Riccardi — perché si tratta di pazienti ai quali siamo
perfettamente in grado di assicurare
una vita normale, non solo per durata ma anche per qualità. Purtroppo,
specialmente per il diabete tipo 2,
spesso se ne sottovaluta l’insidiosità
trascurando quelle semplici misure
che aiutano a prevenire i seri problemi legati allo sviluppo delle complicanze: piccoli cambiamenti nello stile
di vita, controllo attento della glicemia, screening delle complicanze. Solo quando in Italia, e in particolare
nelle regioni meridionali, il Sistema
sanitario sarà in grado di assicurare
adeguato supporto per raggiungere
questi obbiettivi assistenziali, nella
stragrande maggioranza delle persone con diabete potremo dirci soddisfatti».
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Corriere del Mezzogiorno Lunedì 24 Marzo 2014
NA
L’eccellenza Per l’agenzia americana Expertscape il Centro per i disturbi dell’alimentazione della Sun è il migliore d’Italia
Anoressia nervosa L’insidia
Mario Maj
di CHIARA MARASCA
A
Mario Maj è docente e
direttore del dipartimento di
Psichiatria della Sun e del
Centro collaboratore
dell’Organizzazione
mondiale della sanità per la
ricerca e la formazione nel
campo della salute mentale
dal ’95. Ha presieduto le
Società mondiale, Società
europea e italiana di
Psichiatria e ha fatto parte
del Consiglio Superiore di
Sanità.
Attivo come docente e come
ricercatore in vari paesi
europei, dell’Africa, dell’Asia
e dell’America Latina, Maj è
autore di oltre 700 lavori su
riviste scientifiche e di
diverse monografie, ed è lo
psichiatra italiano con il
maggior numero di citazioni
negli ultimi dieci anni
secondo Thomson Reuters.
Membro onorario del Royal
College of Psychiatrists e
dell'American College of
Psychiatrists, è tra l’altro
editor della rivista World
Psychiatry e membro
dell’Editorial Board di varie
riviste scientifiche
internazionali.
dolescenti, tra i 15 e i 19 anni,
che non si piacciono, che si vedono grasse anche quando
non lo sono, che non accettano l’immagine di sé riflessa nello specchio. Ma anche maschi, in una percentuale minima (5-10%) eppure in aumento, di pari passo all’affermarsi di modelli «metrosexual» e sportivi come nuove
icone di mascolinità. È l’identikit di chi
soffre, in Italia, di anoressia nervosa,
una condizione, spiega il professore Mario Maj, direttore del Dipartimento di
Psichiatra alla Sun, la Seconda Università degli studi di Napoli, caratterizzata
«da consistente perdita di peso, intensa
paura di ingrassare anche se si è sottopeso, e disturbi della propria immagine
corporea». Di casi, il Centro per i disturbi dell’alimentazione della Sun, in 17 anni di attività, ne ha seguiti oltre 300, diagnosticati tra i circa 1.800 pazienti presi
in carico. Un intenso lavoro sul campo
che, accompagnato dagli studi svolti in
ateneo, è valso al centro un importante
riconoscimento, giunto da Oltreoceano,
come leader in Italia nella ricerca e nella
terapia dell’anoressia nervosa. A giudicare il lavoro di Maj e colleghi al top è l’agenzia americana Expertscape (expertscape.com), che monitora gli articoli, le
pubblicazioni e le citazioni apparse negli ultimi dieci anni sulle principali riviste scientifiche internazionali, valutandone l’impact factor e partendo dal database PubMed, primo punto di riferimento informativo della comunità biomedica mondiale. La Sun precede, nella valutazione, gli atenei di Torino, Padova e Firenze. Non solo. Lo psichiatra Palmiero
Monteleone, sempre della Sun, è considerato da Expertscape il maggiore esperto italiano di anoressia nervosa.
Di anoressia si ammalano otto donne
su 100 mila ogni anno. In fasce d’età
sempre più basse. Colpa della biologia?
Non solo. Per il professore Maj, «l’esordio sempre più precoce è in parte spiegato dall’abbassamento dell’età del menarca, ma potrebbe anche essere collega-
Colpisce molte adolescenti
e si manifesta inizialmente
come «male dell’anima»
Benedetta Margari in una scena del film di Marco Pozzi «Maredimiele», del
2010, che racconta la storia di Sara, una ragazza affetta da anoressia nervosa
to a un’anticipazione dell’età in cui gli
adolescenti sono esposti alle pressioni
socioculturali alla magrezza, attraverso
mezzi di comunicazione come internet». Sotto accusa l’invasione delle super-modelle e delle icone patinate, dunque. Ma altri «elementi di vulnerabilità», per gli esperti, sarebbero alcune caratteristiche della personalità (perfezio-
nismo, impulsività, bisogno di controllo), la bassa autostima e lo stare frequentemente «a dieta».
Tra le giovanissime, questo disturbo
che nasce da un «male dell’anima», e come tale prima di tutto va curato, diventa
ancora più velocemente, e in maniera
più grave, male fisico. «Un esordio più
precoce», spiega sempre Maj, «compor-
Palmiero Monteleone
ta un rischio maggiore di danni permanenti secondari alla denutrizione, soprattutto a carico di quei tessuti che
non hanno ancora raggiunto una piena
maturazione, come le ossa e il sistema
nervoso centrale».
Ma le complicanze fisiche dell’anoressia possono interessare quasi tutti gli organi e apparati: le conseguenze della
malnutrizione possono riguardare il sistema cardiocircolatorio, il sistema emopoietico e immunitario, il sistema endocrino e metabolico, il sistema
osteo-scheletrico, il sistema muscolare,
la cute e l’apparato gastroenterico. E si
arriva a stimare il rischio di morte per
una persona con diagnosi di anoressia
nervosa tra le 5 e le 10 volte superiore di
quello dei soggetti sani della stessa età e
sesso. Come si contrastano questi disturbi? Con un approccio multidisciplinare
che include aspetti psichiatrici, psicosociali, medici e nutrizionali. La psicoterapia, viene considerata un passaggio essenziale nel trattamento, individuale o
familiare che sia. Quest’ultima, secondo
il modello del Maudsley Hospital di Londra, permetterebbe di ottenere la remissione in circa la metà dei casi nei soggetti giovani con meno di tre anni di malattia. Gli interventi offerti dal Centro comprendono il counseling nutrizionale, la
psicoterapia cognitivo-comportamentale, la psicoterapia familiare, la psicoeducazione e la farmacoterapia. Il paziente è
curato in regime ambulatoriale, ma nei
casi che lo richiedono viene offerto un
trattamento di riabilitazione intensiva
in day hospital (pasti assistiti, ristrutturazione cognitiva) o il ricovero ordinario (in presenza di grave deperimento
organico, rischio di suicidio, gravi complicanze mediche).
Al Centro della Sun ci si occupa di
anoressia nervosa, ma non solo. Tra i
1.800 pazienti presi in carico in questi
anni oltre 500 erano affetti da bulimia
nervosa e circa 400 da binge eating disorder, disturbo da alimentazione incontrollata, in aumento sopprattutto tra gli
uomini.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Palmiero Monteleone è
docente di psichiatria e
coordina l’attività del
Centro pilota della Regione
Campania per i disturbi del
comportamento alimentare
presso il Dipartimento di
Psichiatria della Seconda
Università di Napoli. È
presidente della sezione sui
disturbi del
comportamento alimentare
della Società Mondiale di
Psichiatria, è membro del
gruppo di consulenti
esperti dell'Icd-11 sulla
classificazione dei disturbi
dell'Alimentazione e della
nutrizione dell’Oms.
Segretario della Società
italiana di psicopatologia
dell’alimentazione e
membro di varie società
scientifiche nazionali e
internazionali, Palmiero
Monteleone collabora a
numerosi progetti di ricerca
del Cnr e del Miur. È autore
di oltre 250 lavori
scientifici e di alcune
monografie ed è membro
dell’editorial board di varie
riviste scientifiche
internazionali.
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Lunedì 24 Marzo 2014 Corriere del Mezzogiorno
NA
Il cambiamento La responsabile regionale: «Procedura più snella con visite a nostro carico a partire dalla Campania»
Invalidità civile
La svolta dell’Inps
di RAFFAELE NESPOLI
«G
razie all’accordo stipulato
con la Regione, il sistema
di riconoscimento
dell’invalidità civile cambia radicalmente, a partire da
un’uniformità di giudizio che permette di
avvantaggiare i cittadini contraendo di
molto i tempi di attesa». Non ha dubbi Maria Grazia Sampietro, direttore regionale
per la Campania dell’Inps, nel parlare dell’importante processo di rinnovamento
che in Campania sta vedendo protagonista
l’ente previdenziale statale.
Dottoressa Sampietro, cosa cambia
per gli utenti?
«Il cambiamento è sostanziale, visto che
i cittadini che faranno richiesta dovranno
sottoporsi a un’unica visita. Con il vecchio
sistema, ancora in vigore a Napoli e Salerno, la domanda viene indirizzata all’Inps,
ma sono poi le Asl a dover mettere a disposizione i calendari per le visite. E sono sempre le commissioni delle Asl a stilare i verbali che poi mandano all’Inps. Di qui, in
molti casi, la nostra necessità di provvedere con un’ulteriore visita, prima di passare
a un terzo passaggio presso la commissione medica superiore di Roma. Insomma,
una vera epopea».
Dunque, ora sarà possibile dimezzare
i tempi?
«Più che dimezzare. Nelle provincie virtuose, ad esempio Avellino, i tempi di attesa con la vecchia procedura erano di un paio di mesi. Ma in realtà critiche, come Caserta, i tempi di attesa andavano anche oltre l’anno. E questo solo per la prima visita. Ora abbiamo un’operatività immediata,
quindici giorni appena nel caso ad esempio di pazienti oncologici o cittadini affetti
da patologie particolarmente invalidanti,
al massimo un mese per tutti gli altri casi».
In quali provincie siete già operativi
con il nuovo sistema?
«Avellino, Benevento e Caserta. Come
detto, a Caserta siamo subentrati in una situazione critica, basti pensare che abbiamo da smaltire circa 35 mila domande.
Contiamo di metterci in pari entro ottobre. Intanto abbiamo attivato delle com-
Maria Grazia Sampietro: «Tempi
più che dimezzati ad Avellino, Caserta
e Benevento. Ora Napoli e Salerno»
Maria Grazia Sampietro,
responsabile dell’Inps in Campania
missioni che lavorano sul quotidiano, così
da offrire risposte immediate soprattutto
per le urgenze e non rischiare di creare disagi all’utenza».
Qual è la situazione di Napoli?
«Speriamo di essere pienamente operativi entro la fine dell’anno, ma non sarà facile perché su Napoli insistono tre Asl, e per
due di queste esistono gravi situazioni di
sofferenza. Inoltre c’è da gestire contestualmente la soppressione dell’Inpdap».
Chi già si vede riconosciuta l’invalidità
civile dovrà ripresentare la domanda?
«No, nel modo più assoluto. La nuova
procedura, più snella, vale solo per chi ancora non è stato sottoposto alla prima visita».
Come si presentano le domande?
«Abbiamo informatizzato l’intero processo, che oggi può essere attivato direttamente dai cittadini tramite il nostro portale o grazie a soggetti accreditati. La domanda deve essere corredata da un certificato
medico, solitamente compilato dal medico di medicina generale».
Aumenta dunque la trasparenza?
«L’obiettivo è questo. C’è da dire che
l’accertamento in capo a più soggetti genera un rischio maggiore, mentre con la nuova procedura e con la tracciabilità di ogni
singolo passaggio, dalla domanda alla verbalizzazione, sino alla validazione, si hanno maggiori garanzie di trasparenza. Va
detto che in Campania le verifiche straordinarie hanno fatto emergere in passato situazioni di grande irregolarità, ma adesso
siamo in media con il resto del Paese».
Un cambiamento così radicale avrà certamente fatto emergere resistenze, no?
«Come sempre quando si stravolgono
processi consolidati si finisce per incappare in qualche contestazione, ma al di là di
questo siamo andati avanti con convinzione, anche grazie alla ferma volontà della
Regione che già nel 2011 aveva previsto
che le Asl potessero cedere le funzioni di
accertamento all’Inps. E poi un grosso impulso è arrivato anche dalla collaborazione dei direttori generali delle Asl che hanno ben compreso le potenzialità e i vantaggi di questo cambiamento».
Intende dire in termini economici?
«Prima di tutto in termini sociali, visto
che gli utenti non sono più costretti a sottoporsi a un calvario. Ma si risparmierà anche in termini economici, e non poco. Parliamo di qualche milione di euro, soldi che
potrebbero essere reinvestiti nel welfare».
Eppure ci sarà un punto debole, qualcosa da migliorare.
«Al momento l’unico rammarico riguarda alcuni problemi che stiamo avendo con
il recapito dei verbali. Ci sono diversi quartieri che non ricevono la posta e quindi le
nostre comunicazioni non arrivano, ma come è facile capire non dipende da noi. Intano, gli utenti possono controllare lo stato
delle domande attraverso il nostro portale».
Ritiene che questo esperimento possa
essere replicato in altre regioni?
«Qualche settimana fa lo stesso sistema
ha preso il via in due provincie del Veneto
e al più presto dovrebbero seguire Lazio e
Sicilia; ma ci tengo a precisare che Avellino è stata la prima provincia in Italia a mettere in pratica questa procedura».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
❜❜
Nel capoluogo
e nella seconda
città della regione
si spera di passare
alla nuova gestione
rispettivamente
entro fine anno
e per il primo
maggio
Il progetto Primo accordo in Italia per l’innovazione
Meno burocrazia
grazie all’intesa
con la Regione Campania
L
a Campania è al centro di un
progetto innovativo che promette di snellire e semplificare
i complessi adempimenti burocratici necessari a ottenere il riconoscimento dell’invalidità civile. Tutto
nasce da un protocollo di intesa che
la Regione ha siglato con le Asl campane, intesa con la quale a partire
dallo scorso luglio l’Inps ha iniziato
a gestire direttamente le funzioni di
accertamento e di rivedibilità dei requisiti sanitari, finora di competenza delle Commissioni mediche delle
Asl. La sperimentazione si colloca
nell’ambito dei percorsi finalizzati
alla semplificazione e all’unificazione dei procedimenti, con l’auspicio
che questo modello di innovazione
gestionale, primo in Italia grazie alla
fattiva collaborazione delle aziende
sanitarie con la direzione regionale
Inps, sia gradualmente esteso alle al-
Nella fotografia a centro pagina, la sede regionale dell’Inps a Napoli
Nell’immagine qui sopra, una giovane disabile in sedia a rotelle
tre Asl campane. Un primo cambiamento, nel senso di questa gestione
innovativa, è arrivato con l’articolo
20 della legge 102 del 2009 che, a decorrere dal primo gennaio 2010, ha
introdotto importanti innovazioni
nel processo di riconoscimento dei
benefici in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, per realizzare la gestione coordinata delle fasi amministrative e sanitarie. L’obiettivo, già
allora, era quello di arrivare con il
tempo a una generale contrazione
dei tempi di erogazione delle prestazioni, nel rispetto delle esigenze degli utenti più deboli. Ma anche di
rendere omogenei sul territorio nazionale i criteri di riconoscimento
dei benefici. Come realizzare un
cambiamento tanto importante e
complesso? Un altro punto chiave è
nell’articolo 18 della legge 111 del
2011, con la quale il legislatore ha
previsto per le Regioni, proprio per
migliorare l’efficienza del procedimento, la possibilità di affidare all’Inps, con specifiche convenzioni,
le funzioni relative all’accertamento
dei requisiti sanitari per il riconoscimento delle invalidità civili. Ed è
proprio grazie a questi interventi
normativi che oggi si sta realizzando questa generale riorganizzazione
del sistema. Va detto che la prima
provincia ad aver adottato questo
nuovo sistema è stata Avellino (primo luglio 2013), a seguire Benevento (primo novembre 2013) e Caserta (primo dicembre 2013). Più complessa la situazione di Salerno e Napoli per le quali si spera di passare
alla nuova gestione rispettivamente
entro il primo maggio e il 31 dicembre 2014.
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Corriere del Mezzogiorno Lunedì 24 Marzo 2014
NA
Sanità, Italia in cifre 2013 Secondo l’Istat, i conti sono in ordine. Però nel Meridione in crisi si taglia perfino sui servizi essenziali
Sud, ora si risparmia
anche
sulla
salute
N
di EMANUELE IMPERIALI
el Mezzogiorno la mortalità infantile era e
resta ben più elevata rispetto a quella del
Nord: 3,9 decessi per mille nati vivi contro
2,9 per il Nord. Nel Centro, sebbene il quoziente di mortalità infantile sia diminuito, vi è, così
come nel Sud, un livello di mortalità infantile superiore alla media nazionale. Lo certifica autorevolmente l’Istat nella pubblicazione «Italia in cifre
2013», nella quale mette in evidenza anche quali siano le cause più frequenti di morte degli italiani. Il
70 per cento della mortalità complessiva è conseguente a malattie del sistema circolatorio e ai tumori. Con le prime che ancora oggi provocano un numero di decessi superiore ai morti per cancro. L’esame della geografia della mortalità complessiva conferma livelli più elevati di mortalità nelle regioni
del Centro e del Nord rispetto a quelle meridionali.
In particolare in tutte le regioni del Sud si muore
meno per i tumori. Per le malattie del sistema circolatorio valori più elevati della media italiana si registrano in gran parte delle Regioni del Mezzogiorno.
Nel Mezzogiorno si muore meno
per i tumori, ma di più a causa
delle malattie cardiocircolatorie
Più infermieri al Nord che nel Mezzogiorno
Al Sud ci sono più medici rispetto alle regioni
centrali e settentrionali, 19 ogni 10 mila abitanti
contro 16,6 al Nord e 18,3 al Centro, ma meno personale infermieristico e ausiliario. Infatti, rispetto a
una media nazionale pari a 43,6 ogni 10 mila cittadini, solo nelle regioni sotto il Garigliano siamo a un
livello più basso, pari al 37,9, mentre nelle aree settentrionali arrivano a 47,1 e in quelle centrali a
45,6. E il Sud può vantare un altro primato che è
probabilmente poco conosciuto ma molto interessante: un numero elevatissimo di medici addetti alla guardia medica, ben 7.139, contro i 3.064 del
Nord e i 1.901 del Centro. Ciò ovviamente si traduce in un elevato numero di presidî di guardia medica sul territorio meridionale, addirittura 1.700 sul
totale italiano di 2.925.
Medici di famiglia, meno assistiti al Sud
La sanità italiana si articola in due grandi branche: quella rappresentata dall’assistenza territoriale
e quella costituita dell’assistenza ospedaliera. La
prima è costituita dalle strutture e dal personale
che svolgono l’attività di base, medica, diagnostica
o costituita da altri servizi alla persona come l’assistenza domiciliare integrata o quella fornita in
strutture residenziali. Si tratta di un’offerta più capillare sul territorio rispetto a quella ospedaliera,
che rappresenta quella di livello più alto fornita dal
Servizio sanitario nazionale, sia per quel che riguarda l’intensità di cure sia in termini di risorse finanziarie assorbite.
I quarantaseimila medici di medicina generale in
Italia nel 2010, pur potendo fornire assistenza sanitaria fino a un massimo di 1.500 pazienti, in media
ne hanno ciascuno 1.147, con valori più bassi al
Sud, prima tra tutte le regioni la Basilicata dove un
sanitario ha in cura «appena» 1.017 assistiti, mentre le punte più alte sono nelle regioni settentrionali, come dimostra il caso della Lombardia dove arrivano fino a 1.1316.
Per quanto riguarda specificamente i pediatri,
che sul territorio nazionale sono circa 7.700, in media 9 ogni 10 mila bambini fino a 14 anni, in Abruzzo, Calabria, Sicilia e Sardegna sono in numero leggermente più elevato, 10 ogni 10 mila.
La rete ospedaliera
Il servizio ospedaliero è a tutt’oggi il settore sanitario che assorbe più risorse economiche, trattando patologie acute che necessitano un’assistenza
complessa e anche una dotazione di apparecchiature innovative. Tale tipologia di assistenza si sta
orientando sempre più verso le casistiche complesse, nel tentativo di trasferire le prestazioni che richiedono cure mediche di bassa intensità verso i
Servizi sanitari territoriali. Ne consegue il potenziamento di forme assistenziali alternative al ricovero
ordinario come il Day hospital, la Day surgery, il
Day service, la lungodegenza riabilitativa residenziale, l’attività ambulatoriale e l’assistenza domiciliare. Anche per effetto di questa radicale modifica,
i posti letto degli ospedali continueranno a diminuire in Italia con l’obiettivo di raggiungere una media complessiva di 3,7 ogni mille abitanti di cui 0,7
dedicati alla riabilitazione e alla lungodegenza e il
restante 3 per mille ai malati più acuti: ciò comporterà che molte regioni, in particolare quelle meridionali, dovranno riorganizzare la loro rete di assistenza ospedaliera.
Attualmente, certifica l’Istat, nel nostro Paese vi
sono 1.230 istituti di cura, di cui il 51,5 per cento
pubblici e il 43,2 per cento privati che prestano servizi per conto del Servizio sanitario nazionale. Negli ultimi dodici anni c’è stato un calo significativo
del numero di ospedali e cliniche convenzionate pa-
ri al 17,4 per cento e una drastica riduzione del numero di posti letto per mille abitanti da 5,3 a 3,6.
Sono diminuiti soprattutto gli ospedali e anche le
cliniche interamente private, mentre è rimasta stabile la quota di quelle private accreditate. L’aspetto
più preoccupante però è che alla diminuzione dei
luoghi di cura ha corrisposto un aumento del personale a disposizione delle strutture, col numero dei
medici salito da 115.553 a 130.195 unità nel 2010.
Ciò ha modificato notevolmente il rapporto medico-posti letto, passando da un valore di circa 37 medici ogni 100 posti letto a 60. Le differenze nell’offerta di posti letto si riscontrano anche a livello regionale: la dotazione più elevata si registra al
Nord-Ovest (3,9 posti letto per 1.000 abitanti), la
più bassa nelle Isole (3,2 posti letto per 1.000 abitanti). La dotazione minima di posti letto in rappor-
to alla popolazione residente si registra in Campania con 2,97 posti letto per 1.000 abitanti, quella
massima, pari a 4,3, nel Molise.
Negli istituti di cura del Servizio sanitario nazionale nel 2010 vi sono attualmente circa 8 mila 230
accessi in regime di chirurgia ambulatoriale e 7 milioni e 227 mila giornate di presenza in Day hospital. Analizzando il tasso di ospedalizzazione a livello regionale si nota che è particolarmente elevato
in Molise (162 per mille residenti), e per l’Emilia
Romagna, mentre in Basilicata è molto basso (109
per mille residenti).
Meridionali e donne più «vulnerabili»
All’aumentare dell’età, come è normale e prevedibile, diminuiscono le persone che danno un giudizio positivo sul proprio stato di salute: scende al
39,5 per cento tra le persone di 65-74 anni e raggiunge il 22,5 per cento tra gli ultrasettantacinquenni. Ma a parità di età, già a partire dai 45 anni emergono nette le differenze di genere a svantaggio delle donne: nella fascia di età 45-54 anni il 74,8 per
cento degli uomini si considera in buona salute
contro il 66,7 per cento delle coetanee. Le differenze maggiori si hanno tra i 65-74 anni (44,3 per cento contro il 35,1 per cento) e i 75 anni e oltre (28,2
per cento contro il 18,9 per cento).
Se si analizza questo dato a livello territoriale, la
quota di persone che si dichiara in buona salute è
leggermente più elevata al Settentrione (71,9 per
cento) che nel Centro (69,8 per cento) e nel Mezzogiorno (68,8 per cento). Tra le regioni italiane le situazioni migliori rispetto alla media nazionale si rilevano in Lombardia (73,5 per cento), quelle peggiori in Basilicata e in Calabria (64,1 per cento). In
particolare negli ultimi anni al Sud diminuisce di
circa l’1,2 per cento la quota di chi si dichiara in
buona salute.
Si tagliano i servizi «essenziali»
La spesa sanitaria delle famiglie italiane è legata
principalmente al reddito e poco alla qualità dell’offerta pubblica. Ma — udite, udite — la vera sorpresa è costituita dal fatto che per la prima volta dopo
anni la tanto vituperata Sanità italiana scopre di
avere i conti in ordine. Di fronte ai vincoli sempre
più stringenti, infatti, negli ultimi mesi il disavanzo è stato sostanzialmente azzerato. Per di più la
spesa pubblica ha smesso di crescere ma non c’è
stato, come ci si poteva aspettare, neppure un balzo nei consumi privati. La conseguenza è che negli anni della crisi gli italiani sono stati costretti
a tagliare sulla salute, anche sui
servizi che, prima, sarebbero
sembrati essenziali. Ciò è stato
evidente soprattutto al Sud, dove per le tradizionali debolezze
amministrative il sistema è più
debole. Quanto valgono i consumi sanitari privati sostitutivi di
quelli pubblici? All’incirca il 20
per cento (quasi 28 miliardi su
138) della spesa totale. In testa
alla classifiche per spesa sanitaria privata pro capite c’è il Trentino Alto Adige, poi il Veneto e il
Friuli Venezia Giulia. Seguono
Emilia Romagna e Lombardia.
Tutte Regioni del Nord le cui
strutture pubbliche sono ben
classificate dalle pagelle dell’Agenzia nazionale per i Servizi sanitari regionali.
Tre parametri per i costi
Il portafogli della sanità italiana nel 2014 avrà un valore di
110 miliardi, secondo i calcoli
dell’accordo sui costi standard
che ha permesso di redistribuire
i fondi alle Regioni sulla base di
un nuovo modello di spesa. Quest’anno, infatti, per la prima volta i conti sono stati elaborati sui
riferimenti di tre Regioni virtuose, Umbria, Emilia Romagna e
Veneto, e il risultato è stato una
decurtazione di fondi a quelle
più lontane dai prezzi ritenuti
«adeguati» per far fronte alla domanda di salute. Alcune Regioni
sono, però, ancora oggi alle prese con onerosi piani di rientro:
oltre al Lazio, le altre quattro sono meridionali, e cioè Abruzzo,
Campania, Molise e Calabria.
Meno aborti e meno epatite
È la Campania la regione con la più bassa percentuale di aborti femminili il cui dato influenza il minor tasso di interruzioni volontarie di gravidanza
nel Sud rispetto al Centro-Nord. Al Centro il rapporto è pari a 9,1 casi ogni mille donne, mentre al Sud
tale valore è uguale a 7,9.
Nel Mezzogiorno, e questo è un altro dato siginificativo e forse anche sorprendente, sono molti meno coloro che contraggono l’epatite. Su 2.594 casi
in Italia, in aumento rispetto al recente passato, il
58 per cento dei casi riguarda le regioni del Nord, il
24 per cento quelle del Centro e solo il restante 18
per cento quelle meridionali. I tassi sono più elevati in Valle d’Aosta, Emilia-Romagna e Toscana,
mentre sono più bassi in Basilicata, Umbria e Molise.
Pochi, per fortuna, i suicidi in Italia, ancor meno
nel Mezzogiorno. Anzi diminuisce significativamente la mortalità per suicidio nel nostro Paese, da
8,3 a 6,7 ogni centomila abitanti, mantenendosi tra
le più basse nel mondo. Peraltro il numero di coloro che si tolgono la vita cresce all’aumentare
dell’età: da 1,3 suicidi per centomila abitanti fra gli
under 25 si arriva a 6,2 tra i 25 e i 44 anni, 8,5 fra i
45 e i 64 anni fino a 11 per le persone di oltre sessantacinque anni, circa otto volte più alta rispetto
alla classe più giovane. La composizione per sesso
evidenzia la maggiore propensione al suidicio dei
maschi, circa quattro volte superiore a quella delle
donne. Se poi si osserva l’andamento del fenomeno
a livello territoriale si nota che il Nord-Est e il
Nord-Ovest continuano a essere le aree con livelli
di mortalità più alti, il Centro e le Isole oscillano su
valori prossimi alla media nazionale, il Sud conferma valori nettamente inferiori al resto del Paese.
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Lunedì 24 Marzo 2014 Corriere del Mezzogiorno
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Corriere del Mezzogiorno Lunedì 24 Marzo 2014
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Ricerca Ottenute immagini in vivo ad alta definizione delle strutture anatomiche deputate al deflusso convenzionale dell’umor acqueo
Glaucoma Il ladro della vista
Ciro Costagliola
Lucio Zeppa
di CIRO COSTAGLIOLA
e LUCIO ZEPPA
Laureato alla Federico II
e specializzato in
oftalmologia, dall’83 al
’97 Ciro Costagliola ha
lavorato all’Istituto di
Clinica oculistica con una
cattedra di oftalmologia
pediatrica, Servizio di
prevenzione cecità
neonatale della Seconda
Università di Napoli.
Dopo aver ricoperto il
ruolo di ricercatore di
clinica oculistica a
Ferrara, dal 2006 è
docente di malattie
dell’apparato visivo
all’Università del Molise
dove è presidente
regionale della sezione
italiana dell’Agenzia
internazionale per la
prevenzione della cecità.
Autore di oltre 250
pubblicazioni scientifiche
su riviste nazionali e
internazionali, di 12 libri
e monografie e di oltre
250 comunicazioni a
congressi nazionali e
internazionali, è titolare
di due brevetti
internazionali. È anche
responsabile dello spin
off dell’Università del
Molise «Mediplasma srl».
S
pesso si sente parlare di glaucoma e non ci si rende conto che
si tratta di una parola generica,
probabilmente non appropriata
ma entrata nella terminologia specialistica, la cui accezione rimanda a differenti quadri clinici «morbosi» caratterizzati essenzialmente da una perdita
graduale della vista, e successiva alla
morte progressiva di cellule specifiche
e dal nome non semplice: «ganglionari
retiniche», alla cui realizzazione partecipano componenti genetiche diverse,
suscettibilità individuale e vari fattori
di rischio. Dal punto di vista etimologico è necessario risalire ai tempi di Ippocrate. La parola stava a indicare il colorito ceruleo degli occhi dei pazienti affetti. Quindi, più che definire una malattia, il termine rimandava a una caratteristica, cioè a un segno clinico di malattia. Ma questa, appunto, è solo una
curiosità. Dal punto di vista clinico, invece, nella maggior parte dei casi la patologia si associa a un aumento della
pressione intraoculare, capace di provocare una neuropatia ottica con caratteristiche alterazioni a carico dello strato delle fibre nervose retiniche, della testa del nervo ottico, e di conseguenza
un deficit del campo visivo. Solitamente il glaucoma è un’affezione bilaterale, colpisce cioè entrambi gli occhi, anche se in maniera asincrona. Uno dei
problemi maggiori è che la sintomatologia soggettiva negli stadi iniziali è
praticamente inesistente, e dunque il
Passi avanti grazie alla sinergia
tra Ateneo del Molise
e ospedale Moscati di Avellino
decorso è insidioso. Stando così le cose, la diagnosi è posta occasionalmente nel corso di una visita oculistica di
routine, e spesso arriva in ritardo. Non
a caso il glaucoma è chiamato il «ladro
silenzioso della vista».
Volendo provare una classificazione, quella più accreditata suddivide il
glaucoma in base a due tipologie patologiche ben distinte: glaucoma ad angolo chiuso e glaucoma ad angolo aperto. Entrambe, a loro volta, suddivise in
altre «sottocategorie» legate all’origine: non accompagnate ad altre affezioni oculari o correlabili ad altre malattie
oculari o sistemiche, e a seconda delle
modalità di insorgenza in acuto, subacuto e cronico. Al di là di queste suddivisioni, è importante capire che il glaucoma è la seconda più importante causa di cecità tra la popolazione adulta di
età compresa tra i 18 e i 65 anni. Ha
una prevalenza variabile a seconda della provenienza geografica: circa il 2,7
per cento nella popolazione caucasica
di oltre 40 anni e intorno al 7 per cento
nelle popolazioni afroamericane. In Italia il presunto numero di pazienti affetti è superiore a 1 milione e 600 mila
persone. Studi clinici controllati e randomizzati hanno dimostrato che l’au-
mento della pressione intraoculare
(Iop) rappresenta il più importante fattore di rischio per lo sviluppo del danno glaucomatoso. Ma come si produce
l’aumento della pressione oculare? In
condizioni normali all’interno dell’occhio è presente un liquido (l’umore acqueo) che è prodotto continuamente
dai processi ciliari. Pertanto l’occhio si
può paragonare a un contenitore con
un rubinetto che introduce continuamente liquido al suo interno. Se le vie
di scarico non sono pervie, si avrà un
aumento di pressione all’interno del sistema, ovvero dell’occhio. Il deflusso
dell’umor acqueo avviene attraverso
due vie: trabecolare, pressione oculare
dipendente, responsabile fino a circa
l’80 per cento del deflusso, e uveosclerale, indipendente dalla pressione oculare, utilizzata fino al rimanente 20 per
cento del deflusso. Va detto che numerose tecniche di imaging sono state sviluppate per visualizzare le vie di deflusso dell’umor acqueo, ma nessuna fornisce in maniera diretta la possibilità di
conoscere in dettaglio le strutture anatomiche coinvolte.
Recentemente, i nostri due gruppi
di ricercatori — quella della cattedra di
malattie dell’apparato visivo
dell’Università del Molise e quella
dell’Unità operativa complessa di oftalmologia dell’ospedale Moscati di Avellino — sono stati in grado per la prima
volta di ottenere immagini in vivo e ad
alta definizione delle strutture anatomiche deputate al deflusso convenzionale — trabecolare — dell’umor acqueo, mediante introduzione di un microcatetere nel canale dello Schlemm,
durante la chirurgia del glaucoma.
I risultati di questo studio sono stati
accettati per la pubblicazione sulla rivista Jama Ophthalmology, e questo ha
spinto tutti i professionisti coinvolti
nello studio (i professori Luigi Ambrosone, Germano Guerra e il dottor Michele Fortunato) a effettuare un ulteriore avanzamento della ricerca, ipotizzando la somministrazione del mezzo
di contrasto in maniera non invasiva.
Cioè, non più con microcatetere applicato durante l’atto chirurgico, ma semplicemente instillando un collirio allestito specificamente, contenente una
sospensione di «nanoparticelle intelligenti» che una volta applicate siano in
grado di raggiungere le strutture anatomiche specifiche e rilasciare il mezzo
di contrasto. Una lampada a fessura
modificata sarà in grado di fotografare
o filmare il tutto. La sinergia tra due
piccole realtà quali la cattedra di Oftalmologia dell’Università del Molise e la
divisione Oculistica dell’ospedale di
Avellino si è dimostrata un’arma vincente che ha permesso lo sviluppo graduale e continuo di importanti filoni
di ricerca e l’ottenimento di concreti risultati.
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Lucio Zeppa, medico e
chirurgo oculista, ha
completato la sua
formazione in strutture
oculistiche italiane e
straniere e, in particolare
in Israele e nelle cliniche
oculistiche delle Università
di Napoli e di Trieste.
Dirige l’Unità operativa
complessa di Oculistica e
trapianti di cornea del San
Giuseppe Moscati di
Avellino. Consigliere
nazionale della Società
oftalmologica italiana e
vicepresidente della
Società italiana glaucoma,
è socio fondatore
dell’Associazione italiana
della chirurgia della
cataratta e della
refrazione, socio del
gruppo Vitreo Retina e
socio onorario
dell’Associazione campana
glaucoma. Ha partecipato
in qualità di relatore a
oltre 60 congressi ed è
autore di pubblicazioni
scientifiche a livello
nazionale e internazionale.
Ha eseguito oltre 40 mila
interventi chirurgici relativi
al segmento anteriore e
alla vitreoretina.
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Lunedì 24 Marzo 2014 Corriere del Mezzogiorno
NA
Nuove tecniche / 1 Forme e proporzioni naturali e nessun pericolo di intolleranza
Soluzione lipofilling
Roberto Grella
Utilizzando il tessuto adiposo del paziente
si rimodella il corpo senza inserire protesi
di ROBERTO GRELLA
Q
Specializzato in chirurgia
plastica, ricostruttiva ed
estetica con il massimo
dei voti e la lode,
Roberto Grella è
docente del master di II
livello in Medicina
estetica e dottore di
ricerca in Chirurgia
ricostruttiva
sperimentale alla Sun,
dove svolge attività di
docenza al corso di
laurea e alla scuola di
specializzazione in
Chirurgia plastica in
qualità di cultore della
materia. È anche visiting
professor all’Universidad
International de
Cataluna. Ha preso
parte a numerosi
congressi nazionali e
internazionali di
Chirurgia plastica per
presentare tecniche e
risultati delle sue
ricerche. È autore di
oltre 50 articoli
scientifici, pubblicati su
riviste internazionali, ed
è revisore dal 2009
della rivista scientifica
Americana Aesthetic
Plastic Surgery.
uando si parla di bisturi e bellezza la prima cosa alla quale
si pensa è il «lifting». Ma quello che molti non sanno è che
la chirurgia estetica ha fatto negli ultimi anni passi da gigante e oggi esistono tecniche all’avanguardia che permettono di raggiungere risultati prima impensabili. In fatto di nuove frontiere, ad esempio, una delle tecniche
più innovative è il «lipofilling», sempre più utilizzata in chirurgia plastica
con finalità sia ricostruttive sia estetiche, e che consiste nell’utilizzo del proprio tessuto adiposo per rimodellare
viso e corpo, donando alle zone trattate forme e proporzioni del tutto naturali. Il lipofilling è una tecnica molto usata perché è poco invasiva, è naturale,
non ha controindicazioni e i risultati
sono di grande effetto. Il grasso corporeo viene prelevato grazie a piccole
cannule da aree «donatrici» (cioè fianchi, pancia, ginocchia, interno coscia),
centrifugato, purificato e iniettato nelle aree da trattare. In ambito estetico è
impiegato nel volto per aumentare il
volume di guance e zigomi allo scopo
di ridefinirne il volume e i contorni,
ma anche per rendere più proiettato
un mento sfuggente o per correggere
l’avvallamento prodotto sul dorso del
naso da una rinoplastica sbagliata. Per
il resto del corpo viene impiegato sempre più spesso in sostituzione degli impianti protesici, per aumentare il volume di polpacci, mammelle e glutei. Rispetto ad esempio all’acido ialuronico,
il lipofilling ha il vantaggio di essere
un trattamento definitivo, visto che
una quota delle cellule iniettate (circa
il 60 o il 70%) attecchisce in modo stabile e duraturo. L’unico fattore limitante è la quantità di tessuto adiposo pre-
sente. Va anche detto che la tecnica garantisce massima sicurezza, visto che
il tessuto adiposo impiantato appartiene alla paziente stessa, e quindi non ci
possono essere reazioni di intolleranza. Il grande vantaggio di questa metodica risiede nel fatto che in un unico
intervento si associa l’eliminazione di
un accumulo adiposo e si ridona tono
e volume ad aree anatomiche che invece ne hanno bisogno, ad esempio seno, glutei e polpacci. Una grande novità è il «nano fat grafting» che consiste
in un’ulteriore separazione delle cellule adipose, che consente di ottenere
un maggior numero di cellule staminali con risultati più efficaci, duraturi,
ma soprattutto naturali. Le cellule staminali derivate dal tessuto adiposo
che vengono iniettate hanno un forte
potere rigenerativo, tant’è che vengono usate ormai di routine per migliorare gli esiti cicatriziali superficiali lasciati dall’acne o profondi da traumi o
ustioni. Un altro vantaggio del nano
fat grafting è la possibilità di ottenere
cellule di piccolissime dimensioni che
possono essere iniettate con aghi molto sottili, simili a quelli che vengono
utilizzati per i comuni «filler». Questo
avanzamento di tecnica ci consente di
utilizzare sempre di più il lipofilling come un semplice filler di acido ialuronico e di trattare anche aree che in passato non potevano essere trattate. Negli
ultimi anni abbiamo ottenuto risultati
molto soddisfacenti anche nel trattamento delle mani. Purtroppo, le mani
sono l’unica parte del corpo a tradire
la vera età anagrafica di una persona e
finora non si praticavano interventi o
trattamenti di chirurgia estetica perché i risultati erano scarsi a fronte di
costi elevati. Oggi, invece, con il lipofilling è possibile ringiovanire tutte le
parti del viso e del corpo, anche quelle
più ostiche da trattare. Il lipofilling vie-
ne utilizzato da diversi anni nella chirurgia ricostruttiva della mammella,
per eliminare gli esiti di quadrantectomie e di terapie adiuvanti quali la radiodermite post radioterapia. Va detto
che questa tecnica è da considerarsi
«trattamento medico», dunque deve
essere affidata a professionisti seri e
competenti, specialisti in chirurgia plastica, estetica e ricostruttiva, in strutture adeguate. Altrimenti i danni potrebbero essere anche molto gravi.
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Prospettive Biotecnologie applicate alla chirurgia
L’ingegneria che aiuta i medici
a riprodurre tessuti e organi
R
iprodurre in laboratorio tessuti fondamentali per la salute e
il benessere di migliaia di pazienti, per esempio di pelle, cartilagine e ossa. È di questo che si occupa l’ingegneria tissutale applicata alla chirurgia, scienza che usa materiali «intelligenti» e cellule staminali
adulte per imitare la natura. Ed è facile immaginare che gli studi di oggi avranno un ruolo fondamentale
nel determinare la medicina di domani. Si pensi, ad esempio, all’importanza dei trapianti in caso di persone affette da ulcere, tumori della
pelle o con gravi ustioni. Situazioni
per le quali, già oggi, si può intervenire con risultati sorprendenti. Il
prossimo passo è quello di arrivare
a creare valvole cardiache e vasi sanguigni, e l’orizzonte non è molto
Alfonso Barbarisi
Alfonso Barbarisi è docente di chirurgia generale
alla Sun e, sempre alla Seconda Università di
Napoli, direttore del Dipartimento di Scienze
anestesiologiche, chirurgiche e dell’emergenza e
direttore dell’unità complessa IX Divisione di
Chirurgia generale, vascolare e biotecnologie
applicate. Dal 2010 al 2013 è stato presidente
dell’European Society of Surgery. In precedenza è
stato presidente della Conferenza dei presidenti
dei Collegi dell’area medica e rappresentante per
l’Italia all’Uems (European Union of Medical
Specialists, section of Surgery), nonché segretario
dell’Uems Section of Surgery (General Surgery
Division and Board Secretary). Ha ricoperto anche
la carica di presidente della Società Italiana di
Endocrinochirugia e della Società Italiana Tumori.
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Corriere del Mezzogiorno Lunedì 24 Marzo 2014
NA
Nuove tecniche / 2 Con l’applicazione «sottofasciale» si elimina l’effetto gradino
Seno Bellezza e salute
Mastoplastiche additive super-richieste
Ma attenzione nella scelta del chirurgo
di FRANCESCO D’ANDREA
L
a mastoplastica additiva è
l’intervento di chirurgia estetica più richiesto e più praticato al mondo per aumentare
il volume del seno attraverso l’utilizzo di protesi mammarie. Tutte le
donne desiderano avere un seno in
armonia con il proprio corpo perché il seno da sempre è simbolo di
femminilità. Oltre a essere ispiratore di sensazioni materne, riveste un
lontano. Tutto questo per poter salvare delle vite umane, e dare a pazienti affetti da gravi malformazioni o malattie una speranza in più.
«Un giorno saremo capaci di coltivare interi organi: un rene, una vescica, il fegato o il cuore, che madre
natura ha perfezionato in migliaia
di anni», spiega Alfonso Barbarisi,
docente di chirurgia generale che
dirige il servizio di Biotecnologie
applicate alla chirurgia presso il Policlinico della Seconda Università
di Napoli. Come? «Grazie alle cellule staminali adulte, ma non ancora
mature, e a materiali capaci di interagire e integrarsi con l’ambiente
circostante. Questo ci permette di
ingegnerizzare non solo tessuti ma
anche grandi organi». Tuttavia, per
passare dalla conoscenza di base alla ricerca finalizzata occorre formare una nuova figura di medico: il ricercatore «traslazionale», che in Italia, a differenza degli Stati Uniti, è
poco diffuso. Ecco perché parecchi
anni fa il professor Barbarisi decise
di elaborare un progetto di qualifi-
cazione scientifica post laurea, per
creare un dottorato di ricerca in
«Biotecnologie applicate alle scienze medico-chirurgiche». Un progetto che ha sempre avuto come fine
quello di aprire il campo ad applicazioni concrete delle biotecnologie,
visto che possono e devono aprirsi
alla necessità economica dello sviluppo. Sono infatti tra le aree dell’high technology in maggiore
espansione. E come spesso accade,
anche in questo campo, sono gli
americani quelli che corrono di
più: negli ultimi anni sono stati
messi all’opera migliaia di ricercatori e tecnici, con investimenti miliardi e di dollari. Un quadro complesso, nel quale il lavoro di Barbarisi si
configura come vera e propria eccellenza. La prospettiva è dunque quella di poter arrivare a creare un giorno in laboratorio qualsiasi organo
vitale in modo da non avere più bisogno dei donatori.
R. Nes.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
ruolo fondamentale nell’intimità
sessuale. Alterazioni, anche lievi,
della forma o del volume mammario possono essere motivo di perdita di autostima e di sex appeal con
conseguenti ripercussioni sulla sfera psicologica e sulla vita di relazione. È questo il motivo per cui gli interventi di chirurgia estetica del seno sono tra i più richiesti in assoluto nel mondo.
Nella maggior parte dei casi, a rivolgersi al chirurgo plastico per questo genere d’intervento sono giovani donne che in seguito a uno sviluppo modesto della mammella si presentano con un seno sproporzionatamente piccolo; o donne che hanno subito una riduzione del volume
mammario dopo una gravidanza o
una drastica perdita di peso. In questi ultimi due casi, talvolta si associa
un abbassamento del seno che nelle
forme più marcate richiede un intervento aggiuntivo di mastopessi o lifting, cioè di spostamento verso l’alto dell’intera mammella.
In tutti i casi l’obiettivo della mastoplastica additiva dev’essere quello di ottenere risultati naturali, adattando l’aumento del seno alla conformazione corporea di ogni singola paziente. In questo siamo aiutati
dalla possibilità di impiego di protesi sempre più diversificate in termini di forma, volumi, consistenza e
materiali, tali da poter essere adattate a ogni paziente come se si trattasse di protesi «su misura», specifiche
per il loro caso.
Inoltre le tecniche moderne eseguite da mani esperte consentono il
rispetto della funzionalità della
mammella, permettendo al tempo
stesso ampie riduzioni di rischi per
la salute, cicatrici nascoste e risultati stabili e duraturi nel tempo. Una
novità in questo campo è data da
una particolare tecnica che applico
sulle mie pazienti con risultati molto soddisfacenti sia dal punto di vista estetico che funzionale. Si tratta
di posizionare le protesi in uno spazio anatomico detto «sottofasciale»,
che è un giusto compromesso tra i
classici posizionamenti sottomuscolare e sottoghiandolare, con il vantaggio di eliminare l’effetto gradino,
diminuire il dolore postoperatorio e
ridurre i tempi della convalescenza,
consentendo il ritorno a una vita attiva dopo sole 48 ore dall’intervento. Inoltre il posizionamento sottofasciale ci dà la certezza di lasciare tutto il tessuto mammario al di sopra
della protesi, evitando interferenze
con eventuali esami diagnostici successivi come ecografie o mammografie.
È di fondamentale importanza affidarsi a un chirurgo plastico serio e
specializzato, con il quale valutare il
tipo di intervento idoneo da effettuare e discutere eventuali complicanze. Si deve diffidare da chi illustra solo i risultati positivi e soprattutto di chi propone interventi «low
cost». Chi propone un intervento di
mastoplastica additiva con una spesa di poche migliaia di euro non dovrebbe essere neanche preso in considerazione. Oggi in Italia, purtroppo, basta la sola laurea in medicina
per fare il chirurgo plastico, e questo fa si che ci siano medici improvvisati e incompetenti, con danni per
le ingenue pazienti. La scuola di specializzazione di cui sono titolare alla
Sun, consente di avere una conoscenza completa della chirurgia plastica, dalla ricostruttiva all’estetica.
Non dimentichiamo che la bellezza
passa per la salute.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Francesco D’Andrea
Specialista in chirurgia
plastica, ricostruttiva ed
estetica, Francesco
D'Andrea è professore
ordinario di chirurgia
plastica alla Sun. È inoltre
direttore della scuola di
specializzazione di
Chirurgia plastica,
ricostruttiva ed estetica,
direttore del master
universitario di II livello di
Medicina estetica e
coordinatore di un
dottorato di ricerca in
Chirurgia sperimentale
ricostruttiva. Direttore del
reparto di Chirurgia
plastica della Sun, è
visiting professor
all’Universita
Internazionale della
Catalogna. Ha organizzato
numerosi congressi e
corsi di aggiornamento e
ha pubblicato oltre 150
lavori scientifici su riviste
nazionali e internazionali.
È stato segretario ed è è
tesoriere della Società
italiana di Chirurgia
plastica, ricostruttiva ed
estetica. È il delegato per
l’Italia dell’European
Association of Aesthetic
Plastic Surgery.
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Lunedì 24 Marzo 2014 Corriere del Mezzogiorno
NA
FORMAZIONE
Certi che, ai fini di un adeguato apprendimento
della psicoterapia sistemico relazionale, la
formazione debba favorire una tras-formazione
dello studente, la scuola:
• Privilegia
il lavoro sulla personalità e sulle modalità
relazionali dell’allievo affinché possa utilizzarle
produttivamente nella relazione terapeutica.
• Dedica
particolare attenzione alla sua storia familiare
per valorizzare le risorse del patrimonio
trigenerazionale.
• Garantisce
la pratica della psicoterapia supervisionata
dallo staff didattico, ai pazienti che afferiscono
al servizio clinico della scuola.
PSICOTERAPIA
• Individuo - famiglia coppia
• Infanzia - adolescenza
• Favorire l’aiuto
Una parte del Servizio clinico viene riservato a costo
ticket o a titolo gratuito per le persone in gravi difficoltà
economica. La lista di attesa segue la prenotazione
telefonica.
• Specializzazione
in Psicoterapia
(per laureati in Psicologia,
Medicina e Chirurgia)
• Mediazione Familiare
• Supervisione clinica
• Consulenze terapeutiche
• E.C.M.
CREDIAMO ALLE OPPORTUNITÀ
Borsa di studio per l’anno 2015
L’ITER istituisce annualmente 2 borse di studio, del valore di milleduecento euro ciascuno per le sedi
di Napoli e Caserta per gli iscritti al primo anno della scuola di specializzazione.
Idoneità 2015:
è necessario superare il colloquio di ammissione
con il direttore della scuola.
PRENOTAZIONI COLLOQUI 2015:
tramite il sito www.iterformazione.it,
via mail agli indirizzi: [email protected] o [email protected],
prenotazione telefonica ai numeri:
0823.351820 - 081.669195 - 338.7107077